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Appunti completi dell’intero corso di Diritto del Lavoro (e Diritto Sindacale). 2023/2024., Appunti di Diritto del Lavoro

TUTTI gli appunti, in ordine cronologico, del corso INTERO di Diritto del Lavoro, tenuto dalla Prof.sa Paola Bozzao. Gli appunti, strettamente dettagliati, sono stilati in forma schematica e perfettamente comprensibile e chiara, grazie all’utilizzo di paragrafi, titoli, punti elenco, parole in grassetto e sottolineature, che ne permettono una comprensione a 360 gradi dell’intera materia. Questi appunti, presi lezione per lezione e revisionati con accuratezza, sono divisi in due sezioni, esattamente come il corso della Prof. La prima sezione, ovvero quella del primo esonero, comprende la parte del Diritto sindacale. La seconda sezione, invece, che riguarda il secondo esonero, comprende la parte del Diritto del Lavoro. Entrambe le parti sono integrate dalle slides che la Prof.sa utilizza durante il suo corso. Il materiale di questi appunti si riferisce al corso da 6 CFU (il programma da 9 è leggermente più ampio). Essi sono COMPLETAMENTE sostituitivi al libro e per gli esoneri.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 02/01/2024

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Scarica Appunti completi dell’intero corso di Diritto del Lavoro (e Diritto Sindacale). 2023/2024. e più Appunti in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Prof.ssa P. Bozzao 2 esoneri scritti: • 1° esonero >> Diritto sindacale. • 2° esonero >> Diritto del lavoro. DIRITTO DEL LAVORO ——————————————————————————————————————————— 1° ESONERO - DIRITTO SINDACALE 26/09/2023 LA DINAMICITÀ DEL DIRITTO DEL LAVORO - Cosa studia il diritto del lavoro? Il diritto del lavoro agisce su due livelli relazionali: • Il rapporto individuale di lavoro. Sono i rapporti di lavoro in senso stretto, ovvero il rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro. • Le relazioni collettive di lavoro. Sono le relazioni che si instaurano e si stabiliscono attorno ai rapporti di lavoro individuali al fine di difendere e rappresentare gli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il diritto di lavoro studia dunque l’organizzazione dei sindacati, la rappresentanza del sindacato, la contrattazione collettiva e i conflitti collettivi. Questo diritto presenta una propria autonomia e diversità culturale rispetto agli altri diritti contrattuali. Innanzitutto, il diritto del lavoro è stato concepito alle origini come parte del diritto privato. Ben presto si è capito che il diritto privato non appare sufficiente a garantire un equilibrio nel rapporto di scambio del lavoro individuale. Si tratta infatti di uno scambio tra il lavoro, la prestazione lavorativa, e la retribuzione. La tutela del contraente debole La tutela del soggetto debole del rapporto di lavoro, chiamato il contraente debole, è riservata nei confronti del lavoratore. • Lavoro subordinato >> Il lavoratore usa le sue energie per soddisfare gli interessi del datore di lavoro, sottoponendosi agli obblighi di quest’ultimo. Il diritto del lavoro interviene dunque nell’evidente situazione di disparità tra le parti a tutela del soggetto debole, per l’appunto il lavoratore. Considerando l’esigenza di tutelare la parte debole, qui di seguito troviamo la tecnica legislativa che per molto tempo ha caratterizzato il diritto del lavoro. La norma di legge inderogabile Art. 2113 c.c. >> Inderogabilità Una certa norma di legge non può essere derogata da parte dell’autonomia individuale e collettiva, che è limitata da questa norma di legge. • Inderogabilità in peius: Ciò che le parti non possono fare è di derogare in senso peggiorativo da parte dell’autonomia privata la propria tutela prevista dalla legge. Lo stesso lavoratore è limitato nella sua autonomia. • Derogabilità in melius: La legge diventa uno standard di tutela, e la norma di legge può essere derogata solo in senso positivo per il lavoratore. La fonte inferiore (contratto individuale rispetto al CCNL, o il CCNL rispetto alla legge) può derogare quella superiore solo in senso più favorevole al lavoratore. Esempi di norme inderogabili: 1 - Divieto di mutamento unilaterale in pejus delle mansioni del lavoratore; - Diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali - Diritto alla sospensione del rapporto di lavoro in alcuni periodi, quali malattia, gravidanza, servizio militare… La tripartizione del diritto del lavoro 1. Il diritto del lavoro in senso stretto. È costituito da tutte quelle norme che disciplinano direttamente il rapporto di lavoro. Si tratta di tutte quelle norme che fissano quei minimi che devono essere garantiti al lavoratore. 2. Il diritto sindacale. Vale a dire le coalizioni sindacali e le loro attività. Nasce in parallelo alla storia del movimento operaio a seguito della rivoluzione industriale. La protezione del lavorate si realizza attraverso una serie di norme, di fonte legale e negoziale, che riguardano: la libertà sindacale, lo sciopero, la stipulazione dei contratti collettivi… - Art. 39 della Costituzione - Art. 40 della Costituzione 3. Diritto della previdenza sociale. La tutela del lavoratore in caso di perdita della capacità lavorativa quale disoccupazione, invalidità, malattia e vecchiaia. Evoluzione del Diritto del Lavoro e origini Il diritto del lavoro muta in base a delle variabili, come la situazione economica sociale e politica del paese e la realtà nella quale è chiamato ad operare. Diverse fasi storiche e origini del diritto del lavoro: - Modello liberale puro (fino ai primi anni ‘90 dell’Ottocento). Codice civile del 1865; - Modello liberale sociale (fine ‘800 - 1919). Il codice Zanardelli del 1889 e la Legislazione Sociale; - Modello corporativo. (Fascismo); - Modello costituzionale (1948); - Modello fordista (dal 1950); - Modello garantista. (Anni ‘60 in poi)… Legge 300 del 1970: lo statuto dei lavoratori; - Modello emergenziale (anni ‘70- ‘80). Due importanti crisi petrolifere che hanno un grosso impatto sull’attività economica; - La transizione verso il nuovo millennio degli anni ‘90; - La legislazione del terzo millennio . MODELLO LIBERALE PURO (‘800 - fine ‘800) - La rivoluzione industriale. Cambia in modo radicale il mondo del lavoro, in un contesto che si fonda ancora fortemente sull’agricoltura. Parte principale è lo sviluppo della macchina, finalizzato alla produzione in serie di un bene. Lo scopo era dunque che ci possa essere un oggetto (la macchina) che produca più oggetti in un arco di tempo più breve. Occorre un luogo dove collocare le macchine, le fabbriche, che nascono nelle grandi città. Gli artigiani vanno a lavorare nelle fabbriche. In Italia l’attività industriale si sviluppa principalmente nel nord, e nel sud rimane un clima agricolo. Le persone si trasferiscono dalle campagne per poter lavorare, pur vivendo in condizioni di miseria. - Ideologia liberale. Un’uguaglianza degli individui e un sostanziale non intervento da parte dello Stato. Il lavoratore mette le sue energie a disposizione di un soggetto che le utilizza, appunto il datore di lavoro. Il datore di lavoro decideva quanti soldi dare al lavoratore, e ne decideva tutte le condizioni di lavoro (il lavoratore era totalmente succube) Il lavoratore ha il divieto assoluto di creare associazioni tra i lavoratori stessi, sanzionato anche con sanzione penale. Le norme a tutela del lavoratore erano pochissime. Gli unici articoli che si riferiscono al lavoro sono quelli contenuti nel codice civile del 1865. - Codice civile del 1865. Titolo IX del Contratto di locazione per oggetto cose • Art. 1570 c.c del 1865. Locatio operis. >> Il soggetto si occupa di produrre una cosa a beneficio di un altro soggetto (il datore di lavoro); • Art. 1627 c.c del 1865. Locatio operarum. Tre tipi di locatio operarum, di cui noi ricordiamo solo una: 2 • Inderogabilità delle norme di legge e dei contratti collettivi. - Art. 2077 c.c. Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale. - Il contratto individuale: è stipulato tra due soggetti privati; - Il contratto collettivo corporativo: è stipulato tra due soggetti privati ma collettivi (sindacato dei lavoratori e l’associazione dei lavoratori). I contratti di lavoro individuali devono conformarsi alle categorie del contratto collettivo. Come agisce? - Se nel contratto individuale vi è una clausola differente, quest’ultima è sostituita di diritto da parte della clausola del contratto collettivo. - Se nel contratto individuale vi è una clausola migliorativa, in meius per il lavoratore, si sostituisce al contratto collettivo. La finalità di questa norma è quella di tutelare l’interesse della parte più debole del rapporto, che è appunto il lavoratore. L’ordinamento, in questo modo, limita il potere del lavoratore di disporre di suoi diritti (si è voluto attenuare la libertà del lavoratore qualora quest’ultima sia peggiorativa per lo stesso lavoratore). - Art. 2113 c.c. Indisponibilità dei diritti. La norma riguarda le rinunzie e le transazioni che hanno oggetto diritti che derivano da norme inderogabili di legge o da norme corporative. LA CADUTA DEL REGIME CORPORATIVO Nel 1943 decade il regime fascista. - Ripristino della libertà sindacale. Vengono stipulati i primi contratti collettivi post corporativi. - Scioglimento dei sindacati fascisti nel 1944. È ancora prevista l’ultrattività dei contratti collettivi corporativi. Ciò significa che continueranno a produrre effetti anche dopo la fine dello scioglimento dei sindacati da cui sono stati stipulati. Le norme del codice penale in contrasto allo sciopero rimarranno in vigore per molto tempo, fino all’introduzione dell’Art. 40 della nostra Costituzione. La Corte costituzionale andrà a reinterpretare la norma presente nel codice penale. - Patto di Roma del 1944. Si costituisce la CGIL unitaria, che è un sindacato. - 1948-1950. CISL e UIL. La componente cattolica costituisce la CISL, quella laica costituisce la UIL. - 1950. Nasce la CISNAL, confederazione di ispirazione corporativa. 02/10/2023 MODELLO COSTITUZIONALE (1948) La nostra Costituzione da una grande attenzione al lavoro. - Art. 1 della Costituzione. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Con il lavoro non si intende solo il metodo di sostentamento, ma il mezzo attraverso il quale si afferma la propria personalità (mezzo di espressione di se stessi e della personalità e della dignità dell’essere umano). Il lavoro rientra nell’ambito dei diritti inviolabili di cui l’Art. 2 della Costituzione - Art. 3 della Costituzione. Principio di uguaglianza, con particolare attenzione del comma 2. Si tratta di un’uguaglianza sostanziale, nel senso che effettivamente nella realtà l’uguaglianza non esiste, ma è un obiettivo verso il quale deve tendere l’ordinamento che deve rimuovere gli ostacoli che impediscono quell’uguaglianza. - Art. 4 della Costituzione. Il lavoro come diritto e come dovere. Il lavoro è il più importante diritto sociale. È una norma a carattere programmatico, nel senso che stimola la Repubblica ad attivarsi per perseguire l’obiettivo della piena occupazione. L’Art. 4 non garantisce il diritto al conseguimento di un lavoro. Da una parte impone allo Stato ad accertarsi che non vi siano dei comportamenti discriminatori nell’accesso al lavoro, e nell’altra serve a indirizzare i poteri pubblici. 5 - TITOLO III DELLA COSTITUZIONE: - Art. 35 della Costituzione. - 1 comma. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. A differenza dell’Art. 4 che è una norma programmatica, questa è una norma direttamente ricettiva. - Art. 36 della Costituzione. La retribuzione. - 1 comma. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa, a se e alla sua famiglia. Non esiste nel nostro paese una retribuzione garantita e assicurata ai lavoratori dalla legge, ma la retribuzione è normata dai contratti collettivi. - 2 comma. Diritto al riposo settimanale e a ferire annuali retribuite. È una norma inderogabile perché il lavoratore non può rinunciarvi. - Art. 37 della Costituzione. Il lavoro delle donne e dei minori. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e le stesse retribuzioni del lavoratore maschio. Viene tutelata anche la figura della donna lavoratrice madre. - 3 comma. Età minima del lavoro, disciplinata dalla legge. - 4 comma. Tutela del lavoro dei minori. - Art. 38 della Costituzione. Diritto alla assistenza sociale. - 1 comma. Ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere. - 2 comma. Ai lavoratori, per infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. - 3 comma. Educazione e avvitamento professionale per gli inabili. - 4 comma. Gli enti di previdenza (INPS) - 5 comma. Libertà di assistenza privata. - Art. 39 della Costituzione. L’organizzazione sindacale è libera. - 2 comma. I sindacati devono essere registrati con un ordinamento interno a base democratica, acquisendo personalità giuridica. Essi possono stipulare contratti collettivi ad efficacia erga omnes. - Art. 40 della Costituzione. Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. Lo sciopero è riconosciuto come un diritto nella nostra Costituzione (vediamo come prima era considerato un reato). Servono delle leggi che regolamentano l’esercizio del diritto di sciopero che fino al 1990 non sono mai state adottate. La legge 146 del 1990 garantisce una prestazione minima nell’esercizio dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. - Art. 41 della Costituzione. Tutela la libertà di iniziativa economica e privata, che non può recare danno alla sicurezza, libertà e dignità umana. 03/10/2023 MODELLO FORDISTA (Dagli anni ‘50) Si afferma il modello di produzione fordista. In Italia ci si concentra sul cosiddetto triangolo industriale: - Milano; - Torino; - Genova. Il sistema di produzione è quello fordista, introdotto da Ford nel 1913 nel momento in cui introduce nella sua fabbrica la catena di montaggio, con conseguente rivoluzione dell’organizzazione del lavoro. Principali caratteristiche: - Trasformazione tecnologica e riorganizzazione dell’impresa in chiave tayloristica >> assegnazione al lavoratore di compiti semplici e ripetitivi, che il lavoratore compie in dei tempi prestabiliti, svolgendo sempre lo stesso compito. - Parcellizzazione del processo produttivo. Il processo produttivo viene scomposto, appunto, in tanti piccoli compiti semplici da svolgere che possono essere svolti pure da lavoratori non formati e poco esperti. Conseguenze: - Nuova composizione della forza lavoro, formata da operai generici. Dato che sono poco specializzati, è facile sostituire gli operai. 6 - Diminuzione dei tempi di produzione con conseguente aumento della quantità. Si ottiene la produzione di massa di oggetti omogenei, e si parlerà del Boom economico degli anni ‘60. Sono pochi i cambiamenti nel diritto del lavoro, dato che i diritti continuano a seguire il codice civile del fascismo. - Il datore di lavoro conserva tutte le prerogative di tipo direttivo, di cui la libertà di licenziamento. - Il lavoratore non ha libertà di espressione all’interno dei luoghi di lavoro. - Il sindacato, nonostante il fatto che fosse reso di nuovo libero, ha fatica a organizzarsi. • Legge del 1949 >> Accentramento in mano a soggetti pubblici. Il collocamento dei lavoratori gestito da strutture pubbliche • Legge del 1959 >> Lavoro a domicilio • Legge del 1955 >> Il contratto di apprendistato • Legge del 1958 >> Lavoro domestico Nel campo sindacale: • Legge 741 del 1959 >> Legge Vigorelli. • Il sindacato fatica ad organizzarsi, soprattutto la contrattazione collettiva che è svolta dal sindacato confederale. • Contratti collettivi confederali >> tutelare gli interessi comuni e importanti per i lavoratori (tutela retributiva, l’occupazione dei lavoratori…) • Costituzione di carta. Ancora non garantisce la tutela ai lavoratori. MODELLO GARANTISTA (Anni ‘60…) Tra il 1958 e il 1963 abbiamo un grande sviluppo dell’industria che porterà alle grandi assunzioni di massa dei lavoratori e ad un boom economico. I lavoratori continuano a lavorare con ritmi intensi e faticosi, e cominciano a chiedere sempre di più a partecipare alle decisioni riguardanti il loro lavoro. Innovazioni: - Si chiedono miglioramenti delle condizioni di lavoro e aumenti del salario; - Si chiedono diritti sindacali; - Legge 1369 del 1960 >> viene introdotto il divieto di interposizione di manodopera. Si tratta del divieto di intervento di un terzo tra il lavoratore e il datore. Questa legge serve per combattere il caporalato (appunto l’intervento di terzi che si interpone tra le due parti); - Legge 230 del 1962 >> viene regolato il lavoro a tempo determinato. Il contratto di lavoro a tempo determinato viene considerata un’eccezione rispetto a quello indeterminato. - Art. 1. Il contratto di lavoro si conta a tempo indeterminato, salvo le eccezioni che rendono possibile espressivamente e tassativamente il lavoro a tempo determinato. - Legge 604 del 1966 >> si norma la materia del licenziamento individuale. A tutela del lavoratore, viene introdotto il principio per cui il licenziamento, per essere legittimo, deve essere giustificato. - Legge 300 del 1970 >> lo statuto dei lavoratori. Il sindacato riconosce una serie di tutele all’interno del luogo di lavoro, con conseguenti limiti del potere del datore di lavoro. - Patto federativo del 1972 >> è sottoscritto dalle tre grandi confederazioni per garantire la loro unità sindacale. Attraverso questo patto, le tre confederazioni si muovono su una linea condivisa, con il presupposto che il sindacato unito è più forte. - Legge 7 del 1963 >> Divieto di licenziamento della lavoratrice per il matrimonio MODELLO EMERGENZIALE (anni ‘70 - ‘80) Dal modello garantista al modello emergenziale Sono anni del culmine, che verrà tuttavia interrotto dalla crisi petrolifera del ‘73. Il diritto del lavoro, che fino a questo momento era stato un diritto acquisitivo (cioè che aveva acquisito delle tutele per il lavoratore), diventa un diritto difensivo (lo scopo è infatti la difesa del lavoratore). 7 LA PANDEMIA e POST PANDEMIA (dal 2020 ad oggi) - Blocco dei licenziamenti; - Cassa integrazione guadagni con una nuova causa “Covid”; - Smart working; - Dibattito sul salario minimo legale - Reddito di cittadinanza; - Assegno unico universale. 04/10/2023 Peculiarità delle fonti del diritto del lavoro Vi sono almeno 3 peculiarità: 1. Coesistenza di fonti eteronome (esterne, create dal legislatore) ed autonome (derivano dalla libera determinazione delle parti, privata e collettiva) • Fonti eteronome: Costituzione, leggi ordinarie • Fonti autonome: Contratto collettivo. È una fonte sostanziale, materiale, che va a regolare i rapporti di lavoro. Bisognerà verificare i rapporti tra legge, contratto collettivo e contratto individuale. 2. Ruolo delle fonti sovranazionali (diritto internazionale e diritto europeo). • Diritto internazionale >> Produce una serie di norme in grado di penetrare nel nostro ordinamento attraverso delle leggi di ratifica; • Diritto europeo >> produce norme che operano in maniera diretta sull’ordinamento nazionale, creando problemi di coordinamento, in particolare: - Regolamenti - Direttive 3. Legislazione regionale >> A seguito della riforma dell’Art. 117 della Costituzione. Il nuovo testo affida alle Regioni una generale ed esclusiva podestà legislativa, con l’eccezione delle materie a legislazione esclusiva (dello Stato) e materie concorrenti. • Art. 117 della Costituzione. - Materie esclusive dello Stato: ordinamento civile (compresi i rapporti privati tra cui quelli di lavoro, così come il diritto sindacale, e la previdenza sociale) - Materie concorrenti tra Stato e Regione: tutela e sicurezza del lavoro. Tutte le materie che non sono indicate in quelle esclusive e concorrenti, saranno di competenza delle Regioni. 09/10/2023 IL DIRITTO SINDACALE ART. 39 DELLA COSTITUZIONE - Che cosa studia il diritto sindacale?; - Le fonti del diritto sindacale; - Art. 39 della Costituzione. Il principio di libertà sindacale; - Il sindacato, - Il contratto collettivo di diritto comune; - La contrattazione collettiva; - Art. 40 della Costituzione. Che cosa studia il diritto sindacale? Riguarda l’area del lavoro privato, con differenze sostanziali rispetto al lavoro pubblico nella PA. Le differenze riguardano principalmente le parti, i rapporti che esistono, le procedure che devono essere rispettate nel settore pubblico per la stipulazione del contratto collettivo e la rappresentanza del sindacato. 10 Contenuti del diritto sindacale. Il diritto del lavoro e sindacale sono strettamente connessi alla storia del movimento operaio. Si tratta delle conseguenze delle rivolte collettive da parte dei lavoratori. L’autonomia delle parti collettive ha fatto nascere il contratto collettivo di diritto comune. Il diritto sindacale nasce dall’insieme di norme che disciplinano l’organizzazione collettiva dei diversi gruppi professionali (che rappresentano gli interessi sia dei lavoratori che dei datori di lavoro), e gli strumenti della loro azione. Si normerà dunque l’attività sindacale, il contratto collettivo e il conflitto collettivo (lo sciopero). Fonti del diritto sindacale. Il diritto sindacale è regolato da molteplici fonti, anche sovranazionali. Tra le fonti internazionali, vi sono due convenzioni degli anni ‘40: • Convenzione n. 87 del 1948. La libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale. • Convenzione n. 98 del 1949. Diritto di organizzazione e contrattazione collettiva. Queste due convenzioni sono state ratificate dal nostro paese nel 1958. Particolarmente importanti sono le fonti europee: • Art. 153 del TFUE. Pari opportunità e parità di trattamento in materia di occupazione e impiego. Indica le materie di competenza concorrente dell’UE con gli Stati membri. Questa norma esclude delle materie di grande importanza nel diritto sindacale (sono escluse dall’UE le seguenti materie: la libertà sindacale, il diritto di sciopero, la serrata, il diritto di associazioni). L’unica materia del diritto sindacale di competenza dell’UE sono i diritti di informazione e consultazione sindacale, dove l’UE ha competenza legislativa. Questa competenza riservata all’UE la ritroviamo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: - Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea: • Art. 27 della Carta di Nizza. >> “Diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa.” Questo articolo riconosce ai lavoratori la tutela dell’informazione e consultazione in tempo utile alle condizioni previste dal diritto comunitario e dall’ordinamento nazionale; • Art. 28 della Carta di Nizza. >> “Diritto di negoziazione e di azione collettiva.” Questo articolo riconosce ai lavoratori e ai datori di lavoro (o le organizzazioni) il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi, ma riconosce anche il diritto di ricorrere ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi e in caso di conflitti, compreso lo sciopero. Nella normativa europea troviamo anche un importante strumento che consente alle parti sociali di partecipare alla costruzione del Diritto Europeo (le parti sociali hanno uno spazio importante, ovvero il dialogo sociale europeo) • Dialogo sociale europeo >> Tutte le discussioni, le contrattazioni e i negoziati avviati a livello europeo. Il TFUE disciplina la procedura di tale dialogo. ART. 39 DELLA COSTITUZIONE L’organizzazione sindacale è libera “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia erga obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.” 1° comma dell’Art. 39 della Costituzione: • 1° COMMA, 1° PARTE . >> L’organizzazione sindacale è libera. - Non si parla di associazione sindacale, ma di organizzazione (ha dunque una valenza più ampia). Quando ci si organizza, non serve la configurazione associativa per essere protetti perché per l’appunto si parla di organizzazione; - Il termine sindacale va desunto tempo per tempo, e cambia in base all’evoluzione storica. 11 - Con libertà sindacale, distinguiamo due profili: PROFILI INDIVIDUALI. Intesa come le libertà del singolo individuo. Due tipi di libertà del singolo individuo: - Libertà positiva. È la libertà che ha ogni lavoratore di iscriversi liberamente ad un sindacato. - Libertà negativa. È la libertà che ha ogni lavoratore di decidere di non iscriversi a nessun sindacato, oppure iscriversi ad un sindacato e decidere di non iscriversi ad un altro sindacato. PROFILI COLLETTIVI. Intesa come libertà del soggetto collettivo. Si articolano in due letture: 1. Lettura classica: - Libertà di organizzazione sindacale. La libertà del sindacato di organizzarsi. • Garanzie di NON ingerenza. >> Lo Stato NON può porre in essere comportamenti e atti che possano ledere la libertà collettiva del sindacato (ad esempio, NON può predefinire gli scopi del sindacato, o la categoria di rifermento, la sua forma giuridica); 2. Lettura dinamica e attiva: - Libertà di azione sindacale. La libertà del sindacato di svolgere la sua attività. • Dimensione promozionale. >> È garantito un intervento di tipo promozionale e di sostegno all’attività sindacale da parte dello Stato. Particolare riferimento è dato al Titolo III dello Statuto dei lavoratori, che serve per rendere effettiva la presenza sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. Lo stato promuove, attraverso un’attività di sostegno, l’azione del sindacato attraverso il riconoscimento dell’attività del sindacato. - PROFILI INDIVIDUALI. TITOLO II, STATUTO DEI LAVORATORI ARTT. 14 - 15 - 16 - 17 della LEGGE N. 300 DEL 1970. L’esistenza di queste due libertà (positive e negative) è sancita in maniera più rilevante nello Statuto dei lavoratori (legge n.300 del 1970)*, in particolare negli Articoli che vanno dall’Art. 14 all’Art. 17 del TITOLO II dello Statuto dei lavoratori: • Art. 14 della Legge n. 300 del 1970 >> Diritto di associazione e libertà sindacale, nei luoghi di lavoro e nei confronti dei datori di lavoro. “Tutti i lavoratori hanno il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, ed è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro”; - Art. 15 della Legge n. 300 del 1970. >> Atti discriminatori. - 1°Comma. Il lavoratore non deve essere discriminato in ragione del fatto se aderisce o non aderisce ad un sindacato. La non discriminazione vale per l’intero svolgimento della prestazione lavorativa. - 2° Comma. Le discriminazioni valgono anche per la discriminazione politica, razziale, religiosa, di lingua o di sesso, di handicap, di età o orientamento sessuale; - Art. 16 della Legge n. 300 del 1970. >> Divieto di trattamenti economici collettivi discriminatori. - 1°Comma. Per trattamento economico non si intende solo la concessione di denaro, ma una qualsiasi concessione che può essere valutata in termini economici (un trattamento di ferie maggiore rispetto ad un altro); - 2°Comma. Sanzione di tipo economico nei confronti del datore di lavoro che ha favorito un trattamento economico discriminatorio. È una norma che non tutela il lavoratore, ma comporta esclusivamente una sanzione economica al datore di lavoro e nessun beneficio per il lavoratore; - Art. 17 della Legge n. 300 del 1970. >> Divieto di sindacalismo di comodo. Si vuole evitare che il datore di lavoro possa andare ad alterare la funzione istituzionale del sindacato. Il datore di lavoro non può sostenere economicamente sindacati (per favorire un sindacato piuttosto che un altro). Non potrà mai essere sciolto il sindacato, ma verrà vietata l’azione del datore di lavoro. - Art. 18 della legge n. 300 del 1970. >> Licenziamento 12 SINDACATO CONFEDERALE Ha una doppia struttura, orizzontale e verticale: - Orizzontale >> è basata su un criterio territoriale e intercategoriale. Definisce le linee di azione del sindacato, che vale per tutte le associazioni di categoria che aderiscono alla medesima confederazione. Operano azioni di cooperazione e servizio. È strutturata in tal maniera: - Confederazione. Sono portavoce anche dei pensionati e non solo dei lavoratori; - Struttura regionale intercategoriale; - Struttura territoriale intercategoriale (ad esempio, la Camera del Lavoro). In genere sono strutture provinciali, e rappresentano tutti i lavoratori che operano in un certo territorio, indipendentemente dalla categoria di riferimento; - Verticale >> è basata sul criterio della categoria. È la più importante perché firma i contratti collettivi. È strutturata in tale maniera: - Confederazione (CGIL, CISL…). È una struttura intercategoriale, nel senso che aggrega e coordina gli interessi delle diverse categorie; - Federazione nazionale di categoria. È il soggetto che firma il contratto collettivo nazionale di lavoro; - Struttura regionale di categoria; - Struttura provinciale di categoria; - Struttura dei luoghi di lavoro. (RSA-RSU) Di Vittorio si pronuncia in materia, riferendosi all’ex articolo 35 della Costituzione (l’attuale 35), e ci spiega che l’articolo 39 avrà efficacia grazie ad una legge, che darà nascita al contratto collettivo erga omnes. 10/10/2023 Il catalogo dei diritti sindacali situati nel Titolo III dello Statuto dei lavoratori L’elenco di diritti riconosciuti ai sindacati all’interno dei luoghi di lavoro è il seguente: 1) Diritto di assemblea (art. 20); 2) Diritto a svolgere referendum (art. 21); 3) Diritto dei dirigenti delle rappresentanze sindacali a fruire dei permessi sindacali retribuiti o non retribuiti (artt. 23 e 24); 4) Diritto di affissione nella bacheca sindacale (art. 25); 5) Diritto di svolgere proselitismo e raccogliere contributi sindacali (art. 26); 6) Obbligo datoriale di predisposizione di locali idonei all’esercizio delle funzioni sindacali e per lo svolgimento delle riunioni (art. 27); 7) La norma “di chiusura”: (art. 28.). In che modo si decide di appartenere alla categoria sindacale? Si sceglie la categoria sindacale che è presente negli Statuti di federazioni di categoria. La categoria viene individuata in base al settore di attività in cui l’impresa è inserita. Esempi: - FIOM >> tutti i lavoratori operanti nell’impresa metalmeccanica - FEMCA. - UIL >> tutti i lavoratori impiegati nella Scuola. Personale, docenti, educativi, amministrativi… nelle istituzioni scolastiche Le confederazioni sono quelle che firmano il contratto nazionale del lavoro, e ogni federazione è contenuta dentro una confederazione. Bisogna comunque considerare anche l’esistenza di sindacati autonomi (non sempre i CCNL sono firmati dai sindacati confederali). 15 11/10/2023 Associazione sindacale degli imprenditori Il sindacalismo datoriale è un sindacalismo di risposta, ovvero di resistenza nei confronti dei sindacati dei lavoratori (i datori di lavoro si sono organizzati per difendersi dalle richieste avanzate dai sindacati dei lavoratori). Le confederazioni degli imprenditori si dividono in base al settore economico di riferimento (industria, agricoltura, commercio, artigianato), e si distinguono in relazione ad altri fattori quali, ad esempio, la natura pubblica o privata del datore di lavoro (ARAN), o la dimensione delle aziende. La più importante associazione sindacale degli imprenditori è la Confindustria, e a queste si affiancano altre importanti, ad esempio: - Confartigianato / CNA; - Confcommercio / Confesercenti; - Confagricoltura; - Confapi; - L’Associazione R.ETE. Imprese Italia L’Associazione R.ETE. Imprese Italia e l’ARAN nel settore pubblico L’Associazione R.ETE. Imprese Italia è stata un’organismo di rappresentanza unitaria di 5 grandi organizzazioni datoriali di micro-piccole-medie imprese (notiamo come il nostro è un paese di piccolissime imprese, e le grandi aziende sono davvero poche). Questa organizzazione aveva il compito di porsi come unico interlocutore per portare avanti gli interessi di molte categorie di riferimento degli imprenditori. Nel pubblico impiego, invece, abbiamo un unico soggetto di rappresentanza nazionale delle PA intesa come datore di lavoro, che sarebbe l’ARAN. L’ARAN è l’unico soggetto che contratta nel settore pubblico. Confederazione e federazioni di settore La federazione datoriale A loro volta, le confederazioni si articolano in federazioni di settore (e non più di categoria). Ad esempio, all’interno della Confindustria troviamo altre federazioni come: - Federchimica; - Federmeccanica. Soggetti che stipulano i contratti collettivi nazionali (CCNL) “Le federazioni nazionali di categoria (da parte dei lavoratori) e le federazioni nazionali di settore (da parte degli imprenditori) sono i soggetti firmatari del CCNL di categoria.” La federazione datoriale è la controparte che firma il CCNL (i contratti vanno firmati tra le due federazioni). Al loro interno sono anche presenti delle ulteriori associazioni. La libertà di associazione concerne anche il datore di lavoro, e la pluralità di sindacati crea una concorrenza interna. Organizzazioni sindacali a livello sovranazionale Particolarmente importanti sono le organizzazioni sindacali a livello europeo, in particolare: - Confederazione Europea dei Sindacati (CES) per i lavoratori; - Unione delle Industrie della Comunità Europea (UNICE). 16 Pluralismo sindacale ed esigenza di “selezione”: il sindacato maggiormente rappresentativo RSA e RSU La rappresentatività del sindacato A causa della pluralità sindacale, è emersa la necessità, da parte del legislatore, di individuare dei filtri, in modo da selezionare alcuni sindacati a cui l’ordinamento riconosce una serie di diritti, tra cui POTERI, FUNZIONI e PREROGATIVE. Questa funzione del legislatore prende il nome di funzione selettiva, e ci apre le porte per la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo. • Sindacato maggiormente rappresentativo >> Viene introdotto nel nostro ordinamento proprio per riconoscere ad alcuni sindacati, piuttosto che ad altri, una serie di poteri, funzioni e prerogative, come già visto. È un meccanismo selettivo. In un sistema di pluralismo sindacale, occorre cioè porre un filtro per i sindacati che godono di maggiore autorevolezza. La legge, spesso, rinvia al contratto collettivo il compito di regolare determinati istituti. Il legislatore dunque rinvia ai contratti collettivi firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Art. 19 della Legge n. 300 del 1970, Statuto dei lavoratori e il modello del doppio canale Anche la legge n. 300 del 70 fa riferimento al sindacato maggiormente rappresentativo Ad oggi l’espressione più utilizzata per intendere il sindacato maggiormente rappresentativo è l’espressione “sindacato comparativamente più rappresentativo” Nel nostro sistema, la rappresentanza sindacale in azienda ha seguito il modello del canale unico di rappresentanza. Questo modello implica che vi è un’unica struttura che fa tutto, ed è il canale utilizzato in Italia. Nel modello del doppio canale, invece, abbiamo appunto due strutture: 1. Struttura di tipo elettivo. Rappresenta tutti i lavoratori. Ha funzioni consultive. 2. Struttura di tipo associativo. È riconducibile ai sindacati, e rappresenta i lavoratori iscritti ai sindacati e ha funzione di contrattazione collettiva. Le forme di rappresentanza sindacale in azienda (RSA) • La commissione interna. È stata la prima forma di rappresentanza sindacale unitaria all’interno dell’azienda. Era una rappresentanza elettiva, e rappresentava tutti i lavoratori occupati nell’azienda stessa (la commissione interna poteva stipulare contratti, ma questo potere le fu tolto attraverso degli accordi alla fine degli anni ‘60). • Il consiglio di fabbrica (o dei delegati). Si sviluppa a fine anni ‘60 in un periodo in cui i lavoratori cominciavano a contrastare i poteri datoriale. Nasce come forma di rappresentanza spontanea, e tratta lavoratori che appartengono ad un gruppo omogeneo (lavoratori uniti da una stessa situazione lavorativa). All’interno di questi gruppi vengono eletti in maniera democratica dei delegati, e l’insieme dei delegati creerà il consiglio di fabbrica. Nel corso del tempo il consiglio di fabbrica acquisisce sempre più potere, diventando i diretti interlocutori dei datori di lavoro e scavalcando spesso i sindacati. Nel patto federativo del 72, il consiglio di fabbrica verrà riconosciuto come istanza sindacale, con poteri di contrattazione lavorativa. Questo significa che la rappresentanza sindacale aziendale deve ricevere un’investitura da parte dei lavoratori. Sindacato maggiormente rappresentativo e l’ORIGINALE Art. 19 della Legge n. 300 del 1970, Statuto dei lavoratori. Le Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA) possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito (RSA è costituita in unità produttiva e non in azienda, vedi Art. 35 della legge n. 300 del 1070): 17 I lavoratori esprimono cioè la loro preferenza tra i candidati inseriti in liste in competizione. Le liste sono presentate dai sindacati firmatari, che raccolgono un numero di firme non inferiore al 5% degli aventi diritto al voto. Composizione delle RSU prima e dopo l’Accordo del 2014 - Nell’Accordo del 1993: Nella previsione originaria delle RSU, ovvero nella previsione del 1993, la componente rappresentativa era composta seguendo due modalità: - Composizione elettiva: i 2/3 dei componenti della RSU erano eletti da parte di tutti i lavoratori; - Componente designata: il resto di 1/3 era designato dal sindacato che aveva firmato il CCNL applicato per ogni unita produttiva. Si garantiva così un minimo di presenza sindacale. - Nell’Accordo del 2014: Con il nuovo accordo interconfederale del 2014, i componenti delle RSU sono interamente scelti a suffragio universale e a scrutinio segreto tra le liste concorrenti (è venuto meno il principio della componente designata). Relazione tra RSA e RSU Per quanto riguarda le differenze tra le due rappresentanze, dobbiamo ricordare che: - Le RSA seguono ogni condizione di cui l’Art. 19 della Legge n. 300 del 1970, mentre le RSU sono un organismo unitario. - Si tratta di due modelli in azienda alternativi. - All’interno della stessa unità produttiva, possiamo trovare sia RSU che RSA. Il limite è che il sindacato partecipi solo alle elezioni di una delle due (o fa parte delle RSA, o si candida per le RSU). Le funzioni delle RSU - Le RSU sono titolari, in alternativa delle rsa, dei diritti sindacali riconosciuti dalla Legge n. 300 del 1970 - Sono legittimati a stipulare contratti collettivi aziendali, che però devono essere firmati insieme alle strutture territoriali (generalmente provinciali) dei sindacati firmatari del contratto collettivo. I sindacati hanno quindi potere negoziale (sono soggetti di contrattazione collettiva). Sindacato comparativamente più rappresentativo La nozione di Sindacato comparativamente più rappresentativo è stata introdotta nella Legge n. 549 del 1995. Questa legge ruota intorno al contenuto della retribuzione a fini previdenziali (o retribuzione imponibile negli anni ‘80), con lo scopo di fare chiarezza sulla retribuzione poiché esistono una pluralità di contratti collettivi anche nella medesima unità produttiva. Il legislatore dichiara dunque che la retribuzione di base è quella stabilità dai contratti collettivi istituiti dai sindacati più rappresentativi nella categoria produttiva. Il legislatore inizia a combattere dunque contro i contratti collettivi pirata, ovvero: • Contratto collettivo pirata > Sono contratti che vengono firmati dai sindacati minori poco rappresentativi, che fissano retribuzioni assai inferiori da quelle previste dagli altri sindacati. Il legislatore usa la nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo per selezionare il sindacato che abbia firmato un contratto con la retribuzione esatta, oppure consentire di scegliere quale sia applicabile fra due o più contratti collettivi conclusi. Come sappiamo, non vi è definizione legale del sindacato comparativamente più rappresentativo, e quindi le fonti ci spiegano che per indicare questo particolare tipo di sindacato, e distinguerlo tra altre sigle sindacali, occorre seguire dei criteri, che rappresentano un giudizio di comparazione con altri sindacati. Questi criteri sono: - Verificare se c’è una significativa presenza dei lavoratori; - Verificare se è presente una presenza significativa a livello nazionale, - I sindacati devono aver partecipato alla formazione e alla stipulazione dei contratti collettivi di lavoro. 20 17/10/2023 I DIRITTI SINDACALI IN AZIENDA Titolo III, Statuto dei lavoratori La costituzione delle Rappresentanze Sindacali, che siano RSA o RSU, da accesso ad una serie di diritti che trovano la propria fonte all’interno del Titolo III dello Statuto dei Lavoratori. Il Titolo III è stato pensato dal legislatore con la finalità di dare una garanzia di effettività alla libertà sindacale. Si parla dunque degli strumenti dati alle rappresentanze sindacali. I diritti sindacali in azienda (così chiamati perché sono garantiti all’interno del luogo di lavoro), servono a garantire la libertà sindacale, l’attività sindacale e il diritto di sciopero (l’insieme di queste tre libertà costituisce la condotta sindacale) I Diritti sindacali in azienda sono: Diritto di assemblea Art. 20 dello Statuto dei lavoratori. • Art. 20 dello Statuto dei lavoratori. >> Diritto di assemblea >> “I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.” L’articolo ci delinea che i lavoratori hanno diritto di riunirsi durante l’orario di lavoro con il limite di dieci ore annue. - Limite di dieci ore annue >> Si tratta di un limite destinato alle RSA. Per quanto riguarda l’RSU, il meccanismo è diverso, perché si pone come un meccanismo unitario. Il limite di dieci ore annue è un limite complessivo, cioè si tratta di quelle dieci ore economicamente sopportate dal datore di lavoro, indipendentemente da quale sia la rappresentanza sindacale che le utilizza. È un limite generale all’interno dell’orario di lavoro (le riunioni al di fuori dell’orario di lavoro non hanno limite di ore annue). Si tratta di un limite che permette un bilanciamento tra le due parti, dato che comunque anche il datore di lavoro vede lesa la sua attività (e dovrà in ogni caso pagare le dieci ore di assemblea). - CHI PUÒ CHIEDERE L’ASSEMBLEA? La titolarità di indire l’assemblea spetta alle Rappresentanza Sindacali. - Nel caso delle RSA: Si può ricorrere ad una suddivisione della RSA sulla base di accordi sindacali (criterio di suddivisione dei diritti sindacali). Nel caso questa suddivisione non fosse possibile, si va in base ad un criterio di precedenza, ovvero la prima RSA che chiede il diritto di assemblea ha la precedenza. Non è un problema del datore di lavoro se sono presenti conflitti tra i rapporti sindacali. - Nel caso della RSU: Ci si chiede se la titolarità di chiedere il diritto di assemblea spetti al singolo membro del RSU, oppure al collegio nel suo complesso. La soluzione dalla giurisprudenza è stata data dal fatto che il diritto aspetta collegialmente all’RSU (che opera votando a maggioranza). L’Articolo ci spiega inoltre che i contratti collettivi possono stabilire delle ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea (abbiamo già affrontato il criterio di suddivisione o di precedenza), come ad esempio stabilendo delle ore aggiuntive al fine di un trattamento migliorativo. Ciò che non possono fare è decurtare (diminuire) il numero di ore rispetto a quelle previste dall’Art. 20 dello Statuto dei lavoratori. OBBLIGHI DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI: Le Rappresentanza ha un onere di comunicazione, indicando: - L’ordine del giorno (le materie trattate all’interno dell’assemblea); - Dichiarando se sono state effettuate delle convocazioni; 21 - Dichiarando la presenza della partecipazione di dirigenti esterni. OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO: Il datore di lavoro può partecipare solo se è stato invitato, perché il lavoratore deve essere libero di comunicare con la propria rappresentanza sindacale senza la presenza del suo datore di lavoro. Inoltre, il datore di lavoro deve mettere a disposizione, all’interno della sua azienda, un locale idoneo allo svolgimento dell’assemblea. - COSA SUCCEDE NEL CASO IN CUI SI SUPERANO LE 10 ORE DI ASSEMBLEA? • Sospensione bilaterale delle obbligazioni reciproche. Le ore non verranno regolarmente retribuite; • Inadempimento. Si tratta di una sanzione disciplinare nei confronti del lavoratore. Dal punto di vista contrattuale, sarebbe più attuabile l’inadempimento. In realtà, è intervenuta la Corte di cassazione, dichiarando che vi è una sospensione bilaterale delle obbligazioni reciproche, e il lavoratore comunque non verrà sanzionato. Diritto di referendum aziendale Art. 21 dello Statuto dei lavoratori • Art. 21 dello Statuto dei lavoratori. >> Referendum aziendale. “Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata. Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.” È il secondo dei diritti dati alle rappresentanze sindacali in azienda. L’Articolo ci spiega che hanno diritto a partecipare al referendum tutti i lavoratori dell’unità produttiva, o tutti i lavoratori della categoria interessata. I lavoratori hanno un potere meramente consultivo, nel senso che non vi è una possibilità dei lavoratori di decidere, ma ha una valenza esclusivamente sociale (il lavoratore non ha il potere di decisione ma soltanto di consultazione). Anche in questo caso, come nel diritto di assemblea, il contratto collettivo ha il potere di stabilire le ulteriori modalità di svolgimento del referendum. Si tratta di un’attività molto pericolosa per le rappresentanze sindacali, dato che il referendum può esprimere un risultato diverso rispetto alla linea di condotta (l’associazione deve stare molto attenta a quali materie sottoporre a referendum). OGGETTO DEL REFERENDUM: le materie inerenti all’attività sindacale. La giurisprudenza è abbastanza larga sulle materie, a differenza dell’assemblea (mentre nell’assemblea abbiamo il limite di orario, nel referendum siamo fuori dall’orario di lavoro, e quindi c’è più libertà di materie). - CHI PUÒ INDIRE IL REFERENDUM? - RSA: le RSA si muovono insieme; - RSU: Le RSU all’interno votano in maggioranza, all’esterno sono considerate collegialmente. OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO Il datore di lavoro ha un onere di collaborazione: ciò vuol dire che deve porre in essere quelle attività funzionali allo svolgimento del diritto (non può ad esempio chiudere l’aula dove si svolge il referendum). I contratti collettivi vanno a definire le ulteriori modalità di svolgimento del referendum. Diritto di trasferimento dei dirigenti delle RSA Art. 22 dello Statuto dei lavoratori • Art. 22 dello Statuto dei lavoratori. >> Il trasferimento dei dirigenti delle RSA. “Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza. 22 1. Da una parte, viene attuato l’Art. 28 dello Statuto dei lavoratori di cui sopra. Qui si intende tutelare l’interesse sindacale. 2. Dall’altra parte, attraverso la tutela ordinaria, si tutela il diritto del singolo lavoratore, con ricorso separato. L’elemento soggettivo è irrilevante (vale a dire le intenzioni che hanno portato il datore di lavoro ad attuare quella condotta illegittima), perché l’unica cosa che ci interessa è l’effetto della condotta. CHI PUÒ LAMENTARE UNA CONDOTTA ANTISINDACALE? Hanno accesso al ricorso dell’Art. 28 dello Statuto dei lavoratori solo le associazioni sindacali nazionali. • Legittimazione passiva: l’associazione sindacale non si rivolge all’associazione datoriale, ma al datore di lavoro, ovvero alla società in cui il lavoratore è assunto. Le aspettative Art. 30 dello Statuto dei lavoratori I permessi sindacali sono destinati anche ad altri soggetti che hanno dei ruoli sindacali diversi dalle RSA o RSU. Si tratta dei permessi per i dirigenti provinciali e nazionali e delle aspettative dei lavoratori di funzioni pubbliche. Con aspettativa si intende una sospensione dell’obbligo del lavoratore di lavorare, aspettativa che dura per la durata del mandato e che può essere retribuita o non retribuita. • Art. 30 dello Statuto dei lavoratori. >> Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali. Si parla di permessi per partecipare a consigli, assemblee, comitati e coordinamento con RSA da parte degli organi direttivi, provinciali e nazionali. Il CCNL detta la modalità di funzione. 23/10/2023 Il contratto collettivo di diritto comune - Il problema del contratto collettivo e della sua efficacia lo abbiamo già ritrovato durante il periodo corporativo (dove poteva essere riconosciuta legalmente solo un’associazione, che aveva il potere di rappresentanza sindacale di tutti i soggetti iscritti e non iscritti alla categorie). Esso aveva infatti efficacia erga omnes ed era una fonte del diritto al pari della legge. - Nella nostra Costituzione, invece, sempre nell’Art. 39, il contratto collettivo avrebbe dovuto avere efficacia erga omnes. Tuttavia si tratta di una parte che, come sappiamo, non ha mai avuto attuazione. A seguito della mancata attuazione dell’Art. 39 della Costituzione, il contratto collettivo è ritornato all’interno dell’autonomia privata. Si parla cioè di un contratto al pari di tutti gli altri contratti di diritto privato. 1° tentativo di risoluzione del problema di mancata attuazione dell’Art. 39 della Costituzione. Il legislatore ha tentato di sistemare questa situazione di mancata attuazione attraverso l’emanazione della Legge 741 del 1959 (anche chiamata Legge Vigorelli): • Legge Vigorelli /Legge n. 741 del 1959. >> Questa legge è il tentativo di estendere l’efficacia del contratto collettivo oltre l’ambito dei soggetti iscritti al sindacato che lo hanno firmato. Si voleva ovvero estendere l’efficacia del contratto a dei soggetti più ampi, acquisendo un’efficacia erga omnes. La legge Vigorelli era una legge delega, attraverso il quale il governo emanava entro un tempo di 12 mesi dei decreti legislativi. Questi decreti legislativi dovevano fissare i trattamenti minimi, economici e normativi da riconoscere ai lavoratori. Nell’attuare ciò, il governo era ovviamente vincolato, e doveva uniformarsi alle previsioni dei contratti collettivi in vigore. In un anno furono emanati più di mille decreti legislativi, percependo anche i contratti collettivi regionali e provinciali. 25 A seguito dell’iniziale funzionamento del meccanismo, fu emanata una legge di proroga (Legge di proroga n. 1027 del 1960), e la legge Vigorelli fu prorogata di 15 mesi, estendendola anche ai contratti collettivi stipulati nei dieci mesi successivi alla legge prorogata. L’obiettivo era raggiungere l’efficacia erga omnes (avendo efficacia di legge). Intervenne la Corte costituzionale, dichiarando che quel risultato doveva essere ottenuto attraverso la procedura dell’Art. 39 e non attraverso una legge di proroga. La Corte intervenne in particolare con la Sentenza n.106 del 1962. Questa sentenza ci spiega che la legge vigorelli è perfettamente legittima perché è transitoria, mentre qualsiasi tentativo di proroga sarebbe stato considerato illegittimo (quindi la sentenza riguarda solo la legge di proroga). In sostanza, ogni legge che cerchi di raggiungere l’obiettivo di cui l’art. 39 della Costituzione, in maniera differente dallo stesso, sarà considerata illegittima. A seguito dell’insuccesso del tentativo di risoluzione di cui sopra, si ritornò al punto di partenza: l’efficacia soggettiva del contratto collettivo vincola soltanto gli iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno firmato il contratto collettivo, sulla base delle regole del diritto comune. Il contratto collettivo di diritto comune ha dunque una natura privatistica, ed è regolamentato dal codice civile. Caratteristiche del contratto collettivo di diritto comune - L’interesse protetto. Si parla dell’interesse collettivo della categoria di riferimento; - Funzione normativa. Fissa cioè le clausole sui minimi di trattamento economico e normativo per i contratti individuali di lavoro, sia per quelli in corso, sia per quelli che devono essere sottoscritti. - Una specificità. Almeno una delle parti del contratto deve essere necessariamente un soggetto collettivo (come nel caso del contratto collettivo aziendale, che viene firmato dal singolo datore di lavoro, soggetto singolo, e dai sindacati, soggetto collettivo). - Problemi giuridici:* - A chi si applica il contratto collettivo? Si tratta dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo; - Quali sono e come si spiegano gli effetti del contratto collettivo nei confronti dei singoli lavoratori a cui si applica? Si tratta dell’efficacia oggettiva del contratto collettivo (relazione contratto collettivo e contratto individuale.) * Approfondimento sui problemi giuridici del contratto collettivo di diritto comune Efficacia soggettiva del contratto collettivo. A chi si applica il contratto collettivo? - La ricostruzione privatistica >> Art. 1388 c.c. >> Sulla base del principio di rappresentanza del diritto comune, che dovrebbe vincolare solamente gli iscritti alle organizzazioni sindacali che lo hanno stipulato. Questo significa che il singolo lavoratore conferisce al sindacato il mandato di rappresentarlo in tutti gli interessi; - Teoria dell’ordinamento sindacale. >> Il reciproco riconoscimento, di GINO GIUGNI >> In quegli anni, Confindustria e CGIL hanno cominciato a emanare un’insieme di regole. Questo insieme di regole vengono ricondotte da Giugni in un ordinamento autonomo che si fonda sul reciproco riconoscimento che le parti si danno l’uno all’altra (ogni parte riconosce l’altra come portavoce degli interessi generali della controparte. Le parti, riconoscendosi reciprocamente, si ritengono affidabili). La teoria dell’ordinamento è riconosciuta anche dal legislatore nella legge n. 300 del 1970. Questa teoria entra tuttavia in crisi quando si rompe l’unità sindacale. - Regola della doppia iscrizione >> Il contratto collettivo si applica ai soggetti iscritti alle associazioni sindacali che hanno firmato il contratto, che sono: - Lavoratori iscritti al sindacato dei lavoratori; - Imprese iscritte alle associazioni datoriali. Vediamo come il contratto collettivo si applica nel caso in cui sia lavoratori e imprese siano iscritte alle rispettive associazioni Inconvenienti della doppia iscrizione - Area di applicazione del contratto > Lavoratori iscritti al sindacato stipulante; - Area di non applicazione del contratto > Lavoratori non iscritti al sindacato stipulante. 26 Questo significa che il datore di lavoro iscritto è tenuto a stipulare contratti per i soli lavoratori iscritti al sindacato. Il rischio è che il datore di lavoro possa ricorrere ad atti discriminatori a causa delle differenze di contratto, e quindi in realtà l’efficacia soggettiva è molto più estesa in modo da non creare differenze. Come è possibile estendere la regola della doppia iscrizione? - La giurisprudenza interviene con un apporto espansivo, ovvero soluzioni giurisprudenziali che hanno consentito di ampliare l’efficacia soggettiva del contratto collettivo anche oltre i soggetti iscritti al sindacato di appartenenza, dichiarando che l’elemento essenziale è costituito dall’iscrizione del solo datore di lavoro all’associazione che ha firmato il contratto collettivo. Cosa succede nel caso in cui nemmeno il datore di lavoro è iscritto all’associazione datoriale? La giurisprudenza ha elaborato alcuni criteri: - Clausola esplicita di rinvio contenuta nel contratto individuale. >> Si fa rinvio ad un contratto collettivo per individuare quale è la fonte. - Comportamento concludente. >> In alcuni casi, si va a verificare l’applicazione spontanea e costante del contratto collettivo da parte del datore di lavoro. Nel caso di un’azienda in cui nessuno delle parti è iscritta, si va a verificare se il datore di lavoro ha già applicato spontaneamente un contratto collettivo di lavoro al lavoratore. - Tesi “REGINA”: - Art. 36 della Costituzione. >> Riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione adeguata e sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua famiglia una agiata esistenza; - Art. 2099 c.c. >> In mancanza di accordo tra le parti, o nel caso in cui è prevista una retribuzione molto minima, la retribuzione è determinata dal giudice. Il parametro che utilizza il giudice nel determinare la retribuzione (retribuzione-parametro) è quella individuata nella parte economica del CCNL di categoria * Vi sono state due recenti sentenze della Cassazione di ottobre 2023, dove ci si occupa del tema della retribuzione sufficiente. Il giudice deve controllare l’idoneità del minimo retributivo a soddisfare l’enunciato dell’art. 36 della Costituzione (il giudice controlla se quella retribuzione è effettivamente idonea, utilizzando dei parametri che vengono individuati nel salario medio mediano, nei dati INSTAT, o altri criteri ancora, e precisando che la retribuzione deve proteggere dalla libertà e assicurare un’esistenza libera e dignitosa). Ad oggi, il problema dell’efficacia soggettiva non è stato risolto. Il rovesciamento del problema dell’efficacia soggettiva. • Contrattazione ablativa >> Se il contratto collettivo diventa difensivo, il problema non è più la richiesta di applicazione del contratto, ma la fuga dallo stesso (perché non prevede miglioramenti). Il lavoratore non vuole cioè che gli si venga applicato il contratto. 24/10/2023 Efficacia oggettiva del contratto collettivo Quali sono e come si spiegano gli effetti del contratto collettivo nei confronti dei singoli lavoratori a cui si applica? L’efficacia oggettiva indica il rapporto che si istaura tra il contratto collettivo e il contratto individuale. Il problema dell’efficacia oggettiva riguarda la ricerca del meccanismo giuridico attraverso cui il contratto collettivo può vincolare i singoli soggetti iscritti. - Come è possibile in un ordinamento repubblicano, dove non sono presenti leggi sul contratto collettivo, affermare che il contratto collettivo è inderogabile rispetto ai contratti individuali? La giurisprudenza ha recuperato l’enunciato dell’Art. 2077 del c.c. del modello corporativo >> Ai singoli rapporti di lavoro si applicano direttamente le condizioni previste nel contratto collettivo. 27 La legge in questo caso impone all’azienda, prima di attivare una procedura di licenziamento collettivo, la Cassa integrazione guadagni o ancora un trasferimento di azienda, il rispetto di una procedura preventiva, chiamata procedimentalizzazione e riguardante il potere datoriale. Il datore di lavoro è dunque obbligato ad informare il sindacato delle decisioni che vuole assumere a seguito della situazione di emergenza aziendale. Che efficacia collettiva hanno i contratti aziendali gestionali? È un contratto applicabile anche nei confronti dei lavoratori non iscritti? È una contrattazione collettiva che serve a regolamentare delle situazioni alle quali il datore di lavoro arriverebbe comunque in via autonoma, attraverso una sua decisione unilaterale. - Se vi è accordo tra le parti, la soluzione trovata sarà migliorativa rispetto alla posizione di partenza del datore di lavoro (un esempio di accordo in una situazione di crisi aziendale potrebbe essere il fatto che piuttosto che licenziare collettivamente 50 dipendenti, il datore di lavoro ne dovrà licenziare la metà, garantendo l’occupazione dei restanti); - Se non si trova un accordo tra le due parti, il datore di lavoro, nel caso del licenziamento, sarà legittimato a licenziare 50 lavoratori contemporaneamente. Questo significa che in caso di mancato accordo, la decisione unilaterale del datore di lavoro in una situazione di emergenza avrà regolarmente i suoi effetti. La procedimentalizzazione implica dunque che il datore di lavoro ha il solo obbligo di informare il sindacato delle sue decisioni, ma non è previsto l’obbligo di trovare un accordo. Corte Costituzionale nel 1994 sull’accordo aziendale sui criteri di scelta nei licenziamenti collettivi La Corte Costituzionale si è pronunciata nel 1994 con una sentenza che ha riguardato una norma contenuta nella Legge n. 223 del 1991, in particolare il suo Articolo 5, comma 1: • Art. 5, comma 1 della Legge n. 223 del 1991 >> I criteri di scelta nei licenziamenti collettivi. “L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati…” Si è dichiarato che gli accordi che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità (licenziare) NON fanno parte dei contratti normativi, ma fanno parte dei contratti aziendali gestionali. Anche l’Art. 39 della Costituzione contempla solo i contratti collettivi, e quindi non quelli gestionali. La sentenza ha dunque riportato questo risultato: Il potere di licenziare i lavoratori discende dalla legge e NON dall’accordo. Questo perché l’accordo collettivo ha solo la funzione di delimitare i contenuti e i minimi, ma se l’accordo non ci fosse, come abbiamo visto, il datore di lavoro sarebbe libero di esercitare il suo potere di licenziamento e in maniera ancora più incisiva. In sostanza: - I contratti gestionali sono esterni rispetto a quelli previsti dalla Costituzione, e quindi si trovano al di fuori della sua protezione costituzionale; - I contratti gestionali non incorrono all’ostacolo del principio di libertà sindacale; - L’accordo collettivo NON produce effetti diretti sui rapporti di lavoro; - L’accordo collettivo interviene sull’esercizio del potere imprenditoriale. È una procedura che deve essere rispettata, ma non è obbligatorio trovare un accordo. 25/10/2023 Le parti sociali hanno tentato pure una regolamentazione del contratto collettivo aziendale al fine di provare a definire l’efficacia soggettiva dei contratti. CONTRATTAZIONE COLLETTIVA - Struttura; - Rapporti tra i contratti collettivi di diverso livello ; - Rapporti tra legge e contratto collettivo; - Efficacia nel tempo del contratto collettivo; 30 Abbiamo già chiarito che il contratto collettivo è un atto, mentre la contrattazione collettiva è un processo attraverso il quale le parti definiscono i rapporti individuali e collettivi di lavoro. Struttura della contrattazione collettiva nel settore privato La contrattazione collettiva è regolamentata da accordi tra le parti. Nel settore privato, vi è una generale coincidenza tra la struttura organizzativa dei sindacati e la struttura (i livelli) della contrattazione collettiva. La struttura della contrattazione collettiva è infatti l’insieme dei livelli nei quali si svolge la contrattazione collettiva. Sono riportati 3 livelli, che sono quelli più praticati e diffusi. 1. Nel livello più alto, troviamo gli ACCORDI INTERCONFEDERALI, che non hanno una periodicità definita. Essi vengono sottoscritti per definire regole comuni ad una pluralità di categorie (ad esempio negli anni ‘50 furono firmati importanti accordi interconfederali); 2. Nel secondo livello vi è il CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO (CCNL). Il CCNL è il perno del sistema di contrattazione collettiva. Esso è firmato periodicamente dalla federazione. È un contratto di categoria, che disciplina i minimi di trattamento applicabili ai rapporti individuali di lavoro. Il CCNL prevede una periodicità fissata dalle parti sociali, e in diversi momenti storici si sono seguiti parti diverse; 3. Nel terzo livello, troviamo il livello decentrato, che si riferisce al CONTRATTO COLLETTIVO DI LIVELLO DECENTRATO. Esso può essere: - Territoriale (regionale / provinciale). È stipulato generalmente a livello provinciale. In alcuni settori, come l’artigianato, prevale quello regionale. - Aziendale / Sub aziendale (riguarda un’intera azienda / un reparto dell’azienda, cioè uno stabilimento distaccato). La funzione del Contratto collettivo aziendale è quella di integrare il CCNL e determinarne i trattamenti economici Una struttura contrattuale può dunque definirsi: - Centralizzata > Quando è dominante il livello con l’ambito di applicazione più esteso, che sarebbe il livello degli accordi interconfederali e il livello del CCNL (i primi due). - Decentralizzata > Quando è dominante il livello con l’ambito di applicazione più ristretto, ovvero quello del Contratto collettivo di livello decentrato. Evoluzione storica del sistema di contrattazione collettiva in Italia La struttura della contrattazione collettiva è cambiata molte volte nel corso del tempo, con un’evoluzione storica che ne ha modificato più volte la funzione centralizzata o decentralizzata. Gli elementi che hanno consentito l’evoluzione della funzione della contrattazione sono: - Struttura del sistema produttivo. Si intende cioè la tipologia delle imprese e la loro dimensione; - Situazione del mercato del lavoro. Si intende cioè se il mercato funziona correttamente, con un buon livello di occupazione, o contrariamente se è presente un elevato tasso di disoccupazione; - Andamento del ciclo economico. Se il paese è in una fase di sviluppo o recessione economica. Imprese piccole, un elevato tasso di disoccupazione e una recessione economica favoriscono una centralizzazione, perché indeboliscono il potere del sindacato. In questi casi occorrono dunque politiche forti e concertate da parte del governo. In situazioni opposte, ovvero in presenza di imprese medio-grandi, un buon livello di occupazione e fasi di sviluppo economico, viene favorita la decentralizzazione poiché la vita del sindacato è più fertile. Il fattore dell’andamento economico è quello che più ha favorito che la decentralizzazione e la centralizzazione si alternassero costantemente. Dopo la globalizzazione, la tendenza principale al decentramento è diventa sempre più stabile (nel corso degli ultimi trent’anni si assiste ad una struttura molto decentralizzata). Essendo molto decentralizzata, si indebolisce il ruolo dei livelli più alti di contrattazione collettiva. 31 Fasi storiche di contrattazione collettiva - ANNI ‘50. Prevalenza del livello interconfederale. È debole la contrattazione nazionale di categoria e i CCNL sono praticamente inesistenti. L’attività di contrattazione collettiva è affidata alle grandi confederazioni, che hanno il compito di tutelare gli interessi essenziali e comuni dei lavoratori. Si hanno accordi importanti, a riguardo il tema dei licenziamenti e sulle commissioni interne. - ANNI ‘60. Il CCNL diventa il fulcro della struttura contrattuale e la fonte principale di disciplina dei rapporti di lavoro. Sono gli anni del Boom economico, e inizia ad essere riconosciuta la contrattazione aziendale. È una contrattazione acquisitiva, ovvero che vuole acquisire miglioramenti nei confronti del lavoratore. In questi anni ci troviamo davanti l’instaurazione di una contrattazione articolata: • Protocollo Intersind- Asap del 1962 >> La “contrattazione articolata”. Nella contrattazione articolata il CCNL determina, attraverso delle clausole di rinvio, le competenze dei livelli contrattuali inferiori. È un sistema molto gerarchico. Il CCNL viene firmato dai sindacati provinciali delle associazioni sindacali. Verranno introdotte per la prima volta le clausole di tregua sindacale >> I sindacati si assumono l’impegno a non proclamare scioperi fino al termine di vigenza del CCNL. Tutto questo, appunto, per avere il riconoscimento dei contratti decentrati. - FINE ANNI ‘60 - INIZIO ANNI ‘70. La contrattazione vive il suo miglior momento. Sono gli anni della contrattazione non vincolata. La contrattazione collettiva diventa sostanzialmente libera, non vi è più una gerarchia tra i livelli e questi livelli sono autonomi e liberi di normare le materie che vogliono. Nasce il consiglio di fabbrica. Sono gli anni in cui viene adottata la Legge 300 del 1970, per sostenere l’azione del sindacato nei luoghi di lavoro - ANNI ‘70. Sono anni di crisi economica, a seguito della crisi petrolifera. Sono anni di profondi mutamenti, con presenza di crisi aziendali e un importante ricorso frequente alla cassa integrazione guadagni. Si riduce l’occupazione, iniziano i licenziamenti. Si assiste dunque alla ricentralizzazione della struttura contrattuale. - ANNI ‘80 - INIZIO ANNI ‘90. Globalizzazione economica e digitalizzazione. Migliora il mercato del paese, e le imprese chiedono sempre più flessibilità. • Protocollo del 22 gennaio 1983 >> Si avvia la contrattazione triangolare, ovvero le parti si trovano insieme al governo, e inizia la fase di concertazione sociale. • Protocollo del 23 luglio 1993: “Carta costituzionale delle relazioni industriali”. Vengono istituite le RSU. Il ministro del lavoro era Gino Giugni. Viene raggiunto attraverso il metodo concertativo, che consente a tutti i soggetti coinvolti di adottare decisioni comuni per i lavoratori. In quest’anno viene ridisegnato il sistema contrattuale del paese, e verrà modificato dalle stesse parti sociali. Questo protocollo riguarda la politica dei redditi, nonché l’assetto e le nuove regole del CCNL. 30/10/2023 I contenuti del Protocollo del 23 luglio del 1993. L’obiettivo del protocollo era favorire il decentramento della contrattazione collettiva, per aumentare la produttività delle imprese e fare ripartire l’economia del paese. Il decentramento delineato all’interno di questo protocollo è un decentramento fortemente coordinato dal CCNL . I contenuti del Protocollo sono: 1. Esistono due livelli di contrattazione collettiva all’interno del protocollo, con una struttura bipolare: • Livello nazionale di categoria; • Livello decentrato (aziendale /territoriale) 2. Il protocollo determina anche i periodi di vigenza dei contratti collettivi, che sono: 32 Conseguenza di questa decisione di Federmeccanica fu che la CGIL chiese che ai suoi iscritti si continuasse ad applicare ancora il CCNL del protocollo del 1993, e fare in modo che i suoi iscritti si potessero sottrarre alle clausole di uscita. La Fiat decise di uscire dal sistema contrattuale, e creò delle nuove società riassumendo i lavoratori in nuovi stabilimenti, dove andrà a firmare un nuovo contratto collettivo (contratto specifico di primo livello). Ancora oggi la CGIL non firma questi contratti. La FIAT uscì anche da Federmeccanica, e nel 2012 si apre il contenzioso tra FIOM e FIAT: - La FIOM non potrà costituire RSA all’interno della Fiat perché non ha firmato gli accordi. - La FIOM non potrà creare nemmeno una RSU, perché appunto è uscita da Confindustria e non è più vincolata dagli accordi interconfederali. La regolamentazione contrattuale del potere di stipulare il contratto collettivo. Gli accordi interconfederali Per compensare il venir meno dell’unità sindacale, emerge la necessità di avere un quadro di regole certe che consentano di stipulare un contratto collettivo che dia un minimo di certezza. In particolare, a livello confederale, dal 2011 in poi si è assistito al tentativo di ricomporre la frattura tra le grandi confederazioni attraverso la sottoscrizione di una serie di accordi interconfederali, che si susseguiranno tra il 2011 e il 2014. In questo clima, vengono firmati dunque degli accordi tra le parti sociali. Questi accordi sono: - Accordo interconfederale del 2011; - Accordo interconfederale del 2013; - Accordo interconfederale del 2014*. Testo Unico sulla rappresentanza. Viene modificato il metodo elettivo delle RSU, e sarà tutta elettiva da parte dei lavoratori; - Accordo interconfederale del 2018. Sono tutti accordi che andranno a regolamentare la titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva, la misurazione della rappresentatività del sindacato, andando anche a regolamentare anche le RSU. Inoltre, tutti questi accordi sono finalmente firmati anche dalla CGIL (oltre che da Confindustria, CISL e UIL) e sono quindi tutti accordi unitari. Si tenterà per la prima volta stipulare il contratto collettivo nel settore privato. Le parti sociali si danno delle regole, che si impegnano a rispettare nella stipulazione del contratto collettivo, specialmente di quello nazionale. Si disegna una sorta di unità procedurale, che rende possibile la conclusione dei CCNL, con efficacia più ampia. L’efficacia che si cerca di creare attraverso gli accordi è un’efficacia ultra partes, e non erga omnes, perché sono comunque accordi che producono un’efficacia circoscritta alle parti, e sono soluzioni che si danno alle stesse. * Accordo interconfederale del 2014. Il Testo Unico sulla rappresentanza L’accordo interconfederale del 2014 è un accordo firmato da Confindustria, CGIL, CISL e UIL sulla rappresentanza del sindacato. È un patto che i soggetti hanno firmato per poter governare il conflitto sindacale che era esploso. Inizialmente il Testo Unico sulla rappresentanza riguarda solamente il settore industriale, poi sarà esteso anche ad altri settori. Le regole contenute servono a: Misurare e certificare la rappresentanza del sindacato ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria: - Per il CCNL. Il CCNL è il livello di contrattazione collettiva centrale, che ha la funzione di garantire l’uniformità dei trattamenti economici e normativi garantiti a livello nazionale 35 La misurazione della rappresentatività del sindacato viene effettuata operando una media tra un dato associativo e uno elettorale. • Dato associativo >> Deriva dal numero degli iscritti al sindacato di categoria, e questo dato è ricavato dalle deleghe che vengono conferite dai lavoratori ai datori di lavoro, con cui il lavoratore autorizza il datore di lavoro a trattenere dalla retribuzione il contributo di iscrizione al sindacato; • Dato elettorale >> È desunto dai consensi ottenuti da ciascun sindacato nelle elezioni triennali delle RSU. Questi due dati vengono uniti dal CNEL, e una volta che si è verificato quale sia il peso del sindacato, il sindacato deve raggiungere una soglia di rappresentatività: - Di almeno il 5% dei lavoratori appartenenti alla categoria di riferimento. Ogni sindacato con almeno il 5% di rappresentanza ha diritto di partecipare alle negoziazioni. - Se il CCNL viene firmato e sottoscritto da sindacati che rappresentano, nella categoria di riferimento, almeno il 50%+ 1 dei lavoratori, il contratto acquisisce un’efficacia “erga omnes”. (È un’efficacia relativamente erga omnes, e in realtà può essere considerata come efficacia ultra partes, dato che vale all’interno dei soggetti che hanno firmato.) Inoltre: - L’efficacia del contratto collettivo è subordinata ad una previa consultazione dei lavoratori a maggioranza semplice. Regolamentare le rappresentanze in azienda; Definire la titolarità ed efficacia del Contratto collettivo nazionale aziendale e di categoria; Definire disposizioni relative alle clausole di raffreddamento e alle conseguenze dell’inadempimento. 31/10/2023 Con riferimento alle regole del contratto collettivo aziendale, ai sensi del Testo unico del 2014: - Regola le materie delegate dal CCNL attraverso le clausole di rinvio (il CCNL rinvia al contratto collettivo aziendale la disciplina di determinate materie). - Il contratto collettivo aziendale ha un’efficacia ultra-partes se approvato dalla maggioranza semplice dei componenti delle RSU. - I contratti collettivi nazionali e aziendali sono conclusi solo se approvati da soggetti collettivi che rappresentano la metà più uno. Nel Testo Unico del 2014, il contratto collettivo aziendale può prevedere, a certi fini (situazioni di crisi) e certi limiti (disciplina della prestazione lavorativa, gli orari e organizzazione del lavoro), delle modifiche peggiorative rispetto alle condizioni previste dal CCNL (in peius). In questo caso, questo contratto aziendale deve essere firmato dalle RSU, di intesa alle organizzazioni sindacali territoriali dei sindacati che hanno aderito al testo unico. L’efficacia degli accordi non potrà essere erga omnes, ma sarà sempre un’efficacia relativa a coloro che hanno aderito all’atto unico. Questo perché bisogna sempre leggere e interpretare l’efficacia delle parti sociali in senso privatistico. Art. 8 della Legge n. 148 del 2011 (ex D.L. 138 del 2011) Il contratto di prossimità Sulle regole del Testo Unico del 2014 ha interferito l’Art. 8 della Legge n. 148 del 2011, ex d.l. 138 del 2011. Questo articolo interviene alterando le regole generali che riguardano il rapporto tra la legge e il contratto collettivo. Analizzando questo rapporto, il principio generale implica che il contratto collettivo, ai vari livelli, può derogare la legge solamente in senso migliorativo. D’altro canto, la deroga peggiorativa è consentita solo in casi eccezionali tassativamente specificati dalla legge stessa (ispirazione della derogabilità in melius, e inderogabilità in peius). L’Art. 8 della Legge n.148 del 2011 ha introdotto la contrattazione collettiva di prossimità. Si va cioè a disciplinare il potere di stipulare un contratto collettivo aziendale o territoriale, definito di prossimità per sottolineare la sua maggiore vicinanza agli interessi delle parti che lo hanno sottoscritto. 36 Derogabilità in peius dell’Art. 8, Legge n.148 del 2011 nel contratto di prossimità Il legislatore attribuisce la facoltà di derogare in peius non solo la disciplina contenuta nel contratto nazionale di categoria, ma anche le previsioni di legge. L’Art. 8 consente a questa particolare tipologia di contratto di prossimità di prevalere su fonti di tipo centralistico, come la legge dello Stato innanzitutto, e successivamente il CCNL (si consente ad un contratto aziendale di derogare la legge). Requisiti e limiti del contratto di prossimità previsti dall’Art. 8, Legge n. 148 del 2011 I requisiti necessari della contrattazione di prossimità sono requisiti soggettivi e requisiti finalistici. • Requisiti soggettivi. Chi sono i soggetti legittimati a stipulare in rappresentanza dei lavoratori? - Se l’accordo è a livello territoriale, il contratto di prossimità deve essere sottoscritto dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sia sul piano nazionale sia sul piano territoriale; - Se l’accordo è a livello aziendale, il soggetto firmatario sono le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative o le RSA e le RSU. • Requisiti finalistici. Sono le finalità perseguite dagli accordi. Gli accordi devono essere finalizzati a: - Alla maggiore occupazione; - Alla qualità dei contratti di lavoro; - All’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori; - All’emersione del lavoro irregolare; - Agli incrementi di competitività e di salario; - Alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali; - Agli investimenti e all’avvio di nuove attività. I limiti del contratto di prossimità riguardano invece dei limiti materiali e dei limiti ordinamentali. • Limite materiale. Gli accordi di prossimità possono riguardare solo determinate materie, inerenti l’organizzazione del lavoro e la produzione. Le materie previste dall’Art. 8, Legge 148 del 2011 sono: - Gli impianti audiovisivi e l’introduzione delle nuove tecnologie; - La mansione del lavoratore, e all’inquadramento del personale; - I contratti a termine, a orario ridotto, flessibile e i casi di somministrazione del lavoro; - L’orario del lavoro - Le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, la conversione dei contratti, le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro. Fa eccezione tutta la materia di licenziamento, in particolare: - Licenziamento per atti discriminatori; - Licenziamento della donna lavoratrice a causa del matrimonio; - Licenziamento della donna lavoratrice dall’inizio della gravidanza, fino ad un anno di età del bambino; - Licenziamento a causa della richiesta dei congedo parentale in caso di malattia del bambino; - Licenziamento in caso di adozione o affidamento. • Limite ordinamentale. I contratti di prossimità non possono disporre in contrasto con la Costituzione, col diritto comunitario e con le norme internazionali. Efficacia del contratto di prossimità L’ultimo comma dell’Art. 8 della Legge n. 148 del 2011 ci illustra l’efficacia erga omnes del contratto di prossimità: Il contratto di prossimità ha efficacia nei confronti dei lavoratori interessati ai quali si riferisce, a condizione di essere sottoscritti, sulla base di un criterio maggioritario (non sappiamo quale, ma a condizione che il contratto sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori). Per legge, è dunque previsto che questo contratto abbia un’efficacia erga omnes. 37 Questa capacita si acquisisce a 16 anni, che è l’età per accesso al lavoro. Per alcuni tipi di apprendistato, questa età è abbassata a 15 anni. Esistono poi delle norme speciali per il lavoro dei minori, con riferimento alle mansioni che possono svolgere, l’orario di lavoro e altre nozioni particolari. La forma del contratto di lavoro subordinato Contratto determinato e patto di prova La regola generale implica una certa libertà della forma. Il rapporto di lavoro può nascere cioè anche verbalmente. Ci sono pero dei casi in cui è richiesta la forma scritta Ad substantiam. Si tratta di una forma scritta obbligatoria al fine di dare validità al negozio giuridico. In questi casi, la legge prevede tassativamente la forma scritta, pena l’annullabilità del contratto di lavoro o della clausola. È una forma prevista ad esempio nel contratto determinato (il contratto determinato deve essere necessariamente scritto), altrimenti quest’ultimo si ritiene a tempo indeterminato. Altro caso di forma Ad substantiam è il patto di prova. (Art. 2096 c.c.) Il periodo di prova è un lasso di tempo che è previsto nel c.d. patto di prova, contenuto per iscritto all’interno del contratto di lavoro. Con il patto di prova, le due parti verificano la convenienza reciproca a stipulare il contratto di lavoro. La durata della prova è stabilita normalmente dai CCNL, e non dalla legge, e varia in base alla mansione del lavoratore. Durante il patto di prova, entrambe le parti possono recedere liberamente dal contratto, senza obbligo di dare un preavviso all’altra parte. Caratteristica importante è che questa clausola deve avere la forma scritta, a pena di nullità, e in questo caso si può recedere liberamente senza obbligo di preavviso. Si tratta di un caso di libera recedibilità, o licenziamento ad nutum. Art. 1, d.lgs n. 81/2015 “ Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune del rapporto di lavoro.” Si tratta del decreto legislativo con il quale si è data attuazione al Jobs Act. La qualificazione giuridica di rapporti di lavoro Lavoro subordinato e lavoro autonomo Quali sono i tratti che caratterizzano il lavoro subordinato, e in che modo è possibile distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo? Il Codice Civile ci definisce la subordinazione e lavoro autonomo all’interno del codice civile, in particolare negli Art. 2094 c.c e Art. 2222 c.c. • Art. 2094 c.c.. >> Lavoro subordinato. Questo articolo contiene la retribuzione, la collaborazione, il lavoro proprio (intellettuale o manuale) e la dipendenza da un altro soggetto, per l’appunto la direzione dell’imprenditore. • Art. 2222 c.c.. >> Lavoro autonomo. In questo lavoro non esiste la subordinazione, e si parla di corrispettivo, e non di retribuzione. Non si parla di lavoro proprio, ma lavoro prevalentemente proprio, che può essere un’opera o un servizio. Infine, non si parla di datore di lavoro, ma di committente. Il vincolo di subordinazione è dunque presente solo nel lavoro subordinato, mentre non è presente se si tratta di lavoro autonomo. Questa distinzione è importante perché tutti i lavori possono essere oggetto sia di lavoro autonomo che subordinato. Ciascuna attività umana a rilievo economico può essere svolta sia in maniera autonoma che subordinata, in base alle modalità con cui si svolge questa attività. - Come si fa a capire se un lavoro è autonomo o subordinato? A cosa serve qualificare il lavoro come subordinato? 40 Occorre andare a vedere la qualificazione giuridica del rapporto, ovvero l’individuazione della fattispecie. Se il lavoratore è subordinato, cioè, sarà destinatario di alcune garanzie in suo favore (si parla degli effetti dell’applicazione della legislazione in materia di lavoro subordinato). La subordinazione è un po’ la porta di accesso al godimento di una serie diritti riconosciuti da norme che vanno a costituire il nucleo essenziale del diritto del lavoro. Basti pensare alla garanzia di una retribuzione sufficiente, o il diritto della conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e infortunio, o ancora il diritto di trattamento di fine rapporto. La subordinazione è legiferata dagli articoli che vanno dall’Art. 2099 c.c. all’Art. 2113 c.c. Indici della subordinazione Art. 2094 c.c. Quali sono gli elementi che consentono di identificare la subordinazione? • Art. 2094 c.c. >> Gli elementi legali. Individua due elementi legali, che pero non sono del tutto decisivi ai fini della qualificazione di lavoro subordinato: - Collaborazione. Si fa riferimento è un concetto legato a delle suggestioni di tipo corporativo. Era un’idea di collaborazione tipica dell’ideologia corporativa. - Eterodirezione. Anche questo elemento non ci aiuta tanto, dato che esistono anche dei lavoratori subordinati che si trovano in condizione di scarsa eterodirezione. Un esempio è il professore universitario, che gode di una certa libertà di organizzazione pur essendo subordinato. A causa dell’inadeguatezza dei criteri funzionali ai fini dell’individuazione della subordinazione, la giurisprudenza ha elaborato una serie di indici, di tipo pragmatico, chiamati indici sintomatici della subordinazione. La giurisprudenza si è cioè concentrata sulle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, e quindi sulla soluzione concreta dei singoli casi. Si individuano due indici sintomatici: I. Indici principiali. Si tratta del primo gruppo di indici. Questi sono: - Assoggettamento potenziale del potere direttivo, da parte del datore di lavoro; - Esistenza di un potere disciplinare, di controllo e di vigilanza. Si tratta dell’eterodirezione, che è l’elemento principiale che caratterizza il lavoro subordinato. Questa deve rispettare gli ordini del datore di lavoro, e la sottoposizione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro stesso. L’eterodirezione è il criterio distintivo fondamentale del lavoro subordinato. Nello specifico, il datore di lavoro ha il potere di esercitare costantemente l’effettivo contenuto della prestazione lavorativa, cioè stabilisce ciò che occorre fare con riferimento ai luoghi e alle modalità. II. Indici secondari / residuali. Quando la distinzione tra autonomo e subordinato non risulta agevole secondo i criteri principali, la giurisprudenza fa ricorso agli indici secondari. Questi indici sono valutati sempre partendo dalla realtà dell’esecuzione e sulle effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Gli indici residuali sono: - Vincolo di orario; - Le modalità di corresponsione del compenso; - Se il lavoro è prestato a favore di un unico datore di lavoro, ovvero se si tratta di monocommittenza; - L’inserzione del lavoratore all’interno dell’organizzazione produttiva del datore di lavoro. Sentenza n. 379 del 30 giugno del 1999 >> Accertamento della subordinazione mediante la valutazione globale di elementi sintomatici. >> Indizi precisi, gravi e concordanti. La sentenza ci spiega che non è possibile valutare un unico indice, ma si deve compiere una valutazione globale di questi indici. I giudici si sono sempre concentrati sulle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, e dunque il giudice va a verificare effettivamente come si è svolto quel rapporto lavorativo Conseguenze di questo approccio pragmatico impiegato dai giudici sono: 1. L’esistenza di un rapporto subordinato può essere riconosciuta anche in assenza di qualcuno degli indici di cui sopra; 2. Il giudice, andando a fare una valutazione caso per caso, mette in risalto che ci possono essere delle prestazioni lavorative con le stesse caratteristiche ma con indici differenti, cioè subiscono diverse 41 qualificazioni da parte dei diversi giudici. Esempio in questione sono i pony express, gli operatori di call center e i riders. Qualificazione del rapporto e la volontà delle parti Si tratta della qualificazione che le parti possono dare al rapporto di lavoro: I. Rilievo del nomen iuris, ovvero il criterio di autoqualificazione. Si intende cioè quale peso possiamo attribuire alla dichiarazione di volontà che le parti fanno all’interno del rapporto di lavoro. Nello specifico, si tratta del nome giuridico che le parti danno al loro lavoro; II. Principio dell’ indisponibilità del tipo contrattuale. Neanche il legislatore può negare la classificazione giuridica di un rapporto di lavoro subordinato ad un rapporto che oggettivamente ha quella natura. Nello specifico, nemmeno la legge lo può fare. Le parti del rapporto di lavoro non possono, e lo stesso non può farlo il legislatore in maniera aprioristica. È sottratta dalla discrezionalità del legislatore e delle parti. III. La certificazione. Decreto legge n. 276 del 2003. Nel tentativo di attenuare le incertezze giurisprudenziali circa l’individuazione giuridica del rapporto di lavoro. Questo istituto consente di ottenere una qualificazione rafforzata da parte di soggetti terzi, pubblici o privati, e che vengono individuati dal legislatore. Davanti a questi soggetti, le parti si rivolgono nel momento in cui il lavoratore viene assunto o durante la prestazione lavorativa. È una procedura di carattere volontario, finalizzata ad attestare che il contratto abbia i requisiti di forma e di contenuto richiesti dalla legge. È uno strumento che serve a ridurre il contenzioso della giurisprudenza in materia di qualificazione del contratto di lavoro. I soggetti terzi della certificazione possono essere i consigli provinciali del lavoro, le università pubbliche o private, e il ministero del lavoro. Il contratto può sempre essere sottoposto a verifica giudiziale. 15/11/2022 Inquadramento dei lavoratori e mansioni • Ius variandi. Si tratta di una manifestazione dell’esercizio del potere datoriale e consiste nel suo potere di modificare le mansioni del lavoratore sia in senso verticale che orizzontale. Questo potere di modificare le mansioni ha dei limiti, regolate dal legislatore, nell’Art. 2103 c.c. - In cosa consiste l’inquadramento del lavoratore? Con questo termine si intende collocare il lavoratore all’ interno del sistema aziendale, e attribuire allo stesso una categoria, una qualifica e una mansione, che consentono di trarre una serie di elementi indispensabili, sia a livello individuale che a livello collettivo. Categoria, qualifica e mansione sono ordinati secondo un ordine decrescente, nel senso che nel cerchio più grande abbiamo le categorie e all’ultimo troviamo le mansioni. Le categorie legali Art. 2095 c.c. Questo termine viene utilizzato anche nelle categorie contrattuali. Nell’articolo vengono individuate 4 categorie legali. Non vi è una definizione specifica di ogni categoria, ma si rimanda alle leggi speciali. Le 4 categorie legali sono: 1. Dirigenti. >> Si trovano in posizione apicale, e godono di alcune peculiarità rispetto ad altre categorie. Nell’individuazione della definizione di dirigenti vi è il contributo della giurisprudenza. I dirigenti sono considerati come un alter ego dell’imprenditore (persona che rappresenta pienamente un’altra o ha l’ autorità di farlo). Il dirigente è una figura che si torva subito sotto il datore di lavoro, e gode di una particolare autonomia. Peculiarità dei dirigenti: la giurisprudenza ha fatto riferimento al dirigente come soggetto dotato di alta professionalità. In alcuni casi i dirigenti sono sottratti a buona parte delle disposizioni del lavoro subordinato, come gli orari di lavoro, i limiti di licenziamento o i limiti di ricorso al contratto a termine. Inoltre, essi godono di disposizione di maggior favore, come la previdenza sociale, la tutela assistenziale, la retribuzione e il preavviso. Hanno un proprio statuto autonomo; 42 2. Bisogna verificare se questa mobilità non sia avvenuta per sostituire un altro lavoratore in servizio. Mobilità verticale verso il basso. Mansioni inferiori Art. 2103 c.c., comma 2, 4, 5 Si parla sia del potere unilaterale del datore di lavoro, sia della possibilità di tutte e due le parti di stipulare dei patti di ridimensionamento. Nel primo caso, è coinvolto solo il datore di lavoro nella fase decisionale, nel secondo caso sono coinvolti entrambi. Questa sostanziale differenza è la ragione dei diversi limiti che operano in un caso e in un altro. Adibizione a mansioni inferiori dal datore di lavoro Il potere del datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni inferiori può avvenire in due casi: 1. Comma 2 >> Modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore. È essenziale un nesso di causalità: ci deve cioè essere un collegamento tra l’esigenza dell’azienda e la posizione del lavoratore. Questo significa che il giudice dovrà fare una doppia valutazione, innanzitutto deve andare a verificare se esistono le esigenze aziendali (solo l’esistenza, e non il mezzo) e poi va a vedere, rispetto a quella mansione, che incidenza ha la modifica della mansione. 2. Comma 4 >> Ulteriori ipotesi sono previste dai contratti collettivi. Come ci spiega l’Art. 51 del D.lgs 81/ 2015, a chiusura, si tratta dei contratti collettivi nazionali, aziendali o territoriali stipulati dalle rappresentazioni sindacali comparativamente più rappresentative, o dalle RSA e RSU, e possono riguardare tutti e tre i tipi di livelli. Le due ipotesi di cui sopra non devono essere compresenti entrambi I limiti nell’ assegnazione a mansioni inferiori, con conseguente necessità del legislatore di tutelare il lavoratore, sono: - Le mansioni adibite riguardano le mansioni appartenenti ad un solo livello di inquadramento inferiore, purché nella stessa categoria (1 livello, 1 categoria); - Retribuzione. Il lavoratore conserva il livello di inquadramento e il trattamento retributivo. Fanno eccezione alla retribuzione uguale gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa, come ad esempio le indennità, che sono legate alla responsabilità che riveste un determinato ruolo. Le indennità sono infatti legate alla professione (ad esempio, l’indennità di cassiere), e quindi NON seguiranno anche in caso di adibizione a mansione inferiore. In entrambi i casi (comma 2 e comma 4), il datore di lavoratore deve comunicare per iscritto al lavoratore, pena nullità dell’assegnazione a mansioni inferiori, il mutamento di mansione in senso inferiore. Patti di demansionamento Art. 2103 c.c, comma 6. Si parla comunque di una modifica delle mansioni. Nei patti di demansionamento, viene coinvolto il lavoratore nella fase decisionale, e dunque deve essere di comune accordo (non c’è più l’unilateralità del datore di lavoro). Ciò significa che sin da subito deve essere coinvolto il lavoratore, e si tratta della possibilità di tutte e due le parti di stipulare i patti individuali di demansionamento. La particolarità di questo istituto è che il legislatore individua dei limiti del patto. Il patto di demansionamento, infatti, può essere sottoscritto solo se il lavoratore ha interesse a: - Conservare l’occupazione; - Acquisire una diversa professionalità; - Miglioramento delle condizioni di vita. Al di fuori di queste tre ipotesi, non possono essere sottoscritti patti di demansionamento. È dunque essenziale che nell’accordo stipulato debbano essere individuate queste tre ipotesi. Un secondo strumento di tutela del lavoratore nel patto di demansionamento riguarda la sede in cui i contratti possono essere sottoscritti, nello specifico le sedi protette (Art. 2113 c.c. Sono sedi protette, ad esempio, le Commissioni di Certificazioni istituite presso le Università). 45 Sono chiamate sedi protette perché è come se ci fosse un soggetto terzo che si accerta dell’effettiva consapevolezza del lavoratore, e che dunque sia stata una scelta liberamente presa dallo stesso lavoratore. Nel patto di demansionamento il livello e la categoria non vengono considerati come dei limiti del datore di lavoro, dato che, per l’appunto, è necessario il consenso del lavoratore. Anche la retribuzione può variare . Formazione del lavoratore Art. 2103 c.c, comma 3 Si tratta di un elemento innovativo, e la particolarità di questo istituto risiede nel fatto che, quando mutano le mansioni, il datore di lavoro deve accompagnare quel mutamento delle mansioni ad una nuova formazione del lavoratore. In caso di mancanza della formazione, non viene determinata la nullità dell’atto di assegnazione, cioè il demansionamento rimane comunque valido (la mancata osservazione della formazione, cioè, non incide). È prevista invece la nullità di ogni patto contrario, ovvero che le parti non si possono accordare per derogare ciò che viene stabilito dalla legge. 20/11/2023 La parasubordinazione (co.co.co) La parasubordinazione indica i rapporti di lavoro autonomo caratterizzati da una collaborazione continuativa e personale all’impresa altrui. Questi lavoratori si collocano in una zona grigia posta tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo. Si tratta, nello specifico, dei co.co.co. La dottrina ha fatto riferimento al lavoro parasubordinato, ma si tratta soltanto di un riferimento di tipo dottrinale. • Art. 409 c.p.c. Con parasubordinazione ci si riferisce a lavoratori autonomi, caratterizzati da un rapporto di lavoro che si fonda su una prestazione di collaborazione continuativa e personale del lavoratore nei confronti di un altro soggetto (si tratta di collaborazioni coordinate e continuative). La tutela nei confronti di questi lavoratori è stata introdotta dall’Art. 409 c.p.c. (modificato dalla Legge 533), che ha esteso la disciplina delle controversie individuali di lavoro a questi particolari rapporti di collaborazione. L’articolo ci spiega infatti che si tratta di rapporti di collaborazione continuativa coordinata, (c.d. co.co.co). Non si vuole indicare una nuova fattispecie contrattuale, perché restiamo sempre nell’area del lavoro autonomo (non sono cioè lavoratori subordinati). Si indicano piuttosto le concrete modalità di svolgimento della prestazione di lavoro che consentono di ricondurre questi lavoratori. I requisiti della parasubordinazione sono: - Continuatività. La giurisprudenza ha interpretato questa nozione dicendo che la prestazione non deve essere occasionale, ma si parla di un rapporto di durata (è una prestazione che perdura nel tempo e comporta un impegno costante del lavoratore nei confronti della persona verso la quale si svolge la professione). Non parleremo di datore di lavoro, ma del committente; - Coordinazione. Vi deve essere il coordinamento. La giurisprudenza indica che deve sussistere una connessione funzionale tra il lavoratore e il committente, e questa connessione deriva dal protratto inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale; - Personalità. Vuol dire che il lavoro personale, posto in essere dal lavoratore, deve prevalere sull’opera che può essere svolta anche da eventuali collaboratori, e sull’utilizzo di una struttura materiale. Secondo la giurisprudenza, questo criterio è il più importante per individuare la parasubordinazione, specialmente nel fatto che il lavoratore può avvalersi pure di collaboratori, purché l’attività di questi non prevalga. Anche i co.co.co rientrano nella tutela di cui l’Art. 2113 c.c., in materia di rinunzie e transazioni (i co.co.co sono infatti dei lavoratori autonomi ai quali si estendono alcune tutele proprie della subordinazione). In base a come viene svolta la sua attività lavorativa, è possibile andare ad individuare un co.co.co. 46 L’abuso dei co.co.co I co.co.co sono stati particolarmente utilizzati nel corso degli anni ‘90, diffusione che ha portato ad un vero e proprio abuso, dato che nella sostanza i co.co.co lavoravano come se fossero lavoratori subordinati. Ragioni dell’abuso: - Utilizzando il lavoratore co.co.co, non si dovevano applicare tutti quei diritti proprio del lavoro subordinato. Il co.co.co era infatti sottratto a tutte quelle tutele riservate alla subordinazione; - Avevano un minor costo. Essi costavano di meno specialmente in termini previdenziali, visto che fino al 1955 erano totalmente esclusi da una qualsiasi forma di tutela previdenziale. Questa situazione si è gradualmente risolta quando il legislatore ha cominciato a estendere le tutele previdenziali anche ai lavoratori parasubordinati. Un esempio di estensione della tutela previdenziale è dato dalla Legge n. 335 del 1995, attraverso la quale viene introdotta, all’interno dell’INPS, una gestione previdenziale alla quale saranno iscritti in maniera obbligatoria questi lavoratori. Lavoro a progetto (co.co.pro) D. Lgs n. 276 del 2003. Artt. 61-69 Nel 2003 è stato introdotto il lavoro a progetto, attraverso il D. Lgs n. 276 del 2003, in particolare dagli Artt. 61 - 69 (co.co.pro) Questa figura viene introdotta con l’obiettivo di contrastare l’abuso dei co.co.co, con queste tutele: - Si richiede la forma scritta Ad substantiam (nel lavoro subordinato abbiamo visto, invece, che sono ammesse tutte le forme); - Il lavoro a progetto doveva essere rivolto nei confronti di progetti specifici determinati dal committente. Sono sorti numerosi problemi a causa del lavoro a progetto (ad oggi, infatti, non esiste più): la Legge n. 92 del 2012 introduce un nuovo sistema sanzionatorio, e i il lavoro a progetto che dura dieci anni verrà invece sostituito con il Jobs Act (il Jobs Act abroga gli Artt. 61 - 69) Con il Jobs Act (D. Lgs n. 81 del 2015), inoltre, vengono mantenute vive le vecchie co.co.co dell’Art. 409 c.p.c. La regola generale, scritta nell’Art. 1 del Jobs Act, implica che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.” Le collaborazioni organizzate dal committente L’Art. 2, comma 1 del D. Lgs n. 81 del 2015 ha previsto che, a partire dal 1° gennaio 2016, ci sarà l’estensione del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (si tratta della nozione di etero- organizzazione). Si parla di lavoratori autonomi, che svolgono la prestazione di lavoro in maniera esclusivamente personale, continuativa, cui le modalità di esecuzione del lavoro sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro (non vi è un potere direttivo, ma un potere organizzativo). Se il giudice valuta tutti questi requisiti, ovvero riscontra la etero-organizzazione, egli applica la disciplina del lavoro subordinato (il lavoro rimane pur sempre autonomo, ma il lavoratore si vedrà applicato le norme della subordinazione). Occorre distinguere tra: • Etero direzione >> tipica del lavoro subordinato; • Etero coordinamento >> Art. 409 c.d.p nei c.d. co.co.co; • Etero organizzazione >> Si trova a metà tra i due sopra, e si ha quando l’attività del lavoratore viene integrata nell’attività produttiva del committente, e questa integrazione è indispensabile affinché il lavoratore possa rendere la sua prestazione lavorativa. La nozione di etero-organizzazione è stata tuttavia modificata dal D.L n. 101 del 2019, in cui si specifica che non vi è più l’esclusività personale, ma ora deve essere una prestazione di lavoro prevalentemente personale. Si modifica inoltre la nozione di etero organizzazione, anche nei confronti del lavoro svolto con piattaforme digitali (dunque nei confronti dei riders). 47 2. Rimedi Che succede se il lavoratore viene licenziato in maniera illegittima? I rimedi sono: Fino al 2012 il meccanismo dei rimedi sanzionatori era abbastanza semplice, dato che esistevano solo due sanzioni: - Reintegra nel posto di lavoro; - Pagamento al lavoratore di una somma di denaro da parte del datore di lavoro (c.d. monetizzazione del licenziamento) I problemi sono sorti dopo il 2012. 21/11/2002 1. Limiti sostanziali del licenziamento • Principio della causalità del recesso. Il recesso per essere legittimo deve essere giustificato, o per giusta causa o per giustificato motivo. Licenziamento per giusta causa Art. 2119 c.c. Viene applicato questo istituto quando si verifica una giusta causa che non consente una prosecuzione neanche temporanea dell’attività lavorativa. Deriva da un adempimento talmente grave del lavoratore che il rapporto di lavoro cessa immediatamente. Nel licenziamento per giusta causa NON è dovuto il preavviso. In questo caso, il datore di lavoro non dovrà dare il preavviso del licenziamento al lavoratore. La dottrina si è a lungo pronunciata a riguardo circa il fatto se sia sufficiente rilevare un comportamento talmente grave, oppure se potesse avere rilievo anche una condotta extralavorativa (c.d. fatti estranei), cioè un comportamento esterno al rapporto di lavoro, sia temporale che spaziale. Si è risposto a questo problema spiegando che un comportamento extralavorativo può integrare una giusta causa di licenziamento, solo se fa venire meno il vincolo fiduciario che lega le due parti. Questo vincolo è proprio il presupposto essenziale della collaborazione tra il datore di lavoro e il lavoratore. Il comportamento extra lavorativo, in poche parole, può integrare la giusta causa di licenziamento se ha effetto sull’aspettativa del datore di lavoro al puntuale adempimento degli obblighi lavorativi del lavoratore. Questo comportamento deve essere tale da far venire meno la fiducia del datore di lavoro. Licenziamento per giustificato motivo Legge 604 del 1996. Il giustificato motivo può essere: - Soggettivo. È un licenziamento che deriva da un notevole inadempimento, posto in essere dal lavoratore. È dunque riconducibile ad un comportamento del lavoratore. Il giustificato motivo soggettivo è strettamente legato alla nozione di giusta causa, ma si tratta di un adempimento meno grave (si guarda l’intensità della condotta del lavoratore). La giurisprudenza ci dice che questo inadempimento deve derivare esclusivamente da un comportamento attinente al rapporto contrattuale e non c’è rilevanza del comportamento extra- lavorativo. - Oggettivo. Non dipende dal comportamento del lavoratore, ma da ragioni che riguardano l’impresa che sono di carattere tecnico, organizzativo e produttivo. Il datore di lavoro può dunque licenziare il lavoratore. Si tratta di casi che attengono all’attività organizzativa e produttiva dell’impresa (ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa). • Insindacabilità delle scelte datoriali >> Nel caso del giustificato motivo oggettivo, la giurisprudenza ci spiega che le scelte datoriali non possono essere sottoposte al giudizio da parte di un giudice (il giudice non può andare a sindacare le scelte poste in essere dal datore di lavoro, ad esempio non può stabilire se è giusto o sbagliato esternalizzare una parte dell’azienda). 50 Il giudice può andare solo a verificare il nesso di causalità, ovvero se effettivamente è pervenuta quella determinata emergenza aziendale, come ad esempio va a verificare che un determinato reparto di un’azienda sia stato effettivamente chiuso o trasferito. Il datore di lavoro, invece, ha l’obbligo di repechage (obbligo di ripescaggio). Il datore di lavoro deve cioè dimostrare che non poteva occupare quel lavoratore in maniera diversa all’interno della sua azienda. Nel licenziamento per giustificato motivo è dovuto il preavviso. Tendenzialmente i contratti collettivi tipizzano un eventuale licenziamento per giusta chiusa o giustificato motivo (tipizzazione). Da un licenziamento può derivare una sanzione conservativa o una sanzione estintiva. Esempi concreti nella contrattazione sono: - Art. 9 Titolo VII del CCNL Metalmeccanici >> Sanzioni conservative. Questo articolo ci elenca una serie di situazioni. - Art. 10 Titolo VII del CCNL Metalmeccanici >> Licenziamento con preavviso. Sanzione estintiva. Libera valutazione da parte del giudice e tipologie di licenziamento Art. 30 della Legge n. 183 del 2010 Nel valutare le motivazioni poste alle base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo presenti all’interno dei contratti. Secondo questa norma, il giudice non è vincolato alle tipizzazioni, ma ne tiene conto, e dovrà operare una valutazione in negativo o in positivo di quelle clausole. Il licenziamento può essere annullabile, nullo o inefficace: - Licenziamento annullabile >> Nel caso in cui il licenziamento avvenga in mancanza di una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo e soggettivo, il licenziamento è annullabile (il licenziamento resta valido solo se il lavoratore non lo impugna). Il lavoratore ha infatti 60 giorni dalla comunicazione di licenziamento per poterlo impugnare. In casi diversi dalla mancanza di giusta causa o giustificato motivo, il licenziamento può essere: - Licenziamento nullo. >> Quando il licenziamento è discriminatorio, oppure è intimato durante il periodo di malattia e di maternità, o ancora nel caso di licenziamento della lavoratrice in occasione del matrimonio. - Licenziamento inefficace. >> Quando è privo delle forme e procedure previste dalla legge. È infatti richiesto che il licenziamento venga comunicato in forma scritta (comunicazione per iscritto del recesso), e in questa comunicazione devono sempre essere specificati i motivi che hanno determinato i motivi (prima del 2012 non era necessario specificare i motivi, in quanto il lavoratore doveva chiedere i motivi). 2. Rimedi Quali sono i rimedi e le conseguenze in caso di licenziamento illegittimo? Su questa parte si sono concentrate tutte le modifiche del 2012, nello specifico con la Legge n. 92 del 2012, e successivamente con il Jobs Act, D. L n. 23 del 2015, contratto a tempo indeterminato. I due rimedi sono: - Tutela obbligatoria / debole. È prevista dall’Art. 8 della Legge n. 604 del 1966. Consiste nella possibilità di riassumere il lavoratore, o di risarcirlo con un indennizzo (riassunzione o risarcimento); - Tutela reale / forte. È prevista dall’Art. 18 Legge n. 300 del 1970. È stata sostituita la sanzione alternativa tra riassunzione o risarcimento prevista dalla tutela obbligatoria, con una sanzione di tipo reintegrativo nel posto di lavoro (effettiva reintegra nel posto di lavoro, fino al 2012). Regimi sanzionatori - Nel 2012 l’Art. 18 Legge n. 300 del 1970 viene completamente riscritto. Prima di questa data, infatti, era prevista soltanto la reintegrazione. Successivamente, i regimi sanzionatori diventano 4 (vi è una pluralità di regimi sanzionatori). I regimi sanzionatori erano stabiliti sulla base della valutazione della gravità del comportamento del datore di lavoro. 51 - Questi regimi sono stati ulteriormente ridisegnati dal Jobs Act nel 2015, esclusivamente con riguardo dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo del 2015. Resta fermo che il licenziamento legittimo possa avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo (le riforme del 2012 e del 2015 modificano infatti soltanto le sanzioni in caso di licenziamento illegittimo). Come si stabilisce la tutela applicabile? La scelta di far ricorso ad una tutela obbligatoria o ad una tutela reale dipende dall’assetto previgente, ovvero la normativa previgente che permette una distinzione molto netta tra tutela obbligatoria e tutela reale. Nello specifico, il numero di dipendenti è il criterio fondamentale per verificare il campo di applicazione delle due tutele, cioè a chi viene applicata l’una e a chi l’altra. L’intensità della tutela dipende infatti dalle dimensioni dell’unità produttiva ove avviene il recesso. Si distinguono unità produttive fino a 15 dipendenti, o unità produttive con più di 15 dipendenti / datori con più di 60 dipendenti a livello nazionale: - Unità produttive fino a 15 dipendenti: ci troviamo davanti la tutela obbligatoria (la scelta di riassumere il lavoratore o mandarlo via con un risarcimento economico). Questa alternativa è rimessa al datore di lavoro. - Unità produttive con più di 15 dipendenti / Datori con più di 60 dipendenti a livello nazionale: si applica la tutela reale. Vediamo dunque come la tutela è più forte per le unità più grandi, mentre è più debole per quelle più piccole. Tutela obbligatoria Art. 8 Legge n. 604 del 1966 - 1° possibilità: riassunzione del lavoratore. Si tratta di un’assunzione con un nuovo contratto Ex novo, con efficacia Ex nunc (da questo momento in poi). Il precedente contratto, infatti, è cessato, e il datore di lavoro assume nuovamente il lavoratore con un nuovo contratto. Il lavoratore, dal momento della nuova assunzione, potrebbe risultare come un lavoratore scomodo. - 2° possibilità: risarcimento con indennizzo economico. Tale importo deve essere compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dall’ultima retribuzione. Questo importo può essere aumentato fino a 10 mensilità con un’anzianità di servizio superiore di 10 anni, o aumentato di 15 mensilità con un’anzianità di servizio superiore di 20 anni. È una scaletta del lavoratore. Tutela reale Art. 18 Legge n. 300 del 1970 TESTO PRE-RIFORMA DEL 2012 La sanzione prevista era una sola, e si trattava della reintegrazione del posto di lavoro. Essa scattava sempre se il licenziamento era nullo, inefficace, o annullabile. La sanzione, dunque, era sempre la stessa. La reintegrazione è diversa dalla riassunzione, in quanto il lavoratore viene ricollocato nello stesso posto che occupava. Egli opera cioè Ex Tunc, ovvero fin dall’ origine, come se il rapporto non fosse mai cessato. Il giudice, inoltre, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore, stabilendo un’indennità commisurata alla retribuzione, dovuta dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegrazione del posto di lavoro. Questo risarcimento non può essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione. Inizialmente, come vediamo, la normativa era molto garantista nei confronti del lavoratore. In aggiunta all’Art. 18 Legge n. 300 del 1970 (sempre prima del 2012), intervenne la Legge n. 108 del 1990, ad ulteriore garanzia del lavoratore. Questa legge aveva riconosciuto al lavoratore la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità ulteriore pari a 15 mensilità di retribuzione aggiuntivi 52 Scatta un rimedio meramente risarcitorio, con un importo dimezzato rispetto al risarcimento del danno in misura piena, ovvero un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione. È il giudice che decide quale importo stabilire, in relazione alla gravità commessa dal datore di lavoro Licenziamento per motivi economici (licenziamento per giustificato motivo oggettivo) La riforma operata con la Legge n. 92 del 2012 ha l’obiettivo di agevolare il licenziamento, specialmente quando questo avviene per ragioni economiche. Nel caso di licenziamento per motivi economici, le sanzioni sono sostanzialmente le tre che abbiamo visto prima: 1. Reintegrazione attenuata / depotenziata (debole) >> DEVE ESSERE APPLICATA quando il licenziamento viene posto in essere per: - Un motivo consistente nella idoneità fisica o psichica del lavoratore (in violazione della Legge n. 69 del 1999). - Inoltre, viene effettuata in violazione del comporto, di cui l’Art. 2110 c.c, ovvero in caso di malattia, infortunio, gravidanza, o puerperio. Durante il periodo di comporto, il rapporto di lavoro è sospeso e il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore, fin quando non è scaduto il termine di conservazione del posto di lavoro. Il periodo di comporto è previsto dal CCNL. - Se, su domanda del lavoratore, il giudice accerti anche che vi è un difetto di giustificazione. Infine, la reintegrazione attenuata PUÒ ESSERE APPLICATA dal giudice quando egli accerta la MANIFESTA insussistenza del fatto produttivo o organizzativo posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Su quest’ultimo tema (la manifesta insussistenza) è intervenuta la Corte costituzionale, attraverso due sentenze, che hanno sostanzialmente modificato il contenuto di questa norma: • Sentenza n. 125 del 2022. >> La Corte ha dichiarato che il giudice non è tenuto ad accettare che l’insussistenza del fatto sia manifesta. La clausola sarebbe dunque incostituzionale solo con riferimento alla parola “manifesta”, e il giudice deve verificare soltanto se il fatto sussiste o non sussiste. Viene dunque eliminata la parola manifesta. • Sentenza n. 59 del 2021. >> La costituzionalità circa la facoltà del giudice di decidere. La Corte ha dichiara irragionevole la disparità che si viene a creare tra il licenziamento disciplinare, dove è previsto sempre l’obbligo della reintegra attenuata, e il licenziamento economico, dove sopravviene la discrezionalità del giudice. La Corte, attraverso questa sentenza, ha dichiarato che il giudice stia trattando in maniera diversa due situazioni uguali, ovvero situazioni dove il fatto non sussiste. Il giudice, dunque, in questo caso “DEVE” applicare la reintegrazione attenuata, e non “PUÒ”. 2. Risarcimento del danno in misura piena >> Facendo riferimento all’originale comma, il risarcimento del danno sarebbe scattato in caso in cui il giustificato motivo oggettivo fosse sussistente ma in modo non cosi manifesto da dover attuare la reintegrazione ridotta. Essendo che, come sappiamo, è stata abrogata la parola manifesta, in tali casi spetta comunque la sola indennità risarcitoria tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione. Che succede ai piccoli datori di lavoro? 1. Se il licenziamento è nullo, scatta sempre la reintegrazione piena; 2. Se il licenziamento è annullabile e inefficace, rimane la disciplina prefiggente, ovvero la scelta del datore di lavoro di riassumerlo o risarcirlo; 3. Principio della libera recedibilità, ai sensi dell’Art. 2118 c.c. >> il recesso ad nutum è ammesso in casi tassativi, ovvero: A. Dirigenti, tranne nel caso di licenziamento discriminatorio; B. Lavoratori in prova nei primi 6 mesi; C. Lavoratori domestici; D. Apprendisti durante il periodo formativo del contratto ; E. Lavoratori in possesso dei requisiti pensionistici per la vecchiaia, ovvero quando hanno maturato le condizioni per andare in pensione. 55 Jobs Act Legge n. 183 del 2014 • Art. 1, comma 7, lett. c della Legge n. 183 del 2014 >> Si riferisce alle nuove assunzioni che avvengono dopo il 7 marzo del 2015. - Le nuove assunzioni che avvengono dopo il 7 marzo del 2015 a tempo indeterminato devono essere effettuate in base alle nuove regole del licenziamento circa le tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio (Contratto a tutele crescenti, c.d. CATUC) - I licenziamenti economici non prevedono più una reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro; - L’indennizzo economico deve essere certo e crescente in base all’anzianità di servizio del lavoratore; - La reintegrazione è limitata ai licenziamenti nulli e discriminatori. Obiettivo di questa norma è dare certezza dei costi, ma anche tipizzare le diverse situazioni per fare in modo che il giudice non abbia discrezionalità nell’applicare queste normative. Le tutele previste contro il licenziamento illegittimo, per gli assunti dopo il 7 marzo 2015 sono: - Reintegrazione piena >> Art. 2, D. Lgs n. 23 del 2015; - Reintegrazione attenuata >> Art. 3, comma 2, D. Lgs n. 23 del 2015; - Indennizzo economico “crescente” >> Art. 3, comma 1, D. Lgs n. 23 del 2015; - Indennizzo economico “crescente” ma dimezzato. >> Art. 4, D. Lgs n. 23 del 2015; - Tutela per le piccole imprese. Reintegrazione piena Art. 2, D. Lgs n. 23 del 2015 È prevista nei casi di: - Licenziamento discriminatorio, a norma dell’Art. 15 della Legge n. 300 del 1970; - Licenziamento nullo espressamente previsto dalla Legge; - Licenziamento intimato in forma orale. Il giudice, in questi casi, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Se il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto. Alla reintegrazione piena segue il risarcimento del danno (indennità risarcitoria), commisurata alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegra, detratto l’aliunde perceptum, cioè quello che il lavoratore ha percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative dopo il licenziamento, e il pagamento dei contributi. L’indennità non può essere inferiore alle 5 mensilità. Il lavoratore, inoltre, può chiedere, in sostituzione alla reintegrazione piena nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione, facendo cessare il rapporto di lavoro. Vediamo come l’istituto della reintegrazione piena non presenta molte differenze rispetto alla precedente normativa. Reintegrazione attenuata Art. 3, D. Lgs n. 23 del 2015 - Art. 3, Comma 2. >> La reintegrazione attenuata si applica esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, rispetto al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto “materiale” contestato al lavoratore. Occorre specificare che deve essere dimostrato che il fatto “MATERIALE” sussista, e questa parola è stata aggiunta con una Sentenza del 2014, dove la Corte di Cassazione ha spiegato che non ci deve essere nessuna discrezionalità del giudice. Il fatto, infatti, deve essere materiale. Oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro, il giudice ordina al datore di lavoro il pagamento al lavoratore di un’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione e corrispondente dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra, dedotto l’aliunde perceptum, ovvero ciò che il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, e l’aliunde percipiendum, ovvero ciò che il lavoratore avrebbe potuto guadagnare. In ogni caso, l’indennità non potrà essere superiore a 12 mensilità (non è previsto un minimale). Indennizzo economico per licenziamento per giusta causa e giustificato motivo 56 Le tutele crescenti (CATUC) - Art. 3, Comma 1. >> Salvo quanto disposto dal comma 2, se il giudice accerti l’illegittimità del licenziamento ma il fatto materiale sussiste, non scatta la reintegrazione, ma scatta solo indennizzo economico. Questo indennizzo economico è pari a due mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36 mensilità (questi valori sono stati modificati dal Decreto dignità, in quanto prima il minimo era di 4 mensilità e il massimo di 24 mensilità). L’indennizzo economico di cui al comma 1 rappresenta l’istituto delle tutele crescenti. Sentenza n. 194 del 2018. La Corte Costituzionale si è pronunciata sulle tutele crescenti di cui al comma 1 dell’Art. 3, e ha dichiarato che il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato è incostituzionale circa la sola anzianità di servizio prevista. Pertanto, il giudice, quando valuta la situazione, nel rispetto dei limiti previsti (6 e 36) dovrà dunque tenere conto non soltanto dell’anzianità di servizio, ma anche degli altri criteri desumibili, come il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’impresa, il ruolo che le parti hanno ottenuto… Indennizzo economico per vizi formali e procedurali Art. 4, D. Lgs n. 23 del 2015 Indennizzo economico dimezzato Nelle ipotesi di licenziamento illegittimo per violazione del requisito di motivazione o della procedura prescritta dall’Art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, al lavoratore aspetta: - Un mero indennizzo economico (indennizzo economico dimezzato ), pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 2 mensilità e un massimo di 12 mensilità. Anche qui il giudice deve fare una valutazione globale e più complessiva. Dipendenti delle “piccole imprese” Si tratta delle imprese che non raggiungono i requisiti dimensionali dell’Art. 18 della Legge n. 300 del 1970. Le tutele previste sono le medesime delle imprese di maggiori dimensioni, ma con due importanti differenze: - Non è prevista la reintegrazione nelle ipotesi di licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale; - La tutela economica è sostanzialmente dimezzata. La reintegrazione varrà solo nei confronti del licenziamento nullo, discriminatorio, o intimato in forma orale. LICENZIAMENTO COLLETTIVO Legge n. 223 del 1991 Questa legge in origine prevedeva due ipotesi: - Collocamento in mobilità. >> Era connesso all’utilizzo della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria. Una volta fatto ricorso alla CIG, il datore di lavoro poteva collocare i lavoratori in mobilità. Questa modalità, ad oggi, non esiste più, ed è presente solo la seconda ipotesi, ovvero il licenziamento collettivo per riduzione di personale. - Licenziamento collettivo per riduzione di personale. >> Art. 24 della Legge n. 223 del 1991. Si ha licenziamento collettivo nel caso di: - Datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti, con l’intenzione di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni (4 mesi) nella singola unità produttiva o in più unità produttive collocate nella stessa provincia; - Il licenziamento deve essere la conseguenza di una riduzione o della trasformazione dell’attività e del lavoro. Si tratta di una ragione di tipo oggettivo. La Legge n. 223 del 1991 impone anche degli obblighi procedurali previsti nel licenziamento collettivo. Gli obblighi procedurali sono: - Fase sindacale >> Riguarda il coinvolgimento dei sindacati. È una prima fase sindacale, che prevede la comunicazione per iscritto alla RSU o RSA, ai quali deve essere mandata una comunicazione con i 57 - Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione della tecnica superiore; - Apprendistato professionalizzante; - Apprendistato di alta formazione e ricerca Regole generali dell’apprendistato L’apprendistato necessita di una forma scritta ai fini della prova. È inoltre necessario un inserimento di un piano formativo individuale (PFI). Il PFI, ovvero il periodo di formazione, ha una durata minima di 6 mesi, e la durata solitamente viene stabilita dal contratto collettivo. Di regola la formazione dura 3 anni. Alla fine del periodo di formazione, le parti possono recedere liberamente dal contratto (ovvero senza necessità di una giustificazione), ma con il rispetto del preavviso. Se non si da il preavviso, e quindi se nessuna delle due parti recede, il rapporto prosegue come un contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’apprendistato è un contratto a causa mista, nel senso che il lavoratore compie la prestazione e allo stesso tempo riceve una doppia tipologia di compensazione: - La retribuzione; - La formazione. I. L’apprendistato prevede un divieto di retribuzione a cottimo, ovvero quando il compenso che percepisce è commisurato alla quantità di lavoro prodotto e non in base alla durata; II. Il datore di lavoro può ingaggiare il lavoratore fino a due livelli inferiori rispetto a quello del lavoro subordinato che preveda le stesse mansioni. III. È necessaria la presenza di un tutor o un referente aziendale che esegua il PFI; IV. Qualora ci sono sospensioni del rapporto di lavoro per infortunio, malattia o altra causa di sospensione involontaria del lavoro, di durata superiore a 30 giorni, il PFI può essere prorogato per la medesima durata ci sospensione del rapporto; Limiti quantitativi dell’apprendistato Affinché la formazione sia effettiva, occorre disporre di soggetti che formano il lavoratore. - Innanzitutto, non si può superare un rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate per la formazione presso il medesimo datore di lavoro; - Se il datore non dispone di personale formativo, o ne ha meno di 3, potrà assumere apprendisti, facendo lui stesso l’opera di formazione, in un numero non superiore a 3 apprendisti. I contratti collettivi nazionali possono individuare dei limiti quantitativi diversi. - Per i datori di lavoro con almeno 50 dipendenti: l’assunzione degli apprendisti è subordinata alla prosecuzione a tempo indeterminato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro, restando esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, dimissioni o licenziamento per giusta causa. Se vengono assunti degli apprendisti oltre i limiti appena dettati, quest’ultimi saranno considerati ordinari lavoratori a tempo indeterminato. Apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di I.S.S e il certificato di specializzazione tecnica Si tratta dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di i.S.S e il certificato di specializzazione tecnica Questo apprendistato è finalizzato a collegare la formazione effettuata in azienda con l’istruzione e la formazione svolta dalle istituzioni formative, come le scuole e gli istituti tecnici. I destinatari di questo apprendistato sono i giovani che abbiano compiuto i 15 anni di età, fino al compimento dei 25 anni. 60 Questa tipologia di apprendistato ha una durata che è determinata in considerazione della qualifica o del diploma che il giovane deve conseguire, e non può in ogni caso essere superiore a 3 o 4 anni. Per quanto riguarda il PFI, quest’ultimo è predisposto dall’istituzione formativa con il coinvolgimento dell’azienda. Di conseguenza, il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi (come l’attestato rilasciato dall’istituzione formativa, es. il diploma) costituisce un motivo di licenziamento dell’apprendista. L’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale è di competenza regionale (e delle province autonome di Trento e Bolzano), e sono presenti 2 tutor formanti: - La scuola - L’azienda Per quanto riguarda invece la retribuzione: - Per le ore di formazione svolte all’interno dell’istituto, il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo; - Per le ore di formazione a carico del datore di lavoro, è riconosciuto al lavoratore una retribuzione pari al 10% di quella che gli sarebbe dovuta. Sono fatte salve le condizioni previste dai contratti collettivi. Apprendistato professionalizzante La finalità di questo apprendistato è il conseguimento di una qualificazione professionale. Esso si applica per i soggetti di età compresa tra i 18 e i 19 anni di età. Il PFI è svolto sotto la responsabilità del datore di lavoro, e ha una durata massima di 3 anni. Apprendistato di alta formazione e ricerca La finalità di questo apprendistato è il conseguimento di titoli di studio universitario e di alta formazione, nonché di dottorati di ricerca . I soggetti destinatari sono i soggetti compresi tra i 18 e i 29 anni di età, in possesso del diploma. Il PFI è predisposto dalla istituzione formativa con il coinvolgimento dell’impresa. La materia della retribuzione dell’apprendistato di alta formazione e ricerca è la medesima dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (vedi su). I tirocini formativi Non si tratta di un rapporto di lavoro, ma di un periodo di orientamento e di formazione, svolto in un contesto lavorativo e volto all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. • Tirocini curriculari >> sono rivolti ai giovani frequentanti un percorso di istruzione o formazione e finalizzati ad integrare l’apprendimento con un’esperienza di lavoro. Questo tirocinio è disciplinato dai regolamenti di istituito; • Tirocini extra-curriculari >> sono finalizzati ad agevolare le scelte professionali dei giovani. La displina è rimessa alle singole Regioni o alle province autonome. Il tirocinio prevede il riconoscimento di una congrua indennità in relazione alla prestazione svolta, che non deve essere inferiore a € 300,00 lordi mensili (questo importo può essere elevato dalle Regioni). Il mancato pagamento di tale cifra comporta una sanzione amministrativa che varia da un minimo di €1.000 ad un massimo di € 6.000. Il tirocinio ha una durata minima di 2 mesi, e una durata massima di 12 mesi, o 24 mesi per i soggetti diversamente abili. Al tirocinante è garantita la copertura assicurativa contro gli infortuni (INAIL) e per responsabilità per danni verso terzi. Gli oneri delle garanzie assicurative possono essere anche a carico delle Regioni e Province Autonome. Il lavoro agile Art. 18 della Legge n. 81 del 2017 61 Non è una particolare forma contrattuale, ma è meramente una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. Esso richiede una forma scritta ad probationem ai fini della prova, a pena di sanzioni amministrative. Il rapporto di lavoro agile può essere a tempo determinato o indeterminato. I contenuti del lavoro agile sono: - Introduce e regola la modalità agile (parallela alla modalità ordinaria); - Gli strumenti utilizzati dal lavoratore (esempio della sedia ergonomica che deve essere acquistata dal lavoratore in caso svolga la sua mansione all’esterno, come a casa sua); - I tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione È un’ arma a doppio taglio perché rimanda tutto all’accordo individuale, ed è frequentemente utilizzata per favorire il c.d. ribaltamento di costi. All’interno del lavoro agile possono essere inoltre concordati: • Diritto di precedenza (per lavoratrici madri e genitori e/o conviventi di disabili); • Diritto di parità di trattamento e/o non discriminazione (con lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda); • Recesso con/senza preavviso (dal solo patto); • Risoluzione consensuale (dal solo patto); • Tutela salute e sicurezza (basato su collaborazione fiduciaria) 06/12/2023 Gli ammortizzatori sociali Art. 1, comma 1, Legge n. 183 del 2014 Sono gli istituiti di cui si è parlato tantissimo specialmente durante il Covid. Il legislatore ha fatto infatti riferimento a tutti quegli eventi traumatici che possono ricorrere al lavoratore, come la perdita del lavoro, o momenti in cui l’attività dell’impresa rimase sospesa per una serie di causali, con conseguenti rimedi di sostegno. Il lavoratore, in queste situazioni, riceve un sostegno a reddito economico (sostegno passivo) con carattere previdenziale, che è legato ad una storia lavorativa pregressa, ovvero al versamento di contributi previdenziali. Questo sostegno serve ad ammortizzare le ricadute in capo al lavoratore del venir meno della retribuzione. Si tratta, più precisamente, di misure pagate dall’ente di previdenza (INPS). Queste misure intervengono: - Nei casi di disoccupazione involontaria (a seguito dell’estinzione del rapporto di lavoro); - Nei casi di sospensione del lavoro (in costanza del rapporto di lavoro). La materia degli ammortizzatori è stata più volte cambiata dal legislatore, che è intervenuto con due leggi recenti: - Legge n. 92 del Giugno del 2012 (Fu legge adottata dal Governo tecnico di Mario Monti, con Ministro del lavoro Fornero - si tratta della Legge Fornero); - Jobs Act, che due decreti legislativi facenti parte che riguardano gli ammortizzatori sociali; In caso di eccedenza del personale, possono capitare due situazioni: 1. Eccedenza temporanea >> Serve un sostegno sia al lavoratore che al datore di lavoro per superare una situazione di difficoltà momentanea. 62 - Il datore di lavoro, o il sindacato, presenta al Ministero del Lavoro la richiesta di un esame congiunto, e se la situazione riguarda più unità produttive collegate all’interno di più Regioni, si consulta anche la sede regionale. - Questa procedura non si applica al contratto di solidarietà. In questo caso si tratta infatti di un accordo dove la domanda viene presentata in via telematica drittamente al Ministero del Lavoro. La riforma dei trattamenti di disoccupazione Gli interventi riguardano sia le tutele in costanza di rapporto di lavoro (CIG) e soprattutto quelle in caso di perdita di lavoro. - Obiettivo della RIFORMA DEL 2012: migliorare l’efficienza, la coerenza e l’equità dei trattamenti di disoccupazione e delle politiche attive per il lavoro, in una prospettiva di universalizzazione della protezione e di rafforzamento dell’occupabilità. - Obiettivo della RIFORMA DEL 2014: omogeneizzare le discipline previgenti; assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori; incrementare la durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti; universalizzare il campo di applicazione dell'ASpI; favorire il coinvolgimento attivo degli espulsi dal mercato del lavoro ovvero dei beneficiari degli ammortizzatori sociali In entrambi gli interventi è forte l’esigenza di razionalizzare e rafforzare il collegamento con le politiche attive del lavoro. Evoluzione degli strumenti in caso di estinzione del rapporto di lavoro - Le prime misure di disoccupazione si ebbero negli anni ‘30. - Nel 1991 fu affiancato un trattamento speciale, ovvero l’indennità di mobilità. - Nel 1988 fu introdotto trattamento speciale a requisiti ridotti, come la lavoratrice. - Nel 2013 si è operata una prima razionalizzazione, facendo confluire il trattamento ordinario del 1930 e l’indennità di mobilità del 1991 all’interno dell’ASpI. Il trattamento a requisiti riodi del 1988 confluisce invece nella c.d MiniASpI; - Dal 1 maggio del 2015, ASpI e MiniASpI confluiscono nella NASpI. Accanto alla NASpI viene introdotta l’Asdi, che adesso non esiste più ed è durata appena due anni, confluita all’interno delle misure di contrasto alla povertà. Nell’ ASpI viene riconsultasse una indennità una tantum per i lavoratori a progetto, e viene introdotto il lavoratore autonomo e quindi non subordinato Nel 2015, attraverso la NASpI, viene introdotto l’assegno di ricollocazione, destinato al disoccupato che usa questo bonus per trovare il più velocemente una collocazione lavorativa presso centri dell’impiego o privati accrediti. NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) Non cambiano i destinatari, che continuano a essere i lavoratori subordinati, gli apprendisti, e i soci lavoratori di cooperativa. La NASpI non si applica al pubblico impiego a tempo indeterminato. L’evento protetto è la disoccupazione involontaria, situazione tra l’altro protetta dall’Art. 38 della Costituzione, dove troviamo gli eventi socialmente rilevanti. La NASpI aspetta dunque solo nel caso di dimissioni per giusta causa. Requisiti di accesso alla NASpI: Occorrono 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni (con l’ASpI era richiesto un anno di contributi) e 30 giorni effettivi di lavoro (dal 2022, non occorrono più i 30 giorni di lavoro effettivo). Durata della NASpI: Dipende dell’anzianità contributiva del lavoratore, a prescindere dall’età anagrafica, per un massimo di 24 mesi. Si riceve la NASpI per la durata pari alla metà del tempo lavorato. * Nell’Aspi la durata prevedeva anche all’età anagrafica, quindi più anziano era il lavoratore, più questo istituto durava. Era inoltre prevista una durata massima di 18 mesi. Ad oggi nella NASpI non c’è differenza anagrafica. Importo della NASpI: È rapportato alla retribuzione percepita nel corso degli ultimi 4 anni (stesso della ASpI). 65 È previsto un importo massimo di €1471,00, con la presenza di un decalage, ovvero l’importo della NASpI diminuisce nel tempo. Questa riduzione progressiva operava inizialmente dal 4° mese di godimento della NASpI, con un abbattimento del -3% per ogni mese rispetto all’importo precedente. Ad oggi il decalage del -3% parte dal 6° mese, e dall’ 8° mese per gli over 55enni. • Anticipazione della NASpI >> Sono previsti degli incentivi per l’imprenditore nel caso di autoimprenditorialità del lavoratore, ovvero nei casi di anticipazione della NASpI qualora il lavoratore abbia l’intenzione di aprire un’attività. Condizionalità della NASPI: Ricerca attiva di un’occupazione e reinserimento nel mondo del lavoro, attraverso l’assegno di ricollocazione. 11/12/2023 La retribuzione • Art. 2094 c.c. «E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore». La retribuzione è dunque il corrispettivo al quale il lavoratore ha diritto in ragione dell’attività svolta alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro. - Corrispettività >> scambio tra retribuzione - prestazione lavorativa La retribuzione costituisce il principale diritto del lavoratore subordinato per l’attività prestata ed, al contempo, il principale obbligo del datore di lavoro. Non si tratta solamente di numero corrispettivo, ma svolge una pluralità di funzioni. La corrispettività, quindi la retribuzione, deve infatti tenere in considerazione il fatto che il lavoratore è una persona, e in quanto tale ha diritto che vengano garantiti determinati standard, con funzioni sociali, retributivi, di contrasto alla povertà e di prevenzione. • Sinallagmaticità >> caratteristica principale è che si stabilisce che a fronte di un inadempimento, segue un inadempimento, e a fronte di un adempimento segue un adempimento. Nel diritto del lavoro si tratta di una sinallagmaticità imperfetta, visto che permane l’obbligo del datore di lavoro di prestare la retribuzione. Vi sono infatti dei casi in cui la retribuzione del lavoratore viene comunque corrisposta, anche in assenza dell’esecuzione della prestazione (il lavoratore si astiene dall’attività lavorativa, e il datore di lavoro deve comunque retribuire). Queste ipotesi tassative sono: - Ferie, festività, infortunio, malattia, gravidanza o puerperio. Sono casi stabiliti dalla legge. - Permessi studio, i congedi, i permessi per motivi sindacali. Sono le ipotesi stabilite dalla contrattazione collettiva. Affrontando il tema della retribuzione, la contrattazione collettiva ha un ruolo fondamentale, dato che riveste un ruolo di co-protagonista. Art. 36 della Costituzione La sinallagmaticità trova al centro la sua persona, e fonda le sue basi sull’Art. 36 della Costituzione (nel nostro ordinamento non è presenta una nozione di retribuzione, ma l’Art. 36 è lo strumento fondamentale di tutto l’istituto della retribuzione). - Art. 36, comma 1 della Costituzione >> “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa” L’articolo sancisce due principi: 66 - Principio della proporzionalità >> la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato - Principio della sufficienza >> assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza dignitosa. * Riferimento a norma programmatica, ovvero una norma che programma una certa cosa, e norma percettiva, ovvero che è direttamente applicabile e non ha bisogno di atti per essere attuata. La particolarità di questo articolo è che esso può produrre immediatamente i suoi effetti tra le parti, e quindi è una norma percettiva. Il fatto che sia direttamente applicabile, ne comporta la non necessità di un ulteriore atto normativo perché il contenuto si applica direttamente. La norma stabilisce dei criteri vincolanti nella determinazione del trattamento retributivo, e le parti, durante la contrattazione, sanno che essi si dovranno ispirare a questi principi. La proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro e la sua sufficienza, non sono demandate alla valutazione delle parti individuali, ma alle determinazioni del contratto collettivo. Il problema sorge, però, nel limite dell’efficacia soggettiva, applicabile, come sappiamo, ai soli iscritti alle associazioni stipulanti. - Cosa succede se le parti non sono iscritte? - Il contratto individuale può contenere una clausola che rinvia al contratto collettivo (clausola di rinvio); - Il datore di lavoro è libero, in via astratta, nel fissare la retribuzione, perché ci troviamo all’interno di un rapporto privatistico (principio della libertà contrattuale). Le parti accettano dunque tacitamente il contratto collettivo; L’intervento della giurisprudenza: il giudice stabilisce la retribuzione (retribuzione-parametro) - Cosa accade quando il datore di lavoro non è iscritto al sindacato stipulante e non vuole applicare i livelli retributivi previsti dal contratto collettivo? Se il datore di lavoro stabilisce una retribuzione che non rispecchia i requisiti dell’Articolo 36, interviene la giurisprudenza, stabilendo che il giudice possa, ma non “deve” (perché il contratto non ha efficacia erga omnes), stabilire la retribuzione, facendo riferimento ai minimi di trattamento economico previsti dalla contrattazione collettiva (riferimento alla Tesi Regina: Art. 36 della Costituzione e Art. 2099 c.c.). Si è ritenuto, infatti, che un criterio guida possa essere quello della contrattazione collettiva (anche se ci sono stati due casi recenti in cui nemmeno la contrattazione collettiva è risultata sufficiente). La contrattazione collettiva può dunque essere utilizzata come parametro, ma bisogna andare a vedere se comunque essa sia sufficiente. Tipi di retribuzione La retribuzione è corrisposta in danaro, a cadenza mensile, erogata successivamente all’attività lavorativa (principio della post-numerazione); L’Art. 2099 c.c stabilisce tre sistemi di retribuzione: - A tempo >> il più comune, e il più garantista. L’unità di misura è il tempo, e non dipende dal raggiungimento di un certo risultato (rilevanza delle ore, nel senso che è sufficiente che il lavoratore abbia lavorato quel certo quantitativo di ore). - A cottimo >> valorizza il risultato, nel senso che l’unità di misura è il raggiungimento di un risultato, ed è meno garantista rispetto a quello a tempo; - Partecipazione diretta ai risultati di impresa, come gli utili, le provvigioni, i prodotti. Non sono dei sistemi alternativi, nel senso che si può avere a tempo e a cottimo, in base alle esigenze del lavoratore. Al secondo del tipo di sistema, c’è un diverso tipo di coinvolgimento del lavoratore all’impresa, che può essere: - Minimo, quando la retribuzione è percepita in maniera fissa e periodica; - Crescente, nei sistemi a cottimo in cui la retribuzione è generalmente divisa in una quota fissa e una variabile; - Elevato, quando si hanno i risultati di impresa. 67
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