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approfondimento extra lezione sul colore, Schemi e mappe concettuali di Metodologia della ricerca

approfondimento extra lezione sul colore

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 28/06/2023

carolina-venanzi
carolina-venanzi 🇮🇹

6 documenti

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Scarica approfondimento extra lezione sul colore e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Metodologia della ricerca solo su Docsity! Questa dispensa è ripresa dal libro: Clemente Francavilla, Vision & visual design, corso di grammatica visiva per artisti e graphic designer, Hoepli, Milano, 2017 Le dimensioni del colore Numerosi autori del passato hanno immaginato una “sfera cromatica”, vale a dire una rappresentazione tridimensionale del cerchio cromatico. Si deve al pittore svizzero Paul Klee, debitore a sua volta nei confronti di Philipp Otto Runge, l’idea di una sfera cromatica in cui i pigmenti suggeriscono veri e propri “movimenti” lungo e attraverso la sfera cromatica. In particolare, tutti i pigmenti primari, secondari, terziari saturi sarebbero dislocati unicamente lungo un anello coincidente con la linea dell’equatore di questo immaginario globo. I colori, così come accade nell’anello della sfera cromatica, si susseguono senza soluzione di continuità. Al “polo nord” Runge individuò il bianco, al “polo sud” il nero; al centro della sfera individuò il grigio, risultato della mescolanza di bianco e di nero in egual misura, ma anche di tutte le infinite coppie diametrali di colore disposte attorno alla sfera cromatica. Klee specificò che «la cintura dei colori dello spettro è per così dire, l’equatore, i punti bianchi e neri possono essere definiti poli. Il punto grigio sta nello stesso rapporto di differenza rispetto a tutti e cinque gli elementi fondamentali: bianco, azzurro, giallo, rosso, nero. I colori giacciono sul piano sinistra-destra, davanti-dietro e raggiungono la massima purezza sul margine, lungo la circonferenza. I più puri rapporti cromatici si attuano sulla circonferenza. L’estrema limitazione accompagnata dall’equilibrio totale sarebbe rappresentata dal grigio, armonia senza vita» (1). In tal modo immaginò tre specifiche caratteristiche del colore, tonalità, chiarezza e saturazione, in virtù di altrettanti “movimenti” che gli stessi colori sono in grado di suggerire se ciascuno di essi “si sposta” verso i due poli, lungo la circonferenza o attraversando l’intera sfera sino a incontrare il pigmento che gli corrisponde diametralmente. A ben riflettere «così come è possibile far riferimento a un’altezza, a una larghezza e a una profondità per identificare qualunque forma nello spazio rappresentato (quello euclideo), allo stesso modo è possibile individuare delle “dimensioni” riferite all’universo dei colori; anch’essi, infatti, hanno una forma, ovvero una dimensione, anzi tre dimensioni» (2). Tonalità Dimensione caratterizzata da un confronto fra colori che si trovano esclusivamente sulla sezione orizzontale mediana della sfera che ripete esattamente l’anello del cerchio cromatico. Ciascun colore coincidente con la linea dell’equatore si interfaccia con il colore diametralmente opposto, dall’altra parte della sfera. A metà strada del tragitto incontrerà il grigio, sintesi della somma fra i due pigmenti complementari. Lo spostamento diametrale all’interno della sfera cromatica produce una variazione della tonalità del pigmento, avvicinandosi al grigio o (dopo aver attraversato la sfera) a un altro pigmento sulla superficie opposta della sfera. Il collegamento diametrale delle infinite qualità cromatiche (tinte sature) coincidenti con il centro della sfera mediante altrettante infinite “coppie cromatiche” che, nella loro mescolanza danno origine al grigio (il punto baricentrico della sfera cromatica). L’esempio (a) illustra sei tra le infinite coppie cromatiche: giallo/viola, blu/arancio, rosso-arancio- blu-verde, rosso-arancio/verde-blu, verde/rosso, giallo-verde/rosso-viola. La linea tratteggiata all’arancio, un giallo che tende al verde o un blu che tende al rosso assumendo una componente violacea ecc.). Ogni tinta è diversa da un’altra ma conserva, lungo questo infinito tragitto circolare, la massima intensità cromatica. La saturazione di un colore rappresenta la purezza della tinta rispetto alle sue infinite possibili varianti. Un colore è saturo quando non contiene tonalità di altri colori. Allo stesso modo, «c’è un rosso che dà sul giallo (il cosiddetto rosso caldo) e un rosso che dà sull’azzurro (il cosiddetto rosso freddo). Ma tanto l’uno quanto l’altro rappresentano, rispetto al rosso puro, un indebolimento. Dobbiamo dunque constatare che il rosso diminuisce verso l’una o l’altra parte; o viceversa, che il rosso aumenta a partire dall’una o dall’altra parte. Questo aumento da due parti porta naturalmente a un culmine, a un punto culminante dove il rosso raggiunge la sua massima altezza» (4). Le immagini dello schema seguente, offrono la possibilità di immaginare con grande facilità la collocazione o posizionamento di qualsiasi tinta (diversa per gradazione cromatica, chiarezza o tonalità) lungo tutta la superficie della sfera cromatica. Proviamo a individuare il posizionamento di questa tinta. La tinta è un giallo non saturo, mescolato a una percentuale di nero. Questo colore è il risultato di un movimento, quello polare (il giallo si sposta in direzione del nero). La tinta è un rosso tendente all’arancio, non saturo (non giace sulla linea dell’equatore), mescolato a una percentuale di bianco. Questo colore è il risultato di due movimenti, periferico (in direzione del giallo) e, successivamente, polare (in direzione del bianco). La tinta è un verde tendente al giallo, desaturato; risulta pertanto mescolato a una percentuale di grigio (diametralmente al rosso). Questo colore è il risultato di due movimenti, periferico (lo spostamento del verde in direzione del giallo), diametrale (un successivo spostamento verso il centro della sfera cromatica, lungo la sezione trasversale). Allo stesso modo è possibile immaginare che all’interno della sfera cromatica vi siano infinite altre tonalità delle tinte adiacenti sulla superficie che, procedendo verso il centro, si mescolino progressivamente al grigio, in contrapposizione diametrale con la tinta opposta o complementare. Questa contrapposizione può non essere necessariamente simmetrica rispetto al centro della sfera, ma può attraversarla asimmetricamente individuando le “false coppie cromatiche”. Le infinite sezioni orizzontali rappresentano le variazioni di chiarezza (più nero o più bianco) della tinta originaria nella sua massima purezza (i colori che giacciono sulla linea dell’equatore). Quest’ultimo esempio dimostra che una tinta può essere individuata anche “all’interno” della sfera cromatica, a differenza dei due esempi precedenti. Gli esempi (a) e (b) sotto riportati evidenziano come due colori diversi fra loro, posti a intervalli regolari rispetto a un altro colore, diano origine tanto a una variazione tonale, quanto alla nascita di un terzo colore, risultato della miscelazione delle due tinte. Questo tipo di fenomeno visivo noto come “miscela ottica”, prende anche il nome di “effetto di Bezold”, dal nome del suo scopritore Wilhelm Bezold (1837-1907). Tale fenomeno visivo fu ampiamente verificato dai pittori impressionisti e puntinisti. Nell’immagine, le varianti (a) e (b) dimostrano che l’effetto finale della miscelazione ottica è favorita da rapporti di “dimensione” e di “distanza” fra le due forme di colore (le linee e i punti). L’addensamento degli elementi colorati favorisce la nitidezza del risultato prodotto dalla mescolanza o fusione ottica di due colori. Adele Plotkin, Color change, 1954 (ricostruzione digitale dell’autore). Collage su cartone eseguito alla Yale University, durante il corso sul colore tenuto da Josef Albers. Le immagini illustrano la risultante della sovrapposizione di linee trasversali (b) di due colori differenti, su zone cromatiche (a) diverse, usate come sfondo. Gli esempi successivi sperimentano in modo diverso, il fenomeno dell’eguagliamento cromatico. (a) Il grigio tendente al blu-verde appare decisamente indaco se sovrapposto a uno sfondo giallo- arancio, complementare del blu-azzurro. (b) Il grigio tendente al blu-viola appare invece decisamente violaceo se sovrapposto a uno sfondo di colore giallo, complementare del blu-viola (c) Il grigio tendente al giallo-arancio appare ancora più giallastro se sovrapposto a uno sfondo di colore blu perché complementare del giallo-arancio. (d) Il grigio tendente al rosso-viola appare di un viola pallido se sovrapposto a uno sfondo di colore giallo-verde, perché complementare del rosso-viola. Questo effetto di trasformazione cromatica è dunque riconducibile al fenomeno dell’induzione antagonistica. Il meccanismo di questa trasformazione è in realtà molto semplice da comprendere e sempre prevedibile nei risultati percettivi: per esempio, se un grigio posto su uno sfondo giallo- arancio appare di un grigio azzurrognolo, è perché queste due sfumature di colore sono complementari fra loro (come evidenziato dagli schemi con il cerchio cromatico). Pertanto la regola di base è la seguente: un colore si trasforma nel complementare del colore su cui giace. Risulta molto utile affiancare la teoria alla sperimentazione pratica per verificare la misura della trasformazione rispetto alle varie coppie di colore. In tal modo è possibile rendersi conto che questa trasformazione o, più precisamente, la misura dell’imprinting dipende dai colori adoperati. Si noterà che alcuni di essi sono più propensi ad accettare la trasformazione, altri invece rimangono quasi inalterati. Gli esempi appena considerati utilizzano il grigio (solitamente definito un “non colore”) poiché di carattere debole e molto incline ad assumere tonalità diverse. Allo stesso modo, fino a che punto un rosso continua ad essere percepito come rosso, un giallo come un giallo ecc.? Nella realtà, un giallo che tende al verde appare giallo saturo se sovrapposto (o affiancato) a un viola o anche un nero. Viceversa, un arancio saturo appare marrone chiaro se sovrapposto al giallo saturo. Gli stessi colori indotti, sovrapposti a uno sfondo bianco e a uno sfondo nero, rivelano una trasformazione di chiarezza (anziché una trasformazione cromatica). Nell’esempio (a), il giallo tendente al verde appare giallo saturo, quasi uguale allo sfondo dell’esempio (c). Nel caso specifico, lo sfondo nero dell’esempio (a) ne accentua la chiarezza e la purezza avvicinandolo al giallo puro. Nell’esempio (c), il quadrato arancio, saturo sovrapposto al giallo saturo, tende a perdere la sua purezza perché la superficie inducente (lo sfondo di colore giallo saturo) tende a richiamare sul colore indotto (vale a dire l’arancio saturo) il suo complementare (vale a dire il giallo puro). Nell’esempio (b) lo stesso quadrato giallo-verde non nasconde la sua reale sfumatura poiché lo sfondo bianco ne abbassa la brillantezza (rispetto allo stesso colore su sfondo nero). Lo stesso effetto coinvolge, nell’esempio (c), il colore arancio. I prossimi esempi dimostrano che un medesimo colore può avere diverse connotazioni cromatiche o “dimensioni” che il nostro occhio riesce a distinguere con difficoltà se quelle differenze sono osservate separatamente (8). Colori più scuri, più chiari, più saturi, meno saturi ma della stessa tinta. È difficile stabilire le differenze, ancor più se cambia il contesto nel quale interagiscono. una vera e propria trasformazione cromatica bensì una trasformazione di chiarezza: il colore (b) sovrapposto allo sfondo di colore (a) appare più chiaro che non se sovrapposto al colore (c). Questa trasformazione di chiarezza è ben visibile nella striscia orizzontale di colore (b) che attraversa superiormente la coppia di colori (a) e (c). Tre colori che sembrano quattro: in questo esempio il colore indotto (e) di un colore grigio che tende al viola appare di due differenti tonalità come se fossero due colori distinti. In tal caso si verifica una vera e propria trasformazione cromatica: il colore (e) sovrapposto allo sfondo di colore (d) in maniera diversa se sovrapposto al colore (f). Qui assume una tonalità più satura rosso violacea perché il rosso è complementare della dominante cromatica verde dello sfondo (f). Tre colori che sembrano quattro: in questo esempio il colore indotto (h) di un colore grigio privo di variazioni tonali subisce una vera e propria trasformazione cromatica: il colore (h), sovrapposto allo sfondo di colore (g) giallo saturo, assume una tonalità fredda tendente all’azzurro-indaco; viceversa, sovrapposto al colore (i) viola saturo, assume una netta tonalità verdastra. In entrambi i casi, il grigio neutro si carica del complementare del colore su cui giace. * Si precisa che l’attendibilità delle immagini stampate può non coincidere con il reale effetto di trasformazione cromatica. Note e riferimenti bibliografici (1) Josef Albers, Interaction of color, Yale University Press, New Haven-London 1971, trad. it.: Interazione del colore, Pratiche Editrice, Parma, 1991, pag. 13. (2) Le onde elettromagnetiche sono una forma di energia emessa dalla sorgente luminosa. Ciascuna onda E.M. possiede una lunghezza (λ = pron. “lambda”) e una frequenza (ν = pron. “ni”). L’occhio umano è in grado di percepire soltanto radiazioni e.m., appartenenti allo spettro elettromagnetico le cui lunghezze d’onda si trovano fra i 780 e i 380 nm (nanometri). Queste lunghezze corrispondono ai distinti colori dello spettro visibile. (3) Risulta significativo a tal proposito, che lo stesso Arnheim, in un suo celebre studio, releghi l’argomento dedicato all’aspetto fisico del colore solo al capitolo sesto che introduce in tal modo: «se avessimo voluto partire dalle cause prime della percezione visiva, l’analisi della luce avrebbe dovuto precedere tutte le altre, perché senza luce gli occhi non possono vedere forma, colore, spazio o movimento. Ma la luce è qualcosa di più della causa fisica di quanto vediamo» (Rudolf Arnheim, Art and Perception a Psychology of the Creative Eye, University of California 1954; trad it.: Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano, 2000, pag. 247). (4) Ludvig Wittgenstein, Remarks on Colour, Anscombe 1977, trad. it.: Osservazioni sui colori, Einaudi, Torino, 1982. (5) Ivi, pag. 8. (6) Secondo Arnheim «quando le aree stimolanti sono piccole, per esempio quando formano un pattern di punti a grana fine come quello trasmesso all’occhio da un dipinto divisionista, non c’è scomposizione e il risultato è un’autentica mescolanza additiva. Ma quando le unità sono alquanto più grandi, può risultare l’eguagliamento». Infatti, precisa che, «quando le tinte confinanti sono abbastanza simili o quando le aree che le contengono sono abbastanza piccole, i colori si avvicinano invece di accentuare il contrasto» (Rudolf Arnheim, 1954, cit.). A tal proposito Kanizsa precisa che «la condizione necessaria per il verificarsi di questo effetto scoperto da von Bezold e studiato a fondo da Musatti [1953] e da Helson [1963] risiede nel grado di “compattezza” della superficie indicente. Si ha cioè eguagliamento invece di contrasto quando la superficie inducente è “dispersa” nella superficie indotta (linee sottili, dischetti, frammenti)» (Gaetano Kanizsa, Grammatica del vedere. Saggi su percezione e gestalt, Il Mulino, Bologna 1980, pag. 224). (7) Itten si chiedeva: «la costruzione di dischi di 24, perfino di 100 colori, è a mio giudizio uno spreco inutile di tempo, di nessuna utilità pratica per il pittore. Quale pittore sarebbe in grado di immaginare con precisione, senza aiuti esterni, il colore n. 83 del disco a 100 colori?» [Joannes Itten, cit. pag. 34]. Il tempo trascorso da questa affermazione (cinquanta anni circa) ci fa capire quanto le cose siano cambiate: non solo è possibile attribuire un codice di identificazione a una grandissima quantità di colori, di modo che, all’occasione, si possa far riferimento a esso senza possibilità di errore, ma risulta di grande aiuto a chi opera nel settore (non solo designers ma anche artisti). Quelli che Itten chiamava “aiuti esterni” sono oggi offerti dalla tecnologia informatica. La mazzetta dei colori Pantone (PMS - Pantone Maching System) costituisce un campionamento di colori a tinta unita descritti in percentuali di ciano, magenta, giallo e nero (CMYK), ai fini della riproduzione del colore stesso nei processi di stampa. (8) Tale incapacità di distinguere colori (a differenza di quanto avviene per le forme) simili se visti in contesti separati è puntualmente descritta da Arnheim, secondo il quale «il numero di colori che possiamo riconoscere in modo attendibile e facile non supera i sei, cioè i tre primari e i tre secondari che li connettono, anche se i sistemi cromatici correnti contengono varie centinaia di tinte. La nostra sensibilità nel distinguere l’una dall’altra sfumature sottilmente diverse è raffinata, ma quando si tratta di identificare un determinato colore a memoria o a una certa distanza spaziale da un altro, la facoltà di discriminazione rivela gravi limiti» (Rudolf Arnheim, 1954, cit. pag. 270). (9) Tali esercizi sono stati sperimentati dall’autore durante le lezioni sul colore tenute da Adele Plotkin, diretta allieva di Albers a Yale, presso l’Accademia di Belle Arti di Bari, nel 1979. (10) Lois Swirnoff, Dimensional Color, Birkhauser Boston, Inc. 1989, pag. 23. (11) Johannes Pawlick (a cura di), Goethe Farbenlebre, Koln 1974; trad it: Johann Wolfgang von Goethe, La teoria dei colori, Il Saggiatore, Milano, 1981, pagg. 36-37.
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