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Appunti completi di Tecnologie e Studi di fabbricazione, Sbobinature di Tecnologie Meccaniche

Appunti completi (tutti e tre i compitini) di TSF, la prima parte svolta dal professor Scippa, mentre le altre due dal professor Campatelli. Il testo è affiancato da numerose immagini esplicative ed è stato raccolto seguendo le lezioni dell'anno accademico 2022/2023 e completato utilizzando le lezioni registrate. Pagine: 80. Primo parziale: 29; Secondo parziale: 30.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 14/06/2023

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stefano-svelti 🇮🇹

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Scarica Appunti completi di Tecnologie e Studi di fabbricazione e più Sbobinature in PDF di Tecnologie Meccaniche solo su Docsity! Tecnologie e studi di fabbricazione I processi manufatturieri si compongono di due fasi principali: le operazioni di processo e le operazioni di assemblaggio. Le prime sono le vere e proprie operazioni di progettazione, trasformano un semilavorato da un certo stato di avanzamento ad uno più avanzato; le operazioni di assemblaggio invece consistono nell’unire due o più componenti separati per creare una nuova entità. I processi manifatturieri poggiano le basi e sono influenzati da tre elementi principali: - Materiali: la scelta effettuata sui materiali influenza sensibilmente la scelta del processo produttivo in quanto non tutti i processi di produzione sono adatti per certi materiali per via delle loro proprietà meccaniche. - Volumi di produzione da garantire: molte volte si adattano i processi scelti in base al target di pezzi da realizzare, per esempio la pressofusione è una tecnica che richiede elevati costi di impianto, di conseguenza non sarà l’alternativa scelta se si vorranno fare solamente pochi pezzi perché il costo d’impianto graverà in maniera proibitiva su di essi. - Layout aziendale: in parole povere rappresenta la disposizione dei macchinari all’interno della fabbrica. IL processo viene scelto spesso in base al layout aziendale; esistono poi processi più variabili (ossia in caso di modifica della richiesta da parte del cliente io modifico facilmente il mio layout) che però pagheranno lo scotto di una minore capacità produttiva. I materiali si dividono in tre categorie basiche: metallici, ceramici e polimerici. Dall’unione di due di questi tipi base nascono i materiali compositi che rappresentano un grande passo in avanti in quanto riescono ad unire in sé proprietà meccaniche caratteristiche di tipologie di materiali differenti, il loro punto di forza è rappresentato quindi dalla versatilità e dall’ampia gamma di processi produttivi che li possono sfruttare. I principali processi manifatturieri di formatura son quattro: fusione, deformazione plastica, asportazione di truciolo e saldatura. Tutti e quattro hanno lo stesso scopo: trasformare la forma di un semilavorato da uno stato grezzo a uno più rifinito o addirittura allo stato finale. La fusione è il processo più veloce, sfrutta la proprietà dei liquidi di assumere la forma del recipiente in cui vengono inseriti; permette di ottenere manufatti con forme complesse in tempi molto brevi, pagando però lo scotto della poca precisione in termini di tolleranze geometriche e superficiali, è per questo che di solito si tende a realizzare come primo un processo un po’ più grezzo e rapido come la fusione o la deformazione plastica, per poi terminare il lavoro andando a rifinire i manufatti superficialmente tramite l’asportazione di truciolo. La deformazione plastica, che poggia la sua definizione sull’ipotesi che nel passaggio da manufatto sbozzato al manufatto finale il volume non debba cambiare, sfrutta l’idea che ogni materiale è elastico: cioè, è più o meno deformabile in base alla temperatura di processo utilizzata. Il processo produttivo si può vedere da due punti di vista differenti: il punto di vista tecnologico, che ce lo mostra come processo di lavorazione che ha bisogno di materie prime e macchinari per produrre un componente lavorato; ed un punto di vista economico che descrive il processo produttivo come l’aggiunta di valore economico a dei beni materiali per mezzo di forza lavoro e macchinari. Esistono prodotti che sono essi stessi l’unica componente ed esistono prodotti assemblati ossia ottenuti dall’assemblaggio di vari componenti differenti. Il materiale con cui si realizza un componente lo sceglie il produttore, basta che rispetti determinate specifiche richieste dal mercato, ultimamente la tendenza è quella di realizzare prodotti utilizzando materiali compositi ed elettronici perché offrono un’ampia gamma di proprietà meccaniche. A seconda dei volumi di produzione che mi richiede il cliente, io devo scegliere il processo produttivo più adatto, la capacità produttiva si misura nell’anno di bilancio e corrisponde alla quantità che un impianto può produrre in un certo lasso di tempo; come detto prima, più cresce la capacità produttiva più diminuisce la variabilità di prodotto. Il layout aziendale può essere scelto fra 4 tipologie principali: - Project shop → Tale tipologia si adatta molto bene ai processi per la realizzazione di componenti di misura elevata, il componente da realizzare tendenzialmente è molto più grande dei macchinari utilizzati, essi devono poter esser spostati facilmente perché il componente in costruzione resta fermo, sono i macchinari a girargli intorno, è necessario un personale fortemente specializzato e di conseguenza risulta complicata l’automatizzazione. Senza dubbio rappresenta il layout più variabile fra tutti in quanto la sua capacità produttiva è piccolissima (1 componente o meno l’anno). - Flow line and transfer line (o catena di montaggio) → layout tipico dei processi di assemblaggio e delle lavorazioni meccaniche; in questo caso gli operatori e i macchinari son fermi, sono i prodotti da lavorare a muoversi. Ad ogni stazione corrisponde un tempo ben definito, tale cosa fa sì che se la catena è dimensionata al meglio, i tempi si riducono al minimo. Il problema enorme è che se si rompe un macchinario o la catena subisce un arresto, rimane bloccato l’intero processo, diventa così fondamentale l’attività di monitoraggio e previsione guasti. L’obiettivo era ridurre al minimo i test sperimentali in quanto hanno costi e tempi ben più lunghi rispetto a quelli di cui necessitano strumenti di simulazione che permettono allo stesso tempo di testare la lavorabilità di un componente oltre che al suo funzionamento. La simulazione, se ben condotta (modello validato, ossia rappresentante la realtà) permette in fase simulativa di rappresentare quella che sarà la forma finale del nostro componente (al massimo in un solo giorno). Eventualmente possiamo andar a modificare la forma dello stampo fino a che non va bene (con le giuste tolleranze) per poi fare lo stampo che ci permetterà di dare il via alla produzione. In generale, noi dovremo tenere in considerazione quattro aspetti in contrasto fra di loro: in particolare, quelli che influenzano maggiormente geometria e processi produttivi di un prodotto sono: costi, tempo di produzione, qualità e flessibilità di produzione (capacità di apportare modifiche sul prodotto senza dover sconvolgere la sua produzione e il costo di prodotto); per fare un esempio di conflitto fra due di questi aspetti vediamo il grafico che lega costo relativo di prodotto e tolleranze di lavorazione: è un grafico esponenziale, al diminuire del valore di tolleranza richiesto il costo relativo cresce esponenzialmente; un’altra relazione che esemplifica bene questi rapporti è quella fra tempo di produzione e finitura superficiale, questi due aspetti sono correlati e cambiano in base al processo che andiamo ad utilizzare. Ogni componente può esser realizzato con molteplici processi produttivi, noi dovremo scegliere quello che presenta il miglior compromesso fra tutti questi 4 aspetti. Esempio: grafico nervatura, in base allo spessore h (a dx in millimetri) il grafico ci dice per ogni lavorazione quale sarà la lunghezza min per w, si vede anche che determinati processi non son proprio applicabili per determinati valori di spessore della nervatura in quanto tracciando l’orizzontale in corrispondenza della mia h io non incontro alcuna curva che indica la lavorazione. Ci deve esser comunicazione fra progettisti e addetti alla produzione in modo che i progettisti cerchino di adattare al massimo i progetti a lavorazioni già presenti in azienda in modo da ridurre costi (evitando di dover sopperire a costi d’impianto) e tempi, è bene addirittura che i responsabili della produzione pongano vincoli al progettista sul processo da usare. Design for x X è la variabile che viene presa in considerazione nella fase di sviluppo del prodotto: spesso sono delle regole di buon senso che se prese in considerazione dall’inizio consentono di migliorare il design del prodotto e la sua realizzazione in toto. Design for manufacturing, design for assembly, tengono conto delle difficolta che si possono incontrare nella produzione (manufacturing) e nell’assemblaggio (assembly) di un prodotto. Ad esempio, una staffa a L con spigolo vivo io la posso realizzare solamente con pochi processi (es. Asportazione truciolo), se la stessa staffa la vado a realizzare con un raggio di raccordo (che deve essere maggiore di una certa soglia) succede che quella staffa io la posso realizzare più facilmente, più velocemente e con costi più bassi. È bene che il progettista scelga caratteristiche di prodotto che permettano un’ampia gamma di processi produttivi. È importante anche che i progettisti adottino geometrie che permettano di non avere problemi in fase di assemblaggio, ciò fa sì che si risparmino soldi e tempo, un esempio è il bicchiere in cui devo far entrare una molla, se realizzerò il bicchiere con la presenza dello spigolo vivo sarà più facile che l’assemblatore perda tempo in fase di assemblaggio perché magari la molla si blocca in corrispondenza dello spigolo vivo ciò non succederebbe se io realizzassi tale bicchiere con una parete liscia che faccia sì che per gravità la molla si incunei più facilmente nel bicchiere, tendenzialmente la linea di pensiero è quella di ridurre il più possibile i componenti necessari a realizzare un progetto in modo che ci siano meno occasioni in cui viene perso tempo. Manifacturing e Assembly vengono applicate in contemporanea e si stima riducano del 40% il tempo di sviluppo rispetto al processo classico. Design for Disassembly, importante riciclare i materiali, oltre a semplice da assemblare, il prodotto finito deve essere facile da smontare, in particolare i componenti che devono essere disassemblati per il riciclo e lo smaltimento; design for Sustenability, è importante cercare di usare del materiale riciclato laddove non ha funzioni strutturali, ma può esser usato. La condizione ottimale è la seguente: benefici derivanti dal riciclo > costi che sosteniamo per farlo. Per lil corretto sviluppo di un prodotto è fondamentale tenere in considerazione tutti gli aspetti della produzione (manifacturing, gestione aziendale, gestione del processo produttivo, alcuni processi hanno supply chain più complesse per esempio), come fare a collaborare per la realizzazione di un prodotto? Database comune da cui ciascuno può prendere le informazioni che servono alla sua parte del lavoro e apportare modifiche in modo che tuti gli altri collaboratori vengano informati. L’info base è tenuta nel database sottoforma di un modello CAD del componente che vogliamo realizzare. Rispetto al passato, dove la info base era costituita dalla rappresentazione su carta del componente, in questo modo è molto più facile e veloce apportare modifiche. CAD viene utilizzato anche dagli strumenti di simulazione usati in azienda per andare a verificare determinati aspetti, CAM serve a scegliere e definire i parametri di processo in base alle esigenze, CAPP serve alla pianificazione della produzione. CAD riassume in sé diversi aspetti, non ha solo la geometria 3d del componente: permette anche verifiche strutturali, verifiche dell’aspetto esteriore, simula i processi di asportazione di truciolo, simula gli errori dovuti alle lavorazioni, può simulare l’assemblaggio di un prodotto e può che anche riprodurre dei cinematismi. Ciascun operatore può prendere solamente le info che gli interessano. CAD è un modello parametrico, ossia è facile e rapido modificare la geometria della rappresentazione 3d in base alle esigenze; possiamo inserire feature ossia degli elementi a cui sono associati geometrie e informazioni aggiuntive per es. gli elementi filettati , nel disegno meccanico la filettatura non viene rappresentata, CAD invece associa autonomamente ad ogni foro il tipo di filettatura corrispondente (passo, tipo di vite ecc. ), tali informazioni si trovano andando semplicemente a cliccare sulle info associate al foro. La tendenza della nuova industria è centralizzare sempre di più la gestione, sia di controllo delle singole celle operative, sia dell’intero processo di produzione. Molte azioni di assemblaggio ormai possono esser fatte tranquillamente da robot spesso antropomorfi, la tendenza è l’automazione che permette di lavorare anche 24/24; in tale ottica le persone fisiche diventerebbero una sorta di manutentori e supervisori del progetto. Tolleranza e rugosità Tutto parte da dimensione e forma che voglio realizzare, è importante capire le quote, cosa vogliono dire le tolleranze e le rugosità sul disegno. Noi oltre alla forma dobbiamo garantire la produzione dei componenti con una certa precisione e accuratezza. Tolleranze sono associate sia alle dimensioni che alle forme dei componenti. Sul disegno noi troveremo il numero minimo di quote necessarie a definire completamente un componente. Ciascuna quota porta con sé l’errore di realizzazione, la quota è solo il valore nominale, è impossibile realizzare un componente che presenta tutte lunghezze accurate. Ogni quota, anche se non indicato/a è soggetta ad errore comportato dal processo di realizzazione. Errori dimensionali, legati alla lunghezza di alcune quote, introduciamo allora le tolleranze dimensionali, sono delle categorie classificate secondo una convenzione che definiscono estremi min e max per ogni dimensione, errori macro-geometrici, che danno una misura dell’errore di forma del nostro componente, introduciamo la tolleranza geometrica che va ad individuare due geometrie di riferimento che contengono la geometria reale del componente , errori micro-geometrici, misura di quanto la superficie è liscia, viene introdotta la rugosità. Data una dimensione la tolleranza indica la differenza fra la quota max e min ammissibile per quella dimensione. se la dimensione reale è fuori dal range di quei due valori il pezzo è da scartare, altrimenti lo teniamo. Nel disegno le tolleranze le troviamo in riferimento a misure di elementi che dovranno far accoppiamento. La tolleranza dà il campo di ammissibilità della quota. Esistono tecniche di recupero di elementi fuori tolleranza che potrebbero lavorare comunque bene se accoppiati con altri elementi fuori tolleranza; il pezzo non è che deve lavorare bene da sé deve lavorare bene in un accoppiamento. Prima si definisce la tolleranza dell’accoppiamento e poi si va a definire le singole tolleranze; se le singole vengono rispettate allora sicuramente l’accoppiamento lavorerà bene. Lo stesso si applica alle geometrie, per far sì che la forma del pezzo sia esatta, si individuano due geometrie limite e il pezzo è in tolleranza se e solo se rientra all’interno di queste due superfici limite, la differenza fra le due superfici limite definisce il campo di tolleranza. MMC è una condizione che garantisce sempre il rispetto della tolleranza dimensionale. Accoppiamenti fra componenti saranno di varia natura: diametro albero più piccolo di quello del foro (MMC) allora si dice accoppiamento “con gioco”, viceversa condizione di interferenza o accoppiamento incerto. Accoppiamento albero base (per l’albero sto posizionando l’estremo superiore della tolleranza sulla linea dello zero) o foro base (definisco la tolleranza di riferimento sulla linea dello zero per il foro) o è il diametro nominale o è più grande. Tolleranza è la differenza tra la quota massima e quella minima, è un valore numerico, può esser uguale per diametri anche molto diversi; quindi, non ha senso parlare di tolleranza senza accoppiarla con una dimensione, da sola non è un indice della precisione di realizzazione, abbiamo schematizzato tutte le possibili tolleranze in funzione della qualità della tolleranza 𝑖 = 0.45 ⋅ √𝐷 3 + 0.001𝐷. Calcoliamo la precisione e in base alla qualità di realizzazione troviamo il range di realizzazione. Ogni quota avrebbe la sua tolleranza, in realtà la stessa tolleranza è stata associata a dei range di misure. Livello tolleranza legato alla qualità (varia da 5 a 17), la tolleranza non basta per definire la lavorazione è importante definire la posizione della tolleranza rispetto alla linea dello zero. Il livello di tolleranza lo posso mettere a cavallo della linea dello zero sopra o sotto, basta che lo indichi. Posizioni definite con delle lettere, h è quella di riferimento per il posizionamento di uno dei due elementi da accoppiare, albero-foro dovremo Le tolleranze esistono perché noi non siamo mai in grado di produrre un pezzo con le dimensioni uguali a quelle di come lo dovrei realizzare, questo perché durante la lavorazione entreranno in gioco fattori che noi non possiamo prevedere a priori; un esempio è la dilatazione volumetrica dovuta alla temperatura di processo; noi possiamo cercare di cambiare le dimensioni del pezzo in modo che considerando la dilatazione in lavorazione le misure che otteniamo corrispondono con quelle nominali, il problema è che anche la macchina che lavora il pezzo va incontro a dilatazione quindi noi perdiamo totalmente il controllo, le macchine moderne sono termostatate ossia possiedono un sistema di refrigerazione che mantiene a temperatura costante le componenti del macchinario. Per ogni processo produttivo si fa un’analisi di probabilità in cui associamo a ciascuna lavorazione un valore di quanto tale lavorazione sia ripetibile, in ascissa troviamo il diametro del pezzo in esame, in ordinata il numero di pezzi che soddisfano i valori di tolleranza, otteniamo così una distribuzione gaussiana dei pezzi, la media dovrebbe coincidere con la dimensione nominale che devo ottenere, mentre una sigma elevata ci dice che il processo è molto dispersivo: ossia avremo pezzi con diametro molto diverso rispetto al diametro nominale che volevamo ottenere. La distribuzione gaussiana è caratterizzata dal fatto che l’aria sottesa al grafico è 1, se facciamo l’integrale fra due estremi della curva gaussiana otteniamo la probabilità di ottenere un componente con un diametro compreso fra quei due estremi perché andiamo a calcolare l’aria sottesa al grafico e compresa fra due valori di diametro. Da un punto di vista produttivo per sostenere che tutti i pezzi siano in tolleranza, quest’ultima deve essere maggiore di 3σ riferita alla σ propria della gaussiana che caratterizza il processo. Tra più e meno 3σ nel grafico c’è una probabilità del 99.99%, quindi se la tolleranza richiesta è maggiore di 3σ siamo sicuri che quel processo produttivo produca tutti componenti in tolleranza. Se un processo è caratterizzato da una gaussiana più spanciata e magari comprende gli estremi di tolleranza del componente, facendo l’integrale fra gli estremi di tolleranza trovo la probabilità che con quel processo io realizzi pezzi in tolleranza, chiaramente, fare 100 – (questa probabilità appena trovata) mi restituisce il valore di probabilità che un pezzo realizzato con il determinato processo sia fuori tolleranza, lavorare con un processo del genere fa sì che post-produzione si debba controllare i valori delle misure del componente per decidere se scartarlo o no. Le gaussiane caratteristiche dipendono dai macchinari e dai parametri di processo che inseriamo noi, una gaussiana stretta corrisponde a un processo molto costoso (parametri conservativi e tempi molto lunghi), in alcuni casi sarà più conveniente usare un processo che comporta degli scarti piuttosto che spendere di più per ottimizzarne un altro (stringendone la gaussiana). Immaginiamo di avere due possibili processi per realizzare albero e foro, se uso πa e πf son sicuro del fatto che i pezzi saranno in tolleranza e l’accoppiamento sarà verificato, se io scelgo di usare un processo meno costoso (come π’a e π’f) so già che a b c d son pezzi che dovrò scartare, ma se per esempio io prendo un pezzo fuori tolleranza in A e lo vado ad accoppiare con un altro fuori tolleranza in C, siccome l’errore è dalla stessa parte, li potrò accoppiare comunque con gioco, in questo caso si parla di ASSEMBLAGGIO SELETTIVO; questo comporta maggiori costi legati alla tracciabilità dei componenti realizzati, di fatto però permette anche di ottimizzare i processi produttivi. TOLLERANZE GEOMETRICHE, associate agli errori di forma, e RUGOSITA’, associata ad errori di superficie; un esempio di tolleranza geometrica è la planarità: io definisco due superfici piane una superiore e l’altra inferiore, qualsiasi superficie piana compresa fra queste due sarà una superficie in tolleranza. Per misurare le grandezze in tolleranza dovremo fissare stabilmente il pezzo alla macchina, per fissarlo dovremo eliminare la possibilità di movimento del corpo andando a bloccare tutti e sei i gradi di libertà del corpo, di solito quello che si fa è definire tre piani di riferimento: quello di appoggio (ne rimuove tre, stabilendo il contatto con almeno tre punti) e gli altri due, il secondo perpendicolare al primo (che rimuove due gradi) e il terzo perpendicolare agli altri due. Ogni volta che montiamo il pezzo sulla macchina introduciamo nuovi errori, semplicemente per il piazzamento, per l’assenza di certezza di posizionare il pezzo nello stesso punto sulla macchina; a livello di processo produttivo si cerca di lavorare superfici che sono in tolleranza fra di loro con lo stesso piazzamento in macchina, due superfici parallele saranno lavorate insieme mentre il pezzo è fissato ad un altro lato in modo che mi restino solamente gli errori caratteristici della macchina, ovviamente li dovrò lavorare nello stesso momento, non aspetto il giorno dopo, questo per evitare che cambi la temperatura e quindi la dilatazione. Sistemi di bloccaggio devono opporsi alle forze di processo per tener bloccato il pezzo. La cosa importante è bloccare il corpo su tre punti di appoggio: se per esempio fossero quattro, il corpo comunque appoggerebbe su tre e io non saprei quale di questi non poggia. TORNITURA: lavorazione per asportazione di truciolo in cui realizziamo la forma del componente eliminando il volume in eccesso, lo si realizza facendo un’interferenza fra il nostro semilavorato ed un utensile realizzato con materiale più duro, io pongo in rotazione il pezzo e muovo lungo l’asse l’utensile di materiale più duro, ottime qualità di corpi assiali-simmetrici, circolarità viene garantita dalla lavorazione, ma la forma non molto. Il fatto che io ponga in rotazione il corpo è utile perché se tenessi fermo il pezzo e muovessi l’utensile intorno ad esso avrei un errore in più sulla cilindricità perché tale errore dipende dal sistema di controllo degli assi dell’utensile che magari non lo muove esattamente su una circonferenza; lavorazioni assiali-simmetriche partono da semilavorati assiali- simmetrici. Nelle lavorazioni assiali simmetriche, quando la lunghezza del pezzo rispetto al suo diametro non è elevata si possono usare Mandrini autocentranti, sono tre elementi utili per tenere bloccato il semilavorato e metterlo in rotazione nel processo di tornitura, tramite l’azionamento di una chiave andiamo ad allontanare o avvicinare questi tre cani garantendo la stessa equidistanza dall’asse, è per questo che vengono chiamati autocentranti, sono utili perché permettono di serrare pezzi di varie forme mantenendo comunque grandi precisioni sulle lavorazioni del pezzo. Andiamo a creare tre punti di appoggio del piano, dopodiché serrando i tre cani serriamo il pezzo e blocchiamo gli altri tre gradi di libertà, il componente si muoverà quindi rigidamente col mandrino; se il pezzo è tozzo (Lunghezza/Diametro<1) può esser lavorato a sbalzo, quando il pezzo è snello (L/d>5) il componente sporge dal sistema di ancoraggio, è quindi pericoloso lavorarlo in quelle condizioni, si aggiunge la contropunta, si blocca l’asse di rotazione nella parte più distante dal mandrino, in questo modo abbiamo un punto di appoggio in più. Non riusciamo mai ad ottenere un cilindro perfetto, ci saranno sempre gli errori, l’importante è che gli errori rientrino comunque in tolleranza, gli errori son dovuti alle forze interne al corpo che, anche se minimamente, spostano il semilavorato e fanno sì che io asporti più o meno materiale…(disegno) a parità di forze applicate e tutto, il sistema di sx è più facile che mi permetta di essere in tolleranza (contropunta migliore di sbalzo) il problema è che il processo con contropunta mi obbliga a fare lavorazioni aggiuntive (fare dei buchi per la chiave, applicare forze di serraggio ecc.). Spezzando la lavorazione in più passaggi è più facile che ottenga un pezzo in tolleranza. F minuscolo è la “freccia”, ossia lo scostamento massimo dalla geometria non deformata di una trave soggetta a flessione, in sto caso è la variazione del raggio che vado ad avere; una volta presa la tolleranza dal disegno meccanico, calcolo quale è la forza di taglio in relazione alla tolleranza, in base a questa il mio processo mi realizzerà un pezzo in tolleranza se e solo se applicherò una forza max pari alla freccia, con la forza massima posso calcolare la profondità di rimozione e in base a quanto volume devo rimuovere andrò a calcolarmi le passate necessarie. Praticamente una volta calcolata la forza di taglio, se questa è al massimo il valore della freccia allora il pezzo realizzato sarà in tolleranza, praticamente la forza non è così grande da deformare il pezzo fino a fuori tolleranza. A fine lavorazione dobbiamo misurare il pezzo per vedere se siamo in tolleranza o meno. L’accuratezza ci dice quanto la misura che stiamo facendo è veritiera, la precisione dello strumento indica l’ordine di grandezza più piccolo che lo strumento è in grado di apprezzare. Dobbiamo prendere uno strumento un ordine di grandezza più preciso dell’ordine della misura che vogliamo misurare noi; gli strumenti più usati sono: strumento passa non passa, strumento tarato sulle tolleranze, il micrometro, centesimale o millesimale, un comparatore per verificare se il pezzo è cilindrico rispetto all’asse di rotazione; calibro, permette di misurare diametri interni esterni e profondità. Esistono strumenti di misura ancora più complessi, il più usato in officina era la macchina a controllo di misura, questa macchina si muove lungo i tre assi, andiamo a campionare la superficie di un manufatto analizzandola punto per punto, una volta che abbiamo creato la nuvola di punti si trova se la superficie è leggermente inclinata, parallela o che altro. Errori micro-geometrici Rugosità, se vado ad analizzare com’è la struttura interna dei materiali, in particolare i metallici, facendo una sezione e un successivo zoom mi trovo dinanzi ad una situazione come quella in figura: lo strato superficiale si dice alterato, perché diverso dal substrato; in entrambi gli strati si distinguono i grani cristallini costituiti da una serie di reticoli cristallini orientati in maniera casuale, i grani cristallini, che sono la struttura base del materiale metallico, son strutture regolari però orientate in maniera differente fra loro, è per questo che i due reticoli penetrazione di un corpo esterno. La durezza di un materiale varia molto in base al tempo di raffreddamento, cresce se aumenta il parametro dei °C/s di cui io lo raffreddo una volta uscito dall’altoforno. Tendenzialmente, un raffreddamento veloce favorisce caratteristiche meccaniche migliori. Per esempio, la resistività elettrica del rame (proprietà chimico fisica) come varia in funzione di T? cresce, andando poi ad aggiungere una piccola percentuale di massa di atomi esterni (NI) abbiamo una crescita che arriva pure al 500%. Nel grafico di destra vediamo invece come varia la conducibilità termica del rame se ci vado ad aggiungere in lega dello zinco. Possiamo modulare le proprietà del materiale in funzione degli elementi in lega che inseriamo. Proprietà ottiche cambiano in funzione di come si viene a creare il reticolo cristallino, se siamo in grado di realizzare un monocristallo abbiamo materiale trasparente, al variare del numero di cristalli presenti nell’atomo varia anche l’opacità/trasparenza. Se sottoponiamo il materiale a trattamenti termici, andiamo a modificare le caratteristiche meccaniche, un esempio che vediamo è la variazione della velocità di diffusione della cricca in una lega d’acciaio se la teniamo a 160°C per un’ora, un materiale che ha subito questo trattamento sarà più resistente ai carichi esterni. Tavola periodica Peso atomico aumenta man mano che scendiamo, elemento elettropositivo: elemento che ha la tendenza a cedere facilmente gli elettroni poiché si trovano sull’orbitale più esterno e il legame col nucleo è debole, facilmente diventano ioni, a sx ci son gli elettropositivi, a dx gli elettronegativi. Legame ionico: un elemento elettropositivo ed uno elettronegativo si legano insieme (NaCl), rappresenta il legame più forte; legame covalente: non c’è cessione dell’elettrone fra gli elementi, abbiamo delle posizioni vuote sugli orbitali più esterni dei due atomi, in virtù di ciò, gli atomi mettono in compartecipazione gli elettroni con lo scopo di tappare questo vuoto, legame piuttosto forte (CH4), realizzato da elementi meno reattivi, più interni alla tavola; legame metallico: tipico di metalli caratterizzati da alto peso atomico, gli elettroni non son più messi in compartecipazione solo fra due atomi, ma vengono messi in compartecipazione con tutti gli altri atomi che compongono il materiale (nuvola di elettroni); proprio per questa tipologia di legame, i metalli sono ottimi conduttori. Legame di Van der Waals, le molecole risultano comunque neutre e indipendenti, a causa dei pesi atomici e della disposizione degli atomi rispetto al nucleo si viene a creare una molecola non più simmetrica, si formano due zone, una in cui prevalgono cariche positive e l’altra dove sono preponderanti quelle negative, quando mettiamo più molecole di sto tipo vicine, esse si allineano in modo da affiancare zone con carica preponderante opposta, tale legame è sicuramente il più debole che esiste in natura. Il Geko ha le zampe composte, è in grado di interagire con le strutture a cui è appoggiato tramite delle forze di Van Der Waals, riesce ad aumentare o diminuire la forza di attrazione che ha con la superficie su cui si muove in base alla necessità. Abbandoniamo ora il modello chimico fisico, trattiamo il nostro problema in termini di forza di legame. Legame di tipo ionico avviene perché i due elementi risultano esser due ioni, nasce una forza di attrazione che dipende dalla forza attrattiva, la quale varia con la distanza fra i nuclei, aumenta man mano che avvicino gli atomi. Avvicinandosi anche i nuclei, che però son positivi, essi tenderanno a creare una forza di repulsione, la quale possiede una legge differente da quella attrattiva; quando le due forze si eguagliano, il sistema si dice in equilibrio, la distanza a cui si realizza tale equilibrio viene detta distanza interatomica. Configurazione di equilibrio stabile. Da un punto di vista modellistico posso trattare ogni legame all’interno di un componente come due corpettini attaccati ad una molla, questo spiega il perché tutti i materiali metallici si deformano, anche leggermente, ma quasi sempre in maniera elastica. Quando applichiamo un carico ad un materiale, finché il carico non rompe il legame ionico, il materiale si opporrà in maniera elastica. Conviene ragionare in termini energetici di legame, quella rossa è l’energia associata a quel tipo di legame, il sistema trova la condizione di equilibrio nel punto che corrisponde alla minima energia, quando perturbiamo il sistema, ci si sposta da questo punto, quando molliamo il carico però, il sistema torna indietro nel punto di minima energia. Perché i materiali esistono in stato differente? A noi interessano stato liquido e solido, cosa permette il passaggio dallo stato liquido al solido? La temperatura, la T (di cui conosciamo il limite inferiore (0 assoluto)) comporta l’agitazione molecolare, a una determinata temperatura gli atomi non son fermi l’uno rispetto all’altro, ma hanno un’agitazione termica e mediamente quello che otteniamo è la distanza interatomica di equilibrio, di conseguenza, la distanza interatomica che conosciamo noi è la distanza media fra i due atomi tenendo conto dei movimenti relativi causati dalla temperatura. L’aumento di T aumenta l’energia cinetica associata alla molecola, lo 0 assoluto è la temperatura minima, in corrispondenza della quale l’energia cinetica associata all’agitazione termica è nulla, gli atomici son perfettamente nulli, è per questo che rappresenta il limite inferiore perché se si andasse sotto, gli atomi dovrebbero assumere una vibrazione praticamente immaginaria; aumentando la T, aumentiamo l’energia cinetica di tutti gli atomi, ci focalizziamo su due parametri fondamentali, il coefficiente di dilatazione termico e la temperatura di fusione: la T in corrispondenza della quale l’energia cinetica associata alla vibrazione termica eguaglia l’energia di legame, se le energie sono uguali, per il materiale è indifferente rimanere compatto o lasciare più liberi gli atomi, se saliamo anche solo leggermente rispetto a Tfusione, il materiale diventa liquido e può assumere la forma del recipiente che lo contiene, se scendiamo, l’energia di legame è maggiore dell’energia cinetica e allora si consolidano i legami. Materiali caratterizzati da energia di legame molto alta avranno una T di fusione piuttosto elevata in quanto sarà più difficile fornire così tanta energia termica da pareggiare l’energia di legame. Con l’aumento della temperatura gli atomi si iniziano a muovere intorno alla posizione di legame, se la temperatura aumenta, macroscopicamente vediamo il materiale più grande perché la distanza interatomica mediamente è più grande (per esempio in saldatura i pezzi aumentano di volume), se la temperatura si trova in corrispondenza dello 0 assoluto osserviamo il volume minimo del materiale. Maggiore è l’energia di legame minore è la rigidezza e l’oscillazione dovuta all’agitazione termica (coefficiente di dilatazione termica minore). Materiali caratterizzati da elevata energia di legame avranno un coefficiente della retta carico applicato-variazione di lunghezza più alto, a parità di forza si deformano meno. I materiali ceramici son caratterizzati da legami ionici e covalenti, elevata energia di legame, caratterizzati da alta T di fusione, valori modulo elasticità più alti, coefficienti di dilatazione bassi, materiali polimerici caratterizzati da legami ad energia minore, piccola T fusione, piccoli valori per i moduli di elasticità, elevati coefficienti di dilatazione, i materiali metallici si posizionano in una zona intermedia, è per questa che hanno avuto tutta questa importanza. Un corpo sarà formato da molti atomi, ha senso quindi andare a ragionare sulla disposizione che essi andranno ad assumere nel materiale, le possibilità son principalmente due: il reticolo cristallino regolare oppure una disposizione irregolare o amorfa, la prima corrisponde all’energia minima perché atomi disposti in modo da garantire la condizione più stabile, ad una struttura amorfa non è associata la configurazione di equilibrio, questo perché nella fase di solidificazione non gli è stato dato il tempo necessario per solidificarsi e raggiungere la configurazione di equilibrio; tipologia amorfa tipica dei materiali polimerici, i metallici hanno la struttura regolare, più o meno grande in base alla velocità di raffreddamento. I polimerici è difficile che forminoformano reticoli regolari, la struttura cristallina è di tipo amorfa, non è associata la minima energia allora ciò comporta l’elevata deformabilità. Esistono quattro tipologie di reticoli cristallini: cubico, cubico a corpo centrato, cubico a facce centrate, esagonale. Lo stesso materiale, a seconda del processo industriale subito, può presentarsi con reticoli differenti. La deformazione plastica è correlata allo scorrimento lungo i piani di scorrimento. I materiali metallici hanno qualche caratteristica particolare: sono omogenei (densità uniforme su tutto il materiale), isotropi (caratteristiche meccaniche indipendenti dalla direzione dell’applicazione del carico); i materiali perché sono isotropi? Prendiamo un cubetto con un reticolo cubico a facce centrate, una tipologia che si genera spesso negli acciai, chiaramente la distanza fra due atomi posti in diagonale e due atomi posti sullo spigolo del cubo sarà differente, ciò implica anche la differenza dell’energia di legame che caratterizza questi legami, quello più corto avrà energia di legame più bassa rispetto all’altro. Lungo i lati allora il modulo di elasticità sarà minore di quello sulla diagonale: se provo ad applicare una forza di trazione lungo la diagonale, il reticolo si allunga in quella direzione, siamo in grado di ricavare il modulo di elasticità (coefficiente della retta che descrive la relazione fra forza applicata e deformazione) 273, se perturbo lungo uno spigolo perturbo solo due atomi, mi aspetto uno spostamento maggiore e quindi un coefficiente angolare della retta minore (125 Gpa) → allora il reticolo cristallino è anisotropo. La deformazione che subisce il materiale in conseguenza a sforzi di taglio, atomi superiori si spostano e tendono a portarsi dietro quelli inferiori e adiacenti, portando alla condizione deformata associata agli sforzi di taglio, quella di sx è quella che porta alla deformazione plastica. Come è possibile allora che i metallici abbiano comportamento isotropo? Questo fatto si verifica perché all’interno dei materiali metallici abbiamo tanti grani cristallini (singoli cristalli che macroscopicamente vediamo separati da quelli adiacenti), se li zoomiamo, vediamo diverse aree diverse ognuna composta da tanti reticoli cristallini orientati casualmente, le direzioni dei reticoli son diverse. Alcuni grani saranno caricati lungo gli spigoli e si opporranno alla deformazione col corrispondente modulo di elasticità, altri si opporranno al carico diretto lungo la diagonale, localmente avremo una disomogeneità della distribuzione dei carichi, globalmente invece abbiamo un comportamento isotropo del materiale: infatti il fatto che ogni reticolo ha un’orientazione differente fa sì che globalmente è come se il materiale fosse isotropo. Il modulo d’elasticità complessivo del materiale non è altro che la media statistica dei moduli d’elasticità pesata sulla probabilità di avere il carico diretto in specifiche direzioni (la media per gli acciai è circa 206 GPa). Come si genera una struttura a grani cristallini? I materiali si formano per effetto di solidificazione, in natura è impossibile garantire che all’interno del volume occupato dallo stato liquido ogni punto abbia la stessa temperatura, c’è una certa variabilità nelle temperature puntuali, in quei punti in cui si raggiunge la temperatura necessaria per la solidificazione, nasceranno i primi reticoli cristallini, chiaramente saranno orientati casualmente (geminazione), man mano che si va avanti avremo la formazione di altri piccoli reticoli e l’accrescimento di quelli già formatosi. Dato che i primi reticoli son immersi in molto liquido è possibile che si fondano con altri (per esempio a causa del movimento), ad una certa non c’è più iniziamo a deformare i reticoli regolari perché dopo un po’ le dislocazioni sono tutte arrivate ormai al bordo grano. È per questo motivo qui che i materiali metallici che presentano dei difetti interni al reticolo sono poi incrudenti. Provino bloccato ci applico una forza, il materiale si allunga e cambia la sezione, resta una deformazione elastica perché se mollo il carico torna indietro. Il carico dato si è ridistribuito su tutti i grani ma non è riuscito a far muovere alcuna dislocazione; se supero un certo carico, in alcuni grani movimento le dislocazioni e il grano si deforma definitivamente quindi se mollo il carico avrò ritorno elastico analogo a quello di prima come rapporto fra forza e spostamento, però i reticoli cristallini che hanno subito la deformazione plastica non tornano alla vecchia configurazione; dato che via via le dislocazioni diminuiscono, se vorrò modificare ancora di più plasticamente il materiale dovrò applicare carichi sempre maggiori. Dopo la prima deformazione elastica (lineare), la deformazione plastica non segue un profilo lineare ma curvilineo salvo poi ritornare alla configurazione iniziale percorrendo a ritroso una retta con la stessa pendenza di quella tipica della deformazione elastica. Proprieta meccaniche Creiamo dei modelli matematici basati su teorie che partono da ipotesi di base verificate e ragionevolmente realistuche, per usare sti modelli occorrono parametri determinati sperimentalmenmte. Ci interessa capire il legame costituitivo, come il materiale si deforma per effetto di carichi, questo fatto rappresenta la base di qualsiasi modello sperimentale. A noi interessa il comportamento meccanico dei materiali, per determinare queste caratteristiche vengono pensati dei test sperimentali molto diversi fra loro, ma che hanno in comune una cosa: il fatto che si cerca di semplificare il test e di renderlo ripetibile, se si seguono degli schemi, sullo stesso materiale dobbiamo trovare ogni volta gli stessi valori, i dati della sperimentazione devon essere elaborati in modo da ricavare solamente le informazioni che ci servono riguardo il materiale che stiamo analizzando, per far ciò dovremo fare delle operazioni matematiche che permettono di estrapolare le infromazioni che ci interessano ossia le caratteristiche meccaniche del materiale in analisi. Una prima classificazione dei test che si posson fare su un materiale riguarda la modalita di variazioìne dei carichi applicati nel tempo: in maniera lenta (dura qualche minuto il test), in maniera rapida, o puo variare con una legge periodica. Ognuna di queste modalita di applicazione del carico serve per caratterizzare aspetti diversi del materiale. Prove quasi-statiche (per esempio la prova a trazione) servono a caratterizzare il comportamento statico del materiale, i carichi son estremamente statici nel tempo, si puo pensare a successivi stati di equilibrio del materiale, ognuno dipende dalle caratteristiche del materiale e del carico applicato, dovremo soddisfare le due caridinali della statica, se non son soddisfatte non giungo all’equilibrio. In altri casi, prove dinamiche, andiamo a variare in modo repentino i carichi, in questi casi entra in gioco la distribuzione di massa del componente, entrano in gioco sistemi dinamici. Un esempio è la prova effettuata col pendolo di Charpy, misura la capacita del materiale di resistere agli urti, con la prova dinamica caratterizziamo la tenacita, la capacita di resistere agli urti. Altri campi son legati al fenomeno della fatica, come un materiale, sottoposto a carichi ripetutti e periodici, resiste alla rottura; fenomeno della fatica, un materiale sottoposto a carichi costanti e periodici più piccoli del carico massimo può arrivare comunque a rottura. Queste son prove caratterizzate dal valor medio della forza applicata e dall’oscillazione periodica che indica il modo in cui applichiamo il carico fra il punto di max e di min, non è importante la frequenza dei carichi quanto il numero di cicli che il nostro materiale ha subito. Infine esistono anche i test per lo studio del comportamento del materale se sottoposto ad alte temperature (test di creep), il provino pur mantenendo lo stesso carico tendera ad allungarsi di piu. Noi ci soffermiamo su prove statiche (variazione del carico molto lenta), la variazione del carico, pur sempre lenta, ha comunque effetto sulla deformazione. Il materiale reagisce ai carichi in modo differente ai carichi in funzione di come esso viene applicato. Questo aspetto lo si vede particolarmente bene nei test a trazione; prendiamo il grafico a dx, sullle ascisse troviamo il valore della deformazione ingegneristica, sulle ordinate il carico applicato (stress ingegneristico). Le curve sono il luogo geometrico degli stati di equilibrio in cui si è trovato il provino durante il test. Legge di variazione temporale del carico è diversa: nel rosso l’ho variato lentamente, epsilon punto è la velocita di variazione del carico, la blu è la stessa prova ma effettuata con diversa velocità di variazione del carico (piu veloce), le curve non son sovrapposte. Se il carico è applicato velocemente, per ottener la stessa deformazione ho bisogno di piu carico, il materiale si oppone piu fortemente al carico. Un’altra cosa che si nota è l’andamento tipico di un processo di deformazione plastica, abbiamo una prima zona in cui il provino si allunga, se togliamo il carico, il provino ritorna alla configurazione iniziale seguendo la stessa retta con cui si era deformato (campo lineare), non deformiamo ancora plasticamente il materiale, se superiamo il carico di snervamento, il materiale non ha piu legame lineare fra carico e deformazione (campo plastico), immaginiamo ora che io carichi il provino e poi lo molli, il materiale non risegue la stessa curva, il materiale segue un’altra curva e torna in condizioni scariche, ma non in posizione 0, in un’altra, la traslazione sulle ascisse rappresenta la deformazione plastica permanente subita dal materiale a seguito del processo, il provino ha una nuova forma. Se vado a riapplicare un nuovo carico sullo stesso provino, il provino inizia a deformarsi dal punto in cui ha traslato, l’iniziale deformazione elastica parte da quel punto, avrà comportamento elastico finchè non si ritorna alla linea di sforzo e deformazione della deformazione precedente, è successo incrudimento. Dobbiamo tornare allo stato in cui abbiamo lasciato il provino nella trazione precedente e poi applicare carichi maggiori per rideformarlo ancora plasticamente, questo perché alcune dislocazioni se ne sono andate in corrispondenza dei bordi grano durante la prima trazione. Se prendo un provino nuovo e faccio la prova complessiva ho rottura, se faccio invece la prova ripetuta, ho un provino che ha migliorato le proprie caratteristiche meccaniche, ma l’allungamento a rottura è più piccolo perche il materiale mantiene in sé il ricordo dei carichi che ha subito. Diviene necessaria una distensione per riportarlo alle caratteristiche iniziali. Normalmente i materiali son cartterizzati in fragili, materiali che una volta che escono dal campo elastico arrivano a rottura quasi immediatamente (ceramici), caratterizzati da piccolo allungamento a rottura, campo di plasticizzazione piccolo, tenacità bassa, reagisocono molto poco a un urto, ma carichi molto elevati; duttili, materiali classificati come materiali che hanno la possibilita di esser molto deformati plasticamente, allungamento a rottura grande, caratteristiche meccaniche peggiori dei fragili (sopportano meno carichi). Lo stesso materiale, a seconda della temperatura passa da comportameto fragile a duttile, più vicini siamo alla temperatura di fusione più il comportamento è duttile. Esiste la temperatura di transizione che è quella che identifica il passaggio da comportamento macroscopico fragile a duttile, tutti i materiali passano da comportamento fragile a duttile e ognuno ha temperatura di transizione propria, di cui dobbiamo tener conto in fase di progettazione (problema del Titanic, dimensionamento fatto come se fosse materiale duttile, ma in condizioni operative i materiali passavano ad un comportamento fragile a causa della temperatura bassa). A seguito di un urto si è innescato una cricca il materiale fragile non si oppone alla cricca, il materiale duttile, essendo incrudente, tende a opporsi alla diffusione della cricca . Pendolo di Charpy serve a misurare la tenacità del materiale. Prova di trazione, prova principe per la caratterizzazione di un materiale. Prova quasi statica, completamente normata, si realizza un provino del materiale che vogliamo testare, esso deve avere delle specifiche caratteristiche perché io voglio che sia indotto uno stato tensionale particolare dove avviene la rottura, tensione omogenea sulla sezione e indipendente dal sistema di ancoraggio degli estremi del provino sulla macchina di trazione, la forma richiesta viene detta a osso di cane, sezione resistente piccola e uniforme per un tratto l0, non è tanto importante la lunghezza totale del provino quanto piuttosto il rapporto geometrico fra le grandezze: lunghezza del tratto calibrato e l’estensione della sezione resistente. Esistono due grandi categorie di provini: provino cilindrico (usata per materiali metallici) e provino a sezione piana (per materiali ceramici)(rettangolare), quello meglio è quello cilindrico perche essendo assil simmetrico, noi che applichiamo carichi assial simmetrici non ne modifichiamo la forma, infatti alla fine della lavorazione il provino sara ancora cilindrico e le tensioni sulla sezione saranno più uniformi, il provino rettangolare, non essendolo, non subisce deformazione assial simmetrica, si deforma e assume una forma schiacciata nel mezzo e più larga ai lati. Provini rettangolari son realizzati perché io per esempio non riesco a realizzare provini cilindrici con diametri 0.8mm (lamiere campo automotive), si rendono necessari quindi provini non per forza cilindrici. Il provino deve garantire una geometria qualunque, ma anche un rapporto fra le grandezze, l0 lunghezza tratto utile del provino (sezione resistente omogenea al carico) e a0 sezione provino. I sistemi di ancoraggio son dei più vari, per esempio teste filettate sulle quali avvito il provino, la distanza dei sistemi di ancoraggio dal tratto di misura l0 è importante, nella sezione resistente deve esserci uno stato tensionale costante noto che dipende dalla risultante delle forze (F/A), questa condizione si verifica solo se gli estremi bloccati del provino sono molto lontani dalla zona di misura perché a seconda della tipologia di ancoraggio avremo zone e stati tensionali differenti è anche vero però che ad una certa distanza dalla zona di applicazione del carico gli sttai tensionali non dipendono dalla distribuzione del carico, ma dalla sola risultante delle forze, la geometria a forma di osso garantisce questa distanza. In ogni istante siamo in grado di detrminare la risultante delle forze applicate che si genera con l’aumentare del carico. Le prove di trazione son fatte in controllo di spostamento, quello che facciamo è imporre una deformazione dimensionale e a seguito dello spostamento misuriamo la forza generata, non controlliamo la forza, controlliamo lo spostamento in modo che si sia capaci di vedere anche spostmenti oltre gli sforzi a rottura. Noi non sappiamo quello che succede internamente al provino, conosciamo solo allungamento e risultante delle forze applicate, quindi facciamo in modo che le forze applicate (sopra e sotto) siano allineate in modo che la risultante dei momenti sia nulla, facciamo in modo che ci sia solo la risultante delle forze (quindi solo sforzi a trazione), in questo modo riesco a dire che la tensione applicata sulla sezione del provino è costante su tutta la sezione. Se la tensione è costante su tutta la sezione allora tramite questo integrale riesco facilmente a calcolare la risultante delle forze. Forza esterna equilibrata dalla distribuzione delle tensioni sulla sezione, mi aspetto che la tensione sia uniforme sulla sezione, allora risolvo anche l’integrale e riesco a conoscere sigma tensione sulla sezione. Non abbiamo la accade in ogni istante all’interno del provino, quello che a noi interessa come curva del materiale, la curva sperimentale allora si modifica e determino la curva nera, diversa, senza punto di massimo ( difficile trovare l’UTS). Approssimiamo la curva reale con un andamento esponenziale, data la curva sperimentale la si approssima con una curva esponenziale che ha la forma sigma=kappa epsilon alla n. Comportamento di flusso plastico è caratterizzato da due costanti per ogni materiale: resistenza k, l’altro è l’esponente (coefficiente di incrudimento), il suo valore è correlato all’incrudimento. (questa formula valida solo nel campo plastico uniforme, il nostro campo di interesse è quello perché tanto io non voglio arrivare a strizione). N misura l’incrudimento caratteristico di ciascun materiale, n=0 materiale non incrudente, il materiale ha raggiungo il massimo della resistenza. Per n>0 comportamento incrudente, maggiore è n, all’aumentare della deformazione plastica vedremo un aumento della tensione di snervamento del materiale. Curva di flusso plastico può esser pensata come il luogo geometrico di tutti i carichi di snervamento che può avere il materiale a seguito delle deformazioni plastiche, ovvero potremmo pensare che se vado a deformare il materiale ed esso è incrudente e lo deformo nel campo plastico uniforme, quel materiale mantiene il comportamento elastico ma fino ad un carico di snervamento maggiore (ce lo dice la formula il valore preciso) (slide 31, 32, 33; Mechanical properties) (?) Comportamento fragile duttile non è una caratteristica dei materiali, dipende dalla temperatura, all’aumentare di T succede che andiamo verso la condizione di cambiamento di fase (liquido) non resiste più alle tensioni applicate, prova di trazione su materiale liquido non si può fare, all’aumentare di t si vede una diminuzione dei carichi di snervamento e una crescita dell’allungamento a rottura, si nota il comportamento duttile, l’aumento di temperatura rende più duttile un materiale (diminuzione caratteristiche meccaniche, diminuzione incrudimento). A tutte le T i metalli oppongono più resistenza quanto piu velocemente si effettua il test (applichiamo il carico), nel grafico è riportato il valore di una grandezza di un materiale (potrebbe essere il carico di snervamento) al variare della velocità di deformazione. L’incremento della resistenza alla velocità di deformazione diventa più elevato a temperature elevate piuttosto che a t ambiente. Quando si effettuano lavorazioni a caldo c’è da stare attenti allo strain rate perché influisce pesantemente sui carichi di snervamento. Piccole variazioni della velocità di deformazione vanno variare molto di più il carico di snervamento se lavoriamo a temperature elevate. Modelli… di comportamento… se ho la prova di trazione ho a disposizione tutti i dati della curva e la posso interpolare e trovare una descrizione matematica del comportamento meccanico del materiale che è elastico lineare e comportamento di flusso plastico esponenziale nel campo di deformazione plastica uniforme. Se non li ho devo semplificare la formulazione del modello descrittivo del comportamento del flusso plastico, se l’influenza degli aspetti che vado a trascurare nelle mie semplificazioni non è grande posso usare queste semplificazioni pur avendo l’intero grafico stress-deformazione. Quali sono i modelli di flusso plastico che posso ipotizzare? Comportamento di flusso plastico rigido perfettamente plastico, rigido perché modulo di elasticità infinito, fintanto che non superiamo il carico di snervamento il materiale non si deforma (è rigido) nel momento che arriviamo alla tensione di snervamento lo possiamo modificare quanto vogliamo senza dover innalzare il carico (comportamento perfettamente plastico). Il secondo è più realistico, comportamento elastico perfettamente plastico, prima parte comportamento elastico, arrivati allo nservamento l carico non si modifica più (materiale non incrudente) che rimane costant e pari al valore individuato. Il terzo modello è un comportamento rigido, plastico lineare supponiamo che il comportamento plastico può esser descritto con una legge lineare; l’ultimo modello è un modello elastico lineare plastico lineare. Elastico plastico esponenziale; questi sono i modelli a cui faremo riferimento. Si applicano quando descrivono bene ingegneristicamente il comportamento del materiale. Il primo lo potremo utilizzare quando abbiamo E molto elevati, allungamento a rottura molto elevato, materiale non incrudente. Produce gli stessi risultati che otterrei utilizzando un modello corretto di grafico stress-deformazione. Tutti i processi di deformazione a caldo posson esser descritti da questo modello perché i materiali metallici deformati a caldo hanno E alto, alto allungamento a rottura ecc. viceversa a t ambiente i metalli hanno allungamento a rottura basso (rapporto fra parte plastica e parte elastica non è molto lontana da 1), deformazioni plastiche a freddo vanno trattate con modelli elastici che potranno essere plastico incrudente o meno a seconda del comportamento del materiale. Tensioni residue sono una condizione interna al materiale di equilibrio, pur non essenso sottoposto a carichi esterni applicati, il materiale risulta soggetto a una distribuzione di tensioni interne tale da garantire risultante e momento risultante uguali a 0, il corpo quindi è comunque in equilibrio, localmente però è tensionato, queste tensioni residue si vanno a sovrapporre alle tensioni dovute ai carichi esterni. Se il materiale viene fortemente stressato, se presenta tensioni interne, può arrivare a rottura anche con carichi minori di quello caratteristico di rottura. Trattamento termico di distensione per risolvere il problema. Spesso le tensioni residue son volute: migliorano certe proprietà meccaniche, se ho tensioni interne di compressione per esempio, tali materiali sarà preferibile che siano sottoposti a trazione perché localmente le tensioni interne riducono la tensione. In generale son comunque negative: supponiamo di avere una tensione come in figura gialla, le tensioni nascono perché realizziamo componenti tramite deformazione plastica, se non andiamo a snervare uniformemente il materiale si creano le tensioni; se post-deforfmazione devo fare un’asportazione di truciolo, asportando il materiale io vado a modificare la quantità di materiale su cui si distribuiscono le tensioni (la conseguenza è che la risultante dei momenti e la risultante delle forze divengono diverse da 0), per ripristinare l’equilibrio, la configurazione delle forze esterne dovrà cambiare, ma ogni volta che queste si riorganizzano vengono introdotte delle nuove tensioni. Durezza: descrive il comportamento del materiale rispetto alla penetrazione di un altro componente, la durezza è la quantità che misura la capacità del materiale di resistere alla penetrazione di corpi estranei; i test di durezza son tutti test non distruttivi, si basano sull’andare a deformare plasticamente solo una piccola parte del componente in analisi; prendiamo un penetratore (di forma diversa; per esempio nel test della durezza Brinnel è sferico) di materiale più duro di quello da testare; il penetratore viene poggiato sulla superficie, si applica un carico tale da deformare plasticamente il materiale, sulla superficie esterna resta un impronta del penetratore una volta che mollo il carico; andando ad analizzare il rapporto fra la forza applicata e l’impronta siamo in grado di ottenere un parametro che caratterizza la durezza. Hr → durezza Rockwell, un po’ diversa dalle altre, le altre son prove indirette: calcoliamo la durezza andando ad analizzare l’impronta lasciata dal penetratore, il test Rockwell invece ci permette di determinare la durezza direttamente dal test, misura l’altezza con cui il penetratore è entrato nel materiale e da essa determina un valore di durezza. Penetratore sia a forma di piramide che di sfera Le Prove di durezza son importanti perché non distruttive, posson esser fatte anche come verifica dopo aver lavorato il materiale. La Prova Brinnel è la prova che permette di misurare una durezza media di tutto il materiale. Affinché la prova sia valida bisogna misurare prima che l’impronta sia compresa in questi due valori 0.4d e 0.6d, dobbiamo avere poi un provino con uno spessore almeno pari a 8*h, 8 volte garantiscono che la deformazione plastica sia completa, altrimenti materiale che in determinate condizioni di carico si sarebbe deformato, non lo fa perché manca materiale. Durezza Knoop serve a misurare durezze molto localizzate, queste prove servono a misurare le durezze superficiali di un componente. Durezza Vickers permette di andare a misurare quello che accade sulla superficie più esterna del materiale. Passare dai vari parametri della durezza non è banale, esistono tabelle di conversione utilizzabili per avere una conversione fra i valori piuttosto grossolana. La prova Brinnel risulta esser interessante perché si verifica che risulti proporzionale al carico UTS con un coefficiente k che varia, coefficiente abbastanza noto, nel caso in cui non si abbiano info sul materiale, conviene fare una prova Brinnel e andare a recuperare il valore UTS. Oltre a ciò, tale test di durezza può servire a determinare il limite a fatica di un materiale, la distribuzione delle tensioni residue o magari il carico di snervamento. (acciai), no necessità di usare protezioni da gas, l’elettrodo fornisce sia il materiale d’apporto che la protezione, si può saldare sott’acqua ed è poco sensibile al vento, la dimensione dell’elettrodo è importante perché ci permette di raggiungere posizioni difficili; le limitazioni sono che: dopo un certo tempo si rende necessario cambiare l’elettrodo, necessita pure di pulire la scoria (questo abbassa sensibilmente la produttività), per questi due motivi diventa molto difficile da automatizzare, oltre a questi difetti presenta velocità di deposito più bassa di altri processi e non è applicabile a metallico bassa temperatura di fusione. Si può stimare la velocità che l’operatore deve tenere durante il deposito del cordone, legata alla geometria del cordone, fissata la potenza, conoscendo il calore di liquefazione posso andare a calcolare quanto elettrodo mi si scioglierà, la velocità determina la larghezza del cordone depositato, è facile che le geometrie non siano costanti, esse dipendono anche dalla distanza che l’operatore mantiene dal campo di lavoro. Efficienza notevolmente elevata (70-80%). Più mi allontano dalla superficie più il cordone è largo, questo perché l’arco elettrico non è un fulmine, non è puntiforme, tende ad essere un cono, più son vicino meno è la zona “illuminata” la zona (l’area dove casca il materiale è piccola). Si creano delle gocce, la tensione superficiale fa sì che le gocce non si distacchino subito dall’arco, quando le forze elettro-magnetiche superano le forse superficiali le gocce cascano sui materiali da saldare. Quando lo spessore degli oggetti da saldare è grande a me conviene fare più di un cordone piuttosto che fare un unico grande cordone, se andassi troppo piano rischierei di dare troppo calore al componente fino a bucarlo, soprattutto se si tratta di lamiere sottili. Passaggi non fatti a caso, si parte dal centro e si esce verso l’esterno, si inserisce un pezzo sopra uno sotto uno sopra ecc., questo perché quando il cordone solidifica esso tende a diventare più corto, la saldatura inserisce sempre delle deformazioni, si alterna sopra-sotto per controbilanciare le deformazioni date dalla solidificazione del cordone. Nonostante non sia deformato, la saldatura lascia comunque delle tensioni residue, il giunto per questo è meno resistente rispetto ai componenti saldati. Fondamentale sistema di protezione, i moderni usano cristalli liquidi per capire quando è in corso la saldatura, ciò oscura le maschere per proteggere gli operatori; le emissioni di gas, per esempio quando si lavora con acciai inox (contengono cromo e nichel), posson essere davvero pericolose. Difetti dati dalla saldatura: porosità, si posson creare nel bagno di saldatura delle bolle, ci son tali problemi quando la superficie non è perfettamente pulita, superfici “sporche” di lubrificante anti-ossidazione vanno incontro a tale problema, il lubrificante, quando incontra materiali a temperatura di fusione, vaporizza, creano dei gas che posson creare delle porosità, il giunto deve esser mantenuto pulito; altri posson essere problemi legati alla scelta dei parametri elettrici, possiamo incorrere in una fusione incompleta, il materiale può non avere abbastanza energia per fondere il substrato, l’altro lato della medaglia è che il materiale abbia troppa energia e vada a fondere completamente il materiale da saldare. L’ultimo, il più importante è la distorsione, abbiamo riempito una geometria di materiale a caldo, ma la geometria tende a chiudersi post-solidificazione. Gas tungsten arc welding, (GTAW) → Permette di avere maggior controllo, non ha bisogno di rivestire l’elettrodo, ma usa direttamente per la protezione un gas inerte (a base di argon, molto puro, a volte si usa l’elio), ogni tanto introduco della CO2 miscelato con l’Argon per far sì che sia facilitata la scocca dell’arco, tensioni più basse alle quali scocca l’arco, la protezione si riduce leggermente perché la CO2 è abbastanza reattiva. Non ho necessità di pulire la scoria, l’arco lo faccio scoccare fra un materiale altofondente (il tungsteno) e il mio pezzo. Tengo l’arco sempre acceso fra un elettrodo infusibile (tungsteno) e il mio pezzo, la tensione fa scoccare l’arco, sotto l’arco manualmente inserisco il materiale di fusione, l’operatore da una parte ha una torcia che genera l’arco (genera calore), dall’altra una bacchetta che metto sotto l’arco per far fondere il materiale. Nasce per disaccoppiare quella che è la gestione dell’arco (distanza torcia-pezzo) e la velocità con cui si fonde il materiale, con la distanza torcia pezzo regolo i parametri elettrici, con una mano quindi controllo i parametri elettrici, con l’altra controllo quanto materiale vado a fondere; processo usato per materiali difficili da saldare (alluminio). L’arco elettrico genera il cono che poi va a fondere sia il materiale d’apporto che quello su cui vado a depositarlo Elettrodo tungsteno, t-fusione molto alta, quindi non è che è infusibile, ma ha una temperatura molto alta a cui non si arriva durante il processo, per questo motivo si può considerare non consumabile. Questo metodo rappresenta un tipo di saldatura di alta qualità, la protezione a gas fa sì che non si debba pulire la scoria e quindi il cordone è molto più di qualità. I vantaggi che questo processo permette di avere son vari: saldature di qualità (settore aerospaziale ed industrie nucleari), processo molto facile da automatizzare (alimentazione continua o no), permette di saldare senza l’uso del materiale d’apporto, posso anche non usare metallo d’apporto, processo molto flessibile perché controllo indipendentemente arco e materiale d’apporto, molto usato per fare il primo cordone della saldatura (quello più complicato), processo che si può applicare in ogni posizione e per ogni applicazione, un’ultima peculiarità è che sto processo permette di saldare anche i materiali più reattivi come ad esempio il tungsteno. Le limitazioni sono le seguenti: si rende necessario un saldatore abile, processo più costoso rispetto all’arco rivestito, il problema più grosso è rappresentato però dal fatto che non posso saldare all’aperto in condizioni molto ventose, infatti, verrebbe meno la protezione sufficiente data dai gas inerti alla zona di saldatura. PAW o plasma welding, saldatura a plasma → simile alla saldatura a tungsteno, ma l’ugello è diverso, restrizione nell’arco, arco più concentrato, questo fa sì che la densità di potenza sia molto più alta, anche questo usa la protezione a gas e raggiunge temperature più alte. Può esser usato senza materiale d’apporto (saldatura altogena), si può usare poi un filo oppure anche una polvere. Processo utilizzabile anche per tagliare il materiale dato che raggiunge temperature molto alte. Permette saldature di qualità e di precisione (industria elettronica), qualità molto buona, processo microplasma usato per lastre sottili, processo facile da automatizzare. Le limitazioni riguardano il costo molto elevato dell’attrezzatura, l’urgenza di avere un operatore che conosca molto bene il processo e la generazione di più radiazioni luminose e sonore. Gas metal arc welding (o MIG), non ho più arco elettrico che scocca con l’elettrodo di tungsteno, ma scocca direttamente con un filo di metallo con un filo di metallo che si consuma, via via che il filo di metallo si avvicina al pezzo la differenza di potenziale cambia fino a che non si arriva al punto in cui l’arco scocca e il filo si consuma, la lunghezza dell’arco rimane costante perché il filo avanza continuamente, processo facile da automatizzare, una torcia sola responsabile sia dell’arco elettrico che del materiale d’apporto, mi basta mantenere costante la distanza della torcia dal materiale da saldare. Nella maggior parte delle saldature fatte da robot si utilizza questa saldatura, è diventata anche la saldatura predominante all’interno delle aziende. Non c’è formazione di scorie, non devo ripassare sul cordone per rimuovere la scoria, qua abbiamo gas che si allarga intorno alla zona di saldatura (gas inerte). Sufficiente tenere costante la distanza fra la torcia e il componente da saldare per rendere costante la lavorazione. Le macchine son più complesse, devono infatti gestire autonomamente l’alimentazione del filo, son macchine sinergiche ossia non lavorano a parametri elettrici e generici costanti, monitorano sempre la distanza torcia pezzo e altro per adattare i parametri, riescono a compensare magari errori di posizionamento dei pezzi da saldare; possono cambiare la velocità con cui entra il filo e i vari parametri per cercare di correggere gli errori. Esistono molteplici modalità di trasferimento del materiale dal filo al nostro substrato: la prima è la modalità a corto circuito, inizialmente fra il filo e il materiale scocca l’arco elettrico, esso si accorcia sempre di più perché il filo avanza, il filo comincia a sciogliersi, ma la velocità con cui si fonde è più bassa della velocità con cui scorre il filo, la prima goccia ancora non si stacca e arriva a contatto col materiale, si ha allora passaggio di corrente per conduzione (più elevato rispetto all’arco elettrico) allora si velocizza la velocità di fusione, la fusione risale lungo il filo, la goccia si stacca e il processo riparte. Un altro tipo di modalità si ha quando si utilizzano tensioni e correnti più elevate, le gocce si staccano velocemente e posson esser ottenute con modalità spray (alto a dx) o con modalità pulsata (basso a dx); un’ultima modalità è quella globulare in cui si crea una grossa goccia che rimane sospesa in cima all’arco fino a che la gravità non la fa collassare. Queste modalità si ottengono in differenti condizioni, quella dove la velocità di fusione è bassa si ottiene per bassi amperaggi e basse tensioni, la globulare per correnti basse, ma alte tensioni, la spray si crea per alti amperaggi e alte tensioni. Corto circuito e globulare hanno penetrazione piuttosto bassa. Processi più freddi sono a corto circuito, quelli leggermente più caldi riscaldare il materiale, prendo le superfici, le premo fortemente fra sé e ci faccio scorrere corrente. I pressori son di rame di solito e vengono raffreddati durante il processo. Quando passa la corrente si ha la fusione dell’interfaccia delle lamiere posta a contatto con l’altra lastra. Calore massimo si ha dove la resistenza è più alta, le lamiere non son mai piane, il contatto non è su tutta la superficie della lamiera, ma solo sulle creste allora si ha resistenza maggiore in quel contatto, si ha quindi fusione sull’interfaccia interna delle due lamiere pressate. Saldatura a punti; tempi molto rapidi (un paio di secondi) infatti la zona fusa è piccola ed è circondata da zone fredde quindi la solidificazione è molto rapida. Il difetto della saldatura a punti è che non è continua, non crea impermeabilità al passaggio di acqua o gas, su certe parti della macchina va bene, per tipo il tetto non va bene come cosa, ci deve essere uniformità del cordone. RSEW o resistance seam welding → non si usano pressori puntuali, ma pressori fatti come rulli, sto fatto limita l’accessibilità, il principio è lo stesso, ho bisogno però di zone dove i rulli posson scorrere tranquillamente. OFW o oxyfuel gas welding, saldatura a gas → tale processo fonde il substrato e applica il materiale d’apporto (quando c’è) per mezzo di una fiamma prodotta da una torcia di saldatura. Il metallo fuso del substrato e quello d’apporto si mischiano e son fusi fra sé durante la solidificazione. La fiamma si ottiene dalla combinazione di un mix di gas (ossigeno e gas combustibile), arriva a temperatura molto elevata. L’alimentazione del filo è indipendente, si controlla più facilmente. Il saldatore controlla l’apporto termico e la temperatura indipendentemente dal materiale d’apporto, l’attrezzatura versatile e non costosa, processo che può esser usato per una grossa varietà di operazioni, processi di distensione o pre-riscaldamento per esempio. Gli svantaggi riguardano il tasso di deposizione molto basso e il fatto che si perde molto calore perché la fiamma non è concentrata, ma anzi va a riscaldare un’area troppo amplia. Processi allo stato solido Non hanno bisogno di portare il materiale a fusione, specifici per processi e materiali (alluminio, alcune leghe erano considerate insaldabili). Stanno diventando fondamentali per materiali bassofondenti come l’alluminio, tali saldature portano il materiale ad uno strato semi-liquido sfruttando addizioni energetiche legate all’attrito, non alla temperatura. FRW o friction welding, saldatura ad attrito → Il calore viene apportato grazie all’attrito che abbiamo facendo strisciare un componente lungo l’altro e una forza esterna di pressione che fa compattare i materiali insieme. Quando raggiungo un valore di riduzione dell’altezza del componente sufficiente a poter garantire una certa resistenza del giunto mollo la forza di pressione e i due componenti rimangono uniti. Evitiamo problemi tipici delle saldature a fusione e la si usa quando a noi conviene comporre un pezzo tramite l’accoppiamento di due componenti molto più semplici. Vantaggi, temperature raggiunte sono più basse, zona termicamente alterata è ridotta, processo molto veloce, non necessita di una preparazione dei bordi da saldare, posso saldare materiali anche molto differenti, processo efficiente energeticamente. Limitazioni legate alla geometria, non tutte posson esser saldate. Processo non usabile per saldare ogni tipo di materiali, i materiali che non possono esser forgiati non son saldabili con questo processo. Alti costi d’impianto. FSW o friction stir welding → processo molto recente, usato per legare componenti di leghe leggere, usato molto in campo aeronautico; uso un perno di materiale resistente ad abrasione, calore ecc., lo spingo sul materiale da saldare finché non lo rende malleabile, entra nel materiale, lo plasticizza e lascia un giunto molto resistente; la resistenza del giunto è paragonabile alla resistenza dei pezzi saldati a differenza di qualsiasi altro tipo di saldatura, non altera termicamente il pezzo. Il processo mette accanto le piastre, l’utensile si muove lungo il contatto fra queste piastre e poi sale. Lascia un foro alla fine della saldatura, il processo termina in zone sacrificabili. Vantaggi: temperatura mantenuta bassa, salda anche materiali dissimili (alluminio e rame), no formazione di fumi e di radiazioni. Limitato ad alcune geometrie, non sempre è facile trovare utensili in grado di mescolare certi materiali. Flash welding → do un impulso di corrente che scalda le superfici da giuntare e poi applicando una forza le unisco, il riscaldamento delle superfici avviene tramite l’uso di un arco elettrico. EXW o explosion welding, saldatura esplosiva → Faccio impattare un materiale contro l’altro ad un’elevata velocità, regge perché i materiali si compenetrano, si creano delle onde che fanno tenuta, molto comodo per saldare materiali che non hanno alcuna compatibilità chimica. Usa la detonazione controllata in modo da portare una piastra in direzione dell’altra, l’urto è così forte che la faccia del materiale si comporta come un liquido pur non essendolo, legame metallurgico molto forte. Processo molto veloce, velocità indipendente dalla dimensione della piastra, si può saldare tutto. Basta mettere una piastra sotto l’altra e far detonare, costo basso, la difficoltà sta nel trovare gli esplosivi, proprietà meccaniche non cambiano, questo è l’importante, soprattutto quando si saldano materiali differenti, la gran limitazione sta nel fatto che si usano materiali molto pericolosi quali gli esplosivi. Post saldatura è come se fosse un materiale unico, non c’è interfaccia di saldatura. Brasatura, prendo due o più componenti che abbiano buone finiture superficiali e giochi controllati l’uno con l’altro, vado a deporre materiale da brasatura (costituito da polvere di materiale brasante, un po’ di trussante materiale che corrode il materiale da brasare in modo da favorire l’adesione del brasante ed infine un conservante) di solito si parla di pasta da brasatura che viene distribuita da macchinari o da siringhe. Una volta depositata la pasta si va a scaldare il componente, con fiamma (si cerca di usarne una che non contamina il bagno di brasatura, fiamme ad idrogeno). La pasta fonde, il materiale brasante di solito è caratterizzato da buona fluidità entra negli interstizi e funge da collante, molto forte perché è comunque un metallo. Non ha effetti sulla geometria e metallurgia dei componenti da giuntare. Estetica migliore Fusione Processo di fusione: il principio base è il passaggio del materiale per lo stato liquido, sono gli unici processi che danno la forma al componente passando dalla fase liquida. Io sciolgo il metallo, creo uno stampo (fatto con materiale alto fondente) e ci calo dentro il materiale liquido, infine aspetto che avvenga la solidificazione. Uno dei processi di più semplice attuazione. Una caratteristica di questo processo è che può esser realizzato per forme semplici o meno, può esser fatto per geometrie semplici o molto più complesse, l’importante però è il fatto che sia associato al concetto di complexity for free: il componente complesso non lo ottengo rapidamente, ma comunque non c’è un grosso aumento di costo se vado a produrlo, il vantaggio è che si possa alzare la difficoltà dei pezzi realizzati quasi senza preoccuparsi della spesa. Questo non avviene in tutti gli altri processi, la fusione è l’unico. Altri processi che si stanno sviluppando ora appartenenti a questo gruppo sono le varie stampe 3d. Svantaggi: caratteristiche meccaniche sono peggiori rispetto ad altri processi, il riscaldamento a cui va incontro il metallo resetta la storia meccanica del componente (compreso l’incrudimento), in uscita dal processo abbiamo materiale assolutamente non incrudito, presenta le sue caratteristiche naturali; non è un processo pulito: è facile che presenti porosità, bolle e scorie; presenta poi un effetto peggiorativo, accuratezza dimensionale non altissima, anzi, spesso si rende necessaria una lavorazione successiva; infine non mancano i rischi presenti all’interno dell’azienda, lavorare con metallo fuso spesso è molto più pericoloso. Vantaggi: complessità facile da raggiungere, permette di realizzare sia superfici/forme esterne che interne, si riescono a produrre parti estremamente grandi, spesso infatti è l’unica soluzione per componenti così grandi. Tali processi funzionano al meglio per lotti non molto grandi, quando si vuole una produzione di massa si preferiscono altri processi. Come si realizza la solidificazione? Il componente entra in fase liquida, si raffredda fino alla temperatura di fusione e solo a quel punto comincia la solidificazione, trasformazione durante la quale si mantiene costante la temperatura, finché il materiale non si è solidificato tutto, la trasformazione va avanti. La solidificazione definisce il tempo necessario per il processo (da qualche minuto a diverse settimane), avere un’idea del tempo necessario per il processo diventa importante in un’ottica di stima dei costi. Le caratteristiche del componente vengono alterate: più il materiale rimane ad alta T durante il raffreddamento più si favorisce la ricristallizzazione, i miei grani tendono ad accrescersi, questo comporta una buona malleabilità, ma una scarsa resistenza. Durante il processo non tutte le zone raffreddano ugualmente, i materiali hanno caratteristiche diverse fra “pelle” e “cuore”, le zone che raffreddano più velocemente son quelle esterne perché scambiano calore con lo stampo, molto più freddo del metallo fuso, verso il cuore la velocità di solidificazione diminuisce: questo perché una volta creata la prima barriera di metallo superficiale essa funge da isolante per le parti più interne. I grani di un componente realizzato da un processo di fusione son orientati casualmente e molto piccoli sul bordo, vicino allo stampo, e più grossi e colonnari orientati verso il centro se ci allontaniamo dal bordo. Questa struttura si ritrova in casi molto molto controllati. Via via che aumento lo spessore del pezzo da realizzare, il tempo di raffreddamento struttura già formata della sabbia compattata; estrarre il modello, anche se fatto con cura, raschia le superfici di sabbia; per ovviare al problema si introducono i cosiddetti angoli di sformo, il modello viene modificato introducendo superfici angolate al posto di superfici che sarebbero ortogonali al piano di divisione, in questo modo al momento dell’estrazione limitiamo al minimo l’attrito fra il modello e la parete sabbiosa. Far ciò assume particolare importanza perché se la sabbia casca sul fondo del modello la geometria del componente finale viene modificata abbondantemente, sul fondo noteremmo poi una mancanza di materiale perché si trova un eccesso di sabbia. L’estrazione prende il nome di scampanatura e il modello può esser realizzato con diversi materiali: il legno è il materiale più facile da lavorare, ma tende a deformarsi, il metallo è un po’ più costoso mentre la plastica è un giusto compromesso fra gli altri due. Quando faccio il modello lo posso fare intero (di legno magari) e lo metto all’interno delle due staffe, posso fare magari un modello scomponibile, vantaggio che posso fare le due staffe in modo indipendente le riaccoppio dopo averle già realizzate; si può usare poi la piastra modello, il nostro modello viene appiccicato sopra una piastra in modo da facilitare la compressione della sabbia, la sabbia di fatto è il coperto della staffa, posson esser presenti anche materozze e canali di colata già nella piastra in modo che poi io non debba andare successivamente ad implementarli. Cambia la complessità di realizzazione del modello, via via che aumentano i pezzi da realizzare conviene usare modelli più complessi, ma che mi garantiscono un risparmio in termini di tempo per la realizzazione. Altro approccio è quello della fusione in motta, accoppio la forma inferiore e superiore insieme, creo un treno di fusione, ho sistemi di pressione automatici (uso piastre-modello) creo panetti di sabbia compatta e li metto uno accanto all’altro, i panetti, che già all’interno presentano lo spazio che sarà riempito di metallo fuso, son messi uno accanto all’altro e permettono una certa semi-automazione del processo. Devono esser geometrie che riesco a fare senza operazioni dell’operatore, son oggetti che non presentano anime, non posso creare oggetti che richiedono interazioni dell’operatore. Il componente finito viene estratto smontando/rompendo lo stampo, viene posto su una tavola vibrante in modo da togliere gli ultimi residui di sabbia e la sabbia rimossa viene riutilizzata, non si butta perché costa molto, viene usata finché un sistema di controllo non mi dice che ha perso gli smussi e non può più esser funzionale per il mio processo. La sabbia deve esser resistente all’usura, deve avere buona permeabilità: non deve esser troppo densa in modo che i gas che si formano durante il processo possano uscire. Se non avessi uno stampo permeabile, tali vapori creerebbero delle bolle all’interno del mio pezzo solidificato; deve esser facile da collassare molto sgretolabile quindi, deve esser semplice da rimuovere dal componente. Sabbia silicea, quando i grani son piccoli riesco ad ottenere una finitura superficiale migliore, quando son grandi la forma è più resistente e cresce la permeabilità, ma la superfice è un po’ meno precisa. Per componenti piccoli si utilizzano sabbie a grani fini, per pezzi grandi la sabbia è più grezza, a volte conviene usare multi-sabbie, per coprire il componente si usa un tipo di sabbia sottile, per riempire la staffa si usa invece una sabbia più grossolana. Le anime creano dei vuoti all’interno del pezzo (cavità), son componenti in sabbia che vengono messe all’interno dello stampo e fanno sì che all’interno rimanga un vuoto post- solidificazione. Quando creo il modello esso deve esser totalmente pieno, (portate di anime integrate e angoli di sforo son modifiche del modello). Le anime son soggette ad alte temperature, sforzi ecc. son realizzate quindi con le sabbie migliori (quelle nuove appena arrivate in azienda). Alcune anime son armate: spesso vengono rinforzate, possono avere dei tondini di acciaio all’interno oppure presentare la lanterna, un tubo forato, fatto in acciaio, che permette di far passare il gas attraverso l’anima visto che è forata e quindi conferirle più resistenza. Le anime spesso son fatte di un mix di sabbia e polimero. Come posso realizzare questo pezzo qui? Come prima cosa cerco di individuare quale è il piano di divisione? quello che sceglierò per tagliare il mio componente in due parti è quello che mi permette di aprire poi le staffe più facilmente. Una volta inserite le anime, il mio modello non ha più la forma dell’oggetto che vado a realizzare, dovrà comprendere anche le portate di anima, deve comprendere quindi gli spazi che andranno riempiti una volta che vado ad inserire le anime. Lo stampo dovrà esser composto dalla somma di: geometria dell’oggetto finale e portate d’anima, le superfici a cui l’anima si appoggerà per non cascare. Vari aspetti da considerare: quando ho un componente complesso, l’attacco della fusione può avvenire anche in più punti, questo perché se il componente è grande cerco di avere più punti di ingresso per riempirlo il più velocemente possibile, se non facessi così, il materiale tenderebbe a solidificarsi dopo un po’ e potrebbe andare a costituire un tappo per la colata che ancora non è fluita, il problema si verifica maggiormente in zone strette, dove la solidificazione è più rapida (Problema di tempo). Il cono di ritiro si crea a causa della riduzione di volume in fase di solidificazione; la mancanza si ritrova nella zona che raffredda per ultima, una zona che sta solidificando attira il volume di metallo fuso che necessita dalle zone in cui ancora non c’è stata solidificazione, io devo fare in modo quindi che la materozza sia l’ultima a solidificare, per far ciò cerco di far in modo che il baricentro termico (zona che solidifica per ultima) si trovi fuori dal componente. In questo esempio la zona 4 sarebbe l’ultima a solidificare, tramite la materozza, io non devo proteggere tutte le zone, ma basta farlo per l’ultima che solidifica, inserendola faccio sì che la zona 5 sia l’ultima a solidificarsi. Io vado a dimensionare la materozza in modo che abbia rapporto volume-aria di scambio abbastanza grosso, così facendo innalzo il tempo di solidificazione e raggiungo il mio obiettivo. Piu Il modulo termico è piccolo, prima solidificano le zone, la solidificazione direzionale fa riferimento a questo indice. La materozza dovrà avere modulo termico superiore rispetto a quello della zona su cui è attaccata. Tendenzialmente le materozze hanno forma cilindrica, di conseguenza abbiamo la formula analitica per calcolarne il modulo termico, alcune materozze predefinite hanno addirittura il rapporto fra raggio e altezza già determinato. Il metallo contenuto nella materozza non la butto via poi, è materiale che può esser tranquillamente rifuso e riutilizzato. Si rende necessaria un’ulteriore verifica, devo verificare se la materozza ha volume di alimentazione sufficiente per nutrire la mancanza di volume che si viene a creare a causa del ritiro termico. La materozza non si svuota del tutto, un po’ di materiale deve rimanere, questo perché il suo svuotamento segue una legge conica sicché comunque un po’ di materiale resta (nella materozza si verrà a formare il cono di ritiro, ma ai lati del cono del materiale solidifica) si sa che la materozza può sfruttare solo il 14% del suo volume per nutrire le mancanze del pezzo. Alcune zone del componente in solidificazione non hanno necessità di esser protette, le zone di estremità sappiamo bene che solidificano per prime. Il raggio di influenza della materozza è pari a 3-7 volte lo spessore della sezione a cui è attaccata. Si avranno anche requisiti riguardo il posizionamento. E se una singola materozza non coprisse l’intero pezzo? Se ne usano due. Altre operazioni: trimming, taglio tutte le parti eccessive, materozze e canali di immissione, rimuovere le anime, effettuare trattamenti di pulizia superficiali (vortici di aria e sabbia), trattamento termico per ricreare la struttura cristallina che possiede la dimensione dei grani che mi servono. Processo molto energivoro, per esempio la preparazione del materiale (va fuso). Lo stampo si può non riempire completamente, questo può succedere perché si crea un tappo di materiale che può esser evitato alzando la temperatura, la cosiddetta temperatura di preriscaldo, l’inizio della solidificazione deve avvenire solo a partire da quando tutto lo stampo è riempito. Perché non si usano di default temperature molto alte? Perché come idea rappresenterebbe un impatto energetico troppo grande. Piu vado alto di T più poi impiego a far solidificare il componente. Tengo il preriscaldamento più basso possibile. La viscosità può rappresentare un ulteriore problema: se un materiale è troppo viscoso non riesce poi a riempire ogni piccola sezione. Un altro problema è rappresentato dalla presenza di bolle di gas all’interno del bagno di fusione, esse son date dai troppi agenti inquinanti che vaporizzano, tali agenti devono esser rimossi. Si utilizzano degli agenti scorificanti (son tipo delle polveri) che servono a rimuovere quei materiali che poi vaporizzano. Questo fenomeno può esser favorito da una sabbia poco porosa che non lascia passare i gas; il problema vero è che le bolle creano delle zone dove si accentuano le tensioni, tali difetti non si vedono da fuori, i pezzi di fusione “critici”, ossia quelli che una volta montati rappresentano un rischio per la sicurezza se si dovessero rompere, son passati ai raggi x per vedere se son presenti difetti di sto tipo nella struttura interna. Presenza del cono di ritiro è legata al fatto che non ho dimensionato al meglio la materozza. Infine, può succedere che il metallo fuso penetri all’interno della sabbia, questo indica che essa non era stata abbastanza compattata, ciò accade soprattutto quando i processi son manuali, nel momento che la sabbia viene compattata a mano. Io non posso compattarla troppo perché altrimenti rischio che crolli la permeabilità. Esempio fonderia Ferrari Si usa l’alluminio per diversi motivi: la leggerezza, la durabilità (non si arrugginisce, anzi, arrugginisce subito, ma crea un film sottilissimo di ossido che non si vede ed è impermeabile, film protettivo) e la buona malleabilità; inoltre, si fonde benissimo. Si vedono le forme di sabbia, realizzate con sabbia fortemente spigolosa e che riesce quindi a compattarsi al meglio. Insieme alla sabbia è mescolato del collante, colla a caldo che si scioglie quando riscaldo il componente. L’alluminio presenta viscosità estremamente bassa, ciò permette di realizzare anche geometrie estremamente complesse. Come opera il sistema di carico della sabbia? Essa viene vibrata, bagnata e sgranulata per poi esser calata, si va poi a premere la sabbia in modo che in ogni zona sia ben compattata. Se ci son zone scomode per piazzarci una materozza, posso cercare di raffreddare questa zona in un altro maniera in modo che il modulo termico si abbassi e che questa non sia l’ultima zona a solidificarsi. I raffreddatori son pezzi di metallo che stanno vicino al pezzo in zone strategiche, queste raffreddano più velocemente. Le anime son fatte di sabbie investite, subiscono un processo di ricopertura con resine, che appena superficiale) in modo da renderlo rigido. L’albero viene poi mantenuto in una posizione invertita e riscaldato per sciogliere la cera e permetterle di uscire dalla cavità. Lo stampo poi viene preriscaldato in modo da eliminare tutti i contaminanti e da permettere al metallo fuso di fluire al meglio. Se i componenti son grossi, lo stampo anche in questo caso deve esser posto in una vasca di sabbia prima di colarci il materiale onde evitare la rottura. La cera industriale ha un discreto costo, per questo viene riciclata a meno di perdite che ci posson esser per l’evaporazione. Devo sovradimensionare qualche componente a causa del ritiro termico; i sottosquadri non costituiscono un problema, il modello che ho non lo devo rimuovere prima di fare la forma, lo faccio sciogliere prima di colare il metallo. Rappresenta il processo che garantisce la miglior finitura superficiale, si usa per realizzare bronzi o gioielli, in grado fi produrre oggetti con geometrie estremamente complesse con un’ottima finitura superficiale. Anche in questo caso sabbia rivestita con resine. Gli svantaggi sono: processo costoso e pieno di passaggi intermedi. Tecniche in forma permanente, la differenza è il costo, qua si riutilizza lo stampo; quindi, stampo costoso perché spesso realizzato in metallo, in generale, quando ho costi fissi più alti, ho costi marginali più bassi. I processi permanenti son pensati per grandi serie. Ho uno stampo metallico in cui calo il metallo fuso, lo stampo spesso è in acciaio, in generale vado a colare materiale più basso fondenti, un esempio è la ZAMA, una particolare lega dello zinco, famosa per l’elevata fluidità costo non eccessivo. Lo stampo si chiama conchiglia metallica; se necessario realizzare dei fori si usano comunque le anime, sempre realizzate in sabbia, questo perché devono esser comunque sformabili post-solidificazione, se facessero un tutt’uno con lo stampo non le potrei più rimuovere; fusione avviene per gravità, colo il metallo per gravità, processo più veloce: infatti essendo lo stampo di tipo metallico, la solidificazione avviene prima, lo scambio termico fra due metalli è più efficiente, è maggiore. In generale limitata a materiali come alluminio o altri. Finitura superficiale migliore della fusione in sabbia, questo perché solidificazione più veloce e quindi grani più piccoli. Il problema più serio è la porosità, se non dimensiono al meglio alcuni sfoghi per i gas il rischio di porosità è molto alto, questo perché la conchiglia metallica è impermeabile ai gas, non come la sabbia. Una soluzione per ovviare al problema è lo Squeeze casting, il mio materiale è come schiacciato all’interno dello stampo, stampo positivo e negativo son premuti insieme in modo da favorire l’uscita dei gas. Il gas costretto a uscire perché aumento la pressione. La fusione è uno dei peggiori processi dal punto di vista delle proprietà meccaniche. Solidificazione rapidissima che quindi favorisce un’ottima struttura dei grani. Slush casting, io creo solamente uno stampo inferiore, lo riempio di metallo fuso, aspetto un certo tempo e lo faccio uscire dal contenitore, quello che rimane è una pellicola di materiale solidificato, lo spessore di questo guscio cresce in funzione del tempo in cui io faccio rimanere nello stampo il metallo fuso. Finitura e accuratezza superficiale abbastanza buone, mentre le caratteristiche interne insomma. Processo Usato per oggetti artistici. Pressofusione, principale metodo per produrre componenti in leghe di zinco, ottone e alluminio. Prodotto in grande serie con tecniche di fusione in pressione. Pressurizzo il materiale e lo spingo all’interno di uno stampo a grande velocità e pressione (anche 1000 bar), miglioro le caratteristiche, l’alta pressione fa sì che i vapori fuoriescano, compatto maggiormente il materiale e velocizzo il processo. Processi molto produttivi in cui però il costo dello stampo non è trascurabile, essendo uno stampo di metallo, anime e componenti che devono trovarsi all’’interno devono esser motorizzati. Oltretutto gli stampi devono resistere alla fatica termica, alle alte pressioni e alla corrosività dell’alluminio. Si usano materiali molto resistenti, costosi e difficili da lavorare. Esistono due famiglie di pressofusione: il processo a camera calda, utilizzata perché garantisce elevata produttività, abbiamo un bagno fuso all’interno del quale troviamo un pistone, tutte le volte che il pistone scende inietta materiale all’interno dello stampo, quando è solido, lo stampo si apre e il pezzo può uscire, a questo punto il pistone risale e fa fluire nuovamente il metallo fuso. Tempo-ciclo di 20/30 secondi, velocità estremamente elevata, produzione fino a 500 parti per ora, quando vado a mettere più parti all’interno della stessa stampata. Il componente creato con tale processo si riconosce perché viene estratto dallo stampo mediante degli estrattori che lasciano dei “mark” tondi sul pezzo nei punti dove li spingono per staccarli dallo stampo (lo fanno quando ancora il pezzo è caldo e quindi è facile che lascino dei segni). Macchine molto compatte, il problema è che questo processo non lavora l’alluminio: infatti esso tende a prendere in soluzione il ferro, il ferro è solubile nell’alluminio, quando ciò accade c’è un degrado enorme delle proprietà meccaniche. Stampo fatto in due parti, uno dà la resistenza (mold base) e uno la geometria (mold). Per risolvere il problema dell’alluminio uso il processo a camera fredda, processo più complesso, si abbassa la produttività, esiste un siringone per l’immissione del materiale riempito costantemente da una sorta di bicchiere, c’è un forno di fusione da cui il bicchiere pesca il materiale, il pistone si attiva, va a riempire lo stampo e poi si ottiene il pezzo. Quando vado a dosare col bicchiere faccio in modo che si sia più metallo del necessario perché assolutamente lo stampo deve esser riempito; il problema più grosso che affligge tale processo è la porosità, il processo è molto veloce e, nonostante i tunnel per l’evaporazione, non tutti i gas riescono a fuoriuscire. Fusione a bassa pressione, favorisco il riempimento progressivo dello stampo usando un gas in pressione per dar la pressione necessaria al materiale per farlo risalire e riempire lo stampo. Fusione centrifuga, vado a far compattare il materiale facendo ruotare lo stampo, per componenti di piccole dimensioni può servire a far entrare il materiale all’interno di sezioni piuttosto piccole. Gli stampi ruotano, io colo il materiale e le forze centrifughe agiscono facendo sì che lo stampo si riempia anche nelle zone meno accessibili. Fusione rotante, vado a creare oggetti cavi senza utilizzare l’anima, prendo uno stampo vuoto ci metto il metallo fuso e faccio ruotare lo stampo, via via che lo stampo entra in contatto col metallo fuso esso tende a solidificarsi e a creare la prima patina. Tecnologia perfetta per oggetti molto lunghi in cui le anime potrebbero diventare un problema. Vale quasi esclusivamente per figure assial-simmetriche o almeno figure piuttosto regolari. Deformazione plastica Abbiamo un tubo, può esser fatto per asportazione di truciolo oppure con processi di deformazione plastica, partono da una geometria semplice (e standard, cilindri di diametri ben definiti), che viene deformata fino ad ottenere la forma voluta. Quale sia la soluzione più conveniente dipende: dipende dal materiale da usare, alcuni si asportano/deformano meglio di altri, oltre a ciò, un altro limite è il costo, devo andare a capire quale è lo spreco di materiale; la deformazione plastica mi permette di risparmiare un sacco di materiale, infine i processi di deformazione plastica mi rendono componenti veramente scarsi a livello di tolleranze superficiali. Se devo realizzare un piccolo lotto a me conviene usare l’asportazione di truciolo che è caratterizzato da costi fissi pari a 0; per lotti grandi userò un processo che presenta costi marginali bassi (deformazione plastica). Il “mondo” della deformazione plastica è molto vasto: esistono i processi di deformazione massiva e processi di lavorazione di lamiera. Processi massivi cercano di andare a creare un oggetto 3D partendo da un grezzo che di solito è un semilavorato piuttosto semplice. I primi sono quelli di laminazione, avvengono direttamente nell’altoforno, schiaccio il materiale caldo e pastoso fino ad ottenere la lamiera, oltre ai fogli di lamiera si posson ottenere anche geometrie un po’ più compatte come cilindri tubi o altro; abbiamo poi i processi di forgiatura: danno una forma 3D all’oggetto, prendo una parte di materiale con geometria semplice, lo metto all’interno di uno stampo e lo comprimo fino ad ottenere la forma imbarilisce. Questo a causa dell’attrito, la parte a contatto con le superfici tende ad esser limitata nello scorrimento. Voglio limitare l’attrito, a caldo come faccio? Si usano superfici fini o in generale lubrificanti allo stato solido, una polvere di vetro o di stagno per esempio (non posso usare dell’olio perché con superfici a 900 gradi l’olio vaporizza). Fenomeni che aumentano anche le forze in gioco, quando schiaccio un pezzo devo anche superare queste nuove forze. Attrito non è sempre come ce lo immaginiamo, il coefficiente d’attrito è sempre il rapporto fra due forze, pressione o forza di schiacciamento e forza tangenziale o di taglio, più è alto il coefficiente, più a fronte di una certa pressione dovrò far forza tangenziale (questo è l’attrito di tipo coulombiano); per questi processi ciò vale solo in prima battuta, dopo una certa pressione il materiale non scorre più per attrito coulombiano, ma tende a diventare aderente: ovvero le forze di taglio son tali che il materiale non scorre più, viene direttamente deformato plasticamente (si parla di attrito adesivo), il materiale è così premuto che rimane attaccato alle superfici, è la parte sottostante a deformarsi; non ho più proporzionalità tra le forze, le forze di taglio diventano uguali alla tensione di snervamento (valori costanti). Importante perché dà luogo a pressioni differenti, l’andamento delle pressioni che si hanno all’interno di un pezzo prismatico che viene schiacciato è di tipo esponenziale, son massime al centro e minime al bordo, il valore minimo è legato al valore di tensione di flusso plastico. All’aumentare delle dimensioni dell’oggetto, queste pressioni aumentano in modo molto importante, questo fatto pone limitazioni sulle dimensioni che devo lavorare. Quando l’attrito è di tipo adesivo l’andamento delle pressioni tende ad esser lineare, quando abbiamo un attrito che varia al variare della dimensione dell’oggetto, abbiamo passaggio fra i due attriti, le parte esterne daranno luogo ad attrito coulombiano (pressioni basse), quando le pressioni diventano elevate entro nella zona di attrito adesivo. Abbiamo determinato quindi quale è la distribuzione delle pressioni, io posso calcolarla per un componente abbastanza semplice, per un cilindro si ottiene che la forza necessaria a schiacciare il cilindro dipende dalla tensione di flusso plastico, dall’area su cui agisce la forza, dipende poi dal coefficiente d’attrito, dal raggio del componente e infine dall’altezza dell’oggetto (più è alto minori sono le forze in gioco). Per calcolare l’attrito in gioco è stata introdotta una prova standard, la prova dell’anello, prendiamo un anello di materiale, lo schiacciamo e poi misuriamo la dimensione finale, guardiamo quanto lo abbiamo schiacciato e quanto è variato il diametro interno, per un anello posso misurare gli spostamenti in base al coefficiente di attrito sicché io mi creo dei grafici che in base ai risultati sperimentali mi rendono il coefficiente di attrito. (attrito acciaio-acciaio piuttosto alto). Ci sono alcuni fattori che modificano la duttilità del materiale, uno di questi è l’aumento della pressione esterna, se aggiungiamo una pressione idrostatica, uniforme su tutte le direzioni, ha effetto enorme sulla deformabilità del materiale. Vediamo quali sono le prime approssimazioni che si fanno per calcolare le forze in gioco; parliamo di deformazione di un oggetto assialsimmetrico caratterizzato da una certa h e d, andiamo a creare una “testa” su di un oggetto cilindrico, la nostra forza per deformazione plastica è proporzionale alla tensione di flusso plastico, all’area su cui agisce la forza e ad un coefficiente che tiene conto della complessità geometrica dell’oggetto che andiamo a deformare. Nella formula del coefficiente K, ora abbiamo 0.4, ma questo valore cambia sempre, tiene conto della presenza dei due attriti. Queste son due formule che possiamo usare per avere una prima approssimazione sulle forze necessarie a deformare un cilindro. Per la ricalcatura abbiamo visto forze in gioco e pezzi che possiamo prendere in considerazione. Processi/Forgiatura a stampo chiuso, molto più complessi, si fa in modo che l’oggetto prenda una forma tridimensionalmente complessa, processo pensato per geometrie complicate. Devo creare uno stampo e chiuderci dentro tutto il materiale, più è complessa la forma che voglio ottenere più la temperatura a cui devo portare il materiale è alta. Il semilavorato di partenza è sempre un cilindro, lo schiaccio costringendolo a deformarsi all’interno di uno stampo. Lo stampo non è pieno fino a che il materiale in eccesso non fluisce dal piccolo spazio residuo dato dal gioco presente fra la parte superiore e quella inferiore dello stampo, questo gioco prende il nome di canale di bava, quelle che si creano in corrispondenza di questa separazione prendono il nome di bave, se durante il processo non si creano abbiamo sbagliato qualcosa, potremmo aver messo troppo poco materiale, viceversa, se mettiamo troppo materiale, potremmo alzare in modo sensibile le forze in gioco perché servirà tanta forza a far passare elevate quantità di materiale dai canali di bava (potrebbe rompersi lo stampo). All’inizio la deformazione è semplice, le tensioni aumentano via via che prosegue, aumenta l’area su cui agisce la forza e via via che viene deformato, il materiale raggiunge valori di incrudimento piuttosto elevati, quando il materiale è completamente a contatto con lo stampo il processo è finito, il materiale in eccesso deve semplicemente fluire attraverso i canali di bava. Il grafico che descrive l’andamento è il seguente, abbiamo la forza massima a fine processo, a me servirà un macchinario che può erogare una forza maggiore di quella massima che osserviamo nel grafico. Processo che si può fare sia a velocità alta che bassa, dipende dalle dimensioni del pezzo; velocità alta può voler dire un colpo al secondo, “processi lenti” son quelli che magari danno una botta ogni 5/6 secondi; quello che cambia è il tipo di macchina: le macchine veloci son meccaniche, quelle lente generalmente son oleodinamiche. Più il canale di bava è stretto più la pressione all’interno della camera di forgiatura è elevata. Lo stampo deve avere dei raggi di raccordo estremamente elevati, lo spigolo vivo tenderebbe a rompersi facilmente se sottoposto a queste condizioni. La forza necessaria, di cui possiamo determinare una prima approssimazione, dipende dall’area di contatto finale, pari alla superficie totale dello stampo, tensione di flusso plastico (anch’essa finale) e coefficiente che teoricamente dovrebbe tener conto della forma complessa o meno del componente da realizzare. (per forme semplici K=3-5; forme medie K=5-8 mentre per forme complesse K=8-12). Si parla di stampaggio progressivo quando spezzo il processo di deformazione in più fasi per ridurre le forze all’interno del processo; in queste condizioni il pezzo subisce diverse deformazioni progressive e consecutive che lo portano alla forma finale. Uno dei passaggi finali è quello della rimozione delle bave, alla fine del processo potremo tranciare le bave usando un punzone che presenta degli spigoli taglienti. Questo materiale viene poi riciclato. Questi profili hanno anche una certa inclinazione, non vediamo mai pareti diritte, abbiamo tanti angoli di sforno, più marcati rispetto a quelli della fusione, onde evitare il contatto prolungato fra pezzo e stampo durante la rimozione. La geometria finale del prodotto è quindi difficile da ottenere con un processo di deformazione plastica. Quando voglio lavorare componenti piccoli il processo può esser tranquillamente fatto a freddo, si usa il termine di Coniatura (per es. si realizzano le monete). Piccole deformazioni del nostro oggetto, tende a dar luogo ad un oggetto estremamente preciso (non c’è ritiro termico), la deformazione non è uniforme, alcune zone subiscono deformazioni davvero minime. Nella formazione delle monete non ho bava, il materiale è quantificato molto bene. Ogni zona presenta deformazione differente, nello stimare gli sforzi considereremo un epsilon circa costante su tutto il materiale, faremo una stima approssimando il nostro componente ad una figura geometrica facile da analizzare. Deformazioni differenti come entità e come direzione. L’oggetto ottenuto post-deformazione non è assolutamente isotropo. Le macchine per deformazione plastica appartengono a tre famiglie: presse meccaniche, presse idrauliche o magli. Le presse meccaniche son le più semplici, biella-manovella, abbiamo un albero che gira e fa salire e scendere un meccanismo biella-manovella che alza e abbassa lo stampo, macchine molto semplici e raggiungono velocità abbastanza elevate. Hanno un po’ problemi con la rigidezza, non lo sono molto, il tonnellaggio non è molto elevato, se voglio prestazioni migliori posso andare sulle presse a ginocchiera, un sistema simile che presenta però una maggior rigidezza. Abbiamo poi le presse a vite che sfruttano un volano che viene accelerato, danno forze più basse, ma son più veloci, vengono sfruttate molto nel settore moda. Le presse idrauliche sfruttano olio in pressione che muove il pistone, son più lente, ma garantiscono dei tonnellaggi estremamente più elevati. La presa idraulica viaggia a 0.06 m/s, le presse meccaniche arrivano anche a 1 m/s. Poi ci sono i magli che viaggiano a diversi ordini di grandezza sopra. Le presse aereodinamiche son usate quando ho bisogno di alzare notevolmente le forze in gioco, sfruttate per lavorazioni estremamente massive, ma anche lo stampo deve essere estremamente robusto per resistere a certi tonnellaggi. Maglio (hammers), vengono sollevati fino ad una certa altezza e poi rilasciati, i magli son caratterizzati da una forza di impatto elevata; il maglio carica energia potenziale e poi viene lasciato impattare trasformando tale energia in energia cinetica. Epsilon punto molto elevata, quindi cresce molto l’incrudimento. Per limitare le vibrazioni i magli moderni sono a contraccolpo, si cerca di limitare le vibrazioni a terra, son poi montati su piattaforme di isolamento. Maglio a doppio effetto quando c’è un fluido a dargli il via iniziale. Ricalcatura stampi aperti e semplici, forgiatura stampi chiusi. sotto-corretto, io compenso la deformazione facendo l’oggetto a botte; in generale la strategia preferibile è quella dei rulli di supporto (back-up rolls) che evitano la deflessione dei rulli più importanti e costosi, soluzione estremamente costosa. Il processo può comportare vari difetti, il principale è che non tutto il materiale plasticizza, parte del materiale può rimanere in campo elastico. Se non tutta la lamiera diventa plastica, una parte si deforma e si allunga mentre la parte che rimane in campo elastico non modifica la sua forma, si crea quindi un prodotto fortemente tensionato che è molto affine alla rottura. Alligatoring, il prodotto si rompe proprio a metà. Altro processo di laminazione è quello per la creazione di forme semplici (es. sferette). Uso dei cilindri di laminazione particolari, presentano come una filettatura e si vanno ad incastrare fra sé andando a formare le palline. Creazione anelli (ring-rolling) si parte da materiale caldo, viene forato da un punzone, creo un primo anello grossolano e poi si usano due cilindri più piccoli per rifinirlo, vengono poi aggiunti dei rulli conici che ne limitano la variazione dell’altezza. Un esempio di applicazione del ring-rolling è lo shuttle; gli anelli venivano stirati per ottenere poi un contenitore monolitico. Altro approccio è quello per creare i filetti, i due cilindri son caratterizzati da un profilo ad elica, quando faccio passare la barra esce deformata plasticamente sulla parte esterna e si hanno i filetti; un vantaggio è l’incrudimento della filettatura, son più resistenti (creandola per asportazione di truciolo questa caratteristica non si ha). Estrusione, creiamo profili a sezione costante spingendo materiale contro una matrice sagomata con una pressione estremamente importante, creo un foro con la geometria che voglio e ci spingo il materiale, investimento ridotto, si tratta di fare una matrice forata. In generale i profili che posso fare non son grandissimi, altrimenti le forze in gioco romperebbero lo stampo, posso fare geometrie un po’ più semplici e ridotte. Funziona bene se il materiale è abbastanza plasticizzabile, quello che uso di solito è l’alluminio, le forze necessarie a deformarlo non son così elevate. Il materiale è caldo, ma non ancora fuso, facendolo passare da una matrice tarata creo la forma, le geometrie che posso realizzare son delle più varie. Ho un po’ di limitazioni sulla lunghezza delle barre estruse, il formato commerciale di una barra è di circa 6 metri per ragioni di trasporto, si hanno i mezzi di trasporto adatti per trasportarle. Geometrie anche estremamente complesse, sia piene che vuote. Il processo può esser diretto o inverso: nel primo caso, la direzione del moto del pistone e di uscita del materiale è la stessa, nell’inverso la direzione è opposta, in questo caso devo usare dei pistoni cavi. Come mai si è inventata una soluzione del genere? Le forze caratteristiche dell’estrusione diretta son maggiori di quelle dell’estrusione inversa: questo perché in un caso, quando spingo il materiale esso avanza nella camera di estrusione, nel secondo caso sta fermo, è il pistone che gli va incontro e lo deforma. Nell’estrusione diretta ho il materiale, che dovendo avanzare, fa molto attrito con la camera di estrusione, in un caso ho il lavoro di trasformazione e tanto lavoro di attrito, nel secondo caso ho solo lavoro di deformazione, il materiale non si muove. Nell’estrusione inversa devo cambiare il pistone anche per variare la mia geometria. L’estrusione può anche essere incompleta (o parziale), io potrei voler il profilo esclusivamente in una parte della sbarra quindi non vado a estrudere completamente il materiale. Durante l’estrusione ho comunque una variazione di sezione, spesso quella iniziale è assialsimmetrica (sempre un cilindro), le motivazioni si ritrovano in economicità e praticità nella lavorazione. L’area di partenza è sempre un cerchio, la deformazione non è uniforme, nello stesso istante, delle zone si stanno iniziando a deformare e altre son già completamente deformate. Per calcolarci le forze useremo la tensione di flusso plastico media. I lubrificanti usati son allo stato solido, uno dei più comuni è la polvere di vetro oppure si adotta una copertura leggera con del materiale a basso attrito (stagno). La zona piatta si chiama zona di calibrazione, (slide 80 basso a dx quella con angolo alfa), si usasse uno spigolo vivo, esso tenderebbe ad usurarsi; a livello di processo, la zona di calibrazione non serve a niente, anzi, genera anche attrito, è necessario però tenerla per garantire una vita un po’ più lunga dello stampo. In generale il processo viene fatto a caldo (nel caso dell’alluminio a 400 gradi). Anche l’angolo di invito (alfa) ha un valore ottimale, più è piccolo più è facile deformare il materiale, ma anche aumenta l’attrito, angoli grandi riducono l’attrito, ma peggiorano il lavoro di deformazione. L’andamento delle forze non è costante, evolve nel tempo, per quanto riguarda l’estrusione diretta ha un max iniziale e poi tende a diminuire fino al fondo dove abbiamo poi un andamento esponenziale crescente, prima di rompere lo stampo, viste le alte forze in gioco, mi fermo, ciò significa che lascio sempre un po’ di materiale in camera di estrusione, le forze son massime all’inizio perché ho anche il lavoro dato dalle forze di attrito, via via che il materiale avanza, la quantità in camera di estrusione diminuisce e quindi diminuiscono anche le forze di attrito, nel minimo delle forze in gioco abbiamo solo forze di deformazione. Nell’estrusione indiretta, le forze in gioco rimangono costanti perché ho solo lavoro di deformazione. Bilanciamento del profilo, devo avere l’accortezza di avere sezioni di passaggio più costanti possibile, se ciò non fosse verificato, le velocità di uscita del materiale dalle varie sezioni sarebbero differenti fra le sezioni con poche perdite di carico e quella con molte perdite, ciò causa una distorsione nella forma della trave finale. Trafilatura, simile all’estrusione, ma cosa cambia? Cambia dove applico la forza, il filo viene tirato, si parla di filo perché questo processo nasce per realizzarli. Ha un limite legato al fatto che la forza massima è caratteristica non tanto della macchina quanto del materiale che lavoro: ad un certo punto si rompe, oltre a ciò, in modulo, la forza è anche piuttosto piccola. Visto che le forze son limitate, il rapporto di riduzione fra l’area in ingresso e quella in uscita è molto piccolo, varia fra il 10% e il 30%; industrialmente parlando, i valori ottenuti son questi, a differenza dell’estrusione, anche le deformazioni son più piccole. La riduzione di spessore è estremamente progressiva perché le forze in gioco son basse. Il vantaggio della trafilatura? Viene realizzato a freddo: se lo facessi a caldo, peggiorerebbe solo la resistenza del materiale, se il pezzo non fosse abbastanza resistente sarebbe proprio impossibile realizzare il processo. Ingenti quantità di lubrificante; essendo fatta a freddo provoca un grande grado di incrudimento (ottime proprietà meccaniche); un ulteriore vantaggio è la precisione, non risente dei ritiri termici dati dall’alta temperatura. In generale, quando voglio un profilato con ottima precisione, prima lo realizzo in estrusione e poi gli faccio una trafilatura. Questo tipo di processo si rende utile anche per rifinire la geometria degli oggetti ottenuti per estrusione. Infine, posso raggiungere diametri estremamente piccoli, al di sotto del decimo di millimetro. La matrice di trafilatura non è molto diversa da quella di estrusione, ho una zona di imbocco in più dove ho una scampanatura con la presenza di piccoli angoli che permettono al filo di entrare facilmente nella matrice, gli angoli son piccoli per diminuire il lavoro di deformazione, cresce quello di attrito, ma il lubrificante risolve il problema. Gli angoli son molto poco ampi in modo da ridurre il lavoro di deformazione, tuttavia l’attrito aumenta, ma tanto uso molto lubrificante. Zona di calibrazione, per rifinire la geometria, piano piano si usura (gli spigoli vivi non durano molto) e poi deve esser cambiata, fino a che non si usura, riesco a produrre un oggetto ben rifinito. Si posson trafilare sia fili (più stazioni una dopo l’altra, spesso immerse in olio) che barre. Il rapporto di riduzione è il rapporto fra area finale e area d’ingresso (l’opposto del rapporto di riduzione dell’estrusione); la deformazione invece è il logaritmo di 1/rapporto di riduzione. Le forze di tiro son legate alla deformazione, alla tensione di flusso plastico media (si usa in laminazione, estrusione e trafilatura; quella istantanea per forgiatura e ricalcatura) e ad una componente che tiene conto dell’attrito e dell’angolo di apertura della matrice. Si posson trafilare anche oggetti cavi, si rende necessario mettere all’interno un mandrino: flottante (soluzione autocentrante), stazionario, prevede che il mandrino sia lungo quanto tutto il pezzo che devo trafilare, mandrino che si muove, lo uso per trafilare barre quando ho dimensioni finite. In impianti per fili ci sono più matrici di trafilatura consecutive dove i vari cilindri trascinano il filo nelle stazioni successive. Deformazione plastica massiva ben si adatta a cosa? Dipende, alcuni processi hanno costi fissi molto elevati come la forgiatura, alcuni, come l’estrusione, hanno costi fissi molto ridotti; in base alla natura dei costi da sostenere si dividono i processi in base fra quelli adatti ai grandi lotti e quelli specifici per piccoli lotti. La forgiatura presenta anche buone proprietà meccaniche, incrudisce il materiale. Se stampo e materiale sono quasi alla stessa temperatura non si ha il fenomeno della fatica termica perché si evita che lo stampo si scaldi e si raffreddi continuamente. Lo stampo quindi viene pre-riscladato. Non c’è alcun processo di deformazione plastica che mi permette di accoppiare direttamente l’oggetto ottenuto, ogni componente ha bisogno di successive lavorazioni. Lavorazioni di lamiere, caratterizzate da forze molto più basse delle deformazioni, si ottengono componenti con finitura superficiale molto interessante, lavorazioni estremamente veloci, quando possibile, si preferisce fare una lamiera grazie alla sua versatilità e adattabilità. Tecniche di boxing, si parte da diverse lamiere piane piegate in modo da dargli una forma tridimensionale. Quali sono le lavorazioni più interessanti? Tre famiglie: operazioni di piegatura, deformando la lamiera ottengo la forma voluta allargare leggermente la lamiera, distanziandosi da quella che è la geometria desiderata. Idroformatura, processo che usa un fluido in pressione per deformare il componente, si usa per geometrie davvero complesse, incrudisce molto il materiale, in virtù di ciò risulta molto comodo in ambito automotive. Si usano oli pressurizzati che raggiungono valori di pressioni elevatissimi. Uso il fluido per far adagiare la lamiera sulla mia geometria, il punzone spinge la lamiera su una membrana oltre il quale c’è il fluido pressurizzato che oppone resistenza e fa assumere la forma alla lamiera. Stiratura, vado a ridurre quello che è lo spessore della lamiera, quando effettuo l’imbutitura ho visto che cerco di mantenere costante lo spessore, in certe applicazioni può esser interessante andare a ridurlo, nella stiratura, il gioco fra matrice e stampo è più piccolo dello spessore e ho degli angoli di attacco della matrice sullo spessore che favoriscono lo stiramento, di fatto è una trafilatura con un punzone che spinge il nostro componente. Spesso viene divisa in zone. Tecnica per la realizzazione di lattine, nel fondo lo spessore è maggiore che nella superficie laterale. Una definizione più generale di imbutitura è: processo che parte da geometria planare per ottenere geometria tridimensionale. Piegatura, può esser fatta in modo semplice, lungo una linea diritta o con geometrie più complesse (come un bordo inclinato), la piegatura semplice viene fatta su una macchina (a mano), incastro la lamiera in un macchinario, in base a quanto scende un punzone, l’angolo si apre o si chiude. Ogni macchina ha 4 punzoni standard con cui riesce a fare ogni tipo di piegatura, l’ampiezza dell’angolo desiderato dipenderà poi dalla corsa di discesa del punzone. La piegatura è il processo che forse vien automatizzato di più in azienda: è un problema di attenzione dell’operatore, è un mestiere molto noioso e ripetitivo, ci sta che l’operatore si scordi magari uno dei passaggi necessari alla creazione dell’oggetto. Il robot ha un costo orario maggiore della persona ed è anche più lento, ma si incorre in meno rischi. Una delle cose che difficilmente si riescono a fare è piegare lungo un bordo che non è perfettamente a squadra (come un bordo tondo): si creano delle grinze nella zona dove il materiale è costretto a comprimersi, non è proprio piegatura, diventa un po’ anche imbutitura perché il materiale deve anche deformarsi, in virtù di ciò si alzano sensibilmente le forze in gioco. Si è visto esser molto meglio lavorare senza materiale nell’angolo, la cosa migliore sarebbe piegare dopo aver eseguito un intaglio. Si può prima ritagliare la lamiera e poi piegarla. Esiste un metodo di piegatura continuo, con dei rulli, profilatura, i rulli prendono il nome di calibri, processo pensato per barre di elevata lunghezza, in teoria lunghe quanto l’intera bobina di lamiera. Si piega la lamiera utilizzando rulli deformati e non piani. Oltre 18m mi fermo per una questione di trasporto. La devo realizzare in modo progressivo, divido il processo in sette passaggi in modo da non rompere la lamiera. Molto veloce, ma rispetto ad una pressa richiede otto coppie di rulli (molto costose); la normale piegatura utilizza un semplice punzone, non è nemmeno specifico, il costo è piuttosto basso. Tecnologia che si presta bene per una produzione di massa. Proprio per il suo elevato costo, si rendono necessari software di simulazione che esplichino il processo e ne verifichino la fattibilità. Si sfrutta questo processo quando si vuole ottenere pezzi decisamente lunghi e numerosi. Un’altra lavorazione che si può fare sulla lamiera è la piegatura con dei cilindri, calandratura, il raggio di curvatura che do ad una lamiera calandrata dipende dall’interasse che ho fra i due cerchi alla base e quello sopra, i rulli inferiori sono fissi, quello superiore si sposta avvicinandosi o allontanandosi, più scende più la lamiera è costretta a curvare; processo utile per ricavare tubi di grande diametro e coni. Altri tipi di piegature son quelle dei tubi, il problema principale in questi casi è che il tubo quando lo piego si schiaccia, se voglio mantenere la sezione costante devo inibire l’allargamento del tubo: quando si schiaccia infatti, tende ad allargarsi, io cosa posso fare? Faccio piegare i tubi all’interno di una matrice preformata, quando effettuo la piegatura, le pareti della matrice devono opporre resistenza all’allargamento e di conseguenza bloccare lo schiacciamento lungo l’altra direzione. Un'altra soluzione da adottare è quella di metterci qualcosa all’interno, delle anime per esempio: realizzate da sferette di acciaio legate insieme, una volta terminata la piegatura posso andare a rimuoverle facilmente. Il problema principale è il ritorno elastico, dipende dalle caratteristiche del materiale. Il ritorno elastico (rapporto fra il raggio a cui ho piegato e il raggio finale post-ritorno elastico) tiene conto del raggio a cui ho eseguito la piegatura, lo snervamento del materiale, il modulo elastico e lo spessore. Quello che cambia all’interno del materiale è la tensione di snervamento, basta che il lotto di materiale che lavoro sia più incrudito di quello precedente e le geometrie ottenute posson esser molto differenti a causa del ritorno elastico. Quando piego eccessivamente il materiale si fessura, si creano delle cricche sull’estradosso, la parte allungata maggiormente, l’intradosso tenderà a formare delle pieghe, sperimentalmente abbiamo ricavato dei valori di massima piegatura che un particolare materiale può subire, quasi tutti i materiali dovranno avere dei raggi di raccordo per non fratturarsi. Il nostro materiale si deforma in modo permanente quando arriva in campo plastico, quando piego un oggetto tensioni e deformazioni non son costanti su tutto l’oggetto, in un emisfero è compresso nell’altro è tirato, nel centro che succede? All’inizio, la fibra centrale è lunga l0 e alla fine sarà invariata, non ha subito deformazioni, durante la piegatura non è mai andato sottocarico, quella fibra di materiale non potrà mai plastificare. Estradosso massima tensione, intradosso massima compressione. Solo le parti sotto effetto di sollecitazioni elevate si deformano plasticamente, post-piegatura, solo quelle che si sono deformate plasticamente mantengono la nuova forma, il materiale più interno tende a tornare alla posizione iniziale, più materiale rimane in campo elastico più è importante il fenomeno del ritorno elastico. Come si risolve il problema? L’idea è quella di snervare interamente il materiale: aggiungo una sollecitazione esterna (di tiro per esempio), porto tutta la lamiera in campo plastico e poi la piego (Stretch Forming), eseguendo l’intera piegatura in campo plastico riesco ad eliminare l’effetto del ritorno elastico. Si può realizzare esclusivamente per geometrie abbastanza semplici, ma è l’unico modo che ho per eliminare il ritorno elastico; avendo già tirato molto la lamiera, se il materiale non è molto duttile, non posso eseguire ulteriori deformazioni tanto elevate. Altro processo che si usa per lavorare le lamiere è lo spinning (o tornitura in lastra), realizzo solo componenti assialsimmetrici andando ad imbutire il mio materiale mentre questo ruota e facendolo adagiare su uno stampo rotante. Prendo la lamiera la adagio su un punzone e piano piano ce la faccio adagiare sopra con un punzone; anche in questo caso deformazioni progressive. Il vantaggio è che posso realizzare la mia matrice in materiale poveri (legno, resina), tecnologia che ben si sposa per produzioni di piccolissima serie. Un’altra applicazione dello spinning è per pezzi molto grandi (abbassa i costi dello stampo rispetto ad un altro processo). Passaggio dopo passaggio vado a stendere la lamiera col mio utensile fino a farla adagiare sullo stampo. Angoli di raccordo devono essere abbastanza marcati quando voglio fare l’imbutitura, mentre posson esser più piccoli quando voglio stirare l’oggetto. Costo fisso dello spinning è molto basso, ma cresce il costo marginale e il tempo di realizzazione. Errori spesso legati all’anisotropia. Più un oggetto è grande più vorrò farlo con tecnica di spinning, un esempio son le lavatrici industriali (cestelli), il costo dello stampo sarebbe esorbitante. Ultima tecnologia è la idroformatura, per oggetti complessi con buone proprietà meccaniche, si realizzano oggetti con geometrie a sezione non costante. Deformo il componente all’interno dello stampo anche avendo geometrie complesse non costanti. Prendo un oggetto chiuso, funziona solo se l’oggetto è chiuso, lo chiudo in uno stampo, lo blocco e ci inietto il fluido in pressione, il tubo inizia a deformarsi e assume la geometria che mi interessa. Tranciatura, ha come scopo quello di ritagliare la lamiera fino a farle ottenere una geometria molto complessa, si realizzano oggetti che addirittura hanno la capacità di ingranare, il processo di tranciatura è net shape, non ha bisogno di successive lavorazioni, anche nel caso di lamiere con spessori discreti. Schema semplice, possiamo tenere per buona sia la parte che tranciamo sia quella rimanente, a seconda che si voglia un oggetto con geometria esterna o un foro. A differenza di quello dell’imbutitura, abbiamo un punzone che presenta degli spigoli vivi. Il punzone tipico dell’imbutitura non aveva lo scopo di tagliare e quindi si usavano raggi di raccordo elevati, in questo caso, gli spigoli vivi del punzone si consumano e quindi son da cambiare spesso. Non abbiamo poi bisogno di una matrice particolare sotto la lamiera, è semplicemente un foro con spigoli vivi che poi presenta un angolo di sformo per far cadere il pezzo restante. La u identifica il gioco, molto più piccolo dello spessore (5-10%), la scelta del gioco è la caratteristica più complessa da definire: se è piccolo crescono le forze in gioco e il costo, oltre a tutto ciò diminuisce anche la qualità superficiale dell’oggetto. Addirittura, quando il gioco è molto piccolo il processo prende il nome di tranciatura fine. All’inizio, il premilamiera la preme, il punzone entra in contatto e comincia ad inciderla leggermente, lo spigolo vivo non trancia immediatamente la lamiera, prima la deforma un po’, si crea un bordo stondato (la lamiera si piega verso il basso). Via via che il punzone avanza, comincia a penetrare nella lamiera fino a che la lamiera non si stacca e casca. Il processo può esser eseguito anche con coltelli inclinati in modo da far penetrare al meglio il coltello. Spesso i coltelli hanno un Asportazione di truciolo, la caratteristica che più impatta in questo tipo di lavorazioni è il costo, in tutte le aziende qualche macchina di questo tipo è presente, si hanno laddove è necessario avere buona accuratezza dimensionale, buona qualità superficiale e componenti net-shape. Per realizzare un componente, conviene usare la forgiatura in presenza alti volumi (ci vuole lo stampo) e quando si vogliono caratteristiche meccaniche che altri processi non mi garantiscono; il processo di asportazione ottiene la geometria voluta, ma sprecando materiale, il truciolo si può recuperare, non è quello il problema, bensì che rimuovere tutto questo materiale ha un costo. Un processo realizzato per asportazione si riconosce dal fatto che gli oggetti ottenuti son pieni, difficilmente si realizzano componenti cavi, tendenzialmente poi le forme son squadrate; un processo realizzato per fusione invece ha linee molto più morbide e, se possibile, viene svuotato. I processi che vedremo sono i più semplici, ci sarebbero molti processi, alcuni decisamente specifici. Vedremo i processi di tornitura, foratura e fresatura. L’asportazione di truciolo permette di raggiungere elevate finiture superficiali, si lavorano praticamente tutti i materiali e i costi fissi son praticamente nulli (adatta per lotti piccoli), Le macchine per asportazione si trovano sempre nei reparti di manutenzione dove i pezzi da realizzare sono unici e necessari solo in caso di guasti. Operazione di tornitura: il pezzo viene messo in rotazione, un utensile tagliente si appoggia sulla superficie e grazie a uno spigolo vivo asporta del materiale. I grani vengono deformati appena vengono a contatto con l’utensile, all’inizio son tondi poi vengono stirati a causa della deformazione caratteristica del processo. Quando progetto il processo, impongo lo spessore di truciolo indeformato: lo spessore di materiale che dopo il processo diventerà truciolo. Il materiale di cui è fatto l’utensile deve esser più duro di quello che voglio asportare, negli ultimi anni c’è stata una massiccia ricerca su materiali resistenti ad abrasione, temperatura e con elevata durezza, fra questi son presenti leghe alto-fondenti capaci di innalzare la capacità di resistere in temperatura, principalmente son materiali con elevato contenuto di tungsteno, il quale permette di resistere alle elevate temperature che si raggiungono a causa dell’attrito fra l’utensile e il pezzo. Il taglio può essere di vari tipi, noi vedremo il taglio ortogonale: l’utensile arriva ortogonalmente rispetto alla direzione di avanzamento, in alcuni casi è il materiale ad avvicinarsi al pezzo mentre in altri è il viceversa, l’importante è il moto relativo fra i due elementi, cambierà solo il modo di costruire la macchina, questa scelta viene operata in base a quale dei due elementi è più piccolo. Noi vediamo una sorta di approssimazione perché nella maggior parte de casi il taglio non avverrà in maniera ortogonale, ma con un tagliente inclinato in modo da render più progressive le forze, così facendo si fa sì che il truciolo venga allontanato di lato piuttosto che in direzione di moto dell’utensile. Spesso poi, l’utensile incide il materiale con più di uno spigolo (almeno anche uno verticale), questo taglio viene chiamato taglio non ortogonale e non libero. Vediamo cosa succede al materiale una volta rimosso il truciolo: l’utensile avanza, trova t0, lo spessore indeformato, questo materiale attraverserà un piano oltre il quale si deforma, il materiale arriva con direzione opposta al moto dell’utensile, attraversa il piano ed è costretto a cambiarla (verso l’alto), di conseguenza subisce una deformazione, si piega. Il rapporto fra spessore in ingresso e in uscita si chiama fattore di ricalcatura, identifica di quanto si piega il materiale, più sarà piegato più gli sforzi saranno elevati. Come si riduce l’angolo di piegatura del materiale? Giocando con alfa (o gamma), l’angolo di petto (o frontale) dell’utensile, più è largo questo angolo più acuto sarà il nostro utensile. Piu è grande, meno è resistente l’utensile, meno è capace di sostenere delle forze; in funzione del materiale che taglio, questo è uno dei parametri da tener maggiormente sott’occhio. In certi casi potremo trovare anche un angolo di petto negativo, il materiale si taglia bene lo stesso, ma serve a dare all’utensile una resistenza più elevata. È possibile definire un piano che quando è attraversato dal materiale lo obbliga a cambiare direzione, prende il nome di piano di deformazione, importante perché è lì che abbiamo il massimo lavoro della deformazione (si concentrano praticamente tutte le forze). Si può calcolare facilmente quanto è inclinato. Vogliamo avere una stima delle forze in gioco soprattutto perché più crescono le forze in gioco peggiore sarà l’accuratezza superficiale (rugosità più alta). Ci son vari modelli per capire cosa succede nel processo di asportazione: il primo che vediamo è il modello a mazzo di carte, si ipotizza che il materiale sia fatto da tanti tassellini attaccati uno all’altro e inclinati secondo l’angolo del piano di deformazione, quando arrivano in prossimità della punta dell’utensile iniziano a scorrere l’uno rispetto all’altro e generano il truciolo, lo scorrimento può esser facilmente calcolato, la forza necessaria a far slittare una “carta” sarà pari alla tensione di snervamento, non proprio quella di tiro, ma quella di taglio: in generale, la resistenza a taglio di un materiale è la meta di quella di tiro. Il modello di Merchant è il secondo che andiamo a vedere, si fanno alcune ipotesi, si considera che tutte le forze per la deformazione son concentrate sul piano di scorrimento e che concorrono alle forze in gioco non solo quelle di deformazione, ma anche quelle di attrito, presenti sul bordo dell’utensile a contatto col truciolo, qui avrò delle forze di pressione (quelle che permettono all’utensile di entrare nel materiale) e delle forze di attrito, l’angolo fra queste due è indicato come beta ed è chiamato angolo di attrito. Le forze si scompongono in forza di scorrimento (Fs) e una normale al piano di scorrimento che darà luogo a una risultante che dovrà esser opposta alle forze che agiscono sull’utensile. Una volta conosciuto l’angolo di scorrimento è anche possibile andare a determinarne l’area: t0/sen(fi) è l’altezza del piano di scorrimento, la lunghezza della linea che vediamo, w è la larghezza. L’area (insieme al valore della forza di scorrimento) mi permette di calcolare quella che è la resistenza a taglio del materiale, ossia la tensione da applicare affinché il materiale scorra lungo questo piano. Merchant ha scoperto che il piano di scorrimento ha un’inclinazione che dipende da alfa e da beta; quando cambia alfa (diminuisce), diminuisce anche fi, ma se fi si abbassa, aumenta l’area del piano di scorrimento, tau rimane costante e quindi dato che Fs = tau * As, se aumenta l’area cresce anche la forza, ma non perché il materiale ha tau più elevato, ma perché cresce l’area del piano di scorrimento. Valori alti di alfa permettono di avere utensili che tagliano meglio perché abbasso il valore delle forze di taglio in gioco. Angolo di dorso di solito è 5°, che separano il materiale dalla parte posteriore dell’utensile. Merchant comincia a scrivere varie relazioni per le forze in funzione dei vari angoli (di petto e di attrito): se impongo la risultante uguale ottengo la relazione che lega l’angolo di scorrimento, l’angolo di petto e l’angolo di attrito. Più cresce l’angolo di attrito più l’angolo di scorrimento diminuisce, aumentano quindi le forze in gioco. L’attrito si deve tener basso tramite lubrificazione. In notazione europea, l’angolo di petto viene chiamato gamma e quello di dorso alfa. L’angolo di dorso (circa 5°) serve essenzialmente a ridurre gli attriti fra quella che è la superficie appena generata e l’utensile, nella pratica, un po’ di contatto si verifica lo stesso, un primo motivo potrebbero esser le vibrazioni, un altro può esser quello del ritorno elastico: il materiale appena deformato è anche leggermente premuto verso il basso, di solito appena esce da sotto l’utensile tende a ritornare un po’ in fuori; scelgo l’angolo di dorso in modo che il ritorno elastico non faccia strusciare il materiale sull’utensile. L’utensile ha sempre un certo raggio di raccordo (perché la punta si usurerebbe velocemente), esso può esser direttamente progettato oppure si può formare quando l’utensile si spunta. I ragionamenti fatti finora si smorzano un po’: non abbiamo un solo piano su cui avviene la deformazione, abbiamo una zona, la zona di deformazione primaria; abbiamo poi la zona di attrito (quella orizzontale) dove il materiale tende ad aderire sul nostro utensile, un attrito di tipo adesivo (in presenza di pressioni molto elevate) ed infine abbiamo una zona di attrito secondario, quella verticale, in cui il materiale striscia sotto la punta dell’utensile. Per tener conto del fatto che il modello di Merchant è leggermente approssimato, son nati altri modelli simili, ma con un po’ di correzioni. Cosa succede quando il materiale arriva sul piano di scorrimento? All’inizio ho i grani normali, passano attraverso la zona di scorrimento e passano ad una forma estremamente allungata, materiale anisotropo e fortemente incrudito (il truciolo): le motivazioni son due, il truciolo raggiunge il limite a rottura e oltretutto la velocità della lavorazione è elevata, il truciolo è l’elemento più incrudito fra quelli che si possono trovare nei processi che studiamo. Deformazioni elevate generano molto calore: si raggiungono temperature superiori ai 700°C, sulla punta dell’utensile la temperatura non è massima, ma arriva a 500°C, la temperatura massima si raggiunge nella zona dove è presente l’attrito fra truciolo e utensile. Il truciolo esce fuori molto caldo, in tali lavorazioni infatti, vengono scaldati tutti gli elementi, utensile, componente e truciolo. Raggiungendo temperature così elevate, l’utensile perde la sua resistenza (meccanica), alcune zone importanti perdite di durezza, queste zone son quelle che si usurano maggiormente. Negli utensili ho sempre un cratere che si viene a creare nella zona centrale, quella dove si raggiungono le temperature più alte; la durezza è minore e quindi è più facile che si crei un avvallamento. Per fare un dimensionamento di massima, è tende a riattaccarsi e a generare difetti superficiali, devo fare in modo che si allontani, il taglio ortogonale non è la soluzione consigliata, si fa sempre ricorso a un angolo di inclinazione dell’utensile. E’ molto importante la posizione che do all’utensile rispetto all’asse di rotazione: se sposto l’utensile verso il basso cambio la direzione del vettore velocità, oltre a ciò, l’angolo gamma va ricalcolato rispettivamente alla normale al vettore velocità, non si usa più quello di progetto, l’angolo di dorso tende ad aumentare. Se lo vado a metter sopra, gamma diventa più grande, ma quello di dorso più piccolo, se diventa troppo piccolo il materiale appena lavorato scorre contro l’utensile andando a rovinare la buona finitura superficiale tipica del processo. Esistono moltissime tipologie di operazioni: sfacciatura, quando lavoro la faccia dell’oggetto, tornitura longitudinale, quando lavoro lungo l’asse del mio oggetto e infine operazioni di troncatura, viene fatta con utensili molto fini che entrano nel pezzo e scavano una cava fino al centro in modo da poterlo staccare; uno dei vantaggi di questa operazione è che lavora in continuo, l’alimentazione di materiale è automatica, si usano barre molto lunghe che vengono afferrate dalla macchina e fatte avanzare, successivamente, le barre vengono troncate e poi fatte avanzare nuovamente per dar il via ad un nuovo passaggio. Altra operazione interessante è quella di filettatura, viene fatta usando utensili opportuni, hanno un dentino che è uguale, in negativo, al filetto della vite. Gli utensili utilizzati si realizzano facilmente dato che le viti son tutte normate nei loro parametri geometrici, realizzare degli utensili predefiniti non sarà quindi molto difficoltoso. Nonostante tutto, comunque, la filettatura è molto più veloce se realizzata tramite deformazione plastica. Ci sono poi lavorazioni per l’interno, son le più complicate perché gli utensili son molto lunghi quindi si ha un grande impatto delle vibrazioni, per limitarle vado a ridurre le forze in gioco, asporto meno materiale, i parametri che devono esser modesti, le geometrie dell’utensile posson essere delle più varie, anche piuttosto conformate, esistono per esempio degli utensili che presentano i rompi-truciolo, utilizzati per frammentare il truciolo e diminuire gli attriti. Le forze in gioco si posson dividere in tre direzioni, una “di taglio”, la forza necessaria per andare ad asportare materiale (diretta verticalmente), un’altra direzione è quella dell’asse dell’utensile, qui si trova Fp, forza di repulsione che contrasta la macchina, infine, lungo la direzione dell’asse del pezzo, si trova la Ff, o forza di feed. La forza di taglio deve esser contrastata dal motore della macchina, quello che fa girare il pezzo, mentre quella di avanzamento deve esser contrastata dal motore che fa avanzare il pezzo. Volendo misurarsi le forze, conoscendo il piano di scorrimento, conoscendo i valori di b e h oltre a tutti gli angoli, posso calcolarmi quali sono le forze lungo tutte le direzioni. Le forze di taglio dipendono dalla sezione di materiale che rimuovo, la quantità di materiale asportato dipende fondamentalmente da due parametri, quanto affonda l’utensile e quanto velocemente spazzola la superficie, in particolare mi interessa l’avanzamento compiuto dopo un giro (di solito indicato in mm/giro), di fatto l’utensile scava un percorso a spirale, il pezzo ruota e l’utensile avanza, di fatto sta “disegnando” una sorta di elica. La quantità di materiale asportata ad ogni giro è legata all’ingaggio assiale, o profondità di taglio, e all’avanzamento al giro, di fatto l’utensile asporta questo parallelogramma di materiale. Le forze in gioco son proporzionali a quest’area, saranno legate all’area per una sollecitazione di taglio. All’aumentare del feed, o avanzamento, le forze di taglio aumentano quasi in modo lineare (al crescere del feed aumenta la sezione rimossa e quindi la forza), l’andamento non è proprio linearissimo perché tiene conto anche delle forze di attrito; lo stesso discorso si può fare andando a variare profondità di passata, la forza cresce linearmente; variamo ora la velocità di asportazione: a velocità basse le forze son alte, decrescono quando raggiungono una certa velocità (in genere è la velocità ottimale), se salgo ancora di velocità le forze ricominciano a crescere ed infine c’è un fenomeno strano che le fa diminuire sensibilmente giungendo a velocità estremamente elevate (High speed cutting). In prima approssimazione possiamo dire che a bassa velocità le forze son notevoli perché abbiamo il problema del tagliente di riporto, che si inizia a sviluppare quasi subito. Lavorando ad alta velocità si incorre in diverse complicazioni, crescono molto le temperature e di conseguenza gli utensili si usurano più velocemente. In tornitura le forze tendono ad esser costanti nel corso del processo, in realtà dei fenomeni di vibrazione ci posson essere a far vibrare le nostre forze, ma comunque come approssimazione si posson considerare tranquillamente costanti. Per calcolarsi i valori delle forze noi useremo la seguente formula: Un altro aspetto importante è legato alla rugosità superficiale, i nostri utensili son costruiti da un tagliente principale e uno secondario raccordati fra sé, a seconda di quanto avanzo ogni giro, lascio un profilogramma diverso sulla superficie. Finitura superficiale e avanzamento son fortemente connessi, abbiamo una formula che dato il feed e dato il raggio di raccordo dell’utensile ci restituisce la rugosità totale. Per profili semplici (profili triangolari) la rugosità totale e quella aritmetica son legate (Ra/Rt = ¼) e allora la formula appena vista si può utilizzare anche per calcolare la rugosità aritmetica. La rugosità teorica è diversa dalla rugosità reale, negli esercizi lo trascureremo, ma se lavoriamo a bassa velocità questa differenza è molto marcata, anche del 100%. In generale non posso usare raggi di raccordo molto elevati, nascerebbero ulteriori problemi, si usano raggi che vanno da 0.4 a 0.8 mm. La durata dell’utensile dipende dalle forze in gioco, da quanto materiale sto tagliando, se c’è lubrificazione ecc., i materiali usati son dei più vari, le soluzioni più economiche son gli utensili in acciaio al carbonio, si usano soprattutto per materiali facili da lavorare (legno), la famiglia successiva è quella degli acciai super-rapidi, fortemente legati con un sacco di cromo, vanadio e tungsteno, mantengono elevata durezza anche ad alta temperatura. Volendo salire ancora di durezza si usano utensili di carburo, praticamente usati ogni volta che dobbiamo asportare metallo, oppure utensili di materiali ceramici che mantengono un’elevata durezza anche ad alta temperatura, il problema è che sono molto fragili quindi si posson usare quando le forze in gioco non sono eccessive. Le placchette più comuni hanno forma tonda, quadrata o romboidale, in funzione dell’utensile scelto, prendendo per esempio un utensile di carbonio, il materiale più usato si ha un tempo di realizzazione, realizzando l’utensile con dei carburi a questo tempo è 30 volte più breve. Andando verso materiali migliori si diminuisce drasticamente il tempo necessario per realizzare l’operazione. Gli utensili comuni son realizzati di carburo tungsteno o di acciai super-rapidi; le placchette son realizzate con diversi strati, si crea una stratigrafia di materiali estremamente duri (altri magari fungono da isolanti per il calore). Siamo andati verso soluzioni non integrali, disaccoppiamo la parte che taglia da quella che sostiene i “coltelli”, in questo modo quando c’è bisogno di sostituire i coltelli posso tranquillamente sostituire solo le placchette, la parte fissa potenzialmente può durare a vita. Sinterizzazione (CHIARIMENTO), processi molto precisi, polvere viene creata in delle macchine, viene setacciata, si alza notevolmente la temperatura, si aggiunge del legante, poi questa pasta viene inserita nello stampo e compattata, subisce poi dei processi che gli conferiscono elevata durezza. Non si posson realizzare tramite fusione perché è presente tungsteno (che fonde a 2700) Gli inserti hanno un piccolo problema, si usurano, la loro vita è intorno alla ventina di minuti, si usurano maggiormente dove la temperatura è più alta (si crea un cratere) e dove la punta presenta maggior attrito con il pezzo (si viene a creare un labbro d’usura). Anche i parametri di taglio e il materiale che vado a tagliare (acciaio inox in 15 m9nuti finisce la placchetta) influenzano l’usura; oltre a questi aspetti anche la lubrificazione ha effetto importante sull’usura, nei processi di taglio uso un’emulsione di acqua, olio e altri elementi; l’acqua serve a refrigerare mentre l’olio a lubrificare. Al posto del labbro d’usura posso notare anche una deformazione plastica in caso che i parametri di lavorazione siano errati e quindi le forze in gioco troppo elevate. I maccanismi di usura che posso avere sono i seguenti: a basse T si verifica il tagliente di riporto, cambia gli angoli di taglio e crea delle fratture sull’utensile; fenomeni di abrasione, costanti al variare della T; fenomeni di ossidazione e diffusione, gli elementi in lega nell’utensile diffondono e si miscelano col truciolo. Parte di materiale si mescola all’interno del materiale da taglio, materiali “preziosi” tendono a diffondersi verso il materiale del componente, se i materiali pregiati dell’utensile migrano via, le proprietà superficiali e meccaniche peggiorano moltissimo. Per misurare l’usura si usano due misure, la profondità del cratere (KT) (verifica quanto si è abraso il permettono anche di inclinare il pezzo, son macchine controllate in continuo, posso ricavare superfici estremamente complesse andando a coordinare il movimento relativo lungo assi diversi. La fresatura può funzionare in due modi: up-milling o down-milling. Nel DM, il dente della fresa entra dentro al pezzo e scende verso il basso, in UM, il dente entra dal basso e sale verso l’alto. Se la fresa ruota costantemente nella stessa maniera, la differenza sta solamente nella direzione da cui arriva il materiale. Cosa succede? Meccanismo di taglio un po’ diverso, in UM parto da uno spessore molto sottile e arrivo allo spessore massimo, in DM entro dallo spessore massimo ed esco dal minimo. Per la maggior parte dei materiali si lavora in DM, il legno e pochi altri vengono lavorati in UM (per ridurre le schegge). Esistono materiali particolarmente difficili da tagliare che se entro con uno spessore piccolo il coltello non riesce a incidere. I vantaggi sono che quando entro col coltello in uno spessore piccolo si ha il rifiuto del taglio, si deforma un po’ il bordo, ma il coltello rimane fuori, questo perché in fase iniziale di ingaggio si ha sempre una leggera deformazione plastica, si ha uno strisciamento dell’utensile sul componente, fino a che non si raggiunge uno spessore minimo del truciolo per cui può partire il taglio, il materiale iniziale è stato deformato, ma non tagliato, il ritorno elastico modifica la forma finale, il materiale tende a risalire e striscia sul dente, le forze son progressive, parto da forze più basse per poi crescere verso valori più alti. In DM ciò non si verifica, parto dallo spessore massimo e finisco con quello minimo, riesco più facilmente ad entrare nel componente, si ha maggiore accuratezza, ma anche più urti. Esistono poi lavorazioni che utilizzano entrambe le tecniche: se vediamo la fresatura frontale, si vede che in una prima parte opera in UM mentre alle fine DM. Per convenzione, esistono solamente frese che ruotano in senso orario. Le operazioni che si posson svolgere son delle più varie: face milling, vado a scavare tutta la superficie del pezzo, creo un piano, uso una fresa molto più grande della superficie che voglio spianare, il processo può esser completo o parziale, slotting uso una fresa piuttosto piccola (perché le forza in gioco sarebbero enormi), entro nel componente e scavo una cava su tutta la superficie. Abbiamo poi la lavorazione di un profilo, dove l’asse della fresa è parallelo alla superficie da lavorare (infatti non lavoro il fondo, ma il “fianco” del componente) oppure la realizzazione di una tasca, anche in questo caso l’asse della fresa è parallelo alla superficie da lavorare. Infine, si hanno operazioni di Contouring (lavorazioni free form), quando uso una fresa che non ha spigoli vivi, ma di solito ha una testa sferica con cui vado a creare superfici estremamente complesse: infatti, coordinando il movimento degli assi riesco a realizzare quasi ogni tipo di superficie. La fresatura è molto più versatile della tornitura, posso produrre superfici conformate. Processi molto più lenti rispetto ad altri che abbiamo già visto. La maggior parte delle frese vengono realizzate in placchette, per ragioni di ingombro, quando si devono usare frese più grandi si preferiscono quelle con le placchette, non possiedono spigoli vivi , si inventano geometrie per favorire la truciolabilità del materiale. Usare gli inserti mi permette di abbassare il costo dell’utensile e quindi di poter effettuare la lavorazione più velocemente. Quanto ci vuole per eseguire una lavorazione? Supponiamo di dover fare un’operazione di face-milling andando a spianare un cubetto lungo L e largo b, la nostra fresa è leggermente più larga del componente, ma prima è necessario considerare quello che è l’inizio del contatto. L’utensile inizia a tagliare quando si appoggia sul componente, mentre finisce quando anche l’ultimo spigolo viene rimosso, il percorso da fare sarà L più il raggio della fresa meno la distanza del segmento ab la cui entità dipende dalla larghezza del pezzo e dal diametro della fresa. Se poi conosco la velocità di feed, il tempo necessario al processo sarà il rapporto fra la lunghezza che abbiamo appena calcolato e questa velocità. In fresatura periferica, il contatto parte un po’ prima del punto in cui lascio la fresa sul pezzo e quanto prima dipende dalla profondità di materiale che vado a rimuovere. Quando la fresa è totalmente ingaggiata, il contatto parte quando il centro della fresa è a distanza r dal pezzo e termina quando il centro della fresa lascia il pezzo. L’andamento delle forze è particolare: all’inizio sto lavorando in UM, all’inizio il contatto ha una sezione di truciolo nulla, le forze son minime crescono progressivamente fino ad un massimo (quando ho lo spessore massimo del truciolo) e diminuiscono quando termina il contatto, l’entità delle forze segue linearmente l’andamento dello spessore; in generale l’andamento è rappresentato da una sorta di impulsi successivi che la macchina deve gestire, questi impulsi hanno una certa frequenza ricorrente, coincidente con l’ingresso del dente nel materiale, se questa frequenza è vicina a quella del pezzo, iniziano a diffondersi vibrazioni importanti. Si posson avere soluzioni in cui più denti in presa contemporaneamente, come si calcola lo spessore max? Considero che se devo dimensionare la resistenza della macchina avrò un andamento ad impulsi delle forze in gioco, io devo dimensionare il processo per quanto riguarda la forza max, ho bisogno di calcolare lo spessore massimo del truciolo. Se la fresa affonda di almeno il valore del suo raggio, lo spessore massimo è l’avanzamento per dente; se il materiale che sto asportando è minore, la sezione di truciolo diventa più piccola e segue la seguente legge, la sezione è data dall’avanzamento per dente, dalla profondità di passata e dal rapporto fra quello che è l’ingaggio radiale e il raggio della fresa. A seconda delle condizioni di ingaggio si hanno forze differenti. Se abbiamo pochi denti o se l’ingaggio radiale è basso abbiamo tutti spike di forze distanti, se la fresa è fatta in modo che appena esce un dente ne entra un altro troviamo un andamento continuo mentre se i denti son più fitti, andiamo a trovare una somma delle forze sul singolo dente, non si va mai a zero. Come si capisce quanti denti sono in presa? Di fatto calcolo la distanza angolare fra i denti, la comparo con la distanza angolare ingaggiata e faccio il rapporto. Un ruolo importante lo gioca l’angolo di registrazione principale, l’angolo fra il tagliente principale e la direzione di avanzamento e l’angolo di registrazione secondario, l’angolo fra il tagliente secondario e la direzione di avanzamento. L’angolo di registrazione in fresatura cambia poco per quanto riguarda le forze, ma è responsabile di creare una certa geometria sul componente. La lubrificazione avviene spruzzando sul componente dell’olio miscelato con acqua, conservanti e antimuffa. Uso un mix di acqua e olio (5-7%), l’emulsione che viene fuori è biancastra, si fa questo mix per due ragioni, il costo, in quanto l’olio è molto costoso, e poi perché l’olio tende a lubrificare, mentre l’acqua raffredda, ha un’azione di scambio termico molto migliore; la lubrificazione assume quindi un’azione di lubro-refrigerazione, il raffreddamento è necessario per non far scaldare troppo l’utensile. I sistemi di lubro-refrigerazione son costituiti da circuiti di ricircolo, il mix non viene sprecato, ma refrigerato e poi riutilizzato. Il problema è che un po’ di miscela viene portato via dai componenti, per ridurre questo fenomeno son stati sviluppati approcci un po’ particolari di refrigerazione: MQL, uso una percentuale di olio molto bassa portata in sospensione da un aerosol di aria compressa, i vantaggi son che consumo pochissimo olio e che l’aria porta l’olio anche in degli interstizi dove l’acqua non arriverebbe; un altro approccio è la lubrificazione criogenica, invece di un fluido a base oleosa si usa l’azoto liquido. Materiali ceramici lavorano bene a basse forze e alte velocità. Tutti gli utensili hanno vari trattamenti di copertura. Evitano la propagazione della cricca e la dispersione di calore verso l’inserto, aumento il calore che se ne va con il truciolo. La maggior parte dei taglienti hanno la forma di un’elica. Quelli a due denti son da sgrossatura, forze grandi e grandi aree da sgrossare, 4 denti son utensili per finitura, tolgono meno materiale e son più rigidi. Se non devo realizzare spigoli vivi sul bordo tendo a prendere un utensile che presenta un raggio di raccordo. In fresatura periferica, R epsilon è uguale al raggio della fresa Altra operazione è la barenatura, permette di lavorare superfici interne particolarmente lunghe, uso un utensile che si chiama bareno, tanto lungo da necessitare anche di un supporto, funziona come la tornitura: entra nel componente e scava geometrie interne particolarmente lunghe, ha dei vincoli sulla rigidezza e sulla capacità di assorbire le vibrazioni un po’ più stringenti. Altra operazione è la uno studio di fabbricazione considero per prima cosa i parametri fissati dal designer, tolleranze geometriche e materiali da lavorare, queste son le info di base che il tecnologo deve avere. Il materiale è il primo driver che definisce quali processi si posson usare e quali no; se devo realizzare un componente molto complesso, per esempio, posso pensare subito ad un processo di fusione. Altra cosa che influenza molto la scelta del processo è il numero di pezzi da fare. Quando facciamo uno studio di fabbricazione si procede in questo modo: si parte dal comprendere l’oggetto da produrre, dobbiamo interpretare ciò che dice il disegno, guardandolo dovremmo determinare le finiture richieste per esempio, seconda di poi si passa alla selezione dei processi possibili per realizzarlo, può non esserci un processo solo, ognuno è caratterizzato da vantaggi e svantaggi, si determina prima il processo primario (fusione, deformazione plastica, asportazione di truciolo e saldatura) e una volta definito esso vado a cercare di capire quali sono i processi secondari più adatti, una volta definito tutto ciò entro più nel dettaglio, cerchiamo di capire quali sono le superfici di riferimento, sono le superfici rispetto alle quali blocco nello spazio il pezzo sopra la macchina, ogni mia operazione sarà riferita a esse, fatto ciò, definisco la sequenza ottimale delle operazioni, esprimo in modo matematico dei vincoli per determinare la sequenza ottimale, sbagliare la sequenza è molto comune perché entra in campo l’esperienza dell’operatore. Definiamo poi quale macchina utilizzare, se la sequenza di lavorazioni mi costringe ad andare da una parte all’altra dell’azienda si vede che non è così tanto giusta, cerco di raggruppare le lavorazioni in modo da ridurre gli spostamenti necessari per spostarsi da una macchina all’altra; all’interno del reparto definisco poi in maniera esatta quella che è la macchina più adatta. Vado a definire poi i metodi di ispezione e alla fine vado a fare un conto economico, è importante tenere in considerazione quale è il costo del componente per capire se quest’oggetto potrebbe aver mercato, se mi rendo conto che con le soluzioni scelte l’oggetto risulta troppo costoso, dobbiamo per forza di cose rimodellare il processo produttivo. I processi si dividono in primari, che tendono a dare la forma all’oggetto e secondari, quelli che lavorano sulle superfici, a volte quelli primari vengono omessi perché compro direttamente i prodotti semi-lavorati in modo che ci debba realizzare solo un processo secondario. La scelta è basata anche sulla disponibilità delle macchine e sulle capacità degli operatori, senza persone che sappiano realizzare un certo processo non posso sceglierlo nonostante sia quello più economico e funzionale. I processi di asportazione di truciolo formano una famiglia d processi a sé stante, circa l’80% dei processi in campo metal-meccanico appartiene a questa famiglia. In generale, posso parlare di processi di asportazione di truciolo come quelli da ottimizzare (perché i più diffusi). Costano e son più complessi, ma son i più diffusi perché hanno una flessibilità che nessun’altra famiglia di processi può garantire. Posson andar bene sia per piccola serie che per produrre componenti in grandi lotti. I driver che più interessano sono: il costo, in quanto alcuni processi consumano più materiale di altri, per esempio, l’asportazione è un processo che consuma molto materiale, mentre in fusione, gli scarti son davvero minimi. Un altro driver molto importante è la geometria del componente, alcuni hanno processi primari di un certo tipo (per esempio degli oggetti forati è comodo usare la fusione). Troviamo poi l’influenza data dal materiale da utilizzare, infatti non tutti i materiali posson esser lavorati con ogni tipo di processo, altre volte le tolleranze richieste impongono l’utilizzo di determinati processi piuttosto che altri. Una voce di costo che spesso viene trascurata è il thinking time, è quel tempo che spendiamo per definire la produzione di un certo componente (per definire lo studio di fabbricazione), esiste un giusto compromesso di thinking time che noi potremo investire per realizzare uno studio di fabbricazione (4 mesi son troppi mentre magari 1 giorno è troppo poco); il thinking time è l’investimento che l’azienda fa per ottimizzare lo studio di fabbricazione, il tempo di pensiero per elaborare lo studio di fabbricazione dipende dal numero di componenti da realizzare; il thinking time ottimale è flessibile, quando il lotto è molto grande, anche un tempo di pensiero molto grande è giustificato perché sulla grande quantità di componenti anche un piccolo risparmio di tempo è un risparmio di soldi enorme, invece, per un singolo componente non ha senso sprecare un mese per risparmiare qualche secondo, questo perché l’ingegnere è un costo e il risparmio di tempo ottenuto non giustifica le spese fatte dall’azienda per ottimizzare lo studio. In certi settori come quello automotive la produzione è ottimizzata al minimo secondo a causa dei grandi lotti da produrre. Vediamo quale è il costo di una produzione: innanzitutto è legato al numero di pezzi da realizzare, al costo orario delle macchine e degli operatori, al costo orario della lavorazione, comprendente anche dell’olio di lubrificazione per fare un esempio, tutto ciò moltiplicato per il tempo diretto per produrre il componente più il costo indiretto, determinato da operazioni indirette, quelle non riconducibili alla produzione, tutto il sistema per far funzionare il processo (per esempio i mulettisti che portano il materiale o l’ingegnere che crea lo studio di fabbricazione) per il tempo necessario alle operazioni indirette, infine troviamo il costo di setup (costo per preparare la macchina, o montare gli utensili). Il tempo diretto di produzione è inversamente proporzionale al tempo speso per ottimizzare lo studio di fabbricazione, più tempo spendo più velocemente realizzerò il componente, curva asintotica, le prima ottimizzazioni son semplici, quando alla lunga devo risparmiare anche pochi secondi dovrò compiere operazioni piuttosto difficoltose perché avrò raggiunto un indice di ottimizzazione già piuttosto alto. Quando il tempo di pensiero tende a infinito, il tempo per la produzione tende a un tempo minimo per la produzione del componente, quando invece il thinking time è nullo, il tempo per realizzare il componente è massimo; troviamo che il tempo di produzione è pari a questa formula: ipotizzando tmax e tmin ottengo una stima della relazione fra thinking time e tempo di realizzazione. Il tempo minimo l’azienda lo ipotizza in base allo storico. In generale mi ipotizzo una curva di questo tipo andando a definire tante ipotesi riguardanti i tempi di lavorazione. Come seleziono il processo primario di interesse? (formatura da liquido (fusione), processi di deformazione, processi di asportazione, saldatura e assemblaggio). In fusione posso aver varie tecnologie, ognuna caratterizzata da differenti costi fissi e marginali, alcuni processi caratterizzati da alti costi fissi (die casting), di solito questo investimento si porta tempi di realizzazione molto bassi; processi come il sand-casting son pensati invece per piccoli lotti, esistono delle quantità di componenti da realizzare che una volta superate fanno sì che convenga usare un altro tipo di processo, (oltre 6000 componenti conviene usare un processo di die casting per esempio). In generale, sulla base della geometria (lamiera o oggetto massivo) si sceglie il processo, quelli eseguiti su lamiera son più economici, i processi a freddo son poi più economici perché il materiale non deve esser così prestante da dover reggere ad alte temperature. Ogni processo produttivo è caratterizzato da un’intrinseca precisione, ogni processo ha il suo limite. Bisogna valutare il materiale utilizzato, la forma che vogliamo ottenere, le dimensioni del pezzo, se il pezzo è troppo grande certi processi non si applicano (la forgiatura su pezzi troppo grandi non si applica), se lo spessore è molto sottile comincio a pensare ad oggetti realizzati per lavorazione di lamiera. Del materiale considera la duttilità, la malleabilità (la capacità di un materiale di non rompersi se deformato), imputabilià, piegabilità, colabilità, si ha quando il materiale è molto fluido una volta fuso. Altra caratteristica è la saldabilità, che definisce quanto il mio materiale è viscoso una volta allo stato fuso, infine abbiamo la macchinabilità o lavorabilità alla macchina utensile (truciabilità), capacità del materiale di creare del truciolo. La ghisa non si può saldare, ha una buona colabilità e una buona lavorabilità alla macchina utensile, questo perché ha una buona lubrificazione interna perché è un composto di ferro misto a una quantità di carbonio non trascurabile, si parla di materiale autolubrificante; l’acciaio si può saldare facilmente, quello senza carbonio, sufficiente colabilità, diventa elevata quando il contenuto di carbonio cresce. L’alluminio presenta buona colabilità, cattiva saldabilità e ottima malleabilità, si lavora bene alla macchina utensile. Il titanio si lavora male alla macchina utensile, difficilmente saldabile, estremamente resistente a corrosione e a sforzi meccanici; le plastiche son estremamente diffuse. Per grandi quantità sicuramente la deformazione plastica è la scelta più giusta. La seconda è la fusione, ovviamente mettendo davanti quelle pensate per grandi quantità, in terza battuta la saldatura e in quarta i processi di asportazione di truciolo, infine abbiamo l’assemblaggio. Per piccole quantità si ha un ordine differente: asportazione di truciolo, saldatura, deformazione (metodi caratterizzati da bassi costi fissi, es. ricalcatura), stampa 3D e infine fusione. Una prima stima della complessità può esser fatta andando a considerare una separazione a quattro livelli: mono, quando si parla di profili a sezione costante, open quando la forma può esser scomposta in due forme più semplici, complessa quando ci sono feature che devono esser viste da più di due direzioni, molto complessa quando ho zone in sottosquadro o fori con geometria complessa che non posson esser realizzati facilmente. Usiamo delle tabelle per capire quale deformazione è più adatta per ogni lotto e componente, si cerca di identificare i processi da adottare in ogni condizione, son indicazioni di massima, dobbiamo adattare i risultati della tabella al caso particolare, è richiesta un’analisi specifica. Abbiamo indicazioni sulla qualità che il processo può raggiungere, la qualità già elimina dei processi, poi abbiamo un analisi della geometria che vogliamo realizzare, si analizzano poi le feature; oltre alle quattro macro-categorie (mono, open, complex, very complex), si aggiungono delle altre categorizzazioni, per esempio “mono” può presentare “a parti lunghe”, “a parti corte” ecc., si trova poi la distinzione fra “sezione spessa” e “sezione sottile”, nel primo caso si usano processi massivi, per sezioni sottili si va su lavorazioni di lamiere. Queste tabelle mi danno non solo il processo preferibile, ma anche l’ordine di priorità con cui posso verificare la fattibilità dei vari processi. Analoghe tabelle si trovano anche per medie e alte quantità. Per L<50 si parla di lotto piccolo mentre L> 2000 corrisponde ad un lotto grande. Su tutti i componenti realizzati è necessaria una fase di controllo dimensionale, a seconda della criticità del componente lo posso fare: - Esclusivamente sui primi pezzi realizzati. - Periodicamente. - Per ogni pezzo realizzato. I componenti relativi alla sono controllati al 100%, anche componenti costosi che rischiano di imballare un sistema di produzione vengono controllati accuratamente. Un oggetto come questo si produce per forgiatura, per due ragioni, la prima economica perché è un oggetto che richiede una produzione di massa quindi gli alti costi dello stampo son frazionati fra milioni di componenti e non impattano quindi sul singolo oggetto, la ragione tecnica è che la forgiatura mi permette di sfruttare la durezza data dall’incrudimento. alternative. Quando ho più pezzi che devono andare sulla stessa macchina, ci faccio lavorare quello che risente di più dello spostamento dalla macchina ottimale ad un’altra, minimizzo gli extra costi che ho spostandomi su un’altra macchina (costi anche legati al ritardo dato dalla produzione). La maggior parte delle macchine di asportazione (torni, frese, brocce) possono fare una pluralità di lavorazioni, non sempre rendere una macchina molto flessibile è conveniente, questo a causa dei costi di setup, devo cambiare gli utensili che lavorano, le morse ecc. Per definire la sequenza ottimale, il primo passaggio è capire se esistono delle precedenze fra le operazioni: di tipo tecnologico, per esempio se ci son delle superfici riferite ad altre, prima dovrò realizzare queste altre e poi quelle riferite ad esse, di tipo geometrico, se dovessi realizzare due fori coassiali, prima conviene creare il foro su cui lavoro meglio e poi quello su cui lavoro peggio, ci son poi precedenze di tipo tecnologico legate alle precisioni che voglio ottenere, se devo realizzare più di un’operazione prima eseguo quella che richiede più precisione perché in principio lavoro in condizioni ottimali, le superfici più importanti, dove non si devono trovare fori e difetti vanno realizzate per prima perché altrimenti, lavorandoci nelle vicinanze, si depositerebbe sopra del materiale in eccesso; un altro aspetto da considerare quando si decidono le precedenze è l’aspetto economico, devo minimizzare il percorso di taglio degli utensili. La scelta delle macchine da utilizzare dipende dal numero di pezzi che devo andare a realizzare: se è alto, mi conviene andare su una macchina a controllo numerico, il tempo per programmarla viene spalmato su molti componenti e quindi diventa efficiente, in caso di lotti piccoli si può usare una macchina manuale che sicuramente allunga i tempi, ma garantisce la convenienza. La matrice delle precedenze la vado a rappresentare in una forma un po’ più avanzata dalla quale posso ricavarmi ogni precedenza di cui ho bisogno per realizzare il componente. Primo passaggio che faccio è, definite le varie superfici, capire quali lavorazioni adottare per ottenerle, la superficie 1 è un foro, lo realizzo per foratura, la 2 e la 3 son assial-simmetriche, le realizzo per tornitura, ma solo se il mio pezzo è assial- simmetrico, non è questo il caso però, le realizzo quindi andando a realizzare una “tasca”, uno scavo con una fresa (più piccola del foro da realizzare), scavo una certa geometria all’interno di un oggetto pieno, per la 4 vale la stessa cosa, la 5 è piana la farò con una fresatura frontale, con una fresa bella grossa per massimizzare la produttività, uguale la 7, la 6 è un foro, la ricavo quindi per foratura. Il processo primario per creare questo oggetto (in alluminio) è la pressofusione (se il numero è alto) sennò utilizzo una fusione in sabbia (lotti piccoli), si usa la fusione perché è un componente complesso e tendenzialmente vuoto. Comincio poi a definire le operazioni che devo fare e i rispettivi parametri. Decido se è necessario fare uno, due o tre passaggi; per esempio, se una superficie deve esser realizzata con una sgrossatura + finitura magari. Il parametro che influenza la rugosità è l’avanzamento per dente in fresatura o l’avanzamento per giro in tornitura, ricavando dal disegno il valore di rugosità, posso facilmente desumere questi due parametri. Per la superficie 2 per esempio, che richiede un’alta precisione, mi conviene andare a fare una sgrossatura per portare tutto a circa mezzo mm di materiale in più e poi rifinisco con una finitura, sulla 6 mi basta un passaggio solo, non ha bisogno di accuratezze particolari, tendenzialmente è più largo di ciò che gli entra dentro. Si definiscono i nomi delle operazioni. Definisco poi alcune precedenze: alcune sono ovvie, la sgrossatura viene prima della finitura, fra la 2 e la 3 faccio prima la 3 in modo da ridurre la corsa dell’utensile (precedenza di tipo economico), faccio prima le parti più larghe e poi a salire. Qua ci sono più alternative, scegliamo in base alla soluzione che mi permette di ottenere il minimo numero di fasi. (la foratura rappresenta una fase diversa rispetto alle operazioni di fresatura, devo spostare il componente sulla macchina da foratura). Come scegliamo i parametri di lavorazione delle nostre operazioni? Essi di dividono in tre famiglie: condizioni di ingaggio (ap e ae prendono il nome di ingaggio assiale e ingaggio radiale, definiscono quanto la mia fresa è in presa; per la tornitura ho solo l’ingaggio assiale), condizioni di avanzamento, avanzamento per giro in tornitura o avanzamento per dente in fresatura, infine abbiamo la velocità di taglio. Parametri scelti sulla base di considerazioni tecniche ed economiche, più cerco di mangiare materiale più si usura l’utensile, devo trovare il giusto compromesso fra velocità di taglio e costo di processo. Alcuni studi hanno dimostrato che il costo dell’utensile incide per il 10-20% sul costo del processo, in fresatura spesso si utilizza il 16%. Il limite dell’utensile è l’usura, quando si scheggia succede che l’utensile non garantisce più la finitura superficiale richiesta, se ciò con cui tagliamo è scheggiato non si ottengono tali valori di accuratezza, solamente in sgrossatura, una leggera scheggiatura può andar bene. Per scegliere i parametri, i passaggi da fare sono: cercare di massimizzare la profondità di passata, se non fosse possibile rimuovere tutto il materiale in un solo passaggio dovrò spezzare il processo e ciò causerebbe un grave ritardo nei tempi, la seconda cosa da fare è cercare di lavorare sull’avanzamento per giro/dente, lo faccio avendo come vincolo la finitura, in sgrossatura devo tener conto della sezione massima di truciolo che posso asportare, in finitura il mio limite è l’accuratezza richiesta per quella specifica superficie; infine la velocità, scelta in base al materiale che sto tagliando, ogni materiale ha un range di velocità a cui si taglia al meglio; moltiplicando la forza per la velocità ottengo la potenza, il valore di velocità scelto dipende quindi anche dalla potenza dell’operazione, se essa è maggiore della potenza disponibile della macchina dovrò cambiare parametri. L’errore nella scelta dei parametri si porta dietro dei costi non trascurabili, si può bloccare il sistema di produzione di massa ed eventualmente, per errori gravi, ci son da sostenere i costi di ripristino della macchina. Altra cosa che avevamo visto era l’usura dell’utensile: di due tipi, legata alla craterizzazione, dovuta al fatto che è la zona a più alta temperatura, mentre nella parte sottostante abbiamo il labbro d’usura, perdiamo lunghezza dell’utensile, e aumenta l’attrito, peggiorano le finiture superficiali ed aumentano le forze in gioco. In generale valori di riferimento per i quali dobbiamo cambiare l’utensile sono: una profondità di 0.5mm del cratere e una lunghezza del labbro d’usura di 0.3mm. Problemi che si verificano posson essere: rottura di tipo meccanico e termico, aggressione chimica (quando si ha molta diffusione, il carbonio è solubile nel ferro, non posso lavorare il ferro col diamante perché sennò perde le sue proprietà meccaniche e spreco soldi). Modello usato per spiegare l’usura è il modello esponenziale (Taylor); il parametro che influenza maggiormente la vita dell’utensile è la velocità di taglio (relazione espressa nella relazione di Taylor), esiste anche un’altra forma di espressione di Taylor che presenta anche l’influenza minore di altri parametri, il feed e la profondità assiale (influenza più ridotta). Noi considereremo solo l’effetto della velocità di taglio, il modello di Taylor ci permette di capire quali sono le velocitò ottimali per realizzare le nostre operazioni: si definiscono due velocità di interesse, una che permette di massimizzare la produzione, che minimizza la vita dell’utensile, l’altra è la velocità che minimizza il costo dell’operazione. Definiamo un tempo necessario per finire una lavorazione, il tempo ciclo è legato ad una parte fissa (Th, fase di carico/scarico componente, non sto lavorando ancora), l’unico modo per ridurre questo tempo è lavorare sulla logistica, abbiamo il tempo di machining (il tempo che impiego a far la vera e propria lavorazione, dipende dalla velocità di taglio) ed infine un tempo di sostituzione della placchetta (Tt). Definiamo una lavorazione su una superficie cilindrica, il tempo necessario è espresso come: c’è dentro anche il feed, ma generalmente è fissato. Il numero di pezzi che riesco a fare è pari alla vita utile dell’utensile fratto Tm. La vita dell’utensile è molto bassa, quando voglio la massima produttività la vita massima dell’utensile è di circa 20 minuti. Derivando il tempo di lavorazione posso trovare il punto di minimo della lavorazione, troviamo la velocità massima, al denominatore vediamo il tempo di cambio utensile, più è alto il tempo di sostituzione dell’utensile, più sarà conveniente fare questo cambio il meno possibile, mi conviene quindi andare più piano, le macchine moderne per garantire che sia economico viaggiare ad alta velocità tendono a cercar di ridurre il tempo necessario alla sostituzione dell’utensile: si cerca di andar su materiali che durano di più e poi nelle macchine moderne si cerca di avere subito un utensile pronto a sostituirlo, ho due utensili esattamente uguali a bordo macchina (utensile gemello), uno lavora e uno pronto alla sostituzione, quando quello sostituito entra in magazzino l’operatore ha 20 minuti di tempo per cambiare la placchetta e controllare che tutto sia apposto. Si riduce il tempo di cambio utensile perché questo economicamente mi permette di lavorare a velocità più alte, le macchine moderne cercano di far ciò, più aumenta la velocità più frequentemente dovrò cambiare l’utensile, ma diminuisce Tm, avrò una curva dei tempi di produzione che mostra un valore di velocità ottimale al quale lavorare. Equivalentemente potrò fare andando ad analizzare i costi: supponiamo di calcolare una curva dei costi, c0 è il costo orario della macchina, ct è il costo dell’utensile che vado a cambiare. Calcoliamo come costo dell’utensile il costo totale dell’inserto diviso il numero di volte che posso girare l’inserto, essi hanno forme ben definite in modo da poterli ruotare (l’utensile triangolare arriva a morte prima di poterlo ruotare 6 volte, 3 per faccia e fronte retro). Abbiamo il costo macchina per il tempo di handling, costo macchina per il tempo della lavorazione, costo macchina per il costo di cambio utensile e infine il costo dell’utensile. Facciamo le dovute sostituzioni e cerchiamo di minimizzare il costo, otteniamo una velocità di minimo costo, e un tempo di minimo costo (dipende dal costo della placchetta e dal tempo di cambio utensile). Più aumenta il costo dell’utensile più mi conviene andar piano per preservarlo. La lavorazione con velocità di taglio più bassa in assoluto è la brocciatura, qua abbiamo un utensile molto costoso, specifico per la geometria, non posso raggiungere velocità così alte (al massimo 6-8 m/min). scegliere velocità basse o alte cambia il tipo di lubrificazione, verso velocità basse è necessario più lubrificante, più bassa è la velocità meno il campo si scalda e quindi ho più bisogno di lubrificante, il mix olio-acqua cambia in base alla velocità di lavorazione. (operazioni di brocciatura vengono anche fatte con olio al 100%). Di nuovo abbiamo lo stesso andamento (parabolico), il costo ha un punto che individua la velocità a cui andare se si vuol ottimizzare i costi. Unendo le due curve, individuo un range di velocità (compreso fra velocità di minimo costo e di massima produttività), in generale queste
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