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Approfondimento su Martin Heidegger, Dispense di Filosofia

In questo file troverai: -Heidegger e il nazismo, -Heidegger e la tecnica, -L’estetica

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 01/07/2024

cinzia-palumbo
cinzia-palumbo 🇮🇹

19 documenti

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Scarica Approfondimento su Martin Heidegger e più Dispense in PDF di Filosofia solo su Docsity! MARTIN HEIDEGGER Pur non essendo classificabile come esistenzialista in senso stretto, il pensiero di Martin Heidegger contribuì in maniera significativa alla storia di questo movimento culturale, soprattutto nella prima fase del suo pensiero. Dopo la pubblicazione di “Essere e tempo” (1927), che per altro è un’opera in compiuta, il filosofo tedesco inizia a maturare una svolta, Kehre, che avrebbe radicalmente modificato il suo approccio alla ricerca filosofica. Inoltre, Heidegger è una figura complessa e controversa non solo per il suo contributo filosofico, ma anche per il suo coinvolgimento con il partito nazista, che, nel corso del tempo, ha generato intense critiche e discussioni. Egli aderì al Partito Nazista il 1º maggio 1933, poco dopo l'ascesa di Adolf Hitler al potere ed il 27 maggio dello stesso anno fu nominato rettore dell'Università di Friburgo. Durante il suo mandato come rettore, pronunciò il famoso discorso sul “L’autoaffermazione dell’università tedesca” in cui espresse sostegno a certe idee del nazionalsocialismo, come l'idea di "rinnovamento" della nazione tedesca. Nel 1934, in seguito a difficoltà e contrasti ideologici con le autorità naziste, Heidegger si dimise —> A questo punto, egli abbandonò ogni velleità politica e si dedicò esclusivamente agli studi e alla ricerca filosofica. Alla fine della Seconda guerra mondiale, Heidegger venne messo sotto accusa per il suo coinvolgimento nel Terzo Reich e fu costretto a subire una serie di umiliazioni come la confisca della casa e, inizialmente, gli fu anche proibito di insegnare. In seguito, grazie anche all’influenza del giovane esistenzialista Karl Jaspers sarà reintegrato all’insegnamento. • Heidegger ed il nazismo Per lungo tempo, molti studiosi tesero a minimizzare il suo coinvolgimento nelle fila di Hitler, ma la situazione cambiò nel 2014, quando iniziò la pubblicazione die cosiddetti “Quaderni neri”. —> 34 taccuini contenenti riflessioni filosofiche dalle quali emerge l’antisemitismo dell’autore, composti in un arco di tempo che va dal 1930 al 1970. Gli argomenti affrontati nei Quaderni neri sono molteplici e molto spesso coniugano filosofia e attualità culturale e storico-politica. E ciò all'interno di un discorso complessivo incentrato sui temi essenziali del pensiero di Heidegger: la questione dell'essere e la storia della metafisica. Dei quaderni pubblicati, l'aspetto che ha fatto parlare i giornali di tutto il mondo e che ha maggiormente attirato l'attenzione degli studiosi sono alcuni passi in cui si accenna agli ebrei. Passi che, secondo alcuni autori, documenterebbero la presenza in Heidegger di un antisemitismo a sfondo filosofico. Su questo aspetto ha insistito soprattutto una studiosa italiana che figura tra i maggiori specialisti odierni di Heidegger: la filosofa Donatella Di Cesare. Ella ricorda come nel passato, contro l'ipotesi di un Heidegger antisemita venissero fatti valere due argomenti di fondo. Il primo era di ordine biografico e faceva leva sui rapporti personali e sulle amicizie di Heidegger con parecchi esponenti del mondo ebraico (fra cui spicca la relazione d'amore con Hannah Arend). Il secondo era di ordine dottrinale e faceva leva sulla lontananza di Heidegger da una visione razzista del mondo e dal grossolano antisemitismo degli ideologi della razza. Ma, con la pubblicazione dei Quaderni neri, è ormai impossibile negare che l'antisemitismo di Heidegger non sia un "di più" ideologico, ma il cardine stesso del progetto nazional-socialista, la sua presenza in alcuni passi dei Quaderni neri non fa che confermare la permanente - e non "episodica" - vicinanza di Heidegger al nazismo. Il fatto che i passi antisemiti di Heidegger, rispetto alla mole complessiva dell'opera, siano pochi, inoltre, non esclude la loro gravità. Tanto più, e in ciò risiede il nucleo più originale della sua lettura, che nei Quaderni neri l'antisemitismo assume una portata non "razziale", bensì "metafisica ", in quanto la questione ebraica viene inquadrata nella questione dell'essere —> L’antisemitismo assume un rilievo filosofico e si inscrive nella storia dell’essere. Nella fattispecie, la questione ebraica viene pensata all'interno del discorso heideggeriano sull'oblio dell'essere, cioè sul processo di riduzione dell'essere all'ente, strettamente legato alla critica della tecnica (processo che fa tutt'uno con la metafisica e con la tecnicizzazione del pianeta). Il 22 giugno 1941, Heidegger annota infatti: “La questione riguardante il ruolo dell'ebraismo mondiale non è una questione razziale, bensì è la questione metafisica su quella specie di umanità che, essendo per eccellenza svincolata, potrà fare dello sradicamento di ogni ente dall'Essere il proprio compito nella storia del mondo.” Per Heidegger gli ebrei sono il popolo "metafisico" per antonomasia. Infatti, sradicati da ogni rapporto con il territorio, non hanno patria e quindi non rispondono a un destino storico. Inoltre, sono un popolo di "affaristi", in cui alberga quel "pensiero calcolante" che è tipico di una civiltà completamente immersa negli "enti", ossia nel mondo degli oggetti e delle cose che ci circondano. Privi di suolo e di fondamento, gli ebrei sono i rappresentanti - e gli agenti - della tecnicizzazione moderna del pianeta e sono coloro che reggono le fila della "macchinazione", ossia dell'universale dominio del fare. Metafisica ed ebraismo andrebbero quindi di pari passo, poiché se la metafisica, per sua intrinseca configurazione, ha spianato la strada all'ebraismo, quest'ultimo, per sua intrinseca essenza, ha favorito la metafisica («poiché dove c'è l'ebreo lì predomina l'ente»). Di conseguenza, se il potere ebraico è connesso al destino della metafisica, l'oltrepassamento di quest'ultima è destinalmente connesso a un superamento dell'ebraismo. Dunque, il nuovo inizio che seguirà il superamento della metafisica, non potrà ospitare la cultura e il popolo ebraico. Quest'ultimo è piuttosto l'avversario o, meglio, il nemico metafisico che, occultando l'essere, sbarra ai tedeschi la strada per arrivare all'«altro inizio». Heidegger parla, dunque, di bellum judaicum, la guerra planetaria contro l'ebraismo, come un evento strettamente connesso alla storia dell'essere, poiché vede gli ebrei come l'emblema di un male profondo, di cui gli ideali moderni di libertà, uguaglianza, fraternità e progresso - con il loro esito nel capitalismo, nella democrazia liberale e nel bolscevismo - non sono che aspetti convergenti (da questo punto di vista americani e sovietici "'pari sono": apparentemente diversi, in realtà sono espressione di una identica struttura di potere personificata dalla tecnica e dagli ebrei). Nei Quaderni neri sono presenti anche altre agghiaccianti testimonianza riguardo il parere del filosofo sui campi di concentramento. Infatti, nelle officine hitleriane della morte, cioè nello sterminio industrializzato degli ebrei nei campi di concentramento, Heidegger scorge l'esito di un processo che, filosoficamente parlando, assume l'aspetto di un «auto-annientamento» (Selbstvernichtung), ossia di un processo per cui la «fabbricazione dei cadaveri» messa in atto nei campi di concentramento non è altro che un aspetto della tecnica, vale a dire di quello stesso ingranaggio che gli ebrei hanno contribuito ad alimentare. In altri termini, gli ebrei sarebbero vittime di quella potenza un oggetto o modella un calice manifesta, o porta alla presenza, qualcosa che prima risultava assente). Anche la tecnica moderna, prosegue Heidegger, è un modo del disvelamento, che tuttavia non si dispiega nella forma della semplice produzione, ma in quella della pro-vocazione —>trarre fuori dalla natura energia da accumulare e da impiegare. In altri termini, a differenza della tecnica degli antichi, che si limitava a favorire l'opera della natura e a seguirla nei suoi autonomi meccanismi, la tecnica dei moderni si configura come un'accumulazione di energia naturale messa a disposizione dell'uomo. Per descrivere l''essenza" della tecnica moderna Heidegger usa il termine Gestell, che scompone nel prefisso Ge ("insieme") e nel verbo stellen ("porre"), attribuendole il significato di "totalità del porre tecnico". Questa totalità assume la forma di una gigantesca macchina al servizio della volontà di potenza, in virtù della quale l'uomo, ponendo le cose come oggetti di manipolazione, risulta a sua volta sollecitato a sempre nuove prestazioni, in una sorta di circolo senza fine. In quanto modo del disvelamento, il Gestell non dipende da un'iniziativa (o da una "macchinazione") umana, ma dall'essere e dal suo destino. Rifiutando la rappresentazione antropologico-strumentale della tecnica, ossia quella prospettiva che fa di essa un mezzo e un'attività dell'uomo, Heidegger dichiara che «l'imposizione è un invio del destino come ogni modo di disvelamento». In altri termini, l'uomo pro-voca la realtà, cioè la riduce a «fondo», perché, da un certo punto di vista, è lui stesso pro-vocato in tal senso, ossia perché si trova a esistere in quello storico e specifico modo del disvelamento che è il Gestell stesso. Passando dall'analisi alla diagnosi, Heidegger sostiene che nel mondo della tecnica alberga un "pericolo" che non proviene dagli effetti mortali che possono avere le macchi- ne, ma dal fatto che, a causa della tecnica, possono andare smarrite l'essenza dell'uomo e l'essenza della verità. Per quanto concerne il primo punto, quando il disvelato non si presenta neanche più come "oggetto", ma solo come "fondo", e l'uomo stesso, nell'assenza di oggetti, appare solo come colui che impiega e amministra il fondo, allora l'uomo cammina sull'orlo estremo del precipizio, ossia là dove egli stesso può essere preso solo come fondo: “E tuttavia proprio quando è sotto questa minaccia l'uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l'apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell'uomo. Questa apparenza fa maturare un'ulteriore ingannevole illusione [...] per la quale sembra che l'uomo, dovunque, non incontri più altri che sé stesso [...]. In realtà, tuttavia, proprio sé stesso l'uomo di oggi non incontra più in alcun luogo; non incontra più, cioè, la propria essenza.” Per quanto concerne il secondo punto, quando quella peculiare forma di disvelamento che è l'im-posizione viene vissuta come unica forma di disvelamento, ossia quando l'uomo, dando per scontata l'equazione "essere = Gestell", non si accorge che il Gestell è solo una modalità del disvelamento, e la sua modalità nichilistica —> in quanto metafisica realizzata, la tecnica coincide con il nichilismo compiuto, ovvero con quell'estremo oblio dell'essere che si manifesta sotto forma di un dominio incontrastato della volontà di potenza. «Ma là dove c'è il pericolo, cresce / anche ciò che salva» ripete Heidegger con Hölderlin, intendendo dire che la tecnica, in quanto pericolo supremo, contiene in sé stessa anche una chance di salvezza suprema. La tecnica è quindi un "Giano bifronte", poiché se da un lato il Gestell produce un sempre più frenetico sprofondare dell'uomo nella dimensione nichilistica della tecnica, dall'altro esso contiene la possibilità di un disvelamento più originario, in grado di fare spazio alla verità dell'essere. Tant'è che, nell'oscurità del Gestell, Heidegger scorge «un primo incalzante lampeggiare dell'Ereignis», ossia la luce post-metafisica dell'essere. In virtù di questo costitutivo rimandare all'essere-evento, di cui la parola poetica è manifestazione privilegiata, la tecnica non rappresenta una contingenza storica da cui fuggire romanticamente, ma un evento destinale da approfondire filosoficamente, cioè da assumere nella sua ambivalenza originaria di possibile annuncio, nel pericolo, della salvezza. In ogni caso, l'uomo non ha alcun potere sulla tecnica. Infatti, poiché la tecnica non è uno strumento (dell'uomo), ma un modo del disvelamento (dell'essere), essa costituisce un evento che sfugge alla nostra progettualità. Nelle grandi dottrine politiche del Novecento - comunismo, fascismo e «democrazia mondiale» - Heidegger scorge soltanto nomi diversi dell’ «universale dominio della volontà di potenza», ossia manifestazioni concomitanti di quella organizzazione tecnica del mondo che manipola le cose e sfrutta la terra, all'insegna del più sfrenato consumismo. Per cui, lungi dall'accordare una preferenza a una figura della modernità rispetto alle altre, Heidegger finisce per equiparare tutte le manifestazioni della modernità. Così, se negli anni Trenta egli aveva visto nell'hitlerismo una forma di «grande politica» in grado di cambiare totalmente la Germania e il mondo, in seguito finisce per scorgere, nel nazismo, un'espressione conseguente della logica "nichilistica" e "tecnica" della modernità, pervenendo a una sfiducia complessiva nella politica che ribadisce anche nelle dichiarazioni del dopoguerra. —— Heidegger non considera negativo lo sviluppo scientifico-tecnologico in sé, ma il dominio del pensiero calcolatore sulla comprensione del rapporto tra uomo e mondo. Si comprenderebbe però male quanto detto fino a ora se si deducesse che Heidegger squalifichi il mondo tecnico in quanto tale; se così fosse, il suo parrebbe un atteggiamento puerilmente reazionario e una lotta inutile di fronte a ciò che è la dinamica irreversibile della storia dell’umanità. Heidegger non nega la grandezza dello spiegamento tecnico-scientifico della modernità e il suo insostituibile valore nel mondo presente e in quello futuro. Ci avverte semplicemente che, alle sue grandi possibilità, si accompagna, come la sua ombra, un grave pericolo: che il pensiero che ha reso possibile e mantenuto questo sviluppo - il pensiero calcolatore e oggettivante - si converta nell’unico pensiero; il pericolo che, ipnoticamente affascinati davanti agli spettacolari risultati pratici che hanno reso possibile il progresso tecnico (è evidente la fascinazione immediata che apportano i risultati utili, così come il “benessere” che tali risultati rendono possibile e che ingenuamente si identifica con la “felicità”), facciamo di esso l’atteggiamento esclusivo o predominante nella relazione dell’uomo con il mondo. È, inoltre, importante ricordare che, secondo Heidegger, l’attuale “tecnificazione” del mondo si ritrovi in altri tratti caratteristici e determinanti del nostro momento storico-culturale. Uno di questi corrisponde a ciò che Heidegger denomina: “la dittatura della pubblicità [Öffentlichkeit]”. Questo fenomeno, già analizzato in Essere e tempo, viene dal “secondo” Heidegger riproposto in parallelo con quello del dominio tecnico-scientifico nel mondo globale, il cui nesso con la spersonalizzazione nel “si anonimo” dell’uomo contemporaneo risulta evidente. La dispersione del soggetto nell’immediatezza quotidiana è un’altra manifestazione della moderna oggettivazione del mondo, della univocità di pensiero e comportamento e della mono-dimensionalità (ricordiamo che l’autore dell’Uomo a una dimensione, Herbert Marcuse, fu allievo di Heidegger all’università di Friburgo) di tutto e di tutti nell’era della tecnica. Intrinsecamente unita a questa “dittatura della pubblicità” vi è la crescente centralità della “informazione”. I mezzi pubblici di comunicazione sostentano la loro capacità di potere e di controllo in una strategia di omogeneizzazione, standardizzando modi di essere e di pensare, opinioni, gusti, inclinazioni e bisogni; livellando superficialmente, riducendo, infine, l’essere all’apparire. Segno innegabile del dominio del pensiero calcolatore è la necessità da parte dell’uomo di accumulare informazioni e usarle per dimostrare sicurezza. Per Heidegger l’importanza travolgente dell’informazione nella nostra cultura, della conoscenza non più intesa come dimensione migliorativa del proprio essere, bensì come qualcosa che è necessario “avere” e accumulare per calcolare e avere potere, è il sintomo inequivocabile della caduta dell’uomo sotto “la dittatura della pubblicità”, segno caratteristico dell’epoca del trionfo del pensiero unico tecnico-scientifico: si strumentalizza il linguaggio e lo si riduce a mezzo di informazione: «Il modo di accesso uniforme a tutto e per tutti». Secondo Heidegger oggi domina, attraverso il “sistema dell’informazione”, un opinare (doxa) uniforme e unilaterale, univoco e quindi nella sua essenza tecnico. Questo livellamento del linguaggio “tecnico-informativo” è solo apparentemente asettico; in realtà, nascondendosi dietro il “si”, occulta che «quando in-forma, ovvero, comunica notizie, sta, nello stesso tempo, formando, dunque, disponendo e dirigendo». Colui che si informa, di fatto, crede di sapere; e se per sapere si intende il modo di calcolare, è realmente così. Il fatto è che, in definitiva, ciò che interessa è usare l’informazione, non la possibilità di essere modificato essenzialmente da essa; interessa dominarla, subordinarla per fini stabiliti. Questo avviene perché dietro tutto ciò che è stato segnalato, dietro la tecnificazione del mondo, della dittatura della pubblicità e dell’informazione soggiace - secondo Heidegger - ciò che è forse il tratto fondamentale dell’attuale essere-nel-mondo dell’uomo: la ricerca di sicurezza. Una sete di sicurezza crescente che, ben lungi dall’essere saziata dall’organizzazione razionale e tecnica, viene da essa accresciuta. L’insicurezza è, così, il primo effetto della ricerca della sicurezza. In contrapposizione al pensiero calcolatore, Heidegger propone il “pensiero meditativo” che non “chiacchiera” né accumula, ma tace e si svuota, non vuole nulla di determinato anticipatamente e, per questo, può corrispondere con ciò che è, esserne lo specchio limpido. Non sottomette l’ente ai suoi dettami, bensì lascia essere l’essere. Non pianifica, perché non impone i suoi ritmi e le sue mete. Ascolta prima di parlare, anche a rischio di non aver nulla da dire, o meglio, anche a rischio di aver tanto e di così profondo da dire che l’acutezza e il dominio della ragione divengono balbettii. Il salto che ci tirerebbe fuori dall’assedio delle opinioni abituali, dominate dal “si anonimo”, in cui l’uomo parla solo e sempre di sé, sarebbe l’apertura all’essere. Perché ogni pensare autentico è sempre “pensare dell’essere”. Pensare equivale a dar voce all’essere che costituisce per l’uomo l’origine e il destino del pensiero. Con ciò l’essere umano non fa altro che permettere che il pensare esprima con pienezza la sua essenziale referenza all’essere; in tal modo l’uomo si rapporta a ciò che già è, era e sarà: la sua essenziale appartenenza all’essere come origine e destino. Questo concetto viene sintetizzato da Heidegger con il termine Ereignis, alla lettera evento, ma di fatto secondo Heidegger intraducibile (come il termine greco lógos). Heidegger intende infatti con Ereignis il pensare l’essere non come una statica presenza, ma come
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