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Antropologia delle immagini di Hans Belting, Sintesi del corso di Antropologia Filosofica

EsteticaFilosofia della comunicazioneTeoria delle immaginiCultura VisivaAntropologia

Riassunto dei primi quattro capitoli del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 06/07/2021

alessandra0212
alessandra0212 🇮🇹

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Scarica Antropologia delle immagini di Hans Belting e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Filosofica solo su Docsity! INTRODUZIONE: Il termine immagine in questo libro va preso nella sua accezione più ampia: secondo Belting la domanda “che cos'è un'immagine?” richiede un approccio antropologico poiché la risposta è determinata a livello culturale. La storia dell'arte solleva altre questioni: un'opera d’arte è un oggetto tangibile con una storia che può essere datato ed esibito, mentre un'immagine sfida i tentativi di reificazione e si estende al confine tra esistenza fisica e mentale; essa può vivere in un'opera d’arte senza coincidere con essa. La domanda sulla natura dell'immagine richiede una duplice risposta: l’immagine non può essere considerata come prodotto di un determinato mezzo, ma anche come prodotto del nostro io nel quale generiamo immagini personali (sogni e percezioni) che interagiscono con altre immagini del mondo visibile. Belting nella sua opera replica la configurazione di Vernant che ha gettato le basi dell’ “antropologia storica dell'immagine” indirizzata allo statuto dell'immagine, dell'immaginazione e dell'immaginario e nel suo concetto di immagine sono incluse le Belting propone l’interrelazione tra immagine, corpo e mezzo a partire dal tema “immagine e morte” > corpo e mezzo sono entrambi coinvolti nel significato delle immagini funerarie: al posto del corpo assente vengono esibite delle immagini che, per occupare il posto vacante lasciato dal defunto, hanno bisogno di un corpo artificiale. Quest'ultimo può essere chiamato mezzo, dal momento che le immagini necessitano dell’incarnazione per acquisire visibilità; il corpo perduto è scambiato con il corpo virtuale dell'immagine, MA qui notiamo una contraddizione: le immagini rendono visibile l'assenza fisica di un corpo trasformandolo in una presenza iconica. Le immagini contano su due atti simbolici che presuppongono il nostro corpo vivente: l’atto della fabbricazione e l'atto della percezione, di cui uno è lo scopo dell'altro. La raffigurazione del defunto serve ad attribuirgli uno status nuovo: mentre essa (nei mass media) rappresentava la presenza durante la vita di quella persona, al momento della morte il suo significato cambia e rappresenta l'assenza. La morte è prima di tutto un'immagine e resta tale visto che non sappiamo realmente cosa essa sia. Per affrontare la natura intangibile dell'immagine mentale Debray introduce lo sguardo evidenziandone la funzione, poiché lo considera come vettore per trasmettere e ricevere immagini mentali della raffigurazione materiale + esso trasforma la raffigurazione in un'immagine e un'immagine in una raffigurazione e l’immagine trae il suo senso dallo sguardo, come lo scritto dalla lettura. Belting si trova antropologicamente contro la dualità tra rappresentazione endogena ed esogena; il nostro cervello è il luogo della percezione interna, ma le immagini endogene reagiscono a quelle esogene che tendono a dominare. Le immagini non esistono né solamente alla parete, né solamente nella nostra mente. Stiegler infatti afferma che non sono mai esistite immagini fisiche senza la partecipazione di immagini mentali, dal momento che un'immagine è per definizione qualcosa che è stata vista (continuum attuale nell’epoca delle immagini digitali). L'interazione tra i nostri corpi e le immagini esteriori includono un terzo parametro definito mezzo o medium nel senso di vettore che ha la funzione di supporto per l’immagine; Belting non parla di immagini come media, ma del loro bisogno dei media e del loro uso per diventare visibili a noi. I nostri corpi operano come mezzi viventi trattando, ricevendo ed emettendo immagini e grazie a questa capacità distinguiamo i mezzi dalle immagini e comprendiamo che queste ultime non sono né semplici oggetti, né corpi veri e pro] Per chiarire poi la distinzione tra immagine e mezzo possiamo fare l'esempio dell’iconoclastia che è la violenza contro le immagini che riesce solo nell'intento di distruggere il mezzo o il supporto-mezzo di un'immagine (lato materiale e tangibile), mentre lascia intatta l'immagine stessa e la distruzione è solo simbolica. Un altro esempio che ci permette di fare questa distinzione è la natura delle immagini come la presenza di un'assenza in cui esse testimoniano l'assenza di ciò che rendono presente e questo è il risultato della nostra capacità di distinguere immagini e mezzi. Qui però entra in gioco l'analogia con il corpo: la relazione tra assenza intesa come invisibilità e presenza intesa come vi tà è un'esperienza corporea. La memoria è un'esperienza del corpo quando genera eventi assenti o persone ricordate in un altro tempo e.in un altro luogo + medialità delle raffigurazioni che è il collegamento mancante tra immagine e corpo. TV-Buddha di Nam June Paik in cui viene offerta una configurazione di immagine-mezzo-corpo che sembra una dimostrazione sovversiva della modalità di funzionamento della loro interazione: ci sono due mezzi (statua e TV), ma solamente un'immagine del Buddha poiché la figura del Buddha è già un'immagine e crea o riflette la stessa immagine. Anche l'osservatore che riceve immagine di se stesso è incluso; Paik rappresenta il Buddha come un osservatore creando una tautologia illusoria tra la velocità del nuovo mezzo e l’immobilità scultorea del vecchio mezzo. L'immagine che noi vediamo due volte non è né di fronte alla TV, né di fronte allo schermo della TV, ma emerge dal nostro sguardo. 2. MEZZO-IMMAGINE-CORPO. UN’INTRODUZIONE AL TEMA La questione dell'immagine > Negli ultimi anni il discorso intorno alle immagini è diventato di moda, generando delle contraddizioni che si è provato a dissimulare utilizzando il medesimo concetto pur non parlando delle stesse immagini, oppure utilizzando discorsi diversi per parlare di immagini dello stesso tipo. La doppia significazione dell'immagine. interiore ed esteriore, non è separabile dal concetto di immagine: essa è più di un prodotto della percezione e nasce come il risultato di una simbolizzazione personale o collettiva. Tutto quello che appare alla vista o allo sguardo interiore può essere chiarito con un'immagine o trasformato in essa, quindi può trattarsi soltanto di un concetto antropologico! viviamo con le immagini e comprendiamo il mondo attraverso di esse. Il corpo incontra sempre le medesime esperienze (tempo, spazio e morte) che noi raccogliamo a priori nelle immagini. Per l'antropologia l'uomo appare come il luogo delle immagini che ne occupano il corpo. Il concetto di immagine si arricchisce se parliamo di immagine e mezzo come facce della stessa medaglia che non possono essere separate una dall'altra nemmeno quando si separano nello sguardo e possiedono significati diversi. Il mezzo si distingue per il fatto che in quanto forma (mediazione) dell'immagine raggruppa i due elementi che si separano nelle opere d’arte e negli oggetti estetici. Il discorso su forma e materia non può essere adoperato a proposito del mezzo trasmissivo dell'immagine in quanto non si può ridurre un'immagine alla forma che assume un mezzo quando la trasmette. La percezione dell'immagine come atto dell'animazione è un'azione simbolica che nelle diverse culture viene appresa in modo totalmente differente. Il concetto mediale rafforza il suo vero significato quando il discorso entra nel contesto del corpo e dell'immagine producendo il missing link, poiché ci permette di percepire le immagini che non confondiamo né con i corpi reali, né con le cose inanimate: la distinzione tra immagine e mezzo ci suggerisce la coscienza corporea. Questa esperienza ha stimolato la distinzione tra memoria intesa come archivio di corporeo di immagini e ricordo come creazione corporea di immagini. Nei mezzi figurativi risiede una doppia relazione con il corpo. L'analogia con il corpo, in una prima accezione, si realizza quando noi interpretiamo i mezzi trasmissivi come corpi simbolici o virtuali delle immagini. In un secondo aspetto questa analogia emerge allorché i mezzi raggiungono la nostra percezione Accogliamo infatti più di buon grado le immagini con cui abbiamo riscontrato un'analogia. (La teoria del segno appartiene ai contributi dell’astrazione poiché ha separato il mondo del segno dal mondo del corpo: i segni si rivolgono a una percezione cognitiva e le stesse immagini si riducono a segni iconici) Nelle sedute spiritiche il medium umano diventava un ultimo riflesso dell’antico rituale funebre, il quale esercitò un'attrazione notevole sul concetto mediale ottocentesco. Un vivente offriva il proprio corpo in qualità di “mezzo” a un morto con la cui voce parlare ai vivi, proseguendo così, in forma ibrida, l’antichissima idea dell’incarnazione in una controfigura. [...] L'esperienza mediale che facciamo con le immagini (quella relativa alle immagini che utilizzano un mezzo) è fondata sulla consapevolezza che noi usiamo proprio i nostri corpi come mezzi per generare immagini interiori o ricevere immagini esterne. Presenza e assenza sono indissolubilmente legate all’enigma dell'immagine. Questa è presente nel suo mezzo (altrimenti non potremmo vederla) e quindi si fonda su un'assenza della quale è un'immagine. Noi leggiamo il “qui e ora” dell'immagine nel mezzo con il quale giunge davanti ai nostri occhi. Così come l’immagine ha sempre una caratteristica mentale, il mezzo ne ha una materiale, anche se per noi unisce entrambe le cose nell’impressione sensoriale dell'unità. La presenza dell'immagine nel mezzo porta un inganno perché l’immagine è presente in un modo diverso dal suo mezzo e diventa immagine solo se viene animata dal suo osservatore. Nel momento in cui la osserviamo l'immagine traspare in certo qual modo attraverso il mezzo. Questa trasparenza scioglie il suo legame dal mezzo di quel l'osservatore l’ha scoperta. Il suo doppio significato di presenza/assenza si estende così perfino sul mezzo nel quale viene prodotta, e in verità produce in se stessa l'osservatore. Oggi con le immagini televisive c'è un superamento dello spazio che mette in atto questo gioco di prestigio solamente nel proprio mezzo; con l'immagine ci viene segnalato un altro luogo “fuori” e il qui e ora si trasforma in lì e ora. Lo schermo è il mezzo dominante nel quale le immagini vengono fatte apparire. (Secondo McLuhan “the medium is the message”). Noi crediamo che attraverso il mezzo ci giungano immagini la cui origine si trova al di là del mezzo stesso, altrimenti non potremmo immedesimarci nelle immagini dell’arte antica i cui mezzi non erano predisposti per noi. La questione dell'immagine porta a simboliche unità di contorno in cui percepiamo le immagini e le riconosciamo come tali: la delimitazione tra ciò che è immagine e ciò che non lo è si trova già nella memoria figurativa interiore e nella fantasia. L'attualità prodotta da mezzi divenuti di volta in volta nuovi non rende giustizia alle immagini: non si può ridurre il significato delle immagini al loro significato attuale perché sennò le metteremmo a confronto con le ques antropologiche. La sovrapproduzione delle immagini odierne stimola i nostri organi visivi a bloccarli o immunizzarli, ma il rapido ritmo con cui esse ci appaiono alla vista trova compensazione in quello rapido con cui esse si dileguano. Se nel corpo possiamo individuare il soggetto quale luogo delle immagini che noi stessi siamo allora possiamo dire che esso rimane una forza resistente contro la fuga dei media. L'ambivalenza che c'è tra immagine e mezzo esercita uno stimolo forte sulla nostra percezione solo in ambito artistico (estetica): inizia quando veniamo stimolati dalla superficie dipinta e dall’illusione dello spazio, assaporiamo l'ambivalenza tra finzione e fattualità e spazio rappresentato e tela dipinta. L'immagine sul corpo. La maschera 2 il corpo è stato non solo un luogo dell'immagine. ma anche un trasmittente figurativo e il “corpo dipinto” ne è la più antica testimonianza; la maschera è parte della nostra trasformazione in immagine. Tuttavia, se produciamo un'immagine sul nostro e con il nostro corpo, essa non sarà un'immagine specifica di questo corpo. Il corpo è un trasmittente figurativo e quando su di esso viene posta una maschera, lo nasconde dietro all'immagine che produce, trasformandolo in un'immagine nella quale l'invisibile e il visibile formano un'unità mediale. Lévy-Strauss riconduce al volto il rapporto tra corpo e segno; il dipinto è fatto per il volto, ma il volto si forma ancora attraverso di lui: in questa genesi figurativa il corpo è coinvolto poiché non è soltanto un trasmittente, ma anche produttore figurativo che si trasforma di propria iniziativa in immagine. Secondo Macho il volto autentico, se si intende nel senso dell’intenzione sociale. non è quello nascosto dalla maschera, bensì quello prodotto dalla maschera. Essa è un inizio di un disciplinamento del volto naturale. Macho si riferisce al teschio di Gerico: quando nei crani scarnificati dalla putrefazione il volto viene ricostruito attraverso il modellamento superficiale e il trucco, la sua conformazione si sviluppa in un volto che diventa trasferibile e manipolabile come segno sociale. Di conseguenza l’immagine sul corpo costringe anche il corpo vivo a comportarsi come un'immagine e a esprimere un'immagine che è centrata nel volto e nella gestualità dei suoi sguardi. Il visibile non è il volto che abbiamo ma quello che facciamo, quindi un'immagine che, come tale, deve essere letta in maniera simbolica. Tuttavia, la trasformazione del volto in (contrasto tra vita e morte). La decorazione corporea e la maschera facciale offrono una chiave di lettura per il rapporto visuale che si stabilisce tra noi e le immagini nel momento in cui le animiamo involontariamente. Abbiamo l'impressione che esse ci osservino, ma in realtà questo scambio è un'operazione unilaterale dell'osservatore e ciò vale come correttivo dello sguardo allo specchio; secondo Lacan esso causa nel soggetto una trasformazione che viene attivata dall’accettazione di un'immagine e qui il soggetto si apprende come un altro e diventa soggetto, in primo luogo attraverso il controllo esteriore che può esercitare su se stesso. L'immagine digitale > nell'epoca dei mezzi digitali incorporei, sfugge il legame fisico tra mezzo e immagine: le immagini digitali riguardano una matrice che non è più un'immagine, così la loro medialità è ampliata, discontinua e impenetrabile, oltre a essere manipolabile persino dal suo utente. Se al corpo con l’esistenza tradizionale viene negata anche la tradizionale percezione, la comprensione dell'immagine si fa poco chiara gia dal pdv del mezzo che del corpo. Dunque, se l'immagine in senso tradizionale “non c'è più”, si può obiettare che anche il senso tradizionale sia sempre stato soggetto di una dinamica storica in grado di trasformarlo. La cosiddetta crisi del corpo -nata dalle immagini digitali che portano allo scioglimento del legame tra immagine, soggetto e oggetto- presuppone una norma del corpo naturale che deriva da una fenomenologia unilaterale. La stessa cosa vale per l'analogico, visto come unico significato della produzione di immagini, tuttavia anche l'immagine sintetica rimane legata a ciò che rappresenta che, a sua volta, è legato all'utente e ai suoi desideri figurativi. Stiegler in questo è stato un apripista, affermando che “non esiste l’immagine in generale. La nostra immagine mentale è un riflusso delle immagini che vengono fornite dai mezzi attuali”. L'immagine digitale serve per analizzare il visibile e presentarlo in una sintesi soggettiva (percezione), concetto contro quello di analisi (che riguarda la tecnica mediale). Da parte dell’osservatore c'è sia la sintesi che l’analisi che influenza nuovamente il concetto di immagine. La decostruzione dell'immagine non viene inaugurata dalla tecnologia digitale, i mass media hanno contribuito infatti a far cadere la “fiducia nelle immagini” e sostituirla con la fascinazione di una messa in scena mediale che mette bene in vista il loro effetto e produce una specifica realtà figurativa. Ad oggi non è più possibile isolare dagli altri media l'immagine digitale. Immagini tecniche in ambito antropologico > nella storia il desiderio di figure autentiche veniva soddisfatto già da prima della modernità da procedure tecniche sottratte a ogni imitazione umana e che escludono l'intervento umano, connotato da imprecisioni di uno sguardo che poteva rassomigliare solo a quello dell'osservatore. Le maschere funerarie e quelle naturali, così come le orme o le ombre proiettate su una parete, riguardano ciò che viene fissato come immagine e circondano la presenza di un corpo la cui realtà esprimono. Questo auto raddoppiamento del corpo, lì dove si trova ad operare, aveva il compito di trasmettere la sua forza a una figura che la esercitava al posto suo. Le immagini tecniche rappresentano una tradizione antica e la fotografia vi rientra, tuttavia nel suo sviluppo tecnico si sono aperti sempre nuovi confini per l’analisi visuale del mondo. (Simulazione e animazione vengono delegate a procedimenti tecnici nei quali si ampliano i confini dell’immaginazione). Il dipinto viene preso come punto di partenza del monitor odierno: la cornice produceva nell'osservatore l’illusione di dominare la percezione del mondo ed esigeva un atto di astrazione che esercitava attraverso questo mezzo il proprio sguardo sul mondo, oltre all'espansione dell'immaginazione. Essendo il dipinto un mezzo occidentale, esso ha trovato il proprio luogo storico nella concezione occidentale del soggetto in antitesi col mond La fotografia sorgeva dalla contraddizione relativa al concetto di immagine del dipinto: essa non era un mezzo dello sguardo che sostituiva attraverso l'obiettivo, ma un mezzo del corpo che produceva la sua specifica e duratura ombra (separata dal corpo come da sempre fanno tutte le immagini); il movimento della vita era congelato da un ricordo perduto. Solo nell'immagine filmica la fotografia colmò quella lacuna rimasta nell’analogia con il corpo. nascondendosi nella finzione della proiezione cinematografica per simulare il movimento. Nell'interazione tra immagini cinematografiche e virtuali degli spettatori, si ripete quel doppio senso antropologico di immagini interiori ed esteriori; al cinema l'occhio dello spettatore è collegato alla telecamera mobile che lo trascina in uno spazio virtuale e c'è la contrapposizione tra corpo statico e immagine mobile. Qui il triangolo immagine-mezzo-corpo è disunito e incompleto e quindi dagli anni sessanta si è cercato di far afre all’osservatore un'esperienza corporea integrale che non lo limitasse alla visione oculare dalla distanza. Questioni intermediali > le immagini hanno perso oggi quello spazio privilegiato dal quale aspettavano i nostri sguardi; nell’affollamento delle nuove vie di comunicazione vorremmo trovare un luogo in cui ristabilire questo scambio. Spesso i nuovi media non sono altro che specchi della memoria nei quali le vecchie immagini sopravvivono in modo diverso (musei, chiese, libri); il flusso di immagini della nostra quotidianità visuale ci invita a considerare le immagini silenziose di un tempo con gli occhi dell’ammirazione e del ricordo. Medialità dell'immagine e tecnica mediale sono legate da un rapporto complesso: non sempre una scoperta tecnica dava l'input a un nuovo tipo di percezione; a volte era il risultato di un comportamento visivo: veniva ricercato un nuovo mezzo. Lo sguardo fotografico si era preparato sul terreno della pittura. L'intermedialità è una pratica diffusa nell'arte contemporanea dove la riflessione sullo stile mediale si muove nella coscienza dell'osservazione dell'opera (vedi di nuovo TV-Buddha); essa genera da sé la questione dell'immagine e. richiamando le immagini che noi conosciamo e ricordiamo grazie a un altro mezzo trasmissivo, presuppone la coesistenza o la rivalità di mezzi diversi. | mezzi attuali si sono rivolti soltanto a quelle caratteristiche dei mezzi antichi che, fino a quell'epoca, non si erano del tutto percepite; l’intermedialità è una forma di gioco nell'interazione tra immagine e mezzo che nasconde l'enigma dell'essere e dell’apparire del mondo delle immagini. La storia dei mezzi trasmissivi è la storia delle ercezioni. Questioni interculturali > la questione dell'immagine non ha oltrepassato i confini che ci separano dalle altre culture; essa può diventare concetto antropologico se all’interno di una cornice interculturale dove il conflitto tra il concetto generale di immagine e le convenzioni culturali può essere spostato in quell’ambito linguistico dal quale proviene la formazione dei concetti. Warburg interpretava l'incontro con l’antichità come un problema interculturale, mettendo in dubbio la genealogia della cultura occidentale con le sue costruzioni storiche consolidate. La “migrazione” di antiche immagini sollevava il dubbio se nel Rinascimento esse avessero potuto avere lo stesso significato; i conquistatori spagnoli quattrocento anni prima fecero un altro tipo di esperienza interculturale, scoprendo che le immagini degli indiani non erano soltanto estranee, ma contraddicevano addirittura il loro concetto di immagine; Cortéz distrusse gli idoli delle popolazioni colonizzate per rimpiazzarli negli stessi luoghi con immagini cristiane, volendole conquistare anche nel loro immaginario. La storia della colonizzazione era infatti anche una guerra dell'immagine. il cervello ha immagazzinato. Questa tecnica fa ricorso all'aiuto del linguaggio: la memoria linguistica è un mezzo creato ad arte che ha con il mezzo naturale della nostra memoria spontanea un rapporto di scambio reciproci La memoria collettiva di una cultura, dalla cui tradizione noi richiamiamo le nostre immagini, possiede il suo corpo tecnico nella memoria istituzionale degli archivi e degli apparati: questo materiale tecnico è tuttavia inutile se non viene tenuto in vita dall’immaginazione collettiva. La riduzione delle memorie ufficiali e collettive viene compensata, accelerata attraverso l'accumulo di materiale mnemonico nella memoria tecnica degli archivi e dei media. Il museo fa parte di quelle eterotopie o luoghi alternativi prodotti dalla modernità ed è qui che si presenta lo scambio tra luogo e immagine: questo infatti non è solo uno spazio artistico, ma anche un luogo per le cose passate e per quelle immagini che rappresentano un'altra epoca e quindi diventano simboli del ricordo. Non riproducono solamente un luogo nel mondo, bensì possiedono già una forma temporale e mediale del passato; nel museo scambiamo l'odierno mondo dell’esistenza con un luogo che consideriamo come immagine di un altro tipo di luogo. | luoghi recano in sé le storie che vi sono succedute, infatti solamente attraverso esse sono diventati dei luoghi degni di essere ricordati; allo stesso modo anche noi ci portiamo dentro delle storie attraverso le quali siamo diventati ciò che oggi possiamo affermare di essere. La perdita di luoghi culturali dove certe persone un tempo risiedevano rende loro stesse il luogo nel quale le immagini collettive sopravvivono; i luoghi sono immagini che una cultura trasferisce su quelle della geografia reale. Nella natura i luoghi diventano tali solo per l'osservatore di immagini; le immagini non si trovano in natura, ma nell’immaginazione e nel ricordo. I luoghi non sono solo quelli in cui vivono gli uomini: possono anche essere luoghi dell’immaginazione e della fuga (luoghi reali vs immaginari in cui tutto era diverso e positivo). Sogni e visioni 3 i sogni appartengono alle immagini che il corpo produce senza l'ausilio della volontà e senza l'appoggio della coscienza, ossia mediante quell’automatismo al quale durante il sonno siamo sottoposti; il sogno è uno specifico mezzo della rappresentazione che Freud chiama “lavoro onirico”: il sogno è un viaggio, ma allo stesso tempo esiste solo attraverso il racconto di cui è oggetto. Il sognatore è l’autore e quindi il sogno gli impone un'immagine che forse rifiuterebbe in uno stato di veglia instaurando un rapporto problematico di sé con sé (multiplo). Egli si trova confrontato all’enigma della sua immagine di cui si può ricordare e produce continuità tra realtà e immaginazione. Il corpo è sempre sia luogo che mezzo. La visione è legata al sogno sotto alcuni aspetti. tuttavia non è solamente un viaggio e fornisce fuori di sé una rivelazione che non è possibile apprendere in maniera profana e ciò spinge a chiedersi se si tratti di un intervento ultraterreno o immaginazione. Il sospetto che le immagini religiose, quelle d'altare e quelle devozionali, ne avevano fornito i modelli, che nelle visioni sono stati solamente rivissuti. La trasmissione delle immagini è poi concepibile in entrambi i sensi, come traduzione di immagini interiori in sculture e dipinti oppure come interiorizzazione privata di quelle immagini che le persone avevano visto in pubblico. La medesima immagine poteva essere registrata nello stesso luogo come un semplice oggetto figurativo e allo stesso tempo trasformarsi in una “manifestazione” attiva e suggestiva che forniva un'esperienza soggettiva. Si può parlare di una isometria fra immaginazione privata e potere normo-figurativo delle immagini ufficiali che incarnavano l'immaginario collettivo, ma questa era sempre una zona combattuta e a rischio in quanto le immagini pericolose venivano bandite e distrutte e quelle “giuste” venivano privilegiate. Oggi in generale si preferisce parlare di immaginario riferito alla coscienza, dunque anche alla società e alle sue immagini del mondo nelle quali continua a vivere la storia collettiva dei miti, inoltre esso si distingue dai prodotti nei quali viene espresso dai quali richiama le immagini della finzione e attraverso i quali queste possono essere allestite. Sogni e finzioni nel film > la sala cinematografica può essere considerata un luogo pubblico dell'immagine: il film come mezzo esiste solo nella percezione istantanea e nel tempo predeterminato della percezione. Allorché riesce ad essere egli stesso nell'immagine, l'osservatore si identifica con una situazione immaginaria e la proiezione cancella i limiti tra mezzo e percezione. Il mezzo cinematografico deve essere attivato tramite una tecnica di animazione e produce nell'osservatore l'impressione che le immagini che scorrono davanti ai suoi occhi siano nient'altro che immagini personali come quelle che egli vede nella fantasia e nel sogno. Augé afferma che i film non sono pure finzioni perché suggeriscono spazio, storia, linguaggio e sguardo sul mondo (stimolo dell’immaginazione da fermi vs limitazione dei movimenti sono stati simili a quelli di allucinazione e sogno). Nella sala cinematografica l’attenzione collettiva verso un film si trasforma nell'esperienza personale del singolo in cui egli si trova con altri e solo con se stesso: egli vive nel luogo pubblico una sorta di allucinazione o sogno in cui viene abolita la consuetudine del tempo e dello spazio e si esprime come luogo delle immagini. Quando lo spettatore occupa il posto, è immerso in un flusso di immagini dal quale due ore dopo è come se si risvegliasse da un sogno; il pubblico vede lo stesso film, ma lo avverte in maniera diversa. L'interazione tra corpo e mezzo, tra immagine e finzione nel cinema non è più adattabile ad alcuno schema dualistico dove si contrappongono immagini mentali e mediali. La memoria mescola le storie: quelle che abbiamo vissuto e quelle che ci raccontiamo reciprocamente e di queste fanno parte anche i film, ad esempio quelli in bianco e nero, la cui epoca qualcuno la ricorda ancora; tuttavia ci sono anche le nostre personali biografie nelle quali il cinema si fonde con la vita. Spazi virtuali e nuovi sogni > il film è diventato già da molto tempo un mezzo classico che consideriamo con rinascente e malinconica curiosità. La tv, il video e le immagini del mondo virtuale, che si trovano già nel film come submedia e lo rendono un mezzo del ricordo, cambiano la divisione dei ruoli tra immaginazione e finzione nel vecchio dramma delle immagini. Oggi, di fronte allo spazio del mondo esistenziale, non si ingrandisce solo lo spazio delle immagini, ma queste ne occupano anche un altro, quello definito eterotopia; non si dovrebbe parlare di “immagini virtuali”, ma piuttosto del mondo virtuale che esiste nelle immagini. La finzione popolare è diventata l’unica competenza delle nuove tecnologie, mentre l'immaginario si trova nel mondo della fantasia dell'osservatore nel quale la finzione acquista e perde lo status. Il singolo adatta il materiale figurativo dell'immaginario collettivo alla propria immaginazione personale e questo paragone è valido anche in ambito interculturale, tuttavia non è scontato che l'esportazione di materiale figurativo occidentale livellerà l'immaginario collettivo. Con la videocamera si sviluppa un mezzo della presenza non limitato al vecchio status del ricordo; tra la presenza nell'immagine e fuori dall'immagine entrano in gioco delle interferenze quando il video serve non solo alla registrazione, ma viene utilizzato come forma di autorappresentazione. Possiamo utilizzare e manipolare il mezzo come una protesi della nostra memoria figurativa, cambiando in questo modo lo status dell'immagine. Tra la percezione passiva del soggetto e la sua costruzione attiva si producono per l'osservatore nuovi comportamenti che assegnano al video un destino di mezzo dell’immaginazione. La differenza con l'offerta figurativa dei vecchi media consiste non solo nella possibilità di trovarsi in un mondo immaginario, ma in quella di imbattersi in compagni di viaggio dell’immaginazione. Se anche gli altri che siedono davanti al computer di casa non sono lì allora trovano tutti un nessun-luogo comune la cui condivisione produce tanto più l'illusione della realtà quanto non può essere provata nella stessa misura nella quotidianità sociale. La comunicazione come atto collettivo è più importante dei suoi stessi contenuti poiché genera l'impressione di acquistare un'esistenza sociale che non è più legata a un luogo fisico. Ma questa è un'esistenza immaginaria che ha ragion d'essere solo nell'immagine. Nei dipinti, e persino in alcuni film, l'osservatore era solo con la sua immaginazione; nei media interattivi, invece, si relaziona con altri che possono sia potenziare che paralizzare la sua fantasia. L'interattività è una nuova seduzione della fede nell'immagine. Dal pdv antropologico l'incarnazione dell'immagine rappresenta un topos perché vi si ravvisa il tentativo di superare nell'immagine i limiti dello spazio e del tempo cui il corpo naturale è vincolato; anche nel mondo virtuale di oggi sembra che le immagini siano legate al corpo così da legittimare il discorso su un naturale luogo dell'immagine. 4. L'IMMAGINE DEL CORPO COME IMMAGINE UMANA. UNA RAPPRESENTAZIONE IN CRISI L'immagine umana e quella del corpo sono in stretta relazione: c'è unanimità nell'affermare che stiamo perdendo l’immagine della persona e che non possediamo più un'immagine del nostro corpo attraverso la quale poterci ancora comprendere. Consideriamo l’immagine umana come una metafora con la quale esprimere un'idea della persona che dopo l'avvento del cristianesimo non trova più consensi. Solitamente parliamo del corpo ricorrendo alle immagini, tuttavia quanto più il corpo viene esplorato dalla biologia, tanto meno si trova a nostra disposizione in un'immagine a forte carica simbolica. La tentazione di “scoprire” un nuovo corpo è espressione del fatto che esso è stato separato dalla tradizionale immagine umana che non è da considerare solo come un concetto, ma in un senso del tutto materiale. Gli uomini hanno realizzato immagini proprie prima che iniziassero a scrivere di sé stessi; quando essi appaiono nelle immagini, li vengono rappresentati dei corpi e questo tipo di immagini delinea il corpo, ma sta a significare la persona. Nelle scienze naturali la diagnostica per immagini sfugge alla rappresentazione della persona (“lì nel corpo non ci sarebbe più nessun io”) ed esse (scienze naturali) ubbidiscono a una legge della formazione del mito: la rappresentazione per immagini delle analisi del corpo portano a immagini del corpo che corrispondono al dibattito attuale e invecchiano con lui. Le immagini della persona ci mostrano il corpo fenomenico nel quale l’uomo si incarna ed esercita il proprio gioco nelle parti. Negli odierni media i corpi manipolano i loro osservatori. Si mostrano come corpi ultra-umani e dotati di bellezza oppure come corpi virtuali che superano i limiti del corpo naturale. Nelle testimonianze figurative storiche, probabilmente, il corpo umano ha sempre avuto questo carattere invadente poiché l'osservatore coevo se ne sentiva disciplinato. Le immagini rappresentano il corpo, che è stato sempre lo stesso, in maniera sempre diversa. Se si attribuisce al corpo un significato culturale, la storia dell'immagine riflette un'analoga storia del corpo. [...] Il corpo è un'immagine ancor prima di essere riprodotto in un'immagine. La figura non è ciò che essa afferma di essere, cioè la riproduzione del corpo. In verità è la produzione di un'immagine corporea che è compresa già nell'autorappresentazione del corpo. Questo triangolo uomo- corpo-immagine risulta essere senza soluzione di continuità, a meno che non si vogliano perdere tutte e tre le misure di riferimento. Gli attuali dibattiti, dove questi tre parametri vengono isolati gli uni dagli altri vanno sottoposti a revisione; da quando non è più possibile comprendere il corpo per mezzo di nessuna immagine vincolante, gli artisti evocano la sua presenza mediante allusioni e perifrasi ma senza ricondurlo ancora entro un concetto comune. L'attuale pratica degli artisti che impiegano il proprio corpo come mezzo artistico dimostra che si tratta delle immagini perdute del corpo alle quali questa supplenza reagisce in corpore; per affermarsi egli crea sul proprio corpo e con il proprio corpo, e con la propria corporeità si ribella al monopolio della realtà mediale che usurpa il mondo del corpo. Infine, l'artista cerca di risolvere il problema dell'incarnazione che è sempre stato il vero problema delle immagi L'arte figurativa precipita nel vortice di una decostruzione della tradizionale immagine corporea che aveva luogo in ambito scientifico; nel momento in cui viene meno la sicurezza del corpo, l’arte risolve le sue figure in esperimenti, parafrasi e fantasmi.
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