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Il giornalismo letterario in Europa e in Italia dal 1700 al 1800, Appunti di Letteratura Italiana

Un'analisi del giornalismo letterario in Europa e in Italia dal 1700 al 1800. Vengono descritte le origini del giornalismo letterario, la nascita del giornalismo in Europa, gli ostacoli alla stampa periodica, il giornalismo in Inghilterra e in Italia, la figura di Giuseppe Baretti e la Frusta Letteraria, la nascita del giornalismo letterario e la produzione editoriale, i nuovi formati tra cui i pamphlet e le enciclopedie, l'Enciclopedia francese e l'edizione monumentale dei Rerum Italicarum Scriptores.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 12/12/2023

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Scarica Il giornalismo letterario in Europa e in Italia dal 1700 al 1800 e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! programma ita (1) 1 programma ita (1) introduzione generale e origini del giornalismo letterario pre-giornalismo nascita del giornalismo in europa: il journal in francia e il transactions in inghilterra nascita del giornalismo in italia giornale de’ letterati d’italia (1710-40) contenuti estratti ostacoli alla stampa periodica giornalismo in inghilterra nel primo 700 weekly review (1704-13) the examiner (1710-14) the spectator (1711) estratti giornalismo italiano nel secondo 700 la gazzetta veneta (1760-61) articolo “il sogno” l’osservatore (1761-62) estratti la figura di giuseppe baretti e la frusta letteraria (1763-65) biografia di baretti pre-frusta nascita della frusta e biografia di baretti post-frusta estratto dall’introduzione alla frusta letteraria riassunto delle polemiche ed orientamento della critica barettiana programma ita (1) 2 RIFERIMENTI: slide, appunti, materiale moodle; 1a parte = domande aperte in corso; analisi e commento di uno dei testi analizzati a lezione. 2a parte = letture di approfondimento + esercitazione abbozzata durante parte seminariale. fa media con voto domande aperte. estratto da recensione negativa de “le memorie istoriche” / arcadia estratto da recensione positiva de “il giorno” di parini estratto da recensione positiva delle “lettere familiari” estratto da fittizia “lettera al novello sposo” il caffè (1764-66) estratto “introduzione” dal primo numero di pietro verri estratto “al lettore” dal primo tomo estratto “de’ fogli periodici” di cesare beccaria estratto “rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al vocabolario della crusca” di alessandro verri estratto da “la commedia” di pietro verri giornalismo europeo e italiano tra il 1766 e il 1816 la biblioteca italiana (1816-1840, da 40 a 59 con titolo giornale dell’istituto regiolombardo di arti) estratto da “sulla maniera e la utilità delle traduzioni” di madame de stael estratto “sul discorso di madama di staël – lettera di un Italiano ai compilatori della biblioteca” di pietro giordani estratto da “lettera di madama la baronessa di stael holstein ai signori compilatori della biblioteca italiana” il conciliatore (1818-1819) analisi programma del conciliatore di pietro borsieri estratto da “sopra un manoscritto inedito” di berchet estratto da “vita d’un orso” di federico confalonieri antologia (1821-32) programma ita (1) 5 davano alle testate il diritto di diffondere in esclusiva le notizie relative alle vite delle corti, ma con limiti, in quanto erano sottoposte al loro controllo, in una sorta di censura (in Inghilterra questo tipo di censura venne abolita nel 1695, motivo per cui si orienta verso il moderno gironalismo d’opinione). Il nome deriva dal fatto che a Venezia questo tipo di pubblicazioni costavano 2 soldi, la cui moneta era chiamata in veneziano “gazzetta”. nascita del giornalismo in europa: il journal in francia e il transactions in inghilterra La gazzetta fu poi sostituita dal giornale, distinto da essa per raffinatezza, cultura, periodicità; destinato a un’élite intellettuale, oltre alle notizie, che non sono più solamente di ambiti politico, commerciale, militare, ma riguardanti tutti i campi dello scibili umano, ospita inoltre dibattiti culturali, letterari (letteratura era nel 700 sinonimo di cultura enciclopedica). Il termine giornale, derivato dal francese journal fu scelto dai redattori di questi periodici per distinguersi dalla gazzetta, ritenuta di livello inferiore. E’ quindi nel 700 che nasce il giornalismo letterario e la produzione editoriale è agevolata da perfezionamenti tecnici e slancio imprenditoriale da parte di editori europei. Si moltiplicano le edizioni di ogni tipo di opere (non più solo testi religiosi, morali, ma anche filosofiche, tecnico-scientifiche). L’incremento della produzione editoriale contribuisce all’ampliamento del pubblico di riferimento (da colto a erudita durante il 700, a tutta la borghesia alfabetizzata nell’800). Nascono contemporaneamente nuovi formati tra cui i pamphlet (saggi brevi a tono satirico, polemico) e enciclopedie; quella di Diderot e d’Alambert, opera chiave dell’illuminismo francese, e che sarà da modello anche per gli illuministi italiani. Oltre all’Enciclopedia francese, in Italia importante impresa è edizione monumentale dei Rerum Italicarum Scriptores. Edizione composta da 20 tomi, curata da Ludovico Antonio Muratori il quale contava sulla collaborazione di numerosi scrittori, eruditi d’ogni parte d’Italia, in comunicazione con loro per via epistolare. Raccolta di document rilevanti per la storia italiana, redatti tra il sesto ed il sedicesimo secolo, pubblicati per la prima volta tra 1723 e 1738. programma ita (1) 6 In territorio francese il fervore culturale è rappresentato, oltre che dall’enciclopedia, dal “Journal des Scavans”, fondato a Parigi da Denis de Sallo, è stato il primo giornale scientifico letterario europeo, cui primo numero fu pubblicato il 5 gennaio 1665. Aveva un preciso programma editoriale: elogi e scritti commemorativi - di taglio bio-bibliografico - di studiosi defunti; comunicazioni e segnalazioni di scoperte artistiche e scientifiche, di esperimenti di chimica e fisica, di osservazioni astronomiche e anatomiche; principali decisioni prese dai tribunali secolari ed ecclesiastici e le novità in fatto di censura; segnalazione di quanto ritenuto utile per i dotti e gli eruditi catalogo dei libri recentemente stampati in Europa; A marzo nella testata appare la prima recensione storicamente accertata in cui una donna, Madame de Sablé presentava in anteprima ai lettori un’opera appena pubblicato (le Massime di Foucolt). Il Journal fu importante perchè contribuì ad aumentare la divulgazione scientifica / comunicazione tra scienziati. Ebbe cadenza settimanale fino al 1723. Alcuni mesi più tardi nasce anche il “The Philosophical Transactions”, a marzo 1665, edito dalla Società scientifica londinese. E’ stata la prima rivista al mondo dedicata all’area scientifica e la più longeva al mondo, ancora oggi in attività. Con il termine “philosophical” si intende la filosofia naturale che tra 600 e 700 equivaleva alla scienza naturale. Nel corso dei secoli importanti scoperte scientifiche sono state pubblicate su questo giornale tra cui per esempio Newton, Maxwell, Faraday, Darwin. Nel 1762 pubblicano il primo articolo di Newton “La nuova teoria sulla luce e sui colori”, considerato inizio della sua attività scientifica. nascita del giornalismo in italia In generale ogni città italiana rilievo ha la sua pubblicazione in cui collaborano molti letterati dell’epoca. Sulla scia di questi modelli il primo periodico a carattere scientifico-letterario a nascere in Italia è il “Giornale de’ letterati”, Roma, 1668-1683, diretto dall’abate programma ita (1) 7 Nazari. giornale de’ letterati d’italia (1710-40) Successore è il “Giornale de letterati d’Italia”, Venezia, frutto di collaborazioni di tre grandi letterati dell’epoca, Scipione Maffei, Apostolo Zeno, Antonio Valnisneri, che cercano di distinguersi nella panoramica periodista italiana, seguendo i modelli francese e inglese. 💡 Maffei fu importante letterato veronese e autori di opere teatrali. Zeno aiuta la rivoluzione del melodramma, chiamato anche presso la corte imperiale viennese come poeta cesario → scittura opere rappresentate a corte → intermediario tra corte e sudditi; a lui succede poi Pietro Metastasio. Valnisneri oltre che scrittore e scienziato naturalista insegnò medicina a Padova. All’interno del Giornale, Maffei era coordinatore, Valnisnieri si occupava della redazione di articoli di lingua (vedi estratti), mentre Zeno collabora al giornale per soli 8 anni prima di essere chiamato dalla corte viennese. Nonostante ciò fu tra i tre ideatori quello con più senso pratico e spirito d’iniziativa; è grazie a lui che il giornale vede luce in quanto era lui a preoccuparsi di mantere il favore degli abbonati, intercettando eventuali nuove esigenze. Tre sono i motivi per cui il Giornale si distingue: 1. Rilievo storico culturale, in quanto fu la più notevole testata per qualità del giornalismo letterario erudito in Italia nel 700; 2. Durata, circa trent’anni e dimensioni, ogni anno tutti i fascicoli pubblicati venivano raccolti in un tomo, per un totale finale di 40 tomi indicizzati (il che ne ha reso più facile lo studio) a cui se ne aggiungono 3 di supplementi. programma ita (1) 10 Si manifesta qui l’esigenza di un nuovo linguaggio e nuove modalità espressive che possano dare la possibilità ai giornalisti di non solo essere compresi ma di permettere interventi sull’opinione pubblica. La lingua italiana avente ancora come modello il Vocabolario degli Accademici della Crusca risulta arretrata. I termini favoriti dalla Crusca erano infatti ancora quelli dell’italiano trecentesco; l’Accademia nasce nel 500 per conservare e mantener pura la lingua italiana seguendo quanto teorizzato da Pietro Bembo nel 1525 (il quale individua come figure di riferimento le tre corone: Dante, Petrarca, Boccaccio). Pur conoscendo diverse stampe, con la terza impressione nel 600, non furono fino ad allora aggiunti termini tecnico-scientifici. Noi vorremmo che qualche valentuomo desse parimente l’ultima mano a questo Vocabolario del Cionacci intorno alla Medicina. Così pure sarebbe utilissimo che ne avessimo uno della Matematica, uno della Navigazione, uno della Legge, uno della Mascalcia, e così discorrendo per tutte le Arti e Scienze. In Latino e in Francese ne sono usciti parecchi di questa fatta, i quali la nostra Italia può invidiare alle altre nazioni. Giornale de’ letterati d’Italia, XVIII, 1714, pp. 447-448 Con questi due estratti il giornale dei letterati interviene quindi sulle questioni lessicografiche legate all’utilizzo dei termini tecnici. Si fa presente come sarebbe a vantaggio della lingua italiana la pubblicazione di opere lessico-grafiche tecniche, che forniscano quindi un vocabolario tecnico che faciliterebbe i giornalisti nella scrittura di articoli scientifici, tecnici. La recensione da cui è preso l’estratto termina poi con un’esortazione finale in cui giornalista si augura completamento opera di Cionacci per l’aggiunta di un vocabolario medico alla lingua italiana al Vocabolario della Crusca; viene inoltre fatto notare come in latino e in francese opere di questo tipo esistano già, fatto che sottolinea l’arretratezza della lingua italiana. Progressiste sono anche le vedute di un altro degli esponenti del Giornale, Antonio Valnisieri: anch’egli infatti porta avanti sul giornale una battaglia decisiva per il rinnovamento della lingua italiana. Nell’articolo “Che ogni italiano debba scrivere in Lingua purgata italiana, o Toscana per debito, per giustizia e per decoro della nostra storia” pubblicato nel 1722, sostiene in modo programma ita (1) 11 appassionato e non quindi occasionale l’utilizzo della lingua italiana volgare per l’espressione di concetti scientifici, per i quali era ancora utilizzato il latino. Valnisnieri articola il suo discorso per punti, aspetto tipico del linguaggio giornalistico (info rese brevi, sintetiche, dirette), e ad ogni punto corrisponde un aspetto positivo della lingua italiana: 1. La prima si è che il nostro Idioma sia ricco e copioso di voci, e di sinonimi, a fine di poterne far libera elezione de’ migliori, e de’ più confacenti all’eleganza dello stile, e alla sua proprietà del parlare, conforme il soggetto, di cui imprende a ragionare. 2. Che porti seco agevolezza e comodità di favellare […]. 3. Che sia capace di molte e varie figure, e di forme nobili ed ingegnose, che conferiscono agli artefici dell’eloquenza la varietà dello stile. 4. Che sia di suono dolce e spedito nella pronunzia. 5. Che finalmente tutto ciò si intenda tanto della prosa, quanto del verso. Quanti solecismi barbarismi, maniere di dire abbiette, vocaboli barbari, oscuri, plebei, continuamente senza nausea si leggono? Quale stile duro, aspro, confuso, disaggradevole si ritrova? Quali, e quanti errori nella sola ortografia, e nelle più trite regole della grammatica s’incontrano?» programma ita (1) 12 A. Vallisneri, Che ogni italiano debba scrivere in Lingua purgata Italiana, o Toscana, per debito, per giustizia e per decoro della nostra Italia (Giornale de’ letterati d’Italia, sup. 1722, pp. 267-270) Segue una lista una lamentela scatenata da come molte persone, pur dotate di alta istruzione, non siano in grado di raggiungere un livello di scrittura elementare, abbiano ortografia scorretta e vocabolario povero; tutti elementi che rendono la prosa confusa, incomprensibile. E’ implicitamente anche una critica ai medici che per scopo di lucro continuavano a sostenere l’uso del latino in ambito medico (era un modo per loro di camuffare la loro ignoranza, non essendo compresi da chi li ascoltava, i “barbarismi”). Valnisnieri sostiene che l’italiano a lui contemporaneo fosse adatto in quanto più evoluto rispetto a quello trecentesco. […] il suo disegno [di Vallisneri] è differente da quello degli Accademici della Crusca; essi apportano voci, che sieno usate da Autori Classici di lingua, il Vallisneri spiega le idee che i Medici e Storici naturali unirono sotto di esse, nulla importando a lui da chi dette; e sì nel parlare di quel riguardevole corpo della Crusca, che della lingua Italiana il più bel fior ne coglie, come nel giudicio di questa sua fatica, egli è pieno al suo solito di modestia, e pronto a correggersi e rimettersi alle chiare ragioni di chiunque gli dimostrasse gli errori suoi. Le voci da lui spiegate sono al numero di ottocento e più. Giornale de’ letterati d’Italia, XL, 1740, p. 136 Ultimo estratto preso dall’ultimo volume del Giornale, si tratta di un pezzo di articolo a scopo celebrativo dedicato a Valnisnieri; il giornalista ricorda la sua lotta contro le rigide regole imposte dall’Accademia della Crusca, come lui non le rispettasse e invece programma ita (1) 15 che prendono piede in quei secoli; importante in quanto precursore del giornalismo moderno. Le notizie riportate erano di ogni tipologia e facevano da commento alla cultura e società inglese: si parla quindi di taglio critico-divulgativo. Nel Weekly viene pubblicata anche una rubrica innovativa nel panorama giornalismo, chiamata “scandal club”, dove venivano riportate discussioni di costume, morale (modello x giornali successivi). Dalla frequenza prima bisettimanale poi trisettimanale, le notizie erano presentate suddivise su due colonne. the examiner (1710-14) Fondato da Swift, sulle colonne egli impara a condurre una satira corrosiva della società, caratteristica che poi ripropone all’estremo nei suoi romanzi, tra cui “I viaggi di Guilliver”. L’Examiner si oppone al Review per le visioni contrapposte dei due redattori: mentre Defoe era sostenitore della media borghesia e della loro istanze, Swift era invece dalla parte dell’aristocrazia terriera e di conseguenza rivolgeva la sua satira a quelle che riteneva le degenerazioni morali della nuova borghesia. Esempio della satira estrema swiftiana è il pamphlet (genere che Swift peraltro inaugura) del 1729 intitolato “A Modest Proposal for preventing the Children of Poor People from being a Burthen to their Parents or the Country, and for making them Beneficial to the Public”, nel quale propone l’eliminazione dell’80% dei bambini classi sociali non abbienti, ma invece che farli sparire Swift teorizza che essi vengano messi in allevamenti per essere utili come cibo alle generazioni più vecchie, teoria ovviamente assurda per provocare la nuova borghesia. the spectator (1711) Fondato da Addison e Steele, pubblicato quotidianamente (esclusa la domenica), durò per solamente un anno, ma esercitò importante influenza. Ha in particolare il grande merito di introdurre in ambito giornalistico la fiction. Ogni numero presenta un nuovo dialogo fittizio, immaginato sulla base delle vicende di attualità, che avviene in un club tra personaggi fissi (utilizzati come portavoce delle diverse categorie sociali in modo da avere un confronto; notabile presenza anche di personaggi femminili), tra cui il giornalista, che però, invece che essere parte degli eventi, diventa un osservatore passivo che riporta le discussioni a cui programma ita (1) 16 assiste, lo stesso atteggiamento che finisce per diventare quello principale della stampa più sensibile, obiettiva. La presenza del giornalista fa si che le discussioni mantengano sempre tono amabile, pacato e colloquiale, oltre che sempre ironico; il giornale risulta vivace grazie alla presenza dei discorsi diretti e il pubblico a cui lo Spectator si rivolge, vale a dire il ceto medio, è in grado di riconoscersi in essi (la fiction permette di esplorare anche i costumi, i modelli di vita, la cultura dell’epoca). L’ideale alla base dello spectator è che il dialogo sociale (tra le diverse categorie) porti al progresso, inteso come miglioramento delle condizioni di vita e più in generale miglioramento della società. In questo processo di battaglie di idee, i giornalisti si fanno da interpreti. Se ne deduce quindi che il giornalismo ha un ruolo preciso e può quindi contribuire al progresso della società; questa idea è rafforzata anche dal fatto che il giornalismo è portavoce dell’opinione pubblica. E’ da questo ideale che i fratelli Verri prenderanno poi ispirazione per la creazione del Caffé. estratti Con molta soddisfazione sento che questa gran città chiede cotidianamente di questo mio giornale, e accoglie le mie conferenze mattutine con quella serietà e quell’attenzione che si convengono. Il mio editore mi dice che già se ne distribuiscono tremila copie al giorno, sicché se per ogni copia supponiamo venti lettori, il che considero un computo modesto, posso fare assegnamento su sessantamila discepoli a Londra e a Westminster, che spero avran cura di distinguersi dallo spensierato gregge dei loro fratelli ignoranti e disattenti. Dal momento che mi son venuto raccogliendo un uditorio così vasto, non risparmierò fatiche per renderne gradevole l’istruzione e utile il divertimento. Per tali ragioni cercherò di ravvivare la moralità con lo spirito e di temperare lo spirito con la moralità, sicché i miei lettori possibilmente riescano in un modo o nell’altro a trovare il fatto loro nella meditazione del giorno. E affinché la loro virtù e la loro discrezione non consistano di programma ita (1) 17 lampi di pensiero brevi, passeggeri, intermittenti, ho risoluto di rinfrescare la loro memoria di giorno in giorno, fintanto che io non li abbia risanati da quella disperata condizione di vizio e di follia in cui è caduta l’età. L’animo che giace incolto in un sol giorno germoglia di follie che possono estirparsi soltanto con una cultura costante e assidua. Fu detto di Socrate che portò la filosofia dal cielo a vivere tra gli uomini; ed io avrò l’ambizione che si dica di me che ho tratto la filosofia dagli studi e dalle biblioteche, dalle scuole e dai collegi, ad abitare nei circoli e nelle riunioni, ai tavolini e nei caffè. Perciò vorrei raccomandare le mie considerazioni in modo particolare a tutte le famiglie ordinate, che il mattino dedicano un’ora al tè e al pane e burro; e le vorrei consigliare pel loro bene di farsi servire puntualmente questo giornale e di considerarlo come parte del servizio da tè. J. Addison, The Spectator, 1711 Nell’estratto Addison tira le somme del successo dello Spectator; gli aspetti fondamentali sono: 1. Le stime proposte; 60 mila lettori allora era un decimo della popolazione londinese, una delle città più popolate d’Europa, e tenuto in conto anche alto tasso analfabetismo, quello dello Spectator è un successo straordinario. Il successo non è solo in Inghilterra ma anche nel resto d’Europa. 2. Con la nota “avranno cura di distinguersi dallo spensierato gregge” Addison auspica che i lettori del giornale possano distinguersi per cultura e erudizione da coloro che non leggendo rimangono nell’ignoranza e disattenzione. Lo scrittore esprime inoltre la preoccupazione tipica del giornalista, quella cioè di soddisfare il lettore, cercando di “renderne gradevole l’istruzione e utile il divertimento”, affermazione che ricorda il concetto fondamentale dell’utile dulci di Orazio; “trovare il fatto loro” sottolinea come le informazioni fornite dal giornale debbano essere metabolizzate e quindi interiorizzate e meditate. Egli si programma ita (1) 20 L’influenza dello Spectator è notabile in due aspetti della Gazzetta: 1. Attrazione di Gozzi per particolari descritti abilmente, non disdegnando elementi della realtà e del quotidiano; 2. Scrittura di articoli basati su finzione: nel caso di Gozzi, egli finge di ricevere lettere da parte dei suoi lettori e di rispondervi nei suoi articoli. Come nello Spectator, al pubblico viene data voce. Forma prediletta del redattore sono brevi articoli, definiti dai termini “dialogo”, “ragionamento” o “sogno”, dal contenuto didascalico, didattico. Il registro è quello di una riflessione pacata, moraleggiante. N’è un esempio il seguente: articolo “il sogno” Egli mi parea di essere come in una larga piazza, dove era gran concorso [affluenza] di genti da tutte le parti, quali mascherate e quali no [la storia si svolge presumibilmente durante una festa di carnevale]; ma tutte mi aveano aspetto di voler godere senza pensieri. Fra gli altri luoghi la calca era maggiore ad uno specialmente. Quivi io vedea uomini e donne vôlti con la faccia alquanto all'insù, e alcuni appoggiavano il mento sulle spalle di chi gli stava innanzi, e chi rizzatosi sulle punte de' piedi, allungava il collo per vedere [da notare la maestria con la quale l’autore descrive in modo realistico gli atteggiamenti degli spettatori]; di che sentendomi l'animo acceso in curiosità, feci come gli altri e mi posi fra gli spettatori. Era dinanzi a noi rizzato un palco, e sopra di quello passeggiava or dall'una, or dall'altra parte un uomo mascherato, il quale favellava al popolo; ma io non potea colpir bene le parole per essere da lui lontano: onde domandato uno che mi stava d'accosto, chi quegli fosse e che quivi facesse, mi programma ita (1) 21 venne risposto ch'egli era un cert'uomo dabbene, il quale mascheratosi contraffacea il cantimbanco o venditore di bagattelle, e che con tale imitazione avea fino allora dato non picciolo diletto alle persone. Per la qual cosa desiderando io allora molto più di vedere e di udire, fra gente e gente mi feci la via, ora con buona licenza ed ora spingendo e ricevendo qualche gombito ne' fianchi o nello stomaco, tanto ch'io andai molto bene avanti e fui al palco vicino. Avea in quel tempo il buon uomo tratto fuori una sua bertuccia [un tipo di scimmia], e vestitala a modo di femminetta, con una cuffia in capo fornita di un bel fiorellino, al collo avea un collaretto squisitamente lavorato, alle braccia bellissimi manicottoli, e in somma vestita, che avreste detto lei essere una donnicciuola. La bestiuolina era ammaestrata per modo, ch'ella fingeva ora di essere affacciata alla finestra, e facea attucci e chinava il capo come se avesse salutato alcuno, e appresso aggiungeva un certo risolino; poi la si metteva in contegni. Ora pigliava un libro in mano e menava le labbra in fretta, fingendo di leggere, ma in fatto guardando con la coda dell'occhio fuori delle carte. Poscia la facea come le viste di uscire di casa, e passeggiava dimenando le sue membroline co' più bei passini che mai vedeste, e di tempo in tempo si voltava indietro adirata, mettendo le mani sulla veste, come se alcuno gliel'avesse calcata dietro co' piedi. [descrizione estramente dettagliata dei comportamenti della scimmietta, vestita da donna e ammaestrata per comportarsi come tale, le vengono attribuiti gesti umani es. come se avesse salutato, fingendo di leggere, passeggiare → da qui critica di una brigata di donne] programma ita (1) 22 Ma mentre ch'ella volea più altre imitazioni fare, delle quali parea che alcuni si rallegrassero, una brigata di donne che quivi era, volse le spalle, dicendo che quelle erano frascherie da annojare e ammazzare e non da ricreare un comune, e che l'erano andate colà credendosi di udire cose d'importanza e non di vedere storcimenti e visacci. Il buon uomo, udito l'amaro motteggiare e il fastidio di una parte de' suoi spettatori, benchè l'altra sembrasse soddisfatta, chiuse la bertuccia in una certa casipola di legno e trasse fuori un pappagallo. [la messinscena viene malgiudicata da un gruppo di spettatori, e per via del malcontento il saltimbanco cerca di riguadagnarsi il favore di quel gruppo con un’ulteriore messinscena, con nuovo protagonista un pappagallo. Gli spettatori possono essere assimilati ai lettori del giornale o più in generale alla società contemporanea, e il saltimbanco sarebbe invece Gozzi, il quale, come il primo, cerca di accontentare tutto il suo pubblico]. Avea questo uccello, come molti della sua specie, favella umana; ma articolava chiaramente e speditamente le parole quanto altro pappagallo che fosse mai stato; e oltre a ciò non dicea le parole interrotte o non significative di qualche cosa, ma avea imparate a mente molte novellette morali, e fra le altre mi ricordo ch'egli disse una favoletta a questo modo: [pappagallo utilizzato per introdurre una seconda storia all’interno della storia originale] Signori, meglio è appagarsi dello stato proprio, che credere alle speranze che ci vengono date dagl'ingannatori [morale esplicitata]. E' fu già pochi giorni passati in una bottega un topolino, il quale avendo speso tutto il suo in mangiare lautamente, vivea dell'altrui e andava trafugando ora una cosa programma ita (1) 25 Intanto era quasi tramontato il sole; onde la maschera, ringraziata la udienza prima di partirsi, chiuse il suo parlare con queste parole: Io ho procurato d'intrattenere ognuno in diverse fogge; alcuni sono rimasi appagati di una cosa, alcuni altri da un'altra: così va in un gran popolo. Verrò qualche altro dì; cercherò nuove cose; ma così sarà ancora. [pur consapevole che riceverà sempre critiche e dovrà quidi trovare “nuove cose” per accontentare il suo pubblico, non abbandona le speranze e preannucia il suo ritorno] Addio. G. Gozzi, Gazzetta veneta, n. XVI, 29 marzo 1760 l’osservatore (1761-62) + inserti pubblicitari sotto forma di novella Revista dalla cadenza prima settimanale e poi bisettimanale, e che ha nuovamente come unico redattore Gasparo Gozzi, ma questa volta di impostazione letteraria: vengono eliminati gli annunci comerciali e inizia ad essere trattata una più ampia portata di temi. Si sente nuovamente l’influenza dello Spectator: il giornalista diventa osservatore. Gozzi di scrive in diversi tipi di prosa (sogni, lettere, dialoghi, favole, novelle), ma con unico obiettivo quello di intervenire sulla società, dando ad esse insegnamenti morali. Tra i tipi di prosa importanti sono i ritratti morali: descrizioni dettagliate di personaggi fittizi rappresentanti i diversi tipi di comportamenti umani universali. La sua abilità nel creare personaggi è accostabile all’abilità di Goldoni nella creazione dei protagonisti delle sue commedie o ancora all’abilità del pittore Pietro Longhi, pittore del 700 le cui tele erano ispirate alla vita quotidiana veneziana. Pur con descrizioni brevi (poche pennellate), Gozzi nei suoi ritratti crea personaggi definiti, seguendo le regole di un genere letterario noto ossia il ritratto satirico morale che praticato anticamente dallo scrittore greco Teofrasto e successivamente ripreso da Jean De la Bruyère nella composizione dei ‘caractères’. programma ita (1) 26 Fu apprezzato da diversi critici tra i quali Giuseppe Baretti, un critico molto pungente e caustico, che lo definisce giornale ricco di cose sia piacevole che utili per il miglioramento della società. L’esperienza dell’Osservatore è più di tipo letterario che giornalistico, anche per la mancanza di riferimenti all’urgenza del reale e per l’impossibilità di avviare un dialogo con le istituzioni; elementi che poi hanno portato al fallimento di questa testata. Con la fine dell’Osservatore, Gozzi diventa poi un funzionario pubblico addetto alla revisione delle stampe, ossia i riformatori dello studio di Padova, una magistratura che si occupa della politica culturale della repubblica di Venezia, e dove il suo compito era quello di censore dei libri, lavoro che svolse con buon senso e apertura mentale notevole. estratti RITRATTO PRIMO Lisandro, avvisato dallo staffiere che un amico viene a visitarlo, stringe i denti, li diruggina, i piedi in terra batte, smania, borbotta. L'amico entra: Lisandro si acconcia il viso; lieto e piacevole lo rende; con affabilità accoglie, abbraccia, fa convenevoli; di non averlo veduto da lungo tempo si lagna se più differirà tanto, lo minaccia. Chiedegli notizie della sua moglie, dei figliuoli, delle faccende. Alle buone si ricrea, alle malinconiche si sbigottisce: ad ogni parola ha una faccia nuova. L'amico sta per licenziarsi; non vuol che vada si tosto. Appena si può risolvere a lasciarlo andare. Le ultime sue voci sono: «Ricordatevi di me: venite: vostra è la casa mia in ogni tempo.» L'amico va. Chiuso l'uscio della stanza, «Maledetto sia tu» dice Lisandro al servo. Non ti diss'io mille volte che non voglio importuni? Dirai da qui in poi che io sono fuori. Costui nol voglio. Lisandro è lodato ogni luogo per uomo cordiale. Prendesi per sostanza l'apparenza. [morale del non fidarsi delle apparenze; Lisandro si dimostra cordiale di fronte all’amico ma la sua vera natura scortese si mostra prima e dopo l’incontro] programma ita (1) 27 RITRATTO SECONDO Cornelio poco saluta; salutato, a stento risponde: non fa interrogazioni che non importino, domandato, con poche sillabe si sbriga. Negli inchini è sgarbato, o non ne fa: niuno abbraccia: per ischerzo mai non favella; burbero parla. Alle cerimonie, volge con dispetto le spalle. Udendo parole che non significano, si addormenta o sbadiglia. Nell'udire le angoscie di un amico si attrista, inbianca, gli escono le lagrime. Prestagli, al bisogno, senza altro dire, opera e borsa. Cornelio è giudicato dall'universale uomo di duro cuore. Il mondo vuole maschere ed estrinseche superstizioni. [di nuovo morale su come le apparenze ingannano, Cornelio giudicato per i suoi comportamento duro di cuore ma si dimostra estremamente sensibile nel momento del bisogno]. RITRATTO SESTO Chi crederebbe che Giulio non avesse affettuoso cuore? Le mie calamità sofferente ascolta. Sospetto di lui, perché ad ogni caso ne ha egli ancora. Se la gragnuola ha disertato i miei poderi questanno, dopo due parole di condoglianza dette in fretta, mi narra che cinque anni fa, un cresciuto fiume atterrò la sua villa. Ho la moglie inferma ? compiange le malattie, e mi dice che gli morì in casa un servo. Mi è caduta una cosa? ne ha ristorata una sua, pochi mesi fa. Sono stato rubato? maledice i ladri, e dice che ha cambiato le chiavi del suo scrigno per dubbio. Quanto gli dico a Giulio, gli sollecita l'amore di se medesimo. [ritratto di una persona egocentrica, che cerca sempre di portare il discorso su di sé]. RITRATTO SETTIMO Silvio si presenta altrui malinconico. È una fredda compagnia; fa noia. Va a visitare altrui: mai nol trova in casa. Vuol parlare: è quasi ad ogni parola interrotto. Come uomo programma ita (1) 30 de' soffitti, che o furono sprofondati dalle ripetute scosse, o miseramente consumati dal fuoco. E in quelle lor mura vi sono tanti fessi, tanti buchi, tante smattonature e tante scrostature, che non è più possibile pensare a rattopparle e a renderle di qualche uso. Case, palazzi, conventi, monasteri, spedali, chiese, campanili, teatri, torri, porticati, ogni cosa è andata in indicibile precinizio. Giuseppe Baretti, Lettere familiari, Lettera XIX, r. 1-10, 1760 [estratto dalla Lettera XIX, interamente dedicata alla narrazione del terremoto e delle sue terribili conseguenze – Baretti abbandona il tono ironico e disincantato con cui ha osservato – e osserverà nelle lettere successive – la realtà portoghese per scegliere invece un registro narrativo diverso tra patetico e orrido, coinvolgente ed emotivo; Baretti si dimostra osservatore attento alla realtà, con descrizioni vivide degli effetti devastanti del terremoto che vanno dall’immagine generale al dettaglio: dalla strada principali della città, alle case, ai tetti e le mura; Baretti aveva soggiornato a Lisbona con il suo allievo nel 1760, 5 anni dopo la catastrofe, e aveva trovato ancora le rovine della città: per questo si rende conto dei limiti del governo portoghese ed elabora dei giudizi non positivi sul Portogallo e sui suoi regnanti, tant’è che il ministro portoghese si lamenta con il governo austriaco per queste considerazioni e a Baretti venne impedito di pubblicare i successivi volumi.] nascita della frusta e biografia di baretti post-frusta L’1 ottobre 1763 comincia la pubblicazione della Frusta a Venezia (nelle pubblicazioni viene falsamente indicata come località Rovereto per evitare censure da parte della Repubblica di Venezia); numerosi cittadini, risentiti per le critiche mosse dal Baretti programma ita (1) 31 nei confronti di Pietro Bembo, poeta amatissimo dai veneziani, chiesero ai Riformatori di bloccare la pubblicazione della rivista. La rivista non fu chiusa, ma subì forti censure. Baretti decise di trasferirsi in un altro Stato, ricominciando a stampare il suo periodico ad Ancona, nello Stato Pontificio, a partire dal 1º aprile 1765, di nuovo con località falsa (Trento). Attivo partecipe nella vita letteraria, importanti giudizi contenuti nella Frusta sono i seguenti: esaltazione e apprezzamento di Benvenuto Cellini (pur definendolo uomo ignorante, ne apprezza lo stile - semplice, veloce e animato - poiché comprensibile da un ampio pubblico), Pietro Metastasio, e Giuseppe Parini; spicca invece la forte critica contro Carlo Goldoni. Privilegia la prosa moderna e disinvolta, utile strumento che serve da base per lo svecchiamento della cultura italiana. Eccessivo gli pare anche l’atteggiamento illuministico, il fervore programmatico del suo secolo. È di una mentalità molto aperta, non ha remore nazionalistiche, è disposto a riconoscere i valori positivi di ogni cultura (come quella inglese) ma purché sia ben radicata nella concretezza della vita quotidiana. Baretti odia la letteratura che non sia calata nel mondo, che non si riveli utile, e con utile intende sia l’utilità pratica che il bello. Una volta terminato il periodico nel 1765, Baretti torna a Londra. Nel 1769 avvenne un episodio clamoroso, che aumenta la popolarità di Baretti: una notte fu avvicinato per strada da una prostituta, lui la allontanò bruscamente e la donna iniziò ad urlare. Tre protettori della donna corsero in suo aiuto e iniziarono a picchiare Baretti che, temendo il peggio, prese un coltello che aveva in tasca e uccise uno dei tre uomini. Dopodiché si costituisce alla polizia e viene scagionato dietro il versamento di una cauzione. Il processo che gli era stato allestito fu un trionfo: vennero a testimoniare a favore di Baretti le personalità più importanti del mondo della cultura (Johnson, Burke, Reynolds) che si ritrovarono a festeggiare la personalità dell’amico italiano come uomo e come scrittore. Un’opera importante dei suoi ultimi anni, che lui stesso definisce la meglio cosa, è il Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire, pubblicato nel 1777 in francese. In una lettera dal tono altezzoso, Voltaire aveva rivolto pesanti critiche a Shakespeare, definendolo barbaro e Baretti nella sua opera approfitta di questa polemica per, in maniera disinvolta e veloce, schierarsi con l’inglese e contro Voltaire (più che a favore del primo critica aspramente il secondo; nonostante questo le sue opinioni dimostrano sensibilità di critico letterario e scrittore poliedrico ma sempre polemico). programma ita (1) 32 Gli ultimi anni della sua vita furono piuttosto tristi perché Londra si stava impoverendo; editori, mecenati e nobili che prima avevano ricompensato Baretti, cessano di alimentare il suo benessere e visse da povero. Deciso a rimpatriare in Italia, chiese ai tre fratelli un prestito per il viaggio ma loro glielo vietarono, il che aumentò in lui la delusione. Muore settantenne nel 1789. estratto dall’introduzione alla frusta letteraria Un segno peculiare della testata è la finzione perché il redattore (Baretti in solitario; non primo caso di giornale autoprodotto, Gozzi lo aveva anticipato, ma Frusta più che giornale è diario ininterrotto) dipinge sé stesso sotto la figura allegorica fittizia di Aristarco Scannabue, ex militare che, dopo aver combattutto e viaggiato a lungo, si ritira in campagna; gli articoli altro non sono che le conversazioni ch’egli tiene con uno schiavo turco e col prete del luogo, Don Petronio. Dotato di forza fisica notevole, intelligenza sottile, e spirito cosmopolita, si presenta come opposto degli eruditi pedanti contro cui Baretti rivolge le sue critiche. Scannabue governa il giornale, permette a Baretti di dare sfogo a passioni e intervenire nel dibattito letterario: Baretti giudica con severità e la sua è una polemica che interessa tutto l’ampio spettro della letteratura italiana (Arcadia, Goldoni, maggior parte autori contemporanei). Nell’Introduzione alla Frusta, in un brano che funge da programma per il giornale, Aristarco cerca di trattenere quest’ultimo dall’acquisto di libri italiani moderni facendone scherno e prendendo le distanze dai letterati del proprio tempo, considerando la loro cultura angusta e ristretta (la cultura classicista, ancorata alla difesa dei suoi principi e non disposta ad accogliere novità europee). Da subito Baretti si dimostra scrittore originale, oltre che critico polemista ricco di immaginazione; padrone di uno stile sarcastico e arguto, nella sua prosa traspare grande bagaglio di esperienze culturali (ama la lettura, appreza libri letterature straniere raccolti nei suoi viaggi, conosce le lingue, educazione irregolare perché non libresca ma costruita su conoscenza diretta della vita). La prosa ha ritmo vivace e le immagini descritte sono semanticamente ricche. Quel flagello di cattivi libri [sottolineato da subito intento polemico, critica all’abbondanza di pubblicazioni di libri moderni] che si vanno da molti e molti anni quotidianamente stampando in tutte le programma ita (1) 35 della sua indole di pensare e di vivere; ed in sostanza saprete allora fino il numero dei denti che gli rimangono ancora in bocca, se mostrerete voglia di saperlo. [solo dopo aver portato a termine il suo intento di punire gli “scrittoracci moderni” rivelerà la sua identità] Ma per ora egli non vuol essere che una specie d'indovinello, e si vuol celare sotto il misterioso nome di Aristarco, e sotto l'allegorico cognome di Scannabue. [Aristarco richiama la figura di Aristarco di Samotracia, critico letterario della biblioteca d’Alessandria d’Egitto erudito grammatico e filologo greco nel II sec a.C.; Scannabue cognome che scomposto rinvia all’azione violtenta]. Non v'aspettaste però, leggitori, di sentire cose comunali e da nulla, quando questo Aristarco Scannabue in questi suoi fogli verrà dandovi a mano a mano un minuto ragguaglio di se stesso, e raccontandovi pezzo per pezzo tutti i casi suoi. La vita di quella mansueta ed innocua gente, che noi volgarmente chiamiamo letterati, non è, e non può essere, gran fatto piena di strani accidenti, né troppo feconda di maravigliose varietá, perché è per lo più una vita vissuta tutta in un paese solo, e tutta limitata in un ristretto cerchio d'amici, la maggior parte ignoranti affatto o appena iniziati negli elementi del sapere. Ma la vita del nostro Aristarco Scannabue è stata una cosa assai diversa, ve l'assicuro.[Baretti parte con sintetica descrizione dei letterati tradizionale, per denotare come Aristarco si distingua da essi; critica implicitamente e con ironia il modo isolato in cui vivono, il loro distacco dalla realtà; per Baretti la concretezza, il vero, l’utile sono fondamenti della letteratura, per questo disprezza la letteratura a lui contemporanea]. programma ita (1) 36 Quando alla Madre Natura venne in capriccio di formare il suo individuo, parve propio si proponesse di fare una singolar cosa, poiché gli è certo che si stette di molte settimane rimescolando assai ignee [infuocate, relazione al carattere focoso, vigoroso, vitale ] materie, che infuse quindi nella sua corporea sostanza. E quando l'ebbe tutto formato in guisa da farlo poi riuscire, come riusci di fatto, un uomo di statura poco meno che gigantesca, quella buona Madre Natura lo produsse al mondo in uno de' più ardenti giorni della canicola [giornata estiva]; onde non è da stupirsi se Aristarco non potette poscia stare per un lungo tempo fisso in un luogo, e se de' quindici lustri [un lustro corrisponde a cinque anni, AS è 75enne] già da esso vissuti ne passò dieci intieri sempre avvolgendosi come una fiamma per diverse regioni del mondo [50 li ha passati a viaggiare]. [Segue descrizione generale, dall’aspetto fisico, all’età, all’attività cui si è dedicato più nella sua vita]. Nella sua prima fanciullezza egli non ha, a dir vero, operata alcuna cosa molto rimarchevole, se non vogliam dire che fosse rimarchevole il passare ch'egli faceva molte e molte giornate in un giardino di casa, diligentemente cercando scorpioni pe' fessi de' muri, e di sottovia de' vasi di creta e di legno, e schiacciando quegli scorpioni se li trovava piccini, o riponendoli vivi in un fiasco d'olio se s'abbattevano ad esser grandi, pigliandoli sempre su colle sue propie dita, senza punto di paura delle loro velenose code. [il gusto per l’autobiografia era diffuso nel 700, motivo per cui non sorprende il cenno all’infanzia; nel suo giocare con animali velenosi come gli scorpioni dimostra già il suo essere impavido, la sua temerarietà]. programma ita (1) 37 Ma se Aristarco fece poco nella sua fanciullezza, voi avete a sapere, leggitori, ch'egli spese l'adolescenza in studiare sotto il celebre Diogene Mastigoforo, insigne papasso d'Antiochia, alcune delle lingue d'Oriente, dopo d'essersi molto bene insignorito del latino e del greco; e fu tanto costante l'ostinatezza da lui principalmente usata nello apprendere il parlare degli arabi e quello del Mogol, che non aveva ancora diciassett'anni compiuti quando fini di tradurre la Fiammetta del Boccaccio [citando l’opera raramente nominata di Boccaccio, Baretti vuole mostrare la sua conoscenza della letteratura italiana; il suo desiderio di svecchiarla quindi non è dovuto a mancanza di basi] in prosa arabesca, e i tre primi libri del Calloandro Fedele in versi mogollesi. La Fiammetta egli la dedicò poi alcuni anni dopo cosi tradotta al famoso Sul Im Addin, primo visirre del soffi di Persia, e que tre libri del Calloandro li regalò al formidabil tartaro Krab Kul Kan Kon, generalissimo di tutto l'Indostan. [entrambi nomi orientali inventati]. Que' due gran personaggi egli se gli fece molto amici, e li trattò con molta domestichezza, massime nel secondo viaggio che fece per quelle rimote contrade, conchiudendo anzi in quel viaggio un difficile trattato di pace e di commercio fra di essi. [spirito cosmopolita di AS, non solo ha studiato e conosce le tradizionali lingue antiche, ma si dedica fin da giovane alle lingue orientali + a relazioni con personaggi importanti d’Oriente. A livello stilistico, il linguaggio è letterario, non giornalistico]. E allora fu che Aristarco, deposto l'abito europeo, s'avvezzò a coprirsi il capo d'un turbante, a indossare una lunga zimarraccia foderata di pelliccia, a portare un gran paio di mustacchi sotto il naso, a cingersi una lunga scimitarra al fianco, e a valersi sovente di quelle militari cognizioni da programma ita (1) 40 può dire quanto sieno fecondi e prolifici nel nostro clima, grazie alle sue stufe di cui avrá forse un giorno occasione di parlare. Uno solo ne genererebbe cento in pochissimo tempo, se Aristarco lasciasse fare; ma egli ne annega alcuni de' piccini di tanto in tanto, ed a que' che sono di razza grande fa fare uno scherzo dal norcino [castrare]; e così intende di continuar quindinnanzi finché avrà fiato e vita. A ognuno di quei scimmiotti che Aristarco lascia vivi, egli ha capricciosamente posto un nome di poeta o di prosatore moderno, secondo il carattere ch'egli crede scorgere in questo o in quell'altro scimmiotto, come anderete da esso intendendo a misura che egli anderà tirando innanzi con questi suoi fogli intitolati La Frusta Letteraria. Siccome e' se ne sta quasi sempre in quel suo soggiorno campestre, e si lascia veder di rado nella vicina metropoli, continua vestirsi alla persiana per una spezie di grata commemorazione della buona memoria del primo visirre Sul Im Addin, che gli fu tanto amico in diebus illis [espressione tardo-latina usata nei Vangeli, dal significato letterale: "in quei giorni”]; onde, sia per cagione di quell abito esotico, sia perché settantacinqu'anni non fanno gola, sia perché gli manca la gamba sinistra, sia per que' due gran mustacchi ch'e' porta sul labbro superiore, o sia perché ha eziandio qualche difetto nel labbro inferiore, baciatogli quasi tutto via in Erzerum [città dell’Anatolia] dalla dammaschina sciabla d'un soldato circasso, le donne del villaggio non si curano troppo di trattar familiarmente con Aristarco, e gli uomini anch'essi di rado s'arrischiano a parlargli, tanto più che alcuni lo hanno anche in qualche leggier sospetto di negromante, o, come dicono essi, di stregone; cosicché gli è programma ita (1) 41 forza si contenti della conversazione di Macouf suo schiavo turco, e di barattare qualche parola con un don Petronio Zamberlucco, il quale è curato del luogo dov'egli dimora. Questo dabben religioso si compiace di passare qualche sera di domenica con Aristarco, fumando seco un paio di pipe, aiutandolo con assai modestia a vuotare qualche fiasco, stendendo con molto grave taciturnità gli orecchi quand' egli ciancia de’ suoi viaggi, de’ suoi tanti pericoli passati, delle mode e costumanze de’ lontani paesi, delle varie favelle e della varia letteratura di varie nazioni. [reiterazione del bagaglio culturale di Aristarco]. Qualche volta leggono insieme qualche squarcio d’un qualche moderno libro italiano, e per lo più Aristarco dà addosso ai moderni italiani autori, e Don Petronio talora si sforza di difenderli. Il buon uomo ha la pecca di farsene venire una copia subito che qualche letterario giornale o gazzetta o un suo corrispondente libraio gliene danno indizio. Vedete che bel modo quel l’onesto curato ha saputo trovare per buttar via danari con non mediocre pregiudizio d’un suo cherichetto, che dev’essere un dì suo erede perché gli è nipote] [i soldi che Petronio spende, per Aristarco con poco giudizio, non sono i suoi ma quelli di un familiare]. Per guerir dunque don Petronio Zamberlucco di questo suo difetto. [implicitamente, guarire l’Italia, cercando di persuadere lettori a comprare libri moderni]. Aristarco ha voluto intraprendere di scrivere i presenti fogli; e perché i moderni dotti capiscano immediate l’intenzione con cui li scrive, ha voluto intitolarli la Frusta letteraria, che è titolo chiaro e intelligibile, e nulla bisognevole di commento [chiara intenzione polemica]. Lo scrivere questi fogli gioverà anche ad Aristarco a sfogare l’innata bizzarria, a fargli purgare un poco di quella stizza che la lettura d’un cattivo libro naturalmente gli muove, ed a programma ita (1) 42 finir di consumare quel breve spazio di vita che gli resta a vivere con qualche profitto de’ suoi compatrioti. Avvertite dunque, signori leggitori che Aristarco si mette a malmenare tutti i moderni cattivi autori che don Petronio gli farà capitare sul tavolino, e si dispone a farne proprio fette senza la minima misericordia; onde badate a non iscrivere, o a scriver bene, e cose di sustanza, se non volete toccare qualche maladetta frustata. Ogni quindici dì [cadenza circa bimensile] sarà scritto uno di questi numeri, che voi vi compiacerete di leggere molto attentamente approfittandovi di quelle moltiplici notizie e de’ buoni documenti, che il vecchio Aristarco Scannabue vi potrà dare in questo po’ di tempo che gli rimane a picchiar ancora il globo terracqueo con la sua gamba di legno. Valete omnes [congedo in latino, significato letterale valete = state bene, omnes =tutti, statemi bene] Giuseppe Baretti, Introduzione alla Frusta Letteraria, n I, 1763 riassunto delle polemiche ed orientamento della critica barettiana La Frusta Letteraria ha vita breve: inizia con la pubblicazione del primo numero fu pubblicato a Venezia (con falso luogo Rovereto) nel settembre del 1763; prosegue con cadenza di ogni 15 giorni come annunciato nell’introduzione; termine infine con il 25esimo numero nel gennaio del 1765. Diverse le polemiche scatenate dalla rivista di Baretti, le maggiori, che poi ne causarono la chiusura furono tre: 1. All’interno del secondo numero, Baretti scrive due importanti recensioni contrastanti: una estremamente negativa, mentre l’altra positiva. Quella negativa è rivolta ad un’opera scritta dall’abate Vallarsi, riguardante delle iscrizioni da lui viste su una cassa di piombo, che lui erroneamente interpreta come epigrafi sacri, mentre sono invece semplici scritte contemporanea. Nella seconda recensione invece Baretti loda un’autore che aveva nella sua opera messo in ridicolo la scoperta dell’abata Vallarsi. Trattando però di archeologia, Baretti commette l’errore di nominare la città di Ercolano, divenuto sito popolare in programma ita (1) 45 2. Caffè, pur muovendosi negli stessi anni, Baretti giudica negativamente il Caffè, in particolare per il linguaggio e lo stile in esso utilizzati (Caffè vuole svecchiare la cultura italiana , voltano le spalle quindi anche alla purezza linguistica → “sciatteria” secondo Baretti, che critica anche il loro uso di espressioni riprese da altre lingue, giudicandola azione barbara (in particolare il Caffè fa uso di espressioni francesi); lo critica anche per la vastità di argomenti trattati: troppi argomenti significa che ognuno di essi è trattato in modo generale, superficiale (segno quindi di presunzione per Baretti, quando in realtà la vastità di argomenti dipende dalla grande quantità di redattori, tra cui personaggi importanti come Cesare Beccaria, Pietro Verri). estratto da recensione negativa de “le memorie istoriche” / arcadia In tema dell’utilità sociale della letteratura, notevole è la stroncatura di Baretti nei confronti dell’Accademia dell’Arcadia, fatta fin dal primo numero della Frusta Letteraria. Accademia tra le più antiche, nata a Roma nel 1690 da un circolo di letterati vicini alla regina Cristina di Svezia, che li aveva riuniti per ricercare un gusto anti-barocco (era cattolica, scopi quindi anche morali); scopo di far rivivere la poesia (elementi chiave = equilibrio, armonia, semplicità; rifiuto degli eccessi, della stravaganza). Aperta ai letterati di tutte le regioni italiani, invitati a fondare altre succursali denominate “colonie”, in cui il programma arcadico (pastoralità elemento fondamentale) si innesta sulla tradizione letteraria locale. Ripresa delle tradizioni dell’Arcadia antica; gode inoltre della protezione della Chiesa. Dei 14 fondatori, tre sono i più importanti, e contro i quali Baretti muove le sue critiche, Gravina (ideologo e fondatore principale, nascondere verità nella poesia semplice), Crescimbeni (teorico di poesia) e Zappi (uno dei maggiori poeti dell’Arcadia). Rigide regole arcadiane: linguaggio criptico, simbolico, simile a quello delle società segrete, nomi fittizi per ogni nuovo membro, luoghi allegorici. Con la moda dell’Arcadia, che si afferma in Italia per tutto il 700, la cultura si sposta dal mondo dei salotti agli ambienti campestri; è inoltre l’Accademia a “validare”, riconoscere i più importanti letterati del tempo (Metastasio ed Alfieri ad esempio vi passano). La poesia dell’Arcadia è semplice, lineare da un punto di vista sintattico, procedimenti per paratassi; a livello metrico le misure preferite sono sonetto e canzonetta. Il linguaggio è piano, principalmente di tipo quotidiano, pastorale, vezzoso. Il ritmo sintattico e metrico infine coincidono (una strofa equivale ad una frase). programma ita (1) 46 testi poesie 1. Poesia composta da Zappi, tono pastorale sin dai primi versi dato dall’uso del capro come termine di paragone per l’altezza dell’autore in età giovanile. Tema della poesia è quello semplice amoroso: ispira tenerezza nel lettore, è una situazione primitiva, semplice di un amore non corrisposto; “non donna a me parea” riferimento a poesie di Petrarca. Oltre al lessico, anche i nomi richiamano il mondo pastorale, greco antico: Clori, Lesbino. 2. Altro sonetto composto da Zappi, centrale è la descrizione di un sogno che ha sfondo arcadico (”praticello”, “ninfe”), nomi ancora una volta pastorali (ricorrente è Clori + Lesbino). L’autore sogna di essere trasformato in cane; l’amata non lo riconosce e quando sta per baciarlo, l’autore si risveglia. Atmosfera in generale ovattata data dalla dimensione onirica in cui si svolge la scena, incorniciata dai passati remoti “sognai” e “svegliai”. Presenza di elementi simbolici come il “vago laccio”, simbolo del legame amoroso tra il poeta e l’amata. Baretti si sfoga e questa sua prosa, una stroncatura, cade nel sarcasmo e nell’indignazione. Si abbandona alla polemica. Lui vuole una letteratura che possa rispecchiare una civiltà dignitosa; critica l’Arcadia per i temi inconsistenti senza apparente legame con realtà, e per la semplicità di linguaggio; ha tuttavia il merito di unificare a livello nazionale il mondo letterario italiano. L’Italia infatti, prima di raggiungere unità politica, raggiunge quella letteraria anche grazie a istituzioni come l’Arcadia. Ogni importante città italiana ha infatti una sede dell’Accademia, che tendono a unire culturalmente il Paese. La critica contro le astrazioni sulle quali si basava l’Arcadia vengono fatte sin dal primo numero della Frusta, dove Baretti recensisce le “Memorie istoriche dell’Adunanza degli Arcadi”, opera pubblicata a Roma nel 1861, dall’allora custode dell’Arcadia, Morei, firmatosi M.G.M; all’interno del volume, suddiviso in 10 capitoli, il custode riassume la storia dell’Arcadia, in celebrazione dei 70 anni di attività. Baretti struttura il suo discorso in 10 punti, uno per ogni capitolo, con la mira di criticarli uno per uno. L’Arcadia era allora una delle istituzioni più importanti, per altro godente appoggio della Chiesa, e Baretti, nonostante non avesse nessun tipo di protezione, vi si scaglia contro. Per il giornalista, l’Arcadia diventa esempio di quanto da lui odiato nella cultura, programma ita (1) 47 letteratura italiana. Quegli amanti d’inutili notizie, che non sapendo come adoperar bene il tempo, lo impiegano a imparare delle corbellerie, e che bramano di essere informati di quella celebratissima letteraria fanciullaggine chiamata Arcadia, si facciano a leggere questo bel libro che ne dà un ragguaglio distinto distintissimo. [già dalle prime righe scrittura diversa rispetto all’introduzione alla Frusta: da scrittore e letterato passa a recensore, definendo le Memorie come opera contenente argomenti inutili, infantili; “bramano” in tono ironico, “distinto distintissimo” uso di aggettivazione in vari gradi tipico di Baretti]. Il suo celibe [letteralmente perché prete, usato da Baretti però in senso dispregiativo, anticipa una delle critiche che Baretti rivolge agli autori arcadiani, cioè quella alla mancanza di virilità] autore l’ha scritto con tutta quella snervatezza, e con tutto quell’umile spirito d’adulazione che principalmente caratterizza gli Arcadi; e assai nomi rinomatissimi si trovano in esso libro registrati, la rinomanza de’ quali non è stata punto mai rinomata nel mondo [l’opera cita autori che l’Arcadia giudica rinomati, ma la cui fama non risuona nel mondo reale: arcadi infatti scrivono per loro stessi, atti di auto- celebrazione] L’opera è divisa in dieci capitoli, che sono come dieci giojelli di vetro [compara i capitoli a pezzi di bigiotteria di scarsa qualità]. Ecco qui la sostanza di que’ dieci capitoli. [inizio analisi per capitolo] Il capitolo primo dice L’istituzione d’Arcadia, e narra fra l’altre fanfaluche, il caso memorandissimo d’un certo poeta, il quale avendo sentiti cert’altri poeti recitare certe programma ita (1) 50 [Zappi non verrà dimenticato finché la poesia non virile, continuerà ad esistere → di nuovo critica la mancanza di virilità, per Baretti necessaria per descrizione della realtà]. Oh cari que’ suoi smascolinati sonettini, pargoletti piccinini, mollemente femminini, tutti pieni d’amorini! [diminutivi usati per parodizzare stile di Zappi] … [..] Capitolo decimo ed ultimo. Di alcune memorie più considerabili concernenti l’Adunanza degli Arcadi. [riporta titolo del capitolo] Il titolo di questo capitolo non è così laconico [breve, spartano] come gli antecedenti; onde Aristarco si contenta d’aver qui registrato quel lungo titolo, e lascia la lettura dell’intiero capitolo a chi ama le memorie considerabili, e le memorie concernenti. Forse chi lo leggerà verrà a sapere questa considerabile cosa: che, chi vuol essere Arcade, bisogna sappia assolutamente quante sillabe entrano in un verso, e quanti versi entrano in un sonetto senza coda [semplici]. In oltre chi lo leggerà verrà forse a sapere quest’altra concernente cosa che fa d’uopo leggere almeno un paio di tomi della Raccolta del Gobbi [opera sorta di antologia della poesia italiana dalle origini fino al 700]; e poi pagare uno scudo, o, per dirlo con frase più poetica, dieci paoli per ottenere una patente, che ti baratti un nome di battesimo in qualche nomaccio mezzo da pecorajo e mezzo da pagano [per essere membri dell’Arcadia era necessaria o una raccomandazione o il pagamento di una determinata somma di denaro; “pecorajo” perché nomi arcadiani spesso legati al mondo rurale, pastorale. Il concreto nome AS è quindi ancora più significativo se paragonato, messo in programma ita (1) 51 opposizione a quelli simbolici degli arcadiani]. Povera Italia, quando mai si chiuderanno le tue scuole di futilità e d’adulazione! [Importante è la critica al linguaggio degli arcadiani, per Baretti artificiale se paragonato a quello sciolto, reale, concreto che aveva conosciuto in Inghilterra]. estratto da recensione positiva de “il giorno” di parini Sempre all’interno del primo numero della Frusta, Baretti include recensione estremamente positiva dell’opera “Il giorno” di Parini, recensione di grande importanza perché è la prima recensione comparsa del componimento. Si tratta di un poema satirico didascalico in endecasillabi sciolti in cui Parini mette in satira la vita di un giovane aristocratico lombardo che perde tempo in futili occupazioni, non utili alla società, e che quindi non può considerarsi figura modello per i concittadini. E’ didascalico perché Parini, in ruolo fittizio di precettore del giovane, asseconda quest’ultimo, mostrando al lettore l’inutilità dell’aristocrazia. De “Il giorno”, Baretti scrive la recensione della prima parte, “Il mattino”, uscita a Milano nel 1763; la seconda parte invece viene pubblicata due anni dopo, intitolata “Il mezzogiorno”, sempre a Milano. Baretti mantiene l’anonimato dell’autore (Parini in quegli anni era abate, ma si guadagnava da vivere come precettore per giovani aristocratici milanese; di conseguenza ha importante conoscenza su questa classe sociale, conoscenza alla base dell’opera “Il giorno”). Importante il fatto che l’opera venga lodata fin da subito, persino da un critico tanto severo quanto Baretti, che la apprezza non solo per la sua bellezza ma anche per la sua utilità, concretezza, il suo insegnamento morale. Il conte Baldassarre Castiglione [scrittore cinquecentesco, autore del trattato sul comportamento “Il cortigiano”, che, in forma dialogica, insegna agli uomini come è necessario comportarsi a corte, ambiente importante nella storia italiana] che sapeva le belle creanze molto meglio che non la programma ita (1) 52 maniera di scriver bene in volgare, dice in qualche luogo del suo Cortigiano, che le "leggi della maschera richiedono che una persona mascherata non sia salutata per nome da uno che la conosce malgrado il suo travestimento"[buon costume, in base a “Il cortigiano” di Castiglione, è non salutare, anche se riconosciuta, una persona mascherata]. Conformandomi a questo urbanissimo precetto io non dirò chi sia l'autore del Mattino, poiché l'autore del Mattino ha giudicato a proposito di non porre il suo nome in fronte all'opera sua, e di starsene anzi, dirò così, appiattato dietro il suo quadro per sentirne i liberi giudizi de' passeggieri [Baretti, pur riconoscendo Parini come autore dell’opera, tace il suo nome, seguendo la regola citata di Castiglione]. Ma siccome il conte Castiglione non proibisce di dire a' nostri circostanti quanto bene vogliamo d'una persona in maschera da noi conosciuta, e conosciuta degna d'elogio, così io non mi farò scrupolo di dire che l'incognito autore del Mattino è uno di que' pochissimi buoni poeti che onorano la moderna Italia [per Baretti, Parini parla anche a noi contemporanei: mostra i vizi con obiettivo purgatorio]. Con un'ironia molto bravamente continuata dal principio sino alla fine di questo poemetto, egli satireggia con tutta la necessaria mordacità gli effemminati costumi di que' tanti fra i nostri nobili, che non sapendo in che impiegare la loro meschina vita, e come passar via il tempo, lo consumano tutto in zerbinerie [pratica per la quale i nobili cavalieri corteggiano dame sposate, costume criticato sia da Parini che da Baretti] e in illeciti amoreggiamenti. Egli descrive molto bene tutte le loro povere mattutine faccende, e le uccella talora con una forza di sarcasmo degna dello stesso Giuvenale [poeta latino noto per le sue forti satire]. Temo però che la sua satira non produca quel frutto che dovrebbe produrre, perché è scritta qui e qua con molta sublimità di poesia; e que' nobili che dovrebbero programma ita (1) 55 causato la censura degli altri volumi da parte del censore austriaco a Milano. Baretti decise poi di pubblicarle in inglese alcuni anni dopo, negli anni 70. L’autore di queste lettere non è certamente un novizio nell'arte dello scrivere [sottolinea la propria abilità in scrittura, chiaramente non di qualcuno nuovo alla produzione letteraria]. La precisione e la rapidità del suo stile, e il facil modo con cui esprime certe cose straniere [territori europei descritti nelle varie lettere], e non di frequente espresse [punta sulla novità dell’argomento descritto] da altri nella nostra lingua, ne lo mostrano uomo che s'è avvezzato a maneggiare la penna di buon’ora. Di fatti è un pezzo che l'Italia lo annovera tra' suoi moderni scrittori per la sua traduzione in versi delle tragedie di Pier Cornelio, per un tometto di rime berniesche [satiriche, scritte in anni giovanili], per un suo cicalamento in lode d'un certo antiquario (delle opere del quale mi verrà forse occasione di favellare in queste mie lucubrazioni), e per cert’altre sue coserelle scritte tutte con qualche brio e con qualche naturalezza ne' suoi primi anni. [←elenco di alcuni suoi lavori precedenti, ritranno degli anni precedenti alle Lettere]. Non avendogli però il suo scrivere giovanile procurato alcun notabile vantaggio nella sua contrada, e' si pensò d'andare a cercar fortuna altrove; e nell'anno 1750 se la fece in Inghilterra, dove, imparata quella lingua e stampate in essa molte cose [produzione come traduttore inglese-italiano] ed anche qualche bagattella in francese, si risolvette finalmente di ripatriare dopo d'avere colà soggiornato quasi dieci anni compiuti [rientro nel 1760] [descrizione di itinerari andata-ritorno viaggio Italia-Inghilterra→]Nell'andar da Torino a Londra egli aveva fatta la più breve via, cioè quella di Francia, ma dovendo nel suo ritorno a casa [percorso di programma ita (1) 56 ritorno più lungo causato dallo scoppio della Guerra dei 7 anni, che aveva coinvolto Francia, Austria, Russia, Inghilterra e Prussia →] attraversare una buona parte dell'Inghilterra e del mare Atlantico, e quindi il Portogallo, e la Spagna, e la Francia meridionale, che sono regioni o poco o mal descritte nella nostra lingua [critica la scarsa conoscenza che gli italiani hanno di quei territori, nobilita la propria opera per il fatto di descriverle accuratamente] ; egli si propose nell'atto di partir da Londra di dar conto a’ suoi compatrioti di quelle poco note regioni, ed ha eseguita la sua idea scrivendo quasi ogni sera del suo viaggio una lunga lettera a' suoi fratelli. Quelle lettere egli se le portò seco, e giunto a casa, e ripulitele alquanto, si accinse a stamparle in Milano [lettere fittizie, mai effettivamente spedite, ma elaborate dagli appunti di un primo diario di viaggio, che poi pianificava di pubblicare in tomi]. La ragione che lo indusse a pubblicarne colà un tomo solamente, e perché gli altri tre tomi s'abbiano a stampare fuori di Milano, io non la so bene [ulteriore finzione, Baretti finge di non sapere che il motivo per cui i suoi tomi non furono pubblicati fu a causa della censura austriaca]. Fors’egli ce la dirà quando darà in luce que' restanti tre tomi, il che è da sperare che avverrà tosto. Se da questo primo tomo si può far congettura degli altri, i leggitori possono anticipatamente assicurarsi che queste Lettere Familiari, quantunque scritte a precipizio ed alla giornata [continua nella finzione], non riusciranno loro un insipido itinerario [austera guida di viaggio], e un freddo registro di nomi di città e d'osterie. L'autore non è stato invano per tanti anni in Inghilterra, ed ha imparato colà il modo di riempire un libro di cose, e non di ciance [ciance = chiacchere inutili; concetto programma ita (1) 57 riaffermato anche dai Verri nel Caffè “fatti” e non “parole”, nonostante Baretti non apprezzi l’opera dei caffettisti] , come s' usa troppo frequentemente di qua dall’Alpi [in Italia] estratto da fittizia “lettera al novello sposo” Esempio di Baretti progressista, finge che a scriverla sia una giovane sposa al novello sposo; di grande importanza perchè la donna diviene soggetto, protagonista attiva, non più oggetto o semplice musa ispiratrice (di pari importanza per lo stesso motivo è “La locandiera” di Goldoni, seppur Baretti lo criticasse duramente). Il fatto che Baretti critichi frequentemente la letteratura italiana per mancanza di virilità non è segno di misoginia, ma critica implicita all’educazione riservata alle donne. Nell’estratto Baretti tesse l’elogio della donna moderna, della femminile intraprendeza: dolce e devota al novello sposo, ma nemica delle mode sociali che la costringono a subire mancanza di rispetto (come la pratica del cicisbeismo, pratica per la quale il marito può essere accompagnatore di altre donne), rivendica invece rispetto reciproco. Sposo adorato. Ho letto la Cleopatra, la Cassandra, l’Artamene, e cento altri libri abbondanti d'espressioni amorose [romanzi rosa, d’avventure d’amore originariamente francesi, erano alla base dell’educazione femminile, unico bagaglio culturale concesso alle donne, peraltro portatori di mal costume secondo i moralisti] ; ma non v'è amorosa espressione in alcuno d'essi atta a spiegare il centesimo di quell'affetto che la vostra gioventù, la vostra maschil presenza, la vostra grazia, e i nobili costumi vostri hanno acceso nell’anima mia [”voi” era forma di assoluta confidenza; “lei” invece per mettere massima distanza; confidenza che indica sentimenti reciproci, caratteristici dei rapporti moderni se considerato gran numero di matrimoni imposti]. programma ita (1) 60 nuovo qualcosa di inusuale per l’epoca] quantunque tal occasione esponga а qualche volta un marito al sorriso degli sciocchi e degl'insensati. Bisognerà che non soltanto v'astegniate dal fare il cicisbeo e il cavalier servente, anche con intenzione di passare semplicemente il tempo, ma che vi guardiate bene dal non tenermi sempre ferma nell'opinione d'essere da voi preferita, anche dopo il primo mese di matrimonio, a tutte le creature della mia spezie. Bisognerà che non mi accarezziate tanto da straccarvi, per evitare il pericolo di rendere esausto il fonte dell'amor vostro, e bisognerà che mostriate sempre d'avere per me un certo domestico rispetto che piace alle donne d'animo delicato forse più dell'amore impetuoso e violento. Bisognerà che vi guardiate bene dal mostrar mai il minimo dispregio o pel corpo mio, o pel mio intelletto, ma che vi contentiate che rimangano entrambi come gli avete trovati [rifiuta di cambiare aspetto o intelletto in base ai voleri dello sposo]. Bisognerà che non m'induciate mai o con parole o con atti, a pensarvi capace di cosa vile, che la fortezza d'animo, e l'alterezza di mente sono le cose che più rendono gli uomini cari alle donne ragionevoli e sensibili, come credo d'esser io. Bisognerà che mi convinciate sempre della tenerezza vostra verso il genere umano, e della vostra prontezza in fare a chi lo merita quanto bene sarà in vostro potere di fare. Ho osservato più volte, che voi altri poeti più di tutti gli altri uomini siete sagaci, e conoscete meglio degli altri le sorgenti, dalle quali dirivano i pensieri e gli affetti umani. Fate buon uso della vostra sagacità, marito mio poetico, e fabbricate voi dalla vostra parte la felicità mia, che io mi studierò costantemente di fabbricar la vostra [esortazione finale alla cooperazione, appellandosi anche alla sua sagacità di poeta]. programma ita (1) 61 Soprattutto ricordatevi che le mogli non sono tutti i dì come il dì delle nozze, e che in quest’orbe sublunare [sotto la luna, dimensione terrestre] i beni sono sempre misti a' mali, come i mali sono sempre misti a' beni; onde se anderete scoprendo nella moglie qualche difetto che non poteste trovare nell'innamorata, non vi scordate nemmeno d'osservare, che nella moglie avete anche scoperta qualche buona qualità che non avevate ancora nell'innamorata scoperta [anche la nuova fiamma potrebbe nascondere difetti, mentre della moglie è almeno al corrente di tutto ciò che è positivo]. Così facendo e avvertendo è probabile che passeremo allegramente insieme alcuni anni [passa da professare il suo amore per l’eternità ad “alcuni anni”, tono chiaramente ironico, come poi si vede in chiusura: non esita a minacciare il divorzio]. Scusate la franchezza che il mio amore m'inspira, e siate persuaso persuasissimo che non sarò la prima ad interrompere il corso delle nostre presenti contentezze. Addio il caffè (1764-66) Appartiene alle riviste che guardano come modello principale lo Spectator; viene ripreso ad esempio l’elemento di finzione, il che permette dialogo più aperto tra redattori e pubblico, oltre che aiutare ad evitare censure per declinazione di responsabilità. Rende infine maggiormente coese le novelle riportate. Come le discussioni dello Spectator avevano da sfondo un club, il Caffè, come da nome, è ambientato in una bottega di caffè; a livello tematico, oltre ad articoli letterari, vengono ripresi argomenti cari agli illuministi, che i caffettisti apprezzano (diritto, economia, scienza es. Pietro Verri dedica uno dei suo articoli all’inesto del vaiolo e all’importanza del vaccino, così come anche temi legati alla quotidianeità come agricoltura). Comune a entrambe le testate è anche l’intento divulgativo, il voler arrivare ad un pubblico più ampio possibile, non solo agli specialisti come in passato; per questo, gli articoli del Caffè sono in forma dialogica e sono caratterizzati da linguaggio semplice, rapido, sintetico, sciolto. programma ita (1) 62 Termini chiave, ricorrenti all’interno della rività sono “utile”, “pubblica utilità”, “patria”, “cittadini” (quest’ultimo termine non in accezione politica, si riferisce ai cittadini milanesi); obiettivo del Caffè è aiutare i loro lettori, far loro raggiungere miglior qualità di vita. I caffettisti si oppongo alle rigide regole della Crusca, prendendo in presto termini anche da altre lingue per la loro capacità di mostrara, descrivere chiaramente la realtà. Fondamentale è infatti la predilezione dei fatti sulle parole. La testata nasce a Milano, centro più attivo della cultura lombarda caratterizzato da fervore intelletuale (n’è dimostrazione la pubblicazione nel 1763 della prima parte de “Il giorno” di Parini, o anche la pubblicazione dell’opera “Dei delitti e delle pene” di Beccaria, di origine milanese seppur il volume viene stampato in Toscana, nel 1764; Beccaria inoltre per breve periodo entra a far parte della redazione del Caffè, tra il 64 ed il 66), alimentato anche dal fatto che Milano allora era capitale della Lombardia austriaca, sotto il controllo di Maria Teresa d’Austria, la cui politica fu fortemente riformatrice sotto vari punti di vista (scolastico, medico, legislativo). Fondatori del Caffè furono un gruppo di giovani aristocratici, facenti parte dell’amministrazione statale (Beccaria ad esempio era avvocato) e credenti nel progresso della società; per questo collaborano anche con Maria Teresa, fondando grazie a lei l’Accademia dei Pugni, esperienza alla base del Caffè, e creando una relazione potere-intelletuali estremamente attiva ed importante per le riforme poi messe in atto. Inizialmente le riunioni di questo gruppo, formatosi nel 61, erano ospitate a casa Verri, in centro a Milano; il complemento “dei Pugni” deriva da un pettegolezzo secondo il quale le loro discussioni erano tanto animate da concludersi in violenza fisica. Lo scopo del gruppo di Verri era approfondire conoscenze utili per il miglioramento della società; nacque poi il desiderio di aprire una rivista che li rappresentasse e che diffondese i loro dibattiti ad un pubblico più ampio. Oltre a Pietro Verri, del gruppo fanno parte anche il fratello, Alessandro Verri, Cesare Beccaria, e Paolo Frisi. Come detto ogni articolo ha come sfondo una bottega di caffè, cui proprietario è il caffettiere greco Demetrio (alter-ego per i caffettisti e più nello specifico di Pietro Verri, come AS per Baretti), dove gli ospiti discutono di argomenti vari; i dialoghi tra i personaggi diventano poi gli articoli della rivista. Demetrio è personaggio particolarmente attivo nel primo tomo: nella finzione, riceve lettere da parte dei lettori per poi consegnarle ai redattori; chi poi vi risponde è Pietro Verri. Per rendere ancora più verosimile la finzione ed incentivare la partecipazione del pubblico, vengono invitati i lettori alla bottega per consegnare le lettere direttamente al caffettiere. Viene finto anche una sorta di concorso a premi, e tra questi (simbolici, rappresentanti il gusto, programma ita (1) 65 non alludendo a unità nazionale; introdotto il concetto oraziano alla base dei giornali di opinione, cioè unire utile e dilettevole, citando importanti autori inglesi che hanno aperto la strada a questo tipo di giornalismo. Se Baretti allude solo all’influenza dello Spectator, i caffettisti la riconoscono in modo esplicito. Da notare che dalle testate degli autori citati sono passati circa 50 anni; il Caffè cerca di colmare quel ritardo adottando i modi inglesi, Verri definisce il Caffè come versione italiana dello Spectator] Ma perché chiamate questi fogli il Caffè? Ve lo dirò; ma andiamo a capo. Un greco originario di Citera, isoletta riposta fra la Morea e Candia [isola in cui nacque Venere, Morea = Peloponneso, Candia = Creta] , mal soffrendo l’avvilimento e la schiavitù, in cui i Greci tutti vengon tenuti dacché gli Ottomani hanno conquistata quella contrada [ottomani chiamati sovrani della Turchia che nel 700 occupava ancora la Grecia, conquistata circa nel 1460; è la dominazione turca che porta poi alla decisione del greco Demetrio di emigrare], e conservando un animo antico malgrado l’educazione e gli esempi, son già tre anni che si risolvette d’abbandonare il suo paese: egli girò per diverse città commercianti [il suo viaggiare lo rende paragonabile a AS], da noi dette le scale del Levante [scali marittimi commerciali orientali]; egli vide le coste del Mar Rosso, e molto si trattenne in Mocha [città nella penisola arabica, nota per la produzione di caffè], dove cambiò parte delle sue merci in caffè del più squisito che dare si possa al mondo; indi prese il partito [decisione] di stabilirsi in Italia, e da Livorno sen venne in Milano, dove son già tre mesi che ha aperta una bottega addobbata con ricchezza ed eleganza somma. [due ipotesi riguardo alla fonte d’ispirazione per la storia fittizia di Demetrio: 1. Nel ducato di Milano vi era una programma ita (1) 66 sede dell’Università di Pavia, e nei pressi di questa una bottega di caffè chiamato Caffè Demetrio; 2. Nel primo numero dello Spectator, Addison cita una coffee house con nome “The Grecian”] In essa bottega primieramente si beve un caffè che merita il nome veramente di caffè; caffè vero verissimo di Levante, e profumato col legno d’aloe [tipo di legno aromatico di una pianta nota per virtù terapeutiche, sottolinea alta qualità della bevanda servita], che chiunque lo prova, quand’anche fosse l’uomo il più grave, l’uomo il più plombeo della terra bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz’ora diventi uomo ragionevole [ al caffè vengono qui attribuite importanti, poi simboliche, qualità: il risvegliare anche “l’uomo il più plombeo” (pesante e noioso) e farlo diventare “ragionevole”]. [descrizione dell’ambiente →]In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un’aria sempre tepida e profumata che consola; la notte è illuminata, cosicché brilla in ogni parte l’iride negli specchi e ne’ cristalli sospesi intorno le pareti e in mezzo alla bottega [luogo confortevole, “la notte” simbolico per l’ignoranza, rischiarata dai lumi della ragione; l’aria “sempre tepida” era allora un privilegio, così come lo era l’illuminazione di notte e la presenza di cristallo, materiale tipico degli antichi caffè]; in essa bottega chi vuol leggere trova sempre i fogli di novelle politiche, e quei di Colonia, e quei di Sciaffusa, e quei di Lugano, e vari altri; in essa bottega chi vuol leggere trova per suo uso il Giornale enciclopedico, e l’Estratto della letteratura europea, e simili buone raccolte di novelle interessanti [ambiente della bottega è di cultura, messi a disposizione diversi tipi di testi giornalistici; i titoli in ita = testate diffuse che offrivano copertura sulle notizie europee le quali fanno programma ita (1) 67 che gli uomini che in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Europei [potere unificante della cultura, non citati i singoli stati europei ma “Europei”]; in essa bottega v’è di più un buon atlante [presenza, oltra a fonti letterarie, di strumenti: caffè descritto come una sorta di biblioteca, ma differenza è che caffè accessibile anche al pubblico], che decide le questioni che nascono nelle nuove politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio; ed io [giornalista/spettatore], che per naturale inclinazione parlo poco, mi son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti che vi vedo accadere, e tutt’i discorsi che vi ascolto degni da registrarsi; e siccome mi trovo d’averne già messi in ordine vari, così li dò alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di caffè. Il nostro greco adunque (il quale per parentesi si chiama Demetrio) è un uomo che ha tutto l’esteriore d’un uomo ragionevole, e trattandolo si conosce che la figura che ha gli sta bene [ragionevole quindi anche nel modo di parlare; segue descrizione fisica, degli atteggiamenti, abiti di Demetrio], nella sua fisonomia non si scorge né quella stupida gravità che fa per lo più l’ufficio della cassa ferrata d’un fallito, né quel sorriso abituale che serve spesse volte d’insegna a una timida falsità. Demetrio ride quando vede qualche lampo di ridicolo [pur ragionevole, non manca di senso d’umorismo] , ma porta sempre in fronte un onorato carattere di quella sicurezza che un uomo ha di sé quando ha ubbidito alle leggi. programma ita (1) 70 Parini ne “Il giorno”. qui si chiude la polemica sulla moda, aperta per dimostrare quanto ragionevole sia D] Son pochi dì dacché il nostro Demetrio ebbe occasione di parlar del suo mestiere, e ne parlò da maestro. Si trovavano nel caffè un negoziante, un giovane studente di filosofia, ed uno dei mille e ducento curiali che vivono nel nostro paese; io [giornalista-spettatore] stava tranquillamente ascoltandoli, non contribuendo con nulla del mio alla loro conversazione. ”Il caffè è una buona bevanda”, diceva il negoziante, ”io lo faccio venire dalla parte di Venezia, lo pago cinquanta soldi la libbra, né mi discosterò mai dal mio corrispondente; altre volte lo faceva venir da Livorno, ma v’era diversità almen d’un soldo per libbra” [il negoziante, in quanto esperto di caffè, si limita a parlare solamente del proprio mestiere; così, i redattori del caffè trattano argomenti appartenenti ai loro ambiti] “V’è nel caffè”, soggiunse il giovane, ”una virtù risvegliativa degli spiriti animati, come nell’oppio v’è la virtù assoporativa e dormitiva” [il giovane è rappresentante delle nuove generazioni, incalza, porta attenzione sul nuovo, in questo caso sulla “virtù risvegliativa” della bevanda]. “Gran fatto”, replicò il curiale, ”che quel legume del caffè, quella fava ci debba venire sino da Costantinopoli!”. Qui Demetrio, il quale in quel punto era disoccupato, prese a parlare in tal modo: Storia naturale del caffè [discorso aperto da Demetrio per confutare la tesi che il caffè sia un legume, come affermato dal curiale, tolta la parte dialogica, il testo si fa di taglio scientifico, informativo] Il caffè, signori miei, non è altrimenti una fava o un legume, non nasce altrimenti programma ita (1) 71 nelle contrade vicine a Costantinopoli; e se siete disposti a credere a me, che ho viaggiato il Levante ed ho veduto nell’Arabia i campi interi coperti di caffè, vi dirò quello che egli è veramente. Il caffè, che noi orientali comunemente chiamiamo cauhè, e cahua, è prodotto non da un legume, ma bensì da un albero, il quale al suo aspetto paragonasi agli aranci ed a’ limoni quand’hanno le loro radici fisse nel suolo, poiché s’alza circa quattro o cinque braccia da terra; il tronco di esso comunemente s’abbraccia con ambe le mani, le foglie sono disposte come quelle degli aranci, come esse sempre verdi anche nell’inverno, e come esse d’un verde bruno; di più l’albero del caffè nella disposizione de’ suoi rami s’estende presso poco come gli aranci, se non che nella sua vecchiezza i rami inferiori cadono alquanto verso il pavimento. Il caffè cresce e si riproduce con poca fatica anche nelle terre le quali sembrerebbero sterili per altre piante; e in due maniere si moltiplica, e col seme (il quale è quell’istesso che ci serve per la bevanda) e col produrne di nuove pianticelle delle radici. È bensì vero che il seme del caffè diventa sterile poco dopo che è distaccato dall’albero, ed alla natura deve imputarsi, non alle pretese cautele degli Arabi se ei non produce portato che sia da noi, poiché non è altrimenti vero che gli Arabi lo disecchino ne’ forni, né nell’acqua bollente a tal fine, come alcuni spacciarono. L’albero del caffè finalmente s’assomiglia agli aranci anche in ciò che nel tempo medesimo vi si vedono e fiori e frutti, altri maturi, altri no, sebbene il tempo veramente della grande raccolta nell’Arabia sia nel mese di maggio. I fiori somigliano i gelsomini di Spagna, i frutti sembrano quei del ciriegio, verdastri al bel principio, poi rossigni, indi nella maturanza d’un perfetto porporino. Il nocciolo di esso frutto rinchiude due grani di caffè, i quali si combaciano nella parte piana, e son nodriti da un filamento che passa loro al lungo, programma ita (1) 72 di che ne vediamo vestigio nel grano medesimo: si raccolgono i frutti maturi del caffè scuotendone la pianta, essi non sono grati a cibarsene, si lasciano diseccare esposti al sole, indi facendo passare sopra di essi un rotolo di sasso pesante si schiudono i gusci, e ne esce il grano. Ogni pianta presso poco produce cinque libbre di caffè all’anno, e costa sì poca cura il coltivarla, ch’egli è un prodotto che ci concede la terra con una generosità che poco usa negli altri. [fatti scientifici, botanici riguardo la provenienza del seme di caffè, verificati dai caffettisti grazie anche alle riviste scientifiche dell’epoca. in ordine: descrizione dell’albero del caffè, come esso si riproduce, i fiori della pianta, descrizione del nocciolo di caffè, quante libbre di caffè ogni pianta produce] Nell’Oriente era in uso la bevanda del caffè sino al tempo della presa di Costantinopoli fatta da’ maomettani, cioè circa la metà del secolo decimo quinto; ma nell’Europa non è più d’un secolo da che vi è nota. La più antica memoria che sen’ abbia è del 1644, anno in cui ne fu portato a Marsiglia, dove si stabilì la prima bottega di caffè aperta in Europa l’anno 1671. [dopo la parte botanica, parte storica, quando bere caffè è entrato in uso anche in Europa; date specifiche = grande attenzione, ricerca da parte dei caffettisti] La perfezione della bevanda del caffè dipende primieramente dalla perfezione del caffè medesimo, il quale vuol essere arabo, e nell’Arabia stessa non ogni campo lo produce d’egual bontà, come non ogni spiaggia d’una provincia produce vini di forza eguale. Il migliore d’ogni altro è quello ch’io uso, cioè quello che si vende al Bazar, ossia al mercato di Betelfaguy, città distante cento miglia circa da Mocha. Ivi gli arabi delle campagne vicine portano il caffè entro alcuni sacchi di paglia, e ne programma ita (1) 75 Ma poiché ebbe terminato il suo ragionamento Demetrio, s’alzò il curiale e uscì dalla bottega ripetendo: ”Gran fatto, che quel legume del caffè, quella fava, ci debba venire sino da Costantinopoli!” [conclusione con nota ironica; nonostante tutta la spiegazione, gli sforzi di Demetrio per confutare tesi che caffè sia legume/fava, il curiale non solo non cambia d’idea, ma ripete esattamente la formula espressa all’inizio, identica parola per parola. I caffettisti con questo fanno capire che si rendono conto che nonostante il loro impegno nella divulgazione di informazioni, ci sarà sempre una parte di lettori che rimarrà nella sua ignoranza, ottusità, irragionevolezza, categoria di persone contro la quale non esiste rimedio] P. [Pietro Verri] estratto “al lettore” dal primo tomo Secondo estratto è la premessa “Al lettore” fatta al tomo primo; è particolarità del Caffè il fatto che nasca sia come rivista periodica che come progetto unitario (dato il voler raccogliere le pubblicazioni in tomi annuali, intento già esplicitato nel primo numero della rivista). Uscito alla fine del 1764, l’estratto riprende punti fondamentali già trattati nell’introduzione. Questo lavoro fu intrappreso da una piccola società d’amici per il piacere di scrivere, per l’amore della lode e per l’ambizione (la quale non si vergognano di confessare) di promovere e di spingere sempre più gli animi italiani allo spirito della lettura, alla stima delle scienze e delle belle arti, e ciò che è più importante all’amore delle virtù, dell’onestà, dell’adempimento de’ propri doveri. [caratteristiche che sono alla base del progresso sociale]. programma ita (1) 76 Questi motivi sono tutti figli dell’amor proprio, ma d’un amor proprio utile al pubblico [amor proprio e utilità concetti chiave dell’epoca illuminista, amor proprio in particolare stato represso in età medievale, giudicato come qualcosa di negativo]. Essi hanno mosso gli autori a cercare di piacere e di variare in tal guisa i soggetti e gli stili che potessero esser letti e dal grave magistrato e dalla vivace donzella, e dagl’intelletti incalliti e prevenuti e dalle menti tenere e nuove [variazioni di soggetti e stili per raggiungere e piacere ad pubblico più ampio possibile; “menti tenere” perché menti degli studenti più aperte]. Una onesta libertà degna di cittadini italiani [”italiani” non ha qui significato politico, ma culturale, umanistico] ha retta la penna. Una profonda sommissione alle divine leggi ha fatto serbare un perfetto silenzio su i soggetti sacri, e non si è mai dimenticato il rispetto che merita ogni principe, ogni governo ed ogni nazione. [caffettisti si descrivono qui come rispettosi verso religiosi e sovrani per non incorrere in censure, deferenza quindi solo apparente]. Del resto non si deve e non si è mai prestato omaggio ad alcuna opinione [mai avuti preconcetti, pregiudizi] , ed anche negli errori medesimi alla sola verità si è sacrificato [anche negli errori, sempre in ricerca del giusto, della verità]. Forse potran col tempo sembrar troppo animosi alcuni tratti contro i puristi di lingua; ma la pedanteria de’ grammatici, che tenderebbe ad estendersi vergognosamente su tutte le produzioni dell’ingegno; quel posporre e disprezzare che si fa da alcuni le cose in grazia delle parole; quel continuo ed inquieto pensiero delle più minute cose che ha tanto influito sul carattere, sulla programma ita (1) 77 letteratura e sulla politica italiana meritano che alcuno osi squarciare apertamente queste servili catene. [riferimento agli articoli scritti dai caffettisti contro l’Accademia della Crusca; l’animosità di quegli articoli in risposta alla tirannia dell’Accademia, paragonata a “servili catene”, le quali hanno impedito anche il progresso del carattere, della letteratura, della politica italiana, rimaste indietro rispetto al resto d’Europa]. È ridicola cosa il raccomandarsi alla benevolezza del pubblico, conviene meritarsela. Come gli autori per amor proprio hanno scritto, così per amor proprio il pubblico ha letto e leggerà. Ciò che è piaciuto diviso in fogli conviene sperare che piacerà riunito in questo primo tomo; al quale altri verranno in seguito se il favorevole giudizio del pubblico continuerà a dar lena a questo periodico lavoro. [conclusione non con un tradizionale appello al lettore; esplicitata speranza che dato che i singoli numeri erano stati ben accolti, anche il tomo piacerà; al tomo ne seguiranno altri se i numeri continueranno a piacere al pubblico] estratto “de’ fogli periodici” di cesare beccaria Terzo estratto è tratto dal breve annuncio alla fine dell’ultimo numero della rivista; in poche righe annunciano la dissoluzione del Caffè e mettono in guardia il pubblico da potenziali imitatori. [importante riflessione di Cesare Beccaria riguardo al giornale come mezzo rivoluzionario per la diffusione di idee a pubblico più ampio, rivoluzione culturale non stravolgente, piccola ma comunque significativa→] Quello che sono i libri stampati rispetto alla scrittura può quasi dirsi che lo siano i fogli programma ita (1) 80 unito al dilettevole, il secondo nasconde, vela il primo, in modo che si mantenga il tono amichevole e non sentenzioso, e il rapporto tra lettore e scrittore sia più vicino possibile] estratto “rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al vocabolario della crusca” di alessandro verri Quarto estratto tratto dal quarto numero del Caffè, intitolato “Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca”, in cui l’autore, Alessandro Verri (”A”, il più giovane dei Verri), espone la “rinunzia” dei caffettisti alle regole della Crusca: fin dal titolo viene mossa critica al linguaggio accademico, poichè rinunzia è termine giuridico arcaico. L’intervento di Verri è significativo perchè ha grande risonanza, seppur non con recezione unanime. Il Caffè non è l’unico periodico a schierarsi contro la Crusca: prima dei caffettisti, il Giornale de Letterati d’Italia aveva fatto lo stesso, con la differenza che l’intervento di Verri non rimane inosservato poichè estremamente esplicito. A fine Settecento il Gran duca Leopoldo di Toscana sancisce la sopressione della Crusca grazie anche a questo intervento. Le argomentazioni di Verri sono sia di carattere linguistico/letterario che civile. Sottolinea il fatto che la lingua dovrebbe essere servile, dovrebbe facilitare la comunicazione, essere ad essa utile ed assecondare il progresso: per questo non può essere ingabbiata dalle regole accademiche; se introdotti nuovi concetti, non sono questi ultimi a dover essere espressi in maniera contorta dalla lingua esistente per preservarne la purezza, ma la lingua deve adattarsi, cambiare per includerli. Quelli di Verri è esempio di prosa brillante, aggressiva, ironica, vivace stile giornalistico che si afferma grazie al Caffè; citazioni dotte (riprese dal componimento Ars Poetica di Orazio) si alternano a riferimenti pratici, di vita quotidiana (cita la carrozza come esempio di lingua che si adatta al progresso tecnologico, di locomozione in questo caso). Dal tono altisonante e volutamente aulico poichè a livello strutturale, l’articolo è inserito in finzione parodica: la struttura è infatti ironicamente quella di un atto notarile (espressione latina “cum sit”, seguita da divisione del discorso in punti = aspetto tipico dei documenti giuridici), come se i caffettisti stessero pronunciando la rinuncia di fronte ad un notaio. Ripetute poi nel resto del testo sono, in italico, le espressioni notarili, sempre in tono ironico essendo l’articolo una rinuncia alle rigide norme accademiche. programma ita (1) 81 Cum sit [dato che], che gli autori del Caffè siano estremamente portati a preferire le idee alle parole, ed essendo inimicissimi [superlativo, tipico linguaggio giornalistico] d’ogni laccio ingiusto che imporre si voglia all’onesta libertà de’ loro pensieri e della ragion loro, perciò sono venuti in parere [preso la decisione] di fare nelle forme solenne [formalmente, ufficialmente] rinunzia alla pretesa purezza della toscana favella [favella termine letterario per lingua] , e ciò per le seguenti ragioni. 1. Perché se Petrarca, se Dante, se Bocaccio, se Casa [autori presi da modello per le regole imposte dalla Crusca] e gli altri testi di lingua hanno avuta la facoltà d’inventar parole nuove e buone, così pretendiamo che tale libertà convenga ancora a noi [rivendicazione della stessa libertà espressiva di quegli autori]; conciossiaché [termine arcaico tono ironico] abbiamo due braccia, due gambe, un corpo ed una testa fra due spalle com’eglino l’ebbero. … quid autem? Caecilio, Plautoque dabit Romanus, ademptum Virgilio, Varioque? ego cur adquirere pauca Si possum invideor? quum lingua Catonis et Enni Sermonem patrium ditaverit ac nova rerum Nomina protulerit. Horat., De art. poet. [Orazio esprime lo stesso giudizio di Verri: rivendica la stessa libertà espressiva di grandi autori del passato come Plauto, Catone ed Ennio; Verri valida la sua programma ita (1) 82 argomentazione servendosi dell’autorità di Orazio, cerca grazie alla citazione di quest’ultimo di convincere pubblico più ampio possibile] 2. Perché, sino a che non sarà dimostrato che una lingua sia giunta all’ultima sua perfezione, ella è un’ingiusta schiavitù il pretendere che non s’osi arricchirla e migliorarla. 3. Perché nessuna legge ci obbliga a venerare gli oracoli della Crusca, ed a scrivere o parlare soltanto con quelle parole che si stimò bene di racchiudervi. 4. Perché se italianizzando le parole francesi, tedesche, inglesi, turche, greche, arabe, sclavone [slave, in generale quindi di qualsiasi lingua straniera] noi potremo rendere meglio le nostre idee, non ci asterremo di farlo per timore o del Casa, o del Crescinbeni, o del Villani o di tant’altri [scrittori o apppartenenti o presi da modello dalla Crusca, come Villani, storico trecentesco], che non hanno mai pensato di erigersi in tiranni delle menti del decimo ottavo secolo, e che risorgendo sarebbero stupitissimi in ritrovarsi tanto celebri, buon grado la volontaria servitù di que’ mediocri ingegni che nelle opere più grandi si scandalizzano di un c o d’un t di più o di meno, di un accento grave in vece di un acuto [grammatici accademici danno più importanza a minimi dettagli che alle opere nel loro insieme] . Intorno a che abbiamo preso in seria considerazione che se il mondo fosse sempre stato regolato dai grammatici, sarebbero stati depressi in maniera gl’ingegni e le scienze che non avremmo tuttora né case, né morbide coltri, né carrozze, né quant’altri beni mai ci procacciò l’industria e le meditazioni degli uomini; ed a proposito di carrozza egli è bene il riflettere che se le cognizioni umane dovessero stare ne’ limiti strettissimi che gli assegnano i programma ita (1) 85 per regole accademiche]. A tali risoluzioni ci siamo noi indotti perché gelosissimi di quella poca libertà che rimane all’uomo socievole dopo tante leggi, tanti doveri, tante catene ond’è caricato [libertà espressiva bilancia la non libertà sociale, leggi e doveri sociali = catene che l’uomo accetta per far parte della società]; e se dobbiamo sotto pena dell’inesorabile ridicolo vestirci a mò degli altri [ritorno al tema della moda], parlare ben spesso a mò degli altri, vivere a mò degli altri, far tante cose a mò degli altri, vogliamo, intendiamo, protestiamo [climax ascendente] di scrivere e pensare con tutta quella libertà che non offende que’ principii che veneriamo. [rivendicazione di libertà almeno in ambito letterario, del pensiero, in quanto mancanza di libertà per esempio nel vestire a causa delle continue mode] E perché abbiamo osservato che bene spesso val più l’autorità che la ragione, quindi ci siamo serviti di quella di Orazio per mettere la novità de’ nostri pensieri sotto l’egida della veneranda antichità, ben persuasi che le stesse stessissime cose dette da noi e da Orazio faranno una diversa impressione su di coloro che non amano le verità se non sono del secolo d’oro. [giustificazione della presenza di citazioni di Orazio: autorità del passato usata come scudo, protezione, egida (scudo di Atena nella mitologia classica) per le nuove idee dei caffettisti; speranza che le parole di Orazio possano convincere i tradizionalisti, gli eruditi.] Per ultimo diamo amplissima permissione ad ogni genere di viventi, dagli insetti sino alle balene, di pronunciare il loro buono o cattivo parere su i nostri scritti. Diamo licenza in ogni miglior modo di censurarli, di sorridere, di sbadigliare in leggendoli, di ritrovarli pieni di chimere, di stravaganze, ed anche inutili, ridicoli, insulsi in qualsivoglia maniera. I quali sentimenti siccome ci programma ita (1) 86 rincrescerebbe assaissimo qualora nascessero nel cuore de’ filosofi, i soli suffragi de’ quali desideriamo, così saremo contentissimi, e l’avremo per un isquisito elogio, se sortiranno dalle garrule bocche degli antifilosofi. [conclusione ironica, consapevoli che le loro posizioni non saranno ben accette da tutti, si dimostrano quindi aperti a censura, disinteresse, rabbia; sentimenti che, se provenienti da filosofi sarebbero causa di dispiacere nei redattori, ma se venissero da “antifilosofi”, cioè i pedanti eruditi, intesi come chi non segue la ragione illuminsita, li prenderebbero per elogio] A. [Alessandro Verri] estratto da “la commedia” di pietro verri Quarto estratto consiste in un saggio, intitolato “La commedia”, pubblicato in due parti tra il quarto e quinto numero della rivista; argomento centrale è la letteratura edificante, che dia insegnamenti morali, ed in particolare il genere che più si presta all’unione utile e dilettevole è il teatro. Verri nell’articolo si sofferma e critica la situazione del teatro in Italia; la prima parte contiene una riflessione generale sulla critica dell’opera d’arte, mentre nella seconda tratta delle critiche rivolte a Carlo Goldoni (le stesse critiche che lo aveva portato nel 62 ad emigrare), schierandosi con quest’ultimo e contro coloro che lo avevano criticato, tra cui Baretti, che, seppur non viene citato, implicitamente viene fatta critica ai suoi commenti. Verri immagina di sentire nella bottega la voce di un avventore, e in bocca a questo egli mette le critiche che Baretti aveva rivolto a Goldoni; Baretti lo giudica privo di talento comico, e critica sia il linguaggio da lui utilizzato, giudicandolo scorretto, sia la sua mancanza di morale (critiche tanto lontane dalla realtà che ancora oggi in dubbio da dove provenisse malcontento di Baretti nei confronti di Goldoni). Verri difende Goldoni, giudicando che la sua opera avesse contenuto morale fondato su ideali virtuosi, in grado di centrare il compito della letteratura, cioè appunto dare insegnamenti utili a miglioramento. Verri fa riferimento anche a Voltaire, padre dell’illuminismo francese, parla della vita culturale di Parigi. Verri vuole idealmente collegare i caffettisti ai philosphes programma ita (1) 87 francesi, specie considerando che l’articolo risale a pochi anni prima del viaggio di Beccaria in Francia. Il linguaggio utilizzato è complesso, per dimostrare ottusità dei critici, non solo letterari ma di qualsiasi tipo di opera. Che inconvincibil razza di gente [critici] che sono mai que’ pedanti, i quali nelle cose che sono fatte per eccitar nell’animo que’ moti che si chiamano sentimento, in vece di abbandonarsi alla magia della illusione cavan di tasca il pendolo o il compasso per esaminarle freddamente e giudicarne [si soffermano cioè sull’analizzare i mini dettagli tecnici, senza considerare l’opera nel suo complesso / lasciarsi influenzare dai sentimenti che l’opera vuole scaturire]? Si presenta ad essi un quadro [parte da arte pittorica, per poi passare alle arti in generale nel paragrafo dopo] pieno di poesia e di espressione, dove l’atteggiamento, la disposizione e le fisonomie delle diverse figure sarebbero atte a porre la parte sensibile di noi in movimento, e spingerla o verso l’orrore, o verso la compassione, o verso la maraviglia, o verso qualch’altro stato significato con altro vocabolo; in vece, dico, di presentarsi all’azione che l’artefice ha cercato di far nascere in chi deve rimirare, e dalla natura di essa azione giudicar poi del merito della pittura; in vece, dico, di ciò, si restringono a criticare il disegno e la proporzione d’una gamba o d’un dito, una piegatura stentata di una calza o simile piccolo difetto, e della scoperta di esso gloriosi prendono un vero piacere con una spensieratezza che mal corrisponde alla cautela con cui sono essi sì raramente sparsi nella serie delle nostre sensazioni. [invece che concentrarsi sulle sensazioni che l’artista vuole tramite i vari elementi suscitare, si limitano a giudicare l’aspetto tecnico, il rispetto delle regole tradizionali programma ita (1) 90 non osserva nessuna regola, che il Goldoni non sa la lingua, che il Goldoni non può paragonarsi a Molière in verun conto, e continuava su questo gusto [critiche del pedante riportare con ripetizione “che il Goldoni”, critiche che coincidendo con quelle di Baretti nella Frusta rendono evidente corrispondenza tra lui e pedante]. Io, che son persuaso che il più gran castigo che possa darsi ad un ignorante ardito è di lasciarlo ignorante e ardito; io, che sono persuaso che il peggior impiego che possa farsi della ragione umana è adoperandola con un pedante, mi sono fatto portare una tazza dello squisito caffè del buon Demetrio, e me la sono sorbita deliziosamente lasciando declamare il pedante a sua posta; ma giunto a casa me ne vendico, e vendico l’onore non dirò del Goldoni, al quale un elogio di più aggiunge poco, ma l’onore del popolo d’Italia, il quale frequenta e applaude al nostro protocomico. [Verri lascia l’ignorante ardito nella sua ignoranza ardita, poichè modo peggiore per applicare laa ragione è discutere con un pedante; l’articolo che ne scrive non ha obiettivo di vendicare Goldoni, ma l’onore del “popolo d’Italia” = non in senso politico, poichè le opere del Goldoni sono da esso apprezzate; riprendendo l’argomentazione del paragrafo “eppure i mezzo eruditi”, conta più il giudizio del popolo in quanto non basato su osservazione delle regole ma sulle sensazioni che le opere causano in esso]. ***La commedia è destinata a correggere i vizi dilettando, e questa definizione della commedia, s’ella non è conforme a quella che ne danno gli eruditi scrittori che hanno imparato ogni cosa fuori che l’arte di distinguere le cose buone dalle cattive, mi pare preferibile all’altra, che la commedia è quella programma ita (1) 91 che purga l’animo col riso, poiché mi pare che il riso purghi così poco l’animo, quanto la slogatura delle ossa dell’omero purghi l’infamia nella tortura. [per Verri la commedia ha obiettivo di correggere i vizi divertendo, non di rendere puro l’animo tramite il riso, riso paragonato ad un male minore come slogatura dell’omero, che non rende meno peggio il male maggiore, cioè l’animo se peccatore o la tortura, implicita condanna all’usanza delle tortura]. Nelle commedie del signor Goldoni primieramente è posto per base un fondo di virtù vera, d’umanità, di benevolenza, d’amor del dovere, che riscalda gli animi di quella pura fiamma che si comunica per tutto ove trovi esca, e che distingue l’uomo che chiamasi d’onore dallo scioperato [incline a una condotta di vita oziosa e sregolata]. Ivi s’insegna ai padri la beneficenza e l’esempio, ai figli il rispetto e l’amore, alle spose l’amor del marito e della famiglia, ai mariti la compiacenza e la condotta; ivi il vizio viene accompagnato sempre dalla più universale e possente nemica, cioè l’infelicità; ivi la virtù provata ne’ cimenti anche più rigidi riceve la ricompensa; in somma ivi stanno con nodo sì indissolubile unite la virtù al premio e la dissolutezza alla pena, e sono con sì vivi e rari colori dipinte e l’una e l’altra, che v’è tutta l’arte per associare le idee di onesto e utile nelle menti umane con quel nodo, il quale se una volta al fine giungessimo a rassodare, sarebbero i due nomi di pazzo e di malvaggio sinonimi nel linguaggio comune. Io non dirò che le ottanta e più commedie del signor Goldoni dilettino tutte; dirò che spirano tutte la virtù, e che la maggior parte di esse veramente diletta. programma ita (1) 92 Che diletti me, ogni lettore deve accordarmelo, poiché parlo in materia in cui non v’è miglior giudice competente; che dilettino gli spettatori sembra cosa molto probabile, direi quasi delle probabilmente probabili, anzi delle probabilmente probabiliori, posto che vediamo il concorso ch’esse hanno avuto ed hanno tuttavia per tutto ove si rappresentano [dato il successo che hanno avuto dove rappresentate, probabilemente apprezzate anche dagli spettatori]. Gli abitatori di Parigi, quelli cioè che sono avvezzi ogni giorno a vedere su’ loro teatri le più belle produzioni drammatiche che gli uomini abbiano fatte, almeno dacché le memorie sono giunte a noi, essi ascoltano con applauso le commedie del valoroso nostro italiano. [Parigi estremamente importante perchè culla dell’illuminismo; Verri associa idealmente le battaglie illuministe/dei philosophes a quelle dei caffettisti. Usato il consenso che le opere di Goldoni hanno anche a Parigi per contrastare con maggior forza le critiche di Baretti]. Nella Germania molte delle sue commedie si rappresentano tradotte ed applaudite. Pongasi tutto ciò da una parte della bilancia, pongasi dall’altra parte il piccol numero degli insensibili pedanti, e poi si giudichi se in una cosa che piace così universalmente vi sia una ragione perché piaccia, oppure se sia un effetto senza cagione [se il consenso è così ampio, esteso da superare persino i confini italiani, probabilmente ragioni perchè essa piaccia ci sono]. La vita degli uomini di genio è sempre stata il bersaglio delle frecce degli uomini mediocri, e Molière sarebbe stato da essi oppresso, se la protezione d’un gran monarca non lo avesse difeso. [Goldoni e Molière idealmente messi sullo stesso piano, entrambi uomini di genio criticati da programma ita (1) 95 l’arte di parlare, di moversi, di vestirsi e di rappresentare in somma al naturale ogni nobil personaggio. Stabiliti gli esemplari, i quali frequentemente si mostravano, facil cosa divenne l’averne buoni allievi, e tali sono per tradizione i commedianti che in Francia anche al dì d’oggi rappresentano le composizioni drammatiche. [l’arte teatrale è più antica, più sviluppata in Francia, dove i giovani commediografi hanno come esempio, modelli di riferiemento Molière e Baron, i quali, ben accolti anche nelle corti nobili e nelle compagnie del regno, ebbero possibilità di affinare la loro arte, di meglio rappresentare i loro personaggi;] Là non vedreste gl’innamorati parlare alle lor belle con una canna in mano, come se sempre fossero di viaggio, col cappello in testa (indecentissima cosa), con un abito malfatto e logoro, avvanzo di un rigattiere. Là non udireste gli urli e il tuon di voce “Lacerator di ben costrutti orrecchi” [verso tratto da “Il giorno” di Parini, critica al tono, alle voce “lacerator” degli attori, che infastidiscono i “ben costrutti”, cioè nobili, educati, “orecchi”, le orecchie del giovane aristocratico seguito da Parini cose tutte che quasi universalmente accompagnano le compagnie de’ commedianti d’Italia. [paragone tra arte teatrale francese e italiana, quella italiana ancora non sviluppata, basta su improvvisazioni rudimentali, così come poca cura nelle scenografie, nei costumi, no strutture fisse] Là vedreste in somma la nobile natura, il costume rappresentato come egli è, anzi vedreste la commedia divenuta una vera scuola di gentilezza e di buone maniere [teatro edificante, come lo desidera Verri in Italia]; onde, se il nostro signor Goldoni, che sente il bello, che conosce il buono, programma ita (1) 96 al suo ritorno in questa patria, a cui ha fatto tanto onore, avrà forze tali da portare la riforma ed atterrare gli avvanzi della barbarie che ancora abbiamo pur troppo, spero che ciò si farà [speranza che Goldoni ritorni in Italia per eliminare gli aspetti rozzi della commediografia italiana]. Voglia il buon genio d’Italia che ciò si possa, e che nasca qualcuno degno d’imparare l’arte onorata del Goldoni, e degno di sostenerne la gloria presso i figli nostri. [desiderio di nascita di una scuola teatrale che segua l’esempio, la riforma teatrale di Goldoni P. [Pietro Verri] giornalismo europeo e italiano tra il 1766 e il 1816 Negli anni della rivoluzione iniziano a proliferare, prima in Francia e poi nel resto d’Europa, i fogli d’opinione; timeline: 87. due anni prima della rivoluzione, iniziano a nascere nuove testate, che proliferano ad una media di quaranta testate al mese, simboleggiano i germi della rivoluzione. 88. in media nascono cento nuove testate, poichè la stampa diventa strumento rivoluzionario, estende senza precedenti il concetto di opinione pubblica (pamphlet, opuscoli, numeri unici richiamo l’attenzione, la partecipazione attiva anche di persone fino allora estranee alla vita politica). Sono per lo più giornali agitatori, obiettivo di agitare, muovere le masse (testate di questo tipo, dall’orientamento rivoluzionario si erano già diffuse in America con scopo propagandistico ideologico). 89. nascono duecento nuove testate, molte di queste hanno vita brevissima e dallo spaccio relativo (non più di cento copie per testata); si tratta di testate non più a scopo divulgativo generale, ma ciascuna espone il pensiero di gruppi ristretti di persone. Uno tra questi “L’Ami du peuple” di Jean-Paul Marat durante la rivoluzione francese; opscolo agitativo settimanale di otto programma ita (1) 97 pagine, obiettivo non divulgazione di informazioni ma agitazione del popolo, incita la mobilitazione dei rivoluzionari contro quello che era considerato il nemico comune, cioè l’aristocrazia. Dopo la presa di potere, Bonaparte, consapevole del potere della stampa, inizia a controllarla e crea attraverso questa il mito di sè stesso, in particolare durante le campagne militari in Italia ed in Egitto, per assicurarsi il favore del popolo. Di conseguenza la stampa può essere considerata ristretta, censurata. Anche gli Stati italiani vengono contaggiati dalla rivoluzione: a Milano nascono ottanta nuovi periodici, accomunati da vocazione politica (attacchi alle istituzioni) e cambiamenti sia a livello di impaginazione che di gerarchia delle notizie (notizie estere passano in secondo piano rispetto a quelle italiane). Due le testate di particolare importanza: 1. Gazzetta piemontese, periodico tradizionale sotto controllo governativo, emesso dai Savoia, messe in primo piano notizie estere; risalente al gennaio 97, sotto Carlo Emanuele IV di Savoia. 2. Monitore napoletano, giornale rivoluzionario della Repubblica napoletana, fatto significativo è che fosse redatto da una giornalista di origini portoghesi e dalle idee giacobine, Eleonora Fonseca Pimentel. Prestata particolare attenzione ai problemi interni della Repubblica, già nel titolo si nota l’influenza parigina (”libertà” stampato in alto a sinistra, e “uguaglianza” in alto a destra). Risalente al 99, pieno periodo repubblicano. Biblioteca italiana e Conciliatore nascono nel difficile periodo di crisi ideologica post-rivoluzione; importanti questioni dibattute sono la libertà e la questione nazionale e sociale. La diffusione della stampa periodica comunque aveva proceduto per tutto il Settecento, spesso anche in clandestinità, a causa della censura dei regimi durante la Restaurazione. la biblioteca italiana (1816-1840, da 40 a 59 con titolo giornale dell’istituto regiolombardo di arti) Nata a Milano nel 1816, città più attiva e vivace in quel periodo dal punto di vista culturale, dove operano numerosi intelletuali (con la possibilità quindi di stringere relazioni, consultare ma anche stampare volumi più facilmente). Testata preceduta dalla breve
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