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Antropologia delle immagini (Hans Belting) Riassunto Breve, Sintesi del corso di Estetica

Sintesi essenziale del libro----

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 28/01/2020

Vito13--
Vito13-- 🇮🇹

4.5

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Scarica Antropologia delle immagini (Hans Belting) Riassunto Breve e più Sintesi del corso in PDF di Estetica solo su Docsity! 1. Introduzione Il titolo "Antropologia delle immagini" indica la scelta di un punto di vista antropologico all'interno del discorso sulle immagini. Belting, storico dell'arte tedesco, usa il termine Bild (che in inglese corrisponde sia a image che a picture, e in italiano a "immagine") nella sua più vasta accezione. Ma, che cos'è un'immagine? Un'immagine non è soltanto un prodotto di un determinato mezzo, come la fotografia, la pittura o il cinema, ma è anche un prodotto del nostro io, nel quale generiamo immagini personali come sogni, immaginazione e percezioni, che possono o meno interagire con le altre immagini del mondo visibile. Un'opera d'arte, che può essere una pittura, una fotografia, è un oggetto fisico tangibile che può essere classificato, datato ed esibito. L'immagine trascende la concezione fisica di un oggetto, in quanto essa può essere fisica e mentale. L'immagine quindi può vivere in un opera d'arte ma non coincide necessariamente con essa. Di tutti i documenti che parlano di antropologia delle immagini, ce n'è uno in particolare che è più interessante degli altri, "anthropologie historique de l'image", di Jean-Pierre Vernant. Studiando la Grecia antica, infatti, l'autore ha chiarito alcune possibili connessioni tra la storia degli artefatti visuali e l'evoluzione del pensiero greco, così da includere all'interno del concetto di immagine le nozioni di simbolo, somiglianza, imitazione e apparenza. La Grecia ha un importanza enorme in questo discorso, perché abbiamo accesso non soltanto alle sue immagini, ma anche agli scritti dei suoi filosofi. Belting quindi, collegandosi al pensiero di Vernant, vuole dimostrare come ci sia una "fondamentale interrelazione" tra l'immagine, il corpo e il mezzo come componenti presenti in ogni tentativo di picture-making. Nel 1995, infatti, partecipando ad un dibattito sul significato della morte nelle diverse religioni del mondo, ha dato avvio ad una analisi antropologica con il tema "immagine e morte". Corpo e mezzo sono entrambi coinvolti nel significato delle immagini funerarie, così come il corpo assente del defunto, al posto del quale vengono esibite delle immagini. Ma queste immagini, per poter occupare il posto lasciato vacante dal defunto, necessitano di un corpo artificiale. Quest'ultimo viene chiamato "mezzo" poiché le immagini necessitano dell'incarnazione per acquisire visibilità. Da qui, un corpo perduto è scambiato con il corpo virtuale dell'immagine. Incontriamo qui le radici di quella fitta contraddizione che caratterizzerà per sempre le immagini: esse rendono visibile l'assenza fisica di un corpo trasformandolo in una presenza iconica. I nostri corpi funzionano essi stessi come mezzi, mezzi viventi che si contrappongono ai mezzi fabbricati. Le immagini contano su due atti simbolici, i quali presuppongono entrambi il nostro corpo vivente: l'atto della fabbricazione e l'atto della percezione, di cui uno è lo scopo dell'altro. Nella nostra epoca, continua Belting, ci aspettiamo che la morte di una persona pubblica sia un evento mediatico. La raffigurazione del defunto serve ad attribuirgli uno status nuovo (solamente pittorico). Nei mass media la raffigurazione occupa un posto analogo o corrispondente a quello della persona ritratta quando era viva. Mentre la raffigurazione rappresentava però la presenza durante la vita di quella persona, al momento della morte il suo significato cambia e rappresenta l'assenza. Una prospettiva simile la descrive Regìs Debray. Egli afferma che per affrontare la natura intangibile dell'immagine mentale, bisogna considerare lo sguardo come una funzione: esso è il vettore usato per trasmettere e ricevere immagini mentali alla e dalla raffigurazione materiale. Inoltre insiste dicendo che lo sguardo trasforma una raffigurazione in un'immagine e un'immagine in una raffigurazione: "L'immagine trae il suo senso dallo sguardo, come lo scritto dalla lettura". In tutto questo andirivieni di opinioni o semplici pensieri, siamo condannati a vivere nel labirinto dei nostri specifici linguaggi (inglese, italiano, tedesco, ecc...) che, così spesso, restringono oppure tagliano fuori significati, limitando la nostra abilità di descrivere, e allo stesso tempo restringendo il nostro pensiero. In parole povere, non è detto che un dato termine possa essere tradotto in una sola altra parola in un'altra lingua. Esistono due tipi di immagini: quelle endogene e quelle esogene. Quelle prodotte dal nostro cervello sono chiaramente immagini endogene. Come dice Bernanrd Stiegler: "Non sono mai esistite immagini fisiche senza la partecipazione di immagini mentali, dal momento che un'immagine è per definizione qualcosa che è stata vista". Ma anche le immagini mentali contano, reciprocamente, sulle immagini obiettive, visto che esse sono il ritorno delle seconde. In conclusione: le immagini mentali sono scritte in un esterno e le immagini obiettive in un interno. Tuttavia Belting fa riferimento alla presenza di un terzo parametro che si interseca nella interazione tra i corpi e le immagini esteriori, chiamato "mezzo". Il mezzo, non sono i mass media, ma piuttosto i media in generale. Nella storia le stesse immagini possono migrare da un mezzo all'altro. Ma ciò che è più importante è la distinzione tra immagine e mezzo: l'immagine non è né un semplice oggetto (come una stampa fotografica), né un corpo vero e proprio (il corpo di una persona amata che si trova in una fotografia). I nostri corpi stessi operano come mezzi viventi, ricevendo ed emettendo immagini. Scrivo un esempio per chiarire la distinzione tra immagine e mezzo: quando a Baghdad furono distrutte le colossali statue di Saddam, chi le distruggeva stava decretando una vittoria simbolica sul tiranno attraverso la sua immagine. Tuttavia, l'eliminazione di una scultura non può garantire quello che tale atto si propone come scopo, ovvero l'oblio o il disprezzo per quell'immagine nella mente delle persone. Un altro esempio è l'iconoclastia. L'unico intendo dell'iconoclastia è quello della violenza contro le immagini, ma essa, riesce solo a distruggere il mezzo di un'immagine ma non l'immagine stessa. Un lavoro molto interessante sulla distinzione mezzo-immagine lo fece Nam June Paik con il suo "Tv-Buddha". Egli posiziona una statua di un monaco buddhista davanti ad un televisore ed a una videocamera. Quello che ne esce è il riflesso del Buddha stesso. Ci ritroviamo quindi con due mezzi, la statua ed il televisore, ma una sola immagine, il Buddha. Viene a crearsi una illusione tra la velocità del nuovo mezzo (i 25fps della videocamera) e l'immobilità del vecchio mezzo (la statua). Ancora una volta, è chiarita la distinzione mezzo-immagine. 2. Mezzo-immagine-corpo 2.1 Con lo studio antropologico sulle immagini, una questione non era ancora stata analizzata: l'antropologia studia gli uomini e non le immagini. Ma anche a questo c'è una risposta. Un'immagine è più di un prodotto della percezione. Nasce come risultato di una simbolizzazione che può essere personale o collettiva. Tutto ciò che appare alla vista o allo sguardo interiore può essere chiarito con un'immagine o trasformato in un'immagine. Se considerato seriamente, quindi, il concetto di immagine può essere soltanto un concetto antropologico. Noi viviamo con le immagini e comprendiamo il mondo attraverso esse. Per l'antropologia, l'uomo non appare più come signore delle proprie immagini, bensì il contrario. Nonostante egli porvi sempre a dominarle, è abbandonato alle stesse immagini da lui generate. Il concetto di immagine può solo arricchirsi qualora si parli dell'immagine e del mezzo come delle due facce di una stessa medaglia, che non possono essere separate una dall'altra nemmeno quando si separano nello sguardo e possiedono significati diversi. Il mezzo si contraddistingue sicuramente per il fatto che in quanto forma dell'immagine raggruppa i due elementi che si separano nelle opere d'arte e negli oggetti estetici. Non si può ridurre un'immagine alla forma che assume un mezzo quando la trasmette. Noi animiamo le immagini come se vivessero o potessero parlarci. La percezione dell'immagine, come atto dell'animazione, è un'azione simbolica che nelle diverse culture o nelle odierne tecniche figurative viene appresa in maniera totalmente differente. La distinzione tra immagine e mezzo ci suggerisce la coscienza corporea. Le immagini del ricordo e della fantasia stano in un unico corpo come un naturale mezzo trasmissivo. Da qui viene a crearsi la distinzione tra memoria e ricordo: la prima è un archivio corporeo d'immagini, il secondo è una creazione corporea di immagini. Nei mezzi figurativi risiede una doppia relazione con il corpo. L'analogia con il corpo si realizza quando noi interpretiamo i mezzi trasmissivi come corpi simbolici delle immagini. I mezzi raggiungono la nostra percezione corporea attraverso l'atto dell'osservazione nella misura in cui esercitiamo sulla sua falsariga l'autopercezione. Attraverso i mezzi, accogliamo le immagini nelle quali abbiamo riscontrato un'analogia. Questo vale anche per i mezzi figurativi elettronici che innescano lo scorporamento delle immagini. La teoria del segno appartiene ai moderni contributi dell'astrazione poiché ha separato il mondo del segno dal mondo del corpo in base all'idea che i segni si fondano su un accordo e trovano il loro habitat nel sistema sociale. Questi si rivolgono a una percezione cognitiva anziché corporea o tuttavia come un corpo. I corpi si rivelano nella luce anche attraverso ciò che si forma sulla loro stessa ombra. Luce e ombra, a livello incorporeo, rappresentano il loro fenomeno, così che, con questo aiuto, percepiamo i corpi nella loro espansione. Si tratta di mezzi naturali dello sguardo. Leonardo da Vinci dice: " Le ombre e i lumi sono certissima causa a far conoscere le figure di qualunque corpo". Egli notava anche che l'ombra segue ovunque il corpo, ma che nel contorno si libera comunque di lui. Dovendo modellare un'immagine o disegnare una figura, l'uomo selezionava un mezzo adatto, come un cumulo di argilla o una superficie rupestre. Rappresentare un'immagine, un tempo, significava soltanto produrla fisicamente. Le immagini non venivano al mondo per partenogenesi, ma nascevano piuttosto in corpi figurativi concreti che attraverso il loro materiale e la loro forma palesavano già la propria Wirkung. Il loro Hardware non gli dava solo visibilità, ma una presenza concreta all'interno dello spazio sociale. Oggi avviene la stessa cosa quando in una camera d'albergo il monitor del televisore viene collocato come un altare casalingo che accoglie quelle immagini immateriali inviate dallo spazio pubblico. Nella storia dell'arte i mezzi venivano classificati come generi e materiali nei quali l'artista si esprime, dunque come mezzi dell'arte. Belting, invece, li considera come mezzi trasmissivi o mezzi ospitanti di cui le immagini hanno bisogno per diventare visibili, dunque come mezzi figurativi. Poiché sono responsabili di aver sollevato la ben nota questione sulla forma e la materia, devono essere distinti dai corpi veri e propri. Nella terminologia dei mezzi figurativi manca quella distinzione elementare che esiste tra la scrittura e il linguaggio. Immagini "fotografiche" o "elettroniche" designano singoli mezzi per i quali non esiste un concetto generale. La lingua parlata è vincolata al corpo, il quale è in grado di comunicare, mentre la lingua scritta si stacca dal corpo. Riguardo alle immagini si può riportare un'argomentazione simile a quella sviluppata per la lingua. Immagini interiori ed esteriori si collocano indifferentemente sotto il concetto di immagine. È palese che nel caso delle immagini i mezzi siano un equivalente di ciò che nel caso del linguaggio è rappresentato dalla scrittura. Il concetto di immagine difficilmente può essere isolato nell'artefatto figurativo. Attraverso le immagini comunichiamo con un mondo che non è accessibile ai nostri organi sensoriali. L'ambito di competenza dei nuovi mezzi supera peraltro quella dei nostri organi corporei. Questa dipendenza dai mezzi tecnici innesca una crisi nella coscienza corporea così come nel rapporto con le immagini. Ci armiamo di protesi visive lasciando a un apparecchio la guida della nostra percezione. 2.6 Nel culto dei morti il mezzo possiede un paradigma antichissimo. Il defunto scambiava il proprio corpo, ormai perduto, con un'immagine attraverso la quale poter restare accanto ai vivi. Il mezzo rappresentava il corpo del defunto così come esso era per i corpi dei vivi che effettuavano lo scambio simbolico tra morte e immagine. Perciò il copro non rappresentava un mezzo tra immagine e osservatore, bensì tra morte e vita. Nelle sedute spiritiche, il medium umano diventava un ultimo riflesso dell'antico rituale funebre. Un vivente offriva il proprio corpo in qualità di "mezzo" a un morto con la cui voce parlare ai vivi, proseguendo così, in forma ibrida, l'antichissima idea dell'incarnazione in una controfigura. L'esperienza mediale che facciamo con le immagini è fondata sulla consapevolezza che noi usiamo proprio i nostri corpi come mezzi per generare immagini interiori o ricevere immagini esterne. Immagini che sorgono dentro di noi, come ad esempio quelle oniriche, ma che tuttavia percepiamo così solamente quando utilizzano il nostro corpo come mezzo ospitante. Presenza e assenza sono indissolubilmente legate all'enigma dell'immagine. Noi leggiamo il "qui e ora" dell'immagine nel mezzo con il quale giunge davanti ai nostri occhi. La differenza fra immagine e mezzo figurativo è più complessa di quanto lasci intendere questa descrizione. Così come l'immagine ha sempre una caratteristica mentale, il mezzo ne ha una materiale, anche se unisce entrambe le cose nell'impressione sensoriale dell'unità. La presenza dell'immagine nel mezzo, benché possa essere avvertita da noi così incontestabilmente, porta in sé anche un inganno, perché l'immagine è presente in un modo diverso dal suo mezzo. Diventa un'immagine solo se viene animata dal suo osservatore. Attraverso l'atto dell'animazione noi la separiamo ancora nella rappresentazione dal suo mezzo trasmissivo. Oggi siamo affascinati dal superamento dello spazio che avviene con le immagini televisive. Tramite l'immagine ci segnalano quell'altro luogo "là fuori". Il "qui e ora" si trasforma in un "lì e ora" dove noi possiamo essere presenti solo se usciamo in spirito dal nostro corpo. La questione dell'immagine porta a simboliche unità di contorno in cui percepiamo le immagini e le riconosciamo come tali. Questa delimitazione tra ciò che è e ciò che non è immagine si trova già nella memoria figurativa interiore e nella fantasia. Potremmo dire che le immagini somigliano a dei nomadi che nelle culture storiche hanno cambiato il proprio modus e utilizzato i mezzi attuali come stazioni nel corso del tempo. La deplorata sovrapproduzione delle immagini odierne stimola i nostri organi visivi tanto quanto può fortunatamente bloccarli o immunizzarli. Il rapido ritmo con il quale le immagini ci appaiono alla vista trova una compensazione in quello altrettanto rapido con cui esse si dileguano. Le immagini alle quali nella nostra memoria corporea applichiamo un significato simbolico sono altre da quelle che consumiamo o dimentichiamo. Soltanto in campo artistico l'ambivalenza tra immagine e mezzo esercita uno stimolo forte sulla nostra percezione. È lo stimolo che noi includiamo nell'ambito dell'estetica. Esso inizia lì dove la nostra sensorialità viene sottilmente stimolata dalla superficie dipinta e dall'illusione dello spazio. Assaporiamo l'ambivalenza tra finzione e fattualità, tra spazio rappresentato e tela dipinta, come uno alto stimolo estetico. È ciò che hanno fatto i pittori veneziano del Rinascimento utilizzando una tela particolarmente grezza per porre in evidenza che la responsabilità del colore spetta al materiale trasmissivo come autoespressione del mezzo pittorico. Forse il tema mediale oggi viene rifiutato dagli esperti dell'arte perché appare troppo pericoloso per il concetto d'immagine. Non si vuole esporre l'arte a nessun argomento che metta in gioco dei semplici mezzi. 2.7 La questione dell'immagine e del mezzo riporta al corpo, che è stato non solo un "luogo dell'immagine" ma, anche attraverso la sua apparenza, un trasmittente figurativo. Il "corpo dipinto" delle culture cosiddette primitive ne è d'altronde la più antica testimonianza. Quando diciamo di volerci mascherare, l'uso stesso della parola fa pensare a una maschera vera e propria, anche se non si tratta del tipico oggetto rimovibile da applicare sul viso ma di un vistoso costume. La maschera è un pars pro toto della trasformazione del nostro corpo in immagine. Tuttavia, se produciamo un'immagine sul nostro e con il nostro corpo essa non sarà un'immagine specifica di questo corpo. Il corpo è prima di tutto il trasmittente figurativo, quindi un mezzo trasmissivo di cui la maschera fornisce l'idea più concreta. Trasforma il corpo in un'immagine nella quale l'invisibile (il corpo trasmittente) e il visibile (il corpo fenomenico) formano una unità mediale. L'incarnazione su un trasmittente tecnico-inorganico (statua, pannello dipinto, foto ecc.) perde la vita propria di mezzo naturale e quindi ha bisogno di un'animazione che nelle pratiche magiche viene ritualizzata e che dall'osservatore odierno viene attivata tramite empatia e proiezione. L'immagine in movimento e l'animazione in 3D sono procedure tecnologiche per simulare la vita del corpo nell'immagine. In questa genesi figurativa il corpo è ripetutamente coinvolto poiché in questo senso non è soltanto un trasmittente ma anche un produttore figurativo che si trasforma di propria iniziativa in immagine. Il segno che la mano traccia sul corpo è insieme corporeo e antitetico al corpo stesso poiché il segno subordina il corpo a un'immagine che può persino avere un ordine geometrico. Nella sua ricerca relativa alla "nascita delle immagini" l'antropologo André Leroi-Gourhan associava le prime figurazione umane al linguaggio. Anche quest'ultimo, portando all'atto corporeo (il parlare) e all'atto sociale (la comunicazione tra i corpi), possiede una doppia predisposizione. È corporale e sistematico, dunque astratto. La voce genera il parlare, la mano il disegnare o figurare: sono atti analoghi a una dichiarazione mediale così come avviene in una data comunicazione allorché l'orecchio e l'occhio fungono da organi mediali della ricezione. Abbiamo quindi una prima corrispondenza fra linguaggio e immagine. Il volto autentico, se si intende tipicamente nel senso dell'intenzione sociale, non è quello nascosto dalla maschera bensì quello prodotto dalla maschera. Il visibile non è il volto che abbiamo ma quello che facciamo, quindi un'immagine che come tale deve essere letta in maniera simbolica. Tuttavia, la trasformazione del volto in maschera costringe colui che la porta alla riduzione della naturale "mimica facciale", il cui mutamento d'espressione viene represso all'interno della maschera a favore di un'espressione stabile. Ogni mimica libera l'immagine, mentre la maschera fissa il volto su un'unica autorevole immagine. In questa contrapposizione, che Macho ricollega anche al contrasto fra vita e morte, si offre la decodifica di un concetto d'immagine molto generico. Decorazione corporea e maschera facciale, alla fine, offrono anche una chiave di lettura per il rapporto visuale che si stabilisce tra noi e le immagini nel momento in cui le animiamo involontariamente. Abbiamo la sensazione che esse ci osservino. Questo scambio di sguardi, che in realtà è un'operazione unilaterale dell'osservatore, era un vero scambio di sguardi in cui l'immagine era generata dalla maschera vivente o dal volto dipinto. 2.8 Nell'epoca dei mezzi digitali il discorso sul mezzo trasmissivo non sembrava implicare più una situazione del genere. Nel caso di un mezzo divenuto addirittura incorporeo sfugge poi quel legame fisico tra mezzo e immagine che nella stampa fotografica ha rappresentato la norma dei mezzi analogici, e che, per lo meno, adesso è nascosto dalla differenza tra l'apparato della produzione (la "scatola nera" del computer) e l'apparato della percezione (il monitor). Un tempo la fotografia era un "mezzo della rappresentazione con il cui aiuto tutti gli altri mezzi potevano essere sussunti e analizzati". Oggi questo ruolo spetta al computer, il quale produce immagini con codici digitali ed elabora tramite input. Il mondo virtuale nega le analogie col mondo empirico regolando l'immaginazione con impressioni transcorporee, sebbene queste siano ancora in contrapposizione con le nostre forme percettive endogene. Ogni possibile storia dell'immagine giunta fino a noi, anzi ogni storia dell'immagine che abbia ancora senso per noi, sarebbe arrivata alla fine. Se ne potrebbe parlare soltanto come di un'archeologia dell'immagine. Se Lev Manovich afferma che "l'immagine in senso tradizionale non esiste più, allora si può obiettare che questo "senso tradizionale" è sempre stato soggetto a una dinamica storica in grado di trasformarlo. Ma persino Manovich deve ammettere che nella video-installazione "tra il corpo e l'immagine" si attiva "una nuova relazione" che fa ricorso un'altra volta al corpo. Ammette pure che, di regola, fissiamo sempre "una superficie piatta e rettangolare che nello spazio del nostro corpo" si apre come una finestra. La rappresentazione dell'immagine rimane ancora legata allo schermo. Bernard Stiegler, con il suo saggio sull'"immagine discreta" dice: " Non esiste l'immagine in generale. La nostra immagine mentale è sempre un riflusso", una remanence, "traccia e iscrizione" delle immagini che vengono fornite dai mezzi attuali. Le immagini digitali programmate producono in noi altre immagini mentali a loro antecedenti. La trattazione di Stiegler sulla sintesi e l'analisi può esserci d'aiuto. Attraverso la sintesi produciamo dentro di noi un'immagine, mentre attraverso l'analisi ricaviamo un concetto dalla sua tecnica mediale. Nel consueto uso linguistico la tecnica delle immagini è relativa all'ambito dell'anali e la sua percezione a quello della sintesi. "La nuova tecnologia dà avvio all'epoca di una nuova percezione figurativa analitica". La sua evoluzione inaugura anche un'evoluzione nella conoscenza dell'immagine e nell'uso figurativo da parte dell'osservatore. I mass media hanno avuto la loro parte nel far cadere la "fiducia nelle immagini" e nel sostituirla con la fascinazione di una messa in scena mediale che mette bene in vista il loro effetto e produce una specifica realtà figurativa. La videotecnica, che si distingue nettamente dalla tecnica digitale, ha trovato nell'immagine in movimento una forma temporale ibrida in grado di decostruire l'immagine cinematografica. Quel che prometteva l'immagine digitale era dunque già preparato nel training dell'osservatore. Alla fine non è più possibile isolare dagli altri media l'immagine digitale. È entrata così tanto a far parte dell'ambito della fotografia, del fil, della TV e del video che noi la consideriamo già a livello intermediale. 2.9 indipendenza, l'antica immagine del culto mariano di Guadalupe, simbolo della precedente signoria coloniale, è stata reinterpretata come simbolo nazionale del nuovo Stato. Senza essere modificata nell'aspetto, l'immagine è stata identificata quindi con una differente interpretazione della tradizione e considerata sotto un nuovo punto di vista. L'immaginario collettivo ha trasformato lo sguardo che viene indirizzato alla medesima immagine. Da questa osservazione scaturisce ancora una volta la questione relativa all'immagine che si incarna in un'opera e a quella che i suoi osservatori hanno di essa o possono farsene. Con queste formulazioni siamo arrivati già nell'ambito del linguaggio. Un'antropologia dell'immagine s'imbatterà presto nell'idea che tutte le immagini ne chiamano sempre in causa altre, e nuove, poiché le immagini possono essere soltanto al loro tempo, e non soddisferanno più le domande della generazione successiva. Così ogni immagine, una volta compiuto il suo ruolo nel presente, conduce poi a una nuova immagine. Tuttavia, non p ancora particolarmente chiaro cosa sia realmente un'immagine nuova: tutte le immagini antiche sono state delle nuove immagini. 3. Il luogo delle immagini. Un saggio antropologico 3.1 Il luogo delle immagini, naturalmente, è l'uomo. Perché l'uomo è un luogo naturale delle immagini, in un certo senso un loro organo vivente. Nonostante tutte le apparecchiature con le quali oggi siamo in grado di immagazzinare le immagini, è soltanto l'uomo il luogo in cui le immagini trovano una spiegazione e un significato naturale, sebbene l'uso di tali apparecchiature voglia imporre l'applicazione di alcune norme. In questo dibattito, l'uomo si afferma o come un'entità universale oppure come una specie locale. È incontestabile che da cultura a cultura gli uomini si differenzino in maniera sostanziale per quel che riguarda le loro immagini interiori. L'uomo, nei confronti di quelle immagini alle quali conferisce un significato, si presenta come un'entità culturale che non può essere descritta soltanto per mezzo di un concetto biologico. Malgrado ciò, il discorso sul luogo delle immagini presuppone innanzi tutto la presenza di un luogo che possa essere definito tale. Questo luogo è il corpo. Esso, è un luogo del mondo ed è un luogo dove le immagini vengono prodotte, conosciute e riconosciute. Diversamente dalle immagini che in un'apparecchiatura o sulle pareti di un museo attirano il nostro sguardo, le nostre immagini specifiche hanno per noi quel significato personale che compensa la mancanza di durevolezza. Mentre le immagini del mondo esterno sono essenzialmente delle offerte figurative, quelle del nostro ricordo corporeo sono legate all'esperienza esistenziale che noi abbiamo compiuto nel tempo e nello spazio. Le nostre specifiche immagini, così come i nostri corpi, sono transitorie e si distinguono perciò dalle immagini che sono concretate nel mondo esterno. Tuttavia, restano immagazzinate dentro di noi per l'intero arco della vita. Quando diciamo che brucia un'intera biblioteca tutte le volte ce in Africa muore una persona anziana (potremmo anche dire che brucia un archivio figurativo) dimostriamo quale ruolo possieda il corpo inteso come luogo delle tradizione collettive che, perdendo il loro ambiente, perdono per qualche motivo anche la propria forza. Una singola morte, quindi, significa la minaccia del ricordo collettivo attraverso il quale sopravvive una determina cultura. Gli uomini sono morali, ma nella trasmissione delle immagini, in qualità di genitori o educatori, giocano un ruolo che oltrepassa i loro limiti esistenziali. Nei nostri corpi mettiamo in comunicazione caratteristiche personali (sesso, età, biografia) e collettive (ambiente, epoca, educazione). Così come accadeva una volta agli emigranti, nel processo di dissoluzione delle culture localmente protette i singoli trasmittenti che vivono nei corpi naturali acquistano un nuovo significato. Essi portano le loro immagini in un altro luogo o viaggiano con esse in un altro tempo. I gesuiti, ad esempio, andavano a colonizzare il mondo delle idee degli Indiani d'America persino nell'ambito delle visioni, per cui le immagini non stavano loro soltanto davanti agli occhi ma vi si imprimevano nel corpo impadronendosi della loro immaginazione e dei loro sogni. Tuttavia, poiché le immagini non rimanevano ciò che erano state ma venivano adattate, rifatte e trasformate, si formava una nuova cultura sincretistica. 3.2 Se è possibile considerare il corpo come un luogo delle immagini, allora è possibile parlare anche id un luogo geografico a cui le opere figurative locali hanno solamente prestato un volto identificabile. Presso numerose culture si veneravano le immagini delle divinità nei luoghi dove si pensava queste risiedessero. Durante la Modernità il museo è diventato un rifugio per le immagini che nel mondo avevano perso il loro luogo specifico scambiandolo con un luogo dell'arte. Di un luogo ci creiamo sempre una immagine e lo ricordiamo sempre come un'immagine, ma questo presuppone che eravamo stati lì o che in precedenza ci vivevamo. Oggi, invece, visitiamo attraverso le immagini i luoghi che ci piacciono. I luoghi disponevano di un sistema chiuso di segni, azioni e immagini di cui solo i residenti possedevano la chiave, mentre gli stranieri potevano soltanto esserne dei visitatori. I luoghi, perciò, erano sinonimi di culture. I luoghi non spariscono nel nulla, ma lasciano delle tracce in un palinsesto pluristratificato nel quale si annidano e si depositano vecchie e nuove immaginazioni. Secondo la loro concezione più antica i luoghi erano luoghi della memoria, come li ha definito Pierre Nora. Se vengono immagazzinate all'interno di apparati, rimandano spesso le loro specifiche figure, ma prive della loro originale medialità fisica. I mezzi globali hanno reso possibile un mutamento nel concetto di luogo. Secondo Joshua Meyrowitz viviamo in un sistema informativo anziché in luoghi ben definiti. Tuttavia, sarebbe un malinteso accettare l'idea che il luogo all'interno della trasmissione televisiva "non sia più, in assoluto, un luogo". Anziché cercarli fisicamente, i luoghi giungono a noi sotto forma di immagini. Talvolta desideriamo anche abitare o visitare un luogo reale così da osservarlo con uno sguardo diverso nel momento in cui lo ricordiamo in un altro periodo della vita. Accade persino che andiamo a cercare nel posto stesso il luogo che vi era un tempo. Il medesimo luogo viene considerato diversamente dalle varie generazioni o dagli stranieri. Non occorre un mutamento fisico della sua esteriorità per cambiare davanti al nostro sguardo allorché lo rivediamo dopo una lunga assenza. Si trasforma per noi in un'immagine alla quale commisuriamo il suo stato attuale. Lo spostamento tra luogo e immagine, tra percezione e ricordo, appartiene alle condizioni di ogni autentica "esperienza del luogo". Tanto più il mondo va globalizzandosi tanto più gli antropologi fanno ritorno dai loro viaggi rivolgendosi alla propria cultura, che improvvisamente appare loro straniera e incomprensibile, per darle nuovamente risalto. Foucault utilizza il termine "eterotopi" per definire i luoghi che si riferiscono antiteticamente o alternativamente ai luoghi del mondo esistenziale. Anche il cimitero rientra in questo concetto. Nella Modernità il dislocamento dei cimiteri nelle periferie urbane ha portato l'esperienza di una doppia e diversa città, così come l'ha descritta Italo Calvino nel romanzo "Le città invisibili" utilizzando la simmetria con la città dei vivi. Nelle mura urbane l'antichità ha messo in contrasto città e campagna, civiltà e natura, un contrasto che sopravvive tuttora nel giardino e che un tempo veniva cantato dalla poesia bucolica, la quale, col passare del tempo, ha spostato l'Arcadia, intesa come luogo della libertà e del ritorno alla natura, nella finzione poetica. Susan Sontag ha parlato della fotografia come di "un'arte elegiaca" che nelle immagini conserva i luoghi e le culture prima che questi spariscano dal mondo. 3.3 I nostri corpi possiedono la capacità di trasformare e conservare i luoghi e le cose in immagini che vengono poi immagazzinate nella memoria e attivate per mezzo del ricordo. Tramite le immagini ci difendiamo dallo scorrere del tempo e dalla perdita dello spazio cui i nostri corpi sono sottoposti. Lo scambio tra esperienza e ricordo è uno scambio tra mondo e immagine. Poiché l'impressione sensoriale viene sovrapposta alle nostre immagini del ricordo, alle quali poi volontariamente o involontariamente le paragoniamo, le immagini, d'ora in poi, si occupano anche della percezione del mondo. Colleghiamo con facilità i dipinti e le fotografie di oggetti, documenti e icone alla nostra specifica memoria figurativa. La memoria si compone di un intreccio di luoghi in cui noi ricerchiamo quelle immagini che formano la sostanza del nostro specifico ricordo. La topografia mentale della nostra memoria fu studiata dall'antica disciplina della mnemotecnica. Essa si basava su una forma topologica di ricordo: sull'associazione delle immagini del ricordo con i luoghi del ricordo come telè o stazioni. La memoria linguistica, così come la mnemotecnica, è un mezzo creato ad arte, che ha con il mezzo naturale della nostra memoria spontanea un rapporto di scambio reciproco. Esiste una differenza simile tra la memoria tecnica delle apparecchiature informatiche e il nostro corpo. Questa tecnologia trasmette immagini in altri luoghi mentre la nostra memoria fisica è un luogo naturale delle immagini. La memoria collettiva di una cultura, dalla cui tradizione noi richiamiamo le nostre immagini, possiede il suo corpo tecnico nella memoria istituzionale degli archivi e degli apparati. Questo materiale tecnico è tuttavia inutile se non viene tenuto in vita dall'immaginazione collettiva. Il museo fa parte di quelle eterotopie o luoghi alternativi prodotti dalla Modernità. Le eterotopie, come i cimiteri, scrive Foucault, "sono legate alle cesure temporali". Appartengono a un'altra epoca e creano un luogo fuori dal tempo nel quale le cose si trovano ancora in un processo vitale. Nel momento in cui si legano al tempo corrente questi luoghi possono trasformare il tempo in immagine e come immagine ricordarlo. Lo scambio tra luogo e immagine, sul quale verte il nostro discorso, si presenta ancora una volta nell'istituzione del museo. Quest'ultimo non è soltanto uno spazio artistico, ma anche un luogo per le cose passate e per quelle immagini che rappresentano un'altra epoca e quindi diventano simboli del ricordo. Le culture del mondo vengono archiviate nei libri e nei musei. In questo modo vengono conservate, smettendo però di essere vissute. Anche noi, uomini di oggi, ci portiamo dentro delle storie (il contenuto della nostra biografia) attraverso le quali siamo diventati ciò che oggi possiamo affermare di essere. Chi non poteva viaggiare attraverso i luoghi dei poeti leggeva le iscrizioni di viaggio oppure osservava le pitture che erano sviluppate sulla base delle iscrizioni e che avevano la funzione di descrivere i luoghi. In questo modo l'osservatore guardava nella propria nicchia delle immagini che svolgevano, letteralmente, il ruolo figurativo del televisore. I luoghi non sono solo quelli dove vivono gli uomini. Possono anche essere luoghi dell'immaginazione e della fuga, luoghi dell'utopia, che concettualmente è una contraddizione in termini. Nel mondo greco-romano questi luoghi venivano chiamati Arcadia, nella Bibbia, Paradiso. All'immagine dei luoghi reali apparteneva la controimmagine dei luoghi immaginari nei quali tutto era diverso dal solito o tutto era ancora positivo. Questo tema offre una idea di ciò che sono i luoghi in senso antropologico. Parallelamente al desiderio di appartenenza, i luoghi soddisfano anche il desiderio di libertà. La scoperta del tempo attivava il presentimento che si potesse perdere per sempre un luogo anche se questo continuava ad esistere. Questa prospettiva, nel presente, si trasforma. Non siamo più preoccupati dai luoghi ideali, ma dai luoghi reali che conferiscono identità. L'immaginario e il reale si scambiano di posto. Sogniamo non-luoghi di luoghi reali così come i nostri avi sognavano il contrario. 3.4 In nessun altro caso come in quello del sogno il discorso sul luogo delle immagini, che l'essere umano effettivamente rappresenta, può essere affrontato con maggior diritto. I sogni appartengono alle immagini che il corpo produce senza l'ausilio della volontà e senza l'appoggio della coscienza, ossia mediante quell'automatismo al quale durante il sonno siamo sottoposti. Quando i sognatori visitano luoghi nei quali fanno esperienza delle immagini del sogno, e contemporaneamente scoprono questi luoghi in quanto immagini che non possiedono alcun pendant col mondo reale, i luoghi e le immagini, allora, vengono a trovarsi in un rapporto labile. Il sogno dispone di ricordi inaccessibili allo stato di veglia. Questo indica che la struttura segreta della memoria figurativa possiede il nostro corpo. In sogno abbandoniamo il corpo che ci è familiare e tuttavia sogniamo solamente in questo stesso corpo. Il corpo, dunque, è la sorgente delle nostre immagini. Il sogno conosce (ed è) uno specifico mezzo di quella rappresentazione che Freud chiama lavoro onirico. Il sognatore è l'autore del suo sogno e quindi il sogno gli impone un'immagine che forse risulterebbe in stato di veglia. Il sogno instaura un rapporto problematico di sé con sé. Il corpo è sempre sia luogo che mezzo.
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