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Appunti completi corso di Storia dell'Arte Medievale (F. Scirea) UNIMI, Dispense di Storia dell'arte medievale

Appunti completi per esame: appunti presi in aula + integrazioni manuale + integrazioni slide.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 01/05/2023

Niccolò13
Niccolò13 🇮🇹

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Scarica Appunti completi corso di Storia dell'Arte Medievale (F. Scirea) UNIMI e più Dispense in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! 1 Storia dell’arte medievale https://labonline.ctu.unimi.it/course/view.php?id=18 19 settembre “Età di mezzo”: per la storiografia si colloca tra sviluppi estremi della civiltà romana (tarda Antichità) fino a Umanesimo e Rinascimento. Quando inizia il medioevo? La tarda Antichità potrebbe dare posto al Medioevo già con gli editti di Galerio (311) e quello di Milano (313), da questo momento i Cristiani possono detenere beni legalmente forti della protezione imperiale —> da questo momento iniziano la costruzione vera e propria dei primi edifici. 380 editto di Teodosio: religione Cristiana diventa quella di stato 476: caduta Impero Romano d’Occidente —> sotto l’aspetto artistico non c’è un vero e proprio stacco con il periodo che inizierà 535-553: guerra Greco-gotica —> tentativo di riconquista dell’Italia da parte dell’impero romano d’Oriente contro le popolazioni stabili in Italia (Goti). Da un colpo mortale al sistema delle città, che erano il fulcro della civiltà greco-romana, perché si interrompe il continuo scambio con il territorio circostante alle stesse, che portava ogni tipo di bene. Questo evento tocca anche l’aspetto artistico. 568: la “calata” dei Longobardi (—> nella prima metà dell’Ottocento la parte di penisola che desiderava la fine della dominazione asburgica identificò i longobardi come l’origine “del male”) —> l’Italia viene divisa in due: i territori dell’élite germanica e quelli sotto il dominio dell’Impero d’Oriente. Fino al 1860, con la riunificazione italiana, la divisione territoriale italiana sarà pressoché la stessa. Quando termina il medioevo? XIV secolo: l’insorgere delle signorie XV secolo: l’apparsa del “primo” umanesimo (visione troppo toscano centrica? Il resto d’Europa resta medievale, e addirittura in altri territori proseguirà molto a lungo) 1492: la scoperta del nuovo mondo —> le manifestazioni artistiche medievali soprattutto in Italia sono già superate da tempo. Nei vari aspetti della vita umana l’inizio del Medioevo non sempre è sincronizzato: Ad esempio, la data simbolica del 476 non ha alcun impatto sulla produzione artistica. Assai più incisivi sono la guerra greco-gotica (535-553) e poi la presa di potere dell’élite longobarda a partire dal 568. Per Roma il trasferimento della Curia papale ad Avignone (1309-1377) costituisce uno shock che pone sostanzialmente fine al medioevo romano, ma altrove non incide. Nel 1492 l’arte medievale in Italia è finita da un pezzo, non così a nord delle Alpi, dove modi e stili medievali restano a lungo vitali. Invece, per la riflessione storica il 476 e il 1492 restano cesure importanti. É una questione di etichette, che noi attribuiamo oggi. Ravenna, San Vitale, pareti destra e sinistra del presbiterio: L’Imperatore Giustiniano (548) —> piena età paleocristiana, le figure però possono essere considerate medievali o bizantine. É importante però capire gli intenti e i significati che si nascondono dietro all’opera. Quali sono le tecniche? Da quale cultura provengono la bottega e il committente? Lo stile non è l’unica questione importante, allo stesso modo valgono anche i contenuti che le opere presentano. Padova, Cappella degli Scrovegni, Annunciazione a Sant’Anna, 1304-1305: É una pittura ancora medievale? Si, ma le figure abitano spazi tridimensionali e la luce ha forme e proiezioni differenti: queste opere possono relazionarsi molto anche con il futuro rinascimento. Duomo di Colonia: 2 (La cattedrale fu risparmiata per fortuna dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, intorno al monumento la ricostruzione della città non ha avuto attenzione verso la connessione tra i due stili) La chiesa alto-medievale precedente è stata ricostruita completamente (metà XIV secolo) e le due torri di facciata sono state completate intorno al 1885, però le maestranze che si occuparono delle torri hanno lavorato come quelle medievali, perché in quei territori l’influsso medievale è rimasto molto più forte rispetto che in Italia. Molti degli scalpellini che si occupano anche della restaurazione del duomo di Milano, infatti, provengono proprio dalla Germania. Duomo Angioino di Napoli (XIII secolo - inizio XIV secolo): La facciata però è ottocentesca: un Medioevo “ripensato” nell’Ottocento, qui in Italia il neo-Medioevo non si innesta con continuità ma è più un fenomeno di revival, mentre in Germania e Inghilterra è un fenomeno più costante che poi esplode nell’Ottocento. La storia dell’arte dialoga necessariamente con la storia tout-court ma talvolta le rispettive dinamiche non coincidono. Per tale motivo l’avvio del Medioevo in storia dell’arte va anticipato all’epoca del primo imperatore cristiano, Costantino I, circa un secolo e mezzo prima rispetto al 476 e ne va anticipata analogamente la fine, rendendo giustizia alle innovazioni occorse sui ponteggi del cantiere di San Francesco ad Assisi alla fine del XIII secolo, opera di una nuova generazione di artisti guidati o ispirati dal giovane Giotto. Il cantiere di Assisi è straordinariamente importante per poter comprendere la pittura del Trecento italiano. Si tratta di una cultura artistica che amalgamandosi via via con le coeve ricerche europee darà infine vita a quel sistema di immagini che tra il Trecento e i primi decenni del Quattrocento prenderà il nome di Gotico Internazionale. Uno dei momenti cruciali della storia dell’arte medievale è il passaggio dall’epoca romanica all’epoca gotica. Innanzitutto, tanto il termine “romanico” quanto il termine “gotico” sono stati coniati molti secoli dopo da Giorgio Vasari. Pertanto la suddivisione che utilizziamo è meramente terminologica. Dobbiamo dunque concludere che le “etichette” possono essere usate per identificare un modello di immagine in rapporto a un altro, ma non vi si deve ricorrere in modo leggero o acritico solo su base cronologica. La puntuale analisi tecnico-formale-iconografica e il contesto storico saranno gli strumenti necessari. Un ultimo punto. Capiremo presto che l’analisi tecnico-formale-iconografica e il contesto storico sono strumenti indispensabili per comprendere le dinamiche artistiche in una lettura più ordinata possibile dei manufatti nel flusso degli avvenimenti della Storia. Occorre tuttavia aggiungere un terzo strumento di analisi: il dato geografico unito al dato istituzionale. Per tale motivo, per le emergenze più significative, laddove la collocazione geografica originaria sarà certa, l’immagine dell’oggetto o dell’architettura sarà accompagnata dalla sua ubicazione nel contesto europeo. Cos’è l’arte medievale? Si può definire «Arte medievale» l'insieme dei MANUFATTI prodotti nel MILLENNIO che intercorre fra i secoli VI e XIV, cui si attribuisce carattere ARTISTICO E/O ARTIGIANALE, contraddistinto da uno stretto rapporto con un CONTESTO e una FUNZIONE, nello SPAZIO e nel TEMPO, e che in quanto tale è coinvolto con efficacia EMBLEMATICA e SIMBOLICA nel funzionamento degli atti sociali, prevalentemente inerenti la sfera del culto cristiano. La sfera del culto è particolarmente importante in questo periodo, perché buona parte delle committenze non religiose sono andate perdute. La Storia dell'Arte medievale è una disciplina STORICA, che studia l'Arte medievale con l'aiuto della Storia, della Geografia, dell'Archeologia, della Filologia, della Tecnologia, della Sociologia e di tante altre discipline, per contribuire alla conoscenza della civiltà medievale, che sta alla base della moderna Europa. Tipologie di manufatti PERIODIZZAZIONE DELL'ARTE CRISTIANA D'OCCIDENTE 1) Età paleocristiana (secc. Il-VI) Prima del 313 domus ecclesia (Dura Europos) Catacombe Dopo il 313 La basilica cristiana: una nuova edilizia cultuale 476 d.C. (Caduta dell'impero romano d'Occidente): data di comodo, senza reale portata sulla cultura artistica 535-553 Guerra greco-gotica Mette a dura prova il sistema socio- politico-economico della Penisola Secoli V-VI Sviluppo sul territorio dell'edi cultuale e del suo decoro, decentramento battesimale 2) Età altomedievale (secc. VII-X) generalmente periodizzata in base alle dinastie al potere (regni romano- germanici) Secoli V-VIIL Merovingi in Francia Visigoti in Spagna Goti e Longobardi in Italia Regni anglosassoni in Inghilterra Secoli VII-X Carolingi (Italia, Francia, Germania) Regni islamici e mozarabici in Spagna Regni anglosassoni in Inghilterra Secolo X Ottoni in Germania e Italia del nord Longobardi e bizantini in Italia del sud Capetingi (dal 987) in Francia Regni anglosassoni in Inghilterra 3) Età ‘romanica’ (s XI-XIII) identificata non | ie bensì all'età ‘romana’. Tale uniformità di classificazione è in parte giustificata dalla diffusione capillare in tutto l'Occidente, a partire dal 1000 circa, di una cultura costruttiva e artistica di matrice comune, pur con infinite varianti per materiali, tecnica, soluzioni. 4) Età ‘gotica’ (secc, XIH-XV) Appellativo di origine analogamenti peggiorativa ("alla maniera dei Goti G. Vasari) La diffusione e le caratteristiche del linguaggio gotico variano sensibilmente rispetto all'area geografica. Il linguaggio gotico più limpido è ritenuto quello dell'Ile-de-France, dalla metà del XII all'inizio del XIII. In italia il gotico si innesta con grande originalità sulle basi ‘romaniche’. In Germania e in Inghilterra farà fatica ad attecchire ma poi proseguirà senza quasi interruzione sino ai giorni nostri (!) Il millennio bizantino 6 27 settembre Il millennio bizantino Il medioevo d’occidente é molto legato a quello d’Oriente. I rapporti dal punto di vista del linguaggio artistico, e in parte di quello monumentale, sono molto connessi. Il problema é che questi rapporti sono difficili da precisare, infatti spesso nella storia dell’arte si incontra il termine (orrendo cit.) “bizantineggiante”, che però non significa nulla nel concreto: indica che c’è una possibile ispirazione al mondo bizantino, senza precisarne le fonti (di solito si tratta delle pitture antecedenti a Giotto). A Bisanzio e nei maggiori centri dell’impero romano d’Oriente prima del quattordicesimo secolo non si conserva più nulla, manufatti del V-VI secolo esistono ancora, ma non hanno un’identità chiaramente distinta da quella occidentale. Bisogna quindi lavorare solo sulle fonti scritte (che sono molto numerose), ma mancano le opere, in occidente invece la situazione é quasi contraria. Questo quindi rende difficile analizzare un possibile influsso bizantino sulle opere dell’Occidente. (Slide suddivisione storica) Le fasi dell’impero bizantino non coincidono con quelle d’Occidente, però si intersecano. Possiamo dividerle in quattro macrofasi: - Età paleobizantina: con giustiniano si comincia a delineare un’identità divisa da quella occidentale, che si specifica poi ulterioriormente con Eraclio. Loro però continuavano a definirsi “romani” e l’imperatore era erede del grande impero che in Occidente si era sgretolato nel V secolo. (Ricorda solo date Costantino e giustiniano) - Iconoclastía: a livello centrale imperiale e di chiesa legata ad esso si sviluppa un’avversione verso le immagini che ritraggono le divinità. Si tratta di un rifiuto della rappresentazione del divino e dei santi (ragioni religiose, che affondano nella cultura semitica e giudaica, politiche, sociali). Vi é una prima fase in cui molte immagini vengono distrutte (726-787), mentre in Occidente l’arte fiorisce. Vi é poi un temporaneo ristabilimento e poi una seconda fase di iconoclastia. Nell’870 l’imperatore Basilio si pronuncia ufficialmente contro a questo processo, ponendone fine e sviluppando da questo momento la vera e propria età “mediobizantina”. - Età mediobizantina: Michele III - età macedone (diffusione avori) - età comnena, che influisce molto sul’arte del mosaico anche in Italia - Impero latino: la crociata del 1204 si risolve in un “sacco” di Costantinopoli, si fa incetta di materiali preziosi, colonne e marmi. Sotto l’aspetto politico vengono instaurati vari piccoli regni di matrice Latina (50 anni). In questa fase abbiamo delle sperimentazioni molto interessanti di architetture e modi di costruire occidentali che vengono esportati nell’oriente bizantino. - Età paleologa: ultima fase della storia dell’arte di ambito bizantino (da ultimo regno Occidentale 1261 a caduta impero romano d’Occidente 1453), che dialoga molto con il ‘200 italiano e con Giotto, anche se in questo caso non é facile precisare rapporti diretti. Egitto, Monastero di Santa Caterina al Monte Sinai, Icona della Vergine in trono, VI secolo Pittura su tavola dipinta con tecnica ad encausto, ovvero con i pigmenti disciolti nella cera, formando una sostanza molto densa della quale si nota molto di più la pennellata. Questo monastero é molto particolare e d’eccezione perché ancora oggi é una sorta di cittadella fortificata in mezzo al deserto e in sostanza l’istituzione é rimasta la stessa sin dal V secolo e conserva ancora oggi le tavole commissionate nel VI secolo. Qui vediamo la vergine con il bambino con dietro due angeli, ed Ernst Kizinger (studioso americano) ha 7 trovato in questa tavola l’unione di due correnti maestre del medioevo bizantino: una che porta ad uno stile sintetico e statico, molto concettuale e quasi astratto (che é la nostra idea di arte bizantina), e che sarebbe rappresentata dalle figure della madonna e dei due santi che possono essere definiti “iconici”. Mentre i due angeli dietro che si pongono di tre quarti, la cui pennellata si fa più rarefatta, rappresentano la seconda corrente che viene definita “ellenismo perenne”, che consiste nell’aver mantenuto e coltivato la tradizione pittorica della tarda antichità, erede della grande pittura ellenistica. Alcune botteghe della capitale avrebbero mantenuto il sapere è le capacità per continuare a produrre della pittura e della scultura di qualità volumetrica e tonale. Oltre a questo nodo irrisolto c’è quello della presenza di botteghe bizantine che operarono in territorio italiano. Si hanno delle fonti che certificano alcune produzioni, ma in generale non esistono molti manufatti da analizzare che confermino queste tesi. U1- Cultura artistica paleocristiana DA DURA EUROPOS ALL’INIZIO DEL IV SECOLO L’arco di Costantino È ritenuto unanimemente uno spartiacque nella storia dell’arte d'Occidente. Realizzato per i decennalia di Costantino nel 315 abbastanza rapidamente. La muratura probabilmente fu eretta abbastanza facilmente, ma il problema fu decorare i marmi, e qui sta la particolarità dell’arco di Costantino. Da dove arriva il potere di Costantino? Diocleziano dopo essere diventato imperatore (285) vuole assicurare il potere del trono imperiale. Per questo nomina un suo successore, dividendo in due parti l’impero e poi nel 293 decide di suddividere l’impero in quattro parti (due augusti - imperatore “principale” e due cesari): In Occidente i primi sono Massimiano come augusto e come suo successore Costantino Cloro e in oriente sono Diocleziano e Galerio. Questa organizzazione avrebbe dovuto garantire stabilità e prosperità, ma in realtà va in crisi abbastanza presto: 1 maggio 205: Diocleziano e Massimiano abdicano in favore dei propri cesari dopo essersi accordati. I due nuovi augusti nominano i loro cesari, ma in questa data Costanzo Cloro muore inaspettatamente, il suo successore era Flavio Severo, ma in Britannia Costantino (figlio di Diocleziano) viene nominato liberamente Augusto (lui si era formato nella corte di Nicomedia in oriente), a Roma il figlio di Massimiano (Massenzio), a sua volta viene nominato imperatore del suo esercito. La tetrarchia salta e ne nasce una lunga e dura lotta con molte fasi, che porta alla battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 tra Costantino e Massenzio. A questo punto Massenzio compie un’azione che ancora oggi appare inspiegabile: decide di uscire dalle mura della città in cui era rifugiato e affronta Costantino venendo sconfitto. Il quel momento Costantino diventa l’imperatore unico della parte occidentale dell’impero. Si presenta al popolo di Roma come colui che aveva abbattuto il tiranno illegittimo e ha ristabilito la pace e la prosperità, per questo il senato e il popolo per tributargli onori, ai dieci anni di regno fanno erigere questo arco onorario (simile quello di Settimio Severo). L’arco di Settimio Severo fu eretto e decorato con delle sculture realizzate tutte ad hoc, con uno stile ed una impostazione formale omogenei. Quello di Costantino no: Avevano poco tempo (dal 313 al 315) e le cave non fornivano più così tanti marmi, si pensa allora di riutilizzare statue che erano già disponibili. L'uso consapevole e strumentale degli spolia: ciò che rende l'Arco di Costantino uno dei capisaldi dell’arte europea è la scelta deliberata a livello di elevata committenza di utilizzare manufatti scultorei provenienti da contesti cronologici differenti, prelevati da monumenti defunzionalizzati o più probabilmente da magazzini che accumulavano pezzi finiti (già montati o mai usati) e pre-finiti da usare all'occorrenza. In particolare, la sigla ad arcu(m) incisa alla base delle statue dei guerrieri daci traianei implica la loro provenienza da un magazzino, dove tali pezzi furono scelti e marchiati per essere destinati all'arco. 10 L’idea romantica di un’arte cristiana originatasi nelle catacombe in modo clandestino, e solo dopo il 313 (cosiddetto "Editto di Milano", più correttamente "Rescritto di Nicomedia") uscita allo scoperto per svilupparsi in contesti monumentali e pubblici, dando così forma a ciò definiamo arte paleocristiana, è solo in minima parte rispondente al vero. Il teologo Clemente Alessandrino (fine II secolo d.c.) dice che la comunità non é un luogo, ma è il riunirsi stesso dei fedeli. É quindi molto difficile trovare e riconoscere oggi i primi luoghi di preghiera dei cristiani —> nascono le “domus ecclesia”, ovvero ville che alcuni facoltosi mettevano a disposizione per la celebrazione dei riti. Ce ne sino alcune note, che sono di straordinario interesse. Il cristianesimo ha abbandonato abbastanza in fretta questa concezione radicale. Lago di Tiberiade, Cafarnao, Israele, la domus ecclesia di Pietro Dal racconto di una pellegrina, Egeria, (IV secolo), che prende appunti per ogni luogo che visita, giunge fino ad oggi il racconto della casa del “clan di Pietro”, ovvero il principe degli apostoli, viene trasformata in chiesa. “Le sue pareti restano ancora oggi (IV secolo) come erano in origine. La il Signore guarì il paralitico e l’indemoniato”. Oggi qui si trova il memoriale di Pietro, che sta al di sopra del sito archeologico. Probabilmente la ricostruzione del V secolo prende spunto dal cosiddetto Ottagono d’Oro di Antiochia, voluto da Costantino, che oggi viene tramandato solo delle fonti. Viene definito così perché probabilmente il soffitto era rivestito di foglia d’oro o per la presenza di mosaici dorati. Il mosaico appare dorato perché all’interno delle tessere di vetro viene inglobato un pezzetto di foglia d’oro, quindi poi tutto il partito musivo riluce e da l’impressione dorata. 1) nel tardo I secolo la casa in cui dimorava il clan di Pietro, che ospitava Gesù, fu trasformata in aula di culto domestico, come attestano numerosi graffiti con preghiere e invocazioni. 2) nel tardo IV secolo gli ambienti furono rinnovati e dotati di un decoro dipinto aniconico (con simboli non iconici, ossia senza raffigurazioni umane o animali). 3) alla fine del V secolo sui resti dell'edificio fu edificato un santuario ottagonale a doppio guscio, esemplificato sul cosiddetto Ottagono d'oro di Antiochia, la cattedrale di fondazione costantiniana. 4) negli anni Ottanta del Novecento sul sito fu innalzato il cosiddetto Memoriale di Pietro, dell'architetto Aldo Ivetta, un ottagono di calcestruzzo armato su pilastri cilindrici, con apertura al centro per osservare dall'alto la stratificazione archeologica. La domus ecclesia di Dura Europos, riva destra dell’Eufrate, attuale Siria 11 Sin dalla notte dei tempi lì si trovava un villaggio semita, attorno al 300 a.c., una delle dinastie eredi dell’impero di Alessandro Magno fonda una piccola città, che viene appunto chiamata Europos. Attorno al 200 a.c. il sito viene conquistato dai Persiani Parti, e nel 165 d.c. viene conquistata dai romani. É un luogo da sempre multiculturale, essendo di frontiera e di passaggio di vari popoli. Nel 256 ì persiani la conquistano, saccheggiano e abbandonano. Da questo momento la città diventa un piccolo villaggio e le strutture della grande città cadono in rovina e vengono sepolte dalla sabbia. Il sito archeologico è quindi sigillato. Fino al 1920, quando alcuni soldati notano le pareti che sorgono della antica città, e così viene aperto il sito archeologico, la spedizione durerà dal 28 al 37. Qui si trova ogni genere di edificio. A ridosso delle mura, nella parte meno pregiata delle città, si trovano la sinagoga ed una domus ecclesie. Durante l’assedio del 256 la comunità pensò di fortificare le mura sacrificando gli edifici a ridosso e creando un terrapieno. La domus ecclesia é quindi arrivata così intatta finì agli scavi del ‘900. Siamo sicuri che questo era luogo di incontro dei cristiani, perché in un angolo é stata trovata l’aula battesimale con il suo luogo dipinto. Sappiamo che la casa fu costruita nel 232 e fu riadattata a chiesa nel 240. Siamo quindi 70 anni prima degli editti di tolleranza. In questa abitazione notiamo già quello che sarà lo schema tipico dell’edificio di culto Cristiano e della comunità stessa: – un'aula longitudinale per le funzioni; – la base rialzata per un altare mobile a oriente; – un retrostante spazio di servizio (sacrestia); – un accesso adiacente all'altare per i celebranti, un altro più a ovest per i fedeli; – un peristilio di smistamento alle diverse stanze (antesignano del chiostro); – un vestibolo di collegamento fra l'aula longitudinale e l'aula battesimale, anch'essa contraddistinta dal doppio accesso celebranti/fedeli. 12 Questo schema procederà durante tutto il medioevo, sia sotto l’aspetto architettonico, sia sull’utilizzo stesso delle stanze. Abbiamo già anche una sorta di chiostro a peristilio, che dà accesso a tutti i luoghi fondamentali per la vita cristiana. Abbiamo inoltre l’aula battesimale (non battisterium, che indica la fonte battesimale), che a sua volta ha due accessi. Come si rimuove un dipinto murale? Si imbeve una tela di colla che viene attaccata al ripuntò murale, a questo punto dai lembi viene strappata la tela, che porta con se gli ultimi strati pittorici. Si applica poi quella tela su un supporto rigido, ed a quel punto con dei solventi si toglie la colla. Il restauratore poi ridipinge le parti che non sono sopravvissute alla tortura. Iconografia del sito L’arco della vasca battesimale assomiglia alle nicchie delle catacombe: il battesimo rappresenta la morte dell’io vecchio e la rinascita di quello nuovo. Nella lunetta al di sopra della vasca é rappresentato il buon pastore con una pecora in spalla e altri dodici arieti (maschi quindi). Sotto poi vi é una rappresentazione di Adamo ed Eva a peccato avvenuto: vi é quindi un parallelismo tra il peccato originale e la redenzione. Cristo quindi garantisce la redenzione ma per conquistare la salvezza bisogna seguire la comunità dei fedeli con i suoi capi. Questo concetto sarà ricorrente nel medioevo. Il resto del ciclo si divide in due registri: - parte alta: miracoli di cristo che centrano con l’acqua, ovvero la guarigione del paralitico (in cui forse c’è la più antica rappresentazione di Gesù) e la barca degli apostoli. Dalla parte opposta invece vi sono le rappresentazioni di Davide e Golia (riferimento alle origini genealogiche di cristo) e la samaritana che si reca al pozzo. Ultimamente (John Peppard - the world oldest church) da questa pubblicazione del 2016 vi é un’interpretazione in cui secondo un vangelo apocrifo si tratti di Maria annunciata al pozzo e non della samaritana. Tutte queste rappresentazioni ricorrono poi in contesti molto più successivi. Si pensa che queste iconografie non siano state codificate in un posto così sperduto, e che quindi questi fossero già molto diffuse almeno nella l’arte orientale del mondo. - parte bassa: un enigmatico corteo, che può essere definito un unicum. Vi é un elemento verso cui convergono cinque (sicuramente tre) fanciulle, e poi sulla parete opposta altre cinque fanciulle. Si tratta forse delle Marie che si recano al sepolcro di cristo, però vi é un problema: il sepolcro é già aperto nel racconto, ma qui abbiamo una struttura ben chiusa + in tutte le rappresentazioni successive le Marie trovano l’angelo, ma qui non c’è. + queste sono giovani fanciulle vestite di bianco con una fiaccola in mano, non sono le Marie dell’iconografia. La seconda interpretazione é quella delle vergini sagge e delle vergini imprudenti (vergini come seguito della sposa): si tratta di un corteo 15 severiana di Leptis Magna), luogo polifunzionale con le stesse esigenze di capienza e luminosità proprie del culto cristiano. A Treviri nell’attuale Germania occidentale presso il confine con il Lussemburgo, dove lo stesso Costantino soggiornò nel 307, troviamo, pur assai restaurato, uno degli edifici civili più importanti della tarda Antichità ancora conservato in alzato. Si tratta di una basilica a navata unica di grande altezza, con abside poligonale, illuminata da una serie di ampie finestre su due livelli entro arcate cieche. L'edificio fungeva da aula di giustizia ma probabilmente anche da sala di udienza annessa al Palazzo imperiale, e sarebbe divenuto un imprescindibile modello per tutta una serie di edifici di culto altomedievali ad ampio raggio. Tuttavia, i modelli edilizi per eccellenza della liturgia cristiana saranno le basiliche che, negli stessi anni, lo stesso Costantino farà costruire a Roma: la cattedrale del Salvatore presso il Laterano (314-335 circa); la basilica innalzata sul colle Vaticano (320-333 circa) in corrispondenza della presunta tomba di Pietro, il vicario di Cristo in Terra e primo vescovo della città. Dal 313 la comunità cristiana é riconosciuta e può quindi possedere beni, inizia così la costruzione di nuovi monumenti. Costantino darà un forte impulso a questa attività costruttiva, e come tutti gli imperatori elargisce delle libertà facendo costruire nuovi edifici pubblici: non si dedica però ai templi pagàni, e pochissimo ai complessi monumentali di tipo pubblico e civile, si dedica però alla costruzione di nuove basiliche/cattedrali (cattedrale, perché vi é il vescovo, la chiesa madre della città - dove vi é anche la domus episcopalis, e quindi nasce termine duomo). La cattedrale si trova sempre dentro le mura cittadine. Un’altra tipologia di luogo di culto largamente favorito da Costantino sono i santuari, che ospitavano la tomba del santo di riferimento della città. A Roma a lungo non si mette mano al centro della città, con gli edifici religiosi e civili della Roma pagana, i poli cristiani infatti vengono dislocati all’esterno, piano piano poi “conquisteranno” zone più centrali. Sia il santuario di Pietro che quello di Paolo si trovano sul presunto luogo del loro martirio, e lo stesso sarà per tutte le più iportanti basiliche del IV secolo. S. Maria Maggiore é la basilica più centrale, che si affianca alla basilica Salvatoris. S. M. M. si definisce una cattedrale doppia: si dice questo quando si ha un’istituzione che si serve di due grandi basiliche, una per i riti festivi e una per i cosiddetti “uffici feriali”, o per funzioni meno solenni o legate a vari aspetti delle religioni. Le cattedrali doppie molto spesso ne hanno una intitolata alla Vergine e l’altra intitolata al Salvatore o ad altri santi. Il Laterano e la Basilica Salvatoris 16 Il complesso episcopale di Roma, comprendente la Basilica Salvatoris, la domus episcopalis e l'aula battesimale, fu edificato sotto Silvestro papa (314-335), prima della partenza di Costantino per Costantinopoli (324), sull'area della caserma degli Equites singulares (corpo di cavalleria sciolto da Costantino dopo la battaglia di Ponte Milvio), a ridosso del limite sudest della cinta muraria aureliana, in un quartiere di recente sviluppo residenziale e ben collegato. La mancanza di una seconda aula, a configurare la consueta "cattedrale doppia", sembra compensata già nel secolo IV dal ruolo di S. Maria Maggiore, sul colle Esquilino (attuale chiesa di Sisto III – 432-440, ma già in funzione sotto Liberio – 352-366), a lungo officiata dal clero del Laterano. L’aula battesimale é decentrata dalla basilica, probabilmente perché li vi era un complesso termale che offriva già le strutture idrauliche per l’utilizzo dell’acqua. Le prime basiliche cristiane sono molto connesse con la basilica civile romana: il cristianesimo voleva fare qualcosa diverso dal paganesimo, e soprattutto il modello del tempio pagano é fatto per essere “usato” dall’esterno, con spazi troppo angusti all’interno. Con il cristianesimo cambiano le esigenze, si ha bisogno di ampi spazi, l’obiettivo primario é quello di espandere la comunità, sono necessari spazi ben illuminati e che offrono buona visibilità al fulcro, ovvero la zona dell’altare. Si utilizza quindi il modello della polifunzionale basilica civile. La cattedrale immaginata dagli architetti di Costantino viene infatti immaginata proprio come una basilica, con un ampio spazio coperto, sorretto da colonnate. La navata centrale é più ampia così da consentire maggiore illuminazione, mentre con il procedere del medioevo le finestre si faranno sempre più piccole, fino a raggiungere poi l’opposto con il gotico. Viene inoltre costruito l’abside semicircolare, che costituisce il fulcro, dove si poggia l’altare maggiore. [100 x 55 m, 5 navate (la centrale larga 18 e alta 26m), 2x19 colonne in granito rosso alte 11 m, 2x21 colonne in verde Tessaglia. Unica abside occidentata con corda di 15,6 m.] Per questa cattedrale le maestranze e le tecniche sono le stesse delle basiliche civili, l’esterno é abbastanza spoglio e anonimo, avvicinandola alle basiliche civili. Però ha anche delle differenze: prima di tutte l’assialitá longitudinale, ovvero gli ingressi sono sul lato lungo di fronte all’abside, mentre il quelle civili spesso gli ingressi sono laterali. Probabilmente questo venne fatto per spettacolarizzazione il rito, obbligando a percorrere una passerella (che in questa basilica era delimitata da transenne) che conduceva ad una struttura monumentale che precedeva l’altare maggiore e che il “liber pontificalis” (elenco di opere costruire da ciascun papa, costituito a partire da Costantino e Papa Silvestro) chiama “fastidium”. 17 Questo libro é una fonte fondamentale quanto insidiosa, perché ciascuno degli elenchi di questo genere ha un punto di vista molto materiale, era importante quanti veni materiali fossero stati spesi, ma vi era poco interesse verso l’iconografia, la pittura murale ad esempio. Il Fastigium lateranense è il primo modello di tramezzo monumentale di separazione fra navata e presbiterio, fra fedeli e clero, inaugurando una pratica che nel medioevo sarà portata alle massime conseguenze con gli Jubé gotici. Il “fastidium”: secondo i filologi si voleva intendere “fastigium” ad intendere qualcosa che copre, che sta al colmo. Il liber pontificalis lo descrive come una struttura molto sontuosa e ricca, però non definisce la forma di questa struttura. Lo si immagina come un arco a quattro colonne, ma resta solo una possibilità. In età carolingia (IX secolo) un certo Anastasio Bibliotecario, della curia, che poi verrà nominato anti-papa, nel descrivere questa basilica dice che le pareti laterali della basilica erano ornate da un lato con un ciclo dell’antico testamento (genesi) e dall’altro un ciclo delle storie di cristo, di origine “antichissima”, anche se non se ne sa la datazione precisa. Era un grande edificio (100m x 55m), la navata centrale era larga 18m, mentre vi era uno squilibrio di numero tra le colonne della navata centrale e di quella laterale. Filippo Gagliardi, in un dipinto del 1650, nella chiesa di S Martino ai Monti, raffigura la basilica Salvatoris, prima della modifica apportata dal Borromini: - il pavimento é in opus sectimus (marmo) è molto simile a quello del Pantheon (che in questo caso é quello originale del I secolo) - Si nota poi un transetto del XIII secolo e tutta la struttura dell’altare. - Si nota un’alternanza tra capitelli ionici e corinzi, avevano quindi riutilizzato i capitelli, e probabilmente anche le colonne, da altri monumenti. 20 Il colle Vaticano Sul colle già nel primo secolo vi era un circo legato ad una grande Villa nei pressi di una necropoli, che ad un certo punto prese il sopravvento. Abbiamo in seguito la basilica Costantiniana, che poi diventa quella rinascimentale di Bernini. L’obelisco della villa venne spostato al centro della piazza del mausoleo (quello di oggi ancora). Pietro é stato a Roma? Oggi se ne dubita sempre di più, però si hanno alcune fonti che certificano l’esecuzione di alcuni cristiani presso il circo di Nerone (Tacito 56-120 d.c.). Gajo, citato da Eusebio dopo cento anni, attorno al 200 invita a visitare i tropaia (trofei) sui colli vaticani. Intorno al V secolo Gerolamo dice che Pietro è stato crocifisso sotto Nerone. Il liber pontificalis dice che il tempio per Pietro è stato costruito nel luogo della sua tomba. 21 Quello che importa, più della veridicità, è la credenza che portò a costruire lì la basilica. Prima di questa li vi era la necropoli, e in alcuni lavori di ristrutturazione venne costruito un muro sopra ad una sepoltura molto venerata: la comunità cristiana realizza quindi un’edicola, che poi sarà continuamente oggetto di venerazione che sarà continuamente “vandalizzata” di graffiti cristiani. Nessuno di questi graffiti cita esplicitamente Pietro, però Costantino e Silvestro sono convinti che li ci sia Pietro, infatti Costantino chiederà di costruire la basilica attorno all’edicola. La costruzione della basilica di San Pietro fu un’impresa audace, non solo per le dimensioni colossali (214 m di lunghezza compreso l’atrio), ma soprattutto per l’inadeguatezza del sito, lo scosceso colle Vaticano, e per la preesistenza della necropoli, che solo un atto imperiale avrebbe potuto smantellare, quello di Costantino appunto. Al fine di far coincidere il piano d’appoggio dell’edicola con il piano pavimentale, all’altezza della corda dell’abside, il colle fu sbancato e colmato, muovendo circa 40.000 m3 di terra. Lungo la parete sud della basilica i muri di fondazione/sostruzione affondano nel terreno fino a 9 m. Della necropoli si salvarono i sacelli utili a colmare il dislivello, riconfigurandosi nelle cosiddette Grotte vaticane. L’abside doveva poggiare allo stesso livello dell’edicola, e ciò fece spostare un’enorme dimensione di terra. Basilica 123x63m, con l’atrio (poi quadriportico) si raggiungono i 214m. Navata centrale h 32m, 4 file di 22 colonne (intercolumnio 2,4m), interne h 11m e architrave h 3m, 11 finestre 3x5m per parte, più 6 in facciata; navatelle con arcate su colonne, perimetrali con 11 finestre per parte. Transetto 90x25x17m, 16 finestre 3x5m, più 5 nell’abside. Arco trionfale e abside 17x22m. Nel transetto le testate ribassate e le navatelle erano filtrate da coppie di colonne architravate, evidentemente munite di transenne. 22 In tutto la basilica contava 100 colonne, con fusti di almeno 5 tipi di marmo, capitelli e basi eterogenee (la restituzione in Brandenburg 2017 rende l’impatto di insieme, ma standardizza capitelli e basi). Capsella eburnea da Sant’Ermagora a Samagher (Pola, Croazia), rinvenuta entro l’altare nel 1906; metà V secolo, cm 18,5x20,5x16. Venezia, Museo Archeologico Nazionale. Il lato posteriore (quello con le cerniere) raffigura l’assetto costantiniano della ‘memoria’ di Pietro, venerata da vicino da due ignoti pellegrini di riguardo. Gli scavi 1940-1949 hanno accertato il tracciato delle transenne bronzee (?) che delimitavano la pergula, con architrave sostenuto da sei colonnine tortili monolitiche comprensive di basi e capitelli. Il nuovo presbiterio voluto da Papa Gregorio Magno Grazie al podio e al sottostante corridoio anulare, “memoria” e altare possono coincidere (come già in Sant’Ambrogio a Milano dal 386), consentendo il pellegrinaggio senza disturbare le funzioni garantendo la maggiore visibilità e imponenza del presbiterio: nasce la cripta a corridoio semi-anulare, che avrà larga fortuna nell’alto medioevo romano ma non solo. 25 Le informazioni che abbiamo sono in parte archeologiche, e in parte giungono direttamente da Ambrogio (Vescovo di Milano dal 374 al 397, ultimo quarto del IV secolo). Ambrogio nato a Treviri, nell’attuale Germania orientale, viene educato a Roma secondo un corso da funzionario. Trovatosi a Milano viene quasi “incastrato” e nominato vescovo, svolgendo il suo magisterio fino alla morte. È un personaggio che scrive molto: lascia scritti religiosi ed epigrafi per i contesti monumentali di cui è stato promotore. Inoltre scrive diverse lettere a sua sorella Marcellina: in una del 385-386 scrive di uno scontro tra lui e la corte imperiale che in quel periodo era ariana. Nel descrivere lo scontro descrive le basiliche di Milano: - basilica vetus - Basilica minor - Basilica nova (quae maior est) - Basilica baptisterii - Basilica portiana - Basilica faustae - I cancella Naboris et Felicis Il problema è però collocare le varie chiese dato che ne parlava senza specificarne nulla dato che erano conosciute sia da lui che dalla sorella. Nella numero 1 si trova probabilmente la cattedrale costantiniana, quindi precedente ad Ambrogio, l’unica cosa che resta di questa è una fonte battesimale oggi all’interno della sagrestia del duomo. La basilica nova probabilmente è il numero 4 (Santa Tecla e prima San Salvatore). Al numero 2 si trova Santa Maria Maggiore, probabilmente carolingia. Al numero 3 si trova l’aula battesimale si San Giovanni alle fonti. Numero 6 resti di un campanile di età romanica. Il duomo attutale dal 1386 ha sostituito gradualmente ogni altra struttura, in una zona che prima era una sorta di cittadella. 1. (Oggi sagrestia Aquilonare del Duomo, sinistra dell’altare) —> fonte battesimale di Santo Stefano alle Fonti (strano che non sia per Giovanni), probabilmente ha preso l’intitolazione della chiesa che aveva a fianco. —> nel V secolo una fonte scritta parla di “aule gemine”, quindi gemelle, certificando forse la presenza di una basilica doppia. Sacrestia aquilonare, resti del fonte battesimale «di Santo Stefano», rimessi in luce nel tardo XIX secolo, entro strutture che fanno presumere un vano quadrato. Recenti indagini archeometriche confermerebbero la datazione pre-ambrosiana, dunque l’appartenenza al complesso episcopale di età costantiniana. In proposito Ennodio vescovo di Pavia, ricorda l’intervento del vescovo Lorenzo I 26 (inizio VI sec.) su aule gemine. La mancanza di dati archeologici su tali aule lascia tuttavia la questione in sospeso. Qui verosimilmente fu battezzato Ambrogio nel 374. 2. Santa Maria Maggiore Gli elementi scuri segnalano ciò che è stato trovato archeologicamente. Fu edificata sotto il Vescovo Angilberto II, questo significa che almeno dal IX secolo (età carolingia), avevamo una Santa Maria Maggiore in quella zona. Esisteva però forse un’altra chiesa con quel nome di origine paleocristiana. Tutto attorno a questo gruppo vi era una corona di piccole chiese edificate intorno all’VIII secolo, e quattro di queste erano dedicate ai quattro arcangeli (Michele, Gabriele, Raffaele, Uriele) —> il culto di Uriele fu poi bandito nel 755, quindi siamo sicuri che fosse precedente a quel periodo. Probabilmente in quest’area si trovavano anche edifici per l’amministrazione, costituendo così una vera e propria cittadella episcopale. 4. Basilica Nova, Basilica di San Salvatore/Santa Tecla Cui accenna Ambrogio definendola la “maior”. La basilica fi abbattuta progressivamente a partire dal 1461, per il procedere del duomo attuale, fu poi scoperta nell’ottocento e rimessa in luce nel 1943, per la costruzione di un bunker anti aereo. Poi nei primi anni 60 si passa da lì per la costruzione della metro M1 ed il mezzanino (grande atrio) viene costruito dove vi erano le navate di Santa Tecla che ovviamente sono state sacrificate. Parte dell’abside resta intatto e si può vedere dal mezzanino della metro tramite delle vetrate. Si trattava di una chiesa molto strana, che aveva poco a vedere con i modelli di Roma, lasciando ancora oggi molto quesiti aperti (risale o poco prima o poco dopo Ambrogio): ha 5 navate ma è molto larga in rapporto alla lunghezza. Inoltre vi erano due muri trasversali piuttosto spessi, che quindi si immaginano alti, che schermavano tutta l’area del presbiterio in una maniera anomala per le basiliche paleocristiane. Quella zona solitamente era molto visibile data l’intenzione di rendere partecipi i credenti. Da V secolo poi viene realizzata una passerella sopraelevata (solea) delimitata dalle transenne e ricordata a questi muri. Gli usi liturgici ambrosiani quindi forse differivano molto dagli usi attestati altrove. Problematica è la disposizione assiale decentrata rispetto al San Giovanni e all’ipotetica Santa Maria Maggiore. La disposizione longitudinale degli edifici, non parallela, richiama il gruppo episcopale di Gerusalemme. 27 3. Aula battesimale di San Giovanni alle Fonti Fu voluta da Ambrogio e proprio lì battezzò Sant’Agostino di Ippona. È un problema però perché é fuori asse rispetto a tutto il resto, non ha senso rispetto a Santa Tecla ed è anche fuori asse rispetto a Santa Maria Maggiore. Il mistero non verrà risolto probabilmente fino a quando non si farà uno scavo esteso in tutta l’area. È importante come modello di edificio ottagonale, con nicchie in spessore di muro e voltato, che verrà utilizzato in tutta la diocesi ambrosiana. Sappiamo da fonti scritte che fu una committenza di Ambrogio. Ciò che vediamo oggi sono i resti della vasca, con attorno parti di pavimentazione ed alcuni perimetrali dell’edificio. Quando Ambrogio parla di Basilica Baptisteri non è detto che si riferisse a questa struttura, che comunque ospitava un altare e tutti gli arredi necessari in una chiesa. Nello scavo del ‘97 è stata trovata una moneta di Valente (374- 378) sotto lo strato del battistero, facendoci notare che la costruzione é sicuramente successiva. La committenza di Ambrogio è sostenuta da un’epigrafe trascritta nel secolo IX nella Silloge di Lorsch: Octachorum sanctos templum surrexit in usus, octagonus fons est munere dignus eo (Innalzò il tempio degli otto santi, il fonte ottagonale è degno di tale funzione). La Basilica Martyrum (attuale Sant’Ambrogio) Si sovrappongono la pianta della basilica paleocristiana e la pianta della basilica attuale. A quanto pare, secondo le ricerche di Gaetano Landriani della fine del 1800, il perimetro delle due chiese coincide. Ciò di cui siamo sicuri è che il colonnato paleocristiano è leggermente ruotato di qualche grado rispetto a quello romanico. Di questa basilica ne parla Ambrogio stesso, dicendo che era solito andare a pregare tutti i giorni presso le tombe dei mariti, proprio in quella zona che era una necropoli. (Oggi lì sotto si trova un parcheggio sotterraneo.) Nello stesso racconto parla di un Palazzo Imperiale, che però oggi ci è impossibile ritrovare. In questa zona però decide di edificare una basilica in cui essere seppellito alla sua morte, vi celebrerà anche per tutta la vita. È una novità rispetto a Roma questa, perché il sacerdote non si sarebbe mai fatto seppellire dove c’era l’altare, ma Ambrogio farà scuola a riguardo. 30 San Simpliciano: Probabilmente di poco successiva alla morte di Ambrogio, dunque dell'inizio del V secolo, è la basilica di San Simpliciano, che porta il nome del suo probabile fondatore, il vescovo successore di Ambrogio, sebbene ab antiquo l'edificio custodisca le reliquie dei martiri di Anaunia (Trentino), Sisinnio, Martirio e Alessandro. Il restauro del Secondo dopoguerra ha riportato alla luce quasi intatto l'alzato paleocristiano, caratterizzato da un impianto a croce latina ritmato esternamente da sequenze di finestroni entro arcate cieche, sul tipo dell'aula imperiale di Treviri. Interventi strutturali altomedievali e soprattutto di età romanica hanno trasformato l'imponente spazialità unitaria paleocristiana, suddividendo la navata e i bracci di transetto mediante pilastri cilindrici che sostengono volte a crociera. 5 ottobre San Lorenzo Maggiore a Milano UN MONUMENTALE SANTUARIO PALEOCRISTIANO, UN MODELLO PER IL MEDIOEVO Milano, dopo Roma, conserva moltissime basiliche paleocristiane. San Lorenzo Maggiore è stato un grande modello (V secolo), non solo per il medioevo, ha attirato l’attenzione di moltissimi architetti ed artisti durante la storia. Tra questi vi erano ad esempio Bramante e Da Vinci. Sorge nella zona sud ovest della città, vicino al palazzo imperiale, in un’area poco adeguata per il suo peso, dato che era un isolotto circondato da canali della Vetra, con funzione cimiteriale. Non si trattava quindi di una superficie abbastanza solida, però nonostante ciò si è scelto proprio questo luogo, lungo la via per Pavia (Ticinum). Nonostante estesi rifacimenti, in particolare della cupola su alto tamburo dopo il crollo del 1573, l’edificio mantiene buona parte dell’alzato paleocristiano e dei suoi equilibrati rapporti proporzionali. Si tratta di un organismo composito (V secolo): l’alzato principale paleocristiano è stato conservato, sebbene in parte intonacato, e si conservano anche alcuni sacelli dello stesso periodo o poco successivi (San Genesio/Aquilino e …). Anche le torri sono sopravvissute, anche se sono state in parte 31 ricostruire in periodo romanico e poi nell’ottocento. Una di queste però è tutta originale del V secolo: si tratta di un esempio lampante di torre difensiva tardo antica, sono state quindi utilizzate le stesse maestranze. La copertura originaria, di ignota struttura, è crollata nel VII secolo, ed è stata rifatta a cupola con tiburio, crollando anch’essa dopo la metà del ‘500. Dopo il 1573 è stata ricostruita nella forma che è giunta sino a noi (è evidente che questa era la morte più debole dell’intera struttura), nonostante lo stile manierista le maestranze furono molto capaci nell’integrare i due stili. Il colonnato: le colonne sono originarie del II secolo ed è ciò che rimane dell’appronto monumentale del complesso. Una delle torri: notiamo che fino all’ultima cornice è originale, mentre la parte sopra è di periodo romanico. Venne ricostruita a causa del crollo della cupola, infatti queste torri servivano anche da contrafforte per la struttura centrale. (Il peso di una cupola infatti fa allargare le pareti, che prima o poi cedono) L’intonaco che si intravede è quello originale del V secolo, ed è interessante notare come, a differenza dell’intonaco odierno, sia riuscito a conservarsi per così tanti anni. La miscela infatti era molto particolare, facendo sì che l’intonaco diventasse quasi pietra. Gli interni: una delle grandi qualità dell’architettura paleocristiana è quella di dare vita ad uno spazio molto grande, monumentale ma che comunque fa sentire a proprio agio. Nonostante tutto l’assetto 32 interno sia stato adattato ad un’estetica rinascimentale la sensazione è rimasta la stessa. La chiave probabilmente sta tra le proporzioni strutturali. (Ambulacro: il camminamento che costeggia l’intera struttura, lo si chiama così anche ai piani superiori, il termine “matroneo” non ha fondamento storico) La pianta: si tratta di un tetraconco, ovvero un quadrato con quattro esedre, inoltre è a doppio guscio. Ai quattro angoli ci sono le torri che hanno la funzione di irrobustire la struttura, contraffortare la volta è di consentire il collegamento tra le quattro parti del deambulatorio/ambulacro. Già in prima fase c’è il sacello di San Sisto, mentre quello di San Genesio era previsto nel progetto, in forma differente ed in seguito realizzato con una variazione aggiungendola stanza antistante. Dalla parte opposta poi si aggiungerà quello di Sant’Ippolito. Questi tre santi vennero scelti perché in relazione con San Lorenzo. (Il culto di San Lorenzo si diffonde proprio intorno al V secolo a partire da Roma) Una basilica a pianta centrale poneva, e pone oggi, problemi per le esigenze del culto Cristiano, perché nel rito si predilige una struttura longilinea. Una basilica fatta così non permette facilmente di individuare un fuoco preciso. L’obiettivo è quindi di polarizzarsi verso l’altare, e nelle basiliche fatte così si è provato a risolvere il problema in vari modi senza mai giungere a esiti efficaci. Qui si ha provato a risolvere la centralità aggiungendo diversi accessi. Prima ancora di costruire il problema era rendere stabile la palude, l’isolotto fluviale. Vennero messe in campo le più esperte tecniche dei cantieri imperiali e tardo antichi, erano molto organizzati sia in termini di maestranze che di reperimento dei materiali. Questa organizzazione si andrà perdendo per poi ritornare con l’età romanica matura. Il cantiere ovviò al problema annegando pali di legno in gettate di calcestruzzo, sopra alle quali venne fatto un terrapieno di riporto, sopra ancora una piattaforma di blocchi squadrati di pietra. Quest’ultima piattaforma venne costruita utilizzando i blocchi dell’anfiteatro che si trovava lì accanto. Del sontuoso opus sectile del quadriconco, sistematicamente spogliato, si conservano 1463 frammenti già in due casse stipate nella galleria superiore. I litotipi più rappresentati sono il Pavonazzetto, il Giallo antico e il Cipollino. Sono presenti molti frammenti di listelli, e pezzi di forma triangolare e romboidale, tali da far presumere pannelli a disegno geometrico e incorniciati. Pochissimi frammenti sono in porfido e in serpentino, litotipi che pur le fonti scritte attestano; tale mancanza è plausibilmente dovuta alla preziosità di tali materiali, i primi ad essere richiesti dal mercato degli spolia. Il porfido, “materiale imperiale”, che girerà nel medioevo proverrà da spolia, data la chiusura delle cave in tarda epoca imperiale. Infatti nelle casse li contenute se ne trova veramente poco, probabilmente perché riutilizzato per altri edifici. Criticità e rifacimenti: il rifacimento romanico della cupola è composto da un’ardita struttura, che all’esterno è sorretta da un tiburio ad archetti ed arcatelle. Il vano centrale fu probabilmente coperto da cupola a padiglione in conglomerato (opus coementitium), ma c’è chi ha ipotizzato un’immensa volta a crociera. Tale copertura crollò in età romanica e fu prontamente ricostruita, con tiburio a gallerie (disegno anonimo, metà XVI sec.). L’ulteriore crollo del 1573 comportò una profonda alterazione dello spazio per via dei supporti angolari collegati a formare un ottagono, e della cupola a sesto rialzato su alto tamburo La datazione: [archeometria = tecniche tipo termoluminescenza/ carbonio 14] Chi ancora sostiene l’ipotesi di una fondazione imperiale del IV secolo, quale aula palatina o mausoleo imperiale, deve scontrarsi con un quadro indiziario conduce in maniera stringente alla prima metà del V secolo (punto della situazione in Neri, Lusuardi Siena, Greppi 2015). - Cronologie termoluminescenza e Carbonio 14. - Utilizzo in fondazione di blocchi dell’anfiteatro, in dismissione dall’inizio del V sec. - Utilizzo di anfore (rinfianchi della volta di San Genesio) di V secolo. - Intitolazione a San Lorenzo, il cui culto si diffonde a macchia d’olio nel V secolo. 35 posa del dio sole pagano. Alcuni apostoli sembrano reggere un rotolo (ma resta il dubbio di manomissioni, particolarmente frequenti nei mosaici in riferimento agli oggetti tra le mani), quello della predicazione, mentre Paolo stringe un codex. Altri rotoli si trovano nella capsa ai piedi di Cristo, pronti per essere prelevati dagli apostoli, diretti a predicare ai quattro angoli del mondo. Pertanto, nonostante il fondo d’oro suggerisca una dimensione trascendente, il contesto della scena sembrerebbe ‘terreno’: probabilmente l’incontro fra il Maestro e i discepoli in Galilea subito prima dell’Ascensione, per affidare a ciascuno di loro la Missione. Di certo non si tratta di un’Ascensione (come propone Sorries 2004), perché i discepoli guardano verso l’osservatore e verso la capsa, e Cristo è ben seduto. Difficile stabilire se il numero di rotoli nella capsa (otto) sia quello originale, ma sommato agli ‘oggetti’ in mano ai discepoli sembra di arrivare a 12. Meno probabile invece un rapporto con Apocalisse, dove 7 sono i sigilli, non i rotoli. Gli specchi d’acqua ai lati potrebbero simboleggiare «l’acqua di vita» che salverà il mondo, oppure direttamente l’acqua con cui infondere il battesimo di conversione. 2. Abside nord-est: purtroppo mutila, probabile ascensione di Elia che lascia il manto ad Eliseo, potrebbe anche rappresentare la discesa del dio sole secondo la critica. È un paesaggio bucolico, però con un cielo d’oro, nel quale vi è una quadriga. Le interpretazioni possibili sono due: una sarebbe appunto l’ascesa di cristo quale Sol Invictus, sarebbe però l’unica attestazione di questo tipo oltre ad una presente nelle grotte vaticane (precedente al 300). L’altra sarebbe l’iconografia di Elia che sale al cielo da vivo, donando il suo mantello al suo discepolo Eliseo, rappresentando quindi il “passaggio di consegne”, che notiamo anche nell’altro abside. Il rapimento’ in cielo di Elia, senza passare dalla morte, è tema pertinente in contesto funerario, così come nell’altra abside l’apparizione di Cristo risorto che diffonde la Parola (la Salvezza) mediante i discepoli. Non è forse un caso che entrambe gli episodi compiano nel sarcofago di Sant’Ambrogio, di pochi decenni precedente. In un contributo del 2016, Gabriele Pelizzari ha proposto un’interpretazione alternativa, che vede coesistere l’epifania di Cristo quale Sole invitto con una sottostante rappresentazione della resurrezione di Cristo, cui parteciperebbe la figura di sn a ridosso della lacuna, che per via del copricapo sarebbe un soldato (uno di quelli a guardia del Sepolcro). Si tratta di un’interpretazione ben articolata, ma con diversi punti deboli, a partire dalla mancanza di confronti diretti e dalla ‘strana’ ambientazione bucolica per una Resurrezione, senza contare che il presunto soldato dovrebbe apparire addormentato. 36 Costantinopoli e Gerusalemme L’attività edilizia di Costantino non si limitò a Roma e Treviri; Antiochia, forse Nicomedia, di certo Costantinopoli e Gerusalemme furono ugualmente interessate da nuovi edifici di culto che avrebbero dettato modelli e forme a tutta l’architettura cultuale medievale. Nella nuova capitale orientale dell’Impero, Costantinopoli, fu dato avvio al cantiere della Santa Sofia, dedicata nel 360 da uno dei figli di Costantino, Costanzo II imperatore. Di forme e articolazione ignote, la prima Santa Sofia subì una profonda ristrutturazione (o integrale ricostruzione secondo altri) all'inizio del V secolo, sotto Teodosio II, e fu interamente ricostruita sulla base di un ardito progetto per volere di Giustiniano, dopo i danneggiamenti provocati dalla "rivolta della Nika" del 532, terminando già nel 537. Direttamente a Costantino, secondo la testimonianza del suo biografo Eusebio di Cesarea, è attribuibile la committenza della basilica dei Santi Apostoli (o almeno del mausoleo destinato ad accoglierne le spoglie), anch'essa ricostruita sotto Giustiniano senza lasciare traccia dell'impianto precedente (e a sua volta distrutta per lasciare spazio ad una moschea). Della Santi Apostoli costantiniana potrebbe essere riflesso la basilica di San Nazaro maggiore a Milano, voluta da Ambrogio e analogamente dedicata agli Apostoli intorno al 386. 37 A Gerusalemme, la città più sacra della giovane religione cristiana in via di istituzionalizzazione, sempre Costantino volle edificare importanti edifici nella terra della nascita, della morte e della resurrezione di Cristo: il più importante e ricco di conseguenze fu il complesso cattedrale, detto del Santo Sepolcro [figg. 50, 51], formato da una vasta chiesa basilicale a cinque navate (che Eusebio chiama Martyrium) collegata da un irregolare spazio porticato a tre bracci a una struttura a pianta centrale, che custodisce l’edicola (detta Anàstasis) del sepolcro da cui sarebbe risorto Cristo. 40 Il sistema della "cattedrale doppia" e le chiese battesimali rurali Le testimonianze paleocristiane nelle città italiane hanno goduto, con poche eccezioni, di un interesse quasi esclusivamente archeologico. Le ragioni sono evidenti: i ripetuti interventi delle epoche successive hanno cancellato o mascherato quasi sempre gli alzati delle strutture più antiche, conservandone però in buona parte almeno le fondazioni, servite a loro volta da base per le nuove fondazioni delle chiese ricostruite nello stesso luogo, secondo un processo che è durato fino al Settecento. Scavi sistematici sono stati condotti pressoché in tutti i gruppi episcopali paleocristiani delle città italiane, portando alla luce almeno la planimetria delle cattedrali. Nell’unità successiva ci occuperemo in specifico delle emergenze conservatesi anche in alzato. Ora ci preme focalizzare l’attenzione su una delle caratteristiche comuni dei complessi episcopali del settentrione italiano e non solo: deve balzare all’occhio il sistema della "cattedrale doppia", che sarebbe stato ripreso con buona frequenza anche nei secoli medievali. Per cattedrale doppia [fig. 73] si intende la presenza di due edifici principali, distinti architettonicamente ma connessi, pensati per differenziare le celebrazioni festive da quelle feriali, o meglio, le celebrazioni solenni da quelle quotidiane: la messa che ogni giorno il capitolo della cattedrale doveva celebrare si svolgeva nella ecclesia minor; le messe domenicali o dei giorni festivi secondo il calendario liturgico erano invece svolte nella ecclesia maior. Solitamente, tra le due chiese o nelle immediate vicinanze, anche in relazione alla situazione orografica o urbanistica precedente, si inseriva l'ecclesia baptismalis, l'aula che ospitava il fonte battesimale, in prevalenza con impianto centralizzato. Sarebbe inutile elencare semplicemente le città in cui tale sistema è stato verificato o è con buon sicurezza presumibile; basti sapere a titolo di esempio che "doppie" erano tutte le cattedrali lombarde. Più utile in quest’occasione è ricordare che ad essersi conservati, seppur a livello archeologico, non sono solo i gruppi episcopali paleocristiani, ma anche chiese martiriali, cimiteriali, rurali o battesimali fuori dai centri urbani. 41 10 ottobre U2: Le capitali imperiali nei secoli V e VI Con il trasferimento della corte imperiale di Onorio (393-423) attorno al 402 da Milano a Ravenna, la città che era un castrum portuale diventa una vera e propria città. Si avvia infatti un programma edilizio per ospitare la famiglia imperiale. Ravenna poi con l’età carolingia perderà il suo ruolo strategico, facendo sì che la città si “congeli” a lungo nella sua struttura e nei suoi monumenti religiosi, senza subire un processo di rinnovamento continuo. Se già dalla seconda metà del IV secolo, con gli imperatori Valente, Valentiniano I e II, Graziano e Teodosio, furono avviate opere di espansione e arricchimento, Ravenna, seppur da secoli importante scalo per la flotta romana nell’Adriatico, dovette dotarsi in breve tempo di tutte le strutture che una capitale del tardo Impero necessitava non solo a livello istituzionale, ma anche religioso. Tuttavia è bene precisare che non vi sono fonti che attestino committenze religiose dirette da parte degli imperatori nel V secolo – se si eccettua Galla Placidia, che però fu solo tutrice e mai imperatrice – e si è piuttosto propensi a credere che il loro intervento si concentrò principalmente sulle strutture civili. Ma quello che oggi è comunemente denominato "Palazzo di Teodorico" è in realtà ciò che resta della chiesa di San Salvatore ad Calchi presso Sant’Apollinare Nuovo, nell’area della residenza imperiale. Il nuovo status di 'capitale' non tardò a manifestarsi: non solo il porto principale fu trasferito a Classe, ma tutta la città fu per alcuni decenni un grande cantiere se prestiamo attenzione agli edifici, istituzionali, difensivi e cristiani, di cui si arricchì. Paradossalmente, però, è proprio grazie al sistema delle architetture religiose realizzate a partire dai primi decenni del V secolo – ancora in buono stato di conservazione – che Ravenna ancora oggi è pressoché l’unica città europea che consenta di cogliere con buona approssimazione le dinamiche storico-artistiche nei decenni a cavallo della dissoluzione della Pars occidentalis dell’Impero. Come una sorta di ritornello, siamo stati abituati a ritenere Ravenna un avamposto bizantino in Italia: la storia in questo caso aiuta a capire molte cose. Quando nel 476 Romolo Augustolo fu deposto da Odoacre re degli Eruli, l’Italia viveva un periodo di relativa tranquillità militare; ciò sino all’arrivo, ancora una volta su mandato dell’imperatore d’Oriente, Zenone, del re degli Ostrogoti Teodorico. Al caos seguito alla morte di Teodorico nel 526 si crearono le condizioni per un ritorno in Italia dell’esercito di Costantinopoli allo scopo di riunificare il Mediterraneo sotto un unico Impero. Il conflitto che scoppiò tra Giustiniano, il grande imperatore d’Oriente che volle perseguire con forza tale obiettivo, e i contingenti ostrogoti in Italia è noto come Guerra greco- gotica e sconvolse la Penisola tra il 535 e il 553. Giustiniano, attraverso i generali Belisario e poi Narsete, recuperò grande parte dell’Italia, Roma e Ravenna comprese. Poco dopo tuttavia, nel 568, i Longobardi – forse ancora una volta in virtù di un ambiguo accordo con Costantinopoli – calarono in Italia da nord-est e in un decennio sconvolsero gli assetti della penisola italica occupandone buona parte, ma senza ottenere continuità territoriale. Fra le esclusioni eccellenti vi fu Ravenna, che divenne sede di esarcato bizantino. 42 1) Basilica cattedrale "ursiana"; 2) Aula battesimale "neoniana", o "degli Ortodossi"; 3) Palazzo episcopale; 4) Sant'Agata Maggiore ; 5) Santi Apostoli (poi San Francesco); 6) Palazzo imperiale e poi regio; 7) Sant'Apollinare nuovo (poco sotto, senza numero, San Salvatore ad Calchi); 8) San Giovanni Evangelista; 9) Basilica ariana di Santo Spirito; 10) Aula battesimale degli ariani); 11) Santa Maria Maggiore 12) San Vitale; 13) Santa Croce (con Mausoleo detto "di Galla Placidia"); 14) Mausoleo di Teodorico. La Ravenna prima dell’inserimento della corte imperiale era sostanzialmente un castrum abbastanza regolare, facile da individuare. Con l’arrivo della corte di decide di ampliare notevolmente la cinta muraria: quasi si triplica la superficie della città entro le mura, ma nonostante ciò non si costruiscono solo strutture, si includono zone che possano sostenere la richiesta di cibo anche in periodi di assedio o necessità. Onorio fa allestire il suo palazzo abbastanza all’esterno, ben lontano dal foro, probabilmente perché nel luogo si trovavano già delle strutture sontuose e delle parti strutturali (fogne, acquedotti) adatte ad essere adibite ad abitazione imperiale. Il complesso cattedrale si localizza all’interno della città vecchia, probabilmente a cavallo delle mura repubblicane. Vi è poi una grande distribuzione di vari edifici ecclesiastici. (N.9) Vi era probabilmente anche un gruppo cattedrale ariano (basilica + aula battesimale). A nord-ovest vi è Santa Giove, con il mausoleo di Galla Placidia e San Vitale. Fuori dalle mura a nord-est c’è il mausoleo di Teodorico. Complesso episcopale La basilica è moderna, però si conserva l’aula battesimale neoniana. Della basilica si immagina avesse cinque navate, con un’abside all’interno circolare e all’esterno poligonale. Questa basilica viene conferita dalle fonti scritte (liber pontificalis ecclesiae Ravennati) al vescovo Ursus. Il testo è compilato attorno alla metà del IX secolo. Ursus secondo alcune fonti sarebbe diventato vescovo già prima dell’avvio del grande programma edilizio voluto dalla corte imperiale, secondo altre sarebbe diventato vescovo dopo il 402 —> se fosse diventato vescovo prima significa che è un’iniziativa presa dalla chiesa locale, se invece lo divenne dopo questo grande cantiere sarebbe almeno stato finanziato dalle risorse della corte imperiale. In base agli scavi effettuati sotto l’attuale edificio di età moderna, la primitiva cattedrale di Ravenna avrebbe avuto cinque navate, prive di transetto e con abside poligonale, riflettendo una molteplicità di modelli: romani, settentrionali e orientali. Di questa realizzazione di Ursus resta l’aula battesimale detta neoniana (da vescovo Neone) o “degli ortodossi”. Quello che resta è la struttura fino al primo ordine di finestre. La pianta interna differisce da quelle viste prima: è un quadrato che all’interno reca quattro absidi, ma che poi in alzato diventa un ottagono. La soprelevazione successiva “rispetta” la parte sottostante: nella parte inferiore l’opus sectile è originario, però le arcate “tagliano” queste decorazioni, e si abbinano con la parte superiore, che è ascrivibile al vescovo Neone. La cupola in tubi fittili: sono elementi tubolari che si incastrano gli uni negli altri, permettendo di creare delle cupole autoportanti che non richiedono grosse opere di sostegno. Questa tecnica viene usata largamente tra IV e VI secolo soprattutto in nord Italia. 45 L’interno ha altri elementi ricorrenti: navata molto larga, finestratura abbondante anche nelle navatelle, colonne di reimpiego + il pulvino —> elemento tronco-conico che si frappone tra arcaste capitello, ha la funzione di “alzare” le colonne come uno spessore, però questo si sarebbe potuto fare alzando la base delle colonne, sembra quindi avere un ruolo nell’estetica architettonica e anche iconografica. A ciò si aggiungano altri elementi: il cleristorio (la finestratura dei setti della navata centrale) solcato da grandi finestre ad arco a tutto sesto inquadrate da arcate cieche che ritmano l’intera superficie; tale articolazione parietale avrebbe caratterizzato l'edilizia cultuale ravennate, ma anche di area germanica, sino a tutto l’XI secolo. Infine, seppur ora non più visibile poiché cancellato dall’allungamento delle navate, il nartèce (nel Ravennate anche detto árdica) caratterizzava il prospetto dell’edificio come una sorta di portico trasversale; tale elemento caratterizzerà tutti gli edifici ravennati e non solo, dal momento che, con alcune variazioni, lo si ritrova a Roma anche nei secoli successivi. Come è stato giustamente osservato, non è opportuno esaltare eccessivamente San Giovanni come l’edificio apripista nello scambio tra Oriente e Occidente. Molti degli elementi messi in luce poco fa sono già presenti a Roma e Milano. Semmai, impressiona la coerenza che caratterizza, da San Giovanni in poi, le scelte tecnico-costruttive, tipologiche e stilistiche di quasi tutte le chiese ravennati. 46 Il “cosiddetto” Mausoleo di Galla Placidia È un piccolo edificio cruciforme a sé stante, che si trova vicino alla basilica di San Vitale, con la quale però non ha connessioni. È perlomeno curioso che una delle emergenze più conosciute di Ravenna (in opera con tutta probabilità dal 425 circa), il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia, non solo non sia mai stato usato come effettiva tomba della madre di Valentiniano, ma non sia nemmeno stato progettato come edificio autonomo, costituendo un appendice al nartece della scomparsa chiesa di Santa Croce. L’attuale collocazione nell’area di San Vitale (basilica di circa un secolo successiva) è quindi fuorviante perché con il 'Mausoleo' non ha alcuna relazione originaria in termini liturgici o funzionali. La planimetria è cruciforme e l’incrocio dei bracci, i cui perimetrali sono scanditi da grandi arcate cieche, è sormontato da un tiburio parallelepipedo con piccolissime aperture. All’interno restano i marmi, alcuni sarcofagi ed un completo mosaico circa del V secolo. L’interno è ifatti un’esplosione di colori veicolati da una stesura musiva che interessa tutte le superfici interne di copertura, sopra un'alta zoccolatura marmorea. Domina indiscusso il blu della cupola e delle volte a botte di copertura dei bracci. Trattandosi di una cappella funeraria l’orizzonte è quello della salvezza dopo la morte —> nella cupola centrale le si trova una croce monumentale circondata da 567 stelle. La croce monumentale rappresenta il trionfo di cristo sulla morte solitamente, ma qui molto probabilmente si allude alla fine dei tempi, si pensa infatti che rappresenti “il segno del figlio dell’uomo” (Matteo 24, 30). Ai quattro angoli troviamo i quattro simboli di apocalisse (che non rappresentano i simboli degli evangelisti, !Non hanno il libro in mano), che rappresentano le comunità ai quattro angoli del 47 mondo. Si allude quindi alla fine dei tempi, ma nel periodo paleocristiano questo avviene molto raramente, tanto che non si avranno “giudizi finali” propriamente detti prima dell’alto medioevo. Lunetta sopra la porta di accesso e uscita dal sacello: Cristo “buon pastore” e “porta” (Gv 10): "chi non entra nell'ovile dalla porta ma vi sale da un'altra parte è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta è pastore delle pecore [...] Io sono la porta delle pecore [...] Chi entrerà per me sarà salvo [...]”. Il buon pastore ha il nimbo (croce), rappresenta quindi cristo, con delle pecore/capre ai lati. Il cristo centrale guarda verso la sua destra, ma ai capri alla sinistra tende la mano —> al giudizio finale quelli salvi vanno a destra, mentre gli altri a sinistra, tende però la mano anche a questi ultimi. Allo stesso tempo questo è un cristo-porta proprio perché si trova sopra la porta fisica. Non mancano motivi fitomorfi e geometrici nelle linee architettoniche e ancora una volta le figure umane sono rappresentate in modo mimetico, sono appoggiate saldamente a un terreno reale e mostrano ricercati chiaroscuri per aumentare la volumetria. Sant’Apollinare Nuovo Il campanile è di tipo ravennate ma medievale (pianta ellittica). Con l’insediamento di re Teodorico in città, nel 493, il numero di committenze di edifici religiosi non diminuì affatto. Massima espressione della volontà del re ostrogoto di porsi nel segno della continuità 'imperiale' è la scelta della sua residenza. Si insediò infatti sul luogo in cui aveva stabilito la residenza imperiale già Onorio a inizio V secolo, fondandovi accanto, intorno al 500, la Basilica Salvatoris, ora Sant’Apollinare Nuovo [fig. 25]. Il modello architettonico, senza considerare alcuni interventi successivi ancora medievali come il portico e il campanile, rimase sostanzialmente quello di San Giovanni Evangelista, con abside poligonale all'esterno e semicircolare all'interno, tre navate senza transetto e file di colonne, capitelli e pulvini di riuso provenienti dall’Asia minore. L’iconografia ariana non differisce in alcun modo da quella cattolica. Evidentemente questi non sentivano il bisogno di differenziarsi dai cattolici, perché le iconografie sono identiche. Tant’è che quando la chiesa venne riconsacrata ad Apollinare i mosaici precedenti vennero lasciati, cancellando 50 accessi. Infine, anche se il modello dei mausolei romani è indubbio, il mausoleo di Teodorico costituisce un ibrido, come ha scritto Carola Jäggi (2010), inquadrabile solo all’interno di una committenza particolarissima nel panorama europeo dell’epoca. Dopo la morte di Teodorico nel 526, la figlia Amalasunta diede l’illusione di proseguire pacificamente il rapporto con Costantinopoli. Tuttavia i fatti precipitarono e scoppiò la Guerra greco-gotica: benché essa terminò nel 553 con la definitiva vittoria di Giustiniano, dopo un assedio di due anni circa Ravenna ritornò sotto potere imperiale già nel 540. Il nuovo potere a Ravenna, e di conseguenza in gran parte della Penisola, si pose in continuità con la politica di magnificenza e committenza artistica dei precedenti regnanti. Tuttavia, le emergenze architettoniche superstiti del VI secolo, in coerenza con i resti archeologici, dichiarano un deciso spostamento verso la cultura d’immagine della capitale d’Oriente. I vescovi antecedenti e posteriori alla guerra (Ecclesio, 522-532 e Massimiano, 546- 554/556) sono avvertiti sempre più dalla popolazione come rappresentanti del potere anche civile in città. A loro occorre fare riferimento per alcune delle costruzioni e dei manufatti più importanti della prima metà del VI secolo a Ravenna. 11 ottobre San Vitale San Vitale è un cantiere che si colloca nella terza fase storica della Ravenna paleocristiana. ● Prima fase: 402 - 486 ● Seconda fase, Gota: dall'arrivo di Teodorico fino alla prima metà del V secolo. A questa fase appartengono il mausoleo e Sant'Apollinare Nuovo. ● Terza fase, riconquista Giustinianea: dal 540 in poi. A questa fase appartengono San Vitale e Sant'Apollinare in Classe. San Vitale fu consacrata nel 547 dal primo arcivescovo Massimiano, personaggio fondamentale della Chiesa e della politica ravennate. Con Massimiano, la diocesi di Ravenna si evolve ad arcidiocesi abbandonando l'influenza milanese a cui era sempre stata assoggettata. La basilica di San Vitale presenta, all'interno dell'emiciclo absidale, un mosaico raffigurante Ecclesio da cui si può dedurre che egli sia il committente della Chiesa. Tuttavia, egli morì prima dell'inizio della terza fase e della riconquista, attorno al 535. I pulvini della basilica presentano il monogramma del vescovo Vittore, successivo a Ecclesio, in carica dal 537. Ciò dimostra che la costruzione della chiesa non risale a quell'anno e quindi è impossibile fosse stato ordinato da Ecclesio. Tuttavia è possibile che i progetti fossero iniziati con Ecclesio ma che la costruzione fosse stata ritardata. Pur tenendo conto di restauri otto- e novecenteschi volti a 'ripulirla' dagli interventi successivi, è senza dubbio il più complesso e importante edificio del tempo, modello per antonomasia di molti 51 edifici di carattere regale e imperiale nel medioevo: primo fra tutti la Cappella Palatina di Aquisgrana voluta da Carlo Magno intorno all'800. La cronologia di San Vitale non è questione – come non lo è mai del resto – di puro nozionismo. La data di consacrazione è certa (19 aprile 547 ad opera del primo arcivescovo, Massimiano); il problema è stabilire se l’edificio sia stato avviato prima o dopo alcuni grandi edifici bizantini del terzo e quarto decennio del VI secolo a Costantinopoli (Santa Sofia, Santi Sergio e Bacco, San Polieucto), al fine di riflettere sui modelli a pianta centrale di cui poté usufruire l’architetto di San Vitale. San Vitale presenta un netto cambio giustinianeo di stile architettonico rispetto alle precedenti costruzioni ravennate. Le tecniche utilizzate in San Vitale erano tipiche di Costantinopoli: ● I mattoni non sono più di reimpiego, prelevati da altre fonti. Per San Vitale vengono utilizzati mattoni molto lunghi e sottili, di misura romana, prodotti appositamente per la basilica. Tra un mattone e l'altro, inoltre, vi è un profondo strato di malta e si può, dunque, affermare che la costruzione sia un conglomerato unico di calcestruzzo e mattoni. La conferma dello stile giustinianeo non coincide con le date della riconquista giustinianea, ma ad oggi si possono solamente realizzare ipotesi. Pianta: La pianta di San Vitale mette a frutto tutte le tecniche sperimentate nelle case romane. San Vitale presenta una planimetria ottagonale a doppio guscio, con corpo centrale dotato di cupola sottile in tubi fittili incastrati l'uno nell'altro (come nell'aula battesimale neoniana e come in San Genesio a Milano), che pertanto non necessitava di contrafforti. Otto imponenti pilastri a sezione trapezoidale uniti da diaframmi semi-circolari delimitano il deambulatorio su due livelli. Un profondo e complesso vano presbiteriale orientale interrompe la regolarità dell'impianto centralizzato. L'árdica trasversale addossata allo spigolo occidentale, non al lato in asse con il presbiterio, consente non solo un doppio accesso allo spazio interno (uno in asse con l'altare maggiore, l'altro in asse con il preesistente sacello del martire Vitale) ma anche il collegamento diretto delle torri scalari con il deambulatorio superiore. Il nartece (atrio) obliquo anzichéé in asse. In una vecchia pianta del 700 si trova il nartece rappresentato erroneamente in asse con il resto dell'edificio. La posizione obliqua del nartece permette il posizionamento di due ingressi con funzioni fondamentali: ● Il primo ingresso longitudinale conduce verso il presbiterio e l'abside. 52 ● Ingresso che conduce all'emiciclo di nord-est, dove ancora oggi si trovano i resti del martire Vitale, in una sorta di edicola. Tuttavia Vitale era un martire milanese che Ravenna fece proprio in modo da sottrarsi alla diocesi di Milano a cui era assoggettata. Oggigiorno, all'esterno, si possono osservare dei contrafforti aggiunti successivamente per sostenere le mura. Inoltre, originariamente la struttura non era voltata. I pastofòria o pastophòria o pastofori (dal greco παστοφόριον, 'abitazione dei sacerdoti nel tempio' o ‘camera per il tesoro’)sono due stanze o sacrestie in cui i diaconi riponevano, affinché vi fosse conservato il pane consacrato, i vasi sacri e altra suppellettile liturgica. Tipici del cristianesimo orientale, e almeno fino all'età carolingia anche di quello occidentale, i pastofori affiancavano l'abside. Questi due vani secondari erano anche detti rispettivamente "protesi" (πρόθεσις) e "diaconico" (διακονικόν). Presbiterio: Il presbiterio, oggigiorno, presenta ancora intatto il decoro a mosaico del VI secolo, così come la zoccolatura in marmo. Esso presenta un programma iconografico molto coerente e completo che parte dall'età ante legem, in due lunettoni: ● Il lunettone a destra presenta due scene di sacrificio molto simboliche: 1. Abele che porta un agnello all'altare. 2. Melchisedec che offre l'Eucaristia di fronte ad un altare. ● Il lunettone a sinistra raffigura Abramo con Saava, la moglie, che incontrano, a Mamre, tre angeli, i quali gli rivelano che i due riusciranno ad avere il figlio tanto agognato. Queste due rappresentazioni nei lunettoni del presbiterio alludono ad una delle preghiere che precedono il canone, la consacrazione dell'ostia. Per tale motivo è ritenuto estremamente opportuno presentare tali immagini in prossimità dell'altare, dove viene consacrata l'ostia e poi celebrata l'Eucaristia durante i riti sacri. Sopra ai lunettoni, ai lati delle trifore, si trovano le raffigurazioni dei quattro evangelisti con il libro aperto e il loro animale simbolico. Inoltre, sulla volta, esattamente al centro, è raffigurato un agnello sostenuto da quattro angeli atlanti, i quali sono in equilibrio sul globo terracqueo che, a sua volta, sorge da un cespo rigoglioso ed abitato. La rappresentazione nel suo insieme vuole simboleggiare l'intero popolo d Dio, mostrando anche quattro raggi che, dall'agnello, si propagano fino agli angoli della volta con lo scopo di rappresentare i quattro angoli del mondo. In aggiunta a ciò, alle basi dei raggi si trovano quattro pavoni. 55 Roma Per non cadere in una troppo facile incomprensione che rischia di ripresentarsi anche per i secoli successivi, ci sia consentita una precisazione: mentre a Ravenna, tra V e VI secolo, succedeva quello che abbiamo visto finora, non dobbiamo pensare che a Roma, a Costantinopoli o nel resto dell’ecumene cristiana nulla fosse progettato, costruito e realizzato. In queste unità didattiche non possiamo indagare totalmente l’orizzonte europeo ma possiamo solo dare conto delle emergenze più significative. A questo proposito, per quanto riguarda Roma e Costantinopoli, prenderemo in considerazione solo pochissime situazioni in rapporto alla ricchezza e alla complessità del loro tessuto artistico nel V e VI secolo. Benché il 410, anno dell’invasione visigota, non abbia rappresentato per Roma un cataclisma materiale ma più che altro uno smacco morale e all’orgoglio imperiale, è indubbio che gli edifici del V e VI secolo registrano un tasso di riutilizzo di materiale di riuso (spolia) assai più elevato che in passato. Tra gli edifici più importanti della prima metà del V secolo, quando, ricordiamolo, Roma perde il ruolo attivo di capitale politica, nonostante rimanesse la più grande città d’Europa, vanno annoverate Santa Sabina e Santa Maria Maggiore. Santa Sabina, sul colle Aventino, fu voluta e finanziata da Pietro d'Illiria sotto il pontificato di Celestino I (422-432). La struttura per dimensioni e proporzioni (53 metri di lunghezza, tre navate divise da file di 12 colonne) non è lontana dall'originaria Basilica ambrosiana, e invece si discosta dalle più importanti basiliche costantiniane: non ha transetto o annessi, né quadriportico. L'iscrizione dedicatoria in controfacciata lascia immaginare un ricco decoro musivo ed eventualmente pittorico, di cui restano poche tracce. Di capitale importanza è l'originario portale ligneo. All'interno dei numerosi riquadri (alcuni di restauro) furono intagliati episodi biblici, tra i quali l'Ascensione di Elia e una delle più antiche rappresentazioni della crocifissione di Cristo. 56 Porta lignea di Santa Sabina (V secolo), pannello con Elia che ascende al Cielo su di un carro di fuoco trainato da cavalli (schema iconografico del carro del Sole), tirato da un angelo. Sotto, il discepolo Eliseo afferra il lembo del mantello del maestro (a simboleggiare il passaggio di consegne). Santa_Maria_Maggiore______________ La basilica di Santa Maria Maggiore rappresenta un salto di qualità nella Roma paleocristiana, poiché si tratta della prima grande basilica commissionata direttamente da un papa, Sisto III (432-440). Anche da un punto di vista architettonico Santa Maria Maggiore rappresenta qualcosa di nuovo perché per la prima volta, come ha sostenuto con ottime ragioni Dale Kinney, si fa evidente lo sforzo di miscelare in architettonica armonia la componente classica pagana (il colonnato ionico architravato) e le novità cristiane delle basiliche di San Pietro, San Paolo e del Laterano (l'impianto a tre navate polarizzato sull'unica abside). Tale componente sembra essere la chiave, come già abbiamo visto, anche per leggere l’imponente apparato musivo dell’arco trionfale e della navata centrale, in un continuo richiamo a moduli figurativi classici intercalati da nuovi moduli narrativi e stilistici. Santa Maria Maggiore si può considerare una sorta di con- cattedrale, poiché era officiata dallo stesso clero del Laterano, di cui costituiva il punto di appoggio al centro della città. Costantinopoli: la Basilica di Santa Sofia 57 La città fondata da Costantino nel 324 parte dalla pre-esistenza della città ellenistica di Bizantium, sviluppata attorno all’acropoli sulla punta della penisola. Costantinopoli si struttura lungo le arterie stradali, secondo il modello delle città carovaniere, assai diverso da quello radiale delle città della Pars occidentalis. Costantinopoli, infatti, si sviluppa lungo le vie principali della città, a partire dal centro generatore della città, il Foro di Costantino. Tutte le arterie stradali fondamentali presentano vari luoghi di ritrovo, ossia i fori. La cinta muraria della città è quella di Teodosio II ed è ancora osservabile oggi. Augustaion L’Augustaion, posto ai piedi dell’acropoli, costituisce il centro generatore della città costantiniana. Attorno alla piazza si dispongono il Grande palazzo (cresciuto progressivamente fino al X secolo, per poi contrarsi), il Senato, la Santa Sofia e Sant’Irene (probabilmente in regime di cattedrale doppia), l’ippodromo (luogo ludico ma anche di confronto politico e civile). Dall’Augustaion parte l’arteria principale della città la Mese, con il monumentale Milion quale punto da cui calcolare le distanze. Santa Sofia e Sant'Irene Una disamina, seppur a volo d’uccello, del VI secolo europeo non può dirsi completa se non si focalizza l’attenzione almeno in sintesi sulla Santa Sofia di Costantinopoli [figg. 59, 60]. L’edificio che vediamo oggi, seppur alterato e restaurato, corrisponde sostanzialmente a quello dedicato nel 537 sotto l’egida dell’imperatore Giustiniano. La sua storia è però molto più complessa. Il primo edificio in assoluto fu commissionato forse da Costanzo II alla metà circa del IV secolo e consacrato nel 360, ma fu danneggiato da un incendio nel 404. Poiché gli scavi archeologici non hanno fatto chiarezza, la morfologia di tale costruzione continua ad essere fonte di dibattito, tant’è vero che non siamo ancora in grado di stabilire nemmeno se fosse in forme basilicali, cioè a tre o cinque navate sul modello delle basiliche volute da Costantino al principio del IV secolo, oppure impostate su una planimetria centrale come successivamente San Lorenzo a Milano. L’importanza dell’edificio era tale, comunque, che al tempo dell’imperatore Teodosio II, già nel 415, la ricostruzione (o un semplice ristrutturazione) fu ultimata. Santa Sofia Giustinianea e successiva: Sebbene di questa fase pare sussistere ancora qualcosa in alzato (mentre parte del frontone sono stati recuperati fra gli strati archeologici), i danni subiti durante la rivolta della Nika del 532 pose 60 La cupola era già a sesto ribassato (-6,24m), crollata nel 558 e rifatta da Isidoro il Giovane entro il 562. Successiva rimodulazione degli sguanci delle finestre per variare l'incidenza della luce. Crolli parziali nel 989 e nel 1354, con riparazioni rispettose del progetto del 562. Diametro: 31 m. Altezza in chiave: 56 m. La cupola in calcestruzzo del Pantheon di Roma misura 43.30 m di diametro e di altezza, ma poggia su di un anello in muratura, non su esili arconi impostati su 4 pilastri. Il sistema di illuminazione a lampadari bassi appesi alla cupola è analogo a quello originario (foto 2011), descritto nell'ekphrasis di Paolo Silenziario (562 circa). Quest’opera descrive anche l’arredo liturgico presbiteriale. Santa Sofia, eso-nartece, la cui volta reca mosaici aniconici giustinianei e strato dipinto a stencil dei fratelli Fossati (ticinesi, di formazione milanese), impegnati nel restauro della Basilica alla metà del XIX secolo. Il decoro a mosaico giustinianeo sembra aver escluso figure umane e/o scene narrative. eṡonartèce s. m. [comp. di eso-2 e nartece]. – In architettura, il vestibolo più esterno di alcune basiliche protocristiane, corrispondente al braccio anteriore dell’atrio a quadriportico. endonartèce s. m. [comp. di endo- e nartece]. – Termine usato talora in architettura per indicare il nartece quando è interno alla facciata anziché esterno. Ingresso principale (ovest). Passaggio dall'eso-nartece all'endo-nartece: Leone VI il Saggio (886-912) oppure Basilio I (867-886), che nell'870 ristabilisce ufficialmente il culto delle icone, in proskynesis di fronte alle icone di "Cristo Sapienza divina" in trono, della Vergine e di un arcangelo in clipeo. Si tratta di un manifesto del ristabilimento del culto delle icone a Costantinopoli. Sotto, varcando la soglia fra nartece e naòs (la navata centrale), l'Imperatore si prosternava in omaggio a Cristo. 61 Il semicatino absidale, con la Vergine con il Bambino e il serafino nell'imbotte: Vergine in trono con il Bambino, di altissima fattura. Se si trattasse dell'immagine descritta dall'omelia del patriarca Fozio nell'867, sarebbe un manufatto pre-iconoclastia; in alternativa sarebbe una realizzazione post- iconoclastia, con un ben diverso inquadramento culturale. Lunetta della porta sud del nartece. La Vergine con il Bambino fra Giustiniano con il modellino della chiesa e Costantino con il modellino della città. 989 o 1019, imperatore Basilio II (976- 1025). Tribuna meridionale, spazio riservato al Basileus e al suo ristretto seguito, ancora oggi ornato da svariati pannelli a mosaico. 62 – Costantino IX Monomaco e Zoe offrono a Cristo una borsa piena d'oro e l'elenco delle opere compiute a favore della Basilica (1028- 1042, teste rifatte fra 1042 e 1050). – Giovanni II Comneno (1118-1143) e la consorte Irene offrono a Cristo una borsa piena d'oro e l'elenco delle opere compiute a favore della Basilica. – Il Cristo della Deesis (la Vergine e Giovanni Battista lo fiancheggiano nell'atto della preghiera di intercessione per i fedeli). Età paleologa (inizio XIV secolo). L'uso di tessere minute consente un'ampia gamma tonale e un modellato pittorico. - 712 – Muore Ariperto II, ultimo re di stirpe bavara cattolica. - Rinascenza liutprandea, apogeo, caduta - 712-744 – Re Liutprando: tentativo di unificare la penisola attaccando Roma e Ravenna, sottomettendo i ducati di Spoleto e Benevento; si consolida il rapporto con l'episcopato cattolico e con il Papa (grazie al quale Liutprando rinuncia a Roma); mecenatismo religioso, ad es. San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia con traslazione delle reliquie di sant'Agostino, e mecenatismo civile, con il palatium di Corte Olona e Cittanova. - 744-749 e 756-757 – Re Ratchis, già duca del Friuli (committente del celebre altare di Cividale). - 749-756 – Re Astolfo (fratello di Ratchis): presa di Ravenna, fine dell'Esarcato, fondazione dell'abbazia di Pomposa (751). - 756-774 – Re Desiderio e Ansa (dal 759 il figlio Adelchi è associato al trono): fondazione di numerosi monasteri, il più importante San Salvatore / Santa Giulia a Brescia (753); tentativo di politica matrimoniale con i pipinidi (Ermengarda sposa di Carlo Magno nel 770, ripudiata nel 773); calata di Carlo Magno, caduta di Pavia, il Regnum è unito a quello dei Franchi, con Carlo Magno re. - Ducato di Spoleto (572-1198) - 572-579 – Relativa indipendenza, dieci gastaldati fra attuali Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio (il Gastaldo amministrava beni e territori di fisco regio per conto del re, in parallelo e spesso in contrasto con il potere ducale); - 729-744 – Re Liutprando impone fedeltà al Regnum e limita l'autonomia del duca. - 774-1198 – Con la caduta del Regnum, gli spoletini si sottomettono all'autorità dei Franchi e del Papa, mantenendo però a lungo un buon grado di autonomia e una propria identità (particolarmente in campo storico-artistico e architettonico), in dinamico equilibrio fra Papato, Franchi e casata imperiale, fino all'assorbimento nello Stato pontificio. - Ducato di Benevento, poi Principati di Benevento, Salerno, Capua (572-1053) - 572?-591 – Zottone, primo duca. - 591-641 – Il duca Arechi I, proveniente dal Friuli e nominato da Agilulfo, introduce la successione ereditaria, novità per i Longobardi. - 651-671 – Grimoaldo, duca dal 651 e re dal 662 al 671, usurpa il trono e respinge l'attacco dei Bizantini di Costante II. - 671-687 – Il duca Romualdo I, figlio di Grimoaldo, firma nel 680 la pace con i Bizantini. - 758-787 – Il duca Arechi II, principe dal 774, proveniente dal Friuli e sposato Adelperga figlia di re Desiderio, nel 774 fonda il Principato (mantenendo equidistanza da Carolingi, Bizantini, Papato) e sposta la corte a Salerno (nel palatium di cui rimangono vestigia). - 851 – Un capitolare imperiale riconosce i Principati di Benevento e Salerno, mentre Capua è de facto il terzo polo di potere del meridione. - 900 – Il conte Atenolfo I di Capua ottiene il titolo di Princeps. - 969 – La sede diocesana di Benevento è elevata ad arcidiocesi. - 1053 – Conquista dei Principati da parte dei Normanni, sotto l'egida del Papato. La lamina di Agilulfo È riferibile al re Agilulfo (590-616), che sposò Teodolinda (Bavara), e probabilmente ricevette questa lamina in dono dai duchi al momento dell’incoronazione. Si tratta di una lamina d’oro da fissare all’elmo in cuoio da battaglia. La caratteristica che rende questo manufatto così importante è che il modello d’immagine si rifà a quelli romani imperiali: il re si fa ritrarre seduta sulla “sella curulis”, che era la seduta dell’imperatore romano, il quale però non si farà mai ritrarre o vedere in trono, perché era una caratteristica delle divinità. L’imperatore, infatti, si fa ritrarre su questa “sella”, quella che verrà poi utilizzata da Agidulfo. Il re siede in trono e poggia i piedi su uno sgabello, compiendo il gesto della parola (non della benedizione). La sua spada è nel fodero, si fa quindi rappresentare come re saggio in grado di garantire la pace, che però si ottiene anche con la guerra. Si tratta di uno “Scramasax”, una sorta di pugnale tipico degli eserciti longobardi. Il re è poi affiancato dalla guardia è più esternamente da due vittorie alate, come evidente riferimento all’iconografia imperiale romana, che recano le cornucopie (abbondanza) ed un vessillo che reca la parola “victuria”. Le due vittorie vanno verso il re perché ci sono due personaggi per lato, che uscendo dalla città (si notano le torri delle porte raffigurate ai lati) si dirigono verso Agilulfo per rendergli omaggio, con dei doni (due corone molto ben strutturate, con al di sopra la croce). La croce significa che l’autorità non deriva solo dal favore dell’esercito, ma anche “divina”. Ancora agli inizi del VII secolo il modello d’immagine è quello imperiale romano. Necropoli di Trezzo sull’Adda Fu scoperta nella costruzione di una serie di palazzine negli anni ‘70, dove i muratori in principio non fecero trapelare la notizia, ma la notizia giunta alla soprintendenza fece bloccare gli scavi. Dalle tombe trovate, non considerando le parti rubate, ancora oggi perdute, sorsero due anelli sigillo incisi è uno con una pietra probabilmente di origine ellenistica. Queste tombe risalgono alla fine del VI e la prima metà del VII secolo, dato che poi diminuì l’usanza di seppellire gli averi preziosi insieme al defunto. Dalla metà del settimo poi gli averi verranno mostrati dai successori del clan. La stilizzazione dell’immagine non è distante da quella presente sulle monete bizantine, mostrando quindi che il modello è sempre quello imperiale. 5 tombe (4 adulti, un ragazzo) con corredi di alto livello attestanti il rango degli inumati, (Milano, Museo Archeologico). Corredo tipico del guerriero: Spatha (spada), Scramasax (pugnale da combattimento), scudo con umbone, lancia, frecce, cintura con guarnizioni reggiarmi. Oltre a croci in lamina dorata, da cucire sulle vesti, sono stati inoltre rinvenuti tre anelli d'oro: - (tomba 1) Anello con incastonata una corniola romana incisa con un granchio - (tomba 2) Anello in oro massiccio con castone monetiforme sigillare, recante (in controparte) il mezzo busto di "Rodchis V(ir) Il(lustris)", rappresentato nel gesto dell'adlocutio, con spalle e polsi riccamente ornati - (tomba 4) Anello simile al precedente, con mezzobusto di "Ansualdo". Quale fosse, alla corte di Agilulfo, il tramite per assumere così manifestamente l’immagine romana è forse spiegato dal matrimonio che egli, ariano, ebbe con la regina cattolica Teodolinda all’inizio del VII secolo. Monza divenne la città più importante di quei decenni e proprio alcuni oggetti d’oreficeria riferibili al re e alla regina provenienti dalla città lombarda fanno pensare che i contatti con la Roma papale, erede universale della koinè greco-classica, siano una chiave possibile per comprendere la contaminazione con motivi antichi e bizantini. Solo così forse, come ricorda John Mitchell, si spiega anche il ricorso quasi sistematico al restauro degli edifici di potere tardoantichi, alla costruzione di nuovi complessi residenziali, alla committenza di chiese come quella di San Giovanni Battista voluta dalla stessa Teodolinda a Monza. Si tratta di un fenomeno peraltro che non si esaurì con la sua morte ma che anzi continuò fino alla fine dell’indipendenza del regno longobardo, prima dell’arrivo dei Carolingi, passando per una fase che gli storici dell’arte hanno etichettato come Rinascenza Liutprandea in relazione al lungo regno di re Liutprando (712- 744), attivissimo in quelle iniziative culturali che furono base indispensabile per gli sviluppi successivi. La Croce votiva di Agilulfo, la cosiddetta Chioccia con i pulcini, l’Evangeliario detto di Teodolinda, sono solo alcuni degli esempi più significativi della cultura d’immagine delle élites longobarde del VII secolo. Ma attenzione: ciò non significa che tali manufatti siano stati prodotti da orafi longobardi, anzi è assai probabile che spettino ad orafi di cultura artistica romano-mediterranea, ben presto apprezzata anche dalla nuova compagine di potere. Prima di passare a una breve descrizione di questi oggetti è bene ricordare che il processo di acculturazione longobarda passò non solo attraverso l’epigrafia, con l’adozione quasi sistematica della capitale romana [fig. 10], ma anche attraverso l’elaborazione di un sistema giuridico: l’Editto di Rotari (643) fu forse il primo tentativo sistematico da parte di popoli non romani di forgiare un proprio diritto, una propria legge, mescolando aspetti e tradizioni orali del mondo nomado-tribale con la giurisdizione romana, che vantava secoli di codificazione. In questo clima crediamo ragionevole si possano leggere i manufatti monzesi. Non più leggibile nella forma originaria dopo la requisizione da parte delle truppe napoleoniche alla fine del Settecento, la Croce di Agilulfo è decorata con perle lavorate a capocchia (in francese, à cabochon) poste alle estremità e al centro dei bracci, a loro volta arricchiti da perle sui bordi e altre pietre ovali e rettangolari. Una serie di due catene con pendaglio a campanella è innestata sotto i bracci orizzontali e sotto il braccio verticale suggerendo un'originaria posizione sospesa sopra un altare. I contatti con l’oreficeria romano-mediterranea sono macroscopici, tanto da far supporre un’origine romana del pezzo, o almeno centro- meridionale. Molto famoso è anche il gruppo ligneo rivestito d’argento dorato della Chioccia con i sette pulcini [fig. 08] ritrovata nella tomba di Teodolinda. La carica naturalistica del pezzo ha da sempre fatto oscillare la cronologia dell’opera tra l’epoca giustinianea e l'epoca longobarda, anche se da alcuni anni si propende per la seconda, ponendola sullo stesso piano della cultura d’immagine che ha elaborato la coperta di Evangeliario [fig. 09] riferibile alla committenza della stessa regina. La doppia coperta in lamina aurea (ciascuna 34x26cm circa) evidenzia la confluenza di elementi romano-mediterranei (pietre, cammei incastonati, i caratteri dell’iscrizione, l’uso della lamina d’oro) con elementi 'germanici' già visti per i goti, i franchi e i visigoti, come la decorazione à cloisonné del bordo e delle “L” ornamentali che riempiono gli spazi ai lati dei bracci delle due croci inscritte. precede di molti anni il caso della Santa Sofia di Benevento, ma molto probabilmente si guardò a plani-volumetrie di edifici tardoantichi e paleocristiani, senza escludere l'eventualità di preesistenze (ma servirebbe uno scavo archeologico). Divenne sicuramente poi un modello anche altrove, dato che a Pavia, in quanto capitale del regno presentò dei contesti monumentali di massimo splendore. Santa Maria alle Pertiche, proposta restitutiva dell’interno (S. Lomartire), con tamburo coperto da orditura lignea, presbiterio poco profondo con recinzione a pergula, atrio biabsidato trasversale e atrio longitudinale (che però potrebbe essere posteriore al primo impianto). Per il deambulatorio è stato immaginata una copertura lignea, ma il caso di Santa Sofia a Benevento testimonia l’uso di volte già in prima fase. Santa Maria Teodote, Pavia Oggi seminario vescovile di Pavia, negli anni 60 durante dei lavori di rifacimento si ritrovarono le fondamenta della chiesa e di una torre. Anche di questo monastero parla Paolo Diacono, raccontando di un abuso regio ad una fanciulla (Teodota), raccontando poi che il monastero venne chiuso ed intitolato alla giovane (“di Teodote”). Il monasterium Teodotis è poi ricordato da un diploma di re Berengario I dell’899, quale fondazione del nobile Gregorio, forse un autoctono alla corte regia nel VII secolo. Dunque, al tempo di Paolo Diacono (720 circa-799) il monastero portava già l’appellativo Teodotae (di Teodota), probabilmente a ricordo di una badessa di spicco piuttosto che del presunto abuso. Il complesso, variamente rimaneggiato nei secoli, dalla seconda metà del XIX secolo è sede del Seminario vescovile di Pavia. Negli anni 1969-1970 lungo il perimetrale nord del chiostro furono intrapresi scavi archeologici coordinati da Adriano Peroni, che fecero riemergere l’impianto ad aula unica triabsidata (dreiapsiden Saalkirche si dice in tedesco con espressione sintetica) della chiesa altomedievale). Al contempo fu evidenziata una torre inglobata nell’ala nord del chiostro, già addossata al perimetrale sud del presbiterio, in una fase successiva ma ancora altomedievale. L’impianto ha una unica navata con tre absidi: si tratta quindi di una piccola chiesa destinata a poche monache (solitamente massimo venti), i tre absidi lasciano immaginare tre altari, non c’è più quindi la concezione paleocristiana dell’unico altare, e questo modello avrà grande fortuna in età carolingia soprattutto nell’area alpina. Durante lo scavo in prossimità del presbiterio sono riemerse due lastre lapidee con rilievo scolpito, inizialmente ritenute lastre tombali e poi riconosciute quali plutei di recinzione presbiteriale, verosimilmente per delimitare lateralmente l'accesso all'area degli altari. Il rilievo delle lastre è di alta qualità. In una lastra si rappresentano due pavoni (simbolo immortalità), che bevono da una coppa sopra alla quale si trova una croce, inoltre vi è una forte simmetria che è però interroga da un elemento dietro ad un pavone che probabilmente ha una valenza cosmica. Nell’altra lastra ci sono degli animali ibridi (Leone, aquila, mostro marino), simili a dei grifoni, di matrice quindi mostruosa, che si avvicinano ad un albero della vita (arbusto che fruttifica, da cui spuntano anche dei busti animali —> da tradizione indiana: “Albero Vak Vak”. L’albero ha il ruolo di tenere a bada i mostri, essendo in grado di proteggere dalle forze del male, rappresentando la chiesa ed il suo ruolo. Probabilmente queste lastre prevedevano una policromia, immaginando quindi un fondo pigmentato con forse altri dettagli. Monastero di San Salvatore / San Felice, Pavia Il monastero femminile regio di S. Salvatore / San Felice (ricordato da fonti antiche anche con le intitolazioni ai santi Pietro e Paolo e alla Vergine) fu fondato all'estremità nordovest della città murata da re Desiderio, dalla consorte Ansa e dal figlio Adelchi poco prima del 760, anno in cui risulta dipendente dal monastero territoriale di S. Salvatore a Brescia. Attualmente il complesso è una delle sedi dell'Università degli Studi di Pavia. Nel secolo IX il monastero è citato con l’appellativo Reginae, ossia "della Regina" (Maria regina? Ansa?), e alla fine del secolo risulta dissociato da quello di Brescia. Sia il monastero che la chiesa sono stati a lungo sottovalutati dagli studiosi, tanto che la cripta di quel tipo veniva immaginata come copiata da modelli tedeschi, si tratta invece dell’esatto contrario. Il fianco sud reca ancora alcune caratteristiche della chiesa di VII secolo, altomedievale. Variamente rimaneggiato nel corso dei secoli ma ancora caratterizzato dalle strette arcate cieche di prima fase (terzo quarto dell'VIII secolo) che inquadrano monofore a spalle dritte. Ha anche questa una sola navata ma con tre absidi, come in Santa Maria Teodote, la particolarità però è la presenza di una cripta, che ricalca l’impianto del presbiterio (6 absidi in totale = potenzialmente 6 altari). Si tratta di un tipo di cripta funzionale alla venerazione di reliquie seguendo un percorso, oggi abbiamo tre arche presenti nei tre absidi, che sono frutto di una ricostruzione novecentesca. Nella parete ovest sono scavate alcune nicchie, probabilmente utili al posizionamento di lucerne per fornire un po' di illuminazione, altrimenti assente per via del completo interramento del vano. Questa cripta porta quindi un modello diverso rispetto a quella semi anulare di San Pietro, questo modello sembra proprio originarsi qui per poi diffondersi anche a nord delle alpi, in epoca carolingia, soprattutto in area svizzera e in articolare retica. Pavia dimostra quindi di essere un centro fondamentale di sviluppo di nuove soluzioni architettoniche, accompagnate dalla sontuosità del decoro che però è andato largamente perduto. La cripta "a corridoio occidentale" di San Salvatore / San Felice, e quelle sempre pavesi dei monasteri di Santa Maria della Cacce e di San Giovanni Domnarum, ma anche quella di San Salvatore a Sirmione, precedono dunque di alcuni decenni sviluppi analoghi di area retica e oltralpina, e sfruttando lo status di capitale del Regnum si configurano quali modelli di una nuova concezione dello spazio liturgico, polarizzato sulla venerazione multipla di reliquie in spazi che offrono soluzioni alternative all'impianto semianulare di San Pietro in Vaticano. cosiddetta Croce di Desiderio, databile alla seconda metà dell’VIII secolo, negli anni in cui l’invasione dei Franchi carolingi determinò la fine del regno indipendente della Langobardia Maior. Duecentododici gemme e pietre di varia natura decorano questa croce di ampie dimensioni (127 × 100 cm), di tipo ástile, cioè pensata per essere issata dietro, sopra o nei pressi di un altare, ed eventualmente portata in processione in occasione di feste liturgiche solenni. La particolare configurazione della Croce di Desiderio trova rarissimi confronti di epoca medievale, rendendo il pezzo un capolavoro di grande valore perché testimonia la raggiunta capacità del tempo di re Desiderio di riprodurre oltre che riutilizzare cammei romani; al punto da rendere alquanto difficoltoso, pur conoscendo le numerose superfetazioni e i restauri non sempre ottimali, riconoscere quelli antichi da quelli tardo-longobardi. Altro reimpiego d'eccezione è il tondo vitreo con ritratto familiare tardo- romano in foglia d'oro inserita nello spessore del vetro in fusione. Da un lato si trova Cristo in croce al centro (probabilmente restaurato) e dall’altro sul retro una Vergine con bambino. Alcune delle gemme sono indatabili, infatti potrebbero essere relative a un periodo che parte dall’ellenismo fino all’alto medioevo. Il contatto quindi con l’arte del passato è fortissimo in questo periodo. Cividale del Friuli Le emergenze conservate a Cividale del Friuli sembrano mettere in crisi e confermare al contempo quanto emerge dall’analisi della situazione bresciana. I due monumenti chiave sono il gruppo dell’altare del duca Ratchis, da analizzare con il fonte battesimale di Callisto conservati presso il Museo Cristiano, e il Tempietto di Santa Maria in Valle sorto sul sito del 'palazzo' del gastaldo (la cosiddetta Gastaldaga) costruito sulla scarpata fluviale del Natisone. Ratchis fu a capo del ducato di Forum Iulii (Cividale) dal 737 al 744. Poiché l’epigrafe sulla lastra posteriore dell'altare ne attesta la realizzazione durante il suo mandato, disponiamo di un prezioso 'paletto' cronologico. Analogamente, disponiamo di un riferimento cronologico preciso anche per il fonte battesimale del patriarca Callisto, in carica fra 737 e 757. La datazione del Tempietto e del suo decoro scultoreo e dipinto è un poco più incerta, ma dovrebbe collocarsi al tempo di Astolfo e Giseltrude, fra 749 e 756, oppure di Desiderio e Ansa, quindi tra 756 e 774. In ogni caso, tutte e tre le emergenze sono comprese nell'arco di pochi decenni. Tale premessa cronologica è fondamentale per capire il problema storico-artistico ancora oggi aperto: come è possibile spiegare la differenza così marcata che sussiste tra la scelta d’immagine effettuata per l’altare di Ratchis e il fonte battesimale di Callisto in rapporto a quella del Tempietto? L’estrema sintesi e linearità, unite a un accentuato decorativismo, che contraddistinguono le opere del Museo Cristiano, e che si ritrovano per esempio nella cosiddetta Pace del Duca Orso, nei personaggi sotto la croce della coperta eburnea, sembrano tutto sommato coerenti con la tradizione d’immagine longobarda se paragonata alla lamina d’Agilulfo o alla mole di reperti lapidei che presentano motivi a intreccio, a matasse o geometrico/fitomorfi. La lontananza dal dato naturalistico è evidente, anche se, a ben vedere, lo sforzo di raffigurare narrazioni nell'altare di Ratchis è altrettanto manifesta, e si ricordi quanto detto nell’UD03 in rapporto ai capitelli di San Pedro de la Nave nella Spagna visigota. Ora però è tempo di analizzare l'iconografia dell'altare di Ratchis. La cassa è composta dalla connessione di quattro lastre di pietra d'Istria scolpite a bassorilievo, già dipinte e con alveoli riempiti di paste vitree. Si tratta di uno dei pochi casi di scultura di committenza longobarda interessata alla narrazione evangelica. Secondo l'ambigua iscrizione della lastra posteriore [fig. 20], Ratchis, continuando l'attività di riedificazione dei templa Dei iniziata dal padre, duca Pemmone, avrebbe dotato di pendola il tegurium (ciborio) di San Giovanni. Verosimile è che altare e ciborio facessero parte del medesimo arredo; ma ci si riferisce all'aula battesimale o alla Basilica funeraria di San Giovanni in Valle? Resta il dubbio. La lastra frontale mostra Cristo giovane con rotolo (docente) e stola (sacerdote), sotto la Dextera Dei, seduto fra serafini in mandorla portata da quattro angeli: si tratta di una rappresentazione 'sintetica', che implica al contempo: 1. la Maiestas Domini, ossia la manifestazione della maestà di Cristo risorto, in una dimensione cosmica (le rosette) a-temporale; 2. l'Ascensione, poiché gli angeli che reggono la ghiera potrebbero essere intenti a issarla verso l'alto; 3. la Seconda venuta o parusìa di Cristo, sia perché gli stessi angeli potrebbero essere in moto discendente (l'ambiguità sembra consapevole), sia perché gli Atti degli apostoli (1, 11) presentano Ascensione e Ritorno come due facce di una medaglia ("Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo"); 4. a dimensione prettamente liturgica di Cristo-prete celebrante (ha la stola ed è inserito in un altare!). Le lastre laterali dell'altare mostrano la Visitazione e l'Adorazione dei Magi, evidenti richiami al concetto di Incarnazione. Nella lastra posteriore si apre la fenestella confessionis, attraverso la quale era possibile stabilire un contatto visivo e/o fisico con le reliquie, o anche solo con il loro involucro, il tutto nella dimensione cosmica allusa dalla rota sottostante, dalle rosette e dalle due croci a bracci 'patenti'. alto al riparo dalle esondazioni, ma condannando così la chiesa plebana, ora in un'insula fluviale, al progressivo abbandono causa frequenti alluvioni. All’inizio del XIX secolo la chiesa plebana viene abbandonata (ormai rovinata dalle esondazioni) e viene demolita insieme all’aula battesimale. Ancora nel 1910 presso il tempietto si incanala una delle vene che alimenta una fontana (nella quale si vieta di lavare i panni). Prima l’edificio era in cima alla scarpata mentre ora c’è un terrazzamento con scala. Esiste un vano inferiore corto che fa da sostruzione per il vano superiore. Nel vano inferiore c’era una vena d’acqua che formava una sorta di fontana dalla quale sgorgava l’acqua dalle finestrelle piccole in basso (e ai lati), creando una sorta di cascata che arrivava fino al Clitunno. 1543: lo statuto del castello di Pissignano mette in guardia dal non inquinare le acque della fonte di San Salvatore (sappiamo che in quell’anno l’intitolazione era a San Salvatore). Nel 1627 dopo che vari architetti avevano studiato il tempietto e lo avevano giudicato come un tempio pagano convertito in chiesa successivamente, Luca Olstenio descrive il tempietto (“antichissimo”), la chiesa plebana e l’aula battesimale (come altrettanto antichi). Facciata: stilobate e fronte in antis. Rispetto ai templi antichi c’era anomali enorme: non c’è un accesso frontale (c’erano scale laterali). Il decoro scultoreo prevede quattro colonne davanti (di cui due strigilate e due con finitura a pelte/squame). Sono elementi di riuso. Secondo alcuni studiosi a metà tempio sul laterale c’è una cesura netta (metà tempietto è modesta mentre l’altra più ricca). Ci sono alcuni punti in cui il muro è stato risistemato in malo modo. Questo tempietto era visto da chi viaggiava sulla via Flaminia. È stato realizzato un timpano posteriore che gioca sul motivo della croce e tralci vegetali. I tralci vegetali sono una cifra stilistica a Spoleto fino al tardoromanico. Nel timpano anteriore che gioca sugli stessi motivi. Sotto c’è iscrizione “sanctvs devs angelorvm qvi fecit resvrrctionem”. Gli altri due timpani recavano altre due iscrizioni “sanctvs devs prophetarvm qvi fecit redemptionem” e “sanctvs devs apostolorvm qvi fecit ascensionem”. Dalle iscrizioni capiamo che la prima intitolazione era al Santus Deus, il quale viene visto nelle tre azioni chiave (redenzione, resurrezione e ascensione). Nel frammento del frontone laterale vediamo che l’epigrafe è meno bella e precisa. Il linguaggio formale del tempietto è lo stesso della chiesa di San Salvatore a Spoleto. Ci pensa che il tempietto sia del secolo VIII pensa che il committente fosse un duca (importante però tenere a mente l’autorità religiosa). Se invece il tempietto è di VI secolo allora è plausibile ancora di più una committenza religiosa. La datazione paleocristiana è favorita dalle decorazioni interne. Tempietto sul Clitunno, cella superiore, voltata a botte. La testata absidale è inquadrata da un timpano (già) su 4 colonne (asportate), che inquadra un ulteriore timpano-tabernacolo, il tutto integrato con un decoro dipinto di forte naturalismo, in gran parte svanito. Semiconca absidale, Cristo della Parola, entro una cornice lapidea di altissima qualità scultorea. Tempietto sul Clitunno, capitello corinzio e fusto a pelte del prospetto ovest. Ai lati del tabernacolo si collocano i mezzobusti di Pietro (a sn) e Paolo (a dx). Tutto il programma iconografico si rifà nei temi, ma soprattutto nella forma, ad altri programmi, che si sviluppano tra VI e VIII secolo. Tra questi vi sono la chiesa di Santa Sofia a Benevento e San Vincenzo al Volturno. Quale che sia la datazione di questi edifici, è indubbio che la lastra dell’altare, un tempo forse recinzione presbiteriale, di San Pietro in Valle a Ferentillo, non lontano da Spoleto, crea la medesima distonia che si avverte a Cividale del Friuli confrontando l’altare di Ratchis con le figure in stucco del Tempietto sul Natisone. La lastra, infatti, databile con certezza tra 739 e 742, è caratterizzata da uno stile connotato da un alto tasso di grafismo decorativo, che accentua il tenore geometrizzante dei pochi elementi figurativi, tanto fitomorfi quanto antropomorfi. In particolare, si individuano al centro della lastra due sagome umane di cui una ritrae il committente, il duca Ilderico II, e l’altra il lapicida che lo ha realizzato, Magister Ursus, con tanto di scalpello a fianco del sintagma “Ur / sus / ma / ges / ter / fecit”. 19 ottobre U5 - L’età Carolingia In questo periodo, ancora più che in quello longobardo, si fondano le basi per il medioevo. I Carolingi infatti pensano e progettano in grande, con delle concezioni di base in tutto il regno, tutto questo sarà una sorta di base per l’età ottomana e poi romanica. I Franchi dopo aver sconfitto la “minaccia” islamica diventano i primi interlocutori della chiesa e del papato. Nonostante il regno longobardo avesse dei legami con il papato, quest’ultimo si allea con i franchi, creando i presupposti per la sconfitta del regno longobardo da parte dei Carolingi. In questo periodo inizia la “renovatio imperii”, che giunge all’apice nel Natale dell’800 con l’incoronazione di Carlo Magno da parte del Papa come imperatore del nuovo impero in formazione —> questo è importante perché fino a quel momento era a Costantinopoli la sede dell’imperatore dei romani. Di fatto a Occidente si ricostituiva un impero ad Occidente svincolato da Bisanzio. Questo concetto della “rinascenza”, nasce già all’interno delle corti e dei luoghi della cultura del tempo, non si tratta di un concetto attribuito poi in seguito dalla storiografia. L’impero si rifà di fatto ai primi imperatori cristiani, primo di tutti è Costantino. La rinascenza carolingia affonda le sue origini profondamente nel contatto con l’Italia peninsulare, proprio nel momento in cui questi entrano in contatto con le città italiane, che nonostante i periodi di crisi rimanevano città monumentali, in contrasto con i villaggi del nord del mediterraneo. Qui Carlo e i suoi trovano un modello di corte diverso dal loro: i Longobardi abitavano in corti stanziali, mentre quelli Carolinge erano itineranti, dal 774 però giunti a contatto con queste realtà anche le corti Carolinge diventano stanziali. I carolingi sono anche responsabili di riforme che poi influirono molto sulla storia dell’arte: - La riforma dei capitoli cattedrali (comunità di canonici che affianca il vescovo - “alti prelati”) sulle basi degli usi e costumi romani, disciplinando gli usi liturgici —> qui nasce il concetto di coro medievale, inteso come spazio liturgico, che ospita i canonici o i monaci al centro della chiesa. In questo periodo questo spazio si trova davanti all’altare, occupando una parte della navata, spostandosi poi dietro, nell’abside, dopo la controriforma. - Uniformano il più possibile gli usi liturgici cattedrali ma anche quelli monastici, avendo un fortissimo peso anche sulle opere artistiche. - Riforma dei monasteri in senso benedettino avviata da Benedetto da Nian, con il concilio di Inden nell’816-817, obbligando i monaci ad assumere la regola benedettina. - Introduzione sistema economico-sociale vassallatico-beneficiario: basando la strutturazione politica di rapporti personali di fiducia con cui una figura diventa “vassallo” di un’altra figura più potente di lui offendendo in cambio la gestione di un territorio/patrimonio, promettendo fedeltà assoluta. - Consapevole politica culturale elaborata negli ambienti di corte, sono la regia di un intellettuale di prima grandezza, Arcuino da York, ed altri personaggi —> Uno dei frutti sarà una nuova edizione della Bibbia, che tende ad uniformare il testo, rimuovendo le varie corruzioni che si erano moltiplicate di copia in copia. Nell’XI secolo poi verrà riprovata quest’opera con le “Bibbie Atlantiche”, e poi nel 1500 durante la controriforma. La necessità di questa grande produzione di nuovi manoscritti per la diffusione dei nuovi libri della Bibbia avrà un forte impatto anche sulla produzione visuale data la grande diffusione di insature all’interno di questi. - Tra il 768 e l’885 ci fu un’enorme opera di fondazione di monasteri (417), diventando questo il luogo privilegiato di formazione culturale di chi se la poteva permettere, che poi diventava la classe dirigente. Con ciò si capisce l’importanza del monastero, che non è l’unico luogo di istruzione, ma è forse il più diffuso e importante. Prima di avviare l’analisi di alcune delle emergenze più significative del periodo che va grosso modo dal regno di Carlo Magno a quello di Carlo detto il Grosso (cioè dagli ultimi decenni dell’VIII secolo sino alla fine del IX), è bene fare nostre alcune delle osservazioni che negli ultimi anni sono state avanzate dalla storiografia più aggiornata. In particolare, ci riferiamo alle conseguenze che ha avuto sulla nostra lettura dell’arte carolingia una lucida rilettura dei secoli VIII e IX da parte di storici, storici dell’arte e archeologi; rilettura che ha trovato una sintesi nella grande esposizione Il Futuro dei Longobardi tenutasi nel 2000 a Brescia. Senza entrare nello specifico dei temi trattati, basti qui ricordare uno dei punti chiave per affrontare con nuova consapevolezza le dinamiche storico-artistiche carolinge: non è più opportuno ritenere che la cultura carolingia sia fiorita come d’incanto attorno agli intellettuali che frequentavano la scuola palatina di Carlo Magno, tra la fine del VIII e il principio del IX sec. Ciò che è emerso in modo sorprendente è che solo dopo il contatto diretto, anche militare, tra i Franchi e i Longobardi, nella seconda metà del VIII sec., e tramite rapporti sempre più serrati con Roma e con la corte di Bisanzio, la cultura carolingia cominciò a plasmarsi nei modi e nei tempi che fecero sì che ancora oggi si possa parlare apertamente di “Rinascenza carolingia”. Prima di affrontare alcuni manufatti e contesti monumentali esemplari, vale la pena fissare alcuni punti della vicenda storico-politico-culturale dei Carolingi. - 751 Pipino il Breve diviene re dei Franchi, carica riconosciuta nel 754 dall'unzione di papa Stefano II a Saint-Denis. - 742-766 Il vescovo Chrodegang di Metz promuove la riforma dei capitoli cattedrali sulla base delle consuetudini di Roma (more romano). - 771-814 Regno di Carlo Magno, che nel 774 annette la Langobardia maior, nell'800 è incoronato Imperatore Augusto da papa Leone III (solo con Ottone I si parlerà di Sacro Romano Impero, ma la sostanza è la stessa). - 843 Trattato di Verdun, suddivisione dell'Impero in tre aree: "Francia occidentale" (Carlo il Calvo), Lotaringia (Lotario I, corona imperiale), "Francia orientale" (Ludovico il Germanico). - 887 Deposizione di Carlo il Grosso, inizia un lungo periodo di instabilità. - Organizzazione del sistema vassallatico-beneficiario in Contee, Vescovadi (riforma del vescovo Chrodegang di Metz 742-766) e Monasteri (riforma di Benedetto di Aniane, concilio di Inden-Aquisgrana 816/817). Economia fondata sul sistema curtense (le curtis quali centri di gestione economico-sociale-militare del territorio agricolo). - Politica culturale ad ampio raggio sotto la regia di Alcuino di York (schola palatina, nuova recensione della Bibbia, ecc.). - 768-885 si fondano 417 monasteri (232 al tempo di Carlo Magno). Il monastero funge da centro di formazione culturale della società carolingia. Una delle prime conseguenze sul regno franco del contatto con i re longobardi fu certamente la diminuzione del tasso di mobilità della corte. Così come Pavia divenne la capitale del Regnum longobardo, anche Carlo Magno stabilì come sede principale del suo regno la località termale, oggi in Germania al confine con Belgio e Olanda, nota come Aquisgranum / Aquisgrana / Aachen / Aix-la-Chapelle. Del ruolo di capitale imperiale rimane uno degli edifici più importanti della cultura occidentale europea medievale, ossia la basilica a pianta centrale voluta da Carlo Magno negli ultimissimi anni dell'VIII secolo e progettata da Odo di Metz (fonte Eginardo, Vita Karoli), quale fulcro di un articolato palazzo che contava una vasta aula regia absidata (oggi sede del municipio, con torre a quattro livelli ancora carolingia), un corpo di ingresso monumentale (Torhalle), un corridoio di collegamento su due livelli (forse raddoppiato più a est con una struttura lignea a delimitare una corte rettangolare), retrostanti ambienti residenziali e funzionali, il rinnovato impianto termale in cui Carlo amava nuotare, il giardino con animali esotici e rari. Nell'area di ingresso al complesso dovevano collocarsi ma la statua equestre bronzea di Teodorico, fatta arrivare da Ravenna (per un parallelismo con il Marco Aurelio - creduto Costantino presso il Laterano), e l'orsa tardoantica (creduta una lupa, in omaggio a quella ora Capitolina, ma a sua volta già presso il Laterano). Il palazzo di Aquisgrana Questo palazzo nel medioevo veniva definito dalla corte stessa “Laterano”, mentre il Laterano vero di Roma veniva definito “Patriarchio”. Questa struttura però non ha nulla a che fare con quella romana, da qui il concetto di “copia” medievale si dimostra diverso da quello odierno, quello che utilizzavano era il concetto di “sineddoche”, ovvero una parte per il tutto. La statuetta a cavallo che vediamo oggi di Carlo probabilmente era una copia di una statua equestre monumentale probabilmente proveniente da Ravenna e modificata con le fattezze di Carlo, riferendosi alla statua di Marco Aurelio che era presente all’interno del Laterano. Carlo trascorre il primo inverno del suo regno (768- 769) in villa quae dicitur Aquis, presso un impianto termale di età romana. Dopo diversi anni trascorsi prevalentemente ad Heristal, dal 794 Aquisgrana diviene residenza principale del re e poi imperatore, quasi esclusiva dall’807 all’814, anche per via delle acque termali che alleviavano la gotta di cui soffriva. Ad Aquisgrana egli trasferisce il mitico tesoro degli Avari conquistato nel 795, ma soprattutto il baricentro del governo esecutivo del regno. Nel 936 nell’ottagono di Aquisgrana fu incoronato Ottone I, e poi numerosi altri sovrani, fino al 1531. Il complesso palatino è composto da un articolato edificio di culto a pianta centrale con Westwerk, atrio triportico, due 'basilichette' (quella nord detta Laterano e adibita ad ospitare i sinodi, quella sud forse ad uso dei 12 canonici) (1 e 3), una grande aula absidata con funzione pubblica e/o cerimoniale e dal XV secolo adibita a Municipio (2), un corridoio a due livelli di collegamento (4) intersecato da una Torhalle a due livelli (30x15) con funzione di accesso monumentale all'area, che ospitava vari ambienti residenziali e di servizio. palatina, fianco sud, con l'ottagono a doppio guscio carolingio dotato di cupola di restauro; a destra, il presbiterio tardogotico. Il reliquiario di Carlo Magno Aquisgrana, Reliquiario «di Carlo Magno» (Karlsschrein), realizzato per l’incoronazione di Federico II Hohenstaufen nel 1215 e contenente le spoglie di Carlo Magno, già riesumate nel 1165 per volere di Federico Barabarossa. Misure: 204x57x94 cm Argento dorato, gemme, smalti, su anima in legno di quercia. Esposta nel presbiterio. A lato, Carlo Magno fra papa Leone III e l’arcivescovo Turpin di Reims. Karlsschrein, dettaglio di una delle placche del tetto. Il rilievo fotografa l’assetto della chiesa intorno al 1215: corpo centrale a doppio livello, tiburio con copertura conica, presbiterio corto a due livelli, corridoio di collegamento (di sbieco tra il presbiterio e la Vergine), Westwerk con pontile che lo collega al tiburio. Mancano le ‘basilichette’, forse già demolite oppure consapevolmente espunte. Prima del 795 Carlo Magno ottenne da papa Adriano il permesso di prelevare spolia da Ravenna e Roma, come le colonne messe in opera nei triforia. «… ad cuius structuram cum columnas et marmora aliunde habere non posset, Roma atque Ravenna devehenda curavit» (Eginardo, Vita Karoli) Nel 1794 le colonne originarie, molte delle quali in porfido, furono estratte e trasportate a Parigi (6 si trovano oggi al Louvre). Quasi tutte quelle attualmente in opera, compresi capitelli e basi, furono appositamente realizzate per il restauro 1844-1847. Gerusalemme Celeste, mosaico della cupola 1879 -1881 messo in opera da Antonio Salviati su progetto del pittore belga Bethun d'Yvalle (vincitore del concorso appositamente indetto). Il mosaico carolingio era stato distrutto nel 1719, ma è verosimile che anch'esso mostrasse i 24 vegliardi di Ap 4 -5, più i 4 Viventi, attorno a Cristo in trono. La corte celeste resa visibile dal mosaico aveva così la funzione di 'coadiuvare' nel canto di lode i 12 canonici addetti alla cappella. L'epigrafe in lettere d'oro dettata da Alcuino di York (alla base del cornicione perimetrale che suddivide i due livelli) paragona l'edificio alla Gerusalemme celeste, cui alludono anche corrispondenze numeriche: l'interno dell'ottagono misura 48 piedi (32,24 cm l'uno); larghezza totale e altezza misurano entrambe 96 piedi; 48+96=144, come i cubiti di ciascun lato della Gerusalemme celeste descritta in Ap 21,17. Il trono Trono con struttura lignea e rivestimento in marmo carrarese (già variamente ornato). Pregresse analisi di campioni lignei avrebbero indicato una data vicina al 936 (anno dell’incoronazione di Ottone I). Più recenti analisi al radiocarbonio (pubblicate nel 2000) hanno invece sortito la forcella cronologica 750-824, dunque con maggiore possibilità attorno all’anno 800. Per contro, l’attestata funzione ‘parrocchiale’ sin dall’origine del piano superiore, con fonte battesimale nel Westwerk, si scontra con la presenza in quel punto del trono. Chi ha ragione? Ambone donato da Enrico II (fra 1002 e 1014), con avori paleocristiani, bacini vitrei orientali, pietre dure, gemme, su lamina d'oro applicata alla struttura lignea. Una protezione ad antine sagomate pieghevoli (1782) copre l’ambone per la maggior parte del tempo, come del resto avveniva per la maggior parte degli arredi liturgici preziosi. L’attuale collocazione, nella parte sud-est dell’ottagono, è probabilmente dovuta al rifacimento del presbiterio, completato nel 1414, mentre in origine l’ambone doveva trovarsi all’imbocco del vano dell’altare. Le bande inferiore e superiore dell’ambone recavano la seguente iscrizione dedicatoria in versi metrica: [HOC] OPVS AMBONIS AVRO [GEMMISQVE MICANTIS REX PI]VS HEINRICVS CELAE[STIS HONORIS ANHELVS DAPSILIS EX PROPRIO TIBI DAT SANCTISSIMA VIRGO QVO PRE]CE SVMMA TVA SIBI [MERCES FIAT VSIA] (Questo ambone d’oro e di gemme rilucenti, il re pio Enrico, anelante onori celesti e sontuosità, per mezzo dei propri averi dona a te Vergine santissima; con la tua preghiera la grazia più elevata lo raggiunga) Ambone di Enrico II, lamine sbalzate con gli Evangelisti. Presbiterio gotico (terminato nel 1414), che conserva l'antependium donato da Enrico II all’inizio del sec. XI; dietro, nella teca di cristallo, il reliquiario «di Carlo Magno». Cosiddetta Pala d'oro, antependium in lamine auree sbalzate (ora su montatura lignea di restauro. Cristo in mandorla, i simboli degli evangelisti nei tondi, scene della Passione nei riquadri. Bottega di Fulda (?), 1002-1014. La porta bronzea detta «del Lupo» della Cappella palatina (3,95x2,75m), a due battenti in unica fusione (le altre tre porte bronzee misurano 2.40x0,70m). Fusioni bronzee di tali dimensioni non si erano più viste dalla tarda Antichità, verosimilmente dai tempi della Santa Sofia giustinianea. L'orsa bronzea, di età romana, voleva essere un richiamo alla Lupa capitolina, nel medioevo presso il Laterano; la pigna bronzea, già al centro della fontana del sagrato porticato antistante la cappella, è un omaggio alla pigna del quadriportico di San Pietro in Vaticano; la statuetta bronzea di Carlo Magno (Louvre) è probabilmente una ‘miniatura’ della statua equestre (con Teodorico?) fatta arrivare da Ravenna e posizionata verosimilmente presso l’ingresso del complesso palatino, quale richiamo al Marco Aurelio (creduto Costantino) presso il Laterano. Sarcofago detto di Proserpina (inizio III sec.), voluto da Carlo Magno per la propria inumazione, già nella 'fossa’ a sud dell'altare della Vergine, poi spostato per lasciare posto all'ambone di Enrico II. quale si accedeva finalmente alla navata e agli spazi della chiesa monastica intorno alla quale si sviluppava il chiostro. Di tutte queste strutture resta il tracciato in scavo e in alzato solo la Türhalle. Questa è l’esempio lampante di “renovatio”, che prende spunto dal concetto di arco di trionfo, più precisamente forse da quello di Costantino. Si tratta però di una rielaborazione dell’antico: - Vi è un piano superiore agibile, al quale si accede tramite due torri scalari - Si ripropone il linguaggio scultoreo e architettonico (bauplastik) che riprende quello antico ma lo rielabora: le semicolonne hanno un capitello pseudo-tuscanico realizzato ad hoc, quindi ad imitazione, su alcune semicolonne in cotto. Le cornici hanno un tema nuovo. Le paraste sono scanalate ed in cotto, con sopra dei capitelli che riprendono lo stile ionico ma rielaborano il corpo del capitello. Si ha poi un architrave spaccato e riadattato a formare dei timpani. Il paramento poi riprende l’opus dictatum antico, con però delle mattonelle esagonali e non quadrate, con una bicromia. Il colore rosso è dato dal pigmento che denota la pietra arenaria locale, mentre per le parti bianche ci si avvalse di materiale di reimpiego. Ai lati della struttura compaiono due torri scalari per accedere al secondo piano. Tale soluzione, mutuata dall’architettura romana (si vedano le porte urbiche giunte sino a noi, per esempio a Torino o a Susa) diventerà un elemento strutturale caratteristico di tutta l’architettura chiesastica successiva a nord e ovest delle Alpi per risolvere il problema degli accessi ai piani superiori in facciata. Le forme muteranno ma il principio architettonico rimarrà, come vedremo, il medesimo. L’interno Probabilmente fu pensata come un’aula pubblica-cerimoniale, ma la funzione non è chiara. Dentro però troviamo un decoro dipinto che restituisce un finto loggiato di ordine ionico piuttosto filologico, perché molto coerente con quelli antichi. Questo decoro “profano”, sembra non aver mai ospitato decorazioni religiose, e per questo molto prezioso. Abbiamo parlato di semicolonne, paraste, capitelli corinzi e ionici: la volontà di rifarsi all’architettura classica è dunque evidente. Tale ricerca risulta tuttavia ancor più sorprendente se osserviamo i dipinti murali delle pareti del secondo livello, laddove sullo zoccolo a finte incrostazioni marmoree si imposta un loggiato con colonne, capitelli ionici e una spessa trabeazione, così da evocare gli interni delle abitazioni tardo-romane. Se una storiografia consolidata collocava la costruzione della Torhalle alla fine del secolo VIII, gli studi più aggiornati la riposizionano negli anni 876-882, in concomitanza con una profonda ristrutturazione del complesso monastico. Si ridimensiona così la portata 'dirompente' degli elementi caratterizzanti la Torhalle, che tuttavia rimane un manifesto della cosiddetta Rinascenza carolingia. L’abbazia di Lorsch vantava anche uno scriptorium e un laboratorio di oreficeria di altissima qualità, almeno sulla scorta di quanto possiamo ancora oggi osservare. Ricordiamo le miniature dell’Evangeliario aureo e la sua coperta eburnea. Il problema della miniatura carolingia è assai complesso perché la grandezza dei confini dell’impero di Carlo Magno determinò un contatto articolatissimo tra tradizioni d’immagine molto diverse tra loro, per cui è del tutto normale individuare motivi insulari miscelati con motivi visigoti, bizantini, romani. L’Evangeliario di Lorsch è tuttavia coerente con la renovatio praticata in forme monumentali nella cappella palatina, mostrando uno spazio verosimile plasmato da elementi architettonici di evidente riflesso antico. La coperta eburnea parla una lingua simile, nei panneggi ricercati e nell’utilizzo di accorgimenti desunti direttamente dalla produzione tardoantica o bizantina, evocando ad esempio il Dittico Barberini conservato al Louvre, su cui è rappresentato l’imperatore Giustiniano a cavallo. Miniatura proveniente da Lorsch: qui vediamo già diversi tratti caratteristici della miniatura carolingia, inoltre grazie a queste opere possiamo immaginare la policromia che avevano tutte le opere del passato. C’è una forte ricorrenza delle architetture all’interno di queste rappresentazioni. Coperta dell’evangeliario: c’è un fortissimo richiamo all’antico, le due vittorie sono diventate due angeli che recano cristo al posto della classica corona di alloro. Si hanno poi delle scene narrative che negli avori carolingi sono molto ricorrenti. Oltre alla qualità altissima dell’ intaglio possiamo notare della grandissima leggibilità delle scene, anche complesse, che sono di piccolissime dimensione. La prima abbazia legata alla dinastia carolingia fu però Saint-Denis, nell'attuale omonimo sobborgo nord di Parigi, fondata al tempo dell’abate Fuldrado e divenuta il luogo di culto più importante della dinastia. In Saint-Denis nel 754 fu incoronato re, per mano di papa Stefano II, Pipino III, il padre di Carlo Magno. Della chiesa carolingia difficoltosi scavi archeologici hanno restituito pochi resti; certa è la presenza di un grande transetto absidato, di tre navate divise da pilastri e di un'articolata struttura di accesso occidentale, cui gli storici dell’architettura medievale hanno dato il nome di Westwerk. Il Westwerk Si tratta di un vano, uno spazio, che precede la navata e che si articola su più livelli (2-3), che quindi filtra l’esterno e la chiesa vera e propria (possiamo definirlo così solo in epoca carolingia). La funzione di questa struttura era molteplice: si è soliti dire che ospitasse la corte imperiale, ma ciò è in parte vero per quello di Aquisgrana, e forse in altri casi la corte fu ospitata in queste strutture, ma la vera funzione è quella di moltiplicare gli spazi in elevato senza sottrarne in orizzontale. Il piano terra infatti di solito è caratterizzato da pilastri che sollevano le struttura vera e propria, lasciando uno spazio di passaggio, in cui potevano essere posti dei reliquiari per valorizzarli, il più delle volte circondandoli con dei cancelli, oppure come nel caso di Centula vi era la tomba del fondatore. Ad oggi l’unico piano terra visitabile nella sua struttura originale è quello di Corvai in Sassonia. I livelli superiori (nel caso di Corvai diviso in altri due piani) ospitavano altari, intitolati prevalentemente a Cristo, il Salvatore e agli Angeli, che venivano usati particolarmente in occasioni di festività importanti come la Pasqua. In questi luoghi vi era una sorta di messa in scena della passione di cristo, inserendo l’ostia in un sepolcro e poi il giorno di Pasqua elevata. Almeno nel caso di Corvai abbiamo la testimonianza della presenza di cantori nel livello alto, facendo sì che il canto si diffondesse poi nel resto della chiesa. ! Il westwerk è lo spazio centrale tra le due torri di facciata, non le comprende. L’ambiente era dipinto, con le immagini che si integravano con delle statue in stucco. Nel caso di Centula, di cui restano moltissime fonti ma nessun resto archeologico del Westwerk, possiamo comprendere la rivoluzione della funzione delle chiese rispetto a quella paleocristiana. Per i costruttori di area imperiale germanica e per quelli del regno di Francia, le declinazioni del Westwerk in epoca romanica e gotica (in tal caso l'espressione tedesca vira in Westbau – corpo occidentale) saranno una cifra architettonica molto significativa. Al fine di comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando dobbiamo fare riferimento a tre abbazie fondate alcuni decenni dopo: Saint-Riquier a Centula; San Gallo; Corvey. Saint-Riquier a Centula Dopo la rifondazione ad opera dell'abate Angilberto fra 789 e 799, nel monastero di Centula (attuale Saint- Riquier in Piccardia), vivevano circa 300 monaci, un centinaio di scolares e un numero imprecisato di oblati e laici di servizio. Si trattava di uno dei più grandi monasteri d’Europa. Tanto fu ambiziosa la sua costruzione quanto fu martoriata la sua storia, perché già nell’881 il cenobio fu devastato dai Normanni, e la demolizione di XVIII secolo non avrebbe risparmiato nulla. A testimoniare il complesso rimane una stampa del 1612, che mostra la chiesa con doppio transetto, tiburi sugli incroci e torri scalari. La stampa mostra almeno una parte del sistema claustrale, con una piccola chiesa di san Benedetto e una cappella dedicata alla Vergine con annessa torre circolare (sul modello della Sancta Maria rotunda, alias Pantheon di Roma). Fonti scritte del secolo IX ci informano sui numerosissimi altari (del santo titolare, del Salvatore, della Croce – per i laici, di San Pietro, di San Dionigi, di Santo Stefano, San Lorenzo, San Giovanni Battista, San Martino, ecc.) e sulle complesse pratiche liturgiche. Chiesa abbaziale di Saint-Riquier a Centula, due restituzioni della pianta, con localizzazione degli altari e dei molti focus liturgici corredati di manufatti scultorei/dipinti.
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