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Antropocene (riassunto libro), Sintesi del corso di Biologia

Riassunto dettagliato e completo del libro "Antropocene" (Emilio Padoa-Schioppa) a inclusione del corso "Didattica della biologia" (quarto anno, scienze della formazione primaria - Bicocca)

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 05/04/2022

i.ilaria03
i.ilaria03 🇮🇹

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Scarica Antropocene (riassunto libro) e più Sintesi del corso in PDF di Biologia solo su Docsity! 1 ANTROPOCENE - EMILIO PADOA-SCHIOPPA INTRODUZIONE Il termine “antropocene” (dal greco, epoca geologica dell’uomo) è stato utilizzato da Crutzen durante una conferenza del 2000, in Messico, per sottolineare che la Terra si trova in una nuova fase storica, in cui l’uomo è in grado di modificare gli equilibri climatici, geologici, biologici e chimici del sistema. In realtà la parola era già stata utilizzata nel 1980 dal biologo Stoermer e, nell’Ottocento, si usavano espressioni come “epoca dell’uomo” o “era antropozoica”. Come mai ora viene usata da tutti? È il risultato di tre fattori: reputazioni (Crutzen è vincitore del premio Nobel per la chimica); attualità (la comunità scientifica ha cominciato a misurare e riconoscere l’impatto dell’uomo sulla Terra a partire dagli anni ‘60); coinvolgimento (ci sentiamo coinvolti, dobbiamo chiederci che stile di vita vogliamo adottare e quale mondo vogliamo lasciare alle generazioni future). Quando parliamo di impatto dell’uomo sulla Terra, ci riferiamo a tre fattori interconnessi: a) quanti siamo sul pianeta Terra → oggi siamo più di 7 miliardi, ma all’inizio del XX secolo non eravamo ancora 2 miliardi. Più uomini significa un maggiore impatto sull’ambiente: si consumano più risorse, si liberano più sostanze inquinanti e si aumenta la pressione sul pianeta. b) quali tecnologie usiamo → nel corso della storia, le tecnologie sono cambiate (fuoco, combustibili fossili, ecc.); tecnologie diverse producono impatti diversi. c) come usiamo le tecnologie → es: un aereo ha impatto diverso se viene usato per un viaggio Filippine-Europa o un viaggio Milano-Genova. Questi tre fattori sono stati uniti dall’ecologo Ehrlich, negli anni ‘70, nell’equazione I = P x A x T, in cui I=impatto umano; P=popolazione; A=affluenza (uso pro capite delle risorse) e T=tecnologia. Saranno proprio le nuove tecnologie a fornire soluzioni a gran parte dei problemi che tratteremo. Parlare di Antropocene significa, infatti, partire dalle scienze ambientali per arrivare alla sociologia e alla politica. CAPITOLO 1: BREVE VIAGGIO NEL TEMPO PROFONDO Prima dell’Antropocene, mai nella storia della Terra, una sola specie era stata in grado di influenzare da sola le dinamiche del pianeta. È però necessario rapportare i cambiamenti alle giuste scale temporali: la Terra ha circa 4,5 miliardi di anni, l’ossigeno è comparso in atmosfera 2,5 miliardi di anni fa e l’Homo Sapiens è comparso tra i 200 e i 300.000 anni fa. Al cuore della storia della Terra Analizziamo le principali tappe della storia della Terra, facendo riferimento ai 10 momenti fondamentali individuati da Hazen: 1. Nascita della Terra → la storia del pianeta ha inizio quasi 4,6 miliardi di anni fa, con la collisione di piccole condriti che portò alla formazione di planetesimi e poi attraverso le collisioni con una proto-Terra, che raggiunse la forma attuale. 2. Big thwack → il “grande colpo”, ovvero la collisione con Theia, un oggetto più piccolo di Marte, che portò alla formazione della Luna. 3. Terra nera → formazione della crosta basaltica. 4. Terra blu → formazione degli oceani. 5. Terra grigia → formazione della crosta granitica; il motore principale degli ultimi tre eventi è l’energia termica derivata dalle rocce fuse all’interno del pianeta. 6. Terra viva → secondo la maggior parte degli studiosi, la vita si è sviluppata per tappe, attraverso fasi di evoluzione e selezione chimica e molecolare, prima di biomolecole e poi di molecole più complesse, in grado di autoriprodursi (tra i 4,2 e i 3,8 miliardi di anni fa); nascono gli organismi unicellulari. 2 7. Terra rossa → nel miliardo e mezzo di anni successivo alla formazione della Terra, alcuni organismi imparano a trasformare l’energia chimica per rilasciare un gas reattivo, l’ossigeno, che ossida la superficie della Terra. 8. Miliardo noioso → l’ossigeno innesca l’evoluzione dei minerali e indirizza la vita su nuovi percorsi (organismi in grado di vivere in un’atmosfera ricca di ossigeno e di sfruttarlo per il proprio metabolismo); si forma il super-continente Kenorlandia, poi frantumato in zolle più piccole. 9. Terra bianca → fase di feedback positivi e negativi; a quattro episodi di glaciazione si alternano periodi con temperature più elevate. Questa alternanza ha contribuito all’evoluzione minerale e della vita. 10. Terra verde → comparsa di flora e fauna, modificazioni dei cicli climatici, cinque estinzioni di massa, la vita conquista le terre emerse e si forma il supercontinente di Pangea dall’unione dei continenti Laurasia e Gondwana, si differenziano le specie animali e nascono le piante terrestri. La comparsa dell’uomo Il percorso evolutivo che ha portato l’Homo Sapiens dove è oggi è iniziato circa 6 milioni di anni fa in Africa. La posizione eretta è stata raggiunta in Africa orientale circa 4,4 milioni di anni fa e ha consentito di spostarsi su distanze maggiori. Circa 3,3 milioni di anni fa compaiono i primi utensili, con cui gli Ominini cominciano a modificare l’ambiente. Circa 1,9 milioni di anni fa, l’Homo Erectus esce dall’Africa e si sposta in Eurasia; probabilmente impara a controllare il fuoco e ciò ha favorito lo sviluppo di un cervello dalle dimensioni maggiori e la cooperazione sociale. Tra i 700 e i 600.000 anni fa, compare l’Homo heidelbergensis, un cacciatore attivo da cui ebbero origine due specie: Homo neanderthalensis e Homo sapiens. Quest’ultimo si spostò dall’Africa e incontrò almeno altre tre specie di Homo: Neanderthal, l’uomo di Flores e di Denisova. Nonostante ci siano stati episodi di ibridazione, l’Homo Sapiens ha portato all’estinzione delle altre specie incontrate. Le ragioni biologiche potrebbero essere: minor grado di testosterone, minor dimorfismo sessuale o la competizione con specie simili. Alla ricerca del “chiodo d’oro” L’Antropocene deve essere inserito nella scala geologica del tempo. Il sistema usato dai geologi è il sistema stratigrafico, un sistema gerarchico che prevede la suddivisione del tempo in eoni, ere, periodi ed epoche. Per gli ultimi 500 milioni di anni, abbiamo a disposizione più dati stratigrafici, fossili e chimici, per cui è più semplice segnare con certezza il passaggio da un’epoca all’altra. Secondo i geologi, la transizione da un’epoca all’altra è osservabile attraverso un marcatore, il “chiodo d’oro”, presente nei sedimenti e correlabile ad altri sedimenti nel resto del mondo. La linea che segna l’inizio dell’Antropocene, però, è ancora dibattuta. Si individuano 5 proposte: 1. estinzioni dei grandi mammiferi e degli uccelli inetti al volo causate dall’espansione di Homo Sapiens. È il primo momento in cui le attività umane lasciano un’impronta chiara sulla Terra. Le estinzioni sono documentate globalmente, ma non sono sincronizzabili: sono avvenute prima in Eurasia, poi nelle Americhe e in Australia, e solo in tempi poco più recenti nelle isole (es: Madagascar). Questo perché mentre in Africa le prede e i predatori (Homo Sapiens, che era un cacciatore specializzato) hanno avuto modo di evolvere assieme per lungo tempo (affinando le tecniche di fuga e di caccia), nelle altre terre questo equilibrio non si mantiene. Si tratta quindi di un cambiamento antropico globale ma diacronico. 2. avvento dell’agricoltura e domesticazione degli animali. Jared Diamond sostiene che questo processo è avvenuto ovunque vi fossero candidati adatti per la domesticazione. L’estinzione dei grandi mammiferi in America e Australia ha privato queste regioni di animali potenzialmente utili per l’uomo. Infatti, mentre la domesticazione delle piante è avvenuta in 14 aree diverse del mondo, quella dei grandi mammiferi è stata più limitata. La domesticazione dei mammiferi ha fornito ad alcune società un grande vantaggio competitivo: gli animali erano usati come riserve di cibo, forza lavoro e forza militare. Con lo sviluppo dell’agricoltura, l’uomo compie una transizione energetica, sfruttando la radiazione solare in 5 organici di carbone e petrolio, che si sono accumulati in centinaia di milioni di anni. Vi è poi un pool in atmosfera, rappresentato dal diossido di carbonio (CO2), da altri gas (metano) e ossido di carbonio. Il mondo biologico recupera carbonio dall’atmosfera attraverso gli organismi fotosintetizzanti (piante e batteri) che, grazie all’energia luminosa, sottraggono la CO2 e producono glucosio, ovvero biomassa. Essa viene poi trasferita da questi organismi (detti “produttori”) ai “consumatori” (erbivori e carnivori) tramite la catena alimentare. Tutti gli organismi viventi restituiscono CO2 all’atmosfera attraverso la respirazione cellulare. Gli scambi di CO2 avvengono anche tra idrosfera-atmosfera; i passaggi da litosfera ad atmosfera avvengono attraverso eruzioni vulcaniche. La CO2 è in grado di trattenere una parte della radiazione solare riflessa dalla superficie terrestre e questo provoca l’effetto serra, che consente di mantenere le temperature ideali per il mondo come lo conosciamo. Le attività umane, in particolare l’uso dei carbon fossili, alterano questo ciclo, sottraendo alla litosfera carbonio e immettendolo in atmosfera sotto forma di CO2. 3. Il ciclo dell’ossigeno. L’ossigeno si è formato in buona parte attraverso l’attività fotosintetica di organismi nelle fasi “terra viva” e “miliardo noioso”. L’ossigeno oggi presente in atmosfera (20%) è una piccola porzione di quello prodotto negli ultimi 3,5 miliardi di anni: la grande maggioranza (96%) è contenuto nei minerali ossidati. Negli ultimi 400 milioni di anni, l’ossigeno atmosferico è rimasto stabile (= equilibrio tra ossigeno prodotto e ossigeno consumato). Nella stratosfera (10-60 km sul livello del mare), le molecole di ossigeno si uniscono a formare ozono (tre atomi di O), che ha un ruolo determinante nel filtrare la radiazione ultravioletta solare. 4. Il ciclo dell’azoto. Esso ha un pool di riserva nell’atmosfera, dove è presente in forma molecolare (costituisce il 78% dell’atmosfera). Per essere utilizzato, deve essere trasformato e ciò richiede energia: le trasformazioni avvengono in atmosfera, innescate da lampi e fulmini, o per opera di batteri detta azotofissatori. Una volta trasformato, viene usato da piante e animali; poi viene restituito all’atmosfera. 5. Il ciclo del fosforo. Non prevede scambi gassosi né trasformazioni. Il fosforo presente nel suolo deriva dall’alterazione di alcuni minerali (apatiti), stimolata dall’attività di piante e funghi. Una piccola porzione, sottoforma di fosfato, è disponibile per la biosfera, viene assimilata dalle piante e poi dagli altri organismi e rilasciata nel suolo con la decomposizione. Attraverso i fiumi, il fosforo disciolto nel terreno viene trasportato al mare, dove si deposita in sedimenti profondi. Il mondo vivente: la biosfera. Da quando è comparsa la vita sulla Terra, le condizioni del nostro pianeta sono cambiate per effetto dell’insieme degli organismi. Questo ha permesso di identificare un comparto, la “biosfera”, che indica l’insieme delle zone della Terra in cui è possibile la presenza della vita. La biosfera si innesta nella litosfera, sopra il suolo, nella parte di atmosfera a contatto con il suolo e acque e nell’idrosfera. La vita sulla Terra è caratterizzata da trasformazione e varietà: come descritto da Darwin, le specie cambiano nel tempo con l’evoluzione. In sostanza, Darwin ha messo insieme cinque idee fondamentali: 1) il fatto dell’evoluzione; 2) la discendenza di tutte le specie da un antenato comune; 3) l’evoluzione graduale; 4) la moltiplicazione delle specie nel tempo; 5) la selezione naturale come meccanismo per spiegare l’evoluzione. Il mondo oggi è dunque molto diverso da quello di 3,5 miliardi di anni fa. Proprio la varietà consente i processi selettivi, che cambiano quando mutano le condizioni ambientali. Le specie non sono quindi entità eterne: ogni specie prima o poi si estingue. Ancora oggi non sappiamo con esattezza quante specie viventi ci siano sulla Terra, anche perché ancora non vi è una definizione univoca di “specie” e non tutte le terre e gli oceani sono stati esplorati. Si stima che esistano tra i 5 e i 30 milioni di specie. La biodiversità non è rimasta costante nel tempo, complessivamente è andata aumentando, ma ci sono stati diversi momenti in cui è diminuita drasticamente e repentinamente. Si individuano 6 cinque grandi episodi di estinzione nel passato e una serie di episodi minori (l’ultimo, nel Pleistocene, è considerato la prima delle grandi trasformazioni attuate dall’uomo). Le cause di queste estinzioni sono varie e ancora da determinare. L’estinzione più famosa, avvenuta 65 milioni di anni fa alla fine del Cretaceo, è attribuita all’impatto di un meteorite, che avrebbe innescato cambiamenti climatici che hanno portato all’estinzione di quasi tutti i dinosauri. In generale, ci sono tre elementi in comune: cambiamenti accelerati del clima; alterazioni nella composizione dell’atmosfera; stress ecologici intensi. Quando queste tre situazioni avvengono insieme, si verifica un'estinzione di massa. Dopo un’estinzione di massa, la vita si riprende e il numero di specie aumenta, ma in tempi molto lunghi. Dopo la crisi del Permiano, ad esempio, la fauna ha ricominciato a diversificarsi dopo un milione di anni. Spesso, la scomparsa di una specie genera una sorpresa ambientale: scompare una specie che ha un ruolo chiave in un ecosistema e a cascata si generano nuovi effetti (esempio: con l’estinzione dei mammut, la steppa è stata sostituita dalla tundra). CAPITOLO TRE: GLI EQUILIBRI MODIFICATI E L’IMPRONTA DELL’UOMO SULL’AMBIENTE L’impronta umana sul clima. Il clima è il primo elemento chiaramente modificato dall’attività antropica. Le alterazioni del clima dipendono da un’alterazione del ciclo biogeochimico del carbonio: le attività umane fanno aumentare le emissioni di gas serra (CO2), capaci di trattenere la radiazione infrarossa riflessa dalla superficie terrestre; utilizzando e bruciando combustibili fossili, l’uomo immette in atmosfera più CO2 di quanto possa essere consumata/assorbita e che trattiene più radiazione infrarossa riflessa dalla Terra. Fin dall’Ottocento si è ipotizzato che a un aumento della CO2 terrestre corrisponda un aumento delle temperature della Terra. A partire dalla rivoluzione industriale, si è registrato un aumento delle temperature medie della Terra di circa 1 °C rispetto all’epoca preindustriale. Tanto o poco? Alcuni effetti sono già visibili, altri si noteranno se le temperature continueranno ad aumentare. Gli anni più caldi, finora, sono tutti concentrati tra il 2000 e il 2020 (il 2016 è stato il più caldo in assoluto). I dati dimostrano che mai, nella storia di Homo Sapiens, vi è stata così tanta CO2 in atmosfera. Questa correlazione tra temperature e anidride carbonica è confermata dalle evidenze scientifiche: quando la CO2 aumenta, le temperature nell’atmosfera si innalzano; quando diminuisce, diminuiscono le temperature. Inoltre, la letteratura scientifica è concorde nel riconoscere il ruolo delle attività umane. Il grafico simula l’andamento delle temperature medie tenendo conto solo delle forzanti naturali che possono influire (attività solare e vulcanica - rosso) e l’andamento previsto considerando le forze antropiche (in blu); se sovrapponiamo l’andamento effettivo (nero), notiamo che il secondo modello è quello più vicino alla realtà. È importante sottolineare che anche l’aumento del metano (gas serra) contribuisce. Le conseguenze saranno molto importanti per gli ecosistemi della Terra e l’umanità. Oggi, il cambiamento climatico è considerato la principale conseguenza dell’Antropocene. Gli effetti del riscaldamento globale sono diversi; gli impatti futuri suscitano opinioni diverse, sia perché si tratta di qualcosa di nuovo, sia perché il comportamento del sistema Terra non è lineare. È ipotizzabile un aumento delle temperature medie e, negli obiettivi dell’accordo di Parigi (2015) per affrontare la crisi climatica, si indica una fascia tra 1,5-2°C rispetto all’era preindustriale (per intenderci: possiamo aspettarci, in Pianura Padana, estati con 50°C). Quali conseguenze? • Alle latitudini artiche e antartiche, già si registrano i cambiamenti più forti e veloci: al Polo Nord, l’estensione del ghiaccio marino diminuisce del 3,8% ogni decennio, lo strato di ghiaccio pluriennale del 13,5%. 7 • Variazione del ciclo di piogge e precipitazioni. Già si registra una diminuzione complessiva delle precipitazioni e un aumento della loro intensità (piove di meno, ma cade più acqua). Si prevede che, entro il 2100, l’intensità aumenterà del 8-20%. • La variazione delle precipitazioni comporta l’aumento della frequenza di eventi estremi (uragani, ondate di caldo e freddo) e le zone temperate (come quelle mediterranee) subiscono fenomeni di tropicalizzazione, con alto rischio di desertificazione. • Aumentano le temperature delle acque oceaniche. Oggi si registra già una crescente acidificazione degli oceani, che ha gravi impatti sulla barriera corallina e diminuisce le possibilità di assorbimento della CO2. Un aumento di 1,5°C significherebbe una probabile scomparsa del 70-90% delle barriere coralline; un aumento di 2°C la loro distruzione quasi completa (99%). • Fusione delle calotte continentali glaciali della Groenlandia e dell’Antartide. Questo provocherà un innalzamento del livello dei mari e, su lungo tempo, ridisegnerà le linee costiere. L’impronta umana sulla biodiversità. Una delle più gravi crisi ambientali dell’Antropocene è la perdita di specie, varietà genetica, ecosistemi, habitat e paesaggi (“crisi della biodiversità”). In particolare, oggi il tasso di estinzione è cento/mille volte più rapido di quello normale (definito “tasso di estinzione di fondo”). Significa che estinguono molte più specie in tempi più rapidi (si stima la perdita di 11-58 mila specie all’anno). Si tratta della sesta estinzione di massa dal Cambriano, però con diverse cause e velocità. Le cause sono sicuramente antropiche. Wilson, ecologo, ha proposto l’acronimo HIPPO: • H sta per “habitat” → indica la distruzione e l’alterazione degli habitat naturali e la conseguente perdita di specie, soprattutto nelle aree di foresta pluviale equatoriale. • I sta per “invasive” → l’uomo porta sempre più specie in giro, cambiando le loro aree di diffusione e questo ha un impatto sulle specie di origine (esempio: in Europa, la liberazione dello scoiattolo della Carolina ha portato all’estinzione lo scoiattolo europeo). • P sta per “pollution” (= inquinamento) → molte attività antropiche lasciano in ambiente sostanze inquinanti, pericolose per le popolazioni animali selvatiche (in India, alcuni pesticidi sono finiti nella catena alimentare degli avvoltoi, causando un crollo del 96% delle loro popolazioni). • P sta per “population” (= popolazione umana) → la crescita demografica e lo sviluppo non ordinato delle megalopoli hanno un impatto negativo sulla biodiversità. Questa P è, per Wilson, il motore di tutte le altre cause. • O sta per “overharvesting” (= eccesso di caccia e pesca) → per molto tempo è stato il principale motore delle estinzioni antropiche (è andato perdute il 90% della biomassa di pesci negli oceani a causa della pesca). Anche il cambiamento climatico ha un impatto sulla biodiversità: ci sono specie perdenti (in genere quelle legate a climi freddi) e specie che si avvantaggiano della modificazione del clima. Un altro effetto possibile, ad esempio negli uccelli, è il disallineamento tra i tempi di migrazione dall’Africa, i tempi di nidificazione in Europa e la disponibilità di prede. Un esempio emblematico di come vari fattori antropici possono portare una specie all’estinzione è il rinoceronte di Sumatra, oggi considerato a rischio estinzione: abitava le foreste pluviali del Sud-Est asiatico e, fin dal Pleistocene, era molto numeroso; la distruzione del suo habitat, sostituito con piantagioni di palma, e la caccia hanno fatto sì che negli anni ‘80 ne restassero poco meno di mille individui; oggi si contano circa 30 esemplari adulti. Prima di estinguersi, molte specie subiscono un forte calo nella numerosità. Oggi, questo calo, si registra in maniera drammatica in molte specie selvatiche di cui abbiamo molto bisogno (es: in Germania, la biomassa degli insetti impollinatori è diminuita del 76%). Il report Living Planet Index del 2020 ha evidenziato che, dal 1970, sono diminuite del 68% le dimensioni delle popolazioni studiate. 10 misurare il valore monetario dei beni e servizi prodotti da un’economia in un periodo di tempo ed è stato a lungo usato come indicatore indiretto di benessere (aumenta il PIL, aumenta il benessere della popolazione). Nonostante sia stato dimostrato che la correlazione è errata, quest’idea ha giocato un ruolo importante nell’innescare molte delle crisi ambientali dell’antropocene. Un aspetto ormai caratterizzante l’economia è la globalizzazione: le economie del mondo sono tutte collegate in una rete di relazioni. La globalizzazione ha contribuito all’aumento complessivo del benessere mondiale, ma in maniera disuguale: nei paesi in via di sviluppo ha migliorato le condizioni di vita della classe media, nei paesi più sviluppati la classe media si è impoverita. Un altro aspetto da considerare sono i rimescolamenti geopolitici causati dall’antropocene. 1. I cambiamenti dovuti al riscaldamento globale modificheranno la facilità di insediamento delle società in diverse aree del mondo: le zone costiere subiranno un innalzamento del livello marino, altre aree diventeranno inospitali a causa del caldo e dell’aridità. 2. Soprattutto nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci sta aprendo nuove vie commerciali e questo finirà per affidare un nuovo ruolo e importanza economica a paesi che ora non l’hanno. 3. Se la società uscirà dalla dipendenza dai combustibili fossili, il peso geopolitico dei paesi che li esportano cambierà. Fondamentale diventerà la possibilità di controllo dell’acqua, la cui disponibilità sta cambiando drasticamente. Già molte delle guerre degli ultimi 30 anni in Africa sono collegate al controllo di risorse minerarie sempre più importanti. Catastrofismo e negazionismo. Ipotizzare una catastrofe è molto pericoloso. È vero che in questa nuova fase ci sono problemi, rischi ed emergenze che dobbiamo affrontare velocemente, ma tra riconoscere questa realtà e affermare che l’umanità è sull’orlo dell’estinzione c’è un abisso. Infatti, gli eventi verosimilmente più catastrofici si mostreranno soltanto molto in avanti. Un esempio di catastrofismo è la polemica sugli OGM: per diffondere le preoccupazioni sociali, etiche e ambientali sono stati usati dati ed eventi irreali. Ciò ovviamente è controproducente, perché si finisce per mettere in secondo piano dubbi del tutto legittimi. Anche nella crisi generata dalla pandemia di Covid-19, è stato affermato che si trattasse di una risposta della natura alla pressione dell’uomo sulla Terra: sicuramente c’è corresponsabilità dell’uomo nella diffusione di nuove pandemie, ma questa è una congettura priva di evidenze. La reazione più diffusa e pericolosa, di fronte alla crisi ambientale (e in particolar modo il riscaldamento globale), è quella di chi nega l’esistenza della crisi stessa. Con “negazionista” si intende “chi rifiuta testardamente e irragionevolmente di prendere atto di evidenze scientifiche sulle quali la comunità scientifica ha raggiunto un consenso”. Ci sono diversi gradi di affermazioni per negare la crisi. In genere, di fronte all’evidenza dei fatti, si riconosce che la crisi è fondata, ma si nega che l’uomo sia responsabile; poi si ammette che forse l’uomo è responsabile, ma che ormai non si può più fare nulla. La strategia di negare la crisi ambientale è supportata da interessi economici fortissimi: ci sono settori industriali che perderebbero moltissimo se vi fosse una transizione energetica che limiti le emissioni di gas serra. Un aspetto che caratterizza i negazionisti è il tono irrispettoso e aggressivo verso chi non la pensa come loro. In genere, non hanno fatto ricerca nel campo che contestano, non fanno riferimento alla letteratura scientifica, usano la tecnica del cherry-picking (letteralmente “pescare le ciliegie”, significa scegliere in modo volontariamente fuorviante dati e riferimenti a supporto della propria tesi). Finora nessuno è stato in grado di proporre un’alternativa scientificamente valida all’ipotesi dell’impatto antropico sul clima e sull’ambiente. In effetti, per dimostrare che le cause sono antropiche, basta pensare a come, durante il lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19, improvvisamente una serie di inquinanti sono diminuite, come le polveri sottili in Pianura Padana. Spesso i negazionisti inquinano il dibattito pubblico, impedendo al pubblico di avere un’informazione corretta, usando alcune tecniche: • proposizione di un falso dilemma (es: perché usare soldi per l’ambiente quando potrebbero essere usati per curare la fame nel mondo o l’AIDS?); • argomento fantoccio: si estremizzano le posizioni dell’avversario o si prende come esempio rappresentativo del pensiero che si contrata una posizione estremista; 11 • argomento ad hominem: si demolisce l’avversario su aspetti che non riguardano il problema in questione. Sia il catastrofismo che il negazionismo sono dunque posizioni sbagliate. La prima è controproducente, perché rischia di alimentare le posizioni negazioniste; la seconda è pericolosa e truffaldina, perché serve l’interesse economico di pochissimi a scapito di quello generale. CAPITOLO CINQUE: IDEE PER UNA NUOVA ROTTA Quattro parole chiave: sostenibilità, mitigazione, compensazione e adattamento. In questa nuova fase, quattro parole dovrebbero orientare le società: • sostenibilità → concetto diffuso a partire dagli anni ‘80; nel 1987 la commissione dell’ONU ha definito lo sviluppo sostenibile come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. La sostenibilità si regge su tre pilastri: economico, sociale, ambientale. L’agenda 2030 individua 17 obiettivi di sviluppo sostenibile: 1) povertà zero; 2) fame zero; 3) buona salute e benessere per le persone; 4) educazione paritaria e di qualità; 5) parità di genere; 6) acqua pulita e servizi igienico-sanitari; 7) energia pulita e accessibile; 8) lavoro dignitoso e crescita economica; 9) industria, innovazione e infrastrutture; 10) riduzione delle disuguaglianze; 11) città e comunità sostenibili; 12) consumo e produzione responsabile; 13) cambiamenti del clima; 14) vita sott'acqua; 15) vita sulla Terra; 16) pace, giustizia e istituzioni forti; 17) partnership per gli obiettivi. • mitigazione → fare tutto quello che possiamo per ridurre il nostro impatto sulla biosfera. Abbiamo tecnologie per passare a un’economia decarbonizzata ed è un percorso che dobbiamo intraprendere. La rivoluzione dei trasporti (es. auto elettriche) sta indirizzando i paesi a maggior reddito verso questa transizione. • compensazione → quando facciamo qualcosa che ha un impatto negativo abbiamo anche la possibilità di compensarlo. Tutti contribuiamo ad accelerare la traiettoria dell’Antropocene, ma ognuno nel suo piccolo può compensare. Un altro concetto fondamentale è quello di “compensazione storica”: è innegabile che le società europee e nordamericane sono responsabili della grande accelerazione del XX secolo; una parte del costo delle transizioni in paesi che ne hanno subito le conseguenze (es: Brasile, Filippine) deve essere sostenuto dalle nazioni che per prime hanno innescato queste dinamiche. • adattamento → qualunque cosa faremo, le temperature continueranno ad un aumentare per un poco, alcune estinzioni saranno inevitabili e dovremo adattarci a questi cambiamenti, agendo di conseguenza. Dobbiamo ricordare che nessuna scelta sarà risolutiva immediatamente e non può essere compiuta da sola. Ad esempio, rispetto alle emissioni di CO2, Pacala e Socolow affermano di dover adottare la strategia dei cunei: ogni cuneo ha un effetto all’inizio piccolo, ma quando il tempo passa l’effetto si amplifica e la somma di tutti i cunei può essere molto grande. Hanno individuato sei campi d’azione su cui agire, tra cui utilizzo più efficiente dell’elettricità, costruzione di edifici più efficienti e efficienza maggiore delle automobili. Altre due strade spesso presentate come risolutive per la crisi climatica, ma non appoggiate da Schioppa: • energia nucleare come mezzo di produzione di elettricità senza usare combustibili fossili ed emettere gas serra; il problema è che non abbiamo ancora un modo sicuro per gestire i residui radioattivi. • geoingegneria globale, ovvero progetti antropici per modificare il riscaldamento globale (es: ridurre la radiazione solare aumentando artificialmente la nuvolosità); è ovviamente una strada pericolosa. 12 Tutela della biodiversità, valutazione dei servizi ecosistemici e impronta ecologica. Una delle prime cose da fare è tutelare la biodiversità, perché la perdita di specie è irreversibile. A partire dagli anni ‘80, si è sviluppata una sub-disciplina dell’ecologia, detta “ecologia della conservazione”, che ha l’obiettivo di rallentare la sesta estinzione di massa. È una scienza di crisi (deve affrontare una situazione grave e urgente) e non neutrale (assume come punto di partenza che un’estinzione precoce causata da attività antropiche sia irreparabile). Le prime risposte pratiche sono state quelle di comprendere come far riprodurre in cattività specie vicine all’estinzione e cambiare la gestione del territorio. Alcune porzioni di territorio, dette “aree protette”, infatti, sono state destinate alla tutela e alla conservazione di specie animali e vegetali e di habitat. Tra gli anni ‘80 e ‘90, sono nati programmi per mettere in connessione tra loro aree protette con caratteristiche ecologiche compatibili, formando “reti ecologiche territoriali”. Wilson ha addirittura suggerito che ben metà della Terra dovrebbe essere destinata alla conservazione della biodiversità. Un’altra azione da intraprendere è il rallentamento della deforestazione nelle aree di foresta pluviale. Bisogna anche intraprendere piani di recupero e ripristino delle foreste perdute in questi decenni, tant’è che esistono progetti per forestare aree desertiche (come il Sahara). Un grande contributo è stato apportato dallo studio dei “servizi ecosistemici”. In un articolo pubblicato su Nature nel 1997, un gruppo di ecologi ha proposto di attribuire un valore economico, ecologico e sociale a tutti i servizi che la natura compie e che generano benessere per l’uomo (es: il valore di una foresta non dipende solo dal valore economico del legname, ma anche dal fatto che contribuisce a ospitare specie importanti per l’uomo e a stoccare la CO2). Queste funzioni sono dette servizi ecosistemici. Per attribuire loro un valore, è necessario comprendere come sono organizzati i sistemi ecologici e quali possono essere i benefici per l’uomo. Un altro strumento di analisi ecologica è la valutazione dell’impronta ecologica, un indicatore che confronta il consumo antropico di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle (“biocapacità”). Essa ha due vantaggi: può essere misurata a livello di una singola persona/città/regione/nazione; aiuta a comprendere immediatamente quanto si sta intaccando o mantenendo il capitale umano. Dai calcoli effettuati, allo stato attuale, ci servirebbero due pianeti Terra: ogni anno l’umanità consuma molto più di quanto la Terra produce. Decarbonizzazione dell’economia e nuove tecnologie. Per affrontare il riscaldamento globale, il vero traguardo da raggiungere è una decarbonizzazione dell’economia: bisogna, cioè, liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili, favorendo una transizione verso l’uso di energie rinnovabili. ▪ L’agricoltura è un campo in cui l’impatto umano è fortissimo e aumenterà sempre di più, dal momento che viviamo in un mondo che dovrà sfamare una popolazione sempre più numerosa. Dobbiamo però riconoscere che, oggi, l’agricoltura non ha più nulla di naturale: da quando abbiamo capito che controllando l’incrocio e la riproduzione degli organismi domesticati possiamo esaltare una determinata caratteristica, abbiamo sempre cercato di farlo. Oggi esiste una tecnica, comunemente chiamata “taglia e cuci”, che consente di sostituire una singola base del DNA di un organismo e quindi permettere l’espressione di un gene piuttosto che di un altro. Questa tecnologia potrebbe essere usata per avere delle coltivazioni che necessitano di meno fertilizzanti e acqua. ▪ Fondamentale è anche la rivoluzione dei trasporti. Dal 2015 circa, il settore automobilistico sta effettuando una transizione alla mobilità elettrica e a idrogeno. È vero che le auto elettriche non emettono gas serra, ma comunque l’energia elettrica va prodotta e il processo di produzione/smaltimento delle batterie ha un costo ambientale e necessita di elementi (es: litio, cobalto) limitati. Si tratta comunque di una strada necessaria per affrontare la crisi climatica. ▪ Per quanto riguarda la produzione energetica basata sull’idrogeno, pur essendoci delle prime applicazioni pratiche (nel settore automobilistico e aeronautico), in realtà i tempi per un’applicazione su larga scala non sono ancora maturi e non possiamo certo aspettare questa tecnologia per affrontare la crisi climatica.
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