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Appunti chimica dei materiali per il restauro, Appunti di Restauro

Appunti presi a lezione di chimica dei materiali per il restauro con una breve introduzione iniziale alla chimica.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 14/02/2022

meaddows
meaddows 🇮🇹

4.7

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Scarica Appunti chimica dei materiali per il restauro e più Appunti in PDF di Restauro solo su Docsity! Chimica dei materiali per il restauro L’esame non sarà scritto ma orale di circa 30 minuti. Strumenti di chimica sono importanti per riuscire ad avere le conoscenze per capire le cose successive (6 ore complessive). 3 domande: due su materiali più importanti, degrado e restauro (come materiali pittorici e affresco, lapidei, tessili, diagnostica); e la terza su cose minori (come carta, vetro o ceramica) Fra i materiali abbiamo citato materiali noti come dipinti, manufatti lapidei, ma in realtà diamo attenzione anche ai materiali che hanno un interesse di tipo storico e documentaristico. Talvolta un manufatto cartaceo è importante per il suo contenuto. Il Bene Culturale: non un oggetto, ma un concetto. Noi studieremo la materia di questo concetto, dalle sue sostanze chimiche. Le sostanze chimiche sono diverse dalle sostanze biologiche. La chimica è quella scienza che studia la materia, atomi e molecole, si distingue tra sostanze di sintesi (o sintetiche) e sostanze naturali. Materiali: pitture, lapidei, cartacei, tessili, metallici, lignei, vitrei, ceramici. Il tecnico (chimico, fisico, biologo o geologo) entra in questo settore perché gli oggetti sono costituiti da materia e si interfaccia con il restauratore e lo aiuta. Il restauratore, che interviene sull’opera, ha a che fare con il materiale e si rende conto di come sta l’oggetto (degrado, colore, rigidità). Il direttore dei lavori (storico, archeologo, archivista) vede il problema e decide di intervenire chiamando un restauratore, supportandolo con un tecnico. Il direttore ha necessariamente bisogno di un finanziamento, che può essere statale o privato. Normalmente ha a che fare con il Ministero dei beni culturali e la Soprintendenza presente (in ogni grande città). Il chimico non ha le risposte a tutto, può solo risponderci a proposito del materiale. Potrebbe farlo uno storico dell’arte. Il chimico fa due cose: la diagnostica (analisi di un materiale originale, del materiale costituente l’opera e del suo stato di degrado e conservazione). Il chimico fa l’analisi dell’opera e poi comunica il risultato e da poco tempo ricerca e progetta nuovi materiali per il restauro. Il restauro deve essere: riconoscibile, non deve modificare l’opera, reversibile, sostenibile e fare un minimo intervento. Per restaurare servono dei materiali: solventi per pulire non aggressivi, consolidanti e protettivi. In laboratorio si fanno ricerche per non fare errori durante i restauri. Normalmente la collaborazione tra tecnico e restauratore si verifica quando c’è la necessità di esporre e fare una mostra attraverso grandi eventi, per arricchire le conoscenze dell’opera. Cosa può fornire la diagnostica: l’analisi dei materiali costitutivi dell’opera (tecnica di esecuzione che viene definita dal legante pittorico), si possono dare informazioni sulla datazione e si può scegliere il metodo più opportuno per il restauro e la conservazione; riconoscimento dei prodotti di degrado e verifica dello stato di conservazione, comprendendo i meccanismi e le cause del degrado; indagine sui materiali utilizzati in precedenti interventi di restauro e del loro stato di degrado, studio di invecchiamento accelerato; controllo degli interventi conservativi, attraverso anche il monitoraggio sistematico del comportamento dei materiali (che solitamente non viene fatto spesso a causa di un basso budget). Ricerca di nuovi materiali per la pulitura, il consolidamento e la protezione che possano essere più resistenti all’invecchiamento e non tossici per colui che li utilizza. La luce La luce è una radiazione elettromagnetica che viene spesso rappresentata come un’onda. Questa onda ha dei massimi e dei minimi. Frequenza: numero di massimi in un determinato spazio Lunghezza d’onda: distanza tra due massimi successivi Velocità della luce nel vuoto: 300.000 Km/sec. La frequenza e la lunghezza d’onda sono inversamente proporzionali: frequenza = velocità della luce /lunghezza d’onda L’energia è direttamente proporzionale alla frequenza e inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda. Le radiazioni più energetiche (che sono quelle che degradano di più) sono quelle che hanno una frequenza più alta. Le radiazioni elettromagnetiche variano a seconda delle onde elettromagnetiche. L’ultravioletto degrada di più e fa rompere i legami, sia sul legame pittorico che sulla nostra pelle. Le radiazioni visibili sono quelle che ci permettono di vedere i colori. Le infrarosse scaldano, che passano attraverso i vetri, che creano l’effetto serra. Cosa cambia tra questi tre tipi di radiazioni? Solo la loro lunghezza d’onda. Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche Comprende una vasta gamma di lunghezze d’onda ed energie La regione visibile ne rappresenta solo una piccola porzione Ogni regione presenta proprie caratteristiche ed effetti, richiedendo per l’utilizzo strumentazioni molto diversificate (sorgenti, analizzatori, detector e componenti di genere). Il colore Una sensazione fisiologica dell’occhio umano Sensibile alle radiazioni elettromagnetiche comprese nell’intervallo fra i 400 e i 700 nanometri (10- 9m), ovvero la luce visibile. L’occhio non discrimina ogni radiazione, ma solo certi intervalli. Il nostro occhio vede tre luci fondamentali: il blu, il verde e il rosso La presenza di queste tre luci fondamentali forma il bianco L’assenza di queste tre luci fondamentali causa il nero Nella pratica si ha a che fare non con luci colorate, ma con sostanze che investite da luce bianca ci riflettono solo una porzione di radiazioni e ci appaiono colorate. Esempio: Pigmento blu -> assorbe radiazioni verdi e rosse e rimenda al nostro occhio radiazioni nell’intervallo blu. Interazione luce – materia Un fascio di luce che colpisce un corpo, può essere respinto e/o penetrare al suo interno Se viene respinto: a. Riflessione speculare (angolo di incidenza=angolo di riflessione) quando il raggio arriva viene riflesso in modo uguale (materiali riflettenti come specchio e metallo) b. Riflessione diffusa (scattering); accade quando il raggio viene riflesso in più direzioni e crea un effetto opaco (quando la superficie presenta asperità come potrebbe essere un dipinto non verniciato) Se penetra: a. Rifrazione (se corpo trasparente): il raggio subisce deviazione come con l’acqua b. Assorbimento selettivo (dipende dalla composizione chimica del materiale) Questi fenomeni avvengono tutti, più l’uno o più l’altro, a seconda del materiale. Costruzione ideale di atomi La distribuzione degli elettroni intorno al nucleo di un dato elemento nel suo stato di minima energia è chiamata configurazione elettronica del suo stato fondamentale. Per descrivere la configurazione elettronica del suo stato fondamentale si utilizza il principio di Aufbau. Ogni atomo si “costruisce”: 1. Inserendo un numero appropriato di protoni e neutroni nel nucleo come specificato dal numero atomico e dal numero di massa; 2. Inserendo il numero necessario di elettroni negli orbitali di energia via via crescente in modo che si abbia la minima energia totale possibile. 3. Ogni elettrone aggiunto durante l’Aufbau va ad occupare il livello di minore energia secondo la sequenza: 1s < 2s < 2p < 3s < 3p < 4s < 3d < 4p < 5s < 4d < 5p < 6s < 4f < 5d < 6p 4. Per il principio di Pauli: su uno stesso orbitale potranno trovarsi al massimo due elettroni. 5. Per il principio di Hund: gli elettroni si distribuiscono su una famiglia di orbitali degeneri in modo da occupare il numero massimo possibile di questi orbitali (se ad es. 5 orbitali 3d sono occupati da 6 elettroni -> ⇅ ↑ ↑ ↑ ↑ Il principio della massima molteplicità (F.Hund, 1925) afferma che se più elettroni occupano orbitali degeneri esse si distribuiscono, sul numero massimo possibile di questi. In N sono presenti 7 elettroni, di cui 3 in orbitali 2p, che sono degeneri. Indicando con 3 quadratini adiacenti i 3 orbitali p degeneri, la distribuzione degli elettroni deve essere, secondo il principio di Hund: ↑ ↑ ↑. In O sono presenti 8 elettroni, di cui 4 orbitali 2p. la distribuzione degli elettroni deve essere, secondo il principio di Hund: ⇅ ↑ ↑. L’azoto ha: N - ⇅(1s) ⇅ (2s) ↑ ↑ ↑(2ps,2py,2pz) L’elio (He), il neon (Ne) e l’argon (Ar) hanno in comune l’avere tutti i livelli completi che è indice di stabilità (sono tutti e tre gas nobili =non formano composti e non reagiscono). Essere più stabili significa non avere bisogno di fare reazioni. Gli elementi reagiscono per arrivare a un livello più completo (se il fluoro recupera un elettrone arriva alla situazione del neon). Un sodio (11Na) che fa reazione perdendo un elettrone diventerà un catione (Na+) avendo 11 protoni ma solo 10 elettroni. L’elettrone che il sodio perde potrebbe prenderlo il cloro (che è in difetto in confronto all’argon), diventando così un anione. A questo punto il Na+ starà vicino al Cl- e stando vicini formano un legame ionico (due ioni che stanno vicini) NaCl (sale da cucina), che sarà molto più stabile di Na separato da Cl. Il legame chimico Ci sono alcuni che non riescono a cedere e acquisire elettroni, perché ne hanno troppi in gioco per avvicinarsi al gas nobile più vicino. L’idrogeno non riesce né a cedere, né a prendere elettroni. Quindi mette in condivisione i suoi elettroni con qualcosa a cui servono, per esempio l’ossigeno -> legame covalente (costituito dalla condivisione di due elettroni). I due elettroni ruoteranno sia intorno al nucleo dell’idrogeno che intorno al nucleo dell’ossigeno. Quindi l’idrogeno si sarà avvicinato alla stabilità, ma l’ossigeno avrà ancora bisogno di un elettrone. Lo acquisterà condividendolo con un altro idrogeno. Si formerà H2O un legame covalente (gli elettroni non vengono completamente ceduti o acquisiti ma ci sarà una condivisione), nel caso dell’acqua sarà covalente polare (non puro) perché gli elettroni stanno meno tempo intorno all’idrogeno e più tempo intorno all’ossigeno (un po’ negativa dalla parte dell’ossigeno e un po’ positiva dalla parte degli idrogeni). L’acqua, essendo un legame covalente polare, riesce benissimo a sciogliere gli elementi iodici come NaCl, che sarebbe il sale da cucina. Na+ e Cl-, all’interno a H2O si separano: Na andrà vicino all’ossigeno e Cl andrà vicino all’idrogeno, creando una soluzione. Ci sono dei composti che non sono solubili perché puri, avrò bisogno di un tensioattivo (es. sapone) e fa modo che sostanze apolari come l’olio e il grasso si possano sciogliere in acqua. Se la stessa cosa dovesse accadere con due elementi di ossigeno, condividendo due elettroni, avrebbero un legame covalente puro (la distribuzione sarà omogenea): la molecola si chiamerà O2. L’azoto (78%) e l’ossigeno che sono nell’aria sono molecole, non atomi. Il carbonio può legarsi con 4 elementi di idrogeno formando il metano (CH4) che è un composto organico. Composti organici: sono costituiti da carbonio, idrogeno e ossigeno Composti inorganici: sono costituiti da tutti gli altri elementi della tavola periodica Legame ionico: dovuto dal trasferimento da un elettrone all’altro (elettronegativo che tende a prendere un elettrone o elettropositivo che tende a cedere un elettrone). Il legame viene indicato con due punti (:) Regola dell’ottetto: un atomo raggiunge il massimo della stabilità acquistando, cedendo o condividendo elettroni con un altro atomo in modo da raggiungere l’ottetto nella sua configurazione elettronica esterna, simile a quella del gas nobile nella posizione più vicina nella tavola periodica. Legame intermolecolare: quando, nel gruppo di molecole, esse sono posizionate in modo tale che l’ossigeno sia sempre vicino all’idrogeno, anche se questo legame sarà più debole rispetto a quello intramolecolare. Nell’esempio dell’acqua si chiama legame ad idrogeno e si crea quando il polo positivo di una delle molecole polari è rappresentato da un atomo di H, ed il polo negativo dell’altra molecola polare è un atomo di O. Da essi dipendono tantissimo le proprietà dell’acqua. Molecola: atomi che si legano attraverso legami chimici che possono essere ionici o covalenti (puri se gli atomi sono dello stesso elemento o polari se gli atomi sono di elementi diversi). Solo i gas nobili non formano legami perché hanno situazioni già stabili. Tutti gli altri elementi tendono a fare legami, in particolare con l’ossigeno. Composti organici: a base di carbonio, idrogeno, ossigeno e qualche altro elemento (azoto, zolfo) Composti inorganici: sono composti da tutti gli altri elementi della tavola periodica L’ossigeno tende a fare due legami e prenderà elettroni, formando uno ione bivalente negativo. Suddividiamo la tavola periodica in metalli e non metalli. Metalli quegli elementi che stanno sulla sinistra rispetto alla scaletta e tenderanno a cedere elettroni (sopra Al, Ge, Sb, Po) Na legato con O -> Na2O (perché O-- e Na+) Ca legato con O -> CaO (perché O-- e Ca++) Fe legato con O -> FeO (Fe++) oppure Fe2O3 (Fe+++ e O--) Non metalli quelli che sono sulla destra rispetto alla scaletta, tenderanno a prendere elettroni (elettronegativi). C legato con O -> CO2 oppure CO N legato con O -> Nox (famiglia di composti inquinanti a diverso rapporto) S legato con O -> SO2 oppure SO3 (potrà fare 6 legami perché si lega con 3 ossigeni) Sia i metalli che i non metalli si legano con l’ossigeno. Metalli + O2 (=ossidi) + H2O (=idrossidi che sono basici) Non Metalli + O2 (=anidridi) + H2O (=acidi) PH da 1 a 6 sono acidi, i 7 sono neutri e da 8 a 14 sono basici Aggiungendo dell’acqua (H2O) ai metalli e ai non metalli si creeranno composti completamente differenti. Metalli (PH>7): CaO + H2O -> Ca(OH)2 altro Na2O + H2O -> Na2O2H2 si scrive 2NaOH Non metalli (PH<7): CO2 + H2O -> H2CO3 N2O3 + H2O -> 2HNO2 SO3 + H2O -> H2SO4 Ca(OH)2 + H2CO3 -> CaCO3 + 2H2O Idrossido + acido = sale CaCO3 (marmo) + H2SO4 (pioggia acida) -> CaSO4 + H2O + CO2 (gesso) • I composti binari, come l’ossigeno sono chiamati ossidi. I prefissi sono: (mono), di, tri, e indicano il numero di atomi di O e dell’altro elemento. La nomenclatura tradizionale suddivide gli ossidi basici e anidridi (per quelli che contengono l’ossigeno) e gli idruri (idrogeno legato a un elemento meno elettronegativo, come i metalli), idracidi (sono composti formati da idrogeno e da un non-metallo più elettronegativo) e sali binari (le molecole sono composte da un metallo e da un non- metallo). • I composti ternari: le molecole contengono tre diversi elementi e si suddividono in idrossidi, ossiacidi e sali ternari. Idrossidi: sono costituiti da un metallo legato a un gruppo -OH, il quale conferisce caratteristiche basiche. Ossiacidi: vengono formati dall’aggiunta di acqua ad anidridi (acidi ossigenati o ossiacidi: formati da H, O e un non-metallo, oppure un metallo il cui ossido abbia proprietà acide. La formula è: HXO). Sali ternari: si formano sostituendo gli atomi di idrogeno degli ossiacidi con metalli. Secondo la nomenclatura, la parte metallica (positiva) del sale viene scritta per prima a cui segue la parte non metallica o radicale acido (negativo) Composti organici La chimica organica è la chimica dei composti contenenti carbonio. I composti costituiti da solo carbonio e idrogeno si chiamano idrocarburi, che possono essere alinfatici (saturi se singoli, asaturi se doppi) o aromatici. Abbiamo visto: Composti inorganici Molteplicità dei composti organici Stati di aggregazione della materia: solido, liquido e gassoso • Umidità -> idratazione Gas -> formazione di acidi e anche di basici • Luce -> radiazioni UV (energia alta) Questi fenomeni agiscono insieme sui pigmenti comportando: scurimenti (o macchie), perdita di colore (irrigidimento), alterazione chimica. L’azione è limitata dal legante pittorico che dovrebbe avvolgere ogni singola particella del pigmento, in certi casi ciò non avviene e alcuni pigmenti possono anche reagire tra loro. I pigmenti a base di solfuri (S--) sono incompatibili con pigmenti a base di piombo (Pb) e di rame (Cu) perché si potrebbero formare neri (PbS o CuS). Quindi il pigmento dovrebbe essere resistente anche alla possibilità che due pigmenti messi in contatto reagiscano tra loro. Esempi di alterazioni Luce - > FOTOLISI (SCOLORIMENTO): tipica dei coloranti organici come le lacche; le onde più pericolose sono quelle a bassa energia (luce blu, luce violetta, luce ultravioletta); bisognerebbe prestare particolare attenzione negli spazi espositivi come i musei. Ossigeno -> OSSIDAZIONE (TRASFORMAZIONE DELLA NATURA DEL PIGMENTO E SCOLORIMENTO): la biacca e il minio potrebbero diventare biossido di piombo (bruno); i cromati potrebbero diventare ossido di cromo (verde) Acqua -> IDRATAZIONE attacca i pigmenti costituiti da ossidi e carbonati: l’azzurrite 2CuCO3 . Cu(OH)2 diventa malachite CuCO3 . Cu(OH)2 Acido solfidrico H2S -> reagisce con i pigmenti contenenti metalli formando solfuri scuri: Pb della biacca (stessa reazione con Rosso di Cd e Giallo di As); Cu dei pigmenti rameici. L’incompatibilità del medium: per essere usati i pigmenti vanno miscelati con un medium adesivo (legante) per formare una “pasta” facilmente stendibile (le cui caratteristiche variano in base alla natura del pigmento e a quella del legante). Queste incompatibilità possono essere: fisiche (il medium influisce sul tono del colore del pigmento); chimiche (possono verificarsi delle interazioni che causano l’esclusione di determinati pigmenti in combinazione a certi leganti). I pigmenti come indicatori cronologici: dalla presenza di determinati pigmenti è possibile risalire all’epoca di un’opera e formulare ipotesi circa la sua autenticità. Alcuni, come le terre, risultano presenti da sempre. Alcuni, come il bianco di titano, hanno una data di nascita e/o di morte ben precisa. Ciò dipende da: disponibilità sul mercato, l’impiego nelle ricette, l’avvento dell’industrializzazione, la perdita di certe tecnologie. La preparazione Composizione Nella pittura italiana, di solito costituita da gesso (solfato di calcio biidrato) CaSO4 miscelato a colla animale, a volte in combinazione con biacca (carbonato basico di piombo) 2PbCO3. Pb(OH)2 -> imprimitura. In alcuni casi venivano addizionate piccole quantità di pigmenti (di solito a base di terre) per conferite alla preparazione precise tonalità più o meno calde e/o scure. Nei dipinti fiamminghi la preparazione è di carbonato di calcio CaCO3 Funzione Impiegata in tutte le tecniche tranne in quelle murali aveva il preciso scopo di uniformare il supporto scelto per la pittura, sia dal punto di vista morfologico (della struttura) sia da quello cromatico. A volte seguita da imprimitura (è la preparazione del supporto pittorico, consiste nel primo strato di materia che viene applicato alla tela, tavola, carta o altro, prima che vi si dipinga sopra). Perché un composto si ossidi, ne serve uno che si riduca I PIGMENTI: polveri inorganiche I BIANCHI • Biacca - carbonato basico di piombo (2PbCO3 . Pb(OH)2): indicatore cronologico, viene abbandonata nel XIX secolo, perché tendeva a degradarsi (in ambiente alcalino e umido si ossida e forma PbO2 marrone; reagendo con H2S lo trasforma in solfuro di piombo PbS, non poteva essere utilizzato con pigmenti a base di solfuri). • Bianco di zinco – ossido di zinco (ZnO): pigmento moderno e indicatore cronologico, si può degradare con la CO2 dell’aria formando carbonato di zinco (che è bianco e quindi non causa problemi) • Bianco di titanio – biossido di titanio (TiO2): pigmento moderno e indicatore cronologico, chimicamente inerte e molto stabile • Bianco di calce – carbonato di calcio (CaCO3): utilizzato da pigmento era chiamato Bianco San Giovanni, noto dall’antichità e quindi non è un indicatore cronologico • Gesso – solfato di calcio (CaSO4): non è un indicatore cronologico e veniva usato tipicamente nelle preparazioni. I BLU • Azzurrite – carbonato basico di rame (2CuCO3 . Cu(OH)2): Azzurro intenso e molto utilizzato, molto stabile ma incompatibile con pigmenti contenenti solfuri. A contatto con l’acqua si idrata e crea un composto di degrado, la malachite (CuCO3 . Cu(OH)2), che è verde. • Lapislazzuli oppure Oltremare artificiale– silicato di sodio e alluminio: naturale (fino al 1700) o artificiale con composizione simile, è un azzurro semitrasparente (più intenso se artificiale), sono indicatori cronologici ma non è facile distinguerli. Il Lapislazzuli entra in Italia quando Venezia inizia a commerciare con l’Europa. • Smaltino – vetro potassico + ossidi di cobalto: usato in particolare tra il XVII e XVIII secolo • Blu di cobalto – sale di cobalto • Blu egizio – miscela di silicati Cu e Ca: impiegato soprattutto nell’antichità, poi smesso di utilizzare perché probabilmente si è persa la ricetta • Blu di Prussia – ferrocianuro ferrico: indicatore cronologico, molto stabile ma non negli affreschi (non è stabile ai composti basici, cosa che accade nell’affresco) I ROSSI • Cinabro (o Vermiglione) – solfuro di mercurio: è talmente stabile che è compatibile anche con piombo e rame, dismetto a causa della tossicità • Rosso di cadmio – solfoseleniuro di cadmio CdS(Se): minore è il selenio, più tende al giallo, indicatore cronologico perché usato fino al XX secolo. • Minio – ossido misto di piombo: arancione usato in passato e poi abbandonato (come la biacca). Il minio si chiama così perché veniva molto utilizzato nelle miniature • Ocre – ossido ferrico: terre che sono sempre state utilizzate, origine naturale (ematite) I VERDI • Malachite – carbonato basico di rame: prodotto dall’alterazione dell’azzurrite, sensibile ai solfuri • Verde rame • Verde di cromo: pigmento moderno (mescola tra il blu di Prussia e il Giallo di cromo) • Terra verde – silico alluminato: molto utilizzata per il substrato degli incarnati I GIALLI • Gialli di piombo: non compatibili con i solfuri (tranne il cinabro che è molto stabile), pigmenti antichi o Ossido di piombo PbO (litargirio o massicot) che riscaldato porta al minio, si degrada più facilmente degli altri due o Stannato di piombo Pb2SnO4 o Antimoniato di piombo Pb3(SbO4)2 • Giallo di cadmio – solfuro di cadmio: indicatore cronologico perché usato dal 1800, non è compatibile con piombo e rame • Orpimento – trisolfuro di arsenico: è stato abbandonato nel 1800 a causa della sua tossicità, non compatibile con pigmenti a base di piombo e rame perché forma un solfuro scuro. • Ocra gialla – ossido ferrico idrato: di origine naturale (limonite), non è un indicatore cronologico perché è usata fin dalla preistoria I BRUNI • Terra di Siena – ossidi ferrici + silicati a base di argilla e biossido di magnese: di origine naturale, non è un indicatore cronologico perché viene utilizzata in tutte le tecniche I NERI ORGANICI Sono naturali e non sono degli indicatori cronologici perché vengono utilizzati in tutte le epoche • Carbonio amorfo • Nero fumo: carbonizzazione di oli • Nero vite: carbonizzazione di viti • Nero d’avorio: carbonizzazione di avorio e ossa di animali LE LACCHE: derivano da coloranti organici ma poi vengono supportate da sostanze inorganiche, sono polveri trattate come pigmenti Pigmenti prodotti tramite precipitazione di una materia colorante organica su substrato o base che di solito è un inerte inorganico e insolubile (es. allumina), finemente separato e trasparente. ROSSE • Porpora: origine animale • Robbia: alizarina • Cocciniglia: derivante animale, indicatore cronologico perché è arrivata in Europa dopo la scoperta dell’America GIALLE • Zafferano: sostanza vegetale usata soprattutto per le miniature BLU • Indaco: utilizzato per la tintura dei tessuti, originariamente di origine vegetale IL LEGANTE (MEDIUM) Normalmente la tecnica pittorica viene definita dal legante stesso. Deve avere proprietà fisiche o filmogene (coesione, adesione, viscosità, stabilità, elasticità), ottiche (trasparenza, assenza di colore cioè bianco perché non cattura luce) e chimiche (compatibilità, insolubilità, resistenza a luce, agenti atmosferici e solventi). L’olio ha sostituito la tempera esattamente quando la tela ha sostituito la tavola. Il film pittorico deve deformarsi e adattarsi alla tela che si muove, ma quando viene tenuto torna alla sua forma originale, ciò accade perché è elastico. A seconda del legante usato si parla di: Affresco Ca(OH)2 + CO2 -> CaCO3 + H2O Si basa sul processo reattivo dell’idrossido di calcio (calce). Idrossido di calcio mescolato con il pigmento che viene inglobato in esso. L’idrossido di calcio (in cui sono mescolati i pigmenti) reagisce con l’anidride carbonica presente nell’aria, l’acqua evapora e resta il carbonato di calcio (stabile) che ingloba i pigmenti. Composizione a partire dalla base dell’edificio: • Muro • Arriccio: malta grossolana usata per livellare le asperità del muro • Intonachino: malta più fine su cui ci si stende il colore • Colore: steso sull’intonachino ancora fresco (la calce funge da legante) viene assorbito prima dell’essicamento e i pigmenti vengono inglobati durante l’essiccamento LA VERNICE Strato superficiale sopra lo strato pittorico (e sacrificale perché è il primo che in ambito di restauro viene eliminato) che ha una doppia funzione: • protettiva (da agenti atmosferici, UV, polvere) o Da abrasioni: è importante che il film abbia sufficiente durezza pur conservando elasticità o Da radiazioni elettromagnetiche: sia dalla luce in generale sia soprattutto dagli UV o Da umidità e gas • estetica (diminuisce la diffusione della luce, attenua irregolarità, aumenta la saturazione dei colori) o Aumento del contrasto cromatico: giusta saturazione dei colori ed eliminazione dei fenomeni di riflessione diffusa o Trasparenza: alla luce visibile o Colore: colorazioni tollerate solo di lievissima intensità; le resine naturali tendono a ingiallire di più Deve essere un film trasparente, incolore, continuo, flessibile e sottile. Essendo le stesse caratteristiche utilizzate dai leganti, alcuni di essi sono stati usati anche da vernici. La vernice si applica con due tecniche principali: 1. Vernice a olio: resine naturali sciolte in olio di lino, l'essiccamento avviene con l’ossidazione e polimerizzazione dell’olio, il processo è irreversibile -> smalto con luce 2. Vernice a solvente: sciolta in un solvente volati che evaporando lascia depositato il film sulla pellicola pittorica, rimovibile con lo stesso solvente -> es. smalto con acetone Invecchiamento: il film non è più continuo (crettatura); aumenta la rigidità (non segue più le diverse tensioni superficiali); la capacità protettiva diminuisce. Rimozione della vernice: La reversibilità deve sussistere anche con l’invecchiamento, per questa ragione in fase di restauro vengono sempre preferite le vernici a solvente. Il solvente più opportuno viene scelto di volta in volta sulla base del tipo di resina da solubilizzare Il film è formato da due componenti: uno volatile ovvero il solvente, l’altro non volatile cioè la resina (naturale o artificiale). L’evaporazione del solvente (che deve essere lenta perché altrimenti porta degrado) porta alla formazione di un film che deve essere uniforme, aderente e di spessore variabile. In questo primo stadio la vernice non ancora completamente secca. Completa evaporazione dei residui di solventi rimasti. Lenta degradazione del film. Caratteristiche: • Del solvente: o non attivo verso il legante (i problemi più grossi si hanno con gli olii) o Con una volatilità tale da consentire una evaporazione veloce ma non troppo (fenomeno di condensa che degrada) • Della resina o solubilità del solvente scelto o reversibilità o possono essere naturali (mastice, dammar) oppure polimeri sintetici • Della miscela o Viscosità, densità tale da consentire di raggiungere lo spessore, primogenita e l'assenza di difetti corrette per una vernice Materiali lapidei Sono soggetti sia a degrado fisico che chimico. La classificazione delle rocce in base alla composizione chimica: • Siliciche (graniti, basalti, porfidi): quelle in cui è presente silicio (Si) • Carbonatiche (marmo, calcareniti): quelle in cui è presente lo ione carbonato (CO3--) legato a uno ione positivo bivalente che potrebbe essere calcio o magnesio La classificazione delle rocce in base alla genesi: • Magmatiche o eruttive (inclusive graniti ed effusive basalti, porfidi): rocce primarie, originate dal raffreddamento di un magma divise in intrusive (il magma non esce dalla crosta terrestre) e effusive (che fuoriescono, ad esempio da un vulcano e quindi in modo molto veloce e forma quindi una roccia molto vetrosa. Dato che, uscendo bollente dalla crosta terrestre, e subendo uno sbalzo termico avranno struttura amorfa, vetrose e poco cristalline). Sono le più presenti nell’atmosfera. • Sedimentarie (conglomerati e arenarie): rocce secondarie, derivano da rocce preesistenti che hanno subito dei deterioramenti e quindi si sedimentano in bacini, che spesso contengono fossili. Litificazione = compattamento della pietra per la sedimentazione di questi elementi. Possono essere conglomerate o stratificate. • Metamorfiche (marmo e ardesia): rocce secondarie, sono rocce magmatiche o sedimentarie hanno subito una metamorfosi, delle rocce preesistenti si sono modificate a causa di cambiamenti di pressione o di temperatura. Le proprietà delle rocce: La composizione chimica non implica quella mineralogica, ma quella mineralogica implica quella chimica. • Estetiche (colore e vena) • Tecniche (attitudine che una roccia ha ad essere cavata, tagliata, applicata) Þ Struttura (vetrosa o cristallina): che si lega alla classificazione in base alla genesi Þ Durezza: importante quando la pietra deve essere tagliata, incisa, scolpita. Resistenza della pietra a essere incisa. Ogni volta che si impone uno sforzo meccanico alla pietra, essa tende ad aumentare la sua porosità causando dei nuovi vuoti con microfratture. La pietra inizia il suo degrado nel momento in cui viene estratta dalla cava. Si misura con dei metodi normati (che seguono normative), che quindi sono uguali per tutti -> Scala di Moss che è una scala di punte costituite da materiali diversi (ormai abbandonata), il materiale che incideva la pietra era il più simile; -> Scala con punte di metallo che praticavano pressioni diverse sulla pietra. Þ Porosità: rapporto fra il volume totale della pietra e il volume dei pori (dei vuoti all’interno della pietra). Questi pori possono essere aperti (attraverso il quale può entrare l’acqua con dei gas che causa degli acidi) o chiusi (che, una volta che un poro aperto si è fatto strada e si è collegato, diventano pericolosi). La porosità di un materiale si può calcolare attraverso una percentuale calcolata avendo la differenza tra il peso specifico apparente e il peso specifico reale, tritando la pietra; oppure attraverso il porosimetro (a elio o a mercurio) che è una macchina che applica una pressione sulla pietra attraverso del mercurio che entra nei pori solo quando è soggetto a una grande pressione (più spingo, più i pori sono piccoli), in questo modo posso La pulitura dovrà essere selettiva e delicata; lenta, controllabile e graduabile; non dovrà presentare dei residui. I metodi sono tanti: • Pulitura meccanica: azione abrasiva sulla superficie da pulire (intervento di tipo fisico) effettuato con spugne, bisturi, spatole, spazzolini a mano o montati su attrezzature dentistiche. Interventi non su grande superficie. o Microsabbiatura: materiali in polvere (sfere di vetro o allumina) soffiati sulla superficie lapidea mediante aria sotto pressione, in breve tempo per evitare azioni profonde. o Idrosabbiatura: l’agente di trasporto è l’acqua, per evitare la diffusione di polveri nell’atmosfera. • Pulitura con acqua: uso di acqua nebulizzata (minuscole gocce con elevata capacità solvente ed emolliente) o di acqua supportata da materiali speciali, come polpa di cellulosa e argille (che hanno la proprietà di assorbire grandi quantità di acqua a causa della loro forma lamellare, creando dei fanghi). Possono essere utilizzati anche addensanti e gel che hanno la funzione di mantenere bagnato il materiale. Tecnica poco controllabile e non adatta per le pietre porose. Si agisce sgrassando con tensioattivi (saponi) o solventi, aumentando la bagnabilità della superficie perché l’unto è stato rimosso; applicando il fango e coprendolo con un telo; la rimozione del fango avviene dopo uno o due giorni e il materiale viene lavato con acqua. • Pulitura chimica: uso di soluzioni applicate alle superfici o assorbite da argille. Usati soprattutto prodotti composti da debole azione acida o basica, chielanti (EDTA), tensioattivi, solventi organici. Tecnica costosa e più aggressiva. • Bioacidi: sostanze che uccidono gli organismi viventi (funghi batteri a righe erbe e piante) o che ne arrestano la crescita. Agiscono come bioacidi sia interventi fisici (semplice eliminazione manuale o meccanica di piante e licheni) che chimici (prodotti tossici per gli organismi viventi da eliminare) • Pulitura ad ultrasuoni: tecnica che impiega onde di frequenza superiore a quella del suono, prodotte da una sorgente meccanica e convogliate sulla pietra bagnata da una spatola vibrante. È adatta per manufatti di piccole dimensioni o per interventi limitati e richiede una buona manualità. • Pulitura con laser: trattamento delle superfici con radiazioni luminose ad alta energia (molto pericolosa), che colpiscono un punto determinando una temperatura molto elevata (4000-5000 °C), che causa la vaporizzazione della sostanza da asportare. La radiazione laser va applicata per tempi brevissimi (millisecondi) in modo che non si propaghi calore alla pietra. Il consolidamento Operazione finalizzata sia a migliorare le caratteristiche di coesione dello strato poroso superficiale sia a migliorare l’adesione dello strato consolidato con la zona sottostante costituita dalla pietra originale, non alterata. Il consolidante deve penetrare nella zona degradata e riempire parzialmente i pori, in modo da avere una situazione analoga a quella non degradata. Il suo scopo è restituire le proprietà meccaniche (la pietra si sfarina, la pioggia ne porta via delle parti perché non ha resistenza). Le proprietà meccaniche si perdono quando aumenta la porosità. Il consolidante deve avere: - Elevata capacità di penetrazione - Distribuzione continua all’interno dello strato poroso - Riduzione parziale della porosità - Affinità con la pietra - Assenza di sottoprodotti dannosi - Limitato invecchiamento Il consolidamento è una fase IRREVERSIBILE del restauro, perché se un materiale è penetrato in profondità della pietra, non riesco a toglierlo. I consolidanti vengono distinti in: • Inorganici: applicati alla pietra in soluzione acquosa, si trasformano in un composto insolubile all’interno dei pori della pietra (idrossido di bario, silicato di etile, silicato di sodio). Notevole affinità con la pietra, buona penetrazione e limitato invecchiamento. Limitata resistenza agli stress meccanici, si potrebbero formare prodotti secondari dannosi per la pietra. A Pavia, nella cattedrale di San Michele, quando è stato applicato il fluoruro, si sono formati dei prodotti che hanno appesantito la facciata e l’hanno fatta cadere. • Organici (carbonio, idrogeno, ossigeno): composti polimerici applicati alla pietra in soluzione; una volta evaporato il solvente, formano un film continuo ed aderente alla superficie della pietra e alla superficie interna dei pori (resine epossidiche, acriliche, polisilossani, fluorelastomeri). Azione sia consolidante che protettiva perché idrorepellenti; buona azione consolidante, dovuta alle proprietà adesive. Coefficiente di dilatazione termica superiore a quello della pietra; biodeterioramento; invecchiamento (UV-vis, inquinanti atmosferici, umidità …); difficoltà di penetrazione, dovuta alle dimensioni delle macromolecole. La protezione Trattamento che, riducendo la penetrazione dell’acqua all’interno della struttura porosa della pietra, ne rallenta il degrado dovuto agli agenti esterni. I protettivi sono composti organici, in generale di natura polimerica (acrilici, fluorurati, siliconici, cere). Il protettivo deve avere: - Permeabilità al vapore d’acqua - Stabilità all’azione della luce e agli agenti chimici dell’ambiente - Assenza di sottoprodotti dannosi La protezione è una fase REVERSIBILE del restauro. La carta La carta è stata inventata in Cina intorno al 105 d.C. da parte del mandarino cinese Ts’ai Lun. Dalla Cina la carta arriva agli arabi, che a loro volta la portano in Europa, attraverso la Spagna. Famosa è la cartiera di Fabriano in Italia. La carta è costituita principalmente da cellulosa (polimero dove un’unità si ripete un tot di volte), ottenuta da stracci di lino o cotone oppure pasta di legno di conifere e latifoglie (che produce una carta peggiore). Inoltre, la carta è anche costituita da additivi, che possono essere: cariche minerali, materie collanti (senza le quali la carta sarebbe assorbente – colle animali) o sostanze ausiliarie. Ci furono dei cali di materie prime: con l’avvento dell’illuminismo, gli stracci bianchi non bastano più, di conseguenza iniziarono ad usare degli stracci colorati, che venivano sbiancati, ma questo sbiancamento degradava il materiale. A causa delle grandi pestilenze di quel periodo, si dovettero bruciare i vestiti. La lignina è una macromolecola, ma non è un polimero (non si ripete uguale a sé stessa), presente nella pasta di legno. • Cariche minerali si adoperano per migliorare la bianchezza della carta, la sua opacità e l’attitudine alla stampa (caolino, talco, CaCO3, farina fossile) • Materie collanti: la collatura conferisce alla carta proprietà scrittorie (impermeabilità agli inchiostri): o L’amido, in uso soprattutto presso gli arabi e quindi nelle prime cartiere in Europa o La gelatina animale, introdotta a Fabriano nel 1337 e in uso sino al XVIII secolo, con aggiunta di allume a partire dal XVII secolo o La colofonia, sempre miscelata con allume, a partire dal 1826 • Sostanze ausiliarie: vengono aggiunte per ottenere particolari proprietà, ad esempio i coloranti. Per correggere la tonalità di alcuni materiali si ricorre ad un azzurraggio, con l’aggiunta di sostanze coloranti in diverse gradazioni di blu, che conferiscono un’apparenza bianca alla carta. Preparazione della pasta Per un certo numero di anni è stata usata la pasta da stracci (bianchi e colorati): venivano sfibrati gli stracci (con le pile a maglio e poi con tempi ridotti, con l’olandese), formandosi una pasta che poi veniva pressata, fatta asciugare e poi collata. La pasta da legno era più difficile da gestire perché bisogna ottenere la cellulosa dal tronco (pasta meccanica), spesso si aggiungevano delle sostanze chimiche per aiutare la sfibratura (pasta chimica o semi-chimica). • Pasta meccanica: dal 1844 Resa del processo: 85-95% La pasta contiene tutte le impurezze del legno, le fibre di cellulosa sono in parte riunite a fascetti dalla lignina e spezzate dall’azione meccanica. Di conseguenza, carta di qualità scarsa, ma con buone caratteristiche di stampabilità e prezzo contenuto • Pasta chimica o Processo alla soda 1857, processo al solfato 1884, processo al bisolfito 1867 Si ottiene per eliminazione delle impurezze e delle sostanze incrostanti, mediante reattivi chimici. Resa del processo 30-60%. La pasta non contiene più impurezze, le fibre sono ben separate le une dalle altre. Di conseguenza la carta è di buona qualità ma il costo è depolimerizzazione della cellulosa e una conseguente perdita di resistenza meccanica della carta. Tutti questi meccanismi di degrado agiscono in modo cooperativo. L’effetto complessivo è la rottura della catena cellulosica e il conseguente indebolimento e ingiallimento della carta -> peggioramento delle proprietà meccaniche (perdita di resistenza). Caratteristiche di un intervento di restauro ideale: • Completa neutralizzazione dell’acidità presente ed eliminazione dei sottoprodotti ottenuti dalla reazione di neutralizzazione (prodotti basici per neutralizzare l’acidità); • Pulitura e recupero della consistenza meccanica (consolidamento) • Uniformità e completezza del trattamento • Assenza di effetti collaterali (ad es. danni a pigmenti, immagini, inchiostri) • Bassa tossicità del prodotto utilizzato e buona compatibilità ambientale • Semplicità di applicazione del metodo • Costi contenuti • Durabilità dell’intervento nel tempo Metodi impiegati per il restauro della carta: 1. Deacidificazione: trattamento con sostanze basiche che neutralizzano l’acidità, anche se i legami tra le unità di glucosio ormai distrutti non sono ricostruibili. Blocco del degrado acido e recupero della resistenza meccanica. Metodo irreversibile 2. La conservazione: il restauro non solo deve bloccare l’avanzamento dello stato di degrado del materiale, ma deve prevedere condizioni di mantenimento appropriate dei manufatti, anche in funzione dell’esposizione. Il controllo dei parametri ambientali è fondamentale per tutte le opere d’arte, soprattutto per quelle su carta, poiché si tratta di un materiale organico molto igroscopico (assorbe molto l’acqua). Condizioni ideali di conservazione: Temperatura: 16-20 °C Umidità relativa: 45-60 % Livello di illuminazione: 20 lux. Eliminazione della radiazione UV Contenitori e sistemi di sostegno non acidi Protezione dalla polvere Gli inchiostri: (polverina nera con un legante) soluzione o sospensione di una sostanza colorante generalmente scura usata per la scrittura o la stampa, non solo su carta ma anche su materiali quali tessuti, metalli, vetri. Gli inchiostri tradizionali si dividono in: Carbon ink: - Nerofumo: ottenuto dalla combustione di materiale come oli e resine, da cui si ricava fuliggine e specie ossidate che, mischiate con colle, gomma arabica o gomma lacca permettevano la sospensione acquosa della parte carboniosa. Inchiostro stabile, non causava degrado - presenza di macchie in ambienti molto umidi. Brown ink: - Bistro: ottenuto da cenere catramosa derivante da legna da camino (faggio). Preparato miscelato a cenere con acqua e addensanti (gomma arabica, destrina). A causa della natura leggermente resinosa si miscelava male con gli altri inchiostri e invecchiando tendeva a diventare grigio-marrone o a scomparire, era infatti considerato non permanente; - Seppia: serie di composti organici azotati ottenuti dalla secca di inchiostro della “seppia officinalis”. la sacca era asciugata, macinata e fatta bollire con soluzioni alcaline (liscivia): il pigmento precipitava con acido. Abbastanza raro, considerato semi permanente; - Ferro-gallico: è il più importante della storia dell'occidente. Già conosciuto dai romani, nel tardo medioevo sia una sua larga diffusione, poiché essendo indelebile era usato per redigere i documenti ufficiali. Oltre a questo, il basso costo degli ingredienti e la loro facile reperibilità hanno contribuito alla sua diffusione fino al XX secolo. I forti problemi di degrado della carta (fino alla distruzione vera e propria del supporto cellulosico) a causa della sua azione corrosiva (di natura acida) ne decretarono l'abbandono nel XX secolo, quando fu sostituito da inchiostri sintetici. I suoi ingredienti principali sono: galle (da cui si estrae il tannino – l’acido gallotannico e l’acido gallico), vetrolo (solfato di ferro <- componente acida), gomma arabica (legante) e acqua, vi erano anche altri ingredienti (vino, birra, bucce, alcol, sali). Per ottenere un inchiostro stabile è necessario un rapporto di 3:1 tra acido gallotannico e vetriolo (o solfato di ferro). La sua manifattura poteva essere: o Inchiostro istantaneo: le galle erano macinate mescolate con gomma arabica in soluzione e vetriolo, il tutto era poi filtrato. Gli ingredienti erano miscelati a secco e solo all' aggiunta di acqua si formava l'inchiostro, permettendo una volta asciugato di essere quindi riutilizzato; o Per ebollizione: le galle erano poste in ebollizione, in ambiente acido, per diverse ore e quindi macinate in acqua (vino, birra, ecc.). In questo modo si estraevano la maggior parte di acido gallotannico e di acido gallico o Per fermentazione: le galle schiacciate erano poste in acqua tiepida per circa 10 giorni, si formava così una maggiore quantità di acido gallico per idrolisi dell'acido gallotannico. L’acido gallico reagisce con il solfato di ferro (vetrilolo) per dare il ferrotannato (o ferrogallato o gallato ferroso) e acido solforico. Il ferrotannato che in soluzione acquosa è incolore, reagendo poi con l'ossigeno dà vita al pirogallato ferrico che è invece un composto di colore nero-violetto insolubile in acqua. Il colore a volte Bruno degli inchiostri è dovuto alla presenza di ioni ferro che formano composti ossidati dell'acido gallico. Delle sostanze che sono incolori all’aria assumono la loro colazione definitiva perché avvengono delle ossidazioni. Degrado: l'acido solforico prodotto dalla formazione dell’inchiostro induce un processo di idrolisi delle catene di cellulosa (nella carta), su queste ultime l'eccesso di ioni ferro agisce da catalizzatore per la reazione ossidativa della cellulosa -> Reazione di Fenton I tessuti Parleremo dei tessuti in stretta relazione ai coloranti. I coloranti I coloranti sono sostanze organiche (costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto) che possono essere sia di origine naturale (animali o vegetali) che di sintesi (preparati in laboratorio). Le grandi industrie di origine tedesca sono iniziate con la fabbricazione di coloranti, come la Bayer e la Basf. Classificazione dei coloranti: Origine naturale Coloranti animali: • Rosso porpora o Porpora di Tiro: è un bromoindaco (porporina), appena estratto è di colore giallo e ha un odore nauseabondo, alla luce del sole diventa prima verde, fino ad assumere una tinta rosso-viola detta porpora, modifica il suo colore ossidandosi a contatto con l’aria. Si ottengono tinte solidissime su lana e seta. Sostanza secreta da molluschi diffusi nel Mediterraneo. Per ottenere il prezioso pigmento (era molto costoso), le conchiglie erano frantumate e poste in vasche a fermentare al sole. Questo procedimento emanava cattivo odore e per questo le vasche erano poste ai margini dei centri urbani. I Fenici erano noti per la loro abilità nell’arte della tessitura e della colorazione delle stoffe. I tessuti di Tiro, tinti nell’inimitabile rosso porpora, erano enormemente apprezzati, tanto da divenire quasi uno status symbol, sicuro indice di ricchezza e raffinatezza. La porpora si diffuse in tutto il Mediterraneo e, a causa dell’alto costo, diventa il colore che contraddistingue prima gli imperatori e poi i cardinali fino al ‘500. Usata che in paesi lontani dall’area del Mediterraneo (Cina, Giappone, Perù…) • Cocciniglia: si ottiene per estrazione con acqua del corpo essiccato delle femmine di un insetto tipico dell’America Centrale, il Coccus Cacti. Esistono diversi tipi di cocciniglia, la più apprezzata è la varietà “morellona”. Il principio colorante è l’acido carminico e si ottengono tinte solide di colore fucsia e rosso scarlatto. La cocciniglia è un insetto che vive sul cactus, originario del Messico e del Guatemala, usato dagli Incas, dai Maya e dagli Aztechi per tingere. Fu importato in Europa dagli spagnoli dopo il 1518 (indicatore cronologico). Fin dai tempi più remoti la cocciniglia è stata utilizzata anche come materiale pittorico e per colorare gli alimenti. Ha un grandissimo potere tintorio, che non si esaurisce mai con un solo bagno; si possono usare un secondo bagno e un terzo per ottenere dei colori sempre più chiari. La cocciniglia si trova in polvere, o ancora da polverizzare. • Chermes: si ottiene per estrazione con acqua del corpo essiccato delle femmine di un insetto tipico della Spagna meridionale, il Coccus Illicis. Le prime testimonianze del suo impiego risalgono alla Preistoria. Essendo un colorante costoso, nell’antichità e nel Medioevo era usato solo dai più ricchi. A partire dal XVI secolo subisce una forte concorrenza dalla cocciniglia e nel XIX è soppiantato dalla robbia naturale e sintetica. Il principio colorante rosso-bordeaux è l’acido chermessico. 1870 sintesi dell’alizarina da parte di BASF (acronico di Fabbrica di anilina e soda a Baden); collasso della robbia 1880 sintesi dell’indaco da parte di Bayer 1884 sintesi del rosso Congo per il cotone, che soppianta la cocciniglia. Primo esempio di colorante sintetico per fibre vegetali. 1904 la Germania detiene l’88% del mercato dei coloranti Dopo la Prima Guerra Mondiale molti brevetti sono acquistati dagli USA, da UK, dalla Francia e dal Giappone. Prima della Seconda Guerra Mondiale il primato tedesco è sceso del 36%. Dopo la guerra si ha il sorpasso da parte degli USA. I progressi scientifici hanno portato alla sintesi di numerosissimi coloranti industriali, con un miglioramento delle caratteristiche tintoriali, partendo dalla modificazione delle molecole dei coloranti naturali. Oggi sono presenti in commercio numerosissimi coloranti di sintesi, studiati appositamente per determinati impieghi. Tintura – trattamento di una fibra tessile con sostanze in grado di impartirle un colore duraturo Classificazione dei coloranti – in base al colore o in base al processo di tintura Il bagno di tintura veniva utilizzato appunto per tingere i tessuti. Più veniva utilizzato, più dava una tintura più chiara e meno intensa. La lana si tinge più facilmente della seta e il cotone più agevolmente del lino. In generale, le fibre proteiche (costituite da proteine, che derivano dal mondo animale, cioè lana e seta) si tingono più facilmente delle fibre vegetali (che sono cellulosiche). I tessuti di lino non hanno colori accesi (spesso sono lasciati al loro colore naturale) perché tendono ad accettare poco il colore. La motivazione la troviamo nella sua struttura chimica: Nei tessuti cellulosici abbiamo delle catene in cui l’unico gruppo chimico è OH. Nei tessuti proteici, il legame che abbiamo è ammidico (tipico delle proteine, che sono formate da amminoacidi, dove il gruppo acido reagisce con il gruppo amminico). La lana si tinge più facilmente del cotone perché la tintura si basa su dei legami tra colorante e tessuto. La catena presente nella lana è anche nel nylon. Anch’esso viene tinto e usato come tessuto. Coloranti al mordente I mordenti sono sali metallici solubili in acqua che formano un complesso insolubile con le molecole di colorante. Avevano la capacità di far legare meglio il colorante al tessuto. - Bicromato di potassio: usato a partire dal XIX secolo per la tintura della lana - Solfato rameico: si usa normalmente a fine tintura; rende i colori gialli più verdi e i rossi più marroni - Solfato ferroso: si usa sempre a fine tintura; rende il colore più scuro o più smorto. In dosi elevate si ottengono tonalità quasi nere - Allume di rocca: in cristalli bianchi (usato anche nella produzione della carta). Già noto in India nel 2000 a.C. è il più usato, sempre prima della tintura Mordenzatura 1. Solubilizzazione del mordente in acqua calda 2. Aggiunta di acido acetico 3. Immersione del tessuto 4. Risciacquo in acqua calda 5. Tintura Nella reazione tra mordente e colorante: il mordente migliora l’affinità tra fibra e colorante il colore si fissa stabilmente sulle fibre (tintura) ed è anche più brillante Ulteriore vantaggio: Il colore ottenuto da un particolare colorante può essere variato da mordenti diversi. Esempio: la robbia con allume dà il rosso, con il solfato ferroso dà il violetto, con i Sali di rame è più giallo. Tipici coloranti naturali: robbia, cocciniglia e chermes Coloranti al tino Il nome deriva dai tini di legno in cui anticamente avveniva la tintura. Poiché questi coloranti sono insolubili in acqua, nel corso della tintura avviene una reazione di riduzione alcalina che porta alla formazione di gruppi che li rendono solubili. La forma solubile è definita come “forma leuco” e diffonde nelle fibre; quando esposta all’aria, si ossida tornando a quella insolubile che resta così fissata alle fibre. Questi coloranti possiedono elevate solidità alla luce e al lavaggio e una gamma cromatica completa. Tipici coloranti naturali: indaco e porpora La tintura Si crea tra fibra e colorante un legame più o meno intenso. Il processo è favorito dall’alta temperatura del bagno di tintura. Tintura in tempi troppo brevi: colorazione non uniforme e di cattiva sensibilità Tempi più lunghi di tintura: penetrazione più lenta e completa delle molecole di colorante, che si aggregano, garantendo così una colorazione migliore Tempi di contatto troppo prolungati: possibili danni al tessuto Affinità Fibra + colorante <-> tintura Il legame tra la fibra e il colorante è dato dall’affinità chimica. La tintura viene descritta da una reazione di equilibrio (in presenza di calore), tanto più spostata a destra quanto maggiore è l’affinità stessa tra fibra e colorante. Affinità: preferenza del colorante a legarsi alla fibra, piuttosto che rimanere nell’acqua. È attribuibile al sistema (fibra + colorante). Alcuni coloranti mostrano un’affinità diretta per la fibra, altri invece richiedono la presenza di un mordente. Legame chimico – insolubilità Fibra + colorante -> tintura Il legame tra la fibra e il colorante, inizialmente regolato dall’affinità, viene reso irreversibile mediante il calore e un ulteriore trattamento chimico. Si interviene sul colorante trasformandolo in una forma insolubile trattenuta fisicamente dalla fibra. Il processo di tintura 1. Mordenzatura del tessuto 2. Preparazione del bagno di tintura 3. Aggiunta del tessuto mordenzato al bagno di tintura 4. Ebollizione per tempo necessario ad ottenere la tonalità cromatica desiderata 5. Risciacquo del tessuto sotto acqua corrente 6. Asciugatura all’aria Le fibre tessili: analisi e riconoscimenti 1. Fibre naturali a. Vegetali: cotone, lino, canapa, juta b. Animali: lana, mohair, cachemire, seta, angora, alpaca 2. Tecnofibre a. Artificiali: da fibre di origine naturale modificate (rayon e viscosa che sono del cotone modificato) b. Sintetiche: prodotte in laboratorio (poliacrilati, poliesteri, poliammidi, poliuretani) La morfologia (aspetto e forma) permette di distinguere e riconoscere le fibre tessili. Analisi delle fibre nei tessuti Quello che noi vediamo è la fibra, non la catena cellulosica Ottenimento di un campione rappresentativo - Tessuto omogeneo per costruzione e colore - Tessuto non omogeneo: prelievo di piccoli campioni corrispondenti a ciascuna delle diverse zone del tessuto (costruzione, colore, ecc.) Si sfibra e si porta sotto al microscopio (ottico o elettronico) Il riconoscimento delle fibre - Smontaggio del tessuto in filati: trama e l’ordito (le due direzionalità) - Separazione, se necessaria, dei singoli fili componenti i filamenti Tecniche strumentali di analisi • Microscopia ottica (con o senza reattivi di contrasto) Caratteri distintivi della morfologia superficiale Caratteri distintivi della morfologia interna Reazioni chimiche o variazioni di colore con reattivi di contrasto Longitudinale <- SEZIONI -> Trasversale Scarsa risoluzione e profondità di campo Limitati ingrandimenti (max 500X) Interferenza da parte di colorazioni molto scure • Microscopia elettronica a scansione (SEM) Osservazione della morfologia superficiale e della sezione trasversale per l’identificazione del tipo di fibra Analisi di modificazioni superficiali Analisi di possibili danneggiamenti Elevati ingrandimenti (100.000X) • Spettroscopia FR IR Identificazione della natura chimica delle fibre naturali e sintetiche Analisi dei trattamenti chimici superficiali delle fibre • Analisi termica Studio del comportamento termico di un materiale in funzione della variazione di temperatura o del tempo, durante un programma termico controllato in una data atmosfera. IDENTIFICAZIONE DELLE FIBRE SINTETICHE Fibre animali I peli animali presentano una struttura complessa, costituita in forma schematica da un cortex interno che ingloba cellule allungate che si riuniscono in fasci di macro e microfibre. Il cortex è rivestito da una guaina esterna (cuticola) formata da scaglie (cellule cuticolari) sovrapposte. Quando troviamo delle scaglie capiamo che siamo davanti a lana, a seconda del tipo di queste scaglie sarà lana di tipo diverso. I materiali ceramici Si identificano come “ceramica” tutti quei manufatti inorganici che vengono realizzati con un impasto composto principalmente di argilla, acqua e minerali sottoposti a cottura. L’argilla è un sedimento non litificato (non si compatta) estremamente fine costituito principalmente da allumino-silicati idrati appartenenti alla classe dei fillosilicati. Caratteristiche e proprietà Le caratteristiche e le proprietà della ceramica variano in relazione alla provenienza e alla composizione dell’argilla. Esistono anche diversità dovute alla varietà di lavorazione e di cottura. Proprietà chimico-fisiche: • Porosità: capacità fisica di assorbire l’acqua • Colore: da rossastro a bianco, dipende dalla prevalenza dei vari componenti chimici • Ritiro: capacità di perdere acqua durante l’essiccamento • Refrattarietà: proprietà di resistere al calore Proprietà meccaniche: • Resistenza alla penetrazione di una punta, all’abrasione e allo sfregamento. La ceramica è resistente ma fragile, non è elastica. Proprietà tecnologiche (della pasta che si forma): • Plasticità (buona): capacità di essere modellata informe diverse • Lavorabilità (ottima): può subire diverse lavorazioni o Laminazione (piastrelle) o Modellazione al tornio (vaso) Le argille in natura si possono dividere in: - Primarie: si trovano nel luogo dove si sono formate, non hanno subito trasporto e sono rimaste nel luogo stesso dove si sono formate dalla roccia madre - Secondarie: derivano da un trasporto dal deposito primario Processo esecutivo della ceramica: Processo per ceramiche antiche Processo per ceramiche moderne 1. Impasto: all’argilla si aggiungono minerali cristallini che aumentano la durezza della superficie, e materiali fondenti per facilitarne la cottura. 2. Preparazione dell’argilla: per preparare l’argilla avviene un’ESTRAZIONE da cave, da depositi e da sponde di fiumi; viene STAGIONATA e, successivamente DEPURATA (che può essere fatta attraverso: sedimentazione in acqua ferma ovvero posizionata in recipienti; levigazione in acqua corrente ovvero fatta scorrere con acqua in vasche; setacciatura ovvero inserita in più setacci). 3. Modellazione: gli oggetti semplici e di piccole dimensioni possono essere modellati in getto da un unico blocco di argilla; i vasi complessi possono essere modellati in parti distinte. Può essere fatta a mano (tecnica più antica, fatta con una palla, appiattendola e tramite tecnica a colombino), a tornio (di diversi tipi: a spinta ovvero più lento o a piede; prevede l’uso di acqua per tutta la lavorazione), a calco (tramite uno stampo), oppure in quelle moderne a macchina (foggiatura). 4. Essiccamento: è necessario per permettere l’eliminazione dell’acqua di impasto (deve essere lento e graduale, in un luogo fresco e arieggiato, per evitare rotture). 5. Trattamenti di superficie: lisciano (steccatura) per rendere compatta la superficie tramite una stecca di legno e riducono la porosità (brunitura) attraverso una pressione esercitata sull’oggetto da un ciottolo. 6. Impermeabilizzazione: i rivestimenti possono essere di natura argillosa (ingobbi: rivestimenti opachi, porosi e impermeabili, servono a rendere liscia la superficie, dando colore ad essa) oppure di natura vetrosa (vernici: sono trasparenti, lucenti e impermeabili; e smalti: sono coprenti). L’applicazione del rivestimento può essere fatta per immersione o tramite pennelli. 7. Decorazione: vi sono varie tecniche: plastiche, impresse, incise, pittoriche, da matrice, da rullo, applicato. 8. Cottura: a seguito dell’essiccamento, si pone l’oggetto nel forno alla temperatura di circa 900-950 °C. La fornace può essere: all’aperto, verticale, orizzontale. Le tecniche di restauro nei tempi antichi Tentativi di ripristino di manufatti andati in pezzi, non rimpiazzabili con altri -> esigenze pratiche. - Bendatura: impacco di grosse bende di tela robusta. - Puntatura: legando le due estremità spaccate. La ceramica che ha acquisito un valore storico-documentaristico si distingue in da insediamento (materiali per uso, solitamente trovati sparsi) e da necropoli (oggetti che avevano significato di decorazione nelle tombe, spesso integre). Lo stato di equilibrio che in manufatto ceramica ha creato con l’ambiente di giacitura viene turbata dal lavoro degli archeologi: variazioni di temperatura e di umidità possono facilmente portare a rotture. Ciò accade anche con il legno e la carta. Cause di deterioramento - Fisiche (creano deterioramenti di carattere meccanico sul manufatto): gelo/disgelo, sali solubili, umidità, sbalzi termici, acqua corrente, carichi, vento, vibrazioni. - Chimiche (deterioramento causato da reazioni chimiche provocate da elementi esterni): acqua, acidi, inquinamento, sali solubili, anidride carbonica - Biologiche (danni causati da attacchi microbiologici): alghe, licheni, muschi Fasi del restauro: • Documentazione: Dato che il materiale può non essere trovato intero, vi è tutta una parte documentaristica alla scoperta • Pulitura: (fisico: bisturi, pennelli, strumenti di legno; chimico: complessanti, resine a scambio ionico, soluzioni acquose di detergenti) individuazione della superficie del vaso attraverso l’eliminazione dei depositi estranei e dei prodotti di alterazione. Irreversibile e quindi controllabile • Consolidamento: ha lo scopo di rendere più resistente un manufatto fragile e decoeso. Si utilizzano resine (sintetiche termoplastiche o sintetiche termoindurenti) e colle. Si effettua solo in caso di assoluta necessità. • Ricomposizione: a seguito del consolidamento, attraverso l’incollaggio, si ha una ricostruzione preliminare con scotch carta. • Integrazione: l’integrante deve rispondere a determinati requisiti, quali: o Inerzia chimico-fisica e biologica o Resistenza all’invecchiamento o Reversibilità o Facile lavorabilità o Resistenza meccanica appropriata o Aspetto finale in accordo con l’originale • Protezione finale: si può decidere se applicare o meno un protettivo valutando l’ubicazione definitiva del manufatto restaurato e il prodotto da utilizzare. Qualunque sia la destinazione definitiva del manufatto, magazzino o esposizione museale (la migliore protezione), l’oggetto dovrà essere sempre periodicamente controllato. Un restauro deve sempre poter essere rimosso per poter applicare tecniche conservative sempre più avanzate. I prodotti utilizzati nel restauro devono rispondere a determinati principi: Devono sempre garantire l’identità dell’’oggetto Devono essere reversibili Colle e consolidanti devono essere stabili Devono essere compatibili con la materia originale I prodotti usati per le integrazioni devono sempre essere riconoscibili dall’origine Classificazioni e usi principali Esistono migliaia di composizioni diverse di vetro: se ne calcolano almeno 100.000 qualità e varietà. È comunque possibile classificare i tipi di vetro in relazione all’uso. • Vetro cavo: bottiglie, bicchieri, flaconi • Vetri piani: lastre di diversi spessori, specchi • Vetri artistici: le grandi e multicolori vetrate gotiche, ma anche i mosaici bizantini sono di vetro • Vetro per ottica: destinato alle lenti di occhiali, microscopi e cannocchiali, agli obbiettivi delle macchine fotografiche deve essere quindi particolarmente raffinato • Vetro per fibre: vetro sfuso stirato in filamenti continui o in fibre corte (lana di vetro) • Vetro di quarzo: costituito da pura silice • Vetri di sicurezza e per l’edilizia: vetri temprati, con raffreddamento diversificato, vetri stratificati (più lastre di vetro monolitico accoppiate mediante intercalari – fogli di materiale plastico), vetri retinati Il riciclaggio del vetro Il vetro è l’unico materiale a possedere la riciclabilità totale, senza degrado né qualitativo, né quantitativo. La raccolta differenziata del vetro e il suo riutilizzo riducono i costi di produzione, il consumo di risorse naturali e lo spreco di energia. Il restauro dei vetri antichi Nel restauro dei vetri antichi è particolarmente importante la scelta dei prodotti da utilizzare in ogni fase. Nel restauro del vetro vengono seguiti, come per gli altri materiali, i principi del minimo intervento e della reversibilità. L’esigenza di mantenere la trasparenza caratteristica del materiale riduce il numero dei prodotti utilizzati. 1. Pulitura (irreversibile): nei reperti archeologici viene fatta l’asportazione di strati e incrostazioni terrose. Si agisce con mezzi meccanici, partendo dall’utilizzo di pennelli fino ad arrivare a quello del bisturi. Spesso vengono utilizzati tamponi di cotone imbevuti in soluzione di acqua demineralizzata, alcol etilico e acetone in parti uguali, talvolta con aggiunta di tensioattivo molto diluito( in alcuni casi anche i tamponi possono risultare aggressivi). Nel caso di superfici decorate o superfici particolarmente degradate l’operazione deve essere fatta con maggiore cautela, probabilmente al microscopio; 2. Consolidamento (irreversibile): questa operazione è da evitare il più possibile perché difficilmente reversibile (a seconda la conservazione fisica del manufatto e delle sue decorazioni) e quindi è importante scegliere accuratamente il prodotto da utilizzare, sia che sia eseguita prima della pulitura (preconsolidamento) che dopo. Le caratteristiche richieste ad un consolidante sono: a. Indice di rifrazione il più possibile simile a quello del vetro b. Elevata stabilità a luce e calore nel tempo senza alterazioni fisiche, chimiche o cromatiche c. Compatibilità chimica e fisica con il vetro d. Permeabilità al vapore acqueo e ai gas e. Bassa tossicità per l’operatore f. Metodologia applicata compatibile con le caratteristiche dell’oggetto Finora nessuna resina sintetica soddisfa a pieno questi parametri: il Paraloid tende a formare una pellicola non aderente, le resine epossidiche a bassa viscosità non sono stabili e rendono il vetro impermeabile a causa delle loro caratteristiche diverse, il silicato di etile risulta troppo opaco nonostante chimicamente molto simile al vetro. 3. Rimonitoraggio: durante la ricerca delle connessioni si esegue un primo fissaggio temporaneo con delle strisce di nastro adesivo di carta; al termine della ricerca, per evitare lo spostamento dei frammenti, si applicano piccole grappe di metallo fatte aderire alla superficie con adesivo cianoacrilico o applicandone direttamente piccole quantità in frattura. Su oggetti troppo sottili, degradati o su superfici decorate il fissaggio con le grappe non può essere utilizzato; anche l’applicazione del cianoacrilato in frattura non è molto stabile e può interagire chimicamente con la resina utilizzata per l’incollaggio impedendole di penetrare nelle fratture. 4. Incollaggio definitivo: fatto per mezzo di una resina, che deve avere tutte le caratteristiche necessarie per il consolidante. La reversibilità di un incollaggio è più semplice e alcune resine non reversibili tendono ad ammorbidirsi o a gonfiarsi a contatto con specifici solventi, semplificando l’asportazione meccanica. Negli altri materiali si applica, prima dell’incollaggio, uno strato (primer) completamente reversibile per aumentare la reversibilità dell’incollaggio; questa metodologia nei vetri è difficilmente applicata perché lo strato sottilissimo impedirebbe l’esecuzione di un riassemblaggio preciso. Le caratteristiche necessarie per un buon collante sono: a. Buona coesione b. Buona elasticità c. Bassa viscosità: l’incollaggio avviene facendo penetrare l’adesivo per capillarità nelle fratture Anche i tempi necessari per la catalizzazione sono molto importanti: alcune resine hanno tempi molto lunghi che rendono difficile l’uso pratico, in altre la veloce evaporazione di alcuni solventi porta alla formazione di bollicine d’aria in frattura, non sempre esteticamente accettabili. La sperimentazione è stata effettuata su molteplici resine sintetiche: le più utilizzate sono le resine epossidiche a bassa viscosità di ultima generazione. 5. Integrazione: fase molto complicata e quindi è necessario effettuarla solo quando strettamente necessario un sostegno statico all’oggetto. La parte integrata deve sempre essere riconoscibile per cui la resina utilizzata viene pigmentata o resa più lucida o opaca nei vetri incolori. Esistono diversi sistemi di reintegrazione delle lacune sui manufatti di vetro e la scelta del materiale integrante è molto importante. Le caratteristiche sono sempre le stesse e le resine utilizzate sono le epossidiche. a. Nella maggior parte dei casi viene colata la resina dentro controforme eseguite in silicone e/o cera dentisti, cercando di fare in modo che tutta l’aria fuoriesca dall’intercapedine tra le due controforme, orientando l’oggetto a seconda della forma dell’integrazione da eseguire e che tutto il sistema sia isolato e sigillato tranne che per le cannucce utilizzate per l’immissione della resina e per la fuoriuscita dell’aria. L’utilizzo di controforme in silicone presenta numerosi vantaggi, anche se l’operazione è più lunga: dopo la catalizzazione della resina la parte integrata non deve essere più toccata e l’aspetto finale della superficie è molto simile al vetro. b. Al contrario, le controforme in cera (la loro trasparenza permette di controllare l’operazione di colatura) vanno rifinite perché difficilmente sono perfette, con rischi di abrasione del vetro circostante. c. In altri metodi alternativi la resina non è lavorata a stretto contatto con l’oggetto (evitandogli stress fisici e meccanici): la resina viene colata in sottili fogli e solo dopo essere stata sagomata viene fatta aderire al vetro. Il risultato estetico è inferiore e non è facile adattare la resina all’andamento del profilo del manufatto e se per farlo la resina viene riscaldata, si accelera il suo invecchiamento. d. Un altro metodo è quello di colmare la lacuna con un materiale gessoso, staccare il positivo ottenuto e rifinirlo a parte; di questo frammento in gesso si effettua un calco con il silicone nel quale si cola la resina, il frammento ottenuto verrà poi incollato al momento dell’assemblaggio. Il risultato estetico dovrebbe essere soddisfacente e la controforma in silicone potrebbe essere utilizzata più volte quando la resina si sarà deteriorata. 6. Conservazione: come per gli altri materiali, una volta terminato l’intervento di restauro, si devono seguire accorgimenti per la conservazione degli oggetti in vetro, per prolungare il più possibile gli esiti dell’intervento stesso. Particolare importanza ha la conservazione in ambienti climatizzati: un andamento incostante o errato della temperatura e dei valori di umidità, così come un’esposizione diretta a fonti luminose, porterebbe ad un acceleramento del degrado del vetro e dei prodotti utilizzati. Se non vengono adottati costantemente questo tipo di accorgimenti, nessun tipo di restauro è in grado di garantire una conservazione duratura degli oggetti. Le analisi: caratterizzazione di sostanze inorganiche (supporti, pigmenti, depositi superficiali) e di sostanze organiche (patine o patinature, leganti, vernici). A volte le tecniche di analisi usano radiazioni nella regione visibile, ma molto spesso usano radiazioni elettromagnetiche diverse da quelle del visibile (raggi x, ultravioletti, infrarossi) per ottenere informazioni. Ogni regione presenta proprie caratteristiche ed effetti, richiedendo per l’utilizzo strumentazioni molto diversificate. • Microscopia ottica (metodo d’indagine e accessorio di altre strumentazioni): permette di osservare in modo ingrandito un oggetto. Accoppia un obbiettivo (primo sistema di lenti) a un oculare (secondo sistema di lenti). Una lente normale non può arrivare a grandi ingrandimenti (indicato con un x), servirebbe un sistema di lenti. Questo è il primo sistema di lenti che forma l’immagine ingrandita reale dritta dell’oggetto. L’osservazione può avvenire in luce riflessa (dall’alto) o in luce trasmessa (da sotto) utilizzata solo se il campione è trasparente. o Allestimento sezioni sottili di materiali lapidei: attraverso lo studio della morfologia e l’osservazione al microscopio ottico è possibile riconoscere le specie mineralogiche. Se associata ad altre tecniche analitiche per caratterizzazione chimica (microscopio elettronico) dà informazioni attendibili. I suoi limiti sono la quantità consistente di materiali, i costi elevati e preparazione e comprensione piuttosto complicati. • Microscopia elettronica a scansione SEM: permette di osservare il campione ad elevatissimi ingrandimenti. È uno strumento costosissimo, per mezzo della quale la luce è nel range dei raggi X. Usa onde elettromagnetiche (lenti elettromagnetiche che servono per deviare il fascio) invece che la luce del visibile. Ottengo delle immagini con grande definizione ma in bianco e nero. Questa immagine si forma con elettroni del fascio primari che vengono riflessi o da quelli secondari (emessi dal campione quando è colpito dal fascio). Insieme a questi due tipi di elettroni escono dei raggi X con una lunghezza d’onda che dipende dall’elemento chimico. La luce non è del campo del visibile ma è un fascio di elettroni con le lunghezze d’onda dei raggi X, molto più energetico. Questi elettroni, una volta che colpiscono il campione vengono rimbalzati indietro (back scattering) oppure possono interagire con il materiale, facendo uscire degli elettroni secondari, cioè propri del materiale. Tutti questi elettroni vengono captati da un detector e producono l’immagine in bianco e nero (perché siamo nel range del non visibile, si vedono solo luci e ombre – a seconda del peso molecolare i raggi X vengono più o meno ostacolati). Spesso si associa alla microsonda per analisi elementare EDS che identifica la composizione chimica elemento per elemento che però non dà informazioni sulle sostanze organiche (perché sono tutte formate da carbonio, idrogeno e ossigeno – olio, uovo, acrilico). Quindi, mentre io guardo l’oggetto con il microscopio elettronico, analizzo la composizione dell’esatto punto. • Microsonda analitica EDS: strumentazione sofisticata combinata con il SEM. Riconosce gli elementi ma non la loro quantità. Gli elettroni secondari e i raggi X emessi dal campione nella SEM hanno la lunghezza d’onda caratteristica degli elementi, così si ottiene l’analisi elementare. Si può ottenere: mappature di un elemento, analisi puntuali, analisi medie di una zona del campione. • Cromatografia: non c’entra niente con il colore, semplicemente il suo primo utilizzo è stato fatto su sostanze colorate. Le tecniche cromatografiche sono tecniche molto usate (analisi dei coloranti, delle vernici) per analizzare delle miscele (ottimale per analisi di leganti pittorici come oli, proteine o resine). In una sostanza non pura, ma costituita da miscele, è utile separare i componenti. La tecnica cromatografica è una tecnica di separazione. Esempio: se facciamo cadere sopra alla carta assorbente (fase stazionaria dell’elemento solido) una goccia di inchiostro essa si espande. Se poi quella macchia viene bagnata con dell’acqua (fase mobile dell’elemento liquido o gassoso) ci accorgiamo che l’inchiostro comincia a percorrere la carta assorbente. La carta assorbente ha assorbito l’inchiostro e l’acqua, che si muove sulla carta assorbente, trasporta quelle componenti della miscela che sono più affini all’acqua stessa. Il fatto di rendere mobile una delle due fasi rispetto all’altra esalta la separazione. È un’analisi distruttiva (bastano pochi milligrammi di materia). o Cromatografia su carta: la fase stazionaria è l’acqua fissata sulla carta, mentre la fase mobile è il solvente che scorre per capillarità. o Gascromatografia: la sua fase stazionaria è un liquido o un solido, mentre la fase mobile è un gas. Colonne riempite con fase stazionaria. o GCMS: gas-cromatografia associata a spettrometria di massa. • Spettroscopia infrarossa (FTIR): spettrofotometria infrarossa in trasformata di Fourier. Permette di identificare in termini generali la classe di materia organici naturali o sintetici, distinguendo ad esempio un olio da una proteina, una resina vinilica da un’acrilica ecc. Permette di riconoscere sia i materiali organici che inorganici. Essa interagisce con il materiale facendo vibrare il legame tra le molecole. È come se il legame che unisce due molecole, rappresentato da una molla, si allargasse e si stringesse a contatto con gli infrarossi. Questa eccitazione rilascia energia, che viene osservata con un detector che produce uno spettro (a seconda dell’energia dello spettro si riconosce il tipo di legame). Dal complesso dei legami si può riconoscere la molecola (tecnica analitica qualitativa). In generale è un’analisi distruttiva (bastano pochi milligrammi di materia) • MICRO-RAMAN: spettrometria Raman associata a microscopia ottica. Permette di identificare la natura chimica delle singole particelle e si rivela utile particolarmente per l’analisi dei pigmenti. Utilizza poco materiale che può essere riutilizzato. Non tutti i materiali però danno risposte significative a causa di interferenze tra sostanze organiche e impurezze minerali. Tecniche non distruttive: utilizzano luci, radiazioni elettromagnetiche, diverse da quelle del visibile che interagiscono con il materiale. Questo tipo di analisi ci permette di avere informazioni generali. Se vogliamo avere una composizione precisa degli strati, dei pigmenti, dei prodotti di degrado e di quello che è stato utilizzato, molto spesso bisogna ricorrere ad un’analisi distruttiva. • Tecniche fotografiche speciali: registrazione, su emulsione fotografica, di fenomeni dovuti a radiazioni diverse da quelle della luce visibile (UV, IR). Le radiazioni con alta frequenza e piccola lunghezza d’onda risultano molto energetica. o L’ultravioletto riflesso viene utilizzato attraverso una lampada di Wood che emette radiazioni (da 320 a 400 nanometri) che si ferma in superficie quando le radiazioni riflesse impressionano la pellicola superficiale formando un’immagine monocroma. Questa tecnica è molto costosa. Filtri per eliminare la luce visibile e fluorescenza UV o Fluorescenza UV: la materia colpita da radiazione crea fenomeni di riflessione, assorbimento o trasmissione. Il campione eccitato può riemette un’onda con lunghezza maggiore (nel campo del visibile - luminescenza). Fluorescenza se la durata è istantanea (se come radiazioni di eccitazione si usa l’UV si ottiene fluorescenza nel visibile, rilevabile dall’occhio umano), fosforescenza se persiste nel tempo. Questa analisi mi dà informazioni utili in fase di restauro dopo l’eliminazione della vernice superficiale, per evidenziare restauri passati e per riconoscere alcuni pigmenti. Se si vuole fotografare l’effetto è importante: sbarrare l’UV riflesso e filtrare la sorgente dalle radiazioni visibili che danno interferenze. o Infrarosso in bianco e nero o Infrarosso a colori: pellicole a colori sensibilizzate all’IR o La riflettografia infrarossa riesce a penetrare in profondità (riuscendo a vedere pentimenti o un disegno preparatorio). Il potere coprente di uno stato pittorico dipende dal suo spessore e dalla capacità di diffondere la luce. La diffusione dipende dalla lunghezza d’onda (maggiore è la lunghezza d’onda, minore è la diffusione, più la luce infrarossa riesce a penetrare in profondità). In tal modo si riescono a vedere gli strati sottostanti. o Le tecniche radiografiche utilizzano la radiografia a raggi X (che sono radiazioni molto pesanti) che permette di attraversare completamente tutta l’opera (la XRF riesce a percepire la composizione media, non la posizione esatta di tutto quello che c’è). Il corpo investito dai raggi X viene rappresentato da un’immagine costituita da luci e ombre (perché le radiazioni sono invisibili all’occhio umano) a seconda se gli elementi che compongono il materiale sono più o meno trasparenti ai raggi X. Questa tecnica è utile se viene affiancata ad altre tecniche di indagine. L’immagine radiografica è la proiezione su un piano di strutture che nella realtà sono distribuite nello spazio.
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