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APPUNTI COMPLETI CORSO ESTETICA DAMS, comprensivi di lezioni, slide e libri, Appunti di Estetica

Gli appunti comprendono sbobinature delle lezioni, riassunto manuale "Introduzione all'estetica" di Vattimo, riassunto libro Martinengo "Prospettive sull'ermeneutica dell'immagine", riassunto volume di Vattimo, "Poesia e ontologia".

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 04/04/2024

Maia_Mazzucco
Maia_Mazzucco 🇮🇹

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Scarica APPUNTI COMPLETI CORSO ESTETICA DAMS, comprensivi di lezioni, slide e libri e più Appunti in PDF di Estetica solo su Docsity! ESAME ESTETICA Anno scolastico 2022-2023 Obiettivo del corso: sguardo di partenza sugli elementi di base dell’estetica Come lavora l’estetica contemporanea in Italia e a livello internazionale? Qual è la relazione tra pratiche artiche visive e l’estetica? - Cos’è l’estetica? Qual è la sua critica e autocritica? - Conoscenza del dibattito estetico moderno e contemporaneo - Applicazione di tali conoscenze a questioni rilevanti nell’evoluzione dell’esperienza artistica Programma corso: Per l’esame: appunti del corso + 3 libri: - introduzione all'estetica di gianni vattimo 2010 - G. Vattimo, Poesia e ontologia, in Scritti filosofici e politici - Prospettive sull'ermeneutica dell'immagine, Quodlibet, Macerata, 2021 !!! Per leggere il libro “La riproducibilità tecnica dell’immagine” (del vecchio programma) ricordarsi che i punti chiave sono: - La svolta rappresentata dalla riproducibilità tecnica - La nozione di aura - “La riproducibilità tecnica dell’opera dell’arte modifica il rapporto delle masse con l’arte” —------------------------ CHE COS’E’ L’ESTETICA Che cos’è l'estetica? è una disciplina con tanti padri, più fondatori danno un significato differente al termine e sono collocati cronologicamente distanti tra loro. Molti padri sono concentrati nel 17 secolo, come Baumgarten Alexander che è l'inventore del termine estetica in quanto disciplina filosofica, e Kant. Ci sono altri padri anche nell'epoca moderna che parte con Cartesio, o Gian Battista Vico (fine 600 inizio 700). Ma quando nasce l’estetica? Possiamo sostenere che il pensiero greco classico (5° e 4° sec) non avesse iniziato una riflessione filosofica sull’arte? NO, Indubbiamente già si rifletteva sull’arte, sul tema del bello, sull’immagine (ad esempio nel mito della caverna di Platone ci sono riflessioni di natura estetica). Aristotele è tramandato come il teorico della catarsi grazie alla tragedia. La sua teoria è indubbiamente una teoria filosofica sull’arte, quindi si tratta di una riflessione ante litteram di natura estetica. Temporalmente l’estetica può essere osservata in più prospettive. Sembra essere nata a metà 700 con Baumgarten o fine 700 con Kant; e pochi decenni dopo viene dichiarata la sua fine con Hegel . Oppure vista con altri occhi, sappiamo che nasce molto prima, almeno con Platone, e va molto più avanti di Hegel. Problema radicale d’identità. A seconda di chi si identifica come capostipite dell’estetica cambia il significato dell’estetica. Platone → riflessione sulle differenze tra reale e copia, riflessione sulla verità, avvicinamento o allontanamento dalla verità. Qual’è il ruolo degli artisti nella polis? Come educare alla politica ed all’educazione delle nuove generazioni. Aristotele → la catarsi avviene con la tragedia quindi il suo pensiero già si antepone a quello di Platone. Baumgarten → con lui possiamo smettere di usare le virgolette, lui identifica l’estetica come una teoria della conoscenza sensibile. L'estetica non ha a che fare solo con il bello artistico ma è più in generale una teoria della conoscenza sensibile. Etimologia. La parola "estetica" viene dal greco Aisthesis, che significa esperienza sensibile. un significato quindi legato ai 5 sensi. Baumgarten nel 1735 mette mano a una teoria estetica seguendo il binario del significato della parola greca (quindi conoscenza che deriva dall’udito, dal tatto ecc) parla quindi di una conoscenza sensibile, non analisi tecnica. Kant usa in due sensi diversi l’estetica. Usa il termine estetica tanto da dedicare una parte della “ Critica della ragion pura” proprio all’estetica trascendentale, che è qualcosa di molto simile alla teoria della conoscenza sensibile di Baumgarten. Poi alcuni anni dopo scrive un’altra critica “La critica del giudizio” dove pur di non usare più strettamente il termine estetica parla della teoria del bello, una teoria del giudizio di gusto, dove però la riflessione filosofica dell’arte non prende il nome di estetica. Kierkegaard nella sua teoria dell’esistenza identifica diversi “modi di stare al mondo” (stadio religioso dell’esistenza, stadio morale, etico, ma c’è anche uno stadio estetico dell’esistenza). Quindi anche da lui ricaveremo un significato dell’estetica, e vedremo che ha a che fare innanzitutto con un tratto di immediatezza dell'esperienza estetica. Nietzsche è un autore che fa da crinale tra cultura moderna e contemporanea, lui provava a fare il prof di filologia classica. Quindi se ne intendeva di Platone e Aristotele. E in effetti nel suo caso c’è una nobilitazione dell’estetico come forma dell’esistenza che la rende sopportabile. Nietzsche scrive in aforismi, a volte contorti. Lui dice che solo come fenomeno estetico l'esistenza è sopportabile. Heidegger che identifica nell’estetica una disciplina ontologica, una disciplina che dice un tratto dell’essere, l’estetica dice un tratto in cui il mondo è fatto, la realtà. Estetica e regolarità. Si ha l’idea che anche l’esperienza sia composta di regolarità; come la scienza da norme su cose che esistono ripetutamente e hanno una regolarità e quindi delle norme in cui questi eventi accadono. Anche l’esperienza umana è fatta di regolarità. Quindi l’estetica può dare regolarità come fa la scienza per gli eventi. Il tema della regolarità quindi è fondamentale e va considerato per costruire l’esperienza. Che cos’è l’estetica? L’estetica è una disciplina critica e autocritica, perchè non è scontato che ci sia bisogno di questa disciplina. E’ una materia che cerca di rispondere ad alcuni quesiti: che cos’è il bello? qual è il ruolo dell’arte nella storia della cultura umana? qual è il significato delle rivoluzioni artistiche? Due linee principali, una parte dice che l’estetica è una teoria che parla della relazione tra il soggetto e il mondo attraverso un’esperienza sensibile (come sostiene Baumgarten). L’altra grande linea è quella che fa dell’estetica una filosofia dell’arte, una riflessione sulle pratiche artistiche (come emerge nella filosofia di Platone, che è il primo a pensare al problema del bello come prodotto artistico). Dopo Platone, durante la riflessione filosofica medievale e poi moderna, si parla di altre teorie del bello, che non includono solo il bello artistico come intendeva Platone ma che si riferiscono anche ad altre forme di bello. Dentro l’insieme delle teorie del bello ci sono: - teorie del bello artistico (quindi in questo caso l’estetica accompagna la storia dell’arte, ) - teorie del bello naturale (come ad esempio un panorama, o un animale..) - teorie del bello “accidentale” (ad esempio vecchie chiese costruite secoli fa per la religione che oggi hanno un apprezzamento anche artistico) In queste due linee principali dell’estetica c’è ovviamente un tratto di intersezione. Spesso l’apprezzamento del bello passa attraverso l'esperienza sensibile, ma ci sono anche esperienze in cui ciò non accade (esempio se apprezziamo un brano musicale senza sentirlo eseguito ma leggendo solo il pentagramma). Prima definizione importante da ricordare che somiglia a quella di Baumgarten, ma la aggiorna un po’. “L’estetica è una riflessione teorica sulle esperienze che hanno nel sentire il loro dispositivo privilegiato”. Platone e la politica. Spesso Platone parla di questioni di natura politica, come faceva anche Aristotele. Nel dialogo “Repubblica”, composto da diversi libri, si occupa di molti temi, più di tutti della questione della città e dell’educazione della cittadinanza. Secondo Platone il tema dell'educazione è così importante perché è il modo in cui il cittadino ateniese entra davvero nella vita pubblica della polis. Per l’Atene del tempo il cittadino maschio libero per entrare nella vita pubblica deve essere educato, non si nasce “imparati” sul fronte della vita pubblica, ma si impara a stare nello spazio pubblico della democrazia. Ci sono 3 concetti importanti intorno al tema dell’educazione: Finzione, Verità, Utilità. In queste riflessioni emerge la prima questione con una qualche valenza artistica (riflessione estetica). Il protagonista del dialogo è il suo maestro Socrate, che sta discutendo con Glaucone e il fratello riguardo le discipline da insegnare per far crescere il cittadino. Secondo Socrate (nel dialogo) le discipline sarebbero due: una fisica (la ginnastica) e una musicale (arte, poetica, musica…). Ma per quella musicale bisognerebbe insegnare sia la verità (quindi la letteratura) sia la finzione (“non ti rendi conto che ai bambini noi raccontiamo favole?” e queste non sono altro che ingannevoli finzioni che però racchiudono in sé una parte di vero? ricorriamo con i bimbi alla favola prima ancora che alla ginnastica. Quindi è importante scegliere bene il poeta che stiamo proponendo agli studenti”.) Secondo Socrate (Platone) l’educazione è importante, e per questo motivo bisogna controllarla, devono esserci favole autorizzate e favole censurate. Inoltre l’educazione dice che non è privata, è un’educazione dei cittadini. Curiosità. Platone concepisce la sua riflessione come un riscatto post mortem della figura del suo maestro Socrate, il quale fu condannato a morte con l’accusa di corruzione delle giovani generazioni. Secondo il governo egli non forniva la corretta educazione da cittadini, in particolare ne faceva dei "rivoluzionari", voci critiche nei confronti della politica costituita. Nell’Atene classica la carriera politica avveniva tramite l'insegnamento di tecniche per ottenere il consenso facile delle masse, facendo discorsi sofistici. In questo contesto anche la filosofia si trovò coinvolta nei discorsi della sofistica, e sotto questo profilo socrate fu accusato perché criticava la sofistica. Platone vuole difendere Socrate e lo fa nei suoi dialoghi parlando dell’importanza dell’educazione dei giovani. Secondo Platone la finzione poetica andrebbe il più possibile ricalcata sulla verità, solo in questa condizione l’arte poetica può servire all’educazione. Le arti devono puntare all’apparenza ma alla verità. “Fedro” e la teoria della reminiscenza. In questo dialogo il personaggio più importante dopo Socrate è Fedro. Qui Platone parla di come l’anima conosca le cose, la sua teoria della conoscenza come “reminiscenza”. Sostiene che, l’anima dentro un corpo, conosce le cose riconoscendole, ricordandole. Ogni esperienza che il corpo e l’anima fa è un esperienza legata a esperienze prenatali, fatte quando l’anima viveva nel mondo delle idee, nell'iperuranio. Quando un’anima viene incorporata in un corpo avviene una cancellazione parziale delle cose conosciute nel mondo dell’iperuranio; ed è per questo che il bambino sembra privo di conoscenze. Le scoperte che il bimbo fa, non sono che il ricordo, la riscoperta, di ciò che già conosceva. Tutto questo è una reminiscenza, anamnesi, di ciò che la nostra anima vide. La condanna platonica. Il mondo sensibile è una copia del mondo delle idee. Ciò che abbiamo visto prima di nascere era la vera natura delle cose, poi, quando nasciamo facciamo esperienze che ricordano solo le idee. Esempio del letto: Platone dice che per un letto possiamo parlarne sotto 3 punti di vista differenti, quello che ha in mente il dio quando produce il mondo, quello che intende il falegname quando lo costruisce, e quello in cui un poeta lo rappresenta attraverso la pittura. Il pittore lo possiamo considerare artefice? No. E quindi lui chi sarebbe? E’ un imitatore della cosa di cui gli altri sono artefici. Egli produce il terzo generato a partire dalla natura, e allontanandosi da essa in quanto l’imitatore. Secondo Platone ci sono quindi 3 livelli di realtà: la realtà del letto nel mondo delle idee, la realtà del letto dove dormo, e la realtà del letto rappresentata da un artista. Il terzo generato quindi si allontanerebbe di una misura in più del letto del falegname. L’arte quindi è imitazione di un'imitazione. !!! Non è che nel mondo delle idee ci sia l’oggetto letto, c’è l'essenza, c'è l'idea. L’idea viene poi creata nel mondo sensibile grazie alla materia (nel caso del cavallo è la natura a dare vita all’idea del cavallo). Socrate, nel dialogo della Repubblica, dice che l’artista non rappresenta “tutta” la cosa, né dipinge solo una parte; per cui l’arte pittorica non imita “tale e quale”, ma imita il fenomeno così come gli appare. Stessa cosa per la poesia, leggiamo il punto di vista dell’artista, vediamo le cose dalla sua prospettiva. L’artista mi sta portando dentro il suo punto di vista, è un'esperienza mediata dall’opera di un individuo che non sono io, quindi riduco l'esperienza. L’arte viene condannata da Platone come imitazione dell’imitazione. E dov'è il problema? Il problema è il travestimento del falso che si spaccia per vero, il problema è che l'artista proponendomi il suo punto di vista finge di costruire la realtà mentre sta costruendo una prospettiva parziale su di essa. Dialogo dal titolo “Sofista”. Secondo Platone l’imitazione può essere basata sull'ignoranza o sulla conoscenza. Alcuni imitatori imitano conoscendo ciò che stanno imitando, altri lo fanno senza conoscere ma credendo di conoscere. E qui torniamo al tema dei sofisti!!! Che un giorno dicono una cosa spacciandosi per saperla, ma il giorno dopo ad un altro gruppo di persone dicono un’altra cosa. Questo era il sofista, colui che faceva discorsi fingendo di sapere. Esiste un imitatore che sta a 3 lunghezze dalla verità e non conosce la verità, ma c'è anche che conosce. E come? Attraverso il perseguimento e l'attaccamento al mondo degli ideali, che per Platone prende la forma dell'eros (non il rapporto carnale, ma il rapporto di amore per la verità). Qui sta la soluzione di Platone, la risposta al dilemma artistico e civile. Secondo lui ci sono esperienze in grado di risvegliare il ricordo cancellato, che prendono il nome di EROS: una congiunzione e identificazione con il mondo delle idee. Recuperando un legame con il mondo delle idee sviluppo una relazione “erotica” con l’ideale, e in quel caso sto imitando direttamente l’ideale; sto saltando il passaggio intermedio. Questa è la differenza tra limitatore che conosce e imitatore che non conosce. Aspetta! Ma perchè Platone scrivendo miti non ricade sotto la sua stessa condanna? Perché con l'eros ha un accesso diretto al mondo delle idee. (Platone sceglie Eros come figura olimpica perché presiede nella mediazione tra Dei e uomini). Esiste una contro teoria che dice l’opposto della condanna platonica all’arte. Ci sono pittori che sono animati da una conoscenza erotica, fusione con l'ideale, e quindi saltano il passaggio della realtà sensibile. ARISTOTELE 384 a.C - 322 a.C Il tratto più importante della riflessione aristotelica sull’arte è la sua interpretazione della tragedia e dell’effetto che la tragedia produce sugli spettatori, la filosofia aristotelica prende il nome di catarsi. Anche per Aristotele la teoria dell’arte si basa sulla nozione di mimesis, ovvero sulla nozione di imitazione. Quando facciamo arte stiamo imitando qualche forma della realtà. Nel caso di Aristotele c’è la consapevolezza che l’imitazione non è soltanto un carattere che determina il fare artistico rispetto ad altre attività umane, ma caratterizza anche altre forme del fare umano, tra le quali proprio l’educazione. Aristotele afferma che l’imitazione è un tratto che caratterizza così ampiamente la natura umana che lo si trova anche laddove l’individuo sia chiamato ad imparare qualcosa. La formazione dell’individuo è sempre anche imitazione. Trattato “La poetica”. Aristotele ci dice che l’uomo è portato ad imitare, e imitando prova piacere. Alla base di queste due caratteristiche naturali dell’individuo si produce l’arte. Tutti gli individui traggono un grande piacere nell’imparare, perchè imparare si basa sull’imitazione e poiché l'imitazione è piacevole, anche l’imparare sarà piacevole. Naturalmente è piacevole a livelli diversi, i filosofi sono quelli che ne traggono maggior piacere. Noi godiamo a vedere immagini perché attraverso la contemplazione apprendiamo la natura delle cose. Qualunque rappresentazione abbiamo davanti agli occhi, per una ragione o per un’altra, la contemplazione procurerà piacere. La tragedia. Aristotele dice che: “tragedia è imitazione di un’azione seria e compiuta, avente una sua grandezza, in un linguaggio condito da ornamenti, separatamente per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, che attraverso la pietà e la paura porta ad effetto la catarsi di passioni come queste”. Noi vedendo rappresentati sul palco determinati eventi, determinate azioni, è come se entrassimo in risonanza con quello che sta accadendo sulla scena e ne ricaviamo piacere. Poiché noi vediamo rappresentate le passioni e le vediamo rappresentate ad una distanza (quella tra lo spettatore e il palco), vi è un'interruzione che produce in noi alcuni effetti. Questa frattura è ciò che muta di segno le emozioni, dal doloroso al piacevole. Com’è possibile? Ci sono due spiegazioni: - c’è una forma di sublimazione, cioè che noi vediamo sulla scena qualcosa che non potremmo fare. E’ come se sfogassimo qualcosa che non intendiamo compiere per mano nostra. - vedere rappresentati sulla scena episodi che noi non vorremmo mai vivere in prima persona produce in noi una forma di conoscenza gratuita, cioè una forma di conoscenza che non passa attraverso un'esperienza diretta, ma passa attraverso la mediazione della rappresentazione. L’idea è che la tragedia mi faccia conoscere “gratis”. Il conforto deriva dal fatto che usciamo da teatro avendo imparato qualcosa. Catarsi = purificazione, attraverso la visione di una tragedia l’animo si purifica, vede purificarsi le passioni in esso contenute. BAUMGARTEN (1714-1762) La sua scrittura è più complessa, siamo nella prima metà del 700. Due opere fondamentali: 1) Tesi di laurea del 1735, scritta quando aveva solo 21 anni. Interessante perché per la prima volta parla di estetica. 2) Opera “L’estetica”, del 1750, aveva 36 anni. E’ un’opera sistematica, in cui discute dei diversi significati della parola estetica. La progetta in 3 volumi, ma riuscirà a pubblicare solo i primi 2 perché morirà giovane. La prima opera “Meditazioni filosofiche su alcuni aspetti del poema” ebbe una certa fortuna, come anche il termine “estetica” da lui coniato, che diede poi anche il titolo alla seconda opera. Tuttavia oltre al primo iniziale successo si dovrà aspettare il primo 900 italiano, con Benedetto Croce, per recuperare il pensiero di Baumgarten e capirne la sua importanza. Nel libretto del 1735 lavora sul tema della teoria della conoscenza e dice che esistono due canali fondamentali attraverso i quali conosciamo (inventa i seguenti termini): - “Gnoseologia”, la conoscenza intellettuale, per concetti; - “Estetica”, la conoscenza sensibile, o Gnoseologia inferiore. Inizia inoltre ad interrogarsi sullo statuto della poesia; dice che non è espressione della fantasia ma è espressione di una conoscenza confusa, legata al corpo, non espressa dalla ragione ma da un’altra facoltà (che lui definisce “un analogo della ragione”). In queste riflessioni Baumgarten si muove dentro l’orizzonte filosofico prevalente al tempo, ovvero quello di Leibniz e Wolff, che pensavano esistesse una sorta di conoscenza storica e una filosofica. [( Questo binomio tra una scienza umanistica e una più scientifica è ancora attuale, è un pensiero nato nella cultura tedesca in cui Baumgarten si forma )]. “Critica della ragion pura” 1781 L'opera è divisa in: 1) Dottrina trascendentale degli elementi, che comprende due parti: - Estetica (=sensibilità) - Logica, a sua volta suddivisa in Analitica (=intelletto) e Dialettica (=ragione); 2) Dottrina trascendentale del metodo. “Critica del giudizio” 1790 → Analisi di Kant sul tema del bello. L'opera è divisa in 2 parti: 1) “Critica del giudizio di gusto” 2) “Critica del giudizio teleologico". Kant parla del modo di fare esperienza. La rivoluzione kantiana (nella “Critica della ragion pura”) Nella “Critica della ragion pura” Kant afferma di voler sottoporre la tradizione filosofica a una sorta di equivalente di ciò che era stata in cosmologia la rivoluzione copernicana (al centro del sistema dei pianeti c'è il sole e la terra è un pianeta che ruota attorno, anziché il contrario). Questa scoperta scientifica influì notevolmente sul pensiero del tempo, in diverse materie. In cosa consiste la rivoluzione Kantiana? Prende il nome di trascendentalismo, e consiste nell'idea che il modo in cui facciamo l'esperienza del mondo non è unicamente dettato dagli oggetti ma deriva anche dal modo in cui il soggetto che fa esperienza è fatto. Il modo in cui il soggetto è fatto determina il modo in cui è fatta l'esperienza. Il soggetto è fatto di alcune facoltà, dispositivi, che rendono possibile un certo tipo di esperienza e impossibili altri tipi di esperienza. Queste caratteristiche del soggetto, che sono categorie concettuali e forme della sensibilità, vengono dette trascendentali. I trascendentali di Kant sono facoltà e dispositivi radicati nel fondo dell'animo umano, sono il modo in cui il soggetto funziona nell'esperienza. Il modo in cui l’oggetto “può entrare” in relazione con il soggetto è stabilito dai trascendentali. Parlando dei trascendentali Kant nomina il concetto di “casualità” (la categoria di causa ed effetto). Dice che il fatto che noi facciamo esperienza di successione di eventi, che mettiamo o non in correlazione di causa ed effetto, non dipende tanto dall'oggetto ma dal soggetto. Il soggetto è fatto in modo tale di andare alla ricerca nella natura di relazioni causali. Ad esempio l'esperienza dell'erba secca in giardino, il soggetto va alla ricerca delle cause. Le categorie della sensibilità sono il modo in cui il soggetto legge la realtà. Vediamo che rispetto alla prima opera del 64, in cui secondo l'empirismo inglese e tedesco il soggetto era essenzialmente passivo, qui Kant compie una rivoluzione, l'esperienza diventa attiva. Fenomeno e Noumeno (nella “Critica della ragion pura”) Qui Kant definisce lo spazio e il tempo come forme dell’esperienza che sono a priori. Dice che qualsiasi cosa che noi esperiamo deve sempre essere collocata almeno in una delle due condizioni, nello spazio o nel tempo. altrimenti non ne possiamo fare esperienza. tant’è vero che c’è una parte importante della critica della ragion pura che è dedicata a tutto ciò che non è fenomeno, definito da kant “Noumeno”. “Fenomeno” è ciò che si mostra, ciò che incontriamo attraverso lo spazio ed il tempo, ed è ciò che è trattato parlando di estetica trascendentale “noumeno” è invece ciò che non passa attraverso il tempo e lo spazio è per esempio l'esperienza di Dio, perché non rientra nelle forme che sono analizzate dall'estetica trascendentale. L’ESPERIENZA DEL BELLO (nella “Critica della ragion pura” e nella “Critica del giudizio”) Premessa. L’estetica secondo Kant è quel determinato aspetto della conoscenza che riguarda la sensibilità. Quando facciamo esperienza di qualcosa attraversiamo due fasi: 1) L’esperienza sensibile: ovvero usiamo i nostri sensi per fare esperienza di qualcosa. Questo primo momento è quello che Kant chiama ESTETICA. 2) Formuliamo dei concetti, collochiamo l’esperienza che abbiamo fatto dentro “i trascendentali”. L’ESTETICA SECONDO KANT E’ TRASCENDENTALE, in quanto è una teoria dell'esperienza sensibile che è governata dai trascendentali. Ovvero: l’esperienza è destinata ad entrare in quelle caselle, quei concetti che appartengono al soggetto, che noi abbiamo definito come “i trascendentali”. C'è quindi un momento iniziale che è quello dell'esperienza sensibile e un momento successivo concettuale (che Kant chiama “logica e trascendentale") in cui entrano in gioco i concetti. Questi due momenti fanno la conoscenza secondo Kant. L'incontro tra questi due momenti (sensibile e logico) ci parla anche dell'esperienza del bello. La teoria dell'esperienza Kantiana è spesso sintetizzata nel motto “conoscere significa giudicare”, ovvero comporre giudizi. Conoscere una foglia di un albero significa essere in grado di comporre un enunciato tipo “questa foglia è verde”. Per Kant si dice vero ciò che è universalmente e necessariamente giudicabile. Sarebbe quindi vero ciò che viene definito (giudizio) allo stesso modo da tutti gli umani. Secondo Kant ci sono due modi di costruire la verità, l'universalità. I giudizi determinati (critica della ragion pura) Il modo standard con il quale noi conosciamo è la composizione di giudizi che Kant definisce come “giudizi determinanti”. Ovvero giudizi nei quali noi prendiamo elementi individuali dell'esperienza e li acquistiamo dentro gli universali, ovvero dentro concetti. Prendere l'esperienza e metterla dentro concetti (esempio “quest'acqua è potabile”, metto l'esperienza dell'acqua nel concetto di potabile). Giudizio riflettente (critica del giudizio). Ma c'è anche un'altra modalità di giudizio che configura un'altra forma di conoscenza, rappresentata dal giudizio riflettente. In questo caso non prendiamo un'esperienza e la mettiamo sotto concetti predeterminati ma prendiamo un'esperienza e cerchiamo di costruire concetti appositi non predeterminati. Questa azione di “andare alla ricerca di concetti non predeterminati” viene definita da Kant come “riflessione”. Anche l'esperienza del bello, come le altre esperienze sensibili, è destinata ad essere portata sotto giudizi. Tuttavia, a differenza delle altre esperienze, ci fa fare giudizi determinati e non giudizi riflettenti. La quadruplice definizione di bello, secondo i modi del giudizio riflettente. (studiare bene!!!) Le 4 definizioni non sono alternative ma sono contemporanee (qualità, quantità, relazione, modalità). Quali sono i 4 momenti del giudizio riflettente di gusto in Kant? I 4 momenti sono fatti secondo i 4 tipi di giudizio (qualità, quantità, relazione, modalità). Ogni giudizio che noi esprimiamo, cioè ogni frase che componiamo, in cui identifichiamo un tratto dell'esperienza, sia esso determinante o riflettente, è un giudizio che contemporaneamente si articola su tutti e 4 questi livelli. Come si definisce quindi il bello secondo Kant? 1) Qualità: il bello sotto il profilo della qualità è un piacere che è disinteressato. Trovare bello un oggetto significa riconoscere che quell'oggetto è per me oggetto di piacere ma disinteressato. Il bello è oggetto di piacere MA disinteressato. Ci sono secondo Kant tanti oggetti che provocano una reazione in termini di piacere da parte del soggetto, esempio una doccia fredda durante una giornata estiva. Ma è difficile pensare che noi stiamo utilizzando la parola “piacevole” allo stesso modo in cui lo usiamo parlando della visione di un quadro. Si tratta di esperienze di piacere diversi, e Kant in prima istanza distingue tra “piacevole” e “piacere”, il “piacevole” è un'esperienza interessata (ho un interesse diretto alla piacevolezza di una doccia fresca, è un'esperienza in grado di produrmi un utile). Nel caso invece della visione del quadro provo un “piacere” che però è un piacere di tipo disinteressato. Non ho un interesse immediato rispetto al quadro che sto contemplando, non porta con sé un'utilità. Mentre il piacevole è un'utilità per il soggetto, ed è soprattutto soggettivo (uno magari trova piacevole una doccia fredda, un altro no), il bello è oggettivo, tutti lo riconosciamo come oggetto di piacere. (ovviamente ci possono anche essere oggetti di piacere che in una parte della mia vita sono disinteressati, ma poi diventano oggetti di piacevole interessato. Lo stesso oggetto può quindi essere per alcuni un piacevole disinteressato, e per altri interessato. Ad esempio ascoltare Vivaldi per rilassarmi è interessato). Se non c'è di mezzo nessun interesse allora l'esperienza è sovraindividuale. 2) Quantità: il bello sotto il profilo della quantità è qualcosa che piace universalmente MA senza concetto. Queste definizioni sono concatenate, la prima ci diceva qualcosa sulla sovraindividualità, ovvero sull'universalità. Comporre un giudizio universale è un tratto comune dell'esperienza, per esempio universalmente si afferma la verità di una legge fisica, ma ciò significa dare un giudizio garantito da concetti. Molto più complesso è invece capire cosa stia dietro un'esperienza universale non mediata da concetti. 3) Relazione: anche il terzo concetto della definizione di bello tocca un'opposizione interna. Secondo la relazione, i modi in cui si costituiscono i rapporti tra le cose, il bello contiene una finalità ma senza la rappresentazione di uno scopo specifico. Finalità senza fine specifico. Scopo senza la rappresentazione di uno scopo specifico. Il bello mi appare costruito come se ci fosse una legge, è talmente perfetto nella sua bellezza, ma questa legge non è orientata ad uno scopo specifico (la tastiera è fatta con uno scopo per il suo uso, nel caso del bello invece percepiamo una finalità ma non riusciamo a vedere uno scopo, perché non c’è). 4) Modalità: sotto il profilo della modalità Kant afferma che il bello è oggetto di un piacere necessario. Attenzione a non fare un fraintendimento: oggetto di un piacere necessario non significa che il bello è necessario all'esperienza umana, piacere necessario significa che il bello è un oggetto di fronte al quale tutte le persone articolano lo stesso tipo di giudizio. Di fronte ad un oggetto “bello”, se noi interrogassimo tutti i soggetti che ne fanno esperienza, tutti si troverebbero a dire che è bello. Formula “piacere necessario” per indicare non una modalità di piacere, ma una modalità di giudizio. Queste definizioni è come se fossero definizioni che tengono insieme un'opposizione, come se ci fosse sempre dentro un “ma”. !!! Quando siamo di fronte a una cosa che dichiariamo bella è come se noi non permettessimo ad altre persone di dire che non è bella, ma non è una dichiarazione che noi facciamo sulla base di concetti. utilizziamo non i concetti, ma il sentimento, non individuale, ma il senso comune. per Kant la bellezza non può essere considerata una parte dell’oggetto. una cosa può essere dichiarata bella solo perchè noi ne stiamo facendo esperienza. kant ovviamente sta parlando dei giudizi universali, non della soggettività. Postilla: Kant e il termine “Estetica” Solitamente Kant utilizza il termine estetica di Baumgarten, ma non lo fa parlando del tema del bello. Non lo fa per caso, lo fa per esprimere un certo fastidio rispetto all’utilizzo del termine estetica con riferimento al bello oppure all’arte. Dice che è solo una moda affiancare il termine estetica alla bellezza. dice che i tedeschi si sono abituati a fare uso del termine estetica per parlare dei fenomeni belli o artistici ma dice che è un fraintendimento dell’interpretazione di Baumgarten (che semplicemente identificava nel bello lo strato superiore della conoscenza sensibile). invece ricordiamo che l’estetica non si occupa solo del bello. Domanda “il bello in Kant è un concetto?” NO!!! Lo dice la seconda definizione del bello. Il bello è una caratteristica di una classe di fenomeni che si definisce nelle 4 definizioni. Distinzione tra il bello e il sublime (“Critica del giudizio”) -il sublime è un sentimento!!!- Il bello ha in qualche modo a che fare con concetti come: misura, ordine, armonia.. Kant dice che tra gli oggetti che rientrano in questa classe specifica di esperienze che ci portano a formulare un giudizio riflettente, ci sono anche gli oggetti che possiamo definire “sublimi”. Il sublime in Kant ha all’opposto del bello proprio la smisuratezza, mentre il bello è misurato, il sublime si distingue in quanto è smisurato. E il sublime secondo lui può essere: - matematico: quando il soggetto fa esperienza di un fenomeno assolutamente “grande” (come ad esempio la successione numerica in matematica). Con il sublime matematico il soggetto trascendentale si trova confrontato sensibilmente (attraverso i sensi) con l'infinito. contenuto. Per rappresentare al meglio lo spirito nell’arte post classica il mezzo migliore è la parola, per predicare la parola degli apostoli. Piuttosto che l’arte. Il ruolo della poesia secondo Hegel riveste una posizione di perfezione e di compimento negli exempla delle forme d’arte per hegel. L’architettura è l’arte più propriamente simbolica; la scultura è invece perfetta per l’equilibrio e l’eccellenza dell’arte classica per eccellenza; la musica e la poesia sono invece perfette per le arti romantiche. Secondo Hegel la poesia è l’arte più compiuta, che ci mostra unione tra spirito e materia. E’ la soluzione che si svincola di più dal sensibile per avvicinarsi allo spirituale, senza perdere la componente della materia che è costituita dalla fantasia stessa. E’ l’arte più ricca, illimitata, più libera di avvicinarsi allo spirito. La cosiddetta “morte dell’arte”. Hegel non parla di fine o morte dell’arte in realtà. Lui parla dell’arte come di un qualcosa di passato. Dice che l’arte è solo una delle forme dello spirito, come ci sono anche altre forme in cui l'idea si manifesta (si manifesta in forma fisica nell’arte, in forma mitica nella religione e in forma logica nella filosofia). Queste diverse manifestazioni rappresentano un crescendo tale per cui la rappresentazione dell’ideale è più perfetta andando verso la rappresentazione mitologica e ancora di più andando verso la filosofia. Lo spirito quindi passa da forme di manifestazione imperfette a forme di manifestazione via via sempre più perfette, la filosofia rappresenta il compimento. Il pensiero di Hegel è autocentrato, lui si sente come il compimento, la storia è un progresso e lui si sente la conclusione. Il miglioramento si compie nel presente, e lui stesso in quanto filosofo si sente il compimento di tutte le filosofie passate. In questo senso le forme precedenti a lui sono imperfette, sono passi preparatori. Secondo Hegel l’arte ha smesso di giocare per noi il ruolo di genuina verità. Mentre per i greci, e per l'arte simbolica e cristiana, l'arte era forma di manifestazione della verità, noi oggi facciamo i conti con forme migliori di rappresentazione della verità, l’arte è come se fosse un aggeggio del passato. L'arte smetterebbe quindi di essere rappresentazione e diverrebbe oggetto di studio; non siamo più richiamati dall'arte per il godimento immediato che ci procura ma per conoscerla scientificamente, per studiarla. Oggi l’arte è oggetto di studio concettuale, perché meglio dell’arte c’è ora il concetto. Possiamo anche continuare a produrre arte ma sarà un arte che dice la verità. Perché si parla di “morte dell’arte”? Si è un po’ frainteso il pensiero hegeliano. Hegel diceva che l’arte ha perso la vitalità ma non per questo smette di esistere, è comunque oggetto di studio. Hegel coglie il fatto che la riflessione sull’arte abbia quasi la meglio sulla produzione (è un pensiero molto attuale, che vediamo in correnti che accompagnano la produzione artistica a manifesti di pensiero come l’arte delle avanguardie). Hegel coglie il sopravanzare del concetto sulla produzione. Coglie anche un'altra cosa, quella che noi chiamiamo l’epoca dei musei, il museo è il luogo per eccellenza dove l'arte perde la sua vitalità. Il museo è tipicamente un'istituzione moderna che priva l’arte del suo significato originario. L’arte pubblica nasce appunto per cercare di vincere la morte dell’arte nei musei. JOHN DEWEY (1859-1952) E’ un autore americano che possiamo incasellare nel capitolo del NEOPRAGMATISMO. PRAGMATISMO = ci troviamo all’interno della prevalenza del pensiero di Hegel nel dibattito filosofico, quindi da una parte i pensatori hegeliani e dall’altra quelli contro, tra cui Marx che dice programmaticamente di voler ricollocare il pensiero hegeliano con i piedi per terra. Questa corrente si basa sull’idealismo -> pone come fondamento della realtà l’idea (spirito). E’ uno dei gruppi di opposizione a Hegel e viene battezzato nella seconda metà dell’800, anche se all’interno delle sue riflessioni ha questioni che provengono anche da periodi precedenti. Nel linguaggio comune il termine si riferisce alle cose concrete che incontriamo quando agiamo, nella filosofia fa riferimento alle cose e all’agire nelle cose. Dewey appartiene a una generazione avanzata del pragmatismo e la sua è una filosofia riconosciuta all’interno dell’educazione -> considera l’umanità come un’entità sempre ancora in corso di formazione. Lui scommette sull’idea che non nasciamo come “genere umano”, ma lo diventiamo nel corso della nostra esistenza. Il suo pensiero è collocabile in “Arte come esperienza” (1934) che è un libro che dice in che senso l’esperienza estetica, e in particolare dell’arte, sia un’esperienza formativa per l’individuo. Una delle tesi fondamentali è l’idea che la parola “arte”, invece che come un sostantivo, vada pensata come aggettivo -> l’arte più che qualificare un insieme specifico di oggetti, esperienze o comportamenti, qualifica qualche cosa in generale. L’opposizione vede da una parte l’idea che l’esperienza dell’arte sia un perimetro delimitato e circoscritto dell’esistenza, e dall'altra l’idea, quella di Dewey, che ci sia qualcosa di “artistico” e “estetico” in ogni rapporto tra il soggetto e il mondo, quindi in ogni esperienza che facciamo c’è qualcosa di esteticamente rilevante. Lui utilizza questa tesi per dire che la riflessione filosofica sull'arte può appartenere ad ogni esperienza, io posso usare la riflessione filosofica sul bello per studiare elementi che appartengono all’esperienza in generale. Per lui l’estetica è un “laboratorio” entro il quale si possa studiare l’esperienza tutta quanta. L’esperienza che lui contrasta è quella di Kant, perché quando organizza le sue “critiche” è come se organizzasse la ragione umana in 3 scomparti collocando negativamente l’esperienza del giudizio, perché è un giudizio senza concetto. Quando la filosofia definisce un oggetto attraverso negazioni, considera che quell'oggetto sia in secondo piano rispetto a un oggetto principale. In questo caso di Kant, l’assenza di concetto attiva il disinteresse in cui appunto sta l’esperienza del bello. Il pensiero di Dewey è proprio il contrario perchè dice che c’è esperienza estetica ovunque, per lui ogni esperienza ha diversi gradi qualificabili come estetica. Il terzo capitolo di questo libro ha proprio il titolo “Fare esperienza” → sottolinea il ruolo fondamentale dell’immaginazione nell’esperienza, che è la cosa più generale che l’uomo possa fare esistendo ed è implicata nello stesso processo del vivere, l’esperienza quindi è tutto ciò che facciamo vivendo. Fin dal momento in cui veniamo al mondo, incontriamo agenti esterni che si relazionano con noi, creando quindi esperienze per il nostro vissuto, fino alla nostra morte. Le esperienze per come le viviamo sono tutte qualificabili e singolari →un’esperienza ha un’unità che le dà il suo nome”. La vita è quindi un flusso di esperienze e ogni singola esperienza può essere qualificata fuori da questo flusso. Dewey argomenta contro Kant perché per lui il bello è un lusso ozioso, quindi disinteressato. Ma il fatto di poter definire ogni esperienza come estetica si può allargare anche per il concetto di bello? Ci sono diverse tendenze nel corso dell’800 che spostano l’attenzione dal tema del bello come momento specifico in sé concluso a qualche cosa che deve travalicare i confini del museo. Il museo è la concretizzazione che il bello sia ozioso, perchè il museo è isolato rispetto al resto della realtà ed è dentro a questa eccezione che si vive dentro al bello, è come se il resto della vita non meritasse di essere abitato dal bello, se non accidentalmente. Il museo però non nasce con l’arte, quindi è un'istituzione giovane rispetto alla storia dell'umanità e non è quindi escluso che presto sparirà sotto la convinzione che sia ormai insostenibile il vincolo esterno-interno che ormai lo caratterizza. L’esperienza è anche l’insieme di significati che essa è in grado di evocare. Per essere buoni artisti serve una buona dote di immaginazione, per fruire di un’opera d’arte è necessario essere idealmente il più vicini possibile all'artista. Immaginazione e esperienza del bello vanno di pari passo → quello che Dewey argomenta è un ruolo imprescindibile dell’immaginazione in tutte le esperienze ed è per questo che l’esperienza del bello artistico è una specie di laboratorio, nel quale possiamo vedere più intensamente le cose dell’esperienza in generale, proprio perché c’è l’immaginazione. L’immaginazione serve perché quando io faccio esperienza, in realtà la mia percezione presente è sempre accompagnata da integrazioni che è la mia stessa immaginazione a portare. Ci sono teorie che dicono che l’esperienza è data in parte dagli oggetti che ci colpiscono e in parte dal soggetto che ci aggiunge il suo. “L'esperienza estetica è immaginativa.” Si parla di Dewey come filosofo dell’educazione perché dice che esercitare la propria percezione attraverso la fruizione del bello artistico, ci fa essere presenti in modo diverso nel mondo. E’ come se dicesse che è proprio il bello artistico ad aprire le porte dell’immaginazione, che appunto è un tratto che va allenato. La percezione del bello artistico educa appunto la percezione in generale, in lui troviamo l’idea dell'UTILITÀ del bello artistico nella vita. Circondarsi di cose belle è utile per educare il nostro percepire a tal punto da poter ampliare la nostra veduta sull’esperienza del bello. GIANNI VATTIMO (1936-2023) “INTRODUZIONE ALL'ESTETICA” !!! Dal 2022 il prof fa scegliere un capitolo e fa solo una domanda su quel capitolo scelto. Nel libro “Introduzione all’estetica” Vattimo prova ad accorpare per temi il dibattito estetico (le lezioni fatte sono ispirate al libro). Il libro è strutturato in due sezioni, una di inquadramento storico pre baumgarten e uno post. sceglie la metà del 700 per separare la “preistoria dell’estetica” e la “storia dell’estetica”. E’ un libro molto didattico. Leonardo Amoroso nelle prime pagine spiega che questo libretto in realtà come versione intera arriva da una raccolta di testi di autori classici inframezzati dai commenti, spiegazioni di Vattimo (“Estetica moderna" è il libro originale completo). —------------------------ CAPITOLO 9. Per orientarsi nell’estetica moderna Per orientarsi nell’estetica moderna occidentale possono servire tre fili conduttori 1) Si può parlare di estetica distinguendo i suoi tre orientamenti fondamentali: - Estetiche metafisiche Si fanno domande attorno all’essenza degli oggetti di interesse, domande attorno all’essenza del bello, dell’arte, dell’esperienza sensibile. Suppongono che i problemi estetici possono essere studiati definendo ciò che le caratteristiche sotto il profilo ontologico. - Estetiche scientifiche Pensano l’estetica come una disciplina destinata a trasformarsi o ad essere riscritta in termini scientifici. Coloro che pensano, o hanno pensato, che i problemi estetici ricevano una migliore soluzione con il ricorso di scienze empiriche, come la psicologia, sociologia, neuroscienze. Più che interrogarsi sull'essenza ci si interroga su come l'arte faccia da medium per un gruppo sociale. Sono estetiche destinate a trasformarsi in materie come la “sociologia dell’arte”. - Estetiche critiche Sono quelle che Vattimo preferisce, si occupano di “riflettere” e “smontare” più che di costruire. Decostruiscono scoperte delle altre estetiche. Anziché interrogarsi sull’essenza o sui meccanismi sociali connessi all'apprezzamento dell'arte, provano a smontare l’idea di bello, l’idea di apprezzamento… Sotto il profilo filosofico queste estetiche critiche si inseriscono in un contesto rilevante del dibattito novecentesco che prende il nome di “oltrepassamento della metafisica”. Sono infatti critiche delle altre estetiche metafisiche e scientifiche (soprattutto come avversario c’è quello delle estetiche metafisiche, per questo il nome). 2) Si può seguire il binomio “arte-storia” 3) Si può fare riferimento alla specificità dell’esperienza estetica; qual è il campo dell’esperienza estetica? la problematicità dell’estetica è dovuta al suo decadimento oppure è un suo carattere intrinseco? Approfondimenti: 1) “La filosofia va perdendo pezzi” Vattimo dice che un luogo comune nel 900 nell’autocomprensione della filosofia è dire che “la filosofia va piano piano perdendo i pezzi”. Perchè? Mentre nell'antichità la filosofia era la regina del sapere che comprendeva riflessioni su tantissime materie diverse, dalla modernità in avanti non è più così. Quindi è normale che si siano persi alcuni pezzi. L’ultimo pezzo che la filosofia sta perdendo (aggiungiamo noi oggi) è la parte delle materie neuroscientifiche, perché negli ultimi vent'anni c'è stato un grande sviluppo di scoperte neuroscientifiche. 2) La filosofia occidentale secondo Vattimo. Secondo un gruppo importante di filosofi del 900, di cui anche Vattimo fa parte, la filosofia occidentale sarebbe figlia della filosofia platonica (che ci parlava del rapporto tra apparenza e verità). Ecco perchè nelle filosofie occidentali comunemente si usa il termine “platonico”, sono filosofie che riflettono sul concetto di dualità, di verità, di essenza ontologica. —------------------------ CAPITOLO 1. Estetica e modernità L'estetica come disciplina filosofica nasce nel '700 (termine coniato da Baumgarten). Riprende concetti della tradizione precedente e si radica nella pratica sociale che rende possibile l'esperienza sociale dell'arte. Nasce nel momento in cui la figura dell'artista è definita in modo stabile nella società, come produttore di opere d'arte che vengono concepite sotto la categoria di “qualità estetica”. Ciò avviene solo nel Rinascimento e matura nell'ambito teorico solo nel '700. Nelle epoche precedenti l'attività artistica non permetteva di formulare un pensiero teorico sull'estetica, non perché le opere non fossero belle ma perché l'arte come la pratichiamo oggi, ovvero legata ad un senso di bellezza o qualità estetica generale, non era concepita da greci e romani. In questo primo capitolo Vattimo parla dell'auto comprensione dell'artista. Spiega che la stessa nozione di artista nasce molto avanti nella storia dell’arte, nasce nelle corti degli Stati della modernità. L’arte nell’antica grecia, ma anche nel medioevo, era una tecnica. Fidia non era un artista, nell’antica grecia era considerato un artigiano, un tecnico. Sotto questo profilo l’artista e l’arte sono questioni moderne. Di conseguenza Vattimo dice che quando Platone parla di imitazione, del bello, Platone non sta propriamente parlando di arte. - Dewey La nozione di totalità gioca sul piano di determinazione del carattere costitutivo di ogni esperienza umana, che nel suo aspetto di perfezionamento possiede una qualità estetica. È innovativo per il tono naturalistico della sua prospettiva: la categoria di totalità dell’esperienza è concepita in riferimento ad un modello evoluzionistico, che vede l’uomo in continua integrazione con l’ambiente; dal punto di vista spirituale, questa integrazione si attua come risoluzione di problemi, ovvero con la trasformazione di situazioni caotiche in situazioni definite. L’esteticità è il carattere formale che accompagna ogni tipo di integrazione: c’è esteticità in ogni attività dell’uomo e l’arte rende lo scopo preciso di un oggetto quell’esteticità che è in tutta l’esperienza. Mette in discussione la separazione tra arti belle e arti utili proprio per questa esteticità presente in ogni esperienza. In linea generale, il suo è un atteggiamento ottimista, per cui ogni problema che si pone nell’esperienza è premessa di un’integrazione. - Lukàcs Nonostante sia più vicino al materialismo marxista e, per questo, distaccato nettamente da Hegel, è il più ortodossamente conforme alla dialettica hegeliana. Ha risonanza hegeliana la centralità della categoria del particolare nell’estetica, considerata come l’hegeliana unità di idea e manifestazione. Il materialismo lukacsiano si manifesta nella collocazione puntuale delle opere nella complessità dell’ambiente storico-sociale: per questo la filosofia e l’arte borghese sono soggette ad un progetto di dissoluzione che va di pari passo con la fase imperialistica del capitalismo. Inoltre, le avanguardie del ‘900 per Lukàcs sono sintomo di degenerazione: evidente neoclassicismo. Capitolo 12 e 16 sull’estetica critica. Capitolo 12. Per descrivere il fenomeno della crisi della coscienza borghese Vattimo parla di Nietzsche. Dice che lui mette capo a una serie di tentativi di decostruzione degli snodi importanti della cultura occidentale (proclama la morte di Dio, dichiara che la morale è solo la voce del gregge dentro di noi, critica il conformismo, e soprattutto dice che la teoria del bello classico è letta con poca attenzione). Nietzsche era un professore di filologia classica greca, conosceva molto bene il mondo classico. Lui è un anti-Winckelmann, dice che la classicità greca è in realtà profondamente disarmonica e conflittuale. Le forme classiche sono il luogo in cui vi è un incontro tra l’apollineo (l’equilibrio) e il dionisiaco (il disequilibrio). Dunque è falsa la rappresentazione della classicità come mero equilibrio. La vera produttività dei greci risiede proprio nel contrasto tra apollineo e dionisiaco, e non quando c’è solo l’equilibrio. La tragedia si ha quando l’apollineo e il dionisiaco sono equipotenti e nessuno dei due sovrasta l’altro. 12. L’estetica e la crisi della coscienza borghese-cristiana (atteggiamento critico) Kierkegaard e Nietzsche rappresentano la crisi della coscienza borghese-cristiana, mentre Hegel e Schopenhauer sono i rappresentanti della coscienza borghese perché asseriscono che l’uomo sia capace di accedere all’assoluto (l’autocoscienza) e vedono l’arte come una delle vie per raggiungerlo - Kierkegaard Per lui, l’esperienza estetica, che considera più come uno stadio dell’esistenza, al pari dello stadio etico e stadio religioso, è caratterizzata dagli aspetti di provvisorietà, inautenticità e mistificazione che già Platone aveva posto alla base della sua condanna. Stessa direzione di Nietzsche. - Nietzsche Nietzsche nega l’assoluto: dunque lo stato dionisiaco è il modo di vivere in questo mondo, in cui le apparenze non hanno nessuna realtà che vi si contrapponga poiché il mondo vero non è altro che una favola. Nel capitolo 16 Vattimo parla della sfida che all’arte viene posta dai meccanismi del mercato. Nel corso della prima metà del 900 per una serie di fenomeni culturali che hanno a che fare con lo sviluppo delle istituzioni dei beni artistici, l’arte incontra in una maniera nuova il tema dello scambio. Nel primo 900 le opere d'arte diventano beni scambiabili alla pari di beni commerciali. In questo contesto alcuni filosofi della prima scuola di Francoforte riflettono su questo cambiamento prendendo il nome di neomarxisti. In modi diversi si interrogano sulla caduta del valore estetico di un'opera d'arte a vantaggio della crescita del valore commerciale (come se il valore commerciale fosse inversamente proporzionale al valore estetico di un’opera; come se guadagnando di valore commerciale un’opera perdesse di valore estetico). Perchè “marxisti”? Perchè riprendono il pensiero Marx per parlare di beni artistici nel contesto industriale. Tuttavia ai tempi di Marx l’arte era ancora indenne rispetto ai meccanismi della produzione da lui descritta. Ma nel giro di 100 anni il capitalismo è stato in grado di conquistarla e piegarla fino a trasformarla anch’essa in un ingranaggio della produzione industriale. I filosofi appartenenti a questa scuola si domandano se possa esserci un riscatto dell'arte nella società. Per Benjamin la lettura dei fenomeni estetici possiede una possibilità di riscatto (uscita dell'arte dagli schemi industriali), mentre per Adorno lo spazio dell'artistico è definitivamente compromesso dal capitalismo. 16. L’arte in questione (atteggiamento critico) L’arte viene messa in questione anche nella direzione della critica della dimensione estetica dell’esperienza: significa rifiutare di chiudere l’arte in un ambito di esperienza che, definito negativamente come non pratico, non influenzerebbe il resto dell’esperienza dell’uomo; questo rifiuto è manifesto delle avanguardie storiche del ‘900. In questo passaggio Vattimo accenna a un argomento che tratterà anche nel volume “Ontologia e poesia”, in cui dice che a partire dall’avanguardia storica molti movimenti artistici iniziano a mettere in dubbio l’artisticità stessa dell’arte. In questi anni vi è una discontinuità con il passato, gli artisti pensano e riflettono sulle arti in maniera oppositiva rispetto al passato. Mentre precedentemente tutte le invenzioni artistiche erano finalizzate al miglioramento dell’arte stessa, qui nelle avanguardie storiche sviluppano la consapevolezza della rottura che stanno creando, riflettono su ciò che stanno facendo. Questi artisti non sono solo artisti, ma anche in qualche modo filosofi, mettono in dubbio il concetto stesso di artisticità. Un’altra messa in questione dell’arte si ha più esplicitamente con la Scuola di Francoforte, soprattutto in toni di sociologia e cultura. Due esponenti sono Benjamin e Adorno, che si differenziano non solo per la distanza cronologica, ma anche per il diverso atteggiamento nei confronti dei nuovi media. - Benjamin Ottimista, ritiene che la riproducibilità tecnica dell’arte apra la via, insieme ad un rinnovamento politico, ad un’esperienza estetica più autentica. Caratterizza le avanguardie del ‘900 soprattutto per il lato più violentemente distruttivo dei modelli tradizionali dell’esperienza. Lo shock è considerato elemento determinante dell’esperienza estetica. Per tutti questi motivi le avanguardie vengono accostate alle nuove forme d’arte come il cinema, rese possibili dai nuovi mezzi. Benjamin pensa che si possano preparare le condizioni per una nuova vita dell’arte, in cui l’esperienza estetica non sia più riservata all’élite e non ci siano più divisioni tra produttori e consumatori né confusioni fra valore estetico e valore monetario. - Adorno Vede l’esperienza estetica come l’ultima spiaggia della soggettività dell’uomo, ormai sopraffatto dalla società massificata. Nelle avanguardie contano di più gli aspetti tecnici e formali; dà importanza allo shock non come nuova via dell’esperienza, ma come ritorno ai valori che l’esperienza estetica nel suo senso tradizionale possedeva prima della società dell’organizzazione totale. Secondo Adorno l’arte è il luogo in cui vive il ricordo di un futuro alternativo. Questa centralità è attestata, più che nella teoria, nella pratica sociale: alla crisi della dimensione estetica come dimensione specifica e delle sue istituzioni (es. teatro), non è seguita la morte dell’arte ma una sua trasfigurazione in una serie di pratiche sociali alternative. Capitolo 13 e 14 sull’esperienza estetica scientifica. 13. Inizi di un’estetica scientifica: sociologismo e psicologismo. (atteggiamento scientifico) L’estetica dell’ottocento si sviluppa anche lungo la via della dissoluzione della filosofia nelle scienze umane, o di un trasferimento dei problemi filosofici ad un metodo di ricerca più scientifico. Non è un rapporto diretto arte-scienza come nel ‘700, ma più estetica-scienza: è l’estetica che tende a costituirsi come scienza. In questa situazione, l’estetica tende a lasciare indiscussa l’esperienza estetica e a concentrarsi sui dati di fatto, come ogni disciplina scientifica: in questo caso, le opere d’arte, di cui l’estetica scientifica si preoccupa di descrivere leggi e costanti. Secondo Taine, estetica scientifica significa spiegare in modo sistematico il mondo dell’arte individuando le leggi che lo regolano (in senso positivo e descrittivo). Queste leggi servono per spiegare le opere d’arte, le personalità artistiche, gli stili in relazione all’ambiente socio-culturale in cui maturano. I risultati di Taine, però, non appaiono rilevanti, anche se è rimasto vivo il programma di sottoporre il mondo dell’arte ad un’indagine di tipo positivo. Un altro gruppo di studiosi tedeschi, non aderenti al positivismo, cerca di fondare un’estetica scientifica rifacendosi alla psicologia. Fechner, con la sua “Propedeutica all’estetica”, inaugura l’estetica sperimentale: tenta di formulare in termini di psicologia scientifica delle leggi sui meccanismi di piacere e dispiacere; rientra nel movimento del secondo ‘800 di psicologizzazione della filosofia. Per l’applicazione del metodo sperimentale, Fechner ideò una serie di esperimenti per accertare quali, fra un gruppo di forme geometriche, riscuotessero maggiore approvazione, cercando verifiche in vasta scala. I risultati più significativi sono stati conseguiti dai teorici della Einfühlung, soprattutto da Lipps, che riprende numerosi elementi dell’estetica kantiana: i caratteri del bello teorizzati dalla tradizione estetica e da Kant vengono ripensati come modi in cui il soggetto sperimenta la propria attività vitale, soprattutto a livello corporeo e della sensibilità. Questa interpretazione vitalistica e naturalistica dell’esperienza estetica comporta anche una visione della vita psichica come flusso di energia e movimento, che si investono negli oggetti dell’esperienza. A tale concezione si ricollegherà Freud. 14. Arte e linguaggio (atteggiamento scientifico) I problemi delle estetiche scientifiche dell’800 nascono dal fatto che lo status scientifico-sperimentale delle scienze a cui si appoggiano è un problema aperto. Lo sviluppo ulteriore delle scienze umane nel ‘900 condurrà ad una modificazione del programma dell’estetica scientifica: il programma di individuare leggi nel mondo dell’arte si concentra nel campo delle discipline che studiano il linguaggio. Nella cultura contemporanea, lo sforzo di formulare in modo scientifico i problemi delle scienze umane passa attraverso modelli linguistici, soprattutto rifacendosi alla linguistica saussuriana. Il riferimento alle scienze del linguaggio fornisce all’estetica scientifica un terreno definito e preciso; il linguaggio, come parole e figure retoriche, è il corpo stesso della poesia e schemi di analisi linguistica vengono applicati anche all’arte e alla musica. I punti di partenza dell’estetica scientifica del ‘900 possono essere considerate le scuole russe e anglo-americane sulla definizione di funzione poetica nel linguaggio. Alcuni autori trasportano in linguaggio scientifico tesi tradizionali dell’estetica: è il caso di Richards e Ogden, che definiscono il linguaggio poetico come linguaggio emotivo (riferimenti a Bergson); innanzitutto, distinguono tra il linguaggio della conoscenza (simbolico) e linguaggio della bellezza (emotivo), nella cui categoria rientra il linguaggio poetico e ogni linguaggio riguardante la bellezza (es. critica letteraria o artistica). Questa posizione è tipica dell’ambiente anglosassone, che si rifà anche al neopositivismo e alla filosofia analitica: se il neopositivismo originario respingeva ogni tipo di linguaggio diverso da quello scientifico, quello più recente si propone di riconoscere e delimitare gli ambiti e le regole di ogni tipo di linguaggio. Per questo, è importante definire cosa caratterizza specificamente ogni linguaggio. Lo sforzo di caratterizzare il linguaggio artistico nella sua differenza da ogni altro linguaggio si nota nelle posizioni di due autori. - Morris Ha in comune con Richards la definizione di linguaggio poetico in riferimento all’emotività (ai valori); per lui l’arte è la comunicazione dei valori. Questa comunicazione accade non tramite enunciati, ma tramite iconi, che presentano direttamente il loro significato in quanto lo incorporano. Per questo nelle opere hanno importanza le qualità fisiche dei materiali impiegati: suoni e ritmi, colori e sfumature ecc. - Jakobson Il riferimento privilegiato del linguaggio poetico alle emozioni scompare e rimane centrale l’imporsi del messaggio come tale, che non richiama l’attenzione su altro (un significato a cui rimandi) ma su se stesso, sui suoni delle parole, sulle costruzioni delle frasi ecc. L’esclusione del riferimento privilegiato alle emozioni è frutto di un atteggiamento poetico che la scuola formalista assunse nei confronti della visione romantica dell’arte e di un’analisi rigorosa sui caratteri linguistici del messaggio poetico. Questo è caratterizzato dall’autoriferimento. Il movimento strutturalista è servito a legittimare la critica letteraria e artistica; tuttavia, la funzione poetica viene definita in riferimento a ciò che la tradizione ci ha tramandato come “arte e poesia”, senza riflettere sul come e perché le sfere di attività e gli oggetti vadano sotto questi nomi. La condizione poetica del linguaggio è, appunto, del linguaggio: cioè, non può mancare, si manifesta sempre in certi modi. Come? Ecco che appaiono qua elementi kantiani: si cercano nello spirito umano e nel linguaggio le condizioni trascendentali per cui è possibile fare poesia. Così facendo si canonizzano però strutture date solo storicamente dalla nostra cultura e si incontrano tanti problemi: fa notare Derrida, ad esempio, fa notare come ci si dimentichi la preferenza della forma (le configurazioni in quanto dati stabili) preferendole la forza, il problema di quali forme analizzare nel momento in cui, come Taine, parliamo di totalità, il rischio di cadere nel destrutturalismo. “POESIA E ONTOLOGIA” Premessa: Poesia e ontologia fu scritto nel 1967 e poi riedito nel 1985, in un clima culturale ben diverso da quello attuale e con obbiettivi polemici, quali il neo-marxismo e lo strutturalismo, che hanno ormai perso quasi totalmente la loro rilevanza. Benché la situazione – nota lo stesso Vattimo nella prefazione alla seconda edizione - dal punto di vista del dibattito dell’estetica, della critica e della poetica sia molto mutata, il libro non ha perso d’attualità nella sua tesi centrale: “la rivendicazione della portata ontologica dell’arte e della poesia”. Il libro non si limita, infatti, a proporre una teoria estetica, ma applica all’estetica una ben più ampia posizione teorica in merito a problemi capitali della filosofia, quali il senso della verità e dell’essere, rendendolo sempre attuale. Il filo argomentativo del discorso di Vattimo si chiarisce se immaginiamo che esso risponda a quattro domande da un filosofo, un artista, un critico e un comune fruitore d’arte. Il filosofo domanderà: in che senso la poesia ha che fare con l’ontologia? L’artista: che cos’è il fare artistico? Il critico: come devo leggere, interpretare, spiegare un’opera d’arte? Il fruitore: in che consiste la fruizione artistica? La risposta che sarà data al filosofo è quella decisiva e che deciderà della plausibilità delle risposte date agli altri. Per questa ragione ci pare conveniente rimandarla alla fine, benché essa sia operante sia all’inizio che alla fine. Per ora basti dire questo: la poesia è ontologia perché è aperta all’essere, perché il suo radicamento non è limitato alla coscienza dell’uomo ma a qualcosa che la trascende, l’essere appunto. Problema sarà definire i caratteri di questa apertura all’essere e dell’essere stesso. Il titolo “Poesia e ontologia” Vattimo si domanda quale sia la relazione possibile tra le arti e il discorso filosofico. Con il termine poesia intendiamo più generalmente la produzione artistica, ontologia è il discorso filosofico intorno all’essere che è il fondamento e l’essenza della realtà. Il titolo vuole intendere una relazione tra le arti e la struttura del mondo, ovvero il pensiero che le arti siano in grado in qualche modo di cogliere l’essenza del mondo stesso. A seguito Vattimo annuncia un'altra questione molto rilevante: Il tema della forma: la forma è un ombrello sotto il quale inserire la novità ma anche la legalità (regola). E come si collocano regola e novità nell'esperienza comune? Si collegano sotto la nozione di "formazione" (fare qualcosa di nuovo, e farlo secondo delle regole). L'opera si rivela quindi come prodotto di un processo di formazione (qui si collega la teoria di Pareyson: l’opera d’arte non ha una legalità precostruita, ma si fa in corso d’opera). Le regole sarebbero quindi inventate dall’artista stesso nel momento in cui crea l’opera. L’opera d'arte secondo Vattimo non segue una regola, ma la crea. Quindi ecco che compare il concetto di “novità”: l’opera d'arte costruisce qualcosa di nuovo, anzitutto costruisce una regola. Le teorie che fanno dell’opera d'arte un qualcosa di nuovo sono numerose, come sono anche le teorie che parlano dell'arte come di un qualcosa di regolato. Qui invece Vattimo ci sta dicendo qualcos’altro. Ci dice che è proprio l’arte stessa ad avere una forza che origini la regola. Imitando opere altrui non saremmo artisti, perché ogni opera d’arte iscrive dentro di sé la propria regola. Vattimo riflette anche su Heidegger, una figura piuttosto importante nel dibattito estetico del ‘900 perché distingue molto bene il rapporto tra oggetto comune e oggetto artistico aiutandoci a cogliere meglio la dimensione ORIGINANTE dell’opera (opera come qualcosa che origina e non solo come risultato). Heidegger spiega che gli oggetti di uso comune sono utensili che hanno un fine. Mentre l'opera d'arte non avendo un fine manda in corto circuito la nostra esigenza di trovare uno scopo per tutto. L’opera d'arte sospende l’ovvietà del mondo in cui viviamo. Vattimo commenta l’opera di Heidegger “Arte come esperienza” del 1936, in cui parla dell’origine dell’opera d’arte, e dice che l’opera non si lascia collocare come un oggetto a fianco ad altri utensili. L’opera d'arte portatrice di significati nuovi. Ma a parità di valore monetario, l’aggiunta data da un un’opera d'arte e l’aggiunta data da un oggetto costoso, sono equivalenti? Ovviamente no, però anche se l’opera d’arte è “inutile” ci può dare comunque un qualcosa di nuovo. Per Heidegger quando l’opera d’arte origina un nuovo insieme di significati avviene una forma di fondazione di un mondo. L’opera d'arte si fa principio di fondazione di un mondo. Esempio: come quando leggiamo un romanzo e diciamo “mi è sembrato di essere in un altro mondo”. Dopo queste riflessioni Vattimo arriva quindi a fare un tentativo di definizione dell’opera d'arte: “un’opera d’arte è davvero tale quando si inserisce in un mondo sconvolgendo la rete di significati che caratterizza quel mondo”. Vattimo ci dice che è bello ciò che è in grado di produrre significati. Il bello non sarebbe solo oggettivo o soggettivo, ma sarebbe legato quindi anche al contesto. Se noi definiamo il bello come una variabile dipendente da contesti, possiamo capire che il bello produce significati che possono parlare ad alcuni gruppi umani ed altri no. Ciò ci dice che anche quando produciamo un’opera d’arte ci aspettiamo il consenso di alcune persone e di altre no. Ma quindi come giudicare la riuscita o meno di un’opera d’arte? Se siamo buoni “ascoltatori” siamo in grado di cogliere i significati delle opere d’arte di cui stiamo facendo esperienza. Se non siamo buoni ascoltatori per esempio potremmo applaudire prima che l’opera sia conclusa. Questo per Vattimo è il tratto ontologico dell’opera d’arte. Questo libro non parla solo dell’essenza dell’arte, della poesia, ma parla della poesia come fondamento. Parla del modo in cui l’opera d’arte è in grado di formare qualcosa. Da qui il titolo “poesia e ontologia”. Il tema della verità per Vattimo. Perché questa insistenza sulla verità? Limitarsi a dire che l’opera d’arte è finzione è profondamente sbagliato. Affermare invece che l’opera d'arte ha un'incidenza sulla realtà tanto da aprire uno spicchio, un mondo di significati, salva l'opera d'arte da una qualche forma di inessenzialità. Cosa c'entra l’arte con la verità? Vattimo riprende nuovamente Heidegger nella sua affermazione che dice “ l’arte è la messa in opera della verità". Vattimo dice che si potrebbe descrivere l’esperienza dell’opera d’arte rispetto alla verità in due modi diversi: 1- da cui cerca di prendere le distanze, secondo cui l’opera d'arte sarebbe vera o falsa nella misura in cui è in grado di illustrare certe delle caratteristiche della realtà. 2- oppure potremmo dire che l’arte non mi fa solo vedere qualcosa che altrimenti non vedrei (pensiero tipico delle avanguardie), ma l'arte è cose che senza l’arte non esisterebbero. Quindi arte come messa in opera della verità in quanto rende nota o manifesta una realtà che altrimenti non esisterebbe. Esisterebbero quindi significati impalpabili che solo l’arte farebbe stare in piedi. I significati sono quindi precostituiti o dipendono dalle prospettive nelle quali ci collochiamo? Dipendono dalle prospettive. L’arte ci cambia lo sguardo rispetto a come lo avevamo da sempre. Qui sta la capacità di “creare” dell’arte. Ci cambia la prospettiva. Approfondimento: Pareyson A seguito delle filosofie di Gentile e Croce (grande sostenitore di Hegel), il sistema Hegeliano soccombe, in quanto troppo costruito e complesso. Vi è quindi una nuova fase anti-hegeliana, che vede come maggior esponente Pareyson. Egli accusa il sistema hegeliano di prendere un oggetto rappresentato dal fare artistico e interrogarlo con una gabbia concettuale che è estrinseca al fare artistico. Pareyson capovolge questo approccio, propone di partire dalle pratiche artistiche e interrogarsi su ciò che queste pratiche dicono alla filosofia. E cosa dicono queste pratiche? Innanzitutto sono pratiche basate sul fare, sulla tecnica, sulla produzione, sul creare qualcosa. La filosofia dovrebbe quindi guardare alla concretezza dell'artista, e la concretezza dell'artista è soprattutto tecnica, la pratica. Ma questa essenza non è quindi troppo estesa? “Il fare” appartiene solo all’artista? No! Quindi qual è il tratto specifico che contraddistingue il tratto artistico? Pareyson sta cercando di dare una definizione. Secondo Pareyson da cosa si distingue il fare artistico? E’ il fare che è caratterizzato dall'assenza di regole ma dalla produzione di regole. Il fare artistico sarebbe quindi privo di regole predeterminate ma “è un fare che facendo inventa il modo di fare”. Dunque l'artista non si sottopone a regole ma le inventa creando. Parte appunti mancante nelle lezioni: Dopo “Poesia e ontologia” Vattimo scrive altri due saggi: - “Morte o tramonto dell’arte” - “Ornamento monumento” Sono due saggi degli anni ‘80 raccolti in un volume chiamato “La fine della modernità”. Vattimo prosegue nel cammino di rivalutazione della posizione hegeliana facendo un’analisi più ravvicinata delle tematiche artistiche e dell’avanguardia storica. Questo testo è importante perché entra in dialogo con una tendenza filosofica che a partire dagli anni ‘70 nasce nel dibattito francese -> la riflessione di Lyotard sulla fine dei metaracconti di cui Vattimo si fa portatore. Secondo Lyotard la contemporaneità si caratterizza per essere una modernità avanzata che esce dai confini della stessa cultura moderna. In che senso Hegel serve a chiarire le riflessioni di Lyotard e Vattimo a proposito della modernità? Hegel si muove dentro i fenomeni del moderno, ma allo stesso tempo è il primo filosofo a pensare la “storicità”, quindi anche al rapporto tra verità e storia. Il modo in cui Hegel pone la propria riflessione filosofica come il punto più alto e conclusivo, attira l’attenzione di coloro che pensano la modernità come a un’esperienza che è giunta al suo termine, nel caso dell’estetica ci riferiamo all’inattualità dell’arte o alla sua fine. E’ Vattimo a ritenere imprescindibile il riferimento a Hegel a proposito di un ragionamento sulla fine della modernità. “Morte o tramonto dell’arte” evidenzia l’esaurirsi di qualcosa come l’attualità dell’arte che fa i conti con il fenomeno della “fine della metafisica” che prende le sembianze di una forma di “riflessivizzazione” dell’esperienza artistica -> l’esperienza artistica si accompagna sempre di più di una riflessione teorica e nel corso della sua storia più recente ha sempre più bisogno, per articolarsi, di un supporto teorico e riflessivo, sono gli stessi artisti a ritenerlo imprescindibile. Tramonto in questo senso è inteso come processo di distorsione della natura originaria di determinate nozioni, in direzione di un allontanamento dalla metafisica. Ciò che caratterizza questo saggio è l’idea che l’inattualità dell’arte ha soprattutto a che fare con il venir meno dei confini dell’artistico e non artistico. Nel campo artistico c’è sempre più necessità di dividerlo da quello non artistico, si verifica quindi una CRISI DELLO SPAZIO ARTISTICO = che tipo di oggetto è quello artistico in mezzo agli altri oggetti che popolano il mondo. Partendo dall’avanguardia storica la risposta sembra essere quella di una problematizzazione dei confini che non perviene a una rimozione dell’artistico -> ridefinizione dei confini, ma non rimozione dell’artistico (ex. Ready made -> ripensamento dello spazio degli oggetti artistici nello spazio più complessivo degli oggetti comuni). Dalle avanguardie in poi, uno dei criteri di valutazione dell’opera è quello di essere capace di mettere in discussione il proprio statuto. Questa riconfigurazione dello spazio a partire dalla collocazione di un’opera è probabilmente il dato più interessante dell’estetica topologica (del luogo) di Heidegger che apre un’intera metafora sull “abitare” -> sotto la nozione di luogo stanno sia le funzioni precedentemente attribuite alla messa in opera, sia il fenomeno artistico nella sua interezza, che si trova così riuscito in termini topologici. Qual’è la ragione per cui il pubblico occasionale tende a fruire con difficoltà queste opere? Per Vattimo è perché l’opera d'arte non rispetta le aspettative del pubblico generalista. Potrà dichiararsi arte soltanto ciò che problematizza a tal punto la sopravvivenza dell’artistico da rompere i confini da ciò che è artistico e ciò che non lo è. Questa posizione ha almeno due conseguenze: se c’è qualcosa che muore non è l’artistico in senso stretto, ma l’arte che pretende di vedere garantito il proprio statuto. Quando Hegel dice che l’arte viene superata e perde la propria natura a vantaggio della riflessione filosofica, per Vattimo è come se si trattasse di una sperimentazione per l’arte avanguardistica. Nella sua prospettiva è come se Hegel avesse anticipato di alcuni decenni ciò che le avanguardie storiche avrebbero realizzato e in effetti c’è una perdita di valore essenziale dell'artistico -> il dominio dell’arte si apre a esperienze che precedentemente non erano qualificabili come artistiche. Invece il saggio “Ormaneto monumento” si pone accanto un pensiero negativo sull’arte che smette di essere un perimetro garantito di esperienze, ma diventano esperienze che mettono in dubbio quel confine. Il saggio si pone invece in positivo intorno alle conseguenze delle affermazioni hegeliane provando a definire quali sono i nuovi spazi dell’artistico -> l’arte dall’avanguardia in poi definisce la sua incerta natura in relazione ai contesti nei quali appare. E’ il dialogo con i luoghi nei quali l’opera d’arte è collocata a determinare l’opera d’arte stessa, in effetti il dialogo tra opera e contesto va a trarre nuove connessioni in virtù della “cancellazione” dell’idea di una natura essenziale dell’artistico. Questo saggio sottolinea le nuove risorse che si aprono all’artistico nello spazio pubblico e nel lavoro politico in cui per la prima volta l’arte può iniziare ad agire. DIBATTITO ESTETICO CONTEMPORANEO: IL PROBLEMA DEL NUOVO RUOLO DELL’IMMAGINE E’ un dibattito che fa parte della filosofia ma anche della storia dell’arte e tratta quelle discipline che si chiamano “media studies” o "cultural studies”. Queste discipline cercano di mettere in luce il ruolo dell'immagine nella cultura occidentale contemporanea e si chiedono se tale ruolo sia modificato rispetto al passato. La storia dell'arte e la filosofia sono ancora due discipline sufficienti per studiare questo fenomeno? Per parlare di queste considerazioni parleremo di due autori, Mitchell e Benjamin. Tom Mitchell E’ uno degli autori che coniò il termine “svolta iconica”. Ci interessa il modo in cui parla dell'insufficienza della storia dell'arte e della filosofia per studiare gli ultimi sviluppi dell'immagine. Non è un filosofo ma uno studioso di letteratura che nel 1978 pubblica un libro che si occupa della poetica di William Blake, pittore e poeta inglese, nel quale riflette sul rapporto tra testo e immagine nella sua poetica. Anni 60 - Occidente - Inizio riflessioni sui nuovi sviluppi tecnologici L'estensione della rivoluzione culturale era iniziata negli anni 60 con la diffusione della tv. Negli anni 60 emergono i primi studi sulla "Società dello spettacolo”; un libro omonimo di Guy Debord riflette infatti sulla società con la diffusione di massa delle tecnologie dell'oculare, ovvero dello sguardo. Questo libro inizia a denunciare i meccanismi di condizionamento e di controllo che le tecnologie dell'immagine possono avere sui rapporti politici e sociali; molte delle riflessioni che ancora noi oggi facciamo attorno all'avvento della televisione sono le stesse geniali intuizioni che Debord ebbe 60 anni fa. Secondo lui infatti questi cambiamenti ebbero inizio con l'invenzione della fotografia e del cinema. Anni 80/90 - Occidente - Continuano le riflessioni sui nuovi sviluppi tecnologici Negli anni 80 con il nuovo sviluppo della tecnologia e dell'informatica, vi è una seconda ondata di studi sociali e critici attorno alle tecnologie dell'informazione. Tom Mitchell, insieme ad altri autori, battezza l'idea che questo sviluppo che si è fatto via via più intenso rappresenterebbe una vera e propria svolta nel modo in cui le culture contemporanee stanno al mondo. La presenza dell'immagine sarebbe diventata così prorompente da produrre una modificazione del modo in cui: percepiamo la realtà, costruiamo le relazioni con le altre persone e in generale stiamo al mondo. Questo insieme di riflessioni, che sta sotto l'etichetta di “svolta iconica”. Che cosa rende così fortunato questo momento del dibattito attorno alle immagini tra fine anni 80 e 90? Il fatto di anticipare di alcuni anni i dispositivi digitali, basati appunto sull'uso di immagini. Il successo di autori come Mitchell sta proprio nel fatto di anticipare di poco la massiva diffusione di internet e degli smartphone. La seconda questione che rende interessante Tom Mitchell è il suo interesse per l’uso di immagini attorno alla costruzione del consenso e quindi nella politica. Lo sviluppo prepotente dell'immagine ai suoi occhi mette in evidenza la tensione tra immagine e parola. Spesso nel corso della storia c’è stato conflitto tra l'immagine e la parola soprattutto riguardo alle questioni sul potere (ad esempio nelle religioni, parlando dell’iconoclastia). Secondo lui il linguaggio è un paradigma che presenta a volte delle anomalie, e durante queste anomalie vi è una presenza più fondamentale dell'immagine. WALTER BENJAMIN (1892-1940) Introduzione: Testimonia la tradizione filosofica del pragmatismo ed è testimone del dibattito verso l’utilità di una lettura filosofica rispetto ai beni artistici, dando quindi un significato/utilità all’arte. Fa parte del contesto di dibattito del marxismo in area tedesca, si riconnette quindi alle analisi di Marx per portare avanti la sua prospettiva teorica e quella di rivoluzione in ambito politico. Prassi e teoria del marxismo sono due facce della stessa medaglia e nel contesto dei movimenti proletari è una complementarità inevitabile. Lui è fondamentale perché tratta una linea teorica che è stata importante sia per il pragmatismo americano che per altri indirizzi teorici. Il suo testo “L’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica” contiene una serie di profezie che si sarebbero avverate nel corso della seconda metà del XX sec. e nel secolo successivo. E’ un autore formato in filosofia e sociologia, nel contesto della sua formazione intellettuale entrerà in contatto con molte figure importanti, tra cui Brecht. Dal punto di vista della filosofia, intreccia relazioni intellettuali e collaborazioni con una scuola di filosofia sociale specifica che è la SCUOLA DI FRANCOFORTE (gruppo di studiosi transdisciplinari che nasce intorno a Adorno e Horkheimer). Benjamin collabora con loro ed è un autore che pur non facendo espressamente riferimento alla scuola, ruota nell’orbita delle problematiche che ne sono il riferimento. La filosofia sociale della Scuola di Francoforte è una mescolanza tra teoria marxista con istanze di sociologia, antropologia, fenomenologia sociale, psicologia sociale, ecc. ed è un complesso di studiosi alla ricerca di un’ottica e prospettiva efficace per il capitalismo, consumismo, lotta di classe, ecc., infatti gli autori della prima generazione vivono sulla propria pelle i totalitarismi. Rispetto ad altre figure della Scuola lui è probabilmente il più aperto ad un'analisi positiva e produttiva che nomini il presente. Dentro la Scuola sono presenti riflessioni legate al pessimismo e alla censura nel caso del presente, nel senso di sguardo che condanna, che sono la premessa necessaria per un cambiamento rivoluzionario degli assetti della società. La prospettiva di Benjamin è invece positiva e più accogliente rispetto ai fenomeni sociali e culturali che si stanno verificando. I tre argomenti fondamentali della riflessione di Benjamin sono 3: - nozione di riproducibilità tecnica - nozione di aura fronte all’apparecchiatura. L’uomo viene a trovarsi nella situazione di dover agire con la sua intera persona vivente, dovendo rinunciare però all’aura. Poiché la sua aura è legata al suo hic et nunc. Non si dà alcuna raffigurazione dell’aura. Non è sorprendente il fatto che proprio un drammaturgo come Pirandello scorga involontariamente nelle caratteristiche del cinema la ragione della crisi da cui vediamo investito il teatro. Il cinema risponde al declino dell’aura con la costruzione artificiosa della personality al di fuori dagli studi cinematografici: il culto della star, promosso dal capitale cinematografico, conserva quella magia della personalità che da tempo consiste ancora nella magia fasulla propria del suo carattere di merce. Aspetti positivi e negativi riguardo la questione delle masse. Nella seconda parte del saggio si sposta dalla riflessione tecnica alla riflessione individuale, sociale e politica. E riflette su come la riproducibilità tecnica dell’arte sia in grado di modificare il rapporto delle masse con l’arte. tratta due questioni: 1) La fruizione distratta Fa riferimento a quel discorso del passaggio dal valore sacrale alla secolarizzazione. Dice che in qualche forma certe istituzioni artistiche, come i musei, cercano di preservare qualcosa dell’esperienza sacrale dell’arte per in qualche modo rafforzare il valore delle opere. I musei creano quindi delle analogie con il valore sacrale, con gli edifici sacri (il fatto che siano delimitati, il fatto che abbiano un codice di condotta..). Questo in funzione di dare un “supplemento d'anima" dato appunto da elementi che ricordano il luogo religioso. Perchè? Perché il museo senza supplemento d'anima sarebbe esposto al rischio di una fruizione troppo quotidiana, troppo simile alla vita quotidiana. L’edificio religioso creava invece una rottura con la quotidianità. La svolta della riproducibilità priva il museo di un valore di eccezionalità che si era creato appunto facendolo assomigliare a un luogo religioso. Benjamin dice che i limiti economici del proletariato hanno fatto sì che l'operaio non abbia mai potuto vedere i musei. Ma la riproducibilità tecnica fa proprio questo, rende fruibile ciò che non era fruibile. Questa svolta epocale fa un operazione di avvicinamento tra masse e opere d'arte. Però rimane il fatto che le masse non sono culturalmente preparate per questo, e quindi si attiva la fruizione distratta. Benjamin critica quindi la capacità da parte delle masse di acquisire un punto di vista competente e di comprendere correttamente una produzione artistica. 2) La questione politica Benjamin determina in che modo questa rivoluzione delle arti sia consonante con le questioni politiche degli anni 30 del 900 in cui vive. Per lui sono anni che seguono la rivoluzione russa che aveva attivato i politici di sinistra europei, sono anche gli anni in cui in Italia si è installato un regime di destra, il fascismo, e soprattuto per lui che è un intellettuale tedesco sono gli anni dell’ascesa al potere di Hitler. Il panorama politico di questi anni è intenso, e per lui è importante far dialogare la produzione artistica con la politica, provando a connettere le due materie. Per introdurre il discorso della politica inizia a contrapporre due valori, il valore cultuale e il valore espositivo dell’opera d'arte. Valore cultuale: l’opera d’arte nasce in contesto religioso; quando è più importante il fatto di esistere piuttosto che l’essere vista (la scultura greca per esempio viene fatta per piacere agli dei prima che per piacere al pubblico; le statue sono a tutto tondo, anche se lo spettatore può vedere solo un lato). → poi avviene il processo di secolarizzazione: dal Rinascimento si riduce l'importanza dell’esistere a vantaggio dell’essere visto (fare un'affermazione del genere negli anni 30 ha un significato straordinario) Valore espositivo: l’arte per l’arte. Accade in questo contesto che sia la politica a mettere significati in questo spazio vuoto, la politica entra in gioco in due modalità: Benjamin si domanda se quindi sia positivo o negativo questo cambiamento della fruizione per la società e per la politica. E riflette su due possibilità, una negativa e una positiva. - Politicizzazione dell’estetica (positivo): reazionaria (destra), ovvero un riempimento di significati da parte della politica di stampo conservativo, legittimate rispetto al potere costituito (es. il futurismo italiano rende bello anche qualcosa che dovrebbe essere tragico). Quando le opere d'arte assumono un valore di denuncia dell’oppressione delle masse. Permette una sorta di “liberazione” delle masse dai vincoli a cui sono sottoposte attraverso l'arte. Ad esempio le avanguardie storiche artistiche si pongono il problema del potere, si schierano a livello politico, o scelgono il disimpegno dalla realtà, programmano la fuga dalla realtà, in ogni caso il loro confronto con la realtà c’è sempre. Il fatto di domandarsi, con la propria posizione artistica, in che modo si incide sulla realtà è sempre positivo. Si dà un'attribuzione di valore politico all’opera d'arte. E’ un lavoro di consapevolezza anzitutto dell'artista, e in secondo luogo anche delle masse. - Estetizzazione della politica (negativo): rivoluzionaria (sinistra), ovvero un riempimento di significati da parte della rivoluzione. Vede l’uso dell’arte come strumento di elevazione e capovolgimento dei rapporti sociali esistenti, quindi l'uso dell’arte come denuncia. E’ il quadro per cui il potere si serve dell’arte per controllare le masse (es. totalitarismo fascista). Parla di un utilizzo antiregressivo delle arti da parte della politica dei totalitarismi di destra. E’ una sorta di anestetica. “Prospettive sull'ermeneutica dell’immagine” di Alberto Martinengo La seconda parte del libro, meno filosofica, approfondisce alcune questioni. L’arte pubblica A causa della “crisi dell’istituzione museale” vi è stata la “nascita di una nuova monumentalità” che ha portato l’arte a occupare gli spazi pubblici. L’arte pubblica è l’arte il cui confine, rispetto agli spazi quotidianamente praticati da noi, è debole se non inesistente (esempio: la street art, che vuole violare un perimetro tra il mondo dell’arte e quello quotidiano). E’ sempre stata un’arte che ha contestato le istituzioni museali in quanto luogo in cui avviene la privatizzazione dell’arte, si paga un biglietto. L’arte pubblica invece è gratuita, sta in uno spazio di completa comunicabilità tra l’esperienza ordinaria e quella di fruizione dell'opera. Un esempio è quello di Banksy, che pratica un'attività che compare in pubblico. Gli spazi di arte pubblica si possono suddividere in 3: 1. spazi qualitativi -> a classificare l’arte come pubblica è il riferimento proprio allo spazio pubblico, quindi spazio aperto. La nostra concezione dello spazio è spesso guidata da un’illusione di natura geometrica -> siamo portati, quando ragioniamo intorno agli spazi in cui siamo, a intendere lo spazio in modo geometrico. Lo spazio cartesiano è una perfetta astrazione per ricostruire i nostri luoghi dell’esistenza, ma è appunto un’astrazione. Gli spazi si conformano sulla base della fruibilità degli oggetti che li occupano, hanno quindi una qualità, ovvero affermiamo che gli spazi non hanno quella omogeneità che è ben rappresentata dal piano cartesiano, ma le cose nello spazio sono collocate in modo disomogeneo -> spazio qualitativamente disomogeneo e dominato dai miei poli di interesse. 2. precarietà estetica -> troviamo questo principio soprattutto in “Ornamento monumento”, ma è il filosofo spagnolo Vilar a parlare di questo in modo più approfondito. E’ un tipo di sopravvivenza che l’arte sembra avere oggi nonostante la dichiarazione di Hegel a proposito della fine dell’arte. Questo sembra dichiarare l’impossibilità di vedere l’arte come un nucleo attorno al quale si costituisce un’epoca storica. Lui parla soprattutto del tema dell’installazione e in particolare al Gramsci Monument. 3. Gramsci Monument -> installazione del 2013 in un parco del Bronx a New York che comprende diversi spazi: uno espositivo, un bar, un piccolo teatro, ecc. L’autore è Hirschhorn che progetta lo spazio come il risultato di una diversa concezione di arte pubblica dedicata a una fruizione che si vuole inclusiva da parte di un pubblico mediamente non interessato all’arte, in particolare quella contemporanea. Questa struttura è multifunzionale in grado di dare forma a spazialità diverse, tutte cariche di significati sociali particolarmente intensi. Il monumento è una sorta di performance che mette alla prova del pubblico spazi di incontro che aprono a una spazialità nel parco in cui la scommessa è quella di utilizzare questa spazialità in senso inclusivo non solo socialmente, ma anche strutturalmente -> includere persone ed esigenze diverse, ma anche porzioni monumentali differenti. E’ come se la nozione di monumento subisse una decostruzione e risemantizzazione per cui il monumento non è più qualcosa che aspira ad essere permanente, ma di avere una data di scadenza al termine della quale esso viene smantellato. Abbiamo lo svuotamento dei significati tipici della monumentalità e una nuova iniezione di significati. Lo strumento che Hirshhorn sceglie per compiere questo svuotamento è l'intenzione sociale e politica, ed è proprio questo ad essere il fattore principale che muta di significato. Il tutto è accompagnato da vari manifesti affissi in questa struttura che compongono una sorta di filo conduttore che vuole ripensare a Gramsci. Milar dice: “Le opere d’arte di hirshhorn intendono sottoporre il partecipante a stimoli, strumenti e soluzione che ognuno elabora all'interno della propria esperienza personale”. Ciò che avviene è che l’installazione si presenta come uno strumento di comprensione e critica della realtà, questa è una forma di estetizzazione della politica e sembra che con questo monumenti siamo di fronte a un utilizzo di politicizzazione dell’arte. Queste forme d’arte rischiano di ridursi al nulla se non sono in grado di accompagnarsi a caratteri sociali, è come se la monumentalità avesse un futuro solo se in grado di dare vita a pratiche sociali. Questo progetto si riempie di intenzioni teoriche a misura delle prassi che esso genera, c’è una sorta di inversione tra teoria e prassi che ha alla base le prassi che il monumento ospita ed è a partire da queste che il monumento si riempie di significati e non viceversa. Nella prospettiva di Vilar, il punto di svolta sta proprio nell’attribuzione di una specifica performatività a un dispositivo monumentale, tanto da porlo sotto la categoria di PERFORMANCE MONUMENTALE. L’arte dopo Hegel Quando Hegel parla di “carattere inattuale dellarte”, di fine dell’arte, sta dicendo che c'è una così profonda modificazione delle pratiche artistiche che la maggior parte delle vecchie categorie usate per definire l’arte sono ormai inattuali. Sono diventati inattuali i caratteri che si attribuivano all’arte. Quello che molti provano a fare è sforzarsi di valorizzare positivamente questo motto hegeliano, per capire cosa tutt’ora quel motto abbia da dirci conoscendo come l’arte si sia sviluppata anche dopo di lui. Sotto questo profilo c’è un'evoluzione nel percorso artistico che nel contesto della neo-monumentalità (rinascita arte pubblica) sembra rendere più labile il confine tra arte e non arte. Dopo Hegel? Dopo la riflessione filosofica di Hegel ci si pone il problema di superamento, soprattutto perché il suo pensiero segnava un confine nell’estetica, infatti la sua riflessione si mostrava essere il compimento della storia. Hegel dice che l’arte è finita, o meglio non corrisponde più al nostro periodo storico. Il confronto con Hegel è insomma una parte integrante dell’origine e della storia dell’ermeneutica filosofica italiana, con una serie di ambiguità e deviazioni il cui titolo più adeguato potrebbe essere “potremmo rinunciare a Hegel?”. Ci sono delle reazioni: - neokantismo - rovesciamento delle prospettive hegeliane -> Marx (Scuola di Francoforte) - pragmatismi -> Dewey - neohegelismi -> forma di riproposizione e aggiornamento dei suoi presupposti Le prosecuzioni in generale vanno tutte sotto il nome di Neohegelismi, provando a superare i suoi “vicoli ciechi”. Soprattutto in Italia, nella prima metà del ‘900, troviamo due voci importanti: Giovanni Gentile e Benedetto Croce (primo nome italiano riconosciuto nel panorama filosofico internazionale). I due testi più importanti di Croce sul fronte dell’estetica sono “Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale” (1902) e il “Breviario dell’estetica” (1913). Il modo in cui Croce rinnova l’hegelismo è enfatizzare l’importanza dell’estetica con l’esperienza del mondo a fini conoscitivi -> come l’estetica sia una descrizione della conoscenza intuitiva del particolare, mentre la logica è la scienza del concetto che si occupa di tematizzare l’universale. All’estetica è strettamente connessa l’arte, modalità secondo cui l'intuizione del particolare si esprime. Due sono i poli dell’estetica crociana: 1. INTUIZIONE -> cattura del particolare 2. ESPRESSIONE -> tutti noi nell’esperienza immediata intuiamo e quando facciamo arte diamo un ulteriore accompagnamento all’intuizione che prende appunto il nome di espressione. La connessione che Croce istituisce con Hegel è data dal fatto che l’estetica fotografa un momento dell'esperienza che non ha a che fare con la prassi, quindi prelude al lavoro del concetto. L’estetica è un primo passo del cammino verso la conoscenza che però viene superato dalla conoscenza concettuale, così come viene superato il particolare dall’universale. Questa impostazione ha una grande fortuna -> il crocianesimo costituisce un momento in cui l’intellettuale italiano non guarda particolarmente al dibattito internazionale, si devono attendere gli anni del secondo dopoguerra per avere la possibilità di rivendicare una maggiore apertura. Questo avviene soprattutto per mano di Pareyson. Approfondimento: filosofo tedesco Georg Bergman (1943-) Ha scritto un libro molto interessante “Arte un’introduzione filosofica”, in cui osserva diversi eventi della storia dell’arte e propone una tesi conduttrice delle sue analisi. Ed è l’idea per la quale l’arte realizza il proprio significato tanto più è in grado di mettere in dubbio il confine tra “arte” e “non arte”. Questo sembra un tratto che almeno dall’avanguardia in poi colpisce nel segno (esempio: l'orinatoio di Duchamp passa il confine da non arte ad arte. Come? innanzitutto venendo rovesciato, e poi entra nel perimetro di un museo). Bergam risponde a chi sostiene che “l’arte contemporanea non è arte” dicendo che quanto più l’arte fa reagire i suoi osservatori quanto più li si sta producendo un fatto artistico nuovo. Ovviamente non è che tutto diventa arte. Diventa arte il “non artistico” che viola quel confine. Con l’arte pubblica o con l’arte “non arte”. Quello che emerge in molte letture filosofiche dagli anni 80 dell’800 fino ai primi del 900 sono soprattutto due tratti: - Quella che Vattimo chiama la cosiddetta "esplosione dei manifesti" Gli artisti d’avanguardia per la prima volta nella storia dell’arte considerano parte della loro arte la riflessione teorica sull’arte. L’arte è morta come dice Hegel? No perchè gli artisti d’avanguardia continuano a produrre arte, però questa si coniuga sempre di più con la pratica concettuale, con la riflessione. Ciò implica quasi in tutte le avanguardie anche una presa di posizione politica. - Altra questione importante riguardo le avanguardie è il gioco con le “norme”. L’arte rigetta i canoni precedenti ma non si ferma qui, gioca con il concetto stesso di regola, gioca con i canoni precedenti. Tuttavia hanno l’idea che anche la violazione delle norme debba sottoporsi a una qualche regola, per rimanere comunque compresa dal pubblico. La violazione avviene entro certi limiti, è un gioco con l’anarchia. Il cubismo ad esempio rompe con il mondo ma non del tutto. Usa forme geometriche per raccontare il mondo. Approfondimento: Il cinema di Jean Vigò Afferma che il suo cinema può essere definito come “cinema sociale”: cinema che ha un qualcosa a che fare con la società. Benjamin non cita Vigò nella sua filosofia ma alcune delle sue riflessioni sono molto vicine al pensiero di Vigò. L’oggetto di cui si occupa Vigo nei suoi film è “la regola”, regola in quanto norma come istituto che condiziona la vita. E compie una sorta di raddoppiamento della questione della regola: da un lato la regola è oggetto della sua narrazione filmica, dall’altro è il modo in cui lui fa film. Esempio: "ZÉRO DE CONDUITE” La storia parla di un gruppo di adolescenti che frequenta un collegio dove la vita si svolge in modo ripetitivo, tra gli ordini imposti dagli insegnanti che puniscono i ragazzi con lo zero in condotta. Dopo l’ennesima punizione ai ragazzi viene in mente poi l’idea di una ribellione organizzata che culmina il giorno della festa del collegio, quando dal tetto della scuola, presenti le autorità, vengono scagliati sugli ospiti una pioggia di rifiuti. Una costante che si ripete attraverso tutto il film è la natura regolata che assumono i diversi ambienti e contesti. Il termine regola si riferisce al fatto che ogni episodio del film è un contesto di cose, persone e azioni che si costruisce attorno a codici di norme, siano essi nascosti o palesi. Che le cose stiano così per il collegio non sorprende, ma la cosa sorprendente è che la tendenza alla codificazione caratterizza anche i luoghi nei quali nasce la ribellione. La regola come tale quindi subisce una riscrittura che ne muta il segno, ma senza cancellarla o abolirla. Infatti la ribellione avviene secondo uno specifico “codice della violazione”, una violazione codificata grazie alla quale la vicenda può giungere a compimento. Quello delle autorità e quello degli studenti sono due mondi, dotati ciascuno della propria regola e capaci di procedere in parallelo, con gli effetti comici dovuti alle perturbazioni che questa duplicazione delle regole provoca in ciascuno dei campi. Il programma di rottura della ribellione finale
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