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"L'arte fuori di sé" - riassunto libro, Dispense di Storia Delle Comunicazioni Di Massa

Riassunto del libro "L'arte fuori di sé" di A.Balzola

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 09/11/2020

accademiche-d-eccellenza
accademiche-d-eccellenza 🇮🇹

4.7

(61)

34 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica "L'arte fuori di sé" - riassunto libro e più Dispense in PDF di Storia Delle Comunicazioni Di Massa solo su Docsity! L’ARTE FUORI DI SÉ 1.I PARADOSSI DEL CONTEMPORANEO Assurdità dell’arte contemporanea → non è importante la qualità dell’opera, ma il fatto che sia contemporanea. A causa delle richieste del consumo l’espressione artistica subisce i modelli culturali invece che proporne di nuovi. Tutto è possibile per il profitto, grazie ai media tutto è arte. Per avere più consensi si cercano situazioni estreme, non conta più l’idea, ma la trovata. Servono prodotti che si vendano presto e bene. Si tratta solo di intrattenimento, si accentua il consumo e lo spreco (inutili allestimenti). Andrebbe vista anche la concezione di museo, ormai l’opera esce dall’atelier ed entra in un museo senza vivere il mondo e avere una storia. Manca l’assunzione di responsabilità, tutti si deresponsabilizzano di ciò che hanno a che fare con l’opera, utilizzando la scusa della libertà di pensiero, che ogni cosa proposta va bene. Si dovrebbero proporre una responsabilizzazione di tutti: il pubblico deve trovare un rapporto autentico con l’opera e l’artista come interprete del presente e progettista del futuro. il presente ha bisogno di un’arte che progetti un futuro sostenibile e che esca dall’inutilità attuale dove è sufficiente che qualcosa sia nuovo e contemporaneo per avere valore. 2. UN’ARTE CONSAPEVOLE L’arte deve assumersi delle responsabilità perché la sua capacità è quella di creare nuovi linguaggi e quindi è responsabile dell’evento che ha generato. La responsabilità dell’artista è di vivere nel presente e partecipare alla sensibilità che lo circonda. Essere artisti è una necessità interiore, quando si riesce ad esprimere una visione del mondo. Egli deve assumersi la responsabilità delle sue scelte, deve essere consapevole delle conseguenze. Avere responsabilità significa avere una grande attenzione verso le trasformazioni in atto: la realtà muta continuamente. Nella nostra epoca, caratterizzata dall’estetizzazione di modelli sociali, il medium è la tecnologia. Il ruolo dell’arte è quello di conoscere ed utilizzare il nuovo patrimonio tecnologico per ricostruire l’antico patrimonio biologico. Il rischio di questa prospettiva artistica è creare ostentazioni della tecnologia, bisognerebbe immergersi in essa e avere uno sguardo sempre vergine, consapevole, ma libero dai precetti funzionali delle macchine. 3.L’ARTISTA PLURALE A Milano viene presentato il documento ​Nuova cartografia del reale ​in cui viene posto come uno dei punti fondamentali la figura dell’autore collettivo: colui che è in grado di operare con dispositivi tecnologici e collaborare con altri artisti, disponibile a condividere la sua visione nel progetto collettivo. L’artista plurale è colui che crea e agisce in una rete di relazioni. Egli presuppone una definizione dei ruoli, ma senza rigidità gerarchiche; è una struttura aperta a nuove collaborazioni. Il rapporto affettivo e la stima reciproca diventano le basi per una relazione creativa (es.: Studio Azzurro). L’artista collettivo si realizza donando la sua personale visione all’interno di un progetto collaborativo, abbandonando un eccesso di protagonismo. Questa nuova figura ha bisogno di abbandonare il suo ruolo tradizionale: pioniere solitario e narcisista, disadattato e ipocondriaco. L’artista deve diventare colui che è bastano indizi per evocare un racconto. All’opposto di questo vi è l’haiku, esso infatti non è la rappresentazione di un sentimento, ma la creazione dello stesso. 6.L’ESPLOSIONE DELLA RETE Lo sviluppo esponenziale della rete ha materiAlizzato il concetto di virtualità facendolo divenire un agire comune. Dal 1990 la rete restituisce un’idea di virtuale che agisce come strumento di scambio fra dimensione informatica e vita reale: è il risultato di un continuo scambio di dati ed informazioni. L’invenzione della rete esprime in modo limpido la complessità della nostra epoca. Il web rende il mondo “esplosivo” e bisognoso di modelli relazionali, esso ci risveglia dallo stato di torpore e ci spinge a promuovere una nuova visione del mondo. L’arte deve essere in grado di spingere la cultura della rete in direzione di uno scambio continuo con la realtà, essa agisce da connettore semantico, per questo può essere chiamata “arte connettiva”, ovvero un processo che genera relazioni tra i possibili ideatori dell’opera. L’artista così può lavorare in un ambiente interattivo che è il vero ponte fra arte e tecnologia. La rete si rivela uno strumento prezioso finché non si chiude su se stessa generando patologie dell’utente. 7.INTERATTIVITÀ E LE SUE TRACCE Ognuno di noi produce azioni interattive, depositando delle memorie nei database tecnologici. L’interattività si profila come uno dei dispositivi determinanti di un processo di anestetizzazione e di appiattimento del senso comune. Vi è una netta differenza tra interazione ed interattività: ● l’​interazione è una forma di relazione diretta fra due o più entità che comunicano tra di loro, i soggetti coinvolti sono limitati e la traccia rimane nella memoria soggettiva; ● l’​interattività è un’interazione intercettata, oltre ai soggetti vi è anche l’interazione con la macchina, ciò viene registrato da un dispositivo e depositato in una banca dati. L’interattività dal punto di vista della pratica artistica si divide in 3 categorie: 1) Interattività Inconsapevole ​→ lasciamo tracce senza saperlo, strumento invasivo della privacy. L’intento artistico è quello di smascherare e denunciare questi meccanismi; 2) Interattività d’esperienza → ​siamo consapevoli delle nostre attività, presuppone consapevolezza e conoscenza dei dispositivi tecnologici; 3) Interattività Collaborativa → ​implica che le tracce vengano lasciate volontariamente e poi elaborate in forma di dati: in questo modo l’intervento del partecipante può portare a nuovi sviluppi, questi sviluppi seguono anche l’opera artistica (autore disponibile a considerarsi come autore che sollecita l creatività altrui). La figura dell’autore si trasforma, egli assume la responsabilità di portare avanti il progetto artistico e di mantenerlo in vita. 8.ARTE DELLE RELAZIONI E DEL DISPOSITIVO le prospettive delle esperienze artistiche interattive sono oggi indirizzate verso la capacità dell’artista di diventare spettatore dei propri spettatori. Esiste un profondo scarto fra la reazione immaginata dall’artista e il comportamento effettivo del partecipante. Si crea una nuova idea di bellezza, non legata più all’opera in sé, ma alla relazione che essa suscita. Si deve creare intorno al dispositivo tecnologico un’atmosfera visiva, sonora e narrativa tale da muovere negli spettatori la corda dell’espressività, stimolando istinti ed emozioni che gli autori non sono in grado di prevedere. Ciò può avvenire solo se nella progettazione delle opere interattive c’è una considerazione profondamente rispettosa nei confronti del pubblico. Volendo evitare una relazione meccanica con il dispositivo si pone il problema dell’interfaccia; le interfacce devono essere naturali per avere un coinvolgimento più immediato e variegato da parte del pubblico. Il centro dell’attenzione si deve spostare, a questo punto, dall’oggetto all’azione, è la condizione dell’arte fuori di sé in cui l’opera non è il centro ma solo il pretesto di una dinamica che diviene il vero fulcro di interesse. Il fatto che lo spettatore metta una mano sull’opera, ha un forte valore simbolico: non è più un numero ma qualcuno che ha fatto una scelta e la traduce in un “bel gesto”, profanando l’opera d’arte stessa, sottraendola ad una sorta di sacralità. 9.PERFORMATIVITÀ INTERATTIVA E DRAMMATURGIA DELL’HABITAT Oggi viviamo dentro un mondo di fiction nel quale recitiamo come burattini, diventa necessario che ognuno sviluppi la capacità di esprimere la propria identità. Ciò ci fa riscoprire il teatro, visto come strumento sia per conoscere sia come espressione del corpo e della mente. A noi interessano le forme innovative che si esprimono nella società sia attraverso ricerche artistiche sia attraverso la creatività spontanea; ne sono un esempio sia i live (eredità del teatro di strada) sia le azioni performative a carattere politico con obiettivi di aggregazione reale sotto forma di manifestazioni o di creazioni di gruppi di attivismo. Bisogna ripensare al teatro come una modalità performativa per utilizzare spazi diversi e progettare azioni che diano voce alle aspirazioni e desideri delle generazioni presenti e future. Vengono aperte due direzioni di ricerca: una porta la performatività fuori il teatro attraverso forme virtuali e reali di aggregazione collettiva, e un’altra che supera il teatro di rappresentazione cercando nuovi spazi e percorsi, confrontandosi nei contenuti e nel linguaggio con l’innovazione tecnologica. Il tecno teatro è caratterizzato da nuovi elementi come il copione non chiuso e la presenza di una partitura aperta. Anche il cinema avverte la necessità di spingersi oltre i propri confini simbolici, si sviluppa così un’area definibile “post-cinema” (nuove tecniche di montaggio, proiezione simultanea su più schermi). Teatro, arte e cinema si incrociano dando vita ad una nuova modalità espressiva: l’installazione interattiva. L’habitat è la congiunzione fra spazio virtuale e spazio fisico. 13.IL DONO, IL RITO E LA BELLEZZA Gli artisti diventano portatori di creatività, un bisogno primario latente che i media indirizzano verso una natura commerciale o di intrattenimento. L’opera artistica viene regalata al pubblico. Vi è la comparsa del donatore (artista) e l’anonimato del destinatario perché appunto collettivo. L’opera diventa un evento e non un oggetto, donato in modalità interattiva. Il dono in quanto generatore di relazioni si pone alla base del legame sociale. Il donatore è libero di donare senza motivazione e il ricevente è libero di non contraccambiare. La pratica del dono è la linfa vitale del legame sociale, è diretto e personale. Anche il mondo della rete si evolve grazie a persone che si prestano gratuitamente (dai software peer to peer a Wikipedia). L’artista che dona qualcosa non dona perché generoso, ma perché in quel momento l’arte si manifesta. Dono dato nel libero accadimento dell’evento artistico. Il dono del proprio corpo è uno degli esercizi più complessi, dato l’attaccamento al proprio io, nonostante ciò questa è una condizione necessaria per crescere. La pratica artistica è la dimensione di un percorso spirituale, l’opera è dono e scoperta, unica e ponderata. L’arte scollegata dalla società perde la sua dimensione rituale e condivisa, racchiusa in una bolla autoreferenziale che non è in grado di coinvolgere la comunità. L’interpretazione dell’artista deve essere aperta e fondata sulle trasformazioni della collettività. L’opera d’arte deve sorprendere senza essere provocatoria. Ciò che interessa a noi è parlare di estetica nel senso del bel gesto relazionale, nel condividere e nello stare insieme. Idee, sensazioni veicolate tramite il dono e non la vendita. Il bello è diventato campo d’azione dei media tramite l’utilizzo della tecnologia. La tecnologia produce il bello decorativo, mentre i media producono il bello seduttivo. Questi tipi di bellezza non possono essere territorio dell’arte, il bello non deve essere banalizzato. Quindi si fa riferimento ad una bellezza più complessa, fatta di esperienze vissute, sia individuali che collettive legate al territorio, in cui il pubblico può sperimentare. 14.L’ARTE E IL FUORI DI SÉ L’arte autoreferenziale non dispone di sorgenti autentiche per poter andare oltre. Non coglie la mutazione antropologica. Tutto ciò che è globale (es: crisi economica, guerre,ecc.) vengono subite in parte anche dal singolo individuo che si ritrova a non saper esprimere la propria frustrazione. L’arte fuori di sé deve cercare di raccogliere le devianze, la deriva, le devastazioni emotive. La creatività deve rientrare in una pratica quotidiana che coinvolge tutti. Molti artisti hanno espresso le proprie patologie all’interno delle opere, riuscendo a farle confluire in qualcosa di creativo, riuscendo ad andare oltre, superando la barriera della sensibilità. È il concetto di superamento della barriera che porta l’osservatore a stupirsi. La cura di malattie psicologiche, infatti, è legata alla creazione di relazioni vere. Le patologie individuali sono indizi di patologie sociali diffuse. I media rischiano di creare una sorta di “autismo mediatizzato” in cui i soggetti esposti alla tecnologia non sono più in grado di socializzare. Ciò che si dovrebbe fare è cercare di interagire di più con queste realtà. Per rispondere ad un disturbo bisogna conoscerlo nel profondo, in modo tale da stabilire un contatto autentico. Ciò avviene anche nel teatro (strumento di espressione e riequilibrio). Importante è rendersi conto che i soggetti soni prima persone e poi pazienti ed appartengono a loro stessi. Si lavora con persone che non si sentono affatto artisti, ma che esprimono semplicemente quello che hanno, senza pretese narcisistiche. Un altro elemento fondamentale, come già scritto, è il territorio inteso come luogo di rielaborazione (es: centro digitali non può prescindere da competenze diffuse e interazioni collettive. C’è una proposta di attivismo artistico alternativa al glamour e alle logiche commerciali, oltrepassando i confini tra pubblico e privato e privilegiando la condivisione rispetto al possesso. M accadono anche altri sconfinamenti dell’arte che esce fuori di sé, in cui gli artisti-designer, artisti-attivisti, net-artisti e artisti-coder collaborano con l’imprenditoria d’innovazione e le istituzioni culturali per realizzare opere, servizi ed attività. Un orizzonte emergente e in espansione, denominato “Art Industries”. Risulta evidente che la funzione profetica e la potenza simbolica delle opere artistiche possono avere un ruolo crescente di sensibilizzazione dell’opinione pubblica solo uscendo dai circuiti ristretti dal sistema dell’arte contemporanea e sconfinando nei mass media e nei social media, ma soprattutto necessitano di un coinvolgimento programmatico e permanente della ricerca scientifica e dei settori più evoluti dell’imprenditoria della progettazione di modelli di sviluppo sostenibili. Forse non si realizzerà mai un’arte tecnologica funzionale. L’intersezione permanente tra il mondo fisico e la sua rappresentazione digitale, la sovrapposizione fra tecnologia e vita quotidiana, determinano una “Nuova estetica” dell’arte tecnologica, che intercetta il generarsi di nuove forme percettive, come le esperienze sinestetiche che incrociano la percezione materiale con quella virtuale, l’ibridazione o persino la sostituzione tra il mondo reale il suo simulacro digitale. In questo punto di vista si erano indicate alcune tendenze in atto: la trasformazione di un accesso libero e di uno scambio globale, la mescolanza di informazioni reali e fake news, lo slittamento progressivo delle relazioni reali verso le relazioni virtuali. Sono stati sufficienti pochi anni per esasperare ulteriormente queste dinamiche legate alla Rete, soprattutto mediante l’evoluzione pervasiva dello smartphone. L’arte cosa può fare oltre a testimoniare o irridere la “società dello spettacolo” del Ventunesimo secolo? L’utopia del libro è che si possa fare qualcosa di più pregnante. La possibilità che l’arte riesca a guadagnare un ruolo propositivo riconosciuto nella promozione di una rinnovata consapevolezza e sensibilità collettive dipende dalla sua capacità di fare rete: non tanto di “fare” politica, quanto di “essere” politica, nel senso di operare nella e per la polis. L’arte funziona come veicolo di idee, è sua facoltà far proliferare le domande, suscitare e stimolare interrogativi, mobilitare l’attenzione del senso e dei sensi, svelare nuovi modi e nuovi mondi possibili. E ciò operando una sintesi fra astrazione e concretezza. La metafora artistica funziona molto bene come elemento catalizzatore: assorbire le idee, trasformare le materie, ideare le forme, sperimentare le tecniche e i dispositivi con finalità non puramente funzionali. L’umanità potrebbe ridefinire e nobilitare il proprio ruolo come elemento di connessione tra le specie, utilizzando le sue facoltà intellettuali e le sue invenzioni tecnologiche per mettere in relazione e cooperazione le straordinarie e differenti caratteristiche del mondo animale, vegetale e minerale. Questa è la prospettiva di superamento dell’antropocentrismo indicata da una corrente di pensiero che nasce da una congiunzione tra arte e filosofia: il postumano. Dicendo che l’arte “deve fare rete”, uniamo la realtà tecno-scientifica e metafora artistico-filosofica. Intendiamo quindi qualcosa di molto più ampio dell’uso della Rete: si tratta piuttosto di usare “l’arte come rete” per creare connessioni concettuali, comportamentali, virtuali e reali. Qualcosa che ha forse aspirazioni utopiche, ma che si può concretizzare in “buone pratiche” sul territorio. L’innovazione tecnologica degli allestimenti e della comunicazione museali ha vissuto in questi ultimi vent’anni una forte accelerazione che ha mutato profondamente l’identità di istituzioni secolari destinati alla raccolta, conservazione ed esposizione del patrimonio artistico e culturale. Da una parte è intervenuta una volontà di spettacolarizzare le mostre, dall’altra parte si è sviluppata una progettualità piuttosto consapevole e illuminata che unisce differenti competenze per trasformare la visita al museo in un percorso esperienziale. In questa prospettiva, l’intervento dell’artista è sullo spazio stesso, e ciò proietta nella dimensione degli “ambienti sensibili” per rigenerare l’attenzione collettiva alla memoria e alla storia. Vi è l’invito a riconoscersi non più in una “patria”, un territorio definito da confini materiali artificiosi e instabili, quanto piuttosto in una “matria”, cioè nella lingua madre a cui si resta legati anche nelle migrazioni, nella mobilità e nel nomadismo. Perché l’identità non è uno stendardo, ma il linguaggio che ci forma, ci consente di esprimerci e ci mette in relazione con l’altro e con l’altrove. Oggi però la lingua è declinata in una pluralità di linguaggi che l’arte valorizza dal punto di vista espressivo, l’immagine e il suono hanno un peso pari o superiore alla parola. Le immagini-suoni sono uscite dalla gabbia delle opere, si autogenerano e mutano continuamente nella loro circuitazione; i “semi” diventano “memi”, accompagnano nel bene e nel male la nostra esperienza quotidiana. È importante non subirli passivamente ma imparare a creare una ​viralità virtuosa​, neutralizzando le viralità patogene. Ed è qui che lo sguardo al passato e lo sguardo al futuro di un’arte fuori di sé si congiungono. Nel libro si suggerisce di ripensare l’educazione come un’arte del cambiamento: unione di apprendimento, ricerca e produzione che miri a una formazione diffusa e permanente, perché è attraverso l’arte che la tecnica può trasformarsi in linguaggio e opporre una resistenza attiva al dilagante impoverimento simbolico dei codici comunicativi ed espressivi. Nel processo in atto di digitalizzazione globale della cultura l’esperienza creativa è chiamata a giocare un ruolo chiave; la creatività va coltivata e alimentata nell’insieme del progetto formativo, perché esprime un’attitudine alla ricerca, all’esplorazione e all’intuizione di soluzioni diversificate e originali. Fa parte di questa potenzialità creativa diffusa il cambiamento del ruolo dello spettatore nella fruizione delle opere d’arte: la produzione artistica che utilizza i dispositivi digitali concentra la propria progettualità sul coinvolgimento attivo dello spettatore. Nel passaggio tra la fruizione contemplativa dell’arte tradizionale e la fruizione attiva dell’arte digitale la differenza consiste in un’immersione anche fisica nello spazio dell’opera. L’arte relazionale, avviata con l’invenzione dell’happening e della performing art, è multiforme e non necessariamente richiede l’adozione di tecnologie; però la presenza di un dispositivo crea una “relazione aumentata”. Appare particolarmente rilevante non solo da un punto di vista estetico, ma anche scientifico e sociologico, la progettazione artistica di esperienze sinestetiche e relazionali aperte, libere, sperimentali, che rimettano al centro la dimensione corporea nella sua integralità. L’arte fuori di sé può intervenire in questo processo diffuso di ​rimediazione del mondo, come una sorta di irriverente spirito guida che mira a rendere estatica l’estetica, trasformando gli elementi e gli habitat tecnologici con un’azione di destabilizzazione virtuosa, di antidoto e di cura simbolica degli automatismi, delle omologazioni commerciali, delle manipolazioni ideologiche, delle dipendenze patologiche, mantenendo quindi sempre aperte finestre sensibili nei portali della globalizzazione.
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