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Appunti completi di sociologia generale, comprende lezioni e libri, Appunti di Sociologia

Appunti completi di sociologia generale che comprendono gli appunti presi a lezione e i temi presenti nei libri: -sociologia generale Croteau, Hoynes -il mondo in questione Jedlowski -il pensiero sociologico Crespi, Cerulo

Tipologia: Appunti

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Scarica Appunti completi di sociologia generale, comprende lezioni e libri e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! Sociologia Generale 26/02 Parziali: domanda multipla e domande aperte, 30min ciascuno (esame totale 60min) 1 parte 9 aprile 2 parte 20 maggio Capitolo 1: la sociologia nel mondo globale Che cos’è la sociologia e la sua nascita La sociologia è lo studio sistematico delle relazioni tra individuo e società, fa parte delle scienze sociali, un gruppo di discipline basate sulla ricerca empirica, che raccolgono e valutano dati al fine di studiare la società umana. La prospettiva sociologica si basa sull’immaginazione sociologica (come la definisce il sociologo statunitense Mills nel 1959), cioè sulla capacità di afferrare il mutuo rapporto che esiste tra biografia individuale e storia in un determinato contesto sociale. La prospettiva sociologica è l’abilità di vedere come le strutture sociali influenzano la nostra vita individuale e come con il cambiare di queste strutture sociali cambia la nostra vita. Non si può comprendere la vita dei singoli se non si comprende la società e l’immaginazione sociologica ci consente di afferrare biografia e storia e il loro mutuo rapporto all’interno della società. Secondo Mills non siamo soggetti passivi, ma al contrario la prospettiva sociologica sostiene che esiste un’interazione tra le condizioni sociali che plasmano la nostra vita e le nostre azioni. La prospettiva sociologica può essere applicata qualsiasi aspetto della vita delle persone e a qualsiasi problema sociale ha diverse aree di specializzazione come la sociologia della salute, della famiglia, della religione, del lavoro del genere e dei movimenti sociali. Le origini della sociologia Nel 1700 la società europea entra in un nuovo periodo storico, la modernità, caratterizzata dalla crescita della democrazia e della libertà personale da una dipendenza sempre maggiore della ragione dalle scienze per spiegare la natura e il mondo sociale e dalla diffusione di un’economia industriale urbana. Nel medioevo la vita intellettuale era dominata da spiegazioni religiose del mondo naturale di quello sociale. Fra il 1400 e il 1600 i filosofi pongono le basi della scienza moderna con opere pionieristiche in astronomia, anatomia e in altri campi. L’ascesa della modernità nel XIX secolo si contraddistingue per alcuni cambiamenti rivoluzionari in ambito culturale, politico, economico e sociale. I primi sociologi cercarono di comprendere i notevoli cambiamenti cui stavano assistendo e di suggerire soluzioni per affrontare i problemi sociali che ne derivavano. La sociologia è nata in Europa a metà del XX secolo con lo scopo di capire il cambiamento nelle società dell'epoca. Questo grande cambiamento è dovuto da tre grandi rivoluzioni: →Culturale: ascesa del pensiero scientifico, declino dell’influenza della religione e del dominio della Chiesa, età dell’Illuminismo. Scrittori e filosofi promossero questi progressi delle scienze naturali dando vita all’Illuminismo, un movimento intellettuale del XVIII secolo 1700 che univa la fede nella libertà individuali e il rispetto per i diritti dei singoli la logica delle scienze naturali. La scienza è il metodo di indagine che utilizza la logica e la raccolta sistematica di prove per sopportare affermazioni di conoscenza. →Economica: industrializzazione, società dei consumi, capitalismo e urbanizzazione, rivoluzione industriale, colonie e lavoro schiavile, aumento delle diseguaglianze, mutamenti nella vita sociale trasformarono la società rurale e agricola in società urbana e industriale. L’applicazione pratica del progresso scientifico iniziò dall’industrializzazione, l’utilizzo di grandi macchinari alimentati da fonti di energia inanimate per la produzione in serie di beni di consumo. L’industrializzazione andò di pari passo con l’ascesa del capitalismo che mirava al profitto attraverso investimenti e acquisizione di aziende. Ne derivò la nascita del lavoro salariato e del consumismo, un sistema di vita che dipende dall’acquisto e dall’utilizzo di beni e servizi messi in commercio. Con l’affermarsi della rivoluzione industriale molte persone abbandonarono le campagne e si trasferirono nelle città in cerca di lavoro, sperando in una vita migliore e contribuendo all’urbanizzazione. L’economia industriale richiedeva il lavoro nelle fabbriche di città in rapida espansione, caratterizzati da una notevole diversità e da rapidi cambiamenti che contribuirono a crescenti problemi sociali. L’avvento della modernità produsse cambiamenti rapidi e visibili che dimostrarono come tradizionali modi di vivere non fossero inevitabili. Per comprendere queste drastiche trasformazioni filosofi sociali cominciarono ad applicare sistematicamente la ragione i metodi scientifici allo studio della vita sociale e a suggerire come migliorarla. Le idee che ne derivarono posero le basi della sociologia. Le scienze sociali nascono come prodotto della rivoluzione industriale e si ha un atteggiamento ambivalente nei confronti della società moderna. →Politica: rivoluzione americana e francese, moti del 48, ascesa della democrazia e dei diritti individuali ; gli illuministi sostenevano che un dibattito delle idee più aperte avrebbe promosso la tolleranza ai diritti individuali l’uguaglianza e la democrazia e applicando ragione e scienza i problemi di rilevanza sociale avrebbero favorito il progresso di diritti individuali e la libertà. Le idee degli illuministi furono il supporto intellettuale della rivoluzione americana, della rivoluzione francese e dei moti del 48 in Europa. Queste rivoluzioni promossero l’interesse per una società più equa e per il miglioramento delle condizioni di vita ma attirarono i reazionari. I primi problemi affrontati dai sociologi includevano le controversie sulla natura dell’ordine sociale sui cambiamenti sociali, che hanno creato la società moderna, infatti la sociologia nasce come riflessione sulla modernità. Società e individui La modernità, dalla pace di Vestfalia, viene vista come la legittimazione dello stato-nazione. La storia della sociologia inizia con la progressiva autonomia dallo stato, cioè la secolarizzazione, l’idea di autonomia delle istituzioni politico-sociali e della vita culturale dall’influenza della Chiesa. Esiste anche la secolarizzazione dell’individuo, grazie alla ragione l’individuo si emancipa dall’influenza della Chiesa e passa all’ordine costituito dallo stato, l’idea del rapporto tra stato-nazione/ società e individuo, tra regolamentazione sociale e libertà individuo. La secolarizzazione dell’individuo era iniziata con la riforma protestante, perché esiste l’idea che l’individuo ha un rapporto diretto con Dio senza intermediazione e interpreta liberamente le sacre scritture, seguono poi la rivoluzione francese e la rivoluzione inglese con l’inviolabilità del corpo umano, ma è con l’illuminismo che si afferma attraverso i principi di uguaglianza, libertà e fratellanza. L’individuo nuovo è insicuro, problematico e ci crea la tensione tra un individuo libero, autonomo e la legge sociale. La post-modernità La post-modernità è il periodo storico che ha avuto inizio intorno agli anni Settanta del 1900 XX secolo (dopo la seconda guerra mondiale in un’epoca di ricostruzione, crescita economica, progresso) caratterizzato dall'ascesa di economie basate sulle informazioni e dalla frammentazione delle ideologie politiche e dei metodi di conoscenza. Inizialmente è stata chiamata epoca post-industriale e società dell’informazione, perché le risorse da cui la società dipende non sono materiali ma immateriali come informazione e conoscenze, questo concetto ha ricevuto critiche in quanto l’informazione può essere gestita in modo industriale e la produzione industriale non scompare ma viene dislocata nei paesi in via di sviluppo perché il costo del lavoro è più basso e le regolamentazioni ambientali sono più agevoli. Altri autori hanno parlato di società post-moderna, le ideologie del passato crollano e il progresso scientifico e tecnologico porta a una catastrofe ambientale. I sociologi contemporanei si occupano dell’economie post-industriali sia nei paesi in via di sviluppo sia avanzati, della sub-urbanizzazione, delle metropoli, delle grandi periferie e della post-democrazia, cioè della diffidenza verso i governi democratici, il disimpegno politico e cinismo. I sociologi si trovano di fronte ad un individuo frammentato. Caratteristiche della post-modernità: È importante la figura dell’intellettuale, che può indicare il progresso che non tutti vedono, ha la possibilità di produrre un sapere vero e inimitabile, che è la sociologia. Il sapere scientifico si acquisisce attraverso l’osservazione empirica e la generalizzazione, da una parte è impossibile avere una conoscenza di ciò che non possiamo osservare empiricamente, l’individuo non è oggetto di scienza in quanto essere sociale (può essere studiato a partire dalla società) e critica il metodo comparativo. Secondo Comte l’umanità compie una lotta per spiegare e controllare la natura, la lotta ha il centro il sapere (permette di avere il controllo del mondo). Ogni sapere umano deve essere sintetico e universale e ha come obiettivo sviluppare un’analisi della società in trasformazione utilizzando il metodo scientifico delle scienze naturali. Comte teorizza la legge dei tre stadi, nella storia dell’umanità ci sono 3 forme di ordine sociale (sintesi conoscitive) che sono anche tre modi diversi per coordinare le dimensioni intellettuale, pratico e morale, in questi stadi c’è una progressione, il sapere diventa sempre più riflessivo e razionale:  teologico →è basato sulla religione ed è un passaggio dallo stato di natura alla cultura, si comprende il mondo in modo antropomorfo e predomina la fantasia.  metafisico o astratto →è uno stadio di transizione tra il primo e il terzo stadio, in cui si afferma l’individualismo, egoismo e utilitarismo, si basa sulla critica (non su osservazione), sviluppa le capacità di astrazione (la società viene spiegata attraverso principi astratti)  positivo o scientifico → viene ricondotto a Galilei, Becon e Descart, è lo studio definitivo di ogni scienza, si applica il metodo scientifico al mondo sociale, i fatti collegati sulla base di idee o leggi generali di ordine positivo, sostiene il progresso dell’umanità; la filosofia deve riunire le conoscenze e veicolarle nella nuova scienza più avanzata e complessa della sociologia. Nello stadio scientifico c’è un ordine che sostiene il progresso dell’umanità. Comte sostiene che l’uomo non ha bisogno solo della componente scientifica, ma anche di quella affettiva, c’è bisogno di una religione positiva che sostituisca la religione cristiana e che tenga gli individui insieme nella società attraverso la condivisione di valori comuni. La nuova società è scientifica e industriale, ma la società in transizione in cui sta vivendo è formata da figure teologiche e militari e sarà sostituita da figure di scienziati e industriali (il sapere scientifico sostituisce quello religioso) e il lavoro sostituirà la guerra. Ci sarà una nuova fede positiva basata sulla scienza che sarà il fondamento del nuovo ordine industriale (basata su venerazione dell’umanità). Comte distingue tra dinamica sociale e pratica sociale, tra ordine e progresso. La famiglia è l’unità di base della società che si basa sugli affetti e la società non è un’unione perché si basa sulla cooperazione e divisione del lavoro ed è quindi necessario quindi un governo. La società viene identificata con ordine sociale. Comte anticipa il funzionalismo, che è opposta alla teoria del conflitto. Il funzionalismo è l’idea di utilizzare delle metafore della società come se fosse un organismo, che ci sia una indipendenza nel sistema sociale costituito da diverse parti dove ognuna svolge una funzione e dove c’è un concetto di equilibrio. →Positivismo evoluzionistico Oltre al positivismo sociale, esiste il positivismo evoluzionistico che consiste nell’assumere il concetto di evoluzione come fondamento di una teoria generale della realtà, cioè il principio dell’evoluzione è la base della storia umana. La dottrina del trasformismo biologico è stata elaborata Lamarck, secondo cui ci sono 4 leggi che presiedono alla formazione degli organismi animali e che sono la prima legge scientifica del modo in cui avverrebbe la trasformazione degli organismi:  la vita per sua propria forza tende continuamente ad accrescere il volume del corpo e ad estendere le sue parti (fenomeno di accrescimento)  la produzione di un nuovo organo a seguito del processo di accrescimento all’interno del corpo animale per il nuovo bisogno e del nuovo movimento che il nuovo bisogno suscita  l’uso degli organi porta ad un accrescimento degli organi  tutto ciò che è stato acquisito o mutato viene trasmesso alla nuova generazione (ereditarietà) La teoria di Lamarck non ha avuto molto riscontro in quanto esisteva una teoria opposta, la teoria della fissità del paleontologo Cuvier. Darwin attraverso osservazioni scientifiche ed esperimenti ha dato una prova sistematica del trasformismo biologico nel periodo illuminista e positivista dove l’idea di progresso era centrale e fonda la teoria la sua teoria due elementi:  esistono variazioni organiche negli esseri viventi lungo il corso del tempo per l’influenza delle condizioni ambientali e queste variazioni per una legge della probabilità sono vantaggiose;  esiste una lotta per la vita tra gli individui di ogni specie, necessaria per la sopravvivenza per la tendenza di ogni specie a moltiplicarsi (competizione tra individui della stessa specie), questa idea viene presa dall’economista Malthus che vedeva la povertà un fenomeno benevolo per ridurre la popolazione (auto equilibrio per la quantità di risorse disponibili). Secondo questi ordini di Darwin, gli individui sviluppano dei mutamenti organici vantaggiosi e coloro che li sviluppano hanno più probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita e il principio di eredità in cui le nuove caratteristiche vengono trasmesse alla prole. Nella legge della selezione naturale, l’idea del perfezionamento delle creature viventi e sopravvive chi è in grado di affrontare i cambiamenti ambientali. Con l’accumulazione delle piccole variazioni in ogni specie si producono variazioni che si accumulano e si conservano grazie all’ereditarietà. →Robert Spencer Spencer si ispira al contesto liberale (di industrializzazione consolidata, problema del proletariato urbano che rivendicava i diritti sulla classe borghese dominante) per spiegare la realtà naturale e sociale riferendosi alla teoria evoluzionistiche. Diversamente da Comte, Spencer è contrario all’intervento statale e l’economia di mercato che deve essere autonoma. Diversamente alla teoria evoluzionistica di Darwin, quella di Spencer serve per giustificare il progresso come fatto universale, secondo lui la teoria dell’evoluzione significa che la teoria passa da uno stato di dispersione e di disgregazione ad uno stato di coerenza, concentrazione e integrazione con uno stato crescente di armonia e ogni organismo si sviluppa attraverso la differenziazione delle sue parti che prima sono distinte e formano organi e tessuti diversi (come in qualsiasi realtà non solo negli esseri, arte, linguaggio). Spencer dà una definizione di evoluzione, cioè è un’integrazione di materia e una concomitante dissipazione di movimento durante la quale la materia passa da una omogeneità indefinita e incoerente a una eterogeneità definita e coerente e durante la quale il movimento conservato soggiace ad una trasformazione parallela. L’evoluzione è un processo necessario, perché l’omogeneità (che è il punto di partenza) è instabile e deve passare all’eterogeneità per raggiungere l’equilibrio. La dissoluzione deve alternarsi, non è un passaggio lineare, ma altalenante e va verso la perfezione e felicità. La società è vista come una serie di parti integrate tra loro, tutte contribuiscono al mantenimento dell’evoluzione della società (e bene comune), i rapporti tra le varie parti vanno in base alle funzioni svolte perché ognuna ha come obiettivo più grande del sistema sociale e la forma superiore ingloba la forma inferiore, si forma progressivamente un ordine (la differenziazione porta ad un maggiore ordine) e la specializzazione porta ad una maggiore individualità giustificando la supremazia del più forte con la competizione (alcuni membri della società vengono sacrificati per il bene complessivo della società). Spencer è consapevole delle diseguaglianze e ingiustizie dell’industrializzazione e della modernità, che è inevitabile con l’idea di lasciar fare il naturale processo evolutivo, senza interventi umani, il mercato è l’ente regolatore per raggiungere il più alto progresso. Oggi la teoria di spencer è nota come Darwinismo sociale. 28/02 →il metodo sociologico del positivismo Il metodo sociologico del positivismo è caratterizzato da una immagine della scienza, per cui -il metodo scientifico è unico e si applica alle scienze naturali e alla sociologia -la scienza si contrappone ad altre forme di sapere (religione, filosofia) -solo la scienza consente un sapere razionale e solo il sapere razionale è un sapere oggettivo e universale -il sapere scientifico è cumulabile -il sapere scientifico consente di superare divisioni tra persone perché fornisce una base comune, oltre alle differenze tra culture -si basa su osservazione e generalizzazione Ciò che non è osservabile non è oggetto di scienza e la generalizzazione si basa sull’esperienza, per questo si crea il dibattito tra induttivismo e deduttivismo sul problema se viene prima l’osservazione o la generalizzazione. (il deduttivismo parte dai principi generali per arrivare all'enunciazione di leggi in grado di spiegare fenomeni particolari e l’induttivismo cerca di stabilire una legge universale partendo da singoli casi particolari) La generalizzazione dovrebbe avere portata universale e il problema è come passare dal livello di generalizzazione all’univesalizzazione? Si dovrebbe avere la capacità di prevedere -nel positivismo con la concezione della fiducia nella scienza e nel progresso si crea un senso di minorità delle scienze sociali incapaci di raggiungere gli stessi risultati. Alcuni sociologi affrontano la questione con un approccio di tipo positivista, che la sociologia è effettivamente scienza. -un altro approccio alla questione è lo storicismo tedesco di Wilhelm Dilthey, secondo cui i fatti umani sono fatti storici e quindi irrepetibili, è impossibile universalizzare o generalizzare, se le scienze naturali sono ricorrenti è necessario studiare la storia per la sua unicità, possiamo solo comprendere le azioni altrui (e non spiegarle) studiando la storia e i collegamenti temporali. L’opposizione tra stoicismo (comprensione) e positivismo (spiegazione) ha caratterizzato a lungo il dibattito all’interno delle scienze sociali. -falsificazionismo Karl r. Popper, in cui si mette in discussione la scienza e al contrario del positivismo in cui maggiore sapere porta verità e chiarezza, il falsificazionismo afferma che ci sia una serie di congetture che devono essere falsificate e che possono essere ritenute vere finché non vengono smentite. -secondo Thomas s. Kuhn la scienza non è un processo accumulabile e critica il principio del positivismo, la scienza non è paragonata a un beneficio perché ci sono le rivoluzioni scientifiche, cioè momenti in cui i paradigmi scientifici vengono messi in questione, gli scienziati non sono neutrali e oggettivi a causa delle relazioni di potere. Karl Marx →Biografia -nato in Renania nel 1818 da una famiglia ebraica, laurea in filosofia a Jena nel 1841 -si occupa di giornalismo politico per la Gazzetta Renana che il governo chiuderà nel 1843. Si trasferisce a Parigi, poi a Bruxelles a causa della repressione politica -scrive “per la critica della filosofia del diritto di Hegel” 1843, “la questione ebraica” 1844 “manoscritti economico-filosofici” 1844, “l’ideologia tedesca” 1945 con Engels e “Manifesto del partito comunista” 1848 con Engels. -nel 1851 abbandona la vita politica e si dedica agli studi che il plusvalore è sottratto al lavoratore per il profitto del capitalista), l’unica fonte di valore è il lavoro. ciò che ha valore per l’uomo è frutto del suo lavoro e Marx definisce il lavoro astratto, una capacità dell’uomo in quanto ente generico, con cui si esprime la quantità di lavoro che in maniera astratta viene impiegata in modo da ridurre le quantità e l’idea di lavoro astratto si può riportare a tutte le forme di lavoro concreto. Per superare l’alienazione è necessario creare le condizioni perché l’uomo possa mantenere un rapporto immediato con l’oggetto, cioè sopprimendo la proprietà privata e l’economia di scambio. Marx parla anche di alienazione religiosa, che è collegata all’idea di una essenza astratta dell’uomo (a cui si riferiva anche Hegel quando parla di autocoscienza). L’alienazione per Marx è qualcosa che riconduce anche alle filosofie che si astraggono dalla materialità dei rapporti, dalla concretezza e ciò spiega come si poteva scorporare l’uomo come cittadino (comprende diritti dell’uomo) e dall’altra parte l’uomo è schiavo della fabbrica, c’è una cancellazione dei rapporti oggettivi e economici e un’automistificazione attraverso l’ideologia borghese. Il comunismo è la riappropriazione dell’essenza umana da parte dell’uomo e la risoluzione del rapporto tra uomo-natura e il rapporto con gli altri uomini, una riappropriazione dell’essenza dell’uomo. →il comunismo Secondo Marx l’uomo è un animale sociale che non può realizzarsi da solo e il progresso della natura umana è un problema sociale, non individuale o privato, ed è risolvibile attraverso la trasformazione della struttura economica della società. Il comunismo è l’unica soluzione del problema dell’uomo. La società capitalistica che ha alla base la divisione del lavoro e la divisione di capitale e lavoro e produce una lacerazione interna della personalità umana, il lavoro viene alienato, non c’è l’autorealizzazione attraverso il lavoro. Il comunismo invece il lavoro ridiventa una attività autonoma, sopprime l’opposizione tra uomo e natura risolvendola a favore dell’uomo e tra uomo e uomo. La società comunista avverrà per gradi, le fasi di transizione sono due: 1. nella prima fase ci sarà diseguaglianza, ci saranno diverse retribuzioni in base al lavoro e ci sarà la dittatura del proletariato, è una fase violenta per ribaltare le classi sociali 2. nella seconda fase ci sarà una fase definitiva della divisione del lavoro e del contrasto tra lavoro intellettuale e lavoro pratico/manuale, il lavoro non sarà mezzo di vita ma diventerà bisogno della vita e nella società ognuno potrà contribuire in maniera differente a seconda delle proprie capacità alla produzione e allo sviluppo ottenendo lo stesso reddito e ascolta i bisogni delle persone La nascita, l’affermazione e la vittoria del comunismo sono determinate dallo sviluppo economico che è inevitabile per due leggi:  la legge dell’accumulazione capitalistica produrre sempre più accumulazione di ricchezza e aumentano le diseguaglianze.  la legge dell’immiserimento progressivo del proletariato, cioè corrispondentemente all’accumulazione del capitale si verifica un impoverimento di diversi ceti produttivi (operai, artigiani, piccoli commercianti) e la società capitalistica non sarà in grado di continuare a sviluppare le forze produttive e sarà in contraddizione con i rapporti sociali, sarà distrutta dalla sua stessa contraddizione interna. →la teoria dello sviluppo del capitalismo Primo capitalismo: Da una parte secondo Marx ciò che spiega l’origine del capitalismo è l’accumulazione originaria o primitiva, cioè il fenomeno delle enclosures (recinzioni), la privatizzazione dei terreni che ha costretto i contadini a spostarsi nella città (urbanizzazione) e a lavorare nelle fabbriche, diventando proletari e manodopera a basso corto. L’accumulazione originaria ha permesso la concentrazione del capitale per investire nelle fabbriche e nell’attività produttiva industriale. Secondo capitalismo: Dalla libera concorrenza tipica del primo capitalismo si passa all’oligopolio, cioè pochi produttori che hanno potere nel mercato e sono in grado di determinare il prezzo o addirittura si può passare al monopolio. Il potere dell’azienda aumenta, così anche i prezzi, ma dall’altra parte cresce la povertà tra piccoli artigiani e proletari. Emerge la società per azioni e manager industriali, in cui si verifica la divisione del rapporto tra proprietà e controllo dei mezzi di produzione e nasce il capitale finanziario (per Marx è un fattore negativo per le forze di produzione). Ciò fa si che l’economia capitalista è soggetta a crisi di sovrapproduzione periodiche che si creano tra domanda e offerta, cioè la capacità produttiva è tale che il sistema economico produce più di quanto si consuma (per immiserimento proletariato e oligopolio). La borghesia crea un mercato locale che diventa globale (mercati locali diventano sempre più un unico mercato mondiale) → critiche e influenza di Marx Marx pone il problema se il valore della merce prodotta dal lavoro corrisponde con l’effettivo prezzo a cui viene venduta? (il valore della merce dipende solo dalla forza lavoro)  la domanda del mercato non è pianificata, quindi potrebbe differire dalla quantità prodotta (concorrenza)  se il valore è prodotto dal lavoro, qual è il ruolo delle tecniche di produzione? La risposta dell’economista Piero Sraffa è no, non è possibile spiegare i prezzi di produzione con la teoria del valore, in quanto lo sfruttamento non è misurabile. 1)Viene criticato il pensiero di Marx, che cerca di dare una base scientifica, una visione oggettiva allo sfruttamento dei proletari che avviene tramite il plusvalore e lavoro astratto e come la società capitalista non è una società giusta, cosa che Marx non raggiunge perché non possiamo stabilire una misura oggettiva allo sfruttamento e al plusvalore che il capitalista sottrae al lavoratore. 2)Il secondo problema è rapporto di casualità unilineare tra struttura e sovrastruttura, l’idea che la struttura determini la sovrastruttura, non è possibile separare l’economia dall’aspetto culturale e sociale e politiche, perché in ciò che facciamo c’è sia l’aspetto materiale che l’aspetto culturale, quindi i condizionamenti sociali determinano i rapporti economici. Se la struttura determina la sovrastruttura, Marx sostiene che vi siano condizionamenti economici sulle forme sociali, organizzazione sociale, forme dello stato e costrutti culturali (relazioni tra potere politico e economia). 3)La classe sociale ha una doppia natura: -la classe in sé che ha un’anima positivista, è determinata dalle condizioni economiche in cui ci si trova e dalla corrente del materialismo dialettico; -la classe per sé, la coscienza di classe, della soggettività della classe che può essere determinante della storia, rappresenta l’anima storicista del materialismo storico, il proletariato vede sé stesso come una classe che può imporsi sui capitalisti. 4)Marx critica l’ideologia come conseguenza del concetto positivistico di scienza. 5)Influenza: analisi dei processi di sviluppo del capitalismo e sua universalizzazione, analisi delle condizioni sociali che consentono la realizzazione dell’uomo e l’universale senso di giustizia. 05/03 Émile Durkheim (1858-1915) →biografia -ha dato una risposta all’esigenza di morale civile durante la terza repubblica -nasce a épinal, in Lorena nel 1858 -studia all’Ecole Normale Supéroure, ha posizione politiche ispirate al repubblicanesimo e riformismo progressista/socialismo riformista e appartiene al positivismo francese -autori che lo hanno influenzato: Comte, Kant, in parte Rousseau e le teorie olistiche della teoria organicista tedesca (paragonano la società ad un organismo vivente, la società è un insieme e ogni parte ha una funzione) -nel 1887 diventa professore di scienze sociali e pedagogia all’università di Bordeaux (insegna il primo corso di sociologia) -nel 1893 “la divisione del lavoro sociale” -nel 1895 “le regole del metodo sociologico” -nel 1897 “il suicidio”, fonda l’Année Sociologique -dal 1902 insegna alla Sorbona scienze dell’educazione e sociologia -nel 1912 “le forme elementari della vita religiosa” -ha contribuito in modo decisivo al riconoscimento della sociologia come scienza e alla sua istituzionalizzazione come disciplina accademica Appartiene al filone positivista francese di Comte e con il crollo della seconda repubblica e l’avvio ella terza repubblica francese nel 1870 contribuisce alla nuova ideologia politica dei radical-socialisti, cerca di consolidare la tradizione repubblicana, offre basi scientifiche e morali al nuovo ordine e cerca di definire cos’è e di cosa si deve occuparsi la sociologia. Viene criticato dai cattolici e dai marxisti. 06/03 →Il metodo sociologico e il fatto sociale Secondo Durkheim la sociologia è ferma al concetto di sintesi filosofica, è ancora in costruzione e non è sviluppata a livello empirico, si deve differenziarla dalla filosofia. Per questo, vuole chiarire cos’è il metodo sociologico, l’oggetto della sociologia e delimitare il suo campo d’indagine. I criteri del metodo sociologico vengono da ricerche empiriche che scrive in “le regole del metodo sociologico”. L’oggetto della sociologia è Il fatto sociale è “maniere di agire, pensare, sentire esterne all’individuo e che sono dotate di un potere di coercizione in virtù del quale si impongono a lui”, ha due caratteristiche:  esteriorità : i fatti sociali sono indipendenti da noi, esterni all’individuo perché da una parte l’uomo nasce da una società pre-esistente e dall’altra l’uomo è un elemento singolo all’interno di una totalità di relazioni sociali e non sempre si riesce a intervenire. Nessuna teoria o analisi può comprendere le specifiche proprietà dei fenomeni sociali se si parte dall’individuo, ma si deve partire dallo studio del sociale.  costrizione morale , con cui introduce l’homo duplex (duplicità dell’uomo), cioè l’uomo possiede una componente individuale e una sociale, esistono rappresentazioni individuali e collettive. Non c’è una contrapposizione tra libertà individuale e la costrizione esercitata della società: le regole assicurano la libertà e non c’è conflitto tra libertà dell’individuo e costrizione della società. La concezione della società come un organismo composto da diverse parti in cui ognuna ha una funzione ha ispirato il funzionalismo. La sua concezione è anche idealistica, perché mette al centro le rappresentazioni e istituzioni culturali, l’individuo aderisce e riconosce le regole morali della società di cui fa parte. Durkheim critica l’utilitarismo, teoria che fonda la propria morale sull’utilità, l’individuo persegue i suoi interessi e ciò porta a una maggiore felicità collettiva/della società, mentre secondo Durkheim ci sono regole morali che legano gli individui. →La logica della generalizzazione esplicativa La sociologia si occupa di fatti sociali che ha due caratteristiche costrizione morale e esteriorità. -aumento della specializzazione nelle funzioni sociali nei settori della società contemporanea ha il corrispettivo nel principio biologico che tanto più le funzioni di un organismo sono specializzate, tanto più è elevato →Solidarietà meccanica e organica Nelle società semplici, pre-industriali c’è un sistema religioso unitario che rappresenta la personificazione della coscienza collettiva (credenze e sentimenti comuni e condivise) e il diritto penale è contenuto nella religione e non vi è diritto che non sia repressivo, in questa società c’è un sistema di solidarietà meccanica Queste società più semplici, hanno una struttura segmentata o aggregativa, hanno un basso livello di industrializzazione. In queste società c’è la solidarietà meccanica perché è dominata da sentimenti e valori comuni sviluppati da tutti gli individui e non c’è differenziazione tra loro, ogni individuo rappresenta la collettività, la coscienza collettiva impone un comportamento quasi obbligato agli individui. Con l’evoluzione della società e la specializzazione nella divisione del lavoro vi è la progressiva sostituzione del diritto repressivo (diritto penale) con quello restitutivo (diritto civile), c’è una progressiva differenziazione tra gli individui e si passa alla solidarietà di tipo organico, basata su: -funzioni differenziate e specifiche -coesione sociale che deriva da interdipendenza funzionale nella divisione del lavoro -differenza tra individui nelle credenze e nelle azioni, crescita dell’individualismo -diminuzione dell’importanza della coscienza collettiva, ma la cooperazione ha una modalità intrinseca -ruolo delle corporazioni professionali per la costituzione di sistemi di regole →Lo sviluppo della solidarietà organica La causa dell’aumento della divisione del lavoro (critica all’utilitarismo) è l’aumento della densità fisica della popolazione che porta all’aumento della densità morale o organica (scambio economico-culturale, maggiori contatti tra persone) e per gestire e ridurre il conflitto/ la competizione si cerca di cooperare nasce la specializzazione di tipo complementare. La divisione del lavoro è la base della solidarietà, è moralmente innovativo e positivo, il dovere dell’individuo è aderirvi. Durkheim vuole far capire che esiste un insieme di fatti sociali extra-individuali nei quali le regole morali hanno radice, il ruolo della sociologia è spiegare le questioni sociali. -elemento istituzionale alla base dei contratti, i compiti dello stato si allargano →Individualismo e anomia La specializzazione nella divisione del lavoro porta alla diminuzione di coscienza collettiva e allo sviluppo del culto dell’individualismo. Il culto dell’individualismo è basato sul valore dell’individuo, l’autorealizzazione dell’individuo, si tratta di una nuova religione civile e laica ed è il solo sistema di credenze che assicura unità morale. La divisione coercitiva del lavoro (cioè che va in base al privilegio della classe e non per merito) causa il conflitto di classe e deriva dal fatto che la divisione delle funzioni economiche ha sopravanzato momentaneamente lo sviluppo di un sistema di regole morali provocando lo stato l’anomia (mancano i nuovi valori morali adatti alla società). I conflitti possono essere eliminati solo se la divisione del lavoro procede in modo corrispondente alla distribuzione di talenti e capacità. →”Il suicidio” (1897) È un argomento connesso al libero “la divisione del lavoro sociale”. Secondo Durkheim la sociologia può occuparsi dei fatti sociali e il suicidio può essere spiegato tramite fatti sociali (non solo motivi individuali). Parte dal dato dell’aumento del tasso suicidi, che secondo lui mostra un grave turbamento nelle condizioni organiche della società. Nell’opera “il suicidio” l’obiettivo è portare alla luce la natura della lacuna morale delle società contemporanee e applicare il metodo sociologico alla spiegazione di un fenomeno che potrebbe sembrare individuale o psicologico. Mostra la differenza tra studio sociologico, che definisce il suicidio come fatto sociale e studio psicologico, che spiega le motivazioni che spingono l’individuo a un determinato comportamento deviante. Durkheim studia l’andamento dei tassi di suicidi connessi con fenomeni sociali e il grado di interazione sociale, scopre che ci sono tendenze comuni: -confessione religiosa cattolica e protestante: il tasso dei sucidi è più alto nei protestanti che non dipende dal precetto religioso, ma si spiega dall’organizzazione sociale delle due chiese. Nei protestanti non c’è intermediazione tra Dio e Chiesa e il credente interpreta le sacre scritture, è solo davanti a Dio ed è meno integrata, mentre nei cattolici esiste la gerarchia. -individui non sposati e individui sposati, la grandezza dell’unità familiare, cioè se non si hanno figli il tasso di suicidio è più elevato; -tempo di crisi politiche e nazionali e guerre i tassi di suicidio diminuiscono, perché c’è più coinvolgimento e integrazione, mentre le crisi economiche provocano alti tassi di suicidi. Nei momenti di pace invece i suicidi aumenta. Il tasso di suicidi si basa principalmente sull’integrazione, cioè legami sociali, se l’individuo è integrato il tasso di abbassa, se non è integrato il tasso si alza. Secondo Durkheim ci sono quattro tipi di suicidio, che si dividono in asse dell’integrazione e asse della regolamentazione, in cui i tipi di suicidio si trovano agli estremi degli assi:  anomico: caratterizzato da un difetto (meno) regolamentazione morale, caratterizza la società moderna, l’industria e il commercio, i benestanti e professioni liberali, crisi economiche  egoista: caratterizzato da scarsa integrazione, è legato al culto dell’individualismo, protestantesimo, caratterizza la società moderna  altruista: caratterizzato da un eccesso di integrazione, caratterizza le società tradizionali, obbligo morale o facoltativo per rispettare il codice d’onore o prestigio  fatalista : caratterizza un eccesso di regolamentazione e disciplina, è caratterizzato da un eccesso di dispotismo morale e disciplina, eccesso di regolamentazione Secondo Durkheim la società equilibrata non è quella perfettamente integrata, regolamentata che invece produce patologie (suicidio altruista e fatalista), ma è quella dove c’è un equilibrio tra le funzioni individuali e la forma sociali. 11/03 →la sociologia della religione Nelle “le forme elementari della vita religiosa” (1912) Durkheim si ispira agli scritti antropologi che studiavano le società primitive e sostiene che la religione è la fonte di tutte le idee morali, filosofiche, scientifiche e giuridiche, ogni forma di credenza che fa parte della coscienza collettiva. Nelle prime forme di società a solidarietà meccanica la religione corrisponde alla coscienza collettiva e la progressiva diminuzione di importanza della religione avviene con lo sviluppo della società moderna, l’industria e la divisione del lavoro. Durkheim dà una spiegazione funzionale della religione (la sua funzione) e spiega l’origine/genesi della religione, che è il centro delle società tradizionali e della collettiva nella società meccanica e continua ad esserlo nella società organica con regolamentazioni morali differenti. Per chiarire la continuità tra le forme di società tradizionali di solidarietà meccanica e le società moderne di solidarietà organica, Durkheim studia la religione nelle società primitive (per capire le cause della nascita del sentimento religioso nell’umanità). La forma primitiva di religione è secondo Durkheim il totemismo australiano. Il totemismo:  mette al centro il totem, esseri (animali o vegetali) a cui viene attribuito un legame particolare da un clan o una fratria, è un simbolo  distingue la società in categorie in base al totem, l’elemento fondamentale della vita religiosa è la distinzione tra sacro e profano, contrapposte tra loro  la vita religiosa si esprime in credenze e riti e comprende una determinata forma istituzionale  sono sacri 3 oggetti: il totem, il simbolo totemico e i membri del clan. Il totemismo corrisponde a un sistema di organizzazione sociale a clan (il nome indica sia il totem che l’identità del clan). Questi oggetti fanno parte di una cosmologia generale che lega il clan. Il carattere sacro degli oggetti emana da una energia sacra e l’oggetto sacro esprime in forma simbolica la superiorità della società sull’individuo. La religione è la manifestazione dell’autocreazione della società umana.  La vita è divisa in due fasi cicliche, le attività economiche e le cerimonie sacre pubbliche. Il simbolismo religioso viene costituito e ricostituito nelle cerimonie sacre, dove gli uomini si sentono dominati da una forza più grande di loro e ci sono momenti di eccitazione collettiva, collegata all’energia sacra. I riti servono per confermare il sacro e sono di 3 tipi: -negativi o tabù, consistono in proibizioni che limitano il contatto tra sacro e profano e conservare il sacro, rispettandoli l’individuo si prepara a entrare nel regno del sacro; -positivi, servono a rafforzare il sacro e l’adesione alla religione, -espiatori, vi è un’esplosione di dolore per affrontare momenti delicati per il gruppo e permette al gruppo di non indebolirsi dalle perdite, fa riferimento all’esistenza di spiriti sacri malvagi. La funzione principale delle credenze e dei riti religiosi è quella di fondare e preservare gli ideali collettivi di una società: la religione ha uno scopo pratico, cioè mantenere stabile/coesa la vita sociale e quotidiana. Secondo Durkheim la religione è un insieme di credenze e pratiche all’interno di una determinata forma istituzionale (organizzazione con proprie regole). Nel totemismo il principio divino ha carattere più omnicomprensivo rispetto alle società più complesse, viene generata una classificazione totemica della natura attraverso categorie logiche e ordine gerarchico delle relazioni in base al totem, le categorie derivano dalla divisione della società in clan e fratrie e si creano discriminazioni sensoriali, che sono il principio secondario di organizzazione. Queste categorie in base alle quali è ordinato il pensiero logico-astratto derivano dalla società, così come le categorie di tempo, forza, spazio sono costituite dalla società stessa e condivise dal gruppo. Non vi sono credenze morali collettive che non abbiano un carattere sacro, per quanto cambi il carattere sacro nelle società contemporanee non vi è una discontinuità con la società tradizionale. →Dualismo, culto dell’individuo e ruolo dello stato In tutte le forme del pensiero religioso, l’uomo concepisce sé stesso come costituito da due elementi anima e corpo. C’è un dualismo tra anima e corpo, tra sensazione e pensiero logico-astratto e credenze morali. Le sensazioni sono di tipo egoistici perché sono individuali e il pensiero logico-astratto e le credenze morali sono impersonali e universali. A partire dal cristianesimo viene privilegiata l’anima rispetto al corpo, così l’etica cristiana fornisce i principi morali su cui si fonda il culto dell’individuo, sviluppato con la rivoluzione francese. Dopo la rivoluzione francese, che rappresenta la fine di un’epoca, il mondo vive un vuoto morale che deve essere riempito e si sviluppa l’individualismo morale. L’individualismo morale ha fatto sì che l’individuo è considerato sacro e contemporaneamente sottomesso alla società, quella che lui definisce dipendenza liberatoria, cioè da una parte si libera delle credenze della società tradizionale e si avvantaggia della società dall’altra è dipendente dalla società. Il ruolo dello stato è importante nel creare nuove regole morali della società contemporanea. La tendenza verso la scomparsa delle divisioni di classe porta al ruolo morale e economico dello stato: il problema dell’età moderna è conciliare le libertà individuali con il mantenimento della regolazione morale da cui dipende la società. Durkheim delinea la relazione tra i concetti di stato, società politica e autorità: -stato: corpo/ apparato di funzionari che è lo strumento attraverso cui si organizza l’autorità di governo Il capitalismo è orientato all’aumento costante del capitale, l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero. Il soggetto del capitalismo è l’impresa capitalistica che dispone di un capitale e mira ad accrescerlo per accrescere il profitto. Ciò che caratterizza il capitalismo nella società moderna è l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero, cioè l’utilizzo di lavoratori salariati giuridicamente liberi per lo svolgimento dell’attività dell’impresa, ma obbligati a vendere la propria forza lavoro sul mercato per guadagnarsi da vivere. Il capitalismo occidentale moderno è quindi un sistema di imprese collegate tra loro dal mercato in cui ogni impresa agisce e organizza le proprie attività per conseguire profitto in modo razionale utilizzando lavoro formalmente libero. La società capitalistica è quando avviene la soddisfazione dei bisogni attraverso l’attività di imprese e il consumo di merci. In Weber è assente il tema dello sfruttamento individuato da Marx, riporta solo il profitto, lo scambio e l’agire. Il capitalismo e le sue origini nel libro “etica protestante e lo spirito del capitalismo” Fattori storici delle origini del capitalismo: -disponibilità di lavoro formalmente libero -sviluppo di mercati aperti -separazione tra famiglia e impresa -applicazione di tecnologia costituita sulla base di principi razionali, la meccanizzazione -sviluppo del diritto formalmente statuito che assicura ai soggetti che il potere politico non interferisce Lo spirito del capitalismo ha un’attitudine razionalistica verso lo scopo e deriva dalle forme religiose, da un cambiamento a inizio dell’era moderna, cioè il protestantesimo. Il protestantesimo è caratterizzato: -non si capisce (imperscrutabilità) il volere divino e la sua totale indipendenza dalle azioni degli uomini, -dal carattere sacro dei compiti professionali mondali legato al concetto tedesco di Beruf (che vuol dire professione e vocazione), legato a sua volta dalla rinuncia ad ogni godimento (non c’è indulgenza per le tentazioni e il peccato), questa è l’idea di ascesi intramondana (astinenza/rinuncia nel mondo per i peccati e presenza/adesione nel mondo, autorealizzarsi) -favorisce il reinvestimento dei guadagni nell’impresa, dà vita a un sistema che produce accumulazione e profitto Il capitalismo ha un carattere tragico e contraddittorio, perché si accresce il guadagno per non consumarlo e accumularlo e reinvestirlo (per non peccare), ma con la diminuzione dell’influenza del protestantesimo si cade in tentazione e cade l’idea di ascesi intramondana, quindi Il profitto viene conseguito per sé stessi. 13/03 Avalutatività delle scienze sociali Rifiuta la posizione positivista per cui le scienze sociali siano un’appendice e siano diverse dalle scienze naturali, ma le scienze sociali possono essere obbiettive. Esiste una differenza logica tra: -giudizi di tipo fattuale analitico, possono includere riferimenti ai valori -giudizi di tipo normativo, cioè di valore I giudizi di valore non possono essere convalidati da procedure scientifiche, ma possono essere analizzati come mezzi e come coerenza interna tra i valori, gli ideali non possono essere dedotti dalla scienza. Distingue tra riferimento ai valori e giudizi di valore, in cui lo scienziato sociale non può fare a meno di riferirsi ai valori (perché ha a che fare con essi), nella ricerca empirica nessuna spiegazione può essere esaustiva, ma l’oggettività è garantita con l’avalutatività (mettere tra parentesi i valori per essere obiettivi). →Alcune categorie: -relazione sociale: il senso dell’azione di ciascuno si riferisce all’atteggiamento dell’altro, in un modo tale che le azioni sono reciprocamente orientate fra loro - comunità: sentimento di comune appartenenza sentito dai membri, si basa su dimensione affettiva -società o associazione: si basa su legami/relazioni di interesse o anche stipulazioni/contratti -lotta: la teoria del conflitto (approccio conflittualista), non enfatizza l’armonia sociale e integrazione data dalla divisione e specializzazione del lavoro di Durkheim -relazioni sociali aperte: la partecipazione all’agire sociale è aperta -relazioni sociali chiuse: la partecipazione all’agire sociale non è aperta, ma è per alcuni membri, esiste un raggruppamento sociale -raggruppamento politico: definisce sé stesso attraverso l’occupazione in un territorio, ha continuità temporale, si avvale della forza fisica per far rispettare le regole/ leggi -raggruppamento stato: lo stato è il raggruppamento politico che ha il monopolio della violenza legittima su un determinato territorio →Le forme di legittimazione del potere La validità dell’autorità rende il potere legittimo, l’autorità è l’espressione di un potere legittimo. Il potere è la capacità di un soggetto di intervenire con efficacia sulla realtà. Il potere si divide in: -Potere sociale, quando il potere ha come oggetto altri esseri umani -Potere politico, un sottoinsieme del potere sociale, che si può basare solo sulla forza (c’è imposizione di regole contro gli interessi e le convinzioni degli altri) o invocare qualche principio di legittimità (c’è criterio condiviso per cui le regole vengono ritenute legittime). La differenza del potere legittimo e illegittimo: se le regole si basano su un criterio legittimo ed è condiviso è legittimo, in tedesco ci sono due termini: -potenza, la possibilità di far valere la propria volontà all’interno della relazione sociale anche contro la propria volontà -potere, la possibilità dell’obbedienza al comando, perché si ritiene legittimo Esistono tre forme di legittimazione del potere politico: 1) Carismatico , prende il nome da carisma. -Si fonda sulle qualità ritenute eccezionali, sovrumane che i seguaci attribuiscono al proprio capo. -Porta una dedizione di fede e entusiasmo, ha bisogno numerose e conferme -È irrazionale, perché manca di regole precostituite e rivoluzionario, perché porta una rottura radicale con le istituzioni vigenti e ci può essere un ordine nuovo o un ritorno all’origine. -L’apparato amministrativo è rudimentale, formato solo da uomini di fiducia a contatto diretto con il capo -È associato alla sfera religiosa, ma esiste anche nella sfera politica e economica (Giulio Cesare) -Rischio è che con il suo prolungarsi si verifica routinizzazione del carisma, si perde la convinzione che il capo ha qualità eccezionali o il capo muove 2) Tradizionale -Fonda la sua legittimità su ordinamenti antichi tradizionali (esistenti da sempre), che non vengono messi in questione (re) -Il detentore può non avere doti personali di comando, richiede obbedienza in virtù della dignità personale che gli è attribuita dalla tradizione -Il criterio per assegnare le cariche è l’appartenenza a un gruppo privilegiato (non la competenza), questa è la debolezza, in quanto può emergere un’altra persona con più carisma che si ribella alla tradizione o minacciato dal potere razional-legale 3) Razionale o legale -Fonda la sua legittimità sulla presunzione che chi comanda eserciti la carica/il potere in virtù di nomina legale, che sia competente e che i suoi comandi siano conformi a un ordinamento razionalmente orientato a ottenere determinati scopi -Ordinamento ispirato a criteri astratti e universali applicabili in modo equo a tutti i casi simili -il detentore del potere è obbligato a rispettare lo stesso ordinamento impersonale e anche ai suoi sottoposti -le leggi sono impersonali e la razionalità è basata sul fatto che sono razionalmente istituite, prodotte in modo razionale sulla base di una discussione formalmente pacifica. -favorisce un mutamento sociale continuo, ma allo stesso tempo regolato e controllato -Prerogativa degli stati di diritto (associato agli stati di diritto) →La burocrazia L’apparato amministrativo tipico del potere legale è la burocrazia. La forma più completa che la burocrazia assume è nella società moderna. La burocrazia è un’organizzazione permanente della cooperazione tra un grande numero di individui, ciascuno dei quali svolge una funzione specializzata. Nello stato moderno, la burocrazia consiste in un apparato di individui (funzionari) organizzato espressamente per lo svolgimento di compiti amministrativi secondo le leggi e obbediscono ad una autorità impersonale. Weber afferma la superiorità tecnica della burocrazia su ogni altro apparato amministrativo, per la sua intrinseca razionalità (razionalità rispetto allo scopo), lo afferma in base al confronto storico tra burocrazia e apparati amministrativi precedenti in termini ideali. Il termine burocrazia viene inteso anche come ogni forma di organizzazione razionale del lavoro, cioè le aziende. La burocratizzazione è la tendenza generale della società moderna, è un aspetto del processo di realizzazione e accompagna lo sviluppo e la realizzazione di qualunque progetto sociale. La burocrazia è un potere acefalo, è un apparato al servizio del potere politico e può essere anche utilizzata in altri tipi di potere politico. Il massimo responsabile è un funzionario che prende le direttive da un capo politico (ministro, sindaco…) e mentre i capi cambiano a seconda delle vicende politiche rimane il funzionario (in alcuni stati cambia anche l’apparato amministrativo: spoil sistem). Svantaggi: deresponsabilizzazione dei funzionari, sfavorisce l’innovazione, interessi particolaristici. Più si esercita potere assoluto più si è dipendenti dalla burocrazia. Il problema secondo Weber è come evitare degenerazioni burocratiche nel funzionamento dello stato importando una giusta relazione tra potere politico e potere burocratico. La maggiore probabilità di successo per il controllo dell’apparato burocratico è collegata a due condizioni: maggiore libertà di stampa e di denuncia e classe politica professionalizzata (dotata di conoscenze tecniche e amministrative). Caratteristiche/principi del tipo ideale burocrazia: 1) esistenza di servizi e di competenze rigorosamente definiti da leggi o regolamenti, significa che le competenze sono disciplinate, che richiedono una preparazione specializzata 2) una gerarchia delle funzioni e uffici, implica fedeltà di ufficio (separazione tra vita privata e lavoro, segreto professionale) e sviluppo di una carriera 3) la separazione tra la funzione e l’uomo che la svolge (l’idea della non proprietà della carica e degli strumenti lavorativi) 4) il reclutamento dei funzionari sulla base del possesso di una formazione specifica sulla base di esami, concorsi pubblici per valutare il merito dei concorrenti 5) la retribuzione del funzionario mediante un salario fisso erogato dallo stato con un’attività a tempo pieno Il riferimento empirico di Weber è la burocrazia germanica tra il XIX e XX secolo, si basa su grandi comparazioni storiche di diverse forme di organizzazione e non sull’analisi ravvicinata della struttura interna di un’organizzazione. Questi ideali, che variano, oggi in larga parte sono superati. La taylorizzazione/taylorismo è l’espressione più coerente della razionalizzazione burocratica. È il fenomeno industriale per cui si pensava di migliorare la produttività e l’efficienza in maniera rivoluzionaria, il lavoro -le forme sono i diversi modi in cui i singoli contenuti stabiliscono le loro interazioni. (la forma che prendono le relazioni tra individui). La sociologia formale analizza la forma delle relazioni e dei processi sociali che prescindono dai loro contenuti, ciò che si ripete nonostante la variabilità e le forme tendono a rendersi autonome. Secondo Simmel la vita è un fluire incessante, una produzione di forme che caratterizza l’epoca moderna, che è in continuo cambiamento e per questo si creano nuove forme, le quali cominciano a rendersi autonome rispetto ai contenuti e si crea il mutamento culturale. Nel mutamento culturale c’è una concezione tragica della vita (tragedia), le forme riducono e si contrappongono alla vita, creano una nuova fase in cui la vita si ribella a tutte le forme. La comprensione del mondo avviene tramite la costruzione di forme che sono espressione e allo stesso tempo riduzione della vita, ogni sapere esaustivo è impossibile. →Metropoli, denaro e intellettualizzazione della vita I tratti distintivi dell’epoca moderna (modernità) vengono scritte in “filosofia del denaro” e “le metropoli e la vita dello spirito”, le forme dell’esperienza metropolitana sono: -denaro, porta all’aumento della complessità sociale, all’individualismo e all’oggettivazione dei rapporti, che ci rende indifferenti rispetto al valore e alla qualità. -carattere astratto e anonimo dei rapporti intersoggettivi, intensificazione della vita nervosa, atteggiamento di difensiva dell’individuo e intellettualismo della coscienza, cioè l’intelletto è distinto dalla ragione e si ha atteggiamento calcolatore nei confronti della vita (la ragione è qualcosa di più grande e viene ridotta a intelletto). Nella metropoli e con l’economia monetaria, si sviluppa, quindi un atteggiamento di difesa, di neutralità oggettiva nell’individuo e l’indifferenza verso la qualità (varietà qualitativa) a favore della quantità, questo individuo prende il nome di uomo blasé (disincantato e annoiato, insensibile e atteggiamento difensivo). →Condizione moderna -la critica di Simmel della società moderna è un processo di oggettivazione simile a alienazione in Marx e razionalizzazione in Weber -esistono tendenze contrarie/ contraddizioni, la società moderna porta a relazioni personalizzate nelle città come amicizia e amore, dall’altra parte c’è l’aumento della libertà di movimento dell’individuo. mozioni senza agire (cinema) -differenziazione sociale porta all’aumento della libertà dell’individuo: la condizione moderna porta ad un dualismo dell’individualità e tensione individuo-società, per cui la società tende a imporsi sugli individui attraverso aspettative e compiti che vincolano la libertà e la realizzazione di sé (autorealizzazione), ma assicurano la prevedibilità delle interazioni reciproche, cresce la dipendenza tra istituzioni e apparati, la condizione moderna crea solitudine. -la solitudine viene messa in risalto dalla divisione tra spirito oggettivo e soggettivo. Lo spirito oggettivo è la cultura oggettivata (tecniche, libri) che cresce sempre e lo spirito soggettivo è la cultura del soggetto, ciò che viene imparato dall’individuo e l’individuo fatica a stare al passo (capacità minore) all’aumento della cultura oggettiva. La società moderna sembra essere incapace di mediare il rapporto tra vita individuale e sociale, spirito sociale e oggettivo. →Società e individuo -Tensioni tra società e individuo, da una parte vi sono le imposizioni di compiti da parte della collettività e dall’altra non c’è la possibilità di cooperazione e sviluppo di sé -Simmel si ispira a Burckhard, che aveva situato il concetto di “individuo” nel rinascimento italiano, secondo lui è ciò che ha gettato le basi della cultura moderna. Ciò che caratterizza la società moderna sono da una parte lo spostamento dei giudizi sui singoli verso una considerazione delle loro realizzazioni personali (autorealizzazione) e dall’altra l’enfasi sullo spirito scientifico e sulla responsabilità e libertà di scienziato. -Tra 1700 e 1800 secondo Simmel c’è stato un cambiamento nel significato di individuo: nel 1700 con l’illuminismo l’idea centrale è uguaglianza naturale di tutti gli uomini e dei diritti e nel 1800 si ha l’individualismo qualitativo e il nostro compito etico è la realizzazione della propria unicità. →La moda La moda è un fenomeno della modernità dovuto alla densità di popolazione e l’individualismo. L’individualismo qualitativo nella metropoli porta alla ricerca ossessiva di segni distintivi e c’è una costruzione di personalità svuotata di senso che si basa sulla moda. Nella moda ci sono due spinte contraddittorie, la distinzione (distinguersi dagli altri) e l’imitazione (imitare la moda per adeguarsi al modello e affermare l’appartenenza alla classe sociale per avere prestigio sociale). La moda appartiene ai ceti e alle classi più alte, imitando la moda dei gruppi sociali di maggior prestigio si crea un processo di mobilità sociale apparente, nel momento in cui la moda si diffonde si annulla la diversità (la moda muore) e se ne crea una nuova. La moda è l’espressione della modernità, per quanto riguarda il fenomeno di autonomia e obbedienza e della velocità. →Eredità e considerazioni -presentare i fenomeni attraverso la complessità e ambivalenza della vita moderna/metropolitana, si spinge oltre al modello razionale di Weber (dimensioni e insicurezze di dimensione esistenziale) -riflessione sui procedimenti conoscitivi, fuori dal paradigma positivista. Non esiste una casualità lineare, rete di fenomeni che si influenzano tra loro. -intenzioni e pensiero relazionale -vita quotidiana come esempio d’indagine -la sua ricezione è stata complessa 19/03 La teoria sociale La teoria è una formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principi e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare a vari livelli di generalità, aspetti della realtà naturale e sociale e delle varie forme di attività umana. Le teorie delle scienze empiriche si traducono spesso in modelli, ossia in descrizioni di strutture ipotetiche, più o meno concrete, delle cui proprietà sono deducibili le caratteristiche essenziali dei fenomeni noti. La teoria sociale è un insieme di principi e affermazioni che spiegano il rapporto tra i fenomeni sociali. Una teoria non è soltanto un’intuizione o un’opinione personale. Le teorie evolvono – a volte alcune vengono abbandonate – lasciando sopravvivere solo le idee più utili. Spesso le teorie multifattoriali forniscono un quadro più completo rispetto a qualsiasi teoria monofattoriale. Le teorie sociologiche cambiano lungo le dimensioni chiave che comprendono: -consenso (cooperazione e solidarietà) e conflitto (tensioni, dispute, disuguaglianza), -realtà oggettive (mondo materiale economia e tecnologia) e soggettive (mondo di idee, valori, credenze), -analisi microsociologia (piccola scala, interazione fra 2 persone o piccoli gruppi) -analisi macrosociologia (grande scala, politica, grandi istituzioni) -analisi mesosociologia (analisi focalizzata su un punto qualsiasi fra fenomeni sociali molto ampi e molto piccoli) Ciascuna dimensione è un continuo e non una suddivisione netta tra alternative inconciliabili: sapere dove si colloca una teoria in ciascun continuum può aiutare a comprendere come essa si inserisca nel quadro più ampio del pensiero sociologico. Le diverse teorie: -teorie struttural-funzionaliste: teorie incentrate sul consenso e l’interazione cooperativa nella vita sociale -teorie del conflitto: teorie incentrate sull’analisi di conflitti, del potere e delle diseguaglianze -interazionismo simbolico. Teoria incentrata su come le persone producono e utilizzano i simboli nelle loro interazioni quotidiane -teorie femministe e di genere: teorie incentrate sull’analisi delle diseguaglianze sociali dovute alle differenze sessuali e sui processi di costruzione del maschile e del femminile nella società Teorie struttural-funzionaliste Sono teorie incentrate sul consenso e l’interazione cooperativa nella vita sociale che sottolineano come i diversi elementi che formano la struttura di una società contribuiscano al suo operato generale . Spesso definite come “teorie funzionaliste” o “funzionalismo”. Le radici di queste teorie risalgono alle opere di Spencer e Durkheim e dominavano negli USA nel XX secolo. Il principale sostenitore era Talcott Parsons (1902-1979) Il termine struttura si riferisce ai modelli ricorrenti di comportamento nella vita sociale, questi modelli esistono a qualsiasi livello, dalle nostre interazioni con gli altri all’economia globale. Le strutture spaziano da modelli informali a modelli formali. Le persone creano le strutture per aiutarsi a raggiungere un obiettivo, ma a loro volta le strutture intervengono per limitare quello che le persone possono fare. Parsons La sociologia secondo Parsons: il compito specifico della sociologia è quello di spiegare la società attraverso il concetto di sistema sociale, ovvero in base all’idea che la società funzioni come un unico meccanismo, costituito da vari sottosistemi in relazione tra loro. Opere di Parsons e biografia: La struttura dell'azione sociale, 1937 Il sistema sociale, 1951 Toward a General Theory of Action (con Edward Shils), 1951 Working Papers in the Theory of Action (con Robert F. Bales, Edward Shils), 1953 Saggi di teoria sociologica, 1954 Famiglia e socializzazione, 1955 Structure and Process in Modern Societies, 1959 Sociological Theory and Modern Society, 1968 Politics and Social Structure, 1969 -Dall’Europa si sposta in America per la ricerca sociale -nel 1951 “il sistema sociale” importante per la storia del pensiero sociologico -tenta di costruire una teoria generale della società in grado di considerare il sistema sociale e le sue istituzioni (Durkheim) e il versante soggettivo individuale della società (Weber). Parsons considerava la società come sistemi complessi formati da parti interdipendenti che operano insieme per produrre la stabilità sociale (famiglia, scuola…). Nel suo intento di sviluppare una teoria generale dell’azione sociale (come se fossero scienze naturali), critica il modello comportamentista per i suoi limiti, in quanto riduce l’azione umana a meno meccanismo di risposta a stimoli, togliendo ogni libertà degli individui. Parsons sostiene che qualsiasi organizzazione sociale deve adempiere a diverse funzioni chiave per sopravvivere, come insegnare ai membri dei gruppi valori essenziali della comunità, integrarne i membri affinché prendano parte in modo produttivo alla vita sociale, definire gli obiettivi comunitari e raggiungerli, adattarsi a un ambiente che cambia. Critiche a Parsons: -la genericità e l’eccessivo livello di astrazione del sistema descritto da Parsons, il quale sostiene che si possa adattare a ogni società, ma appare vuoto di riferimenti precisi e non si coglie cosa succede nei contesti concreti. -il ruolo dei valori socialmente condivisi per il raggiungimento dell’ordine sociale è associato ad una prospettiva conservatrice e dalla incapacità di riconoscere l’importanza delle forme di conflitto sociale, delle ragioni alla base delle forme di devianza, di violazione delle norme sociali. -Mills critica Parsons in ”immaginazione sociologica”, in particolare la sua attitudine a costruire una grande teorizzazione slegata da cotesti reali. Robert King Merton (1910-2003) Teorie di medio raggio che sono più limitate riferite a determinati contesti o a fenomeni specifici delle società. Merton non crede di dover partire dall’idea che l’ordine sociale sia un obiettivo positivo da realizzare. Introduce l’idea che nella società possono essere presenti delle disfunzioni del sistema e che esse non sempre devono essere giustificate negativamente, possono essere considerate parte integrante del funzionamento complessivo della società. Merton distingue tra funzioni manifeste, conseguenze riconosciute e volute dai fenomeni sociali, e funzioni latenti, le conseguenze non riconosciute e non volute di tali fenomeni. Secondo Merton, alcuni fenomeni possono essere disfunzionali in quanto disturbano il funzionamento di un sistema nel suo insieme. L’anomia per Merton è una situazione strutturale in cui si trova l’individuo quando le sue aspirazioni e aspettative sociali non sono in sintonia con le reali opportunità offertegli dalla società in cui vive, questa concezione è alla base della teoria della devianza. Come le contraddizioni sottostanti l’ambiente sociale o economico possano spingere le persone alla devianza? Nella teoria della devianza sostiene che, le forme di devianza sono quei tipi di comportamenti adottati dagli individui che si discostano dalla condotta mediamente più diffusa all’interno della società a cui appartengono. Merton imposta la questione della devianza in modo diverso da Durkheim, ritiene che la presenza di comportamenti criminali nella società non è una eccezione frutto di una situazione problematica, ma è una condizione necessariamente presente, soprattutto nelle società moderne e complesse come gli stati uniti negli anni 50. Marton definisce la devianza come uno squilibrio tra la dimensione culturale e la struttura sociale, cioè tra le aspettative di successo e le effettive possibilità di ottenerlo in una specifica società. Questa condizione di squilibrio, che spinge gli individui a sviluppare forme di adattamento a una situazione non ottimale, produce comportamenti devianti dalla norma. Esistono due sfere autonome della società: - la sfera della cultura: è costituita da due elementi, da un lato i riferimenti che abbiamo appreso rispetto a come ci dobbiamo comportare e dall’altro le aspettative e i desideri rispetto al futuro. - la sfera della struttura sociale: coinvolge aspetti come la posizione lavorativa, condizioni economiche e prestigio e il riconoscimento sociale di cui un individuo gode in un certo ambiente sociale. Nella teoria della tensione, Merton mette in evidenza la tensione o la pressione sperimentata da coloro che non hanno i mezzi per raggiungere obiettivi culturalmente definiti e che sono quindi portati a seguire strade devianti nella loro ricerca del successo. La teoria della tensione intende la devianza come risposta alle contraddizioni della struttura sociale. In questa prospettiva, la non-conformità è causata in primo luogo dalla disuguaglianza nella struttura sociale. Un accesso iniquo a denaro, potere, istituzione o divertimento porta alcuni a un comportamento deviante volto a perseguire questi beni sociali considerati preziosi. La forma più efficace di controllo sociale è diminuire le diseguaglianze, così si indeboliscono le fondamento strutturali della devianza. La teoria della tensione individua nella struttura della società stessa la fonte del comportamento criminale. Riprende il concetto di anomia riferendolo alla tensione cui è sottoposto il comportamento individuale quando norme e realtà sociale entrano in conflitto. Nelle società industrializzate esiste un conflitto tra: -mete culturali, valori solitamente accettati dal successo materiale -mezzi istituzionalizzati, autodisciplina e duro lavoro Marton individua 5 combinazioni possibili di mancato equilibrio tra le aspettative e la disponibilità di mezzi concreti per raggiungere i propri obiettivi:  Conformismo, si verifica quando c’è equilibrio tra le aspirazioni degli individui e le loro possibilità materiali di successo.  Innovazione, si verifica quando un individuo persegue obiettivi legittimi e socialmente accettati (successo o ricchezza), ma non riesce a trovare il modo di soddisfarli attraverso comportamenti convenzionali e deve quindi inventare modi differenti per ottenerli. Gli innovatori condividono con la società in cui vivono gli obiettivi, ma non riescono a fare proprio il modello di comportamento accettato per ottenerli  Ritualismo, si verifica nei casi in cui gli individui non condividono gli obiettivi di vita che sono prevalenti in una società, anche se si comportano come gli altri. Questi sono casi di devianza esclusivamente virtuali, queste situazioni sono poco visibili perché uguali a quelle degli altri.  Rinuncia, qui rientrano i comportamenti devianti rispetto alla norma più evidenti, includono forme di disagio psicologico e condizioni di vita marginali. È la situazione di chi ha rinunciato ai suoi desideri o non è stato in grado di sviluppare obiettivi socialmente accettati o non ha avuto a disposizione i mezzi per ottenere nella vita dei risultati.  Ribellione, l’atteggiamento di coloro che non accettano gli obiettivi condivisi dalla società e elaborano una scala di valori differenti 20/03 Teorie del conflitto: Gramsci e Lukács Le teorie del conflitto Incentrate sull’analisi dei conflitti, del potere e delle diseguaglianze. Queste teorie concepiscono la società come campo di battaglia tra gruppi che si contendono il potere come centro della vita sociale. Vi è la centralità degli interessi e delle risorse, oggetto della lotta per il potere. I valori culturali sono un’arma per i gruppi per promuovere le proprie posizioni, la cultura dominante sostiene le diseguaglianze. È un paradigma molto variegato, include autori come Gramsci, Luckas, Dahrendorf, Foucault e la scuola di Francoforte. Antonio Gramsci (1891-1937) -È stato fondatore del partito comunista d’Italia a Livorno nel 1921, poi segretario e deputato nel 1924 -È stato arrestato nel 1926 dal partito fascista, dopo la crisi Matteotti (denuncia di Matteotti appartenente al partito socialista per le elezioni) Gramsci propone di abbattere il governo con uno sciopero popolare e il suo partito proponeva di costituire un governo proletario operaio e contadino. -Scrive “quaderni del carcere” tra 1929-1935 La teoria dell’egemonia culturale e lo stato integrale: Gramsci sostiene che lo stato è integrale, è composto dalla società politica, che è una struttura che usa coercizione e dalla società civile che è il luogo del consenso, dove si creano sensi comuni (concezione del mondo in cui regnano i valori borghesi). Per comporre una società non serve solo lo stato, ma anche i valori borghesi che creano consenso, lo stato si regge sia su violenza sia su consenso. Nelle democrazie occidentali non basta la guerra di movimento (il governo, lo stato), ma c’è bisogno la guerra di posizione (delle trincee) che deve essere conquistata con le armi della cultura: si devono occupare le posizioni chiavi nel mondo della cultura (informazione, la stampa, insegnamento…) per soppiantare l’egemonia culturale con concezioni alternative e mutare il senso comune per altre forme di relazione (metafora delle trincee). La questione dell’egemonia fa riferimento all’importanza della sovrastruttura, per questo bisogna lavorare sul senso comune (attraverso stampa, scuola…) e agire nei rapporti di produzione. Il ruolo degli intellettuali è importante per far sì che la classe abbia consapevolezza di sé e della propria funzione. La classe capitalistica è egemonica se convince che i suoi interessi sono gli interessi di tutta la società attraverso la costruzione del senso comune (in modo da rafforzare l’egemonia sui nemici). Il suo compito è quello di combattere il senso comune egemonico per cambiare il senso comune in buon senso, una saggezza popolare che questiona e va contro il senso egemonico. Gramsci è influenzato dal “principe” di Macchiavelli, il partito comunista era il moderno principe: lo stato richiede di essere guidato da una combinazione di coercizione e consenso, lo stato/potere è come un centauro (metà bestia metà uomo). Quando prevale il consenso, l’egemonia ha dato i suoi frutti perché non devo usare la coercizione, ma si basa sul consenso. L'ideologia contro egemonica che Gramsci sperava di creare voleva coinvolgere i gruppi subalterni: gruppi sociali schiacciati dalla borghesia in quanto frammentati, che subiscono il potere dei gruppi avversari e si spostano su posizioni difensive. L'impresa attribuita agli intellettuali, stato e partito politico, permette a Gramsci di svincolarsi dal marxismo facendo parte delle letture ortodosse del marxismo. Non nega l'importanza della struttura, la contro egemonia doveva includere un ruolo preponderante, ma la sovrastruttura non è una semplice conseguenza della struttura, è fondamentale l'egemonia culturale. Ruolo intellettuale organico: agisce sulla consapevolezza, rende cosciente una certa classe della propria funzione, forgiando i sensi comuni contro-egemonici, lavorando sul buon senso. Ma hanno sempre un vincolo, dovevano essere in stretta comunicazione con il partito comunista. Gyorgy Lukacs (1885-1971) -nel 1923 scrive “storia e coscienza di classe” -coscienza di classe e passaggio da classe in sé a classe per sé -reificazione: processo socio-psicologico attraverso cui gli individui di convincono che le strutture, che essi creano, abbiano una vita autonoma e indipendente -ideologia: funzione rivoluzionaria, l’economia e la politica si influenzano a vicenda Prima che Gramsci scrivesse i "quaderni del carcere", LUKACS pubblicó "Storia e coscienza di classe" ed era contrario al determinismo economico per cui la struttura determina la sovrastruttura. Si riferiva alla coscienza di classe: la borghesia farà di tutto affinché il proletario sviluppi una propria ideologia. Ideologia = potere, arma che porta alla vittoria che, invece di liberare l’individuo, lo assoggetta e dell’egemonia culturale borghese che produce l’indottrinamento delle masse verso una falsa coscienza. Illuminismo come fonte di mistificazione di intere collettività: Nella società di massa l’Illuminismo, attraverso la cosiddetta industria culturale e i mezzi di comunicazione di massa, diventa fonte di mistificazione di intere collettività: il tempo libero, l’arte, il divertimento, i beni di consumo diventano strumenti di repressione e controllo funzionali allo sviluppo della produzione. La logica della produzione e della riproduzione determina, infatti, i bisogni e le aspirazioni individuali in modo funzionale agli scopi da essa stessa perseguiti. La falsa coscienza: La loro teoria critica si dedica quindi, in ottica neomarxista, a denunciare la «falsa coscienza», cioè l’errata percezione che il sé sia autonomo. Accanto ad ambiti di dominio capitalistico come la tecnologia e la fabbrica, riconoscono un potere egemonico alla cultura, in ciò che risiede nei meccanismi di quella che definiscono come «industria culturale» (Horkheimer, Adorno, 1947; trad. it., 1966), cioè un complesso di organizzazioni che trasformano la creatività in merce. A differenza di Marx non ritengono che la cultura sia un sottoprodotto del processo di industrializzazione ma un agente attivo al servizio delle istituzioni e i cui meccanismi di asservimento devono essere «illuminati» e svelati, al fine di produrre consapevolezza e possibile mutamento. La produzione di un film, quindi, non differisce molto da quella di un’automobile, così come la sua pubblicizzazione presso i clienti o gli spettatori. L’industria culturale: Il contributo più rilevante dato da Horkheimer e Adorno allo studio sui media è senza dubbio la nozione di «industria culturale». L’industria culturale è una vera e propria «fabbrica del consenso» che ha eliminato la funzione critica della cultura attraverso la costruzione di un vero e proprio sistema dei media governato istituzionalmente, che presenta un’offerta solo apparentemente diversificata e che nasconde l’insidia del perseguimento del dominio sull’individuo. Horkheimer e Adorno criticano l’industria culturale, perché: -segue la logica del profitto tipica del capitalismo -non più il lavoro di artisti o filosofi ispirati alla volontà di trasformare la società in qualcosa di migliore -offre alla massa di consumatori prodotti banali e preconfezionati Film, radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni settore è armonizzato in sé e tutti fra loro. Le manifestazioni estetiche anche degli opposti politici celebrano allo stesso modo l’elogio del ritmo d’acciaio. [...] Film e radio non hanno più bisogno di spacciarsi per arte. La verità che non sono altro che affari, serve loro da ideologia, che dovrebbe legittimare gli scarti che producono volutamente. Essi si autodefiniscono industrie, e le cifre pubblicate dei redditi dei loro direttori generali troncano ogni dubbio circa la necessità sociale dei loro prodotti (Horkheimer, Adorno, 1947; trad. it., 1966, pp.130-131). Il prodotto dell’industria culturale è determinato quindi dal suo carattere industriale, dalla logica seriale che lo contraddistingue e dal suo essere merce di consumo quotidiano. In quanto merce viene privato del suo valore estetico a favore di un valore di scambio, e promuove una cultura affermativa in cui ogni elemento negativo e critico tipico della vera arte è scomparso. In tal senso la cultura non è in grado di risvegliare una coscienza critica verso la società. Infatti l’industria culturale agisce sull’autonomia del consumatore riducendola a intrattenimento, per cui divertirsi finisce per significare essere d’accordo: «l’amusement è possibile solo in quanto si isola e si ottunde dalla totalità del processo sociale e rinuncia assurdamente – fin dall’inizio – alla pretesa ineluttabile di ogni opera, anche della più insignificante: quella di riflettere, nella sua limitazione, il tutto. Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare il dolore anche là dove viene mostrato» (Adorno & Horkheimer, 1947, p. 156). L’industria culturale dichiara quindi presente la vocazione all’amusement del consumatore, ma la stravolge fino al punto da farlo collimare con quanto gli offre: l’autonomia del consumatore, nei fatti, non esiste. L’intrattenimento assorbe completamente il pubblico – pensiamo al cinema –, orientando le pratiche di fruizione attraverso strategie di tensione che, da una parte, richiedono capacità di osservazione e di intuito per seguire trame e situazioni e, dall’altra, impediscono allo spettatore l’attività mentale «se questi non vuol perdere i fatti che gli passano davanti». La dinamica spettatoriale subisce il fascino della macchina mediale e familiarizza alle dinamiche di fruizione in un modo che consente di immergersi nel prodotto culturale senza necessità di staccarsi per prenderne le distanze. In tal senso l’easy listening o «consumo distratto» diviene un obiettivo per l’industria culturale e un’attitudine di consumo per gli individui. Adorno e la sociologia della musica: Le riflessioni sviluppate sull’industria culturale sono uno dei punti di partenza di un lavoro di Adorno sui rapporti tra musica e società In Filosofia della musica moderna (1949), in particolare, egli critica il ruolo della musica leggera – quella che oggi chiamiamo musica pop e commerciale – nel sostenere l’ideologia della società capitalistica avanzata: la musica pop favorisce la dominazione degli individui da parte del potere politico ed economico. Per Adorno, infatti, a differenza della musica classica, che stimola la riflessione e la comprensione della condizione dell’essere umano, la musica popolare di quel periodo – come per esempio il jazz – ha l’effetto di anestetizzare le nuove generazioni e renderle, così, più propense ad accettare passivamente lo status quo e il controllo da parte dell’ideologia capitalista. Se insomma, per Marx, era la religione a costituire “l’oppio dei popoli”, secondo Adorno, nella società del Novecento, sono i programmi radiofonici e le musiche da ballo a rappresentare un diversivo per spostare l’attenzione dei cittadini, evitando di metterli davanti alla realtà del loro sfruttamento da parte del sistema produttivo. La musica pop, dunque, intesa come intrattenimento e come forma di distrazione nel tempo libero, è il simbolo della diffusione nella società di falsi bisogni psicologici, indotti nella società di massa e coltivati attraverso il disimpegno politico e il consumismo. I limiti del marxismo secondo Horkheimer Marx pensava che i proletari avrebbero potuto migliorare le loro condizioni materiali di vita solo eliminando il capitalismo; invece la loro condizione «è migliorata senza rivoluzione, e l’interesse comune non è più il radicale mutamento della società, ma una migliore strutturazione materiale della vita» Marx riteneva che l’umanità camminasse verso il regno della libertà; l’umanità, invece, secondo H., sta camminando in tutta fretta verso un mondo totalmente amministrato, ovvero verso il pieno compimento del regno moderno della schiavitù: «La logica immanente della storia, così come la comprendo oggi, porta in realtà ad un mondo amministrato. Tramite la potenza in via di sviluppo della tecnica, l’aumento della popolazione, la ristrutturazione inarrestabile dei singoli popoli in gruppi rigidamente organizzati, tramite una competizione senza risparmio di colpi tra i blocchi contrapposti di potenza, a me sembra inevitabile la totale amministrazione del mondo…» Infine, Marx ha ottimisticamente ritenuto che giustizia (uguaglianza) e libertà potessero stare in un rapporto di identità, mentre per H. giustizia e libertà sono concetti dialettici: «Libertà, uguaglianza, fraternità sono parole meravigliose. Ma, se si vuole conservare l’uguaglianza, allora si deve limitare la libertà; se si vuole lasciare agli uomini la libertà, allora non c’è più l’uguaglianza». Infine, vi è una solidarietà che va al di là della solidarietà di una determinata classe: è la solidarietà fra tutti gli uomini, «solidarietà che deriva dal fatto che tutti gli uomini devono soffrire, devono morire e che sono finiti». 25/03 Jurgen Habermas (1929-) Mentre in Weber l’azione era soprattutto analizzata nei termini finalistici di una razionalità orientata al perseguimento intenzionale degli scopi o delle affermazioni di valore dell’agente, ora l’agire viene considerato soprattutto nei termini di un’interazione che si costituisce in base a regole fondate sulla comunicazione linguistica. L’analisi del comportamento non ha quindi più l’esigenza di riferirsi alle motivazioni di un soggetto inteso come centro razionale di decisioni, ma tiene conto dell’insieme dei significati logicamente costruiti in sistemi determinati di riferimento, in quanto orientano e regolano l’agire stesso: «Le regole trascendentali secondo le quali sono strutturati i mondi di vita diventano ora individuabili linguisticamente nelle regole dei processi di comunicazione» [Habermas 1967, 180]. Il linguaggio, dunque, non deve essere interpretato semplicemente come sistema di segni, ma anche come il prodotto di relazioni tra azioni. Teoria dell’agire comunicativo: Il concetto di agire comunicativo "enuclea dal controllo di situazioni soprattutto due aspetti: l'aspetto teleologico della realizzazione di scopi (o dell'attuazione di un piano di azione) e l'aspetto comunicativo dell'interpretazione della situazione e del conseguimento di una intesa. Nell'agire comunicativo i partecipanti perseguono i propri piani di comune accordo sul fondamento di una definizione comune della situazione. Consenso: Secondo Habermas, la possibilità del consenso è la condizione essenziale dell’agire comunicativo. La possibilità di una comprensione che evita sia i pericoli della rottura della comunicazione in senso verticale (rapporto passato-presente), sia quelli in senso orizzontale (possibilità di comunicazione tra diversi gruppi e diverse culture) è la base di quella «condizione elementare di sopravvivenza» che consiste in un’unione sociale non coercitiva e in un riconoscimento intersoggettivo non violento [Habermas, 1967, p. 246]. Distorsioni della comunicazione: Le oggettivazioni del linguaggio corrente e le forme ideologiche codificate, una volta che siano state interiorizzate dal soggetto, possono imporsi su di lui senza che egli ne sia cosciente, provocando forme sistematicamente distorte della comunicazione. Tale presenza della dimensione del potere [Crespi 2002, 131] richiede un’analisi non solo delle forme linguistiche e comunicative, ma anche delle strutture del sistema di dominio e dell’organizzazione della produzione. Alla razionalità comunicativa si contrappongono pur sempre la razionalità strumentale (ricerca dell’efficienza e del successo) e la razionalità funzionale (imperativi del sistema, meccanismi di controllo). Occorre inoltre, seguendo la linea inaugurata dalla critica marxiana dell’ideologia, approfondire il rapporto tra cambiamenti nel modo di produzione e ristrutturazione delle immagini linguistiche del mondo [Habermas 1973, 257]. Scambio comunicativo e consenso: Si chiarisce qui il particolare carattere che Habermas attribuisce all’agire comunicativo rispetto all’agire di tipo strumentale: mentre quest’ultimo appare legato alla logica del dominio e della manipolazione tecnica, Conoscenza condivisa: il linguaggio è solo un esempio di come un’interpretazione condivisa faciliti l’interazione sociale. Una vita quotidiana che scorre senza intoppi dipende dall’intersoggettività, una condizione in cui più persone interpretano nello stesso modo la conoscenza, la realtà o l’esperienza. In questo modo l’interazione sociale costruisce costantemente il nostro mondo sociale. I membri di una società non condividono solo il linguaggio comune, ma anche norme e costumi, riferimenti storici e altre informazioni socialmente utili che hanno appreso attraverso la socializzazione (Schutz, 1962). Il tranquillo funzionamento della vita quotidiana si basa in parte sull’interpretazione condivisa dalle persone di quella che è la natura. Analogamente il piacere per una forma d’intrattenimento dipende da una base di conoscenza condivisa. (esempio: molte commedie televisive danno per scontato che il pubblico capisca gli irriverenti riferimenti degli sceneggiatori a persone famose, uomini politici, altri programmi televisivi e agli eventi in corso. Quando capite una barzelletta -e ridiamo- il vostro divertimento deriva da presupposti inespressi che condividete con gli altri). Costruzione sociale della realtà La realtà è il risultato di ciò che impariamo dalla nostra società, viene socialmente costruita. Non solo diamo per scontate le definizioni di realtà, il che di fatto ci impedisce di vedere la complessità della società ma queste definizioni possono mettere in moto conseguenze molto reali. L’interpretazione soggettiva della realtà ha effetti oggettivi. Teorema di Thomas Secondo Thomas, per interpretare l’agire sociale non è tanto importante cercare di definire i dati oggettivi di una situazione sociale, ma conoscere le percezioni soggettive, le credenze e le convinzioni in base alle quali un certo aspetto viene ritenuto reale dagli individui che agiscono nella situazione stessa: sono infatti proprio tali rappresentazioni e convinzioni a determinare i loro atteggiamenti e le loro azioni. “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze” Thomas. La profezia che si autoadempie: A partire dal Teorema di Thomas, Merton sviluppa il concetto di profezia che di autoadempie: “Il modello della profezia che si autoadempie è così comune che ciascuno di noi può avere il suo esempio preferito. Si consideri il caso della nevrosi degli esami. Convinto di essere destinato a fallire, lo studente ansioso dedica più tempo a preoccuparsi che a studiare, col risultato che l’esame sarà appunto un insuccesso […]. Oppure può accadere che si creda inevitabile la guerra fra due nazioni. Effettivamente convinti di questo, i rappresentanti delle due nazioni diventano progressivamente più ostili l’uno verso l’altro e oppongono ad ogni mossa «offensiva» dell’altro una propria mossa Le riserve di armamenti, di materie prime e le dimensioni delle forze armate aumentano sempre più e accade che «difensiva». L’anticipazione dell’eventualità di una guerra contribuisca a far sì che questa guerra si faccia realmente. La profezia che si autoadempie è, all’inizio, una definizione falsa della situazione, che determina un nuovo comportamento che rende vera quella che originariamente era una concezione falsa. speciosa validità della profezia che si autoadempie produce ripetutamente e continuamente situazioni erronee. Così il profeta citerà il reale corso degli eventi come prova che egli aveva ragione fin dal principio […]. Queste sono le contraddizioni della logica sociale.» (R. Merton , «Teoria e struttura sociale», 1949) » Stereotipo: Il teorema di Thomas spiega anche il funzionamento degli stereotipi che definiscono gli individui come esempi tipici di gruppi di persone. Gli stereotipi sono generalizzazioni esagerate, distorte o non vere su categorie di persone, che non tengono conto della specificità di ogni individuo. Spesso gli stereotipi sono negativi anche se ci sono anche stereotipi positivi (es. “tutti i kenioti corrono velocemente”). Trattandosi di definizioni condivise, tutti gli stereotipi creano un senso di realtà, quindi possono avere pesanti conseguenze. La televisione, per esempio è ricca di di stereotipi sugli operai che vengono presentati come persone ”poco intelligenti, pigre, rozze (es. Homer Simpson). Questi stereotipi aiutano a giustificare la disuguaglianza economica, sottintendendo che i professionisti con un’istruzione più elevate sono in un certo senso migliori degli operai. Looking-glass self (l’io riflesso): Cooley aveva introdotto il concetto di looking-glass self (l’io riflesso), secondo cui l’individuo si rispecchia nel modo in cui gli altri lo considerano, ritiene che ciascuna persona con cui si interagisce influenzi in un modo o nell’altro il proprio senso di sé. Come Cooley anche Mead ritiene che gli altri abbiano un ruolo determinante nel modo in cui ciascuno vede sé stesso. Mead ha una visione più restrittiva dei rapporti che possono influenzare l’identità: non tutti, ma solo le persone significative hanno questa influenza. 27/03 Definizione generica dello sviluppo del sé: il sé è quello che un individuo pensa di sé stesso, l’immagine che ha di sé nei contesti sociali in cui si trova, è espressione di specifici punti di vista e prospettive, è legato allo sviluppo cognitivo del soggetto e alle differenti esperienze che il soggetto affronta nel corso della sua vita e in relazione con gli altri (il modo in cui ci comportiamo cambia in base a dove ci troviamo e con chi). Lo sviluppo del sé secondo Mead: I bambini molto piccoli non sono secondo, Mead molto influenzati dalla concezione che gli altri hanno di loro: si considerano al centro dell’universo (egocentrismo) e mancano della capacità stessa di comprendere il punto di vista dell’altro, quindi il modo in cui gli altri li vedono. Crescendo, la prospettiva degli altri diventa più importante. Il processo di sviluppo comprende alcune fasi successive: fase preparatoria, play stage e game stage. L’”io” e il “me” in Mead: -“me” rappresenta (identità sociale) il modo in cui l’individuo crede che l’Altro Generalizzato lo percepisca e percepisce l’insieme delle aspettative sociali interiorizzate. È la dimensione propriamente sociale dell’identità, che si sviluppa durante la socializzazione e l’interazione con gli altri. -“io” (identità individuale) è la risposta individuale al “me” cioè alle attese degli altri e all’immagine che rimandano. Si tratta di una componente attiva. L’”io” e il “me” fa parte del sé: l’”io” (identità individuale) è la risposta al “me” (identità sociale). Gesti: la comunicazione umana avviene attraverso la reazione dell’altro ai gesti. Il soggetto diventa consapevole del significato del suo gesto a partire dalla risposta dell’altro. I significati del gesto li costruiamo noi a seconda del contesto e delle interazioni sociali (anche il contesto temporale e storico conta). Erving Goffman (1922-1982) Le opere: La vita quotidiana come rappresentazione 1956 (interazionismo simbolico) Asylum: saggi sulla condizione sociale dei malati di mente e altri pazienti (1961) Stigma 1961 Relazioni in pubblico 1963 Il rituale dell’interazione 1967 Frame analysis: l’organizzazione dell’esperienza 1974 A differenza di Mead, il sé è privo di ogni consistenza interiore. (Mead riconosceva la continuità tra sfera esterna e interna del soggetto) in Goffman viene eliminata ogni continuità tra interno e esterno e il soggetto viene considerato come una maschera, una messa in scena sociale, le regole e le caratteristiche strutturali di questa maschera determinano le diverse parti recitate dal soggetto. Il sé in Goffman: ciò che mantiene il sé nella sua relativa continuità non è la struttura interna, ma il contesto istituzionalizzato, cioè il contesto sociale in cui vivo, il sistema nel quale si costituiscono il personaggio che rappresenta un ruolo e il pubblico (gli individui che ci circondano), che, con la sua attività interpretativa è parte integrante e necessaria perché ci sia la rappresentazione. Goffman ha un approccio drammaturgico nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione”, utilizza la metafora del teatro per analizzare e mettere in evidenza le interazioni sociali: il mondo sociale è considerato come la scena di un teatro come attori che mettono in scena una rappresentazione. L’agire sociale è motivato da ragioni strumentali (perseguimento di uno scopo) ed è condizionato da come si vuole apparire agli altri, cioè dalle impressioni che chi agisce vuole suscitare negli altri. Quindi: Goffman pensa la vita sociale come una rappresentazione di teaatro, nella quale gli individui sono attori che interpretano ruoli diversi attraverso : -lo spazio del pubblico, dove gli individui fanno ciò che gli altri si aspettano -lo spazio del privato, dove gli individui possono uscire consapevolmente dalle loro identità pubbliche Etnometodologia Approccio che esamina i metodi studiati dalle persone per dare significato alle proprie attività quotidiane, enfatizzando le modalità con cui creano collettivamente una struttura sociale nelle proprie attività quotidiane. L’oggetto sono i metodi usati dagli individui sociali descritti come etno, nel definire e determinare praticamente la realtà. Il maggior esponente è Harold Garfinkel (1917-2011), il quale si oppone alla sociologia tradizionale. L’etnometodologia enfatizza l’attività quotidiana attraverso la quale costruiamo e ricostruiamo. La struttura sociale esiste perché la creiamo costantemente, mano a mano che costruiamo e ricostruiamo l’ordine sociale nella nostra routine quotidiana. L’etnometodologia è una branca delle scienze del comportamento che cerca di considerare le attività pratiche, le circostanze pratiche e il ragionamento sociologico pratico come argomenti di indagine empirica e attribuendo alle attività più ordinarie della vita quotidiana l’attenzione che diamo agli eventi straordinari, cerca di apprendere qualcosa su tali attività come fenomeni degni di studio in quanto tali. Si distingue tra la risorsa e l’oggetto di ricerca: del mondo di senso comune come risorsa per la spiegazione della realtà dal mondo di senso comune come vero e proprio oggetto di ricerca. -Gli accounts sono quelle attività attraverso cui gli individui riproducono il mondo il mondo, pratiche che formano i significati e contengono al loro interno le procedure stesse per interpretarli e spiegarli. -La riflessività: le attività attraverso cui i membri della società producono e gestiscono situazioni di relazioni quotidiane organizzate sono identiche ai procedimenti usati dai membri per rendere spiegabili. -l’indicalità: ogni significato può essere inteso solo nel contesto nel quale viene prodotto, ogni forma di interpretazione, ogni forma espressiva o atto di comunicazione rinvia a criteri e a presupposti vigenti nel contesto e deve essere compreso in base a essi. L’oggetto dell’analisi etnometodologica è quindi, rappresentato. convincerli che la realtà sia proprio così come egli vuole che sia). Tale discorso acquista importanza fondamentale se lo si considera nei termini di lotta per il riconoscimento. In effetti, ogni agente situato nel campo lotta per imporre i propri principi di visione dominante: ovvero, fuor di metafora, lotta per essere riconosciuto. I campi sono sfere relativamente autonome dalla logica dello spazio sociale complessivo. I campi sono caratterizzati da dinamiche e valori specifici. Può essere pensato come un mercato in cui circola un capitale specifico ma anche come un campo di gioco e come un campo di lotta. In ogni campo c’è una lotta fra dominanti e dominati del campo e c’è una posta in gioco specifica. Vi sono campi in cui vige un interesse per il disinteresse (culturali, giuridici, statali, intellettuali, scuola e università). Questi campi hanno permesso e premettono un avanzamento dell’universale. La scomposizione del concetto di capitale Unisce la prospettiva di Marx e weber e formula il concetto di capitale: è una dotazione che può trovarsi in varie forme o stati e che viene fatto valere da un individuo o famiglia nei vari ambiti della vita sociale: - Il capitale economico è dato dalle risorse economiche - Il capitale sociale sono le conoscenze, le reti a disposizione o l’immagine che ci avvantaggia o penalizza - Il capitale simbolico è fatto valere nelle relazioni sociali. Tutte le forme di capitale diventano capitale simbolico perché fatte valere nella vita sociale. Comprende prestigio, onore, riconoscimento. Il capitale simbolico è formato dall’insieme di tutte le altre forme di capitale e costituisce quello scrigno individuale di risorse personali che ciascuno serba dentro di sé e che lo caratterizza socialmente e, nello stesso tempo, quella possibilità di riconoscimento sociale per la quale si lotta quotidianamente - Il capitale culturale sono le risorse culturali, è l’insieme dei beni simbolici trasmessi dalle agenzie educative e in primo luogo e ancor prima della scuola, della famiglia. Oltre che da informazioni e conoscenze, il capitale culturale è costituito dallo stile di vita, dalle buone maniere e dal buon gusto. Il capitale è quindi l’arma che permette di agire, muoversi e prendere posizione all’interno del campo e solo in relazione a quest’ultimo esso esiste e funziona. Habitus Un sistema di disposizioni apprese dal proprio ambiente sociale d’origine (in particolare, la propria famiglia) nel corso del processo di socializzazione che struttura il nostro modo di essere, di esprimerci e di rapportarci agli altri. Poiché questo ambiente è plasmato dalle strutture di disuguaglianza (classi sociali), il concetto di habitus consente, a parere di Bourdieu, di superare la classica distinzione tra “soggettivismo” e “oggettivismo”: fatta salva la “libera” volontà e le capacità dei singoli individui, queste si manifestano sempre mediate dal dato oggettivo delle disposizioni (profonde) apprese. Per questo motivo, parallelamente alla “sociologia della sociologia”, è sempre possibile realizzare una vera e propria auto- analisi sociologica del Sé: complementare alla psicoanalisi –punto poco approfondito da Bourdieu – questo esercizio consente di svelare il proprio habitus o quello di un certo agente sociale, in tutte le fasi di una determinata traiettoria di vita. Disposizioni durevoli che sono venute formandosi nell’esperienza pratica della vita sociale e che si presentano, al tempo stesso, come determinazioni strutturate, in quanto risultato dell’agire storico e delle interrelazioni dei soggetti, e strutturanti, in quanto generano e organizzano le pratiche e le rappresentazioni individuali e collettive, delimitando, nelle situazioni storico-sociali concrete, il campo delle effettive possibilità di pensiero e di azione. L’habitus è un insieme di principi generatori di pratiche, un sistema di schemi di percezione e di disposizioni (di potenzialità, di modi di porsi nei confronti delle situazioni sociali di cui si è parte), ma è anche struttura strutturata e strutturante, ossia legata sia alle relazioni oggettive nelle quali gli agenti sono immersi, sia alle percezioni personali attraverso le quali vengono incorporate le situazioni sociali in cui si vive e, contemporaneamente, all’interno delle quali si agisce. È il sistema acquisito dall’attore sociale di disposizioni durature e trasponibili che, integrando le esperienze passate, funziona in ogni momento come matrice di percezioni e azioni. L’habitus permette agli attori sociali di operare una regolazione tra la loro soggettività interna e le influenze oggettive esterne (oltre l’oggettivismo e il soggettivismo). L’habitus è la forza dormiente da cui la violenza simbolica trae la sua misteriosa efficacia. Risvegliato e riattivato dall’azione simbolica, l’habitus ci rende docili e sottomessi come per magia. La teoria delle classi sociali Va oltre alla visione dicotomica di Marx e distingue tre classi sociali: - La grande borghesia, possiede la gran parte dei capitali e detta le regole e i valori all’intera società - La piccola borghesia, stretta fra il desiderio di ascesa sociale e il timore della proletarizzazione - Le classi popolari, svantaggiate sotto ogni aspetto Per Bourdieu non contano solo il capitale economico o la quantità di capitale posseduto per definire la classe sociale, ma anche la proporzione tra i vari capitali. I raggruppamenti sociali dipendono dalla prevalenza del capitale economico o del capitale culturale. 15/04 Modernità globalizzata La modernità globalizzata: ristrutturazione dell’ordine economico e politico I processi di ristrutturazione dell’ordine economico e politico dopo la seconda guerra mondiale, caratteristiche: fine della modernità con la caduta del muro di Berlino, Unione Sovietica 1989 simbolicamente la fine del comunismo e con le crisi economiche degli anni 70 collegate al petrolio che hanno portato a recessione unita a inflazione (stagflazione) e politiche neoliberaliste. capitalismo azionario: a partire dagli anni 60/70 con le multinazionali, gli azionisti e gli amministratori delegati, in cui la proprietà del capitale si separa dalla gestione diretta dell’impresa, ciò porta all’obiettivo di portare sempre più profitti il modo di produzione post-fordista, flessibilità del capitale e del lavoro, che porta a: -nuovi assetti delle grandi imprese (delocalizzazione, imprese transnazionalizzate) -lavoro informale e precario (contratti di pochi anni, tirocini), da una parte si crea occupazione perché le donne entrano nel mercato del lavoro e dall’altra disoccupazione, indebolimento dei sindacati -il ruolo della finanza, distribuzione pubblicità/marketing e rivoluzione informatica negli anni 80. NB: Fordismo: concetto coniato da Gramsci, è un sistema di organizzazione di politica industriale attuato da Ford nella sua fabbrica di automobili a partire dal 1913 che applicava i principi del taylorismo (organizzazione scientifica del lavoro e razionalizzazione del processo produttivo) e l’idea di accrescere la razionalizzazione economico e un complesso di incentivi alla manodopera (page più alte per produrre di più) che permettevano all’operario stesso di comprarsi la macchina (produzione di massa va a braccetto con consumo di massa). NB Post-fordismo: periodo a partire dai 70, è un regime di accumulazione che tende alla flessibilità del profitto, cioè il capitale si sposta dove è più redditizio, è quindi un processo di delocalizzazione: le multinazionali si spostano nei paesi in via di sviluppo dove costa meno o la regolamentazione ambientale è flessibile. nei paesi occidentali vengono attuate politiche neoliberiste date dalle crisi (inflazione): da un lato si verifica una diminuzione dei servizi di previdenza pubblica e dall’altro gli stati lasciano le imprese private agire sempre di più sui mercati cambiamenti nella stratificazione sociale, dal secondo dopoguerra cresce il settore terziario (servizi) e nuova polarizzazione che aumenta le diseguaglianze. a partire dagli anni 80 nascono nuovi movimenti neoconservatori che si mobilitano in difesa dell’identità, del nazionalismo e contro i nuovi flussi migratori; l’aumento dei flussi migratori danno origine ad una classe subalterna formata da individui che forniscono lavoro a basso costo e che restano esclusi dai diritti civili sociali perché sprovvisti di cittadinanza. A questo periodo a partire dagli anni 70 si danno vari termini: società post-industriale, modernità riflessiva, seconda modernità, tarda modernità o modernità radicalizzata Nella definizione di post industriale o società dell’informazione: post industriale perché le risorse di cui necessita sono immateriali (e non materiali) come conoscenze e informazioni. La critica è che l’informazione viene gestita in modo industriale e la produzione industriale esistono ancora e si spostano nei paesi in via di sviluppo per via della delocalizzazione. Altri suggeriscono il termine post-moderno, questo termine ha avuto diffusione grazie alla vaghezza del termine, ed è nato in: -post-modernismo in architettura e in altri campi artistici: si oppone al modernismo razionalista del secondo dopoguerra, utilizza tradizioni locali e pensa all’uso concreto per gli abitanti e propone democratizzazione della cultura opponendosi a autoritarismo delle culture d’élite, cultura bassa o alta -post-modernismo nelle scienze sociali: è stato introdotto da “condizione post-moderna” del 79 di Lyotard, secondo cui nessun sapere è universale, perdita di plausibilità delle grandi narrazioni del progresso: sfiducia nella scienza che non porta al progresso unilineare e porta nuovi rischi, si mette in questione la modernità. Il post-modernismo è stato criticato negli anni 90, in cui si pone la domanda: siamo entrati in un’epoca post- moderna, differente da quella moderna? Dipende da come di definisce il moderno, concetto coniato da Bodlaire. -Se definiamo il moderno come epoca del mutamento incessante in cui il sistema capitalistico è una caratteristica importante, allora non siamo usciti dall’epoca della modernità -per alcuni il post-modernismo è la logica culturale de tardo capitalismo o società neoliberista Oltre a questi termini, ci sono “modernità riflessiva” e “seconda modernità”: ulteriore sviluppo delle dinamiche del moderno. Interpreti della modernità globalizzata: -Ulrich Beck (1944-2015), tedesco -Antony Giddens (1938), britannico -Zygmunt Bauman (1925-2017), polacco naturalizzato britannico -Saskia Sassen (1947): autrice femminile americana Anthony Giddens: la teoria della strutturazione Giddens, Bauman e Beck hanno elementi comuni, con Beck ha teorie simili: -visione della modernità come radicalizzata -cambiamenti a livello strutturale e della soggettività dell’individuo -Giddens ha visione ottimistica, Beck pessimistica Nella sua opera riassume i dibattiti di quegli anni in particolare della modernità radicale. Si interessa in primo periodo dei classici Weber, Marx e Durkheim, -elabora la teoria della strutturazione che si inserisce nelle teorie dell’azione, individualizzazione vale anche per il mondo del lavoro, da una parte l’individuo è libero di autorealizzarsi e dall’altra viene destrutturata la forma lavoro ed è una libertà apparente, perché tutto viene individualizzato. dalla prima modernità il sistema politico perde la sua centralità (famiglia e individuo) che diventa subpolitica perché si apre a nuove discipline (medicina, scienze e nuove tecnologie…) che hanno un forte impatto e generano nuovi rischi e dall’altra parte diventa sottomessa ai poteri macroeconomici, economico- finanziari e globali, alle multinazionali. Gli stati-nazione sono sempre più influenzati dai grandi poteri economico-finanziari globali (grandi processi economici e finanziari globali). La politica cerca poi di limitare i danni dopo che si verificano le decisioni, per questo ha una funzione precaria, il decisore vero è altrove (le nuove discipline/strutture). Zygmunt Bauman: modernità liquida Polacco naturalizzato britannico. Concentra la sua analisi sui difetti della società contemporanea e teorizza la modernità liquida. Si pone la domanda: la modernità globalizzata è in grado di mantenere la promessa di un modo migliore? La sua risposta è no. Bauman parte da una impostazione marxista e dal ruolo della borghesia che faceva evaporare/rendeva liquidi gli schemi/certezze/tradizioni rigidi del passato, il termine liquidità serve per analizzare i processi di cambiamento nella società contemporanea, le cause che generano e diventa una metafora per l’epoca attuale. Nel libro “modernità liquida” (2000) spiega che: La modernità globalizzata e il dominio dell’economia e della razionalità strumentale hanno creato un nuovo ordine che appare nella forma della libertà ma produce nuove forme di oppressione, la liquidità è una nuova ideologia del dominio, si afferma come libertà dell’individuo ma è libertà apparente. Maggiore flessibilità, lavoro precario, disoccupazione, deregolamentazione, liberalizzazione. La modernità è individualizzata e privatizzata a cui spetta all’individuo la responsabilità del fallimento. Tutto è presentato come libertà ed è raggiungibile e questo porta all’ eliminazione del conflitto perché la routine è velocizzata e la vita è precaria e flessibile. Ciò crea la disintegrazione della rete sociale, le istituzioni vengono a mancare e l’individuo è solo, isolato, il potere diventa sfuggente e non assume responsabilità. La disintegrazione della rete sociale è il risultato del nuovo potere che ha come arma principale il disimpegno. La società si basa sulla liberazione del desiderio (puoi realizzare tutto, diventare tutto), ma dall’altra parte si verifica individualismo de jure (di diritto) e de facto e una privatizzazione dell’idea di realizzazione: le aspirazioni e la libertà si infrange con le forme di costrizione sociale. Da qui nasce la domanda come posso abbattere un potere che si fonda sull’idea che il soggetto ha tutte le possibilità per realizzarsi che privatizza l’idea di realizzazione? Esiste una tensione irrisolvibile tra le possibilità di aspirare a forme di libertà e la necessità di prendere coscienza delle richieste e degli obblighi della società flessibile e precaria (la libertà si infrange con le forme di costrizione sociale e le necessità economiche) Liquefazione di spazio, tempo, lavoro e comunità. Parla di comunità guardaroba, dove la comunità non è qualcosa a cui apparteniamo veramente che ci costituisce ma è una serie di abiti che indossiamo a seconda dell’occorrenza, di quello che conviene, perde consistenza l’idea di interesse comune, l’identità collettiva all’interno di un contesto di maggiore vulnerabilità, precarietà e insicurezza. Ha una visione negativa rispetto a Giddens. Globalizzazione, povertà e protezionismo Definizioni di globalizzazione: Robertson: Il concetto di globalizzazione si riferisce alla compressione del mondo e al rafforzamento della coscienza del mondo nella sua totalità, si riferisce anche alla concreta interdipendenza globale e alla coscienza della globalità del mondo. Giddens: intensificazione delle relazioni sociali a livello mondiale che collegano località distanti tra loro in modo tale che gli eventi locali sono influenzati da fatti che accadono a molti chilometri di distanza e viceversa. È un processo dialettico, perché gli eventi locali possono muoversi in direzione opposta rispetto alle relazioni a distanza che li influenzano. La trasformazione locale fa parte della globalizzazione e anche l’estensione delle relazioni sociali nel tempo e nello spazio. Beckford (2003), le caratteristiche della globalizzazione: 1) La crescente frequenza, volume e interconnessione di culture, informazione e persone nel tempo e nello spazio 2) La crescente capacità delle tecnologie dell’informazione di ridurre e comprimere il tempo e lo spazio dando luogo a concetti come villaggio globale 3) La diffusione di pratiche e procedure per processare i flussi globali di informazione, denaro, merci e persone 4) L’emergere di istituzioni e movimenti sociali che promuovono, regolano, sovrintendono o rifiutano la globalizzazione 5) L’emergere di nuovi tipi di coscienza globale o ideologie globaliste che danno espressione a questa interconnessione sociale quale il cosmopolitismo. Globalizzazione: alcune caratteristiche La globalizzazione non è un fenomeno nuovo, in passato ci sono state altre ondate importanti: -prima modernità con la scoperta delle Americhe, -colonialismo e imperialismo, -tra metà/fine 1800 e l’inizio della prima guerra mondiale 1914 l’ondata di globalizzazione è stata sorretta dal gold standard che aveva reso possibile una stabilità negli scambi commerciali. David Held e altri autori (1999): visione della globalizzazione trasformazionalista, fenomeno non senza precedenti e aperto perché si sviluppa in direzioni diverse e assume forme a seconda di luogo, classe sociale. La globalizzazione comporta:  Espansione delle attività oltre le frontiere  Regolarizzazione dei rapporti, intensificazione e ampiezza delle interconnessioni, delle interazioni e dei flussi  Accelerazione dei processi e delle interazioni globali  Amplificazione dell’impatto di eventi lontani distinzione tra flussi e reti: flussi circolazione di beni, persone, simboli… nello spazio; reti: le interazioni che assumono una regolarità e diventano sistemiche aterritoriale, perché può comportare sia deterritorializzazione e ri-territorializzazione non è interdipendenza, perché la globalizzazione comporta relazioni di gerarchia e non è simmetrico non è integrazione, perché non esiste comunità condivisa non è universalismo, perché non è un fenomeno comune a tutti nello stesso modo non è convergenza, perché non esiste armonia, omogeneità mentre la globalizzazione porta al conflitto Osterhammel e Peterson (2005): la globalizzazione si sviluppa nel momento in cui i contatti e le interazioni diventano reti e sfere di interazione. C’è bisogno di continuità nel tempo e rinforzamento istituzionale. Sassen e “sociologia della globalizzazione”: il globale trascende il quadro esclusivo degli stati nazionali ma risiede almeno in parte in territori e istituzioni nazionali. Mette in discussione assunti fondamentali delle scienze sociali. due insiemi di dinamiche: a) formazioni di istituzioni e processi esplicitamente globali b) processi la cui scala non è ad un tale livello di globalità ma concerne reti, entità o questioni/dinamiche trans-confinarie denazionalizzazione attraverso dinamiche globali che tendono a inserirsi dentro la nazione Studi sulla dimensione culturale della globalizzazione Le prime formulazioni sugli effetti culturali della globalizzazione davano per scontato che esistesse una standardizzazione o americanizzazione (tesi della convergenza di Kerr, George Ritzer “mcdonaldizzazione” 1993), ma le formulazioni sono criticate come semplicistiche. Tutte le grandi multinazionali sono globali e hanno un effetto e influenza sulla vita culturale delle persone, ma gli studi hanno messo in discussione ci sia una omologazione. Alla fine della Guerra Fredda, in molti studi c’è ottimismo nella globalizzazione dei diritti, cooperazione globale sul commercio, sicurezza e scambio culturale. Dall’altra si vedeva una americanizzazione che portava ad una omologazione. Dopo l’11 settembre 2001 (attentato torri) vi è una svolta critica nei confronti della globalizzazione, ponendo enfasi su confini, sicurezza, controllo statale delle migrazioni e pattugliare i confini, criminalità. Secondo Turner: la globalizzazione comporta un villaggio globale uniforme o ibridismo culturale? Glocalizzazione e nuova accentuazione del locale. Da metà anni 90 si pone l’attenzione su conseguenze politiche e dilemmi sulla globalizzazione, cioè ripercussioni delle nuove tecnologie, declino dello stato nazione e governance democratica, movimenti nazionalisti. Il modo in cui come lo stato-nazionale e la politica è cambiata con la globalizzazione. L’economia globale: -interdipendenza economica: a livello economico ciò che accade in una parte del mondo ha effetti su altri paesi. -mobilità dei capitali grazie all’integrazione della finanza (grazie a deregolamentazione sulla circolazione del capitale) per gli sviluppi tecnologici e politici. Le politiche perdono forza e autonomia per la fuga di capitali all’estero, cultura globalizzata. -società multinazionali attraverso investimenti diretti esteri, ha dimensioni multinazionali in:  Capitale e investimenti  Manodopera e produzione  Settore commerciale e consumatori -fusioni e diversificazione Come differisce la globalizzazione attuale dalle precedenti: -ampiezza del cambiamento che coinvolge economia e società (cultura, migrazioni, apparato militare) -politiche di deregolamentazione e liberalizzazione (limitazioni a dazi doganali e sussidi, deregolamentazione in investimenti esteri) -dominio finanziario dell’economia (negli ultimi 30 anni) -cambiamenti sociali e organizzativi per base tecnologica della globalizzazione -ruolo delle multinazionali importante all’interno dell’economia 17/04 Multinazionali Alcuni stati promuovono il sistema del libero mercato quando percepiscono che li avvantaggerà e un atteggiamento protezionistico quando temono che la concorrenza danneggerà le loro industrie (come successe con American First negli Stati Uniti). C’è un fenomeno di globalizzazione a livello globale e blocchi commerciali a livello regionale, come UE, NAFTA, in cui vi è un atteggiamento protezionistico nei confronti dei paesi non appartenenti ai blocchi e dall’altra parte c’è liberalizzazione. Deglobalizzazione o slowbalisation? Dal 2008 (con la crisi finanziaria) il commercio mondiale è cresciuto più lentamente del PIL mondiale. Per questioni geopolitiche, pandemia, energia, sicurezza nazionale. L’ultima apertura del commercio c’è stata nel 2001 quando la Cina è entrata a fare parte del WTO. I limiti alla globalizzazione sono le restrizioni statunitensi per l’export di chip in Cina, una delle cause della slowbalisation può anche essere stata la rivalità America-Cina per la produzione di chips. L’unione europea con il chips act ha cercato di produrre microchip europei del 20% di tutta la produzione mondiale. Con la guerra Ucraina nasce la questione dalla dipendenza dalle filiere, da catene di approvvigionamento lunghe e vulnerabili con scorte di magazzino limitate creando il meccanismo europeo di risposta e preparazione alla crisi della sicurezza alimentare. La volontà politica e la scelta della politica è al centro della globalizzazione. Deglobalizzazione: superamento della globalizzazione attraverso l’incentivazione dei mercati globale. È corretto parlare invece di rallentamento “slowbalisation”. Stratificazione e disuguaglianza sociale (Capitolo 9) È la distribuzione ineguale di varie risorse economiche, sociali, politiche e culturali all’interno di un determinato contesto sociale. La diseguaglianza crea con il passaggio dal paleolitico (nomadismo) al neolitico (sedentarietà), quando si crea la rinascita delle prime città e dell’agricoltura, che comporta la nascita di criteri culturali complessi legati all’affermazione di un particolare sistema di potere che costruiscono i bisogni primari e i criteri per averli, alcune risorse acquistano più importanza di altre. Si viene a creare un surplus produttivo, il surplus di risorse ha generato i problemi di distribuzione e allocativo delle risorse; le risorse non sono infinite e il surplus è limitato e relativo. Il Sistema di stratificazione è l’insieme delle strutture e delle norme culturali che producono e mantengono le diseguaglianze sociali dislocando le persone in una gerarchia di gruppi che ricevono risorse diseguali. Tutti i sistemi di stratificazione di basano su tre elementi chiave, caratteristiche: 1. L’ineguale distribuzione delle risorse dotate di valore sociale o culturale (risorse diseguali) Risorse sono economiche, umane, culturali, sociali, status, civili, politiche 2. La presenza di distinti gruppi di persone che formano strati sociali gerarchizzati: (gruppi stratificati) -status ascritti: posizione sociale assegnata ad un individuo indipendentemente dalla sua volontà alla sua nascita, i sistemi che si basano s questi status sono chiusi, perché non consentono mobilità sociale e sono rigidi -status conseguiti: posizione sociale legata alle sue capacità e abilità, i sistemi fondati su status aperti perché consentono la mobilità sociale 3. Un’ideologia che cerca di spiegare e giustificare le diseguaglianze esistenti: (ideologie che giustificano le diseguaglianze) L’ideologia è sistema di credenze che aiuta a definire e spiegare il mondo e a giustificare l’esistenza delle diseguaglianze. In ogni società la particolare forma assunta da queste caratteristiche determina il tipo dominante di stratificazione sociale e la distribuzione del potere. Per Marx e Weber la diseguaglianza tra le classi era connessa al potere, alle lotte per la conquista del potere all’interno della società e produce vincitori e vinti. Secondo i funzionalisti della metà del 900 (Davis e Moore) l’idea della diseguaglianza delle ricompense porta a un maggior concorrenza e competenza, ma è legata alle risorse, la diseguaglianza produce beneficio alla società, le postazioni più prestigiose sono occupate dalle persone più abili, assicura maggiore competizione e un progresso per la società. I critici dicono però che esiste una questione di potere e le diseguaglianze precedenti possono influenzare la capacità di competere degli individui, ci sono barriere alla mobilità che fanno si che chi ha maggiori risorse economiche si mobiliti per preservarle e modificare le regole a proprio vantaggio. Nelle teorie liberiste le diseguaglianze hanno un’utilità sociale e economica per far si che ci sia il progresso della società, legittimando le diseguaglianze. I sistemi di stratificazione di origine pre-moderna: Si identificano sulla base di ideologie non economiciste, sono status ascritti e condizionano in parte l’epoca attuale. 1) Schiavitù: forma estrema di disuguaglianza per cui alcuni individui sono oggetto di proprietà di altri (uomini liberi) e quindi privati di fatto e di diritto di ogni autonomia personale 2) Patriarcato: sistema di stratificazione basato sul primato assoluto del pater familias sugli altri membri della famiglia e dalla comunità 3) Sistema delle caste: sistema di stratificazione basato su diverse caratteristiche ascrittive determinate dalla nascita (determina lavoro, vita privata…) 4) Ceto sociale (feudalesimo): strato sociale cui vengono associate diritti, doveri e privilegi specifici individuate dal diritto e connotato da un determinato stile di vita (status sociale) I sistemi di stratificazione di origine moderna: le classi sociali Si basano sull’ideologia economicista e su status conseguiti. La classe sociale è l’insieme di persone che condividono una medesima posizione nei rapporti di produzione. Nella classe esiste una scissione tra sfera del diritto (cittadinanza) e sfera sociale, cioè da una parte tutti abbiamo uguali diritti indipendentemente dalle condizioni di nascita (status ascritti), ma dall’altra parte la questione della ricchezza influisce i diritti. La classe è il fondamento economico delle diseguaglianze (logica acquisitiva) Per analizzare le diseguaglianze i sociologi si affidano a patrimonio, struttura occupazionale e divisione del lavoro. In sociologia, la differenza della classe sociale tra Marx e Weber: Marx identifica classe sociale, mentre Weber identifica: -il ceto (collegato al privilegio nella considerazione sociale, educazione, condotta) -la classe (possibilità di comprare beni) -il partito (cariche politiche e degli apparati amministrativi) Povertà e effetti negativi della diseguaglianza Povertà assoluta: incapacità di raggiungere i requisiti minimi (reddito o consumo) tali da garantire condizioni di vita dignitose. Povertà relativa: misura la povertà riferendosi allo standard di vita medio di un paese in un determinato momento storico; è collegata alla diseguaglianza. Deprivazione relativa: è l’esperienza secondo la quale gli individui, anche se dispongono di risorse adeguate, provano insoddisfazione quando hanno la convinzione che gli altri si trovino in condizioni migliori rispetto alle proprie o a quelle del proprio gruppo. Alcuni autori difendono e giustificano la diseguaglianza e il neoliberalismo secondo la teoria del trickle- down (la diseguaglianza serve per la società e il progresso, la ricchezza dalle classi alte “sgocciola” anche nelle classi basse, creando più posti di lavoro per esempio). I critici dicono che la diseguaglianza provoca effetti sociali negativi su solidarietà, capitale sociale, delinquenza, deprivazione, abuso dei ricchi della propria posizione. Diseguaglianze sociali e metodi di analisi Ci sono 3 modi di analizzare la diseguaglianza: diseguaglianza all’interno dei paesi diseguaglianza tra paesi diversi diseguaglianza di paesi diversi a partire dalla popolazione e gli individui Differenza tra reddito e patrimonio: Reddito: costituito di ciò che gli individui e famiglie ricavano dalle varie fonti (salari, profitti, rendite) Patrimonio: costituito da tutti i beni mobili e immobili posseduti dagli individui o dalle famiglie Uno degli Indicatori con cui si misura la diseguaglianza è il coefficiente di Gini: va da una scala da 0 a 1, dove 0 è massima uguaglianza e 1 è massima uguaglianza. Stratificazione e disuguaglianze: dati e teorie sulla disuguaglianza globale La diseguaglianza interna ai paesi è in relazione con la diseguaglianza globale e consiste nella differenza di potere e ricchezza tra i vari paesi del mondo. Per analizzare la diseguaglianza i paesi possono essere divisi in base al reddito (alto, medio e basso), per esempio il reddito basso è diffuso nell’africa meridionale. Si guarda il potere d’acquisto, che è il valore medio di beni e servizi che acquistano in un anno gli abitanti di un determinato paese tenendo conto del costo relativo di beni e servizi di diversi paesi. Un ente che si occupa di questi dati è Oxfam (world inequality database): -quasi il 50% della popolazione globale vive con meno di 5,5 dollari al giorno -dal 1995 il più ricco ha catturato 19 volte più della crescita globale del reddito del 50% più povero -persone in paesi a medio-basso reddito avevano il doppio delle probabilità di morire a causa covid-19, la pandemia ha aumentato il numero di poveri -le 10 persone più ricche possiedono più del più povero 3,1 miliardi -violenza economica: la povertà e l’economia è in grado di agire sulla vita delle persone quasi come una violenza Teorie dello sviluppo e della diseguaglianza: Teorie della dipendenza (Raul Prebisch, Fernando Cardoso, Gunther Frank, Walden Bello, Samir Amin): La diseguaglianza globale affonda le proprie radici nello sfruttamento dei paesi più poveri da parte dei paesi più ricchi, cioè nel colonialismo. Queste teorie sono state sviluppate negli anni 50 da Prebisch e diffuse negli anni 60 e 70 in opposizione alla teoria della modernizzazione. Il sottosviluppo dei paesi poveri in via di sviluppo (terzo mondo) è iniziato con la colonizzazione, nel 1500 assieme allo sfruttamento economico, dominio militare e politico e della manodopera, i paesi colonizzatori estraevano risorse, sfruttavano manodopera e soggiogavano politicamente i paesi. Il sottosviluppo si è continuato in altre forme e all’interno del sistema economico mondiale continuano a mantenere una posizione periferica perché vengono sfruttati: i paesi sviluppati importano risorse e materie prime a prezzi bassi, ma questi paesi sono costretti a comprare il prodotto finito dai paesi avanzati con un costo più alto. Le multinazionali hanno una logica di “dumping sociale”, cioè cercano manodopera bassa e legislazioni ambientali flessibili, quindi i paesi in via di sviluppo sono costretti a mantenere manodopera a basso costo e dipendono dai paesi avanzati per investimenti esteri. La diseguaglianza di genere è andata migliorando molto lentamente negli ultimi 30 anni ma si mantiene su livelli elevati. 29/04 Il terreno comune della sociologia: cultura, struttura, potere Cultura: Insieme di valori, credenze, conoscenze, norme, linguaggi, comportamenti e oggetti materiali condivisi da un popolo e trasmessi socialmente da una generazione all’altra. La cultura opera a qualsiasi livello sociale: attraverso le interazioni quotidiane fra individui, mediante norme organizzative nelle scuole, negli uffici e in altri gruppi, grazie a meccanismi diffusi in tutta la società come i media e la religione. In senso più ampio, la cultura è un modo di vivere. Comprendere il concetto di cultura ci aiuta a interagire in un mondo di diversità e ci consente di esaminare con occhio critico credenze e comportamenti che, diversamente, potremmo ritenere “naturali”. La cultura non è “naturale” ed è priva di una base biologica, perché deve essere insegnata e va appresa attraverso il processo di socializzazione. La cultura, quindi, è un fattore intrinseco della vita sociale ed è un elemento essenziale dell’analisi sociologica della società. Società: Gruppo di persone che vivono insieme in un territorio specifico e condividono una cultura. La cultura comprende elementi sia materiali sia immateriali:  La cultura materiale si riferisce agli oggetti fisici prodotti dalle persone appartenenti a una particolare cultura, come strumenti, abbigliamento, giocattoli, opere d’arte e abitazioni. La cultura materiale è fisicamente reale, può essere osservata e toccata.  La cultura immateriale si riferisce alle idee di una cultura, che includono i valori e le credenze, l’insieme delle conoscenze su come comprendere il mondo e orientarsi in esso, e gli standard o le “norme” inerenti il comportamento ritenuto appropriato. La cultura immateriale esiste nel mondo dei pensieri e delle idee. Valori condivisi: -potere -universalismo (apprezzamento e preoccupazione per tutta l’umanità) -successo -edonismo (ricerca del piacere personale) -benevolenza (generosità e compassione) -tradizione -auto-affermazione (ricerca dell’emozione e della sfida personale) -conformismo (desiderio di non essere difformi) -autodeterminazione -sicurezza Guerra culturale: Un disaccordo particolarmente significativo sui valori fondamentali e le posizioni morali presenti all’interno di una società. James Davison Hunter (1991; 1994) ha definito con il termine guerra culturale un disaccordo particolarmente significativo sui valori fondamentali e le posizioni morali presenti all’interno di una società. Secondo Hunter, le linee di frattura di questo conflitto sono piuttosto evidenti in ambienti come la famiglia, le scuole e le arti. Per esempio, le diatribe sul matrimonio fra persone dello stesso sesso sono di fatto conflitti sulle definizioni di matrimonio e di famiglia. Questi conflitti culturali si combattono soprattutto a livello di idee, ma occasionalmente esplodono in atti di violenza: gay e lesbiche sono stati oggetto di vessazioni e attacchi e, in alcuni casi, gli attivisti estremisti contrari all’aborto hanno ucciso medici che lo praticavano. Credenze: che cos’è vero? Laddove i valori di una cultura in genere costituiscono un insieme di principi ad ampio respiro, le credenze in essa presenti possono essere definite come le specifiche convinzioni od opinioni che le persone accettano in genere come vere. Le nostre credenze culturali ci incoraggiano a comprendere i problemi fondamentali del mondo da un punto di vista particolare. Conoscenza culturale: Nel contesto della cultura, la conoscenza è l’insieme di informazioni, consapevolezza e comprensione che ci aiuta ad orientarci nel nostro mondo. I sociologi si riferiscono a questo genere di conoscenza con l’espressione “capitale culturale”. Shock culturale: Lo shock culturale è l’esperienza di disorientamento dovuta alla mancata conoscenza di una situazione sociale non familiare. È probabile sperimentare tale turbamento quando si viaggia al di fuori del proprio Paese. Tuttavia è possibile provare uno shock culturale anche nel proprio Paese. Norme: Le norme sono le regole e le aspettative di una cultura rispetto a un comportamento ritenuto “appropriato” (il comportamento che viola le norme di una cultura viene spesso etichettato come “deviante”). Le norme costituiscono una sorta di ponte fra le idee di una cultura e le sue consuetudini, in quanto suggeriscono quale sia il comportamento appropriato. Le norme possono comunicare alle persone che cosa dovrebbero fare e che cosa non dovrebbero fare, ma non sono comunque fisse o rigide. Norme formali vs costumi Le norme rigidamente applicate, con potenziali pene severe per chi le viola sono chiamate norme formali e sono spesso parte dell’ordinamento giuridico; chi le trasgredisce molto spesso deve affrontare la pubblica vergogna, nonché la possibilità di una condanna al carcere. Il termine costumi descrive abitudini del gruppo o norme informali comuni a una determinata cultura. È improbabile che chi violi i costumi subisca una punizione (Sumner, 1906) - Per esempio, è abitudine fare il bagno in costume e chi va a nuotare in jeans dovrà affrontare soltanto qualche occhiata sorpresa. Comunicare la cultura: simboli e linguaggio Un simbolo è qualsiasi cosa – un suono, un gesto, un’immagine, un oggetto – ne rappresenti un’altra. L’immagine di cinque cerchi intersecati rappresenta i Giochi Olimpici; una luce rossa significa “stop”; il dito indice portato alle labbra significa “zitto”; le lettere c-a-n-e nel loro insieme rappresentano il suono “cane”, che a sua volta rappresenta una creatura pelosa a quattro zampe (oltre che un fedele compagno di molti). L’associazione fra un simbolo e ciò che rappresenta è arbitraria e culturalmente definita. Un linguaggio è un sistema elaborato di simboli che consente alle persone di comunicare fra loro in modi complessi. Il linguaggio umano, però, è unico nella sua capacità di comunicare informazioni su oggetti e situazioni non immediatamente presenti. L’ipotesi di Sapir-Whorf: Il principio della relatività linguistica, sviluppato da Edward Sapir e Benjamin Whorf, suggerisce che i diversi linguaggi influenzano il modo di pensare e comportarsi di chi li parla a causa della loro diversità di contenuto e struttura. Per esempio, i ricercatori hanno scoperto che le persone identificano le differenze di colore con maggiore facilità se il loro linguaggio è in grado di differenziare le diverse sfumature di colori simili (Kay e Kempton, 1984). In altre parole, possedere le parole necessarie a distinguere le diverse tonalità dello spettro dei rossi (come scarlatto, cremisi, rosa, magenta e porpora) ci aiuta a coglierne le differenze. Quest’ipotesi, però, è controversa. Molti studiosi ritengono che sovrastimi l’influenza del linguaggio sul pensiero (Pinker, 2007), sottolineando come, allo stesso modo degli altri aspetti della cultura, il linguaggio si adatti alle diverse circostanze, e che chi lo usa assorbe o inventa un nuovo vocabolario per definire ciò che diventa culturalmente importante. Cultura normativa vs cultura effettiva: Il comportamento, inoltre, richiama l’attenzione sulla differenza fra cultura normativa, ciò che gli appartenenti a una cultura dicono essere i propri valori, le proprie credenze e le proprie norme, e cultura effettiva, ciò che essi fanno realmente e che può rispecchiare o meno la cultura normativa. Esempio: l’uguaglianza di genere è un valore culturale sempre più professato nella società contemporanea, ma quasi sempre, quando entrambi i genitori lavorano, le faccende domestiche spettano in gran parte alle donne (Hook, 2010). Oggetto culturale Gli oggetti fisici creati da persone che condividono una cultura e a questa associati. Gli oggetti culturali sono spesso variazioni di oggetti normali che si ritrovano nella vita quotidiana. Esempio: le molte varietà di pane come tortillas, baguette, bagel sono oggetti culturali comunemente associati alle culture messicana, francese, ebraica e indiana. Gli oggetti culturali sono anche valevoli creazioni come le opere d’arte o le icone religiose. Gli stessi palazzi che ospitano i musei, così come altri edifici pubblici, le case, le strade e le autostrade che li collegano, le stazioni di rifornimento, i serbatoi dell’acqua e qualsiasi aspetto del paesaggio che sia utilizzato o modificato, sono anch’essi oggetti culturali. Anche i prodotti dei media popolari – come libri e riviste, film e programmi televisivi, canzoni e fotografie– sono oggetti culturali. Wendy Griswold, sociologa della cultura 1997 La definizione di cultura che Griswold mutua da Clifford Geertz: "una struttura di significati trasmessi storicamente, incarnati in simboli, un sistema di concezioni ereditate espresse in forme simboliche per mezzo di cui gli uomini comunicano, perpetuano o sviluppano la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita" (p. 24). In riferimento a questa definizione, "un oggetto culturale può definirsi come un significato condiviso incorporato in una forma" (p. 26). Diamante Culturale di Griswold: uno strumento euristico inteso a favorire la comprensione della relazione di qualsiasi oggetto culturale col mondo sociale. Secolarizzazione e laicizzazione Secolarizzazione: la perdita di rilevanza sociale delle credenze, delle pratiche e delle istituzioni religiose tradizionali, legata al processo di modernizzazione. La secolarizzazione si distingue dalla laicizzazione: mentre la prima è un processo socioculturale, la seconda ha natura politico-istituzionale e fa riferimento alla separazione tra Stato, diritto e sfera religiosa, senza che l’una assuma il primato rispetto alle altre. I due processi sono legati tra loro anche se, storicamente, la laicizzazione ha preceduto la secolarizzazione – ponendosi alla base della nascita e dell’affermazione dello Stato moderno tra XVI e XIX secolo – mentre se non può esistere una società secolarizzata senza laicità dello Stato, quest’ultima non comporta automaticamente la diffusione della secolarizzazione. Ideologia: Un sistema di significati che aiuta a definire e spiegare il mondo e che fornisce giudizi di valore su di esso. Una visione generale del mondo. All’interno di ogni cultura esiste un’ideologia dominante, un gruppo di affermazioni ampiamente condivise e regolarmente rafforzate che, in genere, sostengono il sistema sociale e servono gli interessi delle autorità. L’esistenza di un’ideologia dominante non implica l’assenza di visioni alternative (es. Subculture). Diversità culturale Varietà di valori, di natura sociologica, etica, religiosa ed etnica, derivanti dai diversi usi della biodiversità e riferibili alla cultura materiale delle popolazioni. Il 2 novembre 2001, nel corso della 31a sessione della Conferenza generale dell’UNESCO svoltasi a Parigi, è stata emanata la Dichiarazione universale della diversità culturale. Il testo riconosce nella diversità tra le culture un patrimonio comune dell’umanità dal valore inalienabile, accostandola in tal modo alle biodiversità presenti in natura. La Dichiarazione, che individua nella diversità e nel pluralismo culturale un fattore di sviluppo e di democrazia, sottolinea la necessità della tolleranza, della coesione e delle pari opportunità di accesso alle nuove tecnologie in quanto mezzi irrinunciabili di espressione. Cultura dominante, subcultura e sottoculture La maggior parte delle società include una cultura dominante e un certo numero di subculture. Cultura dominante: cultura che permea una società e rappresenta le idee e la prassi di coloro che sono nelle posizioni di potere. Subcultura: cultura associata a un piccolo gruppo della società avente norme, valori e stili di vita diversi che lo distaccano dalla cultura dominante. Controcultura: una subcultura che si batte per valori e stili di vita opposti a quelli della cultura dominante (es. gli hippy, i punk, la musica hip-hop) Cultura alta e cultura popolare: Le società non comprendono solo una cultura dominante e diverse subculture, ma includono anche una varietà di espressioni culturali, correlate alla posizione delle persone nella società (il rapporto fra cultura e disuguaglianza economica). La cultura alta: forme culturali associate alle élite e diffusamente riconosciute come valide e legittime. Storicamente, la cultura alta è stata dominata da persone ricche e molto istruite. La cultura popolare: si riferisce a forme culturali diffuse e comunemente accettate in una società. La cultura popolare comprende forme accessibili a una vasta parte della popolazione, come i programmi televisivi, i film di Hollywood, i concerti rock, gli eventi sportivi e i parchi divertimento. Struttura La struttura si riferisce ai modelli ricorrenti di comportamento nella vita sociale. Tali modelli esistono a qualsiasi livello, dalle nostre interazioni con gli altri all’economia globale. Le strutture spaziano da modelli estremamente informali, per esempio dove e quando ci incontriamo abitualmente con gli amici, a organizzazioni e istituzioni più formali, come le scuole e il governo. Le persone creano strutture per aiutarsi a raggiungere un obiettivo, ma a loro volta le strutture intervengono per limitare quello che le persone possono fare. La struttura sociale influenza le azioni degli individui. Gli individui sono persone che agiscono creando, riproducendo o modificando in questo modo le strutture sociali. Le regole che definiscono la struttura, però, saranno vincolanti per il comportamento dei membri del gruppo. Le strutture, analogamente a quanto avviene per la cultura, devono essere riprodotte attraverso modelli di comportamento continuativi oppure possono cambiare. Struttura e azione sociale sono in realtà due facce della stessa medaglia. Le strutture sociali influenzano le azioni degli individui. Gli individui sono persone che agiscono creando, riproducendo o modificando in questo modo le strutture sociali. La relazione dinamica tra struttura e azione: l’azione umana crea la struttura, ma poi quella struttura determina l’azione successiva; l’azione futura riaffermerà, modificherà o cambierà radicalmente le strutture sociali in essere. Potere, azione sociale, strutture: lo studio della struttura sociale, dell’azione e del potere ci aiutano a comprendere sia la stabilità sia il mutamento della società. La vita sociale prevede dei comportamenti codificati; questi modelli ricorrenti di comportamento costituiscono ciò che i sociologi chiamano struttura sociale. Gli esseri umani non sono meri prodotti della struttura. Noi pensiamo, decidiamo, agiamo; anche se la struttura sociale ci impone dei limiti, conserviamo sempre una certa capacità di azione (agency). Capacità di azione I modelli di comportamento di cui si compone la struttura sociale non sono naturali, immodificabili o inevitabili, al contrario in quanto prodotto dell’azione umana, gli esseri umani possono modificarli. Li hanno codificati i nostri predecessori e con le nostre azioni e con le nostre scelte possiamo contribuire a riprodurli o ad alterarli. La capacità di operare indipendentemente dai vincoli sociali, anche in contrasto con le aspettative sociali. Il potere è un meccanismo sociale ambivalente: da una parte la struttura ne ha bisogno per funzionare; dall’altra, l’azione collettiva delle persone può mettere in discussione queste situazioni consolidate e istituzionalizzate, dando avvio al mutamento della struttura sociale stessa e arrivando a ridefinire, in alcune situazioni particolari, i rapporti di forza presenti nel gruppo. Status La struttura sociale affonda le proprie radici nell’attività quotidiana dei membri di una società. I sociologi usano due concetti chiave “status” e “ruolo” per capire cosa lega una persona a un’altra e ai modelli che costituiscono la struttura sociale. Lo status designa una posizione che può essere occupata da un individuo all’interno di un sistema sociale. Tutti noi abbiamo diversi status, nel senso che occupiamo posizioni sociali diversificate. Lo status può essere ascritto o acquisito:  Gli status ascritti sono quelli che ci vengono assegnati fin dalla nascita indipendentemente dai nostri desideri o dalle nostre capacità;  gli status conseguiti sono quelli che otteniamo volontariamente, in larga misura per effetto dei nostri sforzi. I concetti di status acritto e conseguito, gli status e i ruoli sono coinvolti anche nel modo in cui la struttura interagisce con il potere per produrre diseguaglianza, su tutti i livelli macro, meso e microsociologico. Ruolo I ruoli rappresentano i comportamenti attesi che si associano a determinati status. Gli status e i ruoli che ricoprite sono i legami concreti che vi uniscono al resto della società. I ruoli condizionano la vostra vita chiarendo ciò che ci si aspetta da voi nei diversi contesti. I membri di un gruppo sociale condividono aspettative analoghe sul ruolo di ciascuno, cosicché l’interazione tra i singoli finisce per rafforzare tali ruoli. Noi Interiorizziamo i ruoli a vari livelli, e alcuni ruoli diventano così connaturati che faticate a capire come vincolino le vostre azioni. I ruoli entrano a far parte del nostro Sé, tanto che direte: “Io sono uno studente”, non “Ricopro il ruolo di studente”. Ogni individuo riveste status e ruoli differenti a seconda dei gruppi sociali e delle istituzioni in cui è inserito. Poiché ci mettono in relazione con istituzioni sociali come la famiglia, la scuola e il lavoro, gli status e i ruoli sono fondamentali per la comprensione delle modalità d’interazione tra le persone nei gruppi e nelle organizzazioni. Teoria sociale I funzionalisti affermano che le istituzioni rispondono a funzioni specifiche che contribuiscono a mantenere la stabilità sociale. Secondo i funzionalisti, inoltre, dal momento che le istituzioni sociali sono interdipendenti, il loro equilibrio è precario per definizione. Di conseguenza, un cambiamento che si verifichi in una istituzione indurrà un cambiamento anche nelle altre. Per esempio, poi- ché il numero degli impieghi che richiedono un’edu- cazione superiore è aumentato, le università si sono ingrandite per soddisfare questa nuova domanda; poiché i redditi sono rimasti fermi mentre il costo della vita continua ad aumentare, il numero delle famiglie in cui lavorano entrambi i coniugi è cresciuto sensibilmente; siccome la tecnologia ha reso possibile il telelavoro, sono sempre più numerose le persone che lavorano da casa anziché andare tutti i giorni in ufficio. critiche al funzionalismo A ogni modo, la semplice esistenza di una struttura o di un’istituzione sociale non ne implica necessariamente una funzione positiva. Talcott Parsons fu ampiamente criticato per la sua idea, tipica della metà del Novecento, che la separazione tradizionale tra i ruoli di genere all’interno della famiglia – la donna che si occupa della casa e l’uomo che “porta a casa il pane” – fosse funzionale (Parsons, 1949). Come hanno dimostrato i sostenitori della teoria femminista, le distinzioni rigide di genere condizionano sia gli uomini sia le donne, anche se in un’ottica prettamente sessista. Per esempio, i ruoli tradizionali di genere limitano la possibilità delle donne di fornire un contributo alla società lavorando fuori casa e riducono la capacità degli uomini di sottrarre tempo al lavoro per dedicarsi al ruolo genitoriale. La prospettiva teorizzata da Parsons non teneva conto dell’impatto negativo di questa struttura. tipi di azione sociale Weber definiva la sociologia come la scienza che studia l’azione sociale, ossia l’azione umana nel contesto sociale. Voleva capire soprattutto cosa motiva le nostre azioni e dimostrò che gli obiettivi dell’azione umana si modificano con il tempo e da una cultura all’altra. Weber identificò quattro ideal tipi di azione umana. Naturalmente, come sapeva bene Weber, nella realtà l’azione umana è complessa, e spesso è guidata da una combinazione di queste motivazioni “ideal- tipiche” che il ricercatore deve ricostruire. Tuttavia, lo tipi di alleanze; in questo modo mettono insieme le risorse per raggiungere obiettivi che non potrebbero conseguire da sole.) Il dominio: “il potere su” Il tentativo di realizzare un determinato progetto incontra un’opposizione e genera un conflitto. In una celebre definizione di Robert Dahl (1957), il potere viene visto unicamente in termini di dominazione: “A ha potere su B nella misura in cui può indurre B a fare qualcosa che altrimenti non farebbe” (p. 202). Il dominio può esistere a qualunque livello della società. I matrimoni combinati, che prevalgono ancora in alcune culture, riflettono sia la domi- nazione a livello individuale (il futuro di una ragazzina viene deciso dalla sua famiglia allargata) sia le disuguaglianze a livello della società (in queste culture le donne sono relegate nella sfera privata). In molti casi, le disuguaglianze di potere che sussistono a livello macrosociologico finiscono per influenzare la vita quotidiana delle persone. Nello stesso tempo, le scelte personali degli individui possono avere un impatto decisivo sulle dinamiche generali del potere sociale, un processo, questo, ben descritto dallo slogan femminista “Il personale è politico”. L’utilizzo più evidente del potere come mezzo di dominio è quello che si ha nei conflitti politici ed economici, in cui le élite tentano di mantenere i propri privilegi sugli altri membri della società. Strategie finalizzate a superare un’opposizione: persuasione, ricompensa, coercizione Le parti coinvolte in un conflitto, grande o piccolo che sia, hanno le stesse tre opzioni di base: persuadere, ricompensare o costringere (Kriesberg 1982, p. 115).  Persuasione: Persuadere vuol dire ottenere il consenso delle persone convincendole della correttezza della propria posizione e dei propri obiettivi.  Ricompensa Ricompensare vuol dire promuovere il consenso delle persone offrendo loro un incentivo positivo.  Coercizione Costringere vuol dire imporre il consenso attraverso la minaccia, l’intimidazione, la pressione o la violenza. (Il potere a tutti i livelli: macro, micro e meso Il potere è presente a tutti i livelli della vita sociale, inclusi i rapporti che intrattenete con i familiari e con gli amici, con i professori, con il capo, con la polizia e con il governo. Molti sociologi, tra cui Max Weber e Karl Marx, hanno concentrato la propria attenzione sull’uso del potere a livello macrosociologico. Tuttavia, il potere entra in gioco anche nelle interazioni di livello microsociologico (es: la violenza domestica). A metà strada tra le interazioni di livello macro– e micro-, si collocano le organizzazioni di livello mesosociologico.) Il potere nei piccoli gruppi e nelle organizzazioni I sociologi che studiano il potere nei piccoli gruppi e nelle organizzazioni cercano di capire come essi operano e che ruoli ricoprono i loro leader. Molte delle scoperte di tali studiosi possono essere applicate alle cerchie di amici, alle famiglie e ai club, nonché a contesti più formali, come le scuole e gli ambienti di lavoro. John French e Bertram Raven identificarono sei basi di potere nei piccoli gruppi e nelle organizzazioni (French e Raven, 1959/2001; Raven, 1965). Il potere di gratificazione è il controllo che un soggetto esercita su risorse ritenute preziose, che possono essere usate per fornire incentivi positivi. Offrendo ai bambini una paghetta settimanale, i genitori possono acquisire potere sul loro comportamento. Il potere coercitivo è la capacità di punire – per esempio, negando risorse ritenute preziose o infliggendo un maltrattamento verbale o fisico. I funzionari di polizia riescono quasi sempre a farsi obbedire, perché possono effettuare arresti e persino sparare se necessario. Il potere legittimo viene esercitato da coloro che fanno leva sul senso del dovere; gli altri “dovrebbero” obbedire, sulla base di valori culturali condivisi o del rispetto per il ruolo formale che occupano queste persone nella struttura sociale: all’interno dell’ufficio farete ciò che vi dice di fare il vostro capo, ma non nella vita privata. Il potere referente o carismatico si basa sull’identificazione, sull’affetto e sul rispetto per un’altra persona, che non vuole necessariamente influenzare il prossimo. Un collega molto stimato potrebbe avere un potere referente, perché gli altri lo ammirano e lo prendono a modello. Il potere esperto nasce dalla convinzione che una persona abbia conoscenze superiori in un determinato settore. L’avvocato ha un potere esperto in materia legale nei confronti del cliente. Una persona considerata un’autorità incarna un potere esperto indipendentemente dalle sue conoscenze effettive. Allo stesso modo, chi conosce a fondo una materia non ha potere esperto se gli altri non ne riconoscono la competenza. Il potere informativo si basa sull’uso che una persona fa di fatti, dati o altre evidenze per argomentare razionalmente o persuadere. Un project manager ha potere informativo quando convince il suo capo ad approvare un nuovo prodotto. I detentori di informazioni possono accrescere la propria influenza mettendole in comune, tenendole per sé, organizzandole efficacemente, manipolandole o falsificandole. Tipi di autorità Max Weber fece una distinzione importante tra autorità e potere. Potere: possibilità di affermare la propria volontà anche andando contro l’opposizione altrui L’autorità o potere legittimo: è accettata volontariamente da coloro che vi si assoggettano sulla base di un principio di legittimazione. Weber identificava tre tipi di autorità: tradizionale, razional-legale e carismatica. Obbedienza e disobbedienza Il potere è limitato dalle relazioni sociali su cui si basa (esempio: un generale, per esempio, ha potere solo se i sottoposti accettano di eseguirne i comandi; se ordina un attacco militare o promuove una missione di soccorso, molte altre persone devono eseguire i suoi comandi per assicurare il raggiungimento di questi obiettivi). Le persone non sono recettori passivi delle pretese di chi esercita il potere; possono reagire in tanti modi diversi, dall’adesione volontaria alla resistenza che può minare l’autorità. Il grado di obbedienza che sussiste in una situazione sociale non è sempre rilevabile alla prima occhiata. Ci vuole una comprensione sociologica del potere per capire che sotto la superficie apparentemente calma e ordinata delle società può essere presente un conflitto latente. Il privilegio e standpoint theory Il privilegio è un vantaggio o un beneficio specifico di cui non tutti godono. Il fatto che la maggior parte delle persone viva la propria vita quotidiana inconsapevole dei privilegi di cui gode è di per sé un indicatore di privilegio. Capire il privilegio può aiutarci a identificare le risorse che abbiamo a disposizione per autoemanciparci, assistere gli altri e se possibile ridurre la disuguaglianza. Per capire le dinamiche del potere e del privile- gio, conviene spesso mettersi nei panni di coloro che hanno meno potere. Dorothy Smith (1987; 1990) ha sviluppato la teoria orientata dal punto di vista specifico, che mette in discussione assunti incontestati sulla società, analizzandola da vari punti di vista, in particolare quello di chi si trova in posizioni subordinate. Il “punto di vista” è letteralmente il luogo da cui una persona vede il mondo. Il punto di vista specifico di una persona è strutturato dalla sua collocazione sociale, che include l’etnia, la classe, il genere e l’orientamento sessuale. Egemonia Antonio Gramsci (1891-1937) usa il termine “egemonia” e con questo termine affermò che la classe al potere mantiene il predominio non solo attraverso l’uso della forza, che compete alla polizia e alle forze armate, ma anche attraverso la manipolazione delle idee, messa in atto principalmente tramite il controllo di istituzioni culturali quali, oggi, i mass-media, i centri di ricerca e di analisi dei fenomeni politici ( “think tank”) e le università. I sistemi di disuguaglianza sociale vengono rinforzati anche da un’ideologia giustificatrice che a volte viene interiorizzata dagli oppressi. Le norme culturali, il sistema legale, le scuole e le altre istituzioni sociali possono contribuire a creare e a mantenere questa ideologia. Le teorie del potere politico: pluralismo, élite e classe dominante Il potere viene utilizzato in tanti modi, ma soprattutto a fini economici, politici e culturali. Tre classici approcci di carattere generale ci aiutano a comprendere la distribuzione reale del potere politico nelle società contemporanee. Teoria pluralista Secondo la teoria pluralista, il potere politico è frammentato tra numerosi gruppi in competizione tra loro. Imprenditori, sindacati, insegnanti, pensionati, ambientalisti e molte altre categorie sono rappresentati da organizzazioni che cercano d’influenzare le politiche governative informando l’opinione pubblica, esercitando pressioni sui funzionari eletti e sostenendo candidati in sintonia con le proprie idee. La teoria pluralista sostiene che la politica consiste in una negoziazione costante tra questi vari interessi e che le linee programmatiche del governo cambiano al variare del gruppo di maggiore influenza (Dahl, 1961). La teoria delle èlite Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels: il potere politico appartiene sempre e comunque a una ristretta cerchia di persone, qualunque sia la forma di regime politico esistente. Il potere consiste essenzialmente nell’esercizio del dominio da parte di una minoranza organizzata, che impone la propria volontà su una maggioranza disorganizzata. Gaetano Mosca (1896/1953): in tutte le organizzazioni sociali, dallo Stato al partito, dall’organizzazione di volontariato al gruppo d’interesse, dall’impresa al sindacato, esistono due classi di persone: quella dei governanti e quella dei governati. Power èlite C. Wright Mills - The Power élite (1956): il potere è concentrato nelle mani di coloro che guidano le principali istituzioni burocratiche della società (i ricchissimi proprietari o i dirigenti delle grandi aziende, i politici e i burocrati che guidano il governo, nonché gli ufficiali dell’esercito). Le élite possono muoversi liberamente fra questi tre settori, per esempio quando un ex generale dell’esercito diventa il dirigente di una compagnia militare privata o quando un ex direttore di banca diventa segretario del Tesoro. Il flusso di persone fra i settori contribuisce a rafforzare il potere che queste élite esercitano sull’indirizzo del governo e sui budget dei rispettivi apparati burocratici, intrecciati fra loro. Secondo la teoria della “power élite”, l’influenza dei comuni cittadini risulta minima a fronte di un potere così concentrato, tranne nel caso in cui le élite siano in disaccordo tra loro. La teoria della classe dominante Secondo la teoria della classe dominante, il potere politico è concentrato nelle mani dei ricchi, che possiedono o controllano gran parte delle risorse economiche nazionali. Basata sull’opera di Karl Marx e adattata da studiosi moderni (Domhoff, 2009), questa teoria è una forma di teoria del conflitto che considera il sistema economico come la principale fonte di potere. Coloro che controllano l’economia utilizzano il proprio potere finanziario per influenzare il governo, finanziando lobbisti, propagande elettorali Le organizzazioni nella sociologia Viviamo in una società di organizzazioni, secondo Presthus (1962), perché la diffusione delle organizzazioni è massiccia. Nella sociologia e nelle scienze sociali: 1 paradigma della struttura: partono dalla società, struttura sociale che condiziona gli individui 2 paradigma dell’azione: i fenomeni macroscopici devono essere ricondotti alle loro cause microscopiche cioè nelle azioni individuali. Per spiegare le azioni individuali bisogna tener conto dei motivi degli attori, al centro è l’attore. (individualismo metodologico). Lo studio delle organizzazioni: l’azione può tener conto dei vincoli e opportunità derivanti da struttura sociale. L’organizzazione come attore collettivo dotato di un sistema decisionale collettivo. L’organizzazione costituisce uno snodo tra micro (attore individuale) e macro (sistema sociale), è indispensabile per spiegare aspetti decisivi della struttura sociale e del comportamento degli attori individuali. Le organizzazioni sono manifestazione del controllo delle organizzazioni e della struttura di potere di una società. Definizione di organizzazione: gruppo di persone che cooperano in vista di certi fini (Pichieri 2011) Ci sono due poli nell’organizzazione: -organizzazione formale -azione organizzata: quando gli attori individuali si organizzano in vista di fini comuni senza per questo costituire un’organizzazione formale. In questa prospettiva la sociologia dell’organizzazione si occupa di interazioni strutturate (non casuali, riconducibili a modelli) tra attori interdipendenti, che modificano la loro azione nel corso e a causa dell’interazione, cioè dei comportamenti altrui. I fini e la struttura organizzativa Nell’organizzazione l’intero è più della somma delle parti, è importante la struttura organizzativa. Nasce quindi la questione della divisione del lavoro: più aumenta la divisione del lavoro più aumenta la produttività; dall’altra parte quando la produttività aumenta troppo ci sono effetti negativi sul benessere delle persone e sulla qualificazione. Più aumenta la divisione del lavoro più c’è differenziazione. Coordinamento e integrazione: più aumenta la divisione più c’è bisogno di coordinamento e integrazione, che diventano sempre più complessi Gerarchie e norme: l’idea di ordine, cioè ruoli dotati di autorità (direttore) o ordini emanati da norme/leggi Fini dell’organizzazione: -manifesti o latenti/nascosti -interiorizzazione dei fini dell’organizzazione da parte dei membri -diversi rispetto ai fini degli individui -conciliazione degli scopi individuali con quelli collettivi, equilibrio tra incentivi e contributi: efficacia e efficienza -gerarchia di fini: fini ultimi e fini intermedi attribuiti a unità organizzative Tipologie di organizzazioni 3 classi, secondo disposizione all’obbedienza e mezzi di controllo: 1) Coercitive: si obbedisce perché costretti, mezzi di controllo sono fisici e il comportamento individuale è alienato 2) Utilitaristiche: si obbedisce per ragione di convenienza economica, i mezzi di controllo sono materiali e l’atteggiamento è alienato, ma il coinvolgimento è variabile in relazione ai compensi 3) Normative: si obbedisce perché si condividono i valori dell’organizzazione, i mezzi di controllo sono simbolici e l’atteggiamento è improntato a convinzione e lealtà verso l’organizzazione (es chiesa). Nelle organizzazioni: -necessità di controllo è collegata alla funzione della selettività dell’ingresso, dove c’è stata selezione c’è minore controllo. Le organizzazioni selettive sono utilitaristiche. Le coercitive sono tendenzialmente non selettive. -socializzazione organizzativa si trova nelle organizzazioni normative, come in alternativa o complemento alla selezione iniziale -ambito organizzativo (a): numero di attività che i membri svolgono insieme -pervasività delle norme (p): numero di attività che l’organizzazione vuole controllare Incrociando questi punti (a) e (p) si ottiene un grafico. Non sempre il modello organizzativo è puro Max Weber: potere e apparato amministrativo Metodo di analisi: -comprendente, cioè agire dotato di senso: atteggiamento umano a cui l’individuo che agisce attribuisce a un suo senso soggettivo in riferimento all’atteggiamento di altri individui -istituzionale Costruzione di tipi ideali Potere: possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini; natura relazionale e specifica due proprietà fondamentali: richiede di essere legittimato e ha bisogno di un apparato amministrativo Burocrazia secondo Weber: apparato amministrativo tipico del potere legale, di superiorità tecnica: -razionalità rispetto allo scopo: grazie alla sua intrinseca razionalità è in quanto strumento tecnico superiore a qualsiasi altro tipo di amministrazione -confronto storico tra burocrazia e apparati amministrativi precedenti in termini di modello ideale Spesso la burocrazia non è efficace né efficiente, caratteristiche del tipo ideale burocrazia: -fedeltà di ufficio -competenza disciplinata -gerarchia degli uffici -preparazione specializzata -concorsi pubblici -sviluppo di una carriera -attività a tempo pieno -segreto di ufficio -stipendio monetario fisso -non possesso degli strumenti del proprio lavoro Perché spesso la burocrazia è inefficiente? Due sociologi rispondo alla domanda: Merton e Crozier a) il formalismo burocratico di Merton Nella burocrazia c’è una pressione costante sul funzionario per cui: -regolamenti diventano fini, conformità al regolamento, pignoleria e formalismo ostacolano la capacità di adattamento -incapacità addestrata: il funzionare viene addestrato nella presunzione che la realtà da affrontare rimanga la stessa, mancanza di duttilità (soprattutto nella burocrazia pubblica) -concezione statica della cultura e delle competenze Ma oggi, vi sono corsi di aggiornamento, formazione permanente, gestione delle risorse umane. b) I giochi di potere di Crozier -i soggetti sono capaci di sviluppare delle strategie all’interno dell’organizzazione -i soggetti hanno delle loro razionalità private che possono portare a condotte non previste dell’organizzazione e ciò può portare a circoli viziosi. -il potere è la capacità di controllare i margini di incertezza presenti nei propri rapporti con altri soggetti, questo ha 3 conseguenze: 1) il potere è cosa diversa dall’autorità formale 2) lotte di potere dove la posta in gioco sono i margini di incertezza nel comportamento di determinati soggetti 3) il risultato sistemico complessivo di queste strategie possono essere i circoli viziosi Parla di circoli viziosi perché: -“il fenomeno burocratico” 1963: studio empirico, analizza di 2 amministrazioni statali -burocrazia lenta, pesante, poco efficiente e incapace di innovazione -microcosmo bloccato con poche occasioni di comunicazione e senza conflitti espliciti -stile di comando impersonale e autoritario. Accentramento delle responsabilità al vertice, ma ruolo di basso profilo di direzione, la cui autorità è paralizzata -frustrazione tra dirigenti intermedi, logiche di difesa collettiva di operai -mutamento non possibile per la struttura acefala e cultura aziendale. Le pressioni per cambiare porta a rigidità e a un circolo vizioso. Organizzazione priva di meccanismo correttivo interno. -ruolo di rotture istituzionali e intervento del potere centrale per riformare la pubblica amministrazione. Configurazioni organizzative (Mintzberg) Modo di coordinamento cambia a seconda delle dimensioni dell’organizzazione, tipo tecnologia, prevedibilità dell’ambiente. Individua 5 forme organizzative a seconda dell’ambiente in cui agiscono, delle dimensioni dell’organizzazione, della tecnologia e prevedibilità dell’ambiente: 1) struttura semplice: controllo esercitato dal vertice che accentra tutte le funzioni di direzione 2) burocrazia meccanica: standardizzazione dei compiti e gerarchia, controllo su modalità di prestazione, efficiente se l’ambiente è stabile 3) burocrazia professionale: ampia discrezionalità dei dipendenti, controllo è esercitato sulla formazione iniziale 4) struttura divisionale: obiettivi generali a settori con funzioni diverse e indipendenti, c’è una adattabilità all’ambiente e alla tecnologia 5) adhocrazia (cioè ad hoc): gruppi di lavoro con compiti specifici, senza gerarchia Non esiste one best way, una configurazione organizzativa perfetta per tutte le circostanze, ma organizzazioni con più forme diverse a seconda delle dimensioni, dell’ambiente e della tecnologia. All’interno di un’organizzazione parti diverse tendono a organizzarsi in modo diverso. 07/05 I movimenti sociali capitolo 12 I movimenti sociali e la trasformazione post-democratica I movimenti sociali sono un fenomeno per studiare il cambiamento sociale, hanno avuto origine con la modernità nel 1700 hanno sfidato lo status quo e sono collegati alla democratizzazione degli stati nazionali. Si parla di: -movimenti reazionari: resistono in un certo tipo di cambiamento -movimenti progressisti: cercano di portare cambiamenti all’interno della politica istituzionale e al di fuori -movimenti operai: che ha dato origine al movimento comunista e socialista, poi anche i movimenti per i diritti civili degli stati uniti, le suffragette, movimento femminista… E anche altri… alcuni esempi sono: andando a scalfire le multinazionali che gestiscono i semi, perché si dipende dall’acquisto di semi dalle multinazionali. In questa protesta c’è l’elemento della politica prefigurativa piazza come microcosmo di alternative prolettico e simbolico Filone di letteratura Primo filone: teoria della mobilitazione delle risorse e teoria del processo politico Come un certo contesto o un insieme di interessi influenzano la mobilitazione: 1) Com’è possibile un’azione collettiva? - Teoria della mobilitazione delle risorse Teoria della scelta razionale: partecipazione come risultato della ponderazione individuale costi-benefici delle implicazioni derivanti dalla partecipazione (la tesi di Olson del paradosso del free rider) Focus su come gli attori del movimento vengano mobilitati efficacemente: ruolo delle organizzazioni dei movimenti sociali professionali e formalmente organizzate, disponibilità e accesso alle risorse 2) Cosa determina la forma e l’intensità dell’azione collettiva? Come l’espansione delle opportunità politiche influenza la probabilità di un movimento di raggiungere la mobilitazione, la forma che assume e le relazioni tra politica isituzionalizzata e movimenti sociali Teoria del processo politico o delle opportunità politiche - più attenzione all’ambiente politico e istituzionale -processo politico: relazione tra attori politici istituzionali e protesta -struttura delle opportunità politiche: proprietà del contesto rilevanti per lo sviluppo dei movimenti sociali - grado di apertura o del sistema politico locale, stabilità elettorale, disponibilità di alleati influenti, tolleranza per la protesta tra élite, grado di instabilità/stabilità degli allineamenti politici, disponibilità e postura strategica dei potenziali alleati, conflitti politici tra e all’interno delle élite, condizioni istituzionali che regolano i processi decisionali e di definizione dell’agenda- Problema della teoria delle risorse e della teoria dei processi politici: -semplificazione eccessiva del ruolo delle motivazioni/rivendicazioni -sminuire il ruolo dei valori e degli elementi culturali -teorie del processo politico (TPP): eccessiva dipendenza dalla prospettiva strutturalista -TPP: l’espansione delle opportunità politiche rischia di compromettere il suo significato analitico -TPP: il solo target dello Stato è riduttivo Queste critiche hanno portato alla svolta culturale degli anni 80 2 filone della letteratura: teoria dei nuovi movimenti sociali Perché i movimenti sociali emergono? Il cambiamento sociale sta creando le condizioni per l’emergere di nuovi movimenti? – Teoria dei nuovi movimenti sociali -connessione tra cambiamento strutturale e trasformazioni economiche sociali e modelli di conflitti e movimenti sociali -formazione sociale storicamente specifica: società post-industriale, tarda modernità, società dell’informazione o capitalismo avanzato; fattore strutturale determinante per l’emergere di nuovi movimenti -caratteristiche dei nuovi movimenti: politicizzazione della vita quotidiana, rifiuto della razionalità strumentale, forme di organizzazione decentralizzate, importanza dell’azione simbolica e della sfera culturale, valori post-materialistici. Logica di resistenza alla mercificazione e alla burocrazia e alla vita sociale omogenea. Problemi delle teorie dei nuovi movimenti sociali: -assenza di un’analisi dei meccanismi che portano dalle determinanti strutturali alla mobilitazione -livelli intermedi che collegano le rimostranze individuali al cambiamento macrostrutturale- -la teoria del post-materialismo di Inglehart -travisamento storico? -movimento no global, poi movimento delle piazze: questioni redistributive -relazioni tra cambiamento strutturale e movimenti: anche la teoria neo-marxista del sistema mondo (Wallerstein) e studi di ecologia politica (metabolismo sociale e ai conflitti ambientali) 3 filone di ricerca: framing e identità collettiva Come fanno i movimenti a identificare i problemi sociali come potenziali oggetti di azione collettiva? Come sviluppano un’identità collettiva? Teorie del comportamento collettivo (Smelser), prospettiva del framing, identità collettiva, valori e movimenti come agenti di cambiamento culturale, emozioni -analisi del framing: processi collettivi e interattivi di attribuzione di senso e significato a eventi e comportamenti, che facilitano la mobilitazione. 3 insiemi fondamentali di framing: a)diagnostico b)motivazionale c)prognostico Mater frames -l’identità collettiva si sviluppa interattivamente attraverso connessioni all’interno di un gruppo che riguardano 3 livelli intrecciati: un quadro cognitivo e morale, relazioni interpersonali e connessioni emotive Problemi della prospettiva del framing: -carattere statico e descrittivo e tendenza alla reificazione -i frames sono stati a volte trattate come un altro tipo di risorsa, soggetto all’uso strategico da parte dei leader della SM, mettendo da parte il ruolo degli elementi non cognitivi come le emozioni, l’economia libidica dei movimenti, gli shock morali Ultimi anni: nuovi approcci teorici oltre teorie mainstream Movimenti ambientalisti -fattore d’ispirazione per i dibattiti di ecologia politica -movimenti socio-ambientalisti: l’espressione di preoccupazioni ecologiche va di pari passo con rivendicazioni politiche più ampie -movimenti urbani -3 dimensioni di analisi: tipologie di ambientalismi, forme organizzative, repertori di azioni Tipologie di ambientalismi -tre ondate di ambientalismo: la 1 tra 800 e 900 epoca industriale con approccio conservazionista, la 2 anni 60/70 per l’uso dei pesticidi, mette al centro lo sviluppo, 3 anni 90 in cui c’è una trans nazionalizzazione del movimento e una logica di collaborazione -ruolo centrale della critica democratica e influenza di New left, discrimine per distinguere tre diverse tipologie -distinzione tra ambientalismo e ecologismo: ambientalismo impone limiti alla stabilità economica e non mette in questione il sistema; ecologismo questiona il modello di produzione e consumo e mira a ridurre il ruolo del mercato a scopi culturale e società e per lo sviluppo dell’individuo. Ambientalismo e ecologismo -la triplice trilogia di Diani: conservazionisti, gruppi di ecologia politica, nuovi ambientalisti -il culto della natura selvaggia, il vangelo dell’eco-efficienza e ecologismo dei poveri (varietà di ambientalismi) -critica della tesi post-materialista -movimenti per la giustizia ambientale e ambientalismo del lavoro e ecologia operaia  movimento per la giustizia ambientale -Nel 1982 a Warren County (North Carolina) quando 414 manifestanti furono arrestati per protestare contro l'installazione di un impianto di rifiuti tossici in un quartiere nero e a basso reddito. -La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha richiesto un'analisi della correlazione tra l'ubicazione delle discariche di rifiuti pericolosi e la demografia razziale e socioeconomica delle comunità circostanti -Espansione del concetto «giustizia ambientale» forme organizzative e istituzionalizzate Istituzionalizzazione dalla seconda ondata: interna e esterna -Dibattito sulla relazione tra formalizzazione-professionalizzazione- istituzionalizzazione e potenziale trasformativo-democratico -Rafforzamento di istituzionalizzazione nella terza ondata: OMA come «imprese di protesta» (Jordan & Maloney 1997) , mediatori corrotti tra lo stato e il mercato, attivi nelle pratiche di responsabilizzazione (depoliticizzazione) -Non semplicemente dicotomia? modelli organizzativi professionali vs. modelli organizzativi partecipativi, e forme di pressione conflittuali vs. quelle convenzionali repertori di azione e nuove ondate -Protesta vs servizi e volontariato (Della Porta & Diani 2004) -Nuovi cicli di protesta come fonte di rivitalizzazione -Influenza del movimento no global -Movimento per la giustizia climatica e nuovo ciclo ambientalista -Movimenti territoriali: NIMBY vs NIAB/NOPE -Politica prefigurativa e creazione di alternative interstiziali: 08/05 seminario di prof. Rupi: Effetti sociali dei media Generazione nativa digitale, critica e conseguenze tra cui perdita socialità I mezzi di comunicazione non sono esclusivi tra loro guardo la tv e i social, uno non esclude l’altro Teorie sugli effetti negli ultimi 100 anni che i media hanno sull’opinione pubblica: Nascita della comunicazione di massa: anni 30 del 1900 nasce la riflessione in Europa nell’epoca di grandi totalitarismi. I media diventano oggetto di interesse per il contesto storico, i totalitarismi e i regimi utilizzano i media in modo sistematico per la propaganda. I mezzi di comunicazione di massa esaltano le attività fatte dal potere in carica e tacitare le opposizioni politiche. I media/mezzi di comunicazione sono controllati dal potere politico. Ogni totalitarismo ha un ministero dedicato alla propaganda. Quali sono i media? Quotidiani, radio e cinematografia utilizzato per promuovere i regimi. Il controllo dell’informazione era considerata un’arma potente per controllare l’opinione pubblica. Il termine opinione pubblica nasce nel 1922 che riflette sui media che influenzano appunto il pubblico. Teoria del Bullet Theory Fase 1: in italiano teoria ipodermica, i media di massa sono descritti come potenti strumenti per persuadere l’opinione pubblica e influenzare i pensieri dei cittadini, il pubblico è rappresentato come passivo. Un approccio teorico-critico non supportato da ricerche empiriche che descrive la comunicazione come un economico, elementi questi che contribuiscono ad attirare i migranti nei Paesi più ricchi. Anche specifiche politiche volte a incoraggiare l’immigrazione fanno parte dei fattori di attrazione. La combinazione di tali fattori “push and pull” ha prodotto, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, i seguenti modelli di regolamentazione dell’immigrazione:  Modello storico. Adottato in passato da Paesi come Stati Uniti, Canada e Australia – dove la presenza di immigrati era fortemente incoraggiata a causa della scarsità di manodopera locale – consiste in un modello che garantisce il diritto di cittadinanza a tutti i nuovi arrivati. Tali Paesi hanno dato vita, nel corso del tempo, a vere e proprie nazioni di immigrati.  Modello selettivo. Adottato dagli ex imperi coloniali, come Francia e Gran Bretagna, tale modello favoriva l’immigrazione di individui provenienti dale proprie ex colonie piuttosto che da altri Paesi, al fine di mantenere un controllo indiretto su di essi.  Modello dei lavoratori ospiti. Si tratta della politica seguita in passato da Paesi come Svizzera, Belgio e Germania, i quali incoraggiavano l’accesso temporaneo di manodopera straniera al solo fine di soddisfare le esigenze contingenti del mercato del lavoro, senza che ciò comportasse il riconoscimento dei diritti di cittadinanza.  Modello della chiusura crescente. Si tratta della politica seguita oggi da gran parte dei Paesi occidentali i quali, di fronte ai massicci esodi di popoazioni provenienti dai Paesi più poveri, applicano misure sempre più re- strittive nei confronti dei flussi migratori in entrata, generando fenomeni di diffusa clandestinità. Definizioni: migrante economico È una persona che si è mossa dal suo paese di origine per migliorare le sue condizioni di vita, cercando un lavoro. Il termine viene spesso usato per distinguere chi si muove dal proprio paese per migliorare le condizioni economiche con chi si sposta a causa di guerre, conflitti o persecuzioni. In realtà la differenza tra queste due categorie di persone non è sempre distinguibile, perché molti paesi hanno condizioni di vita meno favorevoli a causa di guerre passate ma recenti, o al contrario in altre nazioni ci sono conflitti interni (etnici, tribali, religiosi, etc.) non pienamente riconosciuti a livello internazionale. migrante irregolare Si tratta di una persona entrata nel paese senza un regolare controllo alla frontiera, oppure che è arrivata regolarmente ma a cui è scaduto il visto o il permesso di soggiorno richiedente asilo Si definisce così una persona che ha richiesto di essere riconosciuta come rifugiato (o altra forma di protezione) e che è in attesa del responso. I richiedenti asilo solitamente entrano nel territorio in modo irregolare, ma dal momento in cui presentano la richiesta sono regolarmente soggiornanti, e quindi non possono essere definiti clandestini. Hanno cioè il pieno diritto di permanenza sul territorio italiano. profugo un profugo è una persona scappata per ragioni di sopravvivenza, solitamente a causa di guerre o conflitti, ma che non rientra necessariamente nella categoria di rifugiato. Il profugo può essere anche uno “sfollato interno”, ovvero una persona che si è mossa dalla propria abitazione verso un altro luogo, ma all’interno dello stesso paese. rifugiato (Unhcr) in termini generici il rifugiato è una persona che è scappata dal proprio paese per cercare protezione in un altro. L’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite (Unhcr) riconosce come rifugiati coloro che rientrano nei criteri stabiliti dal loro statuto. Questi sono dunque titolari della protezione che l’agenzia Onu può offrirgli. Altra cosa è il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di un paese membro della convenzione di Ginevra del 1951. migrazione forzata si tratta di una migrazione che deriva da una minaccia alla propria sopravvivenza, indipendentemente che sia causata dall’uomo o da fenomeni naturali. A differenza del rifugiato, il “migrante forzato” oggi non è riconosciuto a livello internazionale, tuttavia il tema è sempre più all’ordine del giorno, soprattutto a causa del cambiamento sfollato interno Lo sfollato interno è una persona costretta o obbligata a lasciare il luogo di residenza abituale, in particolare a causa o al fine di evitare gli effetti di conflitti armati, situazioni di violenza generalizzata, violazioni dei diritti umani, disastri naturali o provocati dall’uomo, e che si è mossa all’interno dello stesso paese di provenienza. Ossia che “non abbia attraversato un confine di stato internazionalmente riconosciuto”, come si afferma nei “Principi guida sugli sfollati interni” scritti dall’Onu nel 1998. Secondo l’Idmc, alla fine del 2019 erano 50,8 milioni le persone a vivere in stato di sfollamento interno a causa di conflitti, violenze e disastri. migrante climatico il migrante climatico è una persona costretta a lasciare la propria abitazione e il territorio dove vive, per causa diretta o indiretta di disastri naturali o degrado ambientale. Spesso il migrante climatico è uno “sfollato interno”, ossia si muove dal proprio territorio in un altro luogo, ma all’interno del paese di provenienza. Secondo l’Internal displacement monitoring center (Idmc), solo nel 2020 sono stati 30,7 milioni i nuovi migranti climatici nel mondo. L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) stima che ci potranno essere 200 milioni di migranti climatici nel mondo, entro il 2050. Le diaspore Fenomeno per cui una popolazione abbandona il proprio Paese d’origine disperdendosi in diversi Paesi stranieri, ma i diversi gruppi mantengono la propria identità culturale e, spesso, i legami con gli altri gruppi della diaspora (o, allorquando continui a esistere, con la madrepatria). Robin Cohen (2008), nel suo noto lavoro Global Diasporas, individua quattro diverse categorie di diaspora, a seconda delle cause che la determinano: 1) Diaspora di vittime. Diaspora generata da eventi particolarmente negativi e drammatici, com’è avvenuto, per esempio, per gli ebrei nel corso della storia. 2) Diaspora imperiale. La dispersione è legata allo sviluppo di un impero e al conseguente trasferimento di parte della sua popolazione nelle nuove colonie. 3) Diaspora di lavoratori. Il trasferimento avviene a causa della ricerca di nuove possibilità di lavoro, in più Paesi. 4) Diaspora di commercianti. La dispersione della popolazione è correlata alla creazione di reti commerciali internazionali. Il fenomeno migratorio in Italia L’Italia ha conosciuto due grandi esperienze migratorie. La prima, avvenuta negli anni a cavallo fra Ottocento e Novecento, è conosciuta come la Grande Emigrazione: migliaia di persone emigrarono verso gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina lasciandosi alle spalle un Paese caratterizzato da una diffusa e crescente povertà. Sebbene si trattò di un fenomeno che coinvolse gran parte delle regioni italiane, la maggior parte degli emigranti proveniva per lo più dal Mezzogiorno, le cui campagne, attraversate da crisi ripetute e profonde, erano divenute sempre più povere. In poco tempo tali regioni si trasformarono in veri e propri “serbatoi di emigranti”: uomini e donne, per lo più contadini e braccianti analfabeti, che scelsero di attraversare l’oceano alla ricerca di un futuro migliore. La seconda esperienza migratoria è quella che si è sviluppata a partire dagli anni Cinquanta per concludersi negli anni Sessanta e Settanta; in queste decadi il flusso migratorio si concentrò verso alcuni Paesi europei, come la Svizzera, la Germania e il Belgio, sempre più bisognosi di manodopera che incoraggiavano i Paesi del Mediterraneo (e in particolare la Turchia, l’Africa del Nord, la Grecia, la Spagna e l’Italia) a fornire lavoratori a buon mercato. Le condizioni dei migranti nei Paesi di accoglienza erano assai difficili, sia per le condizioni di lavoro estremamente dure, sia per la situazione di emarginazione a cui erano continuamente sottoposti. Per esempio, l’esperienza della migrazione italiana in Belgio viene spesso associata alla tragedia di Marcinelle, una miniera di carbone dove nel 1956 un’esplosione di gas causò la morte di centinaia di emigranti italiani (Pugliese, 2006); secondo alcuni studiosi, quella tragedia segnò definitivamente la fine dell’emigrazione italiana in Belgio. Accanto alle due grandi esperienze migratorie, l’Italia è stata interessata anche da un significativo movimento interno “anch’esso orientato prevalentemente – ma non esclusivamente – dal Sud al Nord, dalle zone povere a quelle ricche, dall’agricoltura all’industria” (Pugliese, 2006, p. 12). Tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta, in pieno boom economico, un numero sempre più consistente di persone si trasferì nelle grandi città del Nord Italia, in particolare Milano, Torino e Genova – il cosiddetto “triangolo industriale”. “Sono queste le zone, e in particolare le aree metropolitane di Milano e di Torino, che hanno assorbito la più grande quantità di immigrati per il lavoro industriale”. Con l’esaurimento del boom economico, il crollo del muro di Berlino nel 1989 e le trasformazioni avvenute nell’Europa dell’Est, il continente europeo assistette a un’ondata di “nuove migrazioni” (Giddens, 2006, pp. 157-158) che ha modificato notevolmente la direzione dei flussi migratori: i Paesi dell’area mediterranea, tra cui l’Italia, che precedentemente erano stati Paesi di emigrazione, assunsero i caratteri di veri e propri Paesi d’immigrazione. Tale trasformazione ha contribuito a modificare profondamente il tessuto della società italiana e la sua composizione demografica. La distribuzione sul territorio italiano non è uniforme, per quanto riguarda i paesi di provenienze i romeni sono la maggioranza, albanesi, poi marocchini, cinesi, ucraini, filippini e indiani. Ruolo della cultura: inventare l’etnia e la razza Molte società classificano le persone in termini di “razza” e di “etnia”. Razza ed etnia nelle diverse culture. Essendo dei costrutti sociali, la razza e l’etnia variano da una cultura all’altra. Paesi diversi usano sistemi di classificazione differenti nei propri censimenti. Se vi trasferiste in un altro Paese, la vostra razza o la vostra etnia potrebbe modificarsi.  L’etnia designa una comunità caratterizzata da una tradizione culturale condivisa , che deriva spesso da un’origine e da una patria comuni. Tale tradizione culturale può includere, tra l’altro, una lingua, costumi, Stereotipi e discriminazione Gli stereotipi possono essere negativi o positivi: esempi di stereotipi positivi sono il “genietto” asiatico della matematica e il “campione sportivo” afro-americano. Il pregiudizio si limita a credenze e atteggiamenti che le persone coltivano ma a cui non danno seguito sempre e necessariamente. Quando il pregiudizio è accompagnato dall’azione, si ha una discriminazione, un trattamento ineguale che conferisce a un gruppo di persone dei vantaggi su un altro gruppo senza una causa giustificabile. Discriminazione. Trattamento ineguale che conferisce dei vantaggi a un gruppo di persone senza una causa giustificabile. Pluralismo In una società che adotta il pluralismo, gruppi etnici e razziali distinti coesistono in piena parità di condizioni e hanno la medesima dignità sociale. I membri di questi gruppi riconoscono e mantengono le proprie differenze, ma queste ultime non hanno alcun impatto significativo sulla condizione politica, economica o sociale di nessuno. La Svizzera è una società pluralistica di successo: la Confederazione svizzera – nome ufficiale del Paese – unisce quattro culture, ognuna avente le proprie peculiarità e la propria lingua ufficiale, ovvero tedesco, francese, italiano e romancio (una lingua neolatina). Ibridazione L’ibridazione è il processo con cui un gruppo maggioritario e un gruppo minoritario si fondono o si combinano per formare un nuovo gruppo. Avviene tipicamente attraverso i matrimoni misti, nel corso di varie generazioni. Per esempio, oggi la società messicana è sostanzialmente un amalgama di culture indigene e spagnole, che si sono mescolate dando origine a una nuova identità distintiva. Assimilazione L’assimilazione è il processo tramite il quale i membri di un gruppo minoritario arrivano ad adottare la cultura del gruppo maggioritario. Negli Stati Uniti, molti gruppi etnici bianchi europei hanno vissuto un’esperienza di assimilazione: hanno praticamente abbandonato la propria specifica cultura e sono stati assorbiti nella cultura dominante della nazione. L’esperienza di assimilazione è spesso parzialmente volontaria – perché i membri del gruppo minoritario emulano la cultura dominante -e parzialmente coercitiva- perché i membri del gruppo maggioritario impongono agli altri di conformarsi alle proprie aspettative culturali. Segregazione La segregazione consiste nel mantenere fisica- mente e socialmente separati i diversi gruppi sociali, attribuendo loro gradi differenti di potere e prestigio. Zygmunt Bauman (2002) ha parlato a questo propo- sito di una vera e propria strategia “antropoemica”, fondata sulla necessità di “rigettare gli stranieri, scacciandoli oltre le frontiere del mondo ordinato oppure escludendoli da ogni contatto con i suoi legittimi abitanti” (p. 22). Per esempio, negli Stati Uniti, la segregazione è prevalentemente associata all’oppressione degli afro-americani, specie negli Stati del sud dopo la guerra civile e prima del movimento per i diritti civili. Genocidio Il genocidio è l’eliminazione sistematica di un gruppo di persone, in base alla loro razza, etnia, nazionalità o religione. Il genocidio comporta quasi sempre il tentativo, da parte di un gruppo maggioritario, di sterminare un gruppo minoritario. Lo sterminio deliberato degli ebrei e di alcuni gruppi etnici da parte del regime nazista in Germania e in altri Paesi europei durante la Seconda Guerra Mondiale è l’esempio più tristemente noto di genocidio, ma non è il primo. L’importanza del potere La discriminazione razziale, per esempio, implica azioni che aiutano a mantenere il predominio di una razza sulle altre (Wilson, 1973). Di conseguenza, l’azione discriminatoria è generalmente limitata a coloro che hanno il potere di agire in modo da ostacolare gli altri. Chi ha relativamente poco potere potrebbe sì avere dei pregiudizi, ma non avrà quasi mai le risorse o le capacità necessarie per trasformarli in azioni discriminatorie efficaci. In questo senso, la discriminazione è “pregiudizio più potere”. Discriminazione istituzionale: barriere strutturali all’uguaglianza Gli individui possono mettere in atto pratiche discriminatorie – per esempio, un piccolo imprenditore potrebbe rifiutarsi di assumere membri di un altro gruppo etnico o razziale – ma l’inuguaglianza etnica e razziale si produce e si rinforza con la discriminazione istituzionale, non con l’azione individuale. La discriminazione istituzionale deriva dall’organizzazione strutturale, dalle politiche e dalle procedure di istituzioni come il governo, le imprese e le scuole, ed è estremamente efficace poiché coinvolge ampie fasce della popolazione. È molto difficile da eliminare, perché non è associata a un individuo in particolare, ma è una caratteristica generalizzata della burocrazia istituzionale. In alcuni casi, la discriminazione istituzionale è intenzionale, ma non di rado politiche e pratiche di per sé non discriminatorie possono avere un impatto discriminatorio. Split Labor Market theory Teoria secondo la quale i conflitti etnici e razziali emergono spesso quando due gruppi etnici o razziali competono per gli stessi posti di lavoro. 14/05 Genere e sessualità Il genere in sociologia: I primi sociologi davano uno scarso peso ai temi del genere e della sessualità seguendo le logiche sessiste delle società in cui vivevano (Kandal, 1988). Nel corso del XIX sec. e all’inizio del XX, i “padri fondatori” della sociologia basarono spesso le proprie generalizzazioni sulle esperienze di uomini eterosessuali. All’epoca le donne che elaboravano testo sociologici venivano quasi totalmente escluse dai ruoli accademici formali. Di conseguenza il genere aveva un ruolo marginale nella prima sociologia. La stratificazione di genere come elemento funzionale L’approccio funzionalista di Parsons al genere motiva razionalmente la disuguaglianza tra i sessi. Parsons evidenziò la tensione esistente tra i diversi ruoli che la donna americana della classe media ricopriva, in particolare quella di madre e di lavoratrice dipendente. Parsons accettava acriticamente l’idea che la specializzazione dei ruoli tra i sessi avesse una funzione preziosa per la società. Parsons sembrava presumere che donne e uomini accettassero di buon grado tale situazione, condividendo i valori che vi si associano. Secondo Parsons, la netta seperazione dei ruoli tra i sessi riduce la competizione tra marito e moglie per il primato all’interno della famiglia. - “Se entrambi fossero in competizione per lo status lavorativo, si creerebbe una minaccia molto seria per la solidarietà dell’unità familiar (Parsons, 1940/1954, p. 79). Egli inoltre affermava che tale preziosa funzione della seperazione dei ruoli tra i sessi contribuiva a spiegare perchè “il movimento femminista ha incontrato tante difficoltà nel tentativo di eliminarla” (p. 80). Teorie femministe e di genere Le tre teorie (funzionalista, del conflitto e dell’interazionaismo simbolico) non riescono a spiegare le prospettive più recenti che riguardano i fenomeni di disuguaglianze sociali basate sulle differenze sessuali e sui processi di costruzione del maschile e del femminile all’interno della società, oscillando tra la tradizione della teoria del conflitto e quella dell’interazionismo simbolico Non esiste un’unica teoria di genere Il femminismo Il femminismo è una gamma di movimenti sociali - politici e un approccio interdisciplinare che promuove l’uguaglianza sociale, politica ed economica tra uomini e donne. L’attivismo per l’uguaglianza delle donne è una forza costante del mondo moderno, ma è possibile identificare dei periodi in cui è stato particolarmente intenso, le cosiddette “ondate”: 1- Il femminismo della prima ondata 2- Il femminismo della seconda ondata 3- Il femminismo della terza ondata 1 il femminismo della prima ondata: il femminismo dell’eguaglianza Con il termine femminismo della prima ondata si indica il periodo di attivismo e di filosofie femministe che va dalla prima metà del XIX all'inizio del XX secolo in tutto il mondo, ma soprattutto nei paesi occidentali. Esso si concentrò specificamente sulle questioni legali, in primo luogo sul conseguimento del suffragio femminile. Le femministe del XIX e dell'inizio del XX secolo non sono mai state presentate come parte di un'"onda"; questo concetto concerne le femministe statunitensi degli anni sessanta e settanta le quali rivendicarono per sé l'appellativo di seconda ondata femminista: esse fanno quindi entrare le loro lotte all'interno di una lunga storia con periodi distinti. Il femminismo della prima ondata ha rivendicato uguale trattamento per uomini e donne (ne fanno parte il “femminismo liberale” e quello socialista); Il Convegno di Seneca Falls risale a quest’epoca della prima ondata. La Dichiarazione di Seneca Falls è il primo documento di carattere pubblico approvato in una convenzione sulle donne e considerato l’atto fondamentale del movimento di rivendicazione dei diritti delle donne in condizioni di uguaglianza. Seneca Falls stabiliva con una prefazione che: “La storia dell’umanità è una storia di ripetuti affronti e usurpazioni da parte dell’uomo verso la donna, avviati direttamente verso la stabilità di una tirannia assoluta su di lei.” Negli Stati Uniti d'America la Convenzione di Seneca Falls del 1848 viene spesso scelta come punto di partenza del femminismo. Simone de Beauvoir (1908-1986) Il secondo sesso (1949) “Donna si diventa, non si nasce” intendendo dire che il ruolo delle donne nella società non era dovuto alla loro esistenza biologica ma determinato e imposto dal potere patriarcale dal quale derivavano la divisione dei ruoli. Per cambiare i rapporti di potere fra uomo e donna per De Beauvoir la donna avrebbe dovuto avere la possibilità di entrare nel mondo “maschile”, di parlare il linguaggio della razionalità, di gestire il potere. Mette in rilievo la condizione subordinata che nel corso della storia è stata attribuita alle donne, le circostanze che portano a credere alla loro inferiorità e gli effetti che tutto ciò produce sulle loro scelte di vita. La tesi di de Beauvoir è che il genere femminile sia sempre stato considerato come “secondo” e, quindi, definito per differenza e collocato in posizione svantaggiata rispetto al genere dominante, ovvero quello maschile Alcune persone transgender dicono di sentirsi intrappolate/i in un corpo dell’altro sesso, alcune/i usano abiti e acconciature del genere con cui si identificano, adottandone il tono vocale, la postura, e il linguaggio non verbale. La condizione di transgender non è necessariamente collegata all’orientamento sessuale. Alcune persone transgender diventano transessuali sottoponendosi a interventi di ricostruzione degli organi sessuali per modificare il proprio aspetto fisico. Questi interventi modificano i genitali e si accompagnano quasi sempre a trattamenti ormonali che favoriscono lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come i seni e la barba. La chirurgia e le cure ormonali possono rendere il corpo di una persona più ”coerente” con il genere in cui essa si identifica. Ordine di genere Raewyn Connell (“Maschilità”, 2005) ha proposto il concetto di ordine di genere. Ordine di genere: L’insieme delle relazioni, norme e rappresentazioni che danno forma a determinati modi di essere del maschile e del femminile in una società. Connell individua tre dimensioni che nella loro interazione, danno vita a diversi ordini di genere. 1. Lavoro. Riguarda la divisione sessuale del lavoro nella sfera sia pubblica sia privata. 2. Potere. Riguarda i rapporti di autorità e le gerarchie che si costruiscono nelle istituzioni sociali. 3. Catessi. Concerne la dinamica dei rapport intimi, affettivi e sessuali. Genere/potere/sessismo Gli uomini hanno sempre definito le cosiddette caratteristiche maschili in opposizione alla caratteristiche femminili, affermando spesso che quelle maschili erano superiori e più desiderabili delle seconde e promuovendo così il sessismo. Sessismo: ideologia per cui un sesso sarebbe superiore all’altro. “I ragazzi in gamba non piangono”, “non correre come una ragazza”: una cultura che incoraggia i ragazzi a essere diversi dalle ragazze con questo modo essenzialista e sessista insegna sia ai ragazzi che alle ragazze che essere femmine è indesiderabile creando assimetrie di potere. Di conseguenza gli uomini perpetuano questa dominazione trattando differenze di genere culturalmente prodotte come se fossero immodificabili, legate al sesso e alla natura. Cultura, socializzazione e genere Essendo privo di una base biologica, il genere deve essere appreso tramite la socializzazione. In larga misura, gli uomini e le donne si comportano conformandosi alle aspettative sociali. Il genere non è fisso: le nostre idee in proposito possono rafforzarsi o modificarsi man mano che interagiamo quotidinamente con gli altri. Tuttavia, non siamo liberi di reinventare il genere senza conseguenze perchè le nostre interazioni avvengono all’interno di strutture sociali, come la famiglia, la scuola e il lavoro, che impongono certe aspettative. Queste strutture possono applicare sanzioni negative, o punizioni a coloro che violano le aspettative di genere, premiando invece coloro che vi si conformano. Socializzazione e ruoli di genere I ruoli rappresentano i comportamenti attesi che si associano a determinati status. Per esempio, gli attributi di ruolo fondamentali di chi ha lo status di studente è frequentare i corsi, studiare, fare esami. Una delle ragioni per cui sapete come comportarvi il primo giorno di lezione è perché avete familiarità con il ruolo di studente. Lo status di studente e il ruolo associato a questo status sono solo alcuni di tanti status e ruoli. Gli status e i ruoli sono i legami concreti che uniscono gli individui alla società. I ruoli condizionano la vita delle persone chiarendo ciò che dovrebbero fare nei diversi contesti. I membri di un gruppo sociale condividono aspettative analoghe sul ruolo di ciascuno, così l’interazione tra I singoli finisce per rafforzare tali ruoli. L’interiorizzazione dei vari ruoli diventa così connaturata che si fa fatica a capire come vincolino le azioni. I ruoli entrano a far parte del Sé. Anche il linguaggio si trasforma di conseguenza infatti si dice “io sono uno studente” e non “ricopro il ruolo di studente”. Ruolo di genere Ruolo di genere: Un insieme di aspettative sociali relative al comportamento e agli atteggiamenti corretti da tenere in base al sesso biologico di una persona I ruoli di genere influenzano alcune caratteristiche come: L’apparenza: Quali capi d’abbigliamento, quali acconciature, quali gioelli e quale trucco sono appropriati? Le attività sociali: Chi cuce a maglia? Chi usa gli attrezzi elettrici? Chi prende l’iniziativa in amore? I comportamenti e le emozioni: Chi dovrebbe essere affettuoso e sensibile? Chi dovrebbe essere duro e stoico? Le aspirazioni: Che tipo di futuro dovrebbe volere o aspettarsi un uomo o una donna? Che tipo di lavoro? Quale ruolo all’interno della famiglia? La costruzione dell’identità di genere: interazione sociale e potere Come si creano i ruoli di genere? Come si perpetuano o come si modificano? Il genere viene creato costantamente – e potenzialmente alterato- attraverso il cosiddetto processo di costruzione dell’identità di genere, ovvero la produzione del genere tramite le interazioni che prendono forma in determinati ambiti sociali. Pertanto le idee possono essere contestate e modificate, sia nelle interazioni individuali sia nei contesti sociali. La costruzione dell’identità di genere interazioni individuali interazioni interne alle istituzioni Interazioni individuali Le persone ”costruiscono socialmente” l’identità di genere in tutta una serie dicsituazioni. Esempio: uno studente maschio apre la porta ad una studentessa femmina – In termini di “costruzione dell’identità di genere”, questo esempio rappresenta uno degli infiniti modi con cui le distinzioni di genere si riproducono nella vita quotidiana. Qualunque fosse la ragione di quel gesto (una forma di cavalleria o il prodotto del presupposto, sostanzialmente incoscio che le donne siano deboli e abbiano sempre bisogno di aiuto dagli uomini – esso sottolinea una differenza tradizionale di genere. Con il tempo queste azioni rinforzano il concetto che le differenze di genere siano naturali. In questo senso il genere non è chi siamo ma piuttosto cosa facciamo. Come fa una coppia (eterosessuale), sposata o meno, a stabilire come ripartirsi le faccende domestiche? Chi cucina o lava i piatti? Chi porta fuori l’immondizia o stura il lavandino? Le risposte a queste domande spesso riflettono i diversi livelli di potere nelle relazioni interpersonali – e a volte sono le donne ad avere più potere entro le mura domestiche. Il genere e la famiglia Di tutti gli ambienti sociali che incontriamo, la famiglia è quello che probabilmente ha la massima influenza sulla nostra percezione del genere – un ascendente che subiamo fin dalla nostra nascita. socializzazione di genere alla nascita socializzazione di genere nell’infanzia Socializzazione di genere alla nascita La socializzazione di genere inizia praticamente con la nascita del bambino. Fin dai primissimi momenti della vita, dunque, gli adulti vedono i bambini attraverso la lente del genere e trattano diversamente i neonati a seconda del loro sesso, avviano così il processo di socializzazione di genere. Una ricerca ha osservato alcune madri e i loro bambini di 6, 9 e 14 mesi giocare sul pavimento con l’obiettivo di studiarne le interazioni (Clearfield e Nelson, 2006). I ricercatori non riscontrarono alcuna differenza tra il comportamento dei maschietti e femminucce, ma ancor prima che fossero in grado di parlare, le madri facevano più domande alle bambine che ai bambini, incorraggiandone così lo sviluppo verbale. Inoltre, interagivano maggiormente con le bambine, confortandole e abbracciandole spesso, mentre lasciavano che i maschietti esplorassero indipendentemente il territorio. Insegnare il genere a scuola La prima esperienza regolare che tutti i bambini vivono al di fuori della famiglia è data dalla scuola. La socializzazione di genere inizia qui a un’età molto precoce e continua per tutto il percorso educativo del bambino. Il sesso e l’origine del patriarcato Patriarcato: Un sistema sociale (e di stratificazione) dominato dagli uomini Il patriarcato è un sistema sociale dominato dagli uomini. In una società patriarcale gli uomini occupano quasi tutte le posizioni di potere politico ed economico e beneficiano di aspettative sociali che limitano il ruolo e l’influenza delle donne, Le società patriarcali esistono in tutto il mondo, da sempre. La cultura prevale sulla biologia La cultura può fare molto per spiegare le origini del patriarcato. Tuttavia, la capacità degli esseri umani di modificare l’ambiente sociale ha subito un’accelerazione esponenziale in un paio di secoli, facendo venir meno la significatività delle differenze tra i sessi. Per effetto di innovazioni culturali, le differenze biologiche tra uomini e donne sono diventate meno significative. Tuttavia, dopo aver accumulato potere nella società, gli uomini erano restii a condividerlo con le donne, e la disuguaglianza di genere continua ancora oggi. La discriminazione e il soffitto di cristallo Soffitto di cristallo: Barriera spesso invisibile creata dal sessismo, che impedisce a donne qualificate di raggiungere i livelli più elevati della struttura manageriale. Anche se fattori esterni all’ambiente di lavoro contribuiscono in misura considerevole al divario retri- butivo, la discriminazione nei luoghi di lavoro è un dato di fatto per molte donne. La discriminazione Il pregiudizio di genere si determina spesso a livello inconscio e influenza la valutazione reciproca del lavoro altrui, contribuendo alla discriminazione (Barres, 2006; Valian, 1999). Negli ambienti professionali, colleghi e capi sono più propensi a considerare, in generale, gli uomini competenti e logici e le donne inaffidabili ed emotive; con il tempo, queste percezioni distorte influenzano sistematicamente il modo in cui valutano in pratica i propri dipendenti. Le norme culturali promuovono la discriminazione nell’ambiente di lavoro anche dissuadendo le donne dall’avere più successo dei propri mariti o dal focalizzarsi sulla carriera anziché sulla famiglia. Il mancato incoraggiamento, accompagnato dagli stereotipi negativi, può intaccare l’autostima delle donne e limitarne le aspirazioni. Queste differenze di ambizione o di competitività vengono poi lette impropriamente come innate, anziché culturalmente costruite (Fels, 2005).
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