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appunti completi di filosofia, Appunti di Filosofia del Diritto

appunti completi lezioni 2023 di filosofia del diritto,

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 22/08/2023

annaperrone
annaperrone 🇮🇹

7 documenti

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Scarica appunti completi di filosofia e più Appunti in PDF di Filosofia del Diritto solo su Docsity! FILOSOFIA DEL DIRITTO Parte 1, LEZIONI Prof Puppo Lezione 1 (14/02) Bobbio, parlando di filosofia del diritto, aveva distinto tra : -filosofia del diritto dei filosofi : consiste nel travisare nel diritto quelle che sono le teorie generali. Questo approccio ha prodotto un grave danno, cioè una dicotomia tra giurista (tecnico, che deve risolvere i problemi concreti) e il filosofo (che si occupa del diritto solo dal pdv ideale, astratto). -filosofia del diritto dei giuristi o meta giurisprudenza : parte dal basso, dalle esigenze pratiche; meta giurisprudenza come qualcosa che riguarda i giuristi; il giurista può svolgere la professione senza essersi occupati di chiarire che cosa è la legge, la verità, ecc. allora come viene svolta l’attività? -teoria dello struzzo : senza farsi domande, accoglie le nozione che gli vengono impartite; -giurista critico : giurista che non si accontenta di un sapere ma che comprende che la sua attività non potrà mai esaurirsi in un memorizzare norme e leggere codici, ma deve essere imperniata sul ragionamento. (knowing how) Questo saper fare implica la filosofia, il ragionamento. Parlare di diritto, nella prospettiva di La torre, guarda al fenomeno giuridico riferendosi a norme, regole, principi e argomenti normativi. Una norma che non fosse in grado di soddisfare esigenze di giustizia, sarebbe difettosa, scartata. Per definizione il diritto ha per sua stessa natura la pretesa di essere corretto. Da questa considerazione banale, massimo La torre sostiene che il giurista, senza una qualche comprensione di ciò che è giusto, resta senza orientamento. In effetti, la torre sostiene che il diritto non può arrestarsi al “quid est veritas?” (riferimento a pilato), ma su quel quid si deve arrovellare e provare a identificare un oggetto o un principio. -non cognitivismo etico afferma che nelle disputa di natura etica, pratica e quindi giuridica non è possibile fare riferimento alla verità delle nostre affermazioni, ma ci sono affermazioni più o meno accettabili. Invece non bisogna essere non cognitivisti perché esiste la verità e la falsità., bisogna capire però cosa sia vero e cosa sia falso. Secondo Enrico berti nella nostra tradizioni la filosofi è stata concepita essenzialmente come logos, in questo caso logos va inteso in senso forte del termine cioè come “argomentazione”, intesa come un discorso che non si limita a dire come stanno le cose ma cerca di motivare quanto si afferma, cioè di portare delle ragioni. Quindi la filosofia nasce in Grecia tra V e VI sec a.C., bisogna dare conto di ciò che si dice. Dal momento che la filosofia si fa attraverso questo discorso si usa un metodo, cioè la c.d. “confutazione dialettica”: cioè quel tipo di metodo che consiste nello stabilire la verità di una affermazione attraverso l’accertamento della impossibilità dell’affermazione opposta. La filosofia si attua quindi all’interno di un dialogo, dove c’è chi domanda e chi risponde (dialoghi platonici); il filosofo dialoga. La filosofia conosce due dimensioni: -dialogo reale o fittizio tra due interlocutori, ciascuno dei quali sostenga una tesi contraddittoria rispetto a quella dell’altro; LEZIONE 2 15/02 Il giurista posto di fronte a questa pretesa di correttezza del diritto, senza la capacità di ragionare, resta senza orientamento e diventa un mero esecutore. Allora il diritto, quindi i giuristi non possono arrestarsi al “quid est veritas”, ma su questo si deve arrovellare e lo può fare tramite il logos. Questo tipo di confutazione avviene nel contesto dialogico, perché ci sono due tesi, il dialogo è quella situazione in cui ci sono due soggetti che si interrogano a vicenda, fino ad accertare la tesi corretta; nuovo argomento : 1)-che cos’è un dialogo? Ci sono molte definizioni, ma dobbiamo far riferimento a quella data da Walton secondo cui il dialogo può essere definito come: scambio conversazionale (conversational exchange) che abbia uno scopo, cioè come una circostanza particolare in cui le parti ragionano insieme, non c’è uno che ascolta e uno che insegna; si ragiona insieme perché ognuno fa domande, da risposte e avanza giustificazioni a sostegno delle proprie tesi. il dialogo richiede almeno due tesi; il dialogo, secondo berti, se è tale, va inteso in senso forte. Il fine del dialogo è la verità, quindi il dialogo non è una mera conversazione, ma è una discussione per cercare di capire quale tesi è vera e quale è falsa. Non è un pour parler, e c’è una differenza tra quella forma di sapere che si struttura dialogicamente come la filosofia e in un certo qual modo anche il diritto (anche se vedremo delle differenze) e le scienze esatte come la matematica. È una distinzione che risale ad aristotele, può essere problematizzata e ci basiamo su una distinzione di comodo che segna la differenza tra i saperi che saranno poi chiamati umanistici e i saperi che saranno poi chiamati scientifici. I saperi scientifici non sono dialogici, sono monologici, in quanto non richiedono un interlocutore. Quando io dimostro un teorema non sono in questa dinamica di domanda e risposta che connota l’esperienza filosofica, perché nel caso dei saperi scientifici la risposta è una sola. Quando dimostro l’assioma dei teoremi di Euclide non posso andare oltre, è quella e basta. Quel particolare tipo di verità che accerto nelle procedure scientifiche non richiede, anzi esclude espressamente il dialogo. Richiede solo prinicpi e assiomi da cui partire. quando qualcuno muore non lo rivedrò mai più. Questo è il motivo che ha causato la nascita della filosofia. Talete di mileto è il primo che struttura il problema in termini filosofici. Una volta posto il problema del principio, esso è innegabile, la filosofia formalizza il concetto di principio, si dà una forma a qualcosa che serve per strutturare una domanda e trovare una risposta. Il principio può essere definito come “ciò che è in tutte le cose, ma non si esaurisce in alcuna di esse o nella loro somma.” Tutte le cose che sono, sono destinate a perire (la morte è in tutte le cose). È un’esigenza forte, perché solo un “dormiente” non si porrebbe mai il problema della morte. L’esistenza di un principio è innegabile, perché se lo negassimo, diremmo che tutte le cose che sono, non hanno niente che le tenga insieme, sarebbero come punti isolati senza nessuna relazione. Ma così facendo cadremmo in una doppia contraddizione : -se dico che il principio non esiste, dico che non c’è niente che tiene insieme le cose. -ma se dico che non c’è niente che tiene insieme le cose, allora sarebbe comune a tutte le cose, quindi troverei di nuovo il principio. Perché se dico “tutte le cose” non hanno niente in comune, comunque sto trovando un elemento comune, quindi riaffermo il principio. Quindi Talete, nel parlare del principio, ci permette di formalizzare in termini razionali ciò che non può essere negato, la condizione originaria dell’essere. è vero che ciò che è comune è il perire, ma è del tutto insensato se questa fosse la realtà ultima delle cose, porsi il problema del valore di ciò che è giusto o sbagliato. Talete dice che il principio di tutte le cose non può essere la morte; quindi il principio è come l’acqua > non dice che il principio è l’acqua, ma che è come l’acqua. È una metafora per dire che il principio è in tutte le cose, l’acqua non ha forma, ma assume quella del contenitore in cui viene versata, allora Talete dice che è come l’acqua perché è in tutte le cose, solo che tutte le cose sono diverse. Come è possibile che ci sia qualcosa in tutte le cose, se tutte le cose sono diverse? Perché il principio informa di sé tutte le cose. Se il principio è come l’acqua, e l’acqua non ha forma, che cosa vuol dire? vuol dire che il principio è senza differenza, perché le differenze sono quelle che incontriamo sul piano fenomenico, ma in quanto tali se fossero proprie del principio, il principio non potrebbe essere di tutte le cose differenti. Questo problema si chiama : dualismo, perché se il principio è senza differenza, da dove vengono le differenze? Cercando il principio, ho il principio dell’identità (senza differenze) e poi dovrei cercare il principio della differenza, perché da dove viene se il principio sia senza differenza? Talete incappa in un problema tipico cioè la concezione dualistica : se deve esistere il principio senza differenza, ma non so come spiegare le differenze, allora vuol dire che ce ne sono due, ma ce ne deve essere uno. Il principio va rigettato, per motivi razionali, ad un esito nichilistico. Se noi non fossimo differenti, non ci riconosceremmo da altro. Allora ciò che ci caratterizza in quanto esseri, sarebbe destinato, secondo Talete, a negare ciò che noi siamo. Quindi visione dualista e nichilista. L’essere come l’acqua, ci dice che ciò per cui noi siamo, nega il nostro essere. Quindi quella parte di principio di Talete, per cui il principio è senza differenze ,va rigettata. Allora il principio di cosa è principio? Caratteristiche del principio : è come l’acqua, non può avere forma. Ma si incappa nell’errore del dualismo, perché se è senza differenza, allora da dove viene la differenza? Talete non è stato l’unico a porsi questo problema, dopo troviamo Parmenide di Elea. Parmenide (definito da Platone come maestro venerando o terribile): parmedine scrive il “Poema sulla natura” e nel proemio di questo poema, Parmenide racconta di un giovane che su un carro, trainato da due cavalli, aveva visitato tutti i luoghi dell’essere, e ad un certo punto giunge al limitare dell’essere e trova un enorme portale, custodito dalla dea della giustizia, dikè. Chiede alla dea di aprire il portale per poter guardare oltre l’essere e si apre il portale e scruta un abisso senza fondo. Eppure da questo abisso si alza una voce che dice “è necessario che le cose siano”. Cosa dice quindi Parmenide? Parmenide che dice che l’unica cosa che può essere è l’essere, e il non essere assoluto non può né essere detto né essere pensato. Il non essere assoluto non può né essere detto né essere pensato. L’unica cosa che può essere è l’essere. Ed ecco che non c’è nessun dualismo tra essere e non essere, perché l’unica cosa che può essere è l’essere. quindi il dualismo non può esistere, perché il non essere assoluto non può essere, perché è. Il non essere assoluto non esiste. Platone ne “il sofista” si dice che abbia ucciso Parmenide , ma in realtà uccide gli alleati perché sono dualisti. Platone, invece, amava Parmenide e sa che Parmenide dice che l’unica cosa che può essere, è l’essere. ma che cos’è allora il non essere? Platone nel sofista dice che l’essere è, ma in certo modo può non essere; contraddice o no Parmenide? Il non essere di cui parliamo non può essere il non essere assoluto come dice Parmenide, allora è il non essere relativo. La differenza è un modo dell’essere, il principio è anche il principio delle differenze, perché TUTTO ciò che è non può che essere. Questo ha una portata dirmpente perché vuol dire che il rapporto tra identità e differenza che viene posto in modo alternativo è del tutto complementare, non alternativo. Io sono (identità) federico puppo e sono federico puppo anche in ragione del fatto che non sono un altro, quindi la differenza qualifica la mia identità e non potrebbe darsi identità senza differenza perchè Le cose sono nella misura in cui sono diverse. Vuol dire che non esiste nulla che sia totalmente diverso da me. Non esiste nulla che sia così lontano da me da risultare totalmente altro. Non esiste al punto che se esistesse ne sto parlando, quindi non è totalmente altro perché lo nomino. Io sono nella misura in cui necessariamente c’è qualcosa di diverso rispetto a me. --il diritto non è un insieme di norme, non è ciò che noi utilizziamo x risolvere una controversia. Questa è la funzione del diritto, ma il diritto è la presa in carico del dovere di custodire la struttura originaria dell’essere, la relazione. Nel dialogo trovo identità, differenza e relazione tra le due : nel principio abbiamo identità, differenza e la relazione > non ho un principio della identità e uno della differenza, ma ho un principio nel quale stanno tanto l’identità quanto la differenza. Ma quindi anche la relazione tra le due. Io sono nella misura in cui non sono altro da me. L’altro da me va annientato. LEZIONE 21/02 L’identità perfetta non esiste, c’è sempre qualche relazione. Heiddeger nota che lo stesso principio di identità prevede una relazione tra identità e differenza. Nel principio c’è il logos, c’è la differenza. Da questo pdv non è privo di rilievo come in Parmenide questa significanza si connette alla natura del discorso. Nel nostro discorso, come esseri finiti, si riverbera la potenza del principio che è un continuo proliferare di forme, nessuna di esse è lontana da me che non possa comprenderla. Il pensiero greco non era monolitico, perché al suo interno si manifesta una tendenza contraria rispetto a Platone e Aristotele. (età classica: Atene nel V sec a.C.). In questo scritto “elogio del diritto” di Jaeger, ci informa che la tendenza prevalente del pensiero giuridico greco dell’origine di quello di riferire il diritto all’essere. Cioè venne riferito al kosmos, come ordine delle cose, un ordine oggettivo (oggettivo nel senso un ordine che precede il soggetto, che esiste indipendentemente dal soggetto), un ordine che promana dal principio. L’uomo greco riconosce la presenza di un principio che lo precede e ne condiziona le azioni, i giudizi, le decisioni. Tutta la nostra tradizione occidentale posa su questa costruzione greca del mondo del diritto che presuppone il kosmos, come divino ordine delle cose; e che i greci contemplano, prima del sapere filosofico, come mito. Il mito è l’anticamera della filosofia; la filosofia del diritto moderna conserva i fondamenti di questa tradizione, ma ci fu un punto di svolta, vedremo come la rivoluzione di galileo galilei consistette soprattutto nella negazione della filosofia aristotelica. In parte, però, si trovo, quindi, al progressivo dissolversi di questi quello della polis, come un animale. I rapporti intersoggettivi sono governati dalla forza, non vince la verità, la verità non c’è, vince il più forte. Colui che ti convince con la forza del discorso. Chi ascolta è irrazionale, decide sulla base delle passioni, non della ragione. Se c’è la verità non si discute, perché 1 + 1 =2; invece nei contesti politici e giuridici si discute sempre, quindi non c’è verità. Il vero è nella scienza, perché qui non c’è discussione. Chi ascolta il retore è interamente passivo nei confronti della realtà, come succede con gli animali (schema stimolo-risposta). Ti stimolo e tu agisci automaticamente (come il cane di pavlov). Questo rispecchia anche il dualismo tra cuore e ragione, noi costruiamo un mondo in cui queste due realtà cozzano. Nella concezione sofistica c’è una indistinzione tematica tra l’orizzonte umano e il divenire naturale, l’uomo e la natura sono omogenei: l’uomo è parte della natura, qualitativamente indistinto da essa, meccanismo di stimolo e risposta (se hai paura della sanzione, non lo fai); cos’è la legge? L’utile del più forte. Chi decide cosa sia giusto o sbagliato? Chi ha il potere. Quindi in questa concezione il diritto non vale perché è giusta, ma perché chi la fa te la impone. Nella natura conta la legge del più forte. Hobbes, padre del giusnaturalismo moderno, dice che nello stato di natura homo homini lupus: vince il più forte e lo ripropone nello stato politico con il leviatano, il sovrano è colui che detiene la forza, colui che fa paura. La retorica, di cui si parla, è veramente quello che dicevano i sofisti? Oppure è possibile che la retorica è diversa rispetto alla captatio animi di cui già Platone parlava? Quando parliamo di consenso, siamo sicuri che questo elemento possa prescindere dalla verità? Questo è il problema. LEZIONE 22/02 La concezione sofista non va bene perché il diritto non può essere relegato al farsi di se stesso in questa maniera. Il giurista deve essere l’antitesi del sofista. Non è vero che c’è distinzione tra passione e ragione; le passioni non sono irrazionali, contribuiscono alla scelte. La cosa più importante è che, se i sofisti dicono che non c’è nulla di stabile, che tutto dipende da noi, come è possibile che ci sia un metodo, insegnato da loro, con il quale posso ottenere il consenso? Allora c’è qualcosa di stabile che è questo metodo. Si contraddicono. Quindi la posizione sofistica è inconsistente in se stessa, si auto contraddice, la contraddizione emerge dalla prassi; cosa comporta rigettare la posizione sofista? Platone e isocrate, per motivi diversi, erano nemici dei sofisti. Poiché sostenevano tesi diverse, si parla di “conflitto degli umanismi”. ISOCRATE era consapevole che il problema dei sofisti era quello di una deriva relativistica. La società greca si è sempre percepita come un mondo coeso e questo in ragione di alcuni punti focali che investivano esattamente l costruzione di un mondo che passava attraverso l’educazione, quindi di un mondo di valori assiologico. Il ruolo fondamentale della coesione era rivestito dalla tradizione. Isocrate era preoccupato che la visione sofistica dice che tutto dipende da noi, e quindi non c’è più un valore in cui noi ci riconosciamo, ma ci possono essere valori diversi. Quindi su che base poteva essere costruito il valore? Quindi non si può dire che atene si costruisce partendo da se stessi, quindi, secondo isocrate il pericolo era la dissoluzione della polis, quindi come fare a garantirla? Attraverso l’educazione fondata sulla tradizione. La tradizione era data da Omero, i miti della tradizione omerica erano visti come un serbatoio di valori in cui la società si riconosceva. Quindi il mito che inizialmente veniva cantato subiva della modifiche, perché veniva attualizzato (esperienza). Quindi : -tradizione -educazione -esperienza PLATONE, invece, aveva una concezione diversa. A grandi linee la filosofia platonica si sviluppa lungo il concetto del mondo delle idee. Platone andava contro i sofisti per motivi diversi; il problema per Platone rispetto alla sofistica era la questione della verità. Platone sviluppa un poderoso edificio filosofico a sostegno della verità. Platone era contrario alla retorica perché è ciò che fanno i sofisti; perché è questa persuasione, questa captatio animi del tutto disinteressata alla verità; è una “caccia all’uomo”; poi si distingue tra retorica buona e cattiva: -cattiva : (sofistica) è quella dei sofisti perché è persuasione indipendentemente dalla verità -buona : è quella che si usa per persuadere al vero, perché la verità esiste. Quindi se persuado alla verità, allora è buono, invece se persuado, ignorando la verità, allora è cattivo > ma quando Platone parla di verità cosa intende? Come accerto la verità nella filosofia? Mediante la dialettica, quindi quella verità è quella che accerto con la dialettica; questo vuol dire che accerto cosa è vero e poi persuado. La verità dialettica accerta tramite la confutazione una verità che è proprio così, non si può negare l’esistenza della verità. Verum / Bonum/ Esse (= non posso negare l’esistenza della realtà): sono i trascendentali del pensiero, sono dei super concetti che sono ineliminabili. Quindi con la dialettica accerto la verità, ma qual è il problema >> con la dialettica accerto verità filosofiche; il problema è che Platone nel sostenere che esiste la verità che è quella che accerta il dialettico; cioè platone per salvare la retorica sacrifica l’esperienza sull’altare della verità dialettica; il problema è che nell’esperienza ho un sacco di situazioni che cambiano; Isocrate : parla dell’esperienza senza verità Platone : parla della verità senza esperienza e passioni, platone ha avuto molta difficoltà nell’accettare l’elemento delle passioni perché la filosofia è ragione. Ma le passioni sono l’elemento più concreto della esperienza. Come spesso accade “tra due alternativa, scegli la terza”. si può riscattare la retorica nei vs sofistica senza incappare nel relativismo di socrate, l’esperienze sono tante, perché una invece di una altra? Sant’Agostino (4 e 5 sec) affronta un problema simile a questo quando mostra l’impossibilità di accettare tanto la posizione dello scettico quanto quella del dogmatico. Questo perché lo scettico dice che non c’è nessuna verità e questa è invece una verità; il dogmatico dice la verità c’è e ti dico io qual è, ma sembra una imposizione di forza. Come si esce da questo impasse? Io non posso negare l’esistenza della verità, quindi eliminiamo lo scettico; però non va bene neanche quello che dice che la verità e una sola e non può essere messa in discussione. Come usciamo? Ci aiuta aristotele. ARISTOTELE come platone scriverà la sua prima opera in cui esprime, pare (perché non è pervenuta) , una visione contraria alla retorica; poi però capisce che la mossa platonica e isocratea prese da sole sono insoddisfacenti > allora la via di uscita è unirla; quindi : la verità non è negata dall’esperienza (non posso negare l’esperienza della verità e devo riconoscere che anche nell’esperienza cangiante esistono le verità.. ma anche le verità retoriche. Aristotele afferma che guardando all’uomo retorico constatiamo che siamo in presenza di quello specifico agire dell’animale che ha il logos, cioè ha la ragione, ma cosa vuol dire avere il logos? Vuol dire, non solo che ragione e quindi persuade, ma che si lascia persuadere. L’essere persuasi non è come pensavano i sofisti qualcosa di passivo, ma è una azione del logos, ed è l’azione del logos dell’uomo; l’uomo, per Aristotele, viene definito come zwn politicon (animale politico e linguistico > l’essere nella polis dell’uomo è connesso indissolubilmente al vivere in un contesto di socialità che è anche un contesto linguistico, dove si persuade e dove si viene persuasi.) La persuasione retorica e quindi la retorica non sono elementi accidentali del contesto sociale ma sono elementi essenziali del contesto giudiziale e deliberativo. Persuadere e lasciarsi persuadere sono attività del logos, quindi la persuasione non è un fenomeno irrazionale; essere persuasi attraverso le passioni non è qualcosa di estraneo rispetto alla ragione. La persuasione si attua intorno a ciò che è oggetto di scelta. Su cosa deliberiamo? Aristotele nell”etica nicomachea” dice che deliberiamo su ciò che dipende da noi e può essere realizzato; nessuno prende decisioni su cose eterne come l’origine del giudizi morali le passioni hanno un ruolo parassitario, che sarebbe bene eliderle; in realtà oggi noi sappiamo che le emozioni hanno un ruolo cognitivo poiché è provato che noi esprimiamo giudizi anche sulla base delle emozioni. Questo procedimento è eliminabile.) Aristotele ha una visione più realista rispetto a Platone perché Aristotele sa che le emozioni fanno parte dei processi decisionali, quindi, dato che non possono essere espulse, dobbiamo capire come controllarle. Quando siamo in presenza del pathos, F. Piazza dice che non dobbiamo separare la componente emotiva da quella cognitiva. Più un discorso è capace di tenere insieme piacere e conoscenza, più esso è persuasivo. Nella concezione aristotelica il piacere non è aggiunto alla conoscenza, ma ne è parte costitutiva; il piacere retorico è un persuadere che ha nell’elemento di provare piacere un elemento costitutivo. Il piacere è parte della conoscenza. Un discorso è persuasivo non perché produce conoscere e quindi piacere, ma perché produce conoscenza piacevole e di conseguenza piacere, quindi logos e pathos vanno insieme. Aristotele è diverso dai sofisti, ma anche da Platone (che sosteneva che ci fosse conoscenza e poi retorica). RAPPORTO TRA CONOSCENZA E RETORICA: -parte con Platone -subisce un processo secondo il quale si giunge a ritenere che ci sia solo retorica : succede che la retorica, in età romana, diventa retorica letteraria cioè teoria del bello scrivere o parlare. Molti, però, sostengono che questa teoria è utile per persuadere al vero. Se la conoscenza è veramente conoscenza non ho bisogno della retorica perché la verità è auto evidente. Prima di Cartesio che è responsabile di questo cambiamento, c’è Pietro Ramo che sostiene che se esiste una conoscenza vera, questa non ha bisogno della retorica. Questo è seguito dalla scienza moderna : Galileo, Cartesio, Lock , Hobbes : tutti pensano (nonostante la usino) che sia bene fare a meno della retorica. - C’è quindi la verità dialettica e la retorica a servizio della verità; - poi c’è la verità che non ha bisogno della retorica - poi si dice che tutto è retorica Come è possibile che si giunga a questo passaggio? Viene compiuto da Nietzsche : non esiste la verità. Paradossalmente qualcuno ha detto che siamo nell’epoca della retorica perché non c’è più verità, quindi la retorica è ovunque, cioè si dice che la verità non c’è da nessuna parte. Quindi se non c’è da nessuna parte, allora c’è solo retorica. Heidegger sostenne un corso nel 1928 sulla retorica di Aristotele (tutte le lezioni sono racchiuse in Concetti fondamentali della filosofia aristotelica). Heidegger capisce che la retorica aristotelica non è un di più, ma rispecchi al meglio il concetto di animale politico. Il pahos, elemento delle passioni, non è solo relativo al modo in cui il modo sta in noi, ma il pathos è una caratteristica del disporsi dell’essere umano nel mondo, un come dell’essere-nel-mondo. Heidegger sostiene che il nostro essere (siamo sempre in un contesto), il nostro esserci, è sempre un essere con gli altri. Il pathos ha a che fare con il modo in cui il mondo è in noi, ma il pathos ha a che fare con come noi siamo nel mondo > la maniera e il modo in cui siamo in un certo stato d’animo, dipende anche da come noi ci poniamo rispetto al problema. Passare da uno stato d’animo ad un altro ha a che fare con il prendere una posizione rispetto al mondo. La verità non è una questione di pdv; è possibile parlare di verità nell’ambito dei discorsi retorici perché altrimenti non potremmo mai dire che certe cose sono sbagliate perché incontriamo il logos. Il fine pratico della retorica è quello di persuadere verso una certa azione; O siamo capaci di dire che una cosa è sbagliata, altrimenti è solo una questione di pdv, e i pdv cambiano > multiculturalismo. Aristotele dice che la scelta è ragione che desidera o desiderio che ragiona > quindi non c’è scissione tra pathos e logos. Si ragiona e si desidera sempre insieme. La verità (verità retorica) di cui si occupa la retorica ha a che fare con qualcosa, con un tipo di verità, che non è mai necessaria e universale, ma è sempre una verità contingente e fallibile. Parlare di una verità contingente e fallibile è qualcosa che fa specie, perché siamo abituati a dire che se è vero, è così. la verità è dimostrabile e una volta che la dimostro, non ammette eccezioni. Invece, comprendere che la verità può anche essere contingente è qualcosa che ci è richiesto per poter parlare di verità retorica, perché la retorica interviene nelle deliberazioni, dove si delibera su ciò che può essere altrimenti. Ciò che vale per necessità non dipende da noi; mentre sul fatto se si possa o no accettare determinate cose si delibera invece. Il fatto che la verità retorica abbia questa caratteristica (contingente e fallibile) dipende dalla natura di ciò che è oggetto di retorica : qualcosa che per gran parte ha una certa regolarità. Siamo abituati A pensare che se non conosciamo la verità è perché abbiamo limiti cognitivi. Quindi magari ancora non sappiamo la verità su alcuni temi, allora dipende da noi che siamo difettosi. Invece capire che la verità retorica è contingente e fallibile, comporta la necessità di capire che non dipende dai nostri limiti cognitivi ma dalla natura delle cose di cui si parla. Non si deve pensare che ciò che noi oggi acquisiamo come vero e innegabile (es. diritti umani) sia tale, perché non è cosi. I diritti umani non sono oggetti immutabili, perché invece su di essi si può discutere. Ciò di cui si discute nei discorsi retorici per definizione sono cose su cui non c’è accordo. Per lungo tempo si è tentato a portare i discorsi del diritto nella parte delle scienze esatte per avere la certezza del diritto; ma non si può fare; tuttavia questo non nega la presenza della verità perché ci occupiamo della verità precaria, sempre esposta al fallimento. Non solo perché può darsi il caso che noi falliamo nel persuadere chi ci ascolta, ma la cosa più difficile da accettare che quando persuadiamo crediamo di persuadere il vero, ma sbagliamo; a volte siamo noi che persuadiamo sbagliandoci. Questo vuol dire che diano per vere cose che non lo sono. L’alternativa è secca : dire che la verità in questi contesti la verità non esiste. Quando parliamo di verità, di cosa stiamo parlando? I fatti non sono veri o falsi, i fatti accadono; quando si parla di verità si parla di proprietà dei discorsi; in particolare delle proposizioni. Un discorso è formato da enunciati; la proposizione è il significato dell’enunciato. Per esempio : possiamo avere enunciati diversi che esprimono la medesima proposizione; Aristotele afferma che una proposizione è un discorso che afferma o nega qualcosa rispetto a qualcos’altro. Quindi questa cosa è essenziale : la verità la assimiliamo come la proprietà di un discorso, di un enunciato, o meglio di una proposizione. Se la verità è una proprietà di una proposizione, quante proposizioni usiamo quando parliamo? Franca d’agostini suggerisce in “verità avvelenata” sostiene che nel nostro discorso abbiamo 4 tipi di proposizioni: 1.piove > esprime una verità; è una verità tipica degli enunciati empirici. 2.le balene sono mammiferi > è vero, è una verità extra contestuali, perché non dipende dal contesto, ma dipende dalle conoscenze in quel determinato campo. 3.la porta è aperta o chiusa > è una verità logica (tautologia); è una verità analitica come la porta è aperta e chiusa invece è una contraddizione. Dipende dal significato delle parole e delle logiche (ci sono delle logiche paraconsistenti). 4.uccidere è sbagliato >non né vero né falso; È una verità retorica. Se anteponendo all’enunciato le parole “è vero che o non è vero che” allora l’enunciato è apofantico. Lo statuto della verità è che dipende sempre. Nelle verità contingenti, la verità di un enunciato dipende dalla verità dell’enunciato a cui si riferisce. Se dico piove, l’enunciato è vero se piove, dipende. La struttura della verità si esprime in una certa relazione tra il nostro discorso e ciò di cui parliamo. Dipende in ogni caso. LEZIONE 1/03 Esistono più metodi, più tipi di logiche o ragionamenti che ci consentono di interpretare la realtà in cui viviamo; aristotele (pluralismo metodologico) sostiene che, a seconda del contesto in cui siamo, utilizziamo un metodo diverso per accertare la verità; cioè nessuno userebbe il metodo matematico per accertare la verità della deliberazione. le cose possono transitare da uno stato all’altro. Berto fa l’esempio del pianeta nettuno che, prima di essere scoperto, fu solo immaginato. La cosa interessante è che il realismo aletico vale anche relativamente alle cose che sono ma che non esistono; proprio come dico il tavolo è di legno, se dico Gandalf è una donna, la mia affermazione è falsa, ma Gandalf non esiste. Cosa cambio? Cambio il designato; Edmun Husserl utilizza una terminologia che stabilisce diversi modi di essere. Abbiamo entità reali anche se non si riferiscono a un reale stato di cose; gli oggetti concreti si dividono in materiali e immateriali; i giuristi si occupano di fatti sociali, che li creiamo noi, esistono, non sono come gli oggetti materiali, ma a differenza degli oggetti astratti sono concreti, perché condizionano la nostra vita; la formalità del diritto che si traduce in atti concreti a un certo punto li prescinde. Nel diritto facciamo cose con le parole. Tutto ciò che può essere detto è oggetto del discorso, quindi tutto può essere oggetto del discorso perché posso dire tutto. Non c’è nulla che non possa essere in relazione con il linguaggio. Anche nel diritto parliamo di cose che non esistono, mediante il ragionamento contro-fattuale, cioè contro i fatti, cioè un ragionamento in cui la protasi enuncia un’ipotesi contraria a quanto è realmente accaduto, mentre l’apodosi enuncia la conseguenza di ciò che è accaduto. Questo ragionamento viene usato soprattutto in diritto penale, art 40 cp rapporto di causalità. Nel nostro ordinamento esiste una categoria di reati c.d. omissivi, cioè viene punito per ciò che non ha fatto. Se dal ragionamento contro fattuale risulta che cmq la persona sarebbe morta, allora il medico non è colpevole; se invece risulta che se il medico avesse usato tutte le accortezze del caso, la persona sarebbe viva, allora è colpevole. Io guardo un mondo che non esiste, e in base a questo condanno, nel mondo reale, il medico. Nei ragionamenti contro fattuali guardo ad un mondo diverso, allora il giurista, di sua natura, per sua professione, deve avere uno sguardo sulla realtà più ricco del normale. I giuristi si confrontano con realtà che hanno statuti ontologici diversi. Problema del relativismo : il relativista non sostiene che la verità non esiste, ma sostiene che la verità esiste, ma che ognuno ha la sua verità. Proprio perché il diritto non può conoscere la verità, il fondamento del diritto è la volontà. La verità riguarda la scienze, ma nel diritto si ha l’imposizione di una volontà perché nessuno sa come sono andate le cose. Questa idea è del tutto parallela alla concezione relativistica della verità. il relativismo è, secondo la definizione di SEARLE, quella teoria secondo la quale la verità o falsità di qualunque tipo di proposizione è sempre relativa in base ad alcuni tipi di attitudini. Una proposizione è vera è tale solo in base al mio pdv. Quindi, secondo i relativisti, una proposizione può essere vera per me e falsa per un altro. Questo non crea problemi, ma anzi è l’atteggiamento giusto nei vs della verità. altrimenti sarebbe impedito il dialogo. (La verità è nemica della democrazia). Ognuno porta la sua verità. È possibile sostenere in modo convincente la posizione relativista? Una proposizione è vera quando le cose stanno come la proposizione dice che stanno. (realismo aletico). Il problema è che dovrei dire che piove, ma solo dal mio pdv vista e dovrebbe essere coerente con “non piove” secondo il tuo pdv. Ma se la verità dipende dal mio pdv, la de-citazione rende la realtà dipendente dal mio pdv, perché la realtà è ciò che rende la mia definizione vera o falsa. il problema è che vengono confusi i pdv con le verità. in questo modo la realtà è resa relativa in base al pdv. l’idea generale del relativismo era quella di rendere la realtà relativa al pdv, ma esistono in realtà persone diverse con differenti pdv, ma il relativismo non permette una verità assoluta. L’esistenza dell’altro pdv non è assoluta, come l’esistenza di tutte le cose, infatti il relativista lavorerebbe bene solo in un mondo solipstistico. Il pdv è l’opinione, è giusto che ognuno abbia un pdv, ma il problema è la conoscenza della realtà, non la nostra idea sulla realtà. Il relativismo porta alla violenza, non alla pace, perché porta all’imposizione di una realtà su un’altra. Solo la ricerca della verità può superare tutto questo. LEZIONE 2/03 Il pnc ha un suo valore ontologico che esprime ciò che è proprio di ogni discorso. La filosofia della prova giuridica arriva a sostenere che l’unica teoria aletica che si può accettare è quella del realismo aletico; un atteggiamento nei vs della verità, meno noto rispetto al relativismo, è l’epistemicismo che, in realtà, esplica un noto atteggiamento nei vs della verità e anche questo è diverso rispetto al realismo aletico perché pure questa teoria ha problemi con la realtà. -il relativista non nega la realtà, ma giunge a dire che dato che esistono più pdv, allora più realtà. -l’epistemicista dice che una proposizione è vera quando è giustificata. (è vero quando è giustificata) (esclude la realtà, fa riferimento solo a un sistema di credenze); es. vicino di casa è un extra terrestre (franca d’agostini) : poiché non conosco il mio vicino, questa affermazione non è giustificata, quindi non è vera perché non ho ragioni per giustificare questa affermazione. Quindi è vero, per logica, il suo opposto: ho giustificate ragioni per ritenere come vero che il vicino non sia un extraterrestre. Questo ragionamento funziona perché parte da una idea assurda. Perché se si sostituisce “extraterrestre” con “il mio vicino non è una brava persona”. Se non lo conosco, non so se lo sia, quindi la frase non è giustificata, quindi non è vera : fallacia ad ignoratiam > questo è ciò che accade tutte le volte che, nel dib pubblico, qualcuno sostiene che non conosco tizio, quindi non è una brava persona. non conosco il vicino, quindi non è brava persona. Questa fallacia si risolve solo conoscendo il vicino di casa, perché non è: se non lo conosco, allora non lo è : l’unica cosa che salva, è conoscere la realtà; (come per il relativismo); il realismo Aletico è la migliore teoria che abbiamo è difficile da accettare per questo : ti impegna e ti carica di responsabilità, che Aristotele attribuisce alla retorica. Questo problema della verità ha ricadute sul problema del giurista: il giurista è davvero tale quando mette al centro epistemico non la regola astratta ma la realtà e non la costruzione dogmatica delle norme, cosa che invece si fa con il positivismo. Quindi il problema x il giurista qual era? La coerenza dell’ordinamento, mancanza di antinomie, chiarezza del linguaggio, questi i problemi. Il problem non poteva essere chiedersi se una norma fosse giusta o meno e quindi quali erano gli effetti della norma sulla realtà. Quindi una norma è norma in qunato tale basta che sia valida cioè prodotta secondo le regole che l’ordinamento si è dato. Perché chiedersi se fosse giusta, significava andare a discutere di quelle cose che il positivismo impediva di poter considerare verità cioè i pdv sulla realtà. Il problema della realtà è che prima o poi il problema si ripresenta, perché esistono tanti pdv sulla realtà. Abbiamo già visto che tutto il discorso intorno alla retorica parte con una precisa concezione antropologica, che è quella dell’uomo come animale politico e linguistico che è stata, prima di ogni altro, sviluppata da aristotele nella “politica”, concezione che subirà delle modifiche quando poi il modello di riferimento diventa quello dell’individuo. Aristotele riteneva che lo stato (la polis) è un prodotto naturale perché l’uomo è per sua natura un essere sociale, un animale politico. Chi vive fuori dalla comunità, non per natura ma per caso, o è un abietto o è superiore all’uomo. Molti secoli dopo Hobbes dice che nello stato di natura l’uomo è una bestia, bramoso di guerra : homo homini lupus. (tutti contro tutti) Questo tipo di concezione antropologica altro non è che la struttura del dialogo trascendentale > l’altro da me non ha bisogno che io lo crei, lo riconosca, ma c’è già, devo solo custodire la relazione. Lo stato è anteriore alla famiglia e a ciascuno di noi, secondo aristoele, perché lo stato ci pre esiste, e se siamo come parti di un tutto (la polis), in cui questo tutto, secondo la concezione classica, non è uguale alla somma delle parti.
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