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Appunti completi Letteratura inglese 1 (Pallotti) Modernismo 2020/21, Appunti di Letteratura Inglese

Sbobinature complete e ordinate di letteratura inglese: contesto storico e socioculturale, tecniche narrative, analisi di autori e opere con testi commentati. Modernismo, war poets ("The Soldier", Rupert Brooke; "Dulce et Decorum Est", Wilfred Owen), saggi critici (Modern Fiction, Virginia Woolf), ready-made poetici ("The Red Wheelbarrow", William Carlos Williams). Imagismo ed Ezra Pound (poesie: L’Art, 1910; Ts’ai Chi’h; Alba [‘Dawn Song’]; In a Station of the Metro. T.S. Eliot e analisi completa The Waste Land. Analisi di The Waste Land: Five Limericks, di Wendy Cope. James Joyce: Ulysses e Dubliners (contesto, pubblicazione, analisi completa dei 15 capitoli). Virgilia Woolf: contesto e analisi, The Mark on the Wall, Kew Gardens, An Unwritten Novel, Mrs Dalloway.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 22/02/2024

Albi8576
Albi8576 🇮🇹

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Scarica Appunti completi Letteratura inglese 1 (Pallotti) Modernismo 2020/21 e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! A.A. 2020/2021 Letteratura inglese 1 (Prof.ssa Pallotti) Il Modernismo Primo decennio del ‘900: irrompono le avanguardie, movimenti artistici e letterari con l’obiettivo del rinnovamento delle forme artistiche. Questa esigenza si era fatta sentire già nell’ultimo decennio del XIX, ma era percepita come un’esigenza legata a singoli individui; nel nuovo secolo, col modernismo, quest’esigenza è percepita a livello più ampio, diventa un programma deliberato di gruppi, di movimenti che vogliono fondare il nuovo. Modernismo: rivoluzione culturale artistica e letteraria che ha segnato i primi 30 anni del ‘900 in tutta Europa e negli USA, coinvolge tutte le arti (in particolare la pittura: rinnovamento delle forme, bisogno di riflettere su questioni legate alla tecnica) e le diverse espressioni artistiche sviluppano preoccupazioni generali e strategie comuni. Perché modernismo e non moderno? Non c’è traccia di questo termine negli anni che precedono la prima guerra mondiale: il termine usato allora per descrivere questo fenomeno di rinnovamento era “modern”. Il termine modernista nasce in un contesto critico legato alla discussione sulla poesia sperimentale: compare nello studio A Survey of Modernist Poetry (1927) di Robert Graves e Laura Riding, che con il termine “modernist” indicarono una poesia “difficile, impervia, oscura, totalmente disancorata dai modelli formali della tradizione”. Ciononostante questo termine comincia a diffondersi e a designare questa rivoluzione artistica soltanto a partire dagli anni ’60 (consolidato negli anni ’70 come termine canonico) e venne utilizzato per descrivere una generazione di artisti e una fase letteraria le cui origini furono rintracciate in Flaubert (per la prosa) e Baudelaire (per la poesia). Come apogeo del Modernismo s’indica il periodo subito antecedente alla 1GM, quando la sperimentazione coinvolge tutte le arti, oppure per quanto riguarda il mondo anglosassone nello specifico s’identifica il 1922, anno in cui vengono pubblicarti dei capolavori del modernismo anglosassone (Ulysses di Joyce, The Waste Land di Eliot, Jacob’s Room primo romanzo sperimentale di Virginia Woolf, e una raccolta di racconti intitolata The Garden Party di Kathrine Mansfield). Baudelaire definisce la modernità in uno studio pubblicato all’interno di una raccolta di saggi nel 1863 intitolata Il pittore della vita moderna, nel cui quarto capitolo è contenuto il saggio La modernité: “Egli cerca quell’indefinito che ci deve essere permesso di chiamare la modernità, giacché manca una parola più conveniente per esprimere l’idea a cui rimanda. Il segreto è, per lui, di distillare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nella trama del quotidiano, di estrarre l’eterno dall’effimero. […] La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile. [...] E questo elemento transitorio, fuggitivo, dalle metamorfosi così frequenti, nessuno ha il diritto di disprezzare e di trascurare.” Nonostante il termine modernismo non fosse ancora in uso, gli intellettuali e artisti coinvolti erano ben consapevoli del cambiamento in atto: il “moderno” non esprime più solo l’esigenza di rinnovamento di singoli individui ma con le avanguardie si redige un programma, un manifesto, un imperativo, riassumibile nell’espressione coniata da Pound “make it new” che diventa lo slogan del modernismo anglosassone. C’è un passaggio dal moderno al modernismo: il make it new di Pound è diventato lo slogan del modernismo, ma Pound l’usò nel 1934 per la prima volta, quando le grandi opere del modernismo anglo- americano sono già state pubblicate. Pound intitola Make it New una raccolta di saggi scritti però tra il 1912 e il 1920 sulla poesia provenzale, i trovatori, i classici elisabettiani, le traduzioni dal greco: Pound è in linea con una tradizione di riscoperta culturale e rinascita che era stata esemplificata nel rinascimento italiano. Quasi tutto il modernismo inglese non opererà mai una cesura netta con la tradizione , mentre Marinetti del futurismo italiano proclama la necessità di fare tabula rasa di tutta l’esperienza culturale precedente: il modernismo anglosassone mantiene sempre un rapporto particolare con la tradizione, certo non tutta, criticamente selezionata, che tende a recuperare l’esperienza della scrittura anche molto lontana (trovatori provenzali, poesia e cultura elisabettiana del ‘500, Dante che tanta importanza ebbe per l’opera di Joyce). 1 Collocazione temporale: il periodo in cui si colloca questa rivoluzione culturale sono i primi ‘30 anni del ‘900, ma è arbitrario stabilire date precise. Per alcuni critici il modernismo nasce già alla fine dell’800, a causa della relazione stabilita da questo nuovo modo di percepire la realtà rispetto a un’estetica di tipo romantico o simbolista. Dipende anche dalla prospettiva critica, cioè se si voglia stabilire una cesura netta col Romanticismo o se si vuole indicare una sorta di continuità tra le due esperienze. Per quanto riguarda i protagonisti, c’è una consapevolezza di un’epoca di cambiamento, di qualcosa che sta avvenendo in quegli anni, e alcuni forniscono delle date: una è quella di Virginia Woolf, molto attenta alla cultura contemporanea e alla sperimentazione pittorica, la quale dice che “intorno al 1910 la natura umana cambiò”. Nel 1910 venne allestita alla Grafton Galleries di Londra una mostra su Manet ed i post- impressionisti, organizzata da Roger Fray: fu un flop con critiche ferocissime ma per la prima volta vengono presentate al pubblico inglese la sperimentazione artistica europea, con Cezanne, Manet e altri post- impressionisti caratterizzati da una pittura che sconvolge il concetto di arte tradizionale. Altra data significativa è il 1915, anno in cui l’Inghilterra entra in guerra: D.H. Lawrence dice che “nel 1915 il vecchio mondo finì”, poiché la 1GM costituisce un grande spartiacque tra il passato e la nuova epoca. Il Modernismo britannico ha 2 fasi: pre-bellica 1907-1915 e una fase post-bellica che va dal 1918 fino agli anni ‘30 compresi; tutto quello che avviene dopo, dagli anni ‘40 in poi, è post-modernismo. 1. Fase prebellica (1907 - 1915): nel 1907 viene fondata la cosiddetta Image School di Hulme, che si sviluppa nell’imagismo di Pound (che si colloca tra il 1909-10 e il 1913); è la fase più radicale ed eversiva, programmatica e progettuale, iconoclasta, pone l’accento sulla contestazione e sul rifiuto della tradizione, è un momento di grande negazione e distruzione delle convenzioni. L’espressione più radicale di questa fase è il movimento vorticista (che sviluppa nel 1914-15) di cui l’animatore è Windham Lewis, fondatore della rivista vorticista Blast: ne furono pubblicati solo 2 numeri, il titolo “blast” in inglese vuol dire esplosione, e i caratteri tipografici della rivista danno l’impressione di un titolo esplosivo e provocatorio, per rifiutare ogni romanticismo e sensazionalismo; si proclama un’arte nordica e satirica, caratterizzata dal disarmonico e dal brutto, al passo col moderno e col mondo delle macchine. Uno dei fenomeni del modernismo è infatti il rifiuto della concezione del bello: si vuole inglobare tutta l’esperienza e i contenuti, non c’è contenuto che non possa essere artistico. 2. Fase postbellica (1918 - 1939): culmina nel 1922 con i capolavori di Joyce, Eliot, Mansfield, Woolf; finisce nel 1939, vigilia della 2GM ma anche anno in cui Joyce pubblica Finnegans’ Wake. Alla fase radicale e sperimentale subentra una fase di decantazione e consolidamento dei risultati acquisiti dalla sperimentazione precedente alla guerra. Questo nuovo clima culturale europeo è chiamato in Francia “richiamo all’ordine” e in Inghilterra “reconstruction”: non significa che i protagonisti rifiutassero gli stilemi eversivi elaborati prima della guerra, ma significa una rielaborazione critica in un clima mutato. L’indirizzo generale è quello di un recupero della forma e della tradizione, dopo le trasgressioni del periodo precedente: questo tentativo di recuperare ciò che si era perduto implica un approfondimento critico, un’ulteriore sperimentazione che giunge a risultati di rilievo eccezionali (Joyce, Eliot ecc). Eliot, attraverso il metodo mitico, tenta di dare forma e ordine a quell’immenso panorama di utilità e anarchia che è la storia contemporanea: si sente il bisogno di ridare forma a ciò che non ha più forma, infatti si risente dell’influsso della 1GM, la cui importanza non è da sottovalutare. Il periodo 1914-1918 sconvolse il mondo perché 28 nazioni furono impegnate nelle operazioni di guerra e negli anni precedenti e successivi la 1GM scomparvero molte istituzioni e credi. Ad esempio il rigido sistema delle classi sociali in Inghilterra fu sconvolto dall’ascesa dei sindacati e del partito laburista. Si ricorda anche l’importanza di Marx e del marxismo: smascherò la cosiddetta falsa coscienza, cioè la costruzione ideologica per cui le classi borghesi erano giustificate a sfruttare il lavoro. La fede nella nazione e nella patria, nel dovere furono traditi dalla grande carneficina della 1GM, la struttura patriarcale fu sfidata quando le donne cominciarono a lavorare fuori dalle mura domestiche e il movimento delle suffragette cominciò ad acquistare peso nella società (1870 nascita del movimento delle suffragette ma il diritto di voto universale in Inghilterra arriva solo nel 1928, mentre in Italia nel 1946). La guerra causò trauma a livello sociale, perché per essa furono inventate nuove armi (sottomarini, aerei, gas, cannoni con maggiore gettata), non era più la guerra a corpo a corpo come in passato, ma una guerra di trincea, e non si ha la percezione del nemico davanti a sé. 33 milioni di morti tra i militari e 5 milioni di civili, per non contare i milioni di persone che morirono per le conseguenze della prima guerra. 2 5 Modernismo inglese: fase prebellica La prima fase è quella di maggiore rottura con la tradizione, anche se il modernismo inglese è interessato a mantenere un dialogo costante con la tradizione anche nella sua fase più eversiva, il vorticismo di Lewis nella rivista di Blast: da un lato l’appello costante ai classici (Shakespeare, William Blake, Jonathan Swift), dall’altro c’è una rottura (l’Imagismo di Pound, la sperimentazione di The Waste Land e Ulysses) che crea una frattura profonda con la tradizione poetica e narrativa del romanzo tradizionale, spingendo verso la ricerca di nuovi strumenti espressivi. Convivono in modo conflittuale l’interrogazione del passato e una tensione verso il futuro, per cui è difficile definire semplicemente il modernismo inglese come un movimento esclusivamente di rottura, e d’altra parte è difficile vederlo in continuità con la tradizione. Questo peculiare doppio conflitto è determinato anche dal fatto che molti dei protagonisti di questo periodo (artisti, non solo letterati) sono dei cosiddetti espatriati, outsider. Ad esempio Eliot e Pound, entrambi americani, come anche Henry James (uno dei primi teorizzatori del nuovo romanzo modernista) andarono in Europa alla ricerca di quello spessore storico e culturale che agli USA mancava per ragioni storiche, essendo uno Stato ancora giovane, e sentono il bisogno di stabilire un dialogo con la cultura della tradizione europea. Eliot scrive il saggio Tradition and the Individual Talent (1919) in cui esprime il proprio concetto di tradizione: contrariamente all’idea generale secondo cui l’artista/poeta è tanto più originale quanto più distacca dalla tradizione, Eliot afferma invece che il poeta è tanto più originale e talentuoso quanto più accoglie la tradizione. Questo richiamo costante alla tradizione è una sorta di paradigma in cui s’inserisce l’opera nuova, all’interno della tradizione e modificandone i rapporti interni: basandosi sulla tradizione, si legittimano le innovazioni più radicali. Eliot afferma che il poeta dev’essere consapevole della tradizione europea a partire da Omero (“the mind of Europe”): visione totalmente eurocentrica. Joyce sviluppa infatti le avventure di un Ulisse moderno - Leopold Bloom, un uomo piccolo-borghese di mezz’età (circa 40 anni) - e il suo peregrinare per le strade di Dublino, tutto condensato nell’arco di una sola giornata: l’eroe mitico diventa un antieroe. Londra: metropoli e cosmopolitismo Se da un lato le origini dei principali autori rimangono forti, il terreno su cui il loro progetto innovativo si sviluppa è quello della cultura europea, e trovano in Londra un contesto particolarmente adeguato. Uno dei caratteri principali del modernismo è il cosmopolitismo, perché alcuni protagonisti erano outsider (Eliot e Pound sono americani, Windham Lewis ha padre americano e si forma a Parigi, Joyce e Yeats sono irlandesi, Madox Ford ha padre tedesco, Henry James è americano, Joseph Conrad è polacco). La provenienza di queste figure artistiche spiega l’insofferenza verso gli orizzonti chiusi e verso il localismo, l’apertura verso la cultura internazionale, e l’incessante dialogo con la tradizione occidentale. Altra caratteristica del modernismo è l’esperienza urbana: molti di questi artisti arrivano a Londra, la più grande e ricca capitale del mondo, che diventa il contesto ideale per mettere a frutto i progetti innovativi di radicale cambiamento delle forme, e solo in una città così importante queste idee potevano maturare. Ford la definisce come “apogeo della vita moderna, trionfo dello spirito moderno”: Londra è un ambiente di emancipazione e le idee vengono diffuse attraverso i giornali e nuove case editrici, l’istituzione di nuovi spazi alternativi, sono organizzate mostre e manifestazioni, il movimento delle suffragette è ben presente. L’esperienza delle grandi città è legata al modernismo: il rapporto arti-città è molto stretto, in questo periodo inoltre le città si espandono e diventano centri di migrazione in cui l’incontro con persone di provenienza diversa crea conflitti, tensioni e caos culturale. “the literature of experimental Modernism which emerged in the last years of the nineteenth century was an art of cities, especially of the polyglot cities which, for various historical reasons, had acquired high activity and great reputation as centres of intellectual and cultural exchange.” M. Bradbury, The City of Modernism, in M. Bradbury and J. McFarlane, Modernism 1890-1930: una delle prime antologie di saggi a usare nel titolo il termine “Modernism”. La città comunque era già importante nel Naturalismo (seconda metà del XIX sec): autori come Stendhal, Balzac, Zola, Dickens, Dostoevskij descrivono la città come dominata dalla materia (hotel e vetrine) ma 6 anche come giungla e abisso (bassifondi) e la rappresentano realisticamente con aspetti negativi e postivi. La città del modernismo invece non è così: diventa il luogo dove vivono strane individualità, non è una città realista ma irreale e surreale (“unreal city”). La città di Eliot in The Waste Land (1922), vv. 60/70 The Burial of the Dead: rappresentazione della Londra contemporanea in una mattina d’inverno immersa nella nebbia all’alba, con la folla che va al lavoro. Under the brown fog of a winter dawn, / a crowd flowed over London Bridge, so many, / I had not thought death had undone so many. / Sighs, short and infrequent, were exhaled, / and each man fixed his eyes before his feet. / Flowed up the hill and down King William Street, / to where Saint Mary Woolnoth kept the hours / with a dead sound on the final stroke of nine. / There I saw one I knew, and stopped him, crying: “Stetson! / You who were with me in the ships at Mylae!” - Citazione dal canto III dell’ Inferno di Dante (vv. 55-57 “e dietro venìa sì lunga tratta / di gente , ch’i’ non avrei creduto / che morte tanta n’avesse disfatta”), quando Dante e Virgilio stanno per entrare nell’Inferno e incontrano gli ignavi “senza infamia e senza lode”, coloro che durante la vita non hanno mai preso decisioni, una colpa grave secondo Dante ed Eliot, e per contrappasso sono condannati ad essere perennemente punti da insetti. Eliot traduce in inglese i versi di Dante (so many, I had not thought death had undone so many): si crea una percezione della città di Londra assimilata alla città infernale, alla città degli ignavi, quindi acquista questi elementi di irrealtà. - Nella strofa inoltre non viene presentato l’essere umano, ma una folla rappresentata da sospiri esalati (sighs, short and infrequent, were exhaled), quasi fossero fantasmi e anime morte, ed è importante notare che i sospiri sono il soggetto, non gli esseri umani che esalano i sospiri (fa pensare a fantasma privi di corporalità, i sospiri sono impalpabili, l’essere umano è sottinteso). - A testa bassa camminano come se fossero automi (each man fixed his eyes before his feet) e si percepisce il senso di morte presente in questa rappresentazione della città: “death”, “winter dawn”, “dead sound on the final stroke of nine” (il suono morto sul tocco finale dell’ultimo colpo dell’ora nona, l’ora in cui tradizionalmente Cristo è morto). - Incontro con strani individui : Stetson è un cognome, ma indica anche una sorta di cappello militare che prende il nome del fabbricante, il cappello indica forse un reduce militare della 1GM. Qui c’è un cambiamento temporale molto importante (metodo mitico di Eliot): l’io narrante chiama questo Stetson e ricorda di essere stato con lui “nelle navi a Milazzo”, fa riferimento alla prima guerra punica (260 a.C.). Quindi si presenta la città contemporanea di Londra in un mattino d’inverno, l’io incontra questo Stetson, con cui ha combattuto nella battaglia di Milazzo -> compressione del tempo perché alla fine si tratta del ritorno costante della stessa guerra, e la Londra contemporanea è abitata da anime morte. Le città dell’arte e il Modernismo nomade La prospettiva dell’arte modernista è la distanza, l’esilio (volontario), l’internazionalizzazione estetica. Come la città, anche la scrittura diventa poliglotta: Oscar Wilde scrive la Salomé in francese, Pound usa il plurilinguismo e gli ideogrammi cinesi, Beckett scrive l’opera teatrale rivoluzionaria Waiting for Godot in francese e viene messa in scena a Parigi e solo dopo tradotta in inglese, Joyce a partire i primi anni del ‘900 lascia Dublino e si trasferisce nell’Europa continentale senza tornare più in Irlanda. L’esilio apre l’appartenenza al paese delle arti: l’artista diventa membro di un gruppo di persone culturalmente erranti, intellettuali che si spostano da una città all’altra a seconda del momento in cui quella particolare città diventa un centro culturale importante: Berlino, Vienna, Mosca, San Pietroburgo sono centri culturali tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900; Londra è la capitale culturale nel periodo precedente la 1GM; durante la guerra sono centri importanti Zurigo perché zona neutrale, New York e Chicago perché geograficamente lontane dalla guerra. Parigi resta importante per tutto il modernismo: ci viveva un’espatriata americana, Gertrude Stein, una mecenate e collezionista d’arte moderna soprattutto prima della 1GM, il suo appartamento di Parigi divenne luogo d’incontro per l’avanguardia, per artisti e letterati europei anche non ancora conosciuti (tra cui Picasso, Duchamp, Apollinaire, Eliot, Fitzgerald, Hemingway). Due testimonianze: - The Autobiography of Alice B. Toklas (1933) scritto dalla stessa Stein: Alice era la sua amante, amica, cuoca, editrice, la sua tutto, e in questo romanzo Stein racconta sé stessa e le sue esperienze attraverso il pov dell’amica Alice, che nel libro parla in prima persona. 7 questo liberatore, diventa spesso doloroso, ma quando il tormento arriva all’estremo, ecco il risveglio a conciliare il sofferente con la realtà. E la realtà, per penosa che sia, in quel momento costituisce pur sempre un sollievo, rispetto al sogno tormentoso" - August Strindberg, Prefazione al suo dramma Il sogno La simultaneità temporale e la sinestesia: plurivocità e multiprospettivismo La dimensione cronologica per eccellenza del modernismo è la simultaneità, cioè l’istantaneità, la contemporaneità in cui avvengono fenomeni di ordine diverso, senza più distinzioni tra interno ed esterno, tra passato e presente, senza il problema della distanza. Già nel 1893 lo scrittore e drammaturgo austriaco Hugo von Hoffmanstahl nota l’ambiguità del sentimento moderno, e sostiene che l’aggettivo significa contemporaneamente logico e illogico: “è la dissezione dell’umore, di un sospiro, di uno scrupolo; è l’istintivo, la resa quasi sonnambulistica a ogni rivelazione della bellezza, a un’armonia di colori, a una metafora scintillante, o una meravigliosa allegoria”. Anche il ricordo acquista il valore di percezione, ad esempio nella rechèrche di Proust i personaggi ricordano attraverso l’esercizio dei sensi (il gusto e l’olfatto: la scena delle madeleine). Affine alla simultaneità temporale è la sinestesia (non la figura retorica) che indica l’azione contemporanea di più sensi, cioè il trasferimento di un significato da un dominio sensoriale a un altro (es: voce calda). In questo caso, diversi ambiti dell’esperienza agiscono contemporaneamente (es: i colori caldi e freddi), creando quindi corrispondenze visive, uditive, sentimentali ecc. In ambito letterario la simultaneità e la sinestesia significano plurivocità e multiprospettivismo, cioè gli scrittori e i poeti toccano contemporaneamente più sistemi di riferimento, ognuno dei quali porta con sé la propria prospettiva. Di conseguenza all’interno del discorso non si ha più una prospettiva univoca (sul mondo, sulle relazioni...) ma è una prospettiva almeno duplice, multipla (es: più sensi per descrivere un fenomeno, un evento o un rapporto), che diventa un tratto caratterizzante del Modernismo. La percezione della realtà è quindi parziale e frammentata, a seconda del punto di vista. La disgregazione del narratore omnisciente: plurivocità e frammentarietà Il punto di vista univoco, monologico e totalizzante del narratore onnisciente comincia a disgregarsi già nel romanzo di fine ’800 con Henry James e soprattutto poi col romanzo modernista. Poiché inizia a svilupparsi una concezione della soggettività e dell’individuo come mutevoli e instabili, la cui conoscenza è limitata dai propri sensi, la prospettiva non può più essere totalizzante ed è limitata alla conoscenza solo a ciò che è alla portata dei nostri sensi col filtro della propria esperienza e del proprio punto di vista (Woolf, The Waves: diversi personaggi raccontano le stesse vicende; Fowles, The Collector: la prima parte è narrata dal pov dell’uomo, la seconda parte narra gli stessi eventi dal pov femminile). Questo è dovuto alla disgregazione del mondo com’era conosciuto fino a quel momento, distrutto a causa della crisi economica, della guerra, delle scoperte scientifiche, dei cambiamenti sociali. A questa distruzione dell’unità, gli artisti e i poeti sostituiscono una somma di oggetti: in letteratura la disgregazione prevale sulla coerenza, e alla poetica dell’unitarietà si sostituisce una poetica della frammentarietà. Mettendo in crisi i modelli conoscitivi positivistici della seconda metà dell’800, di conseguenza si manifesta l’esigenza di cercare nuove forme di rappresentazione della realtà e dell’individuo. L’enfasi è ora posta sull’esigenza di giungere a una maggiore aderenza tra il linguaggio del romanzo e la percezione individuale, la memoria soggettiva e l’inconscio. Il romanzo disgrega la voce autoriale e il punto di vista totalizzante del narratore omnisciente, sostituendolo con altre tecniche, come il monologo interiore, che cala il lettore nel flusso ininterrotto dei pensieri del personaggio. In particolare Joyce ne individua le potenzialità espressive “I try to give the unspoken unacted thoughts of people in the way the occur” (cerca di rendere i pensieri non detti e non esperiti delle persone nel modo in cui avvengono): da un lato il monologo interiore è inteso come una cronaca del pensiero con implicazioni di immediatezza e documentazione realistica, dall’altro si deve individuare una linea espressiva profonda che faccia affiorare gli “unspoken and unacted thoughts” carichi di tutto il loro potere espressivo. I territori inesplorati della soggettività diventano quindi l’origine della scrittura, e ogni presentazione del reale è un prodotto della mente. Il monologo interiore segue fedelmente i pensieri del personaggio, dal loro 10 sorgere al loro sviluppo, attraverso un complesso tentativo di entrare nella coscienza del personaggio, un luogo assolutamente intimo e individuale, conosciuto solo dal soggetto stesso (il personaggio). Anche Virginia Woolf nel saggio Modern Fiction (prima versione 1919, seconda versione ampliata e pubblicata nella raccolta The Common Reader 1925) auspica il progressivo smantellamento della trama del romanzo, ritenuta un esperienza da giornalisti, e cerca di andare oltre le consuete coordinate temporali e l’illusione di un soggetto: come obiettivo si pone di esprimere la totalità dell’essere, data dal sovrapporsi di permanenze e mutamenti, che è il compito del romanziere e della fiction moderna (fiction = narrativa). Critica la narrativa di suoi contemporanei, che sono materialisti schiavi delle convenzioni esterne (la trama, i generi di comedy e tragedy, le convenzioni di interesse amoroso e catastrofe), e credono di riprodurre la vita così come appare, ma in realtà si occupano solo di cose esteriori e non importanti: si preoccupano non dello spirito, ma del corpo e dell’esteriorità. [pag 108, Modern Fiction] “Look within and life, it seems, is very far from being ‘like this’.” La realtà non è più esterna, conoscibile e descrivibile attraverso i mezzi oggettivi (non è simmetrica e ordinata come le “gig lamps”, le luci sulla carrozza): invita a guardare “all’interno” e al fatto che la mente sia bombardata da impressioni innumerevoli che costantemente colpiscono la coscienza. È quindi necessario descrivere questa nuova realtà, che è però molto diversa da quella descritta dai contemporanei: “ life is a luminous halo, a semi-transparent envelope surrounding us from the beginning of consciousness to the end.” Se uno scrittore è davvero libero deve quindi riprodurre queste impressioni senza interventi esterni, per quanto aberranti o complesse possano essere: “let us record the atoms as they fall upon the mind in order in which they fall, let us trace the pattern, however disconnected or incoherent in appearance, which each sight of incident scores upon the consciousness. Let us not take it for granted that life exists more fully in what is commonly thought big than in what is commonly thought small .” [...] “For the moderns ‘that’, the point of interest, lies very likely in the dark places of psychology.” Il narratore omnisciente racconta la storia da un punto di vista esterno univoco e conosce tutto (la storia, i personaggi con i loro comportamenti e pensieri, il finale) e nasce in analogia tra il romanziere creatore e il creatore del cosmo (dio): l’omniscienza è un attributo divino e implica l’onnipresenza, infatti dio sa tutto perché è presente ovunque, in ogni luogo simultaneamente. L’onniscienza del narratore è però una convenzione, perché l’onniscienza pura non può esistere se non per dio: il narratore si può avvicinare a un personaggio, ma la sua visione è limitata a quel personaggio. Dunque il narratore di un romanzo è sempre e comunque immerso in un artificio di carattere temporale: non sa simultaneamente ma in maniera successiva, quindi non può essere ovunque nello stesso istante, non può guardare nella mente di tutti i personaggi simultaneamente, ma si sposta verso i personaggi o altri punti di osservazione, quindi il narratore è sempre e comunque legato al tempo e allo spazio. Il narratore è un’entità che vede o ha visto gli eventi che racconta, e il modo di narrarli dipende dal luogo in cui si pone: perciò la sua narrazione non può essere totalmente imparziale, anche se libera dalle cosiddette marche della soggettività. Differenza tra autore e narratore? L’autore è colui che compone l’opera, un individuo storico concreto; il narratore è invece un artificio, una costruzione fittizia all’interno della narrazione, la voce che racconta gli eventi in prima o terza persona. In ogni storia il contenuto della narrazione è sempre il frutto di una selezione di tutto quello che accade, infatti il lettore non viene a conoscenza di tutto quello che i personaggi vedono o fanno, ma solo ciò che il narratore ritiene importante che il lettore sappia. Il narratore è direttamente comandato dall’autore, che sceglie cosa omettere e cosa dire, in base alle finalità del narratore stesso. NB l’autore non è mai narratore perché è una persona fisica e reale. Si possono distinguere diverse tipologie di narratore:  Il narratore esterno racconta, in genere in terza persona, eventi a cui non ha preso parte (es I promessi sposi di Alessandro Manzoni), pur essendo omnisciente può esprimere opinioni su personaggi o eventi;  Il narratore interno, che racconta in prima persona gli eventi di cui è stato protagonista o testimone: - Il narratore omodiegetico (diegèsi: linearità della storia), che coincide con un personaggio della storia ma senza esserne protagonista. Ad esempio, Watson ne Le avventure di Sherlock Holmes, narra in prima persona un episodio di cui è personaggio e testimone, mentre il protagonista è Holmes: Watson esprime la sua opinione su Sherlock Holmes, che è un tossicodipendente e Watson non 11 approva, ma questo non gli impedisce di ammirarne le sue qualità, talmente straordinarie che non gli permettono di reagire a questa sua abitudine. - Il narratore auto-diegetico parla in prima persona e coincide con il protagonista della storia, quindi narra dalla sua prospettiva ciò che gli è accaduto, ad esempio Robinson in Robinson Crusoe di Defoe, Zeno Cosini in La coscienza di Zeno di Svevo. Il narratore contrastante si ha ad esempio se l’autore è di sesso maschile, ma per questo suo romanzo usa un narratore di sesso femminile, perciò c’è un contrasto tra autore e narratore: “I am a police. That might sound like an unusual statement - or an unsual construction. But it’s a parlance we have. Among ourselves, we would never say I am a policeman or I am a policewoman or I am a police officer. We would just say I am a police. I am a police. I am a police and my name is Mike Hoolihan. I am a police and I am a woman, also.” - Night Train, di Martin Amis Il narratore inaffidabile o inattendibile (unrealiable narrator, in prima persona) non riporta i fatti come sono avvenuti, presenta un punto di vista non veritiero e distorto, volutamente o no. Questo espediente è utilizzato ad es nei thriller per creare suspense o dubbi nel lettore. Oppure se la credibilità del narratore è compromessa da una malattia mentale (ad esempio il narratore indigeno con ritardo mentale in Qualcuno volò sul nido del cuculo, o Alex di Arancia meccanica che manipola volontariamente). Anche Forrest Gump è raccontato dalla sua prospettiva non del tutto affidabile (in parte deliberatamente e in parte no). Oppure quando il narratore è un bambino, perché ha una percezione più limitata. NB non è necessario che il narratore rimanga lo stesso per tutto il racconto : possono esserci diversi narratori interni, o alternarsi il narratore esterno omnisciente con uno o più narratori interni. The Waves di Virginia Woolf: la vicenda è vista da un certo numero di personaggi che uno dopo l’altro raccontano la loro versione della storia, e sta al lettore giungere alla conclusione della vicenda. The Collector di Fowles è narrato per metà dall’uomo psicopatico e per metà dalla donna vittima che raccontano la stessa vicenda, e nel finale torna l’uomo narratore. La focalizzazione (il punto di vista) Per poter raccontare una storia, è necessario aver assistito ai fatti e, nel momento in cui stipula un contratto di veridazione con il lettore, ovvero il narratore afferma in modo più o meno implicito di aver assistito agli eventi che si accinge a raccontare, anche se il fatto di assistere implica necessariamente l’adozione di un punto di vista, una prospettiva da cui questo narratore racconta. Il punto di vista adottato nella messa a fuoco negli eventi si chiama focalizzazione e ne esistono vari tipi:  Focalizzazione zero, quando la narrazione non è orientata secondo il punto di vista di nessuno dei personaggi: in questo caso il narratore ne sa più dei personaggi stessi e osserva la vicenda come dall’alto, e può riferire le loro azioni e le loro motivazioni. Ne è un esempio il narratore onnisciente, che sa tutto, conosce tutti i personaggi e tutti gli eventi della narrazione passati e futuri, e può intervenire nella narrazione inserendo magari delle anticipazioni. Ad esempio ne I promessi sposi di Manzoni il narratore è onnisciente, esterno e palese perché conosce passato, presente e futuro di tutti i personaggi, è informato di avvenimenti che si svolgono contemporaneamente in luoghi diversi o inaccessibili per eventuali testimoni, e sa quello che pensano e sentono i personaggi intimamente.  Focalizzazione esterna, quando la narrazione è orientata da un punto di vista esterno alla vicenda narrata: in questo caso il narratore ne sa meno dei personaggi stessi e si limita a registrare i fatti. Ad es la novella di Rosso Malpelo di Verga : un ragazzo con i capelli rossi lavora in una cava di sabbia, lo chiamano così per via dei capelli rossi che secondo la credenza popolare è causa di cattivo carattere e superstizioni, tanto che tutti diffidano di lui, comprese la madre e la sorella che lo maltrattano e lo respingono. La novella inizia con la descrizione del protagonista, utilizzando il punto di vista degli operai della cava che sono immersi in un mondo violento, dominato dalla superstizione: la scelta di osservare la realtà con lo sguardo dei poveri, di questi sfruttati, che accettano lo sfruttamento che gli è proposto, permette a Verga di esprimere in termini oggettivi una visione della società pessimistica, incapace di cambiare, modificarsi ed evolversi. Il protagonista rappresenta tutti gli infelici (i “vinti”) che condividono il suo destino, per questo non ha un nome vero e proprio ed è solo Malpelo o “egli”.  Focalizzazione interna, quando la narrazione è orientata secondo il punto di vista di uno o più personaggi interni alla vicenda, in questo caso il narratore ne sa quanto il personaggio di cui adotta il 12 L’intervento dell’osservatore resta limitato significativamente all’ambito microscopico, cioè del subatomico e delle particelle della luce (i fotoni); queste limitazioni portano però a sottolineare un profondo cambiamento del nostro modo di porci davanti alla realtà. Nel saggio Il codice cosmico (1983) il fisico Pagels afferma che “la vecchia idea che il mondo esista effettivamente in uno stato definito non è più sostenibile: la teoria quantistica svela un messaggio nuovo, cioè la realtà è in parte creata dall’osservatore” quindi l’osservatore influenza ciò che è osservato. Verner Heisenberg (Nobel per la fisica nel 1939, uno dei fondatori della meccanica quantistica) affermò che “per la prima volta nel corso della storia l’uomo ha di fronte solo sé stesso”: la natura e le sue leggi, lungi dall’essere obiettive e qualcosa da scoprire, sono piuttosto condizionate dal soggetto che le osserva”. Se un osservatore vuole misurare un fenomeno, interviene all’interno di esso (attraverso l’uso della strumentazione) e lo modifica in modo irrimediabile e irrevocabile: la misura di una proprietà comporta l’alterazione di ciò che si sta osservando. Ad esempio, ipotesi di uno scassinatore notturno: se noi lo illuminiamo con una torcia per scoprire chi sia, allora probabilmente scapperà e quindi avremo alterato il suo comportamento; se noi invece ci accontentiamo di non illuminarlo e di guardarlo nel buio, possiamo intuire cosa fa ma non sappiamo chi sia. Si tratta del principio di indeterminazione: i teorici della fisica quantistica precisano come gli eventi permangono in uno stato di possibilità fino al momento in cui una coscienza non li attualizza. Tutto questo è importante perché con l’avvento della fisica quantistica crolla la visione cartesiana e newtoniana della fisica classica, fondata sulla razionalità, sulla prevedibilità e sulla logica causa-effetto. A queste certezze si sostituiscono con gli esprimenti di fisica quantistica la casualità, l’incertezza, il principio di indeterminazione e l’imprevedibilità (pur conoscendo il presente non possiamo prevedere il futuro). Da un’epistemologia lineare e causale si passa così a una fenomenologia circolare: a determinare un fenomeno o un evento non è soltanto una sola causa ma tante concause, e questo fenomeno a sua volta agisce sulle cause stesse che l’anno provocato (-> idea della circolarità). Nel mondo della scienza la realtà non è più come appare e siamo davanti a una scienza della complessità, concetto che si sviluppa in diversi ambiti, anche letterario (Eliot, saggio sui poeti metafisici del ’600, la cui eterogeneità non è frutto di arguzia com’era stato interpretato ad es da Samuel Johnson nel ‘700: in realtà questo bisogno d’inserire immagini ed esperienze provenienti da varie parti dell’esistenza corrisponde a una realtà complessa e difficile da interpretare). Esperimento del gatto di Schrödinger (Nobel per la fisica nel 1933) sul principio d’indeterminazione: (in via teorica) un gatto è chiuso in una scatola con una pistola azionabile attraverso delle radiazioni di atomo di uranio, noi non sappiamo se questa sostanza abbia azionato la pistola oppure no, non sappiamo se il gatto sia morto o vivo e non lo sappiamo finché la scatola non è aperta. Finché non la apriamo, il gatto è sia vivo sia morto: soltanto quando apriamo il coperchio di questa scatola, i due possibili scenari collassano in una delle due situazioni. Che cosa accadrebbe se immaginassimo di aprire e chiudere la scatola velocemente e di continuo? La sostanza radioattiva cambierebbe, riuscirebbe potenzialmente a rallentare o accelerare il processo di decadimento: se rallentiamo salviamo il gatto, sennò lo condanniamo ad una morte precoce. Nel 1935 l’epistemologo Karl Popper sottolinea l’importanza del principio d’indeterminatezza: afferma che la scienza non poggia più su un terreno di roccia e mette in evidenza che le diverse discipline che pretendono di conseguire verità inconfutabili non sono vera scienza, perché la vera scienza c’è soltanto con risultati che possono essere messi in dubbio e confutati, la scienza che si sviluppa attraverso la possibilità di mettere in crisi e di falsificare le idee concepite precedentemente. Alla prevedibilità, la razionalità e la logica lineare causa-effetto si sostituisce il caos, la complessità, che diventano i nuovi paradigmi in ogni ambito del sapere, senza più ancoraggi definitivi e obbiettivi. Già Nietzsche aveva già annunciato che le cose “danzano sui piedi del caos”. Riferimento a Freud che annulla il dogma di Cartesio cogito ergo sum: ora la coscienza è solo una parte della psiche, molto più complessa. 15 La nuova soggettività nel romanzo: Henry James e William James All’inizio del ‘900, quando questi cambiamenti avvenivano in tutti gli altri ambiti del sapere, nel romanzo veniva messa in evidenza l’arbitrarietà del punto di vista: se il punto di vista è relativo e individuale, è chiaro che non possiamo mai giungere a comprendere la realtà oggettiva. Intervento dello scrittore americano Henry James, che ottenne la cittadinanza inglese nel 1925, teorico del rinnovamento del romanzo: allo sguardo inclusivo e panoramico dei suoi colleghi romanzieri, oppone un’idea del romanzo fondata su una visione selettiva. Se la realtà si presenta soltanto ormai in forma frammentaria e mutevole (Woolf: vita come flusso), una rappresentazione adeguata della realtà può essere solo parziale, quindi al narratore esterno onnisciente di Dickens e Thackeray del secolo precedente, Henry James sostituisce narratori interni incaricati di fornire la loro visione della realtà che è soggettiva, parziale, non obiettiva e talvolta anche non attendibile  il romanzo è “a personal and direct impression of life” (un’impressione personale e diretta della vita), colta nell’irregolarità e nell’imprevedibilità dei suoi ritmi. Nel saggio Art of fiction (1884) James dice “avete ognuno la vostra vita, colorata dalle vostre impressioni individuali, fatene un quadro ritagliato della vostra personale sapienza il vostro sguardo”: il nostro sguardo è soggettivo e limitato, J. quindi esclude ogni intervento autoriale all’interno del romanzo, e teorizza il romanzo come narrazione filtrata da uno o più punti di vista, magari anche in contraddizione tra di loro, che si fa sempre più complesso nelle opere della maturità. Il romanzo diventa sempre di più un’indagine della coscienza percipiente, del modo in cui la mente legge e filtra la realtà più che della realtà stessa: non è più una rappresentazione della realtà, ma una realtà filtrata e mediata, quindi una percezione che si dà solo all’interno di coordinate individuali. Queste teorie di Henry James vanno di pari passo alla psicologia funzionale di quegli anni, che era portata avanti da William James (fratello di Henry) a cui si deve la prima espressione di stream of consciousness: William James definisce infatti il rapporto tra mondo fenomenico - mente come un flusso continuo. Henry James parla del romanzo come la forma d’arte della modernità, perché restituisce la complessità, la contraddizione di pov e l’ambiguità (il romanzo ‘800 era un’impresa totalizzante di cogliere tutta la realtà da un’unica prospettiva del narratore omnisciente, con J. i diversi pov limitati entrano in conflitto tra loro). Il ruolo dell’arte figurativa: i post-impressionisti Anche nell’arte figurativa si sottolinea l’importanza della percezione soggettiva della realtà: non la realtà stessa, ma una rappresentazione della realtà non in senso mimetico ma così com’è filtrata attraverso la coscienza e la mente dell’artista. Contemporaneamente o prima ancora dell’esigenza di cambiare gli statuti letterari, si pone la necessità di cambiare gli statuti dell’arte: spesso le prime sperimentazioni in letteratura arrivano dopo la pittura e le arti figurative in generale. In Inghilterra - come anche nelle avanguardie continentali - è la pittura che agisce come forza trainante nella rivoluzione artistica. Come teorizzato da Woolf, un grosso cambiamento avvenne nel 1910 (“human charachter changed”): alle Grafton Galleries di Londra si tenne la famosa mostra Manet and the post impressionists da novembre 1910 a gennaio 1911, organizzata dall’importantissimo critico d’arte Roger Fry. Nonostante il disastro di pubblico e critica, è importante perché portò le avanguardie pittoriche in Inghilterra (Manet, Cézanne, Matisse, Van Gogh ecc)  rifiuto dei modelli e delle convenzioni della pittura naturalistica, che cercava di rappresentare in maniera mimetica la realtà. Attraverso tecniche sperimentali, c’è l’urgenza di emanciparsi dall’istanza realistica e naturalistica che aveva caratterizzato l’arte precedente: cade la pregiudiziale dell’aderenza a una realtà fenomenica, la concezione dell’arte come mimesi e rappresentazione fedele della realtà. La prospettiva univoca si dissolve in favore della deformazione e dislocazione della forma nello spazio, i piani vengono sovrapposti e compenetrati, si fa uso del collage. Tutti questi elementi mostravano un modo di cogliere la realtà non più lineare, concatenato e progressivo: liquidare la gabbia prospettica significava comporre e scomporre liberamente le forme nello spazio (cubismo): così fecero Pound ed Eliot nelle loro opere, scomponendo la compagine del discorso per inserire materiali disparati, frammenti che finiscono per costituire l’opera stessa. 16 Critiche alla mostra del 1910: “è il risultato di un manicomio”, “solo psichiatri interessati a psicosi sarebbero stati interessati a questo gruppo di artisti”, “Cézanne ha mal interpretato il suo talento, sarebbe dovuto essere un macellaio”; il critico del Daily Telegraph davanti alla mostra ebbe uno scatto d’ira e calpestò il catalogo; un altro critico avvertì i giovani di non entrare nella Galleria per non essere corrotti da ciò che avrebbero visto; la stampa popolare (i tabloid) definirono la mostra come pericolosa e che gli artisti esposti “non sapevano né dipingere né disegnare, i colori osceni e le opere un’offesa alla cultura britannica”. S’identifica come possibile inizio del modernismo inglese il 1907  fondazione della Image School of Hulme da cui si sviluppa poi l’imagismo di Pound, e di produzione del quadro di Picasso Les Demoiselle D’Avignon (rimase incompiuto, dopo molti studi e rimaneggiamenti), che segna l’inizio del cubismo con la rappresentazione del nudo femminile attraverso alcune forme semplificate ed appiattite. Originariamente doveva rappresentare alcune prostitute di un bordello in via Avignon a Barcellona, intente a mangiare con un marinaio e uno studente, il quale nel frattempo meditava sopra un teschio  tema che ancora risentiva di un clima poetico tardo-simbolista, con accenni anche all’erotismo, la morte, l’evasione. Questo quadro è stato ispirato dal quadro di Cezanne Le bagnanti : dal 1870 realizza diverse composizioni con bagnanti uomini e donne, con l’obiettivo di una fusione completa tra il corpo umano e il paesaggio. L’attenzione della pittura non ricade sulla carne, ma sul corpo che struttura lo spazio; l’acqua quasi non si vede e sembra quasi più concentrarsi sulla terra. Definito un capolavoro della fantasia architettonica di Cezanne, i rapporti cromatici si armonizzano in un’atmosfera colorata e un’architettura perfetta. Novità del quadro di Picasso, che disturba anche gli artisti più innovatori: - disprezzo degli standard convenzionali della bellezza : uno degli elementi che caratterizzano l’arte e la rivoluzione estetica del primo ‘900 fu quello di sconvolgere l’idea del bello secondo determinati standard; il “bello” viene relativizzato e accorpato anche con ciò che finora era stato ritenuto brutto, imprevisto e insignificante. - distorsioni deliberate : nuovo modo per percepire la figura umana, le figure umane sono rappresentate in una struttura plastica, che segna il punto di partenza della ricerca cubista. - L’uso dei colori anche “terrosi”, rispetto a quelli di Cezanne. - Durante l’elaborazione del quadro, il soggetto (le prostitute) viene radicalmente trasformato fino a perdere le connotazioni simboliste, ed emerge l’interesse nell’oggetto, cioè per il quadro come realtà e immagine indipendente dal mondo reale e da percezioni puramente visive  è rappresentata la realtà come appare agli occhi dell’artista, come viene filtrata dalla sua percezione soggettiva. Differenza delle due figure di destra, dipinte per ultime rispetto alle altre: Picasso affronta per la prima volta il problema di questa nuova dimensione della realtà, punta su forme (non sul colore) che struttura su piani più larghi, cioè le figure si espandono oltre la figura stessa e inglobano lo spazio circostante, a configurare un organismo spaziale architettonico che non concede nulla alla tesi naturalistica  siamo sulla direzione verso l’oggettività del cubismo, in cui l’oggetto ha il sopravvento. Dal 1909 il linguaggio pittorico inizia a dare un’immagine delle cose nei loro contenuti conoscitivi e non sull’apparenza visiva: la realtà della visione (cioè dell’apparenza visiva delle cose, indagata dal naturalismo ottocentesco) viene sostituita dalla realtà della concezione , cioè la percezione dell’artista sul mondo. Primo Cubismo = ricerca strumenti tecnici e linguistici capaci di esprimere questa nuova realtà, non quella visibile ma com’è concepita dall’artista  rivoluzione estetica e conoscitiva che compenetra tutte le arti, determina in questo periodo una confluenza artistica fondamentale, inedita nella cultura inglese, forse solo nel Rinascimento: la tecnica cubista e quella del collage saranno sfruttate anche nella poesia e nel romanzo (vedi TS Eliot, The Waste Land, racconti di Woolf, poesie imagiste e Canti Pisani di Pound). Elementi caratteristici del linguaggio cubista, parte anche del repertorio standard del Modernismo*: frantumazione plastica delle immagini naturali, che si incastrano in un’architettura formale che si articola nella tela + un organismo spaziale composto da una molteplicità di punti di vista = la creazione dell’opera è concepita come un oggetto costruito, in cui l’artista può far confluire le conoscenze intellettuali di ciò che rappresenta, quindi un oggetto che vien rappresentato nella sua entità complessa. *Cfr The Waste Land , Eliot inserisce nel discorso poetico una serie di materiali appartenenti a culture del passato, attraverso frammenti di citazioni da altri testi. 17 Bicycle wheel non è un vero e proprio ready-made, ma un assisted-ready-made, in quanto composto da più oggetti assemblati, come anche l’orinatoio che non è posto nella posizione in cui normalmente si trova: lo sguardo dell’arista modifica quindi la percezione dell’oggetto costruito in serie, spostando l’oggetto in diverse posizioni lontano dalla sua funzione d’uso; anche il semplice portare l’oggetto in strada è un cambiamento nell’opera. Dal momento in cui entriamo in un’istituzione atta a conservare le opere d’arte e vediamo un oggetto in mostra, gli si attribuisce un diverso contesto, anche solo le domande che ci poniamo nel vederlo ci fanno concepire l’oggetto non più come oggetto comune che probabilmente non noteremmo, ma come qualcosa di diverso, che ha a che fare con l’essenza stessa dell’arte. L’opera d’arte senza artista di Duchamp è un’idea con alla base una scelta quasi anarchica, che apre le porte all’arte concettuale e contemporanea: mise in discussione i concetti di moralità (e immoralità) dell’opera, di originalità e di intenzionalità dell’artista, di buon gusto dell’autorità borghese. In Fountain Duchamp aveva preso un oggetto della vita ordinaria, l’aveva messo in modo che il suo significato di utilità sparisse dietro il titolo e il punto di vista, in maniera che cambiando la prospettiva desse vita ad un’idea diversa di quell’oggetto (risemantizzazione): con questa operazione voleva dimostrare che l’arte era già fatta (ready-made) e la si può trovare ovunque, anche in un oggetto volgare come un orinatoio. Si cerca di superare i limiti artistici e la sacralità dell’arte (D: “quando si dice “io so” non si sa realmente ma ci si limita a credere, e io so che l’arte è la sola forma d’espressione attraverso cui l’uomo può superare lo stadio animale, perché solo l’arte può giungere in regioni dove non dominano né il tempo né lo spazio”) , concetti che accomunano tutti questi artisti (cfr saggio Woolf). Ci furono dei tentativi di creare ready-made poetici, poesie che vogliono avere un approccio minimalista e che chiamano in causa la natura stessa della poesia, tra cui il poeta americano William Carlos Williams. [“La carriola rossa”: Molto dipende da una carriola rossa lucidata/glassata dalla pioggia accanto a polli bianchi] -> distante dall’idea di poesia tradizionale, c’è un oggetto messo in primo piano (la carriola); la scena è semplice e fissata in un attimo di tempo, dal linguaggio semplice. - 8 versi in 4 strofe, di cui il primo verso di ogni coppia è costituito da 3 parole, mentre i secondi versi da 1 parola di due sillabe. - I versi spezzati sottolineano certe parole, come se Williams volesse spezzare l’immagine della carriola: nella prima strofa “depends” regge “upon”, ma è spezzato (con relativa pausa da fine verso) e come nelle altre strofe gli aggettivi sono divisi dai sostantivi. La costruzione “so much depends” fa sì che il lettore si soffermi sulla parola che taglia, siamo attratti dal “so much depends” che ci lascia in sospeso perché non capiamo cosa “così tanto dipende”. - “wheel-barrow”, l’unica parola spezzata: la frattura nella parola decostruisce la parola stessa e ogni elemento della parola acquista un’importanza diversa, sembra una spia a metà del testo. - “glazed” dà l’idea di durezza e lucentezza, come una glassa (ha piovuto di recente, la carriola è “decorata” dalla pioggia), e si ha l’impressione che la carriola sia nuova, non arrugginita, perché la luce l’illumina. - ripetizioni dei dittonghi /ei/ in “glazed” e “rain”: la leggerezza della forma del testo sembra influenzare la leggerezza dell’immagine. - “beside the white” e “chickens” implica un contesto rurale e la presenza di vita; anche qui abbiamo il dittongo /ai/ in “beside” e “white”. Le galline, che probabilmente erano al riparo durante la pioggia, escono fuori vedendo la luce che proviene da questa carriola lucida: la luce è tornata dopo il temporale e riporta un senso di pace, l’armonia nel mondo naturale. - La parte più importante della poesia non è né detta né menzionata, ma è potenziale (“so much depends upon”): c’è una parte letterale costituita dalle cose menzionate, che dà corpo a un messaggio non detto. Con questa precisa scelta lessicale di costruzione del testo e attraverso questa insolita interruzione di parole e strofe, Williams ha trasformato una frase comune in poesia (cortocircuito tra la banalità della frase e la struttura del testo): questo concetto ha alla base il ready-made, come anche lo spezzare le parole, riordinarle, far sì che ci siano delle ripetizioni foniche. The Red Wheelbarrow, William Carlos Williams, Spring and All, 1923 (untitled until it first appeared as number XXI) So much depends upon a red wheel barrow glazed with rain water beside the white chickens 20 - Nel testo poetico abbiamo una disposizione grafica diversa dal testo in prosa e noi grazie ad essa riconosciamo, già prima di leggere il testo, che esso è un testo poetico e non in prosa. In poesia i suoni vengono ripetuti all’interno di parole diverse che tra loro non hanno legame semantico, ma in poesia le figure foniche (ripetitività dei suoni che dà sicurezza), legano parole che non hanno niente in comune fra loro se non il legame fonico, per cui si rafforza il legame semantico. Si crea una rete sovra-segmentale di senso che non avviene nella stessa misura o con la stessa intensità nel linguaggio della prosa. - Questa poesia richiama inoltre il tema dei colori puri, che si armonizzano all’interno della scena: il testo non presenta un movimento, ma un’immagine colta in un attimo (cfr poesia imagista); il senso di movimento però non traspare ma fa parte di quel non detto; si intuisce un cambiamento nella scena rispetto a ciò che poteva essere prima (es. galline che escono dal pollaio, prima c’era la pioggia). Essa coglie una scena con quattro strofe e in ognuna di esse ci sono quattro parole, la scelta è ricercata per dare un effetto particolare al lettore. Il ruolo del cinema Il cinema (“la settima arte”) è un’arte nuova, la sua storia comincia a Parigi alla fine del 1895 (28 dicembre, nel pieno delle festività natalizie): in un locale vicino a un albergo lussuoso, tre fotografi di Lione - Antoine Lumière e i figli Auguste e Louis - presentano una loro invenzione, chiamato cinematografo. Si tratta di un’evoluzione dell’ottica fotografica che permette di vedere immagini in movimento, ma la realizzazione di questa macchina da parte dei fratelli Lumiere di fatto non è nuova: l’idea dell’immagine in movimento è alla base di numerosi progetti che ebbero luogo nell’800, quando si vuole perfezionare l’immagine dei disegni (si elabora una girandola da cui ricavare la percezione di un movimento. Inoltre, con le lanterne magiche un’immagine dipinta su vetro viene proiettata su uno schermo). Arriva dagli USA la materia prima per la pellicola fotografica, la celluloide, scoperta nel 1869 ma brevettata soltanto nel 1887: la parola “film” che descrive la pellicola si impone agli inizi degli anni ‘90 dell’800. L’idea dei fratelli Lumiere è costruire un apparecchio leggero e versatile, in grado di riprendere le immagini, stamparle, proiettarle. Per presentare questo apparecchio, i fratelli dovevano realizzare un cortometraggio che dimostrasse l’uso della macchina, e riprendono con la cinepresa l’uscita degli operai dalla fabbrica di famiglia, a Lione, quando a mezzogiorno escono per il pranzo: la data della ripresa è il 19 marzo del 1865, a Lione l’unica giornata di sole (serve la luce)  ecco il primo cortometraggio, La sortie des Usines Lumiere (“L’uscita dalla fabbrica Lumiere”), costituito da un’unica inquadratura: sono immagini in movimento in un contesto reale. La sera della presentazione a Parigi, la sala della presentazione è praticamente vuota, disertata dalla stampa e dal pubblico, nonostante ci fosse qualcuno fuori dall’albergo che invitasse i passanti. C’erano solo 33 persone paganti 1 franco per entrare, ne restarono sbalorditi e la voce di questa nuova attrazione si diffuse velocemente (nei giorni successivi dovettero chiamare la polizia per contenere le persone che si accalcavano per entrare in sala). L’evoluzione del cinema è un’evoluzione molto veloce, e un ruolo importante nella costruzione del film è riservata alla cinematografia russa post rivoluzione d’ottobre (-> 1917, porta al rovesciamento dell’impero russo e alla formazione di quella che anni dopo sarà l’unione sovietica). I registi russi di questo periodo sono annoverati come parte dei maestri indiscussi del cinema mondiale: negli anni ‘20 si sviluppa un cinema-documentario che sovverte completamente le regole del cinema spettacolare, le immagini e le didascalie non forniscono soltanto una rappresentazione della realtà, ma anche gli strumenti critici per la rappresentazione della stessa realtà. Il montaggio è fondamentale per il cinema, poiché il regista decide quali immagini e quali sequenze scegliere: il montaggio duplica la realtà, ma ne fornisce anche chiavi di lettura, perché il regista seleziona certi elementi e ne deseleziona altri. Questa selezione ovviamente è orientata da ciò che il registra vuole mostrare e far capire. Maestro indiscusso di questa tecnica è Sergej Ėjzenštejn, che esordì nel 1924 con il film “Sciopero!”, dove viene mostrato il lavoro sotterraneo politico che avveniva nel 1917: immagini di fabbriche, violenza dei soldati, ecc. Per la prima volta le masse diventano protagoniste. 21 - Ėjzenštejn è un teorico del cinema, alla base del suo lavoro c’è l’idea che il cinema deve essere un veicolo di emozioni. L'emozione serve allo spettatore per interrogarsi in modo critico sulla realtà, evidenziando la complessità e provando a fornire alcune soluzioni. - Secondo Ėjzenštejn cinema e teatro dovrebbero suscitare reazioni emotive negli spettatori, quindi bisogna allontanarsi dal naturalismo per comprendere elementi eterogenei. - La frizione dello spettatore non deve essere passiva, doveva venire scosso dalle immagini e partecipare alla ricomposizione del senso della storia. - Per arrivare a questo le immagini non dovevano mostrare chiaramente i soggetti e le azioni, ma dovevano dare tracce parziali eterogenee a volte incomprensibili che portassero lo spettatore ad avere nuove idee per associazione. Il film va avanti attraverso degli stacchi e quindi cambiando magari improvvisamente inquadratura, suggerendo l’idea che si vuole trasmettere attraverso un’analogia o una similitudine. - Ėjzenštejn era contrario alla linearità temporale, arrivando ad invertire l’ordine dei fatti, generando uno stato di ansia maggiore. - Un'altra sua teoria è quella del cine-pugno che serviva a provocare uno shock visivo: giustapposizione > sequenze messe una accanto all’altra senza che il legame logico, causa effetto, prima o dopo venga esplicitato. Un film famoso è “la corazzata Potemkin”, l’esempio più chiaro del montaggio per analogie e non per sequenza lineare. Il regista sosteneva che introducendo un vuoto o altre immagini tra due immagini di sequenza si potesse trasmettere sentimenti o idee nuove oltre alle immagini normalmente trasmesse. Egli spiega l’uso della molteplicità dei punti di vista del cubismo nel cinema. Il film è stato censurato in Italia durante il regime fascista, si è potuto vederlo soltanto nel 1947, a Milano. [madre tiene in braccio il figlio morto e cammina, va incontro ai soldati che stanno marciando giù dalle scale, e la uccidono e poi l’immagine finale in cui questo volto di questa donna, colpita da un proiettile all’occhio, lei la vediamo prima nel film che a un certo punto dice agli altri che sono con lei, fermiamoli, devono capire che non devono sparare, non si vede il colpo che la donna subisce, vediamo solo il passaggio del prima e dopo, in mezzo ci sono altre immagini che danno questo senso di movimento, solo alla fine vediamo quest’immagine di lei sofferente: immagini che creano degli shock visivi.] Il film racconta episodi in parte reali e in parti fittizi avvenuti nel 1905, durante una sorta di rivoluzione contro lo Zar. Oltre a creare un forte senso di movimento, confusione, le immagini incoraggiano lo spettatore a fare delle connessioni, tra i militari e la sofferenza della popolazione, come il film attraverso queste collisioni di immagini sembra rappresentare in maniera iconica proprio la collisione tra forze contrastanti. Approccio marxista alla regia, il conflitto tra le immagini metteva in evidenza un contesto di classi sociali. Questa giustapposizione con brusche transizioni sono paragonabili alla tecnica del collage usata nelle arti figurative, senso di varietà anche come unico modo per rappresentare la complessità della vita moderna. “The film sense” pubblicato in inglese nel 1943, spiega l’influenza dell’uso cubista della molteplicità del punto di vista nel cinema, Sergei tratta il cinema come un’arte che deve usare nuove tecniche per dare nuove espressioni alla realtà > posizione ideologica degli artisti del primo 900. Trasformazione della poesia e del Modernismo nel primo ‘900 Uno degli elementi caratteristici del modernismo è l’autocoscienza critica, problema fondamentale nel primo ‘900 > i protagonisti di questa stagione così vivace dal punto di vista culturale, gli artisti stessi accompagnano la loro creazione artistica con la riflessione sull’arte, nel momento stesso in cui o parallelamente al lavoro creativo, questi artisti riflettono sul modo di fare arte, e quindi criticano, scrivono testi di critica. Gli artisti creano oggetti d’arte ma allo stesso tempo riflettono sulla loro creazione, riflettono sul loro far arte, uno degli elementi caratteristici è questa autocoscienza critica. Cultura letteraria inglese si alimenta anche intorno al ripensamento della nozione del fenomeno artistico, al concetto di che cosa è originale, di quello che non è ancora stato esperito, concetti fondamentali insomma, il concetto di impersonalità che viene sviluppato da Eliot, l’arte senza artista, la cosa da ricordare è che c’è questa costante riflessione critica e teorica da parte degli artisti stessi sul loro fare arte. 22 fragole schiacciate! Vieni/venite, che i nostri occhi festeggino/banchettino/si riempiano.] Titolo (è in francese, in richiamo all’arte contemporanea continentale): si parla dell’arte del primo Novecento, quando l’arte attirava i commenti critici. Nel 1910 a Londra furono organizzate mostre su Manet e post impressionisti, quando Roger Fry introdusse a Londra per la prima volta artisti finora sconosciuti come Picasso, Matisse, Van Gogh, Gauguin, Cezanne, e denominò la pittura francese contemporanea come post-impressionismo. Anche Virginia Woolf fa riferimento a questa mostra d’arte. Il titolo indica quindi il contesto in cui collocare questa poesia (in versi liberi, quindi fuori dall’imposizione metrica, ma hanno entrambi 10 sillabe). Non è un vero e proprio haiku, perché sono solo due versi ed è presente un titolo (assente negli haiku). Nella seconda parte del secondo verso il verbo “come” è all’imperativo (il soggetto è sempre la seconda persona, singolare o plurale) e potrebbe essere un invito, una preghiera, un’ingiunzione, una richiesta, e indica la presenza nel testo di un interlocutore cui l’io parla (ma non si manifesta), presumibilmente all’interno di questo contesto della mostra d’arte, e si immagina che l’interlocutore reagisca davanti a questo quadro, che presenta colori forti ed esasperati, in conflitto tra di loro, tipici della pittura post impressionista. In particolare si può pensare a un quadro dei Fauves, un gruppo di artisti formatosi tra il 1905 e il 1907: nel 1905 c’era stata una mostra a Parigi in cui essi mostrarono le loro opere, caratterizzate da un uso smodato e antinaturalistico del colore (tant’è che un noto critico francese ne rimase tanto colpito da definirla una “cage aux fauves”, una “gabbia di belve”, tanto era la violenza espressiva dei colori impiegati). Un esempio è Matisse, che all’inizio della sua carriera ha un periodo Fauves, come si vede da Joie de vivre, 1906 (ricorda un po’ le Bagnanti di Cezanne nell’ambientazione naturale, da cui trae ispirazione anche Picasso per Les demoiselles d’Avignon). La composizione è piatta e non ha prospettiva, presenta tinte accese e solari, e i nudi femminili sono dipinti quasi a macchie, senza rispettare i colori naturalistici (rosa, giallo, verde, che riprendono i colori degli alberi), tanto che i colori del quadro furono definiti addirittura ripugnanti da un critico. Un altro quadro importante di Matisse è La danse, 1910, in cui si vedono cinque figure danzanti dalla pelle rossa, il cui colore contrasta con le altre due tinte dominanti, il verde del prato e il blu del cielo: sono tonalità forti e materiche, che richiamano presumibilmente un’arte primitiva. Il ritmo trasmesso da queste figure è dato dalle linee curve ed elastiche che s’intrecciano e s’incontrano, proseguendo idealmente l’una con l’altra e comunicando quindi il movimento e la fusione delle figure con l’ambiente circostante; questa sorta di girotondo è aperto, perché le mani si toccano appena, ed esprime un forte senso di libertà. La critica definì l’arte Fauves come “un barattolo di pittura lanciato in faccia al pubblico”. Pound riprende quindi nella sua poesia il contrasto di colori (il verde e il rosso), violenti e forti, con la prospettiva appena accennata e una sostanziale assenza di luci e ombre, l’uso del colore in maniera antinaturalistica e libera dalle convenzioni, tuttavia con una certa coerenza - non esteriore ma insita nell’armonia della composizione. Il “verde arsenico” fa riferimento all’uso dell’arsenico nel XIX secolo come pigmento per creare un verde brillante, senza essere consapevoli della sua tossicità in seguito all’esposizione prolungata. Il verde e il rosso, richiamato dalle fragole, sono colori primari e nella ruota cromatica sono posizionati in opposizione, e non sono addolciti da alcun senso di finitura: il verde sbavato/spalmato e il rosso schiacciato sulla tela, che è essa stessa visibile (normalmente nei dipinti la tela era un mero supporto per l’opera, mentre con le sperimentazioni pittoriche - a partire da Cezanne - si lascia visibile una parte della tela, come a trasmettere un senso di “non finito”, e diventa essa stessa parte del quadro). Il linguaggio del componimento rappresenta quindi lo shock che questi quadri suscitavano all’epoca, ed è ovvio che al parlante piace quest’insulto oltraggioso all’arte - come fu definita al tempo l’arte post impressionista - nella sua eccessività, e si aspetta che l’interlocutore condivida questo suo entusiasmo: lo invita al festeggiamento degli occhi (“come, let us feast our eyes”), e con ciò richiama una frase di Delacroix (1798-1863), noto pittore francese e massimo esponente del Romanticismo francese, quando erano forti le istanze rivoluzionarie e l’instabilità politica, e pur essendo l’ultimo esponente del grande stile romantico è anche il primo dei maestri moderni che ha trasformato la pittura francese nel XIX secolo (disse: “the first virtue of a painting is to be a feast for the eyes”, la prima virtù di un dipinto è di essere una festa per gli 25 occhi). Cezanne osservò che “tutti noi dipingiamo nel linguaggio di Delacroix”: dalle forme astratte ai colori audaci di Matisse e Kandinskij, l’espressività di Van Gogh e di Gauguin. I due versi si presentano totalmente sconnessi l'uno dall’altro in quanto al significato, ma hanno una loro logica interna, così come i colori che contrastano ma contribuiscono all’armonia intrinseca del quadro. Il contrasto tra i due colori primari opposti (ma affiancati nel quadro) è ulteriormente rafforzato dalla giustapposizione della tossicità dell’arsenico e la dolcezza delle fragole (che sono commestibili), che indica il contrasto vita-morte. Anche la costruzione sintattica dei versi (a incrocio/chiasmo: nel primo aggettivo sostantivo, nel secondo participio passato in funzione aggettivale e sostantivo) indica il contrasto e il legame armonico all’interno del testo (non imposto dall’esterno, intrinseco). Il punto esclamativo nel secondo verso indica l’eccitazione e la sorpresa dell’osservatore, e s’invita l’interlocutore a condividere il sentimento alla vista del quadro. È quindi evidente l’intenzione di presentare (e non rappresentare) un’immagine che coinvolge il sentire emozionale e l’intelletto dell’osservatore, pur senza un “io” esplicitato (almeno fino alla metà del secondo verso, quando si fa riferimento all’interlocutore): si legge l’impressione suscitata dal quadro e la sua presentazione, che vuole creare un’emozione negli occhi del lettore/ascoltatore, concentrando il tutto in due versi (“colour verses” seguiti da un breve commento/invito), sintetici e intensi Ts’ai Chi’h The petals fall in the fountain, the orange-coloured rose-leaves, Their ochre clings to the stone. [I petali cadono nella fontana, foglie di rosa colorate d’arancio, l’ocra s’incolla/attacca/avvinghia alla pietra.] Questo testo è più simile all’haiku (forma poetica giapponese costituita da 17 sillabe distribuite in 3 versi con schema sillabico 5-7-5, senza titolo): Pound non rispetta il numero di sillabe (8-7-7, anche perché in inglese è difficile rispettare la misura dell’haiku) ma è in tre versi. Il titolo fa riferimento a un poeta cinese (192-233 a.C.) noto per le brevi poesie e la vita breve e tragica. Il contesto è la stagione dell’autunno: vi fanno riferimento il primo verso (i petali che cadono) e il secondo verso (le foglie color arancio), e nel terzo si parla dell’ocra, un minerale terroso che, dopo esser stato estratto e ripulito, viene steso all’aperto e lasciato essiccare, per poi essere usato come pigmento: ha tonalità di rosso, giallo e marrone, colori tipici autunnali. I petali secchi che cadono indicano un fiore morente, e le foglie (un tempo verdi, ora color arancio: altro segno di appassimento) suggeriscono che i petali appartengono a una pianta di rose. L’idea di leggerezza, fragilità e silenzio, data dai petali e dalle foglie (dai colori caldi, che è una sinestesia), si pone in contrasto con la pietra grigia, fredda e bagnata del terzo verso. L’ocra indica la trasformazione dei petali e delle foglie (“their” nel terzo verso), che non hanno più forma né consistenza ma sono diventati solo una polvere, un pigmento, una sostanza colorante e colorata, e si sono attaccati alla pietra. Il testo è costituito principalmente da sostantivi, che presentano quasi un elenco di cose inanimate (la pianta, la fontana quindi l’acqua, la pietra...) che acquistano però un’agency, un’entità propria, quando vengono avvicinate ai verbi “fall” (allitterazione con “fountain”, lega l’azione alla fontana) e “clings”. Qualcuno osserva e coglie il momento in cui cadono i petali, non a causa del vento, infatti l’aria sembra ferma e statica, ma a causa del tempo che scorre. Nel secondo verso non c’è un verbo, ma la costruzione è simmetrica grazie alla costruzione dei composti: “the orange-coloured” e “rose-leaves”, bilanciati sia dal pov visivo con i trattini, sia dal pov acustico con 4 sillabe nel primo e 2 sillabe nel secondo. La giustapposizione non rende palesi i legami logici tra un elemento e l’altro, ma affianca gli elementi senza spiegarne il legame, anzi le emozioni sono espresse attraverso l’uso dei colori e le sensazioni visive, acustiche (la fontana ha dell’acqua, altrimenti l’ocra non si attaccherebbe alla pietra) e tattili: sono le 26 immagini concrete che suscitano le emozioni. È chiaro che c’è una coscienza che vede e percepisce, ma l’io resta nascosto dietro al testo ed emergono solo le immagini concrete della natura e della pietra della fontana: la durevolezza e perseveranza della pietra si pone in contrasto con la leggerezza dell’attimo in cui cadono i petali, percepito nel momento fugace in cui la coscienza ha colto l’evento. Il colore è l’unico residuo di quest’attimo dopo il quale il corpo (dei petali) se n’è andato ma l’essenza (il colore) resta attaccato alla pietra, nel ricordo di chi leggerà, nonostante il fiore sia caduto. Alba [‘Dawn Song’] As cool as the pale wet leaves of lily-of-the-valley She lay beside me in the dawn. [Fresca come le foglie bagnate e pallide di mughetto lei giaceva accanto a me all’alba] Il titolo significa “canto dell’alba”: alba è un sottogenere poetico della poesia occitanica (provenzale, trobadorica, in lingua d’oc: è una delle prime forme di poesia lirica in lingua volgare, rimanda al mondo poetico della poesia d’amore occidentale) che descrive la nostalgia degli amanti, in genere clandestini, che una volta sorto il sole devono separarsi dopo aver trascorso una notte d’amore. Il titolo della poesia quindi si riferisce al genere poetico, e suggerisce che il sole sta sorgendo e sveglia gli amanti: secondo la tradizione lirica provenzale, c’era un lamento o canto degli amanti che pregavano che il sole non sorgesse, affinché loro potessero continuare a stare in questo stato di beatitudine ed estasi ancora per un attimo. È simile all’haiku (3 versi, season word), ma presenta un titolo e non rispetta lo schema sillabico giapponese. Il mughetto (lily of the valley) evoca la primavera: in giapponese si dice “kigo”, “season word”, per indicare un termine che rimanda a una delle stagioni, anche senza averci a che fare direttamente ma evocando una serie di sensazioni, emozioni e colori che hanno a che fare con una determinata stagione; in giapponese ci sono season words specifiche per indicare il momento e il contesto in cui la poesia viene composta, e negli haiku dev’essere presente almeno una season word. Il mughetto ha foglie allungate verde brillante e fiori piccoli bianchi o rosa a forma di campanelline, e ha un profumo piuttosto intenso; ama l’ombra e non ama il sole diretto, tendenzialmente cresce in luoghi cespugliosi, nelle pianure ma anche nei boschi, e fiorisce da metà aprile fino a maggio. Il richiamo a questo fiore quindi evoca il periodo primaverile tra metà aprile e i primi di maggio. Tra l’altro, a metà ‘500 s’istituì in Francia la consuetudine di regalare il primo maggio agli amici e alle persone care mazzolini di mughetti come portafortuna. Il riferimento al mughetto colloca quindi la poesia in tarda primavera e in un luogo ombroso e nascosto. La poesia resta chiara, anche per un lettore che non conosce le forme poetiche dell’haiku e dell’alba che in questo componimento s’incontrano: l’obiettivo è catturare un momento di bellezza, non c’è un prima o un dopo ma solo quell’attimo, una percezione per sua natura effimera (ed è avvenuta nel passato, verb tenses) ma che viene resa permanente tramite la poesia. Questa percezione consiste nello svegliarsi una mattina accanto all’amante o all’amata (NB “dawn” si ripete sia nel titolo sia nell’ultimo verso). L’evocazione di questa bellezza viene concretizzata anche dall’uso di termini concreti e non astratti (le foglie, il mughetto, la presenza fisica del corpo) che danno un senso di realtà all’esperienza. Analisi stilistica (terminologia, la disposizione grafica del testo sulla pagina): questa poesia è costituita da un’unica similitudine “rovesciata” che descrive un momento unico, senza contesto. - Il primo verso appare incompleto, perché non si sa cosa sia “fresco come le foglie pallide e bagnate”; - Il secondo verso ancora non indica il soggetto, ma specifica la pianta cui appartengono le foglie, ed è caratterizzato dall’enjambement (figura retorica, in francese significa “superamento, scavalcamento”, che consiste nella spezzatura tra la scansione metrica di un verso e il suo ordine sintattico, così che non vi sia coincidenza tra la fine di un verso e la sintassi della frase; l’effetto stilistico è quello di sottolineare 27 terra risuonava così nel tempo bianco dell’era glaciale”; al polo opposto il nero, che per Kandinsky è “come un nulla senza possibilità, come la morte del nulla dopo che il sole si è spento, come un eterno silenzio senza futuro e senza speranza, risuona dentro di noi il nero”. La percezione fisica e gli elementi ottici trapassano quindi nell’ambito delle sensazioni e delle reazioni, e vengono assunti come mezzi espressivi. In questo senso Kandinsky pensa che ogni forma e colore abbiano un proprio contenuto e propria necessità interiore, che è indipendente dalla realtà degli oggetti esterni, e che si apre al sentimento ancora prima che a un processo d’indagine concettuale. Questo discorso sui colori e la loro percezione psichica serve per capire il contesto in cui Pound scrive (splotches of colours, apply Kandisky...). L’intenzione di Pound era di indicare attraverso questa spaziatura gli spazi tra le unità ritmiche. Visivamente c’è un’alternanza di bianchi e neri, di parole e silenzi, creando un importante effetto cromatico, sia grafico sia di contenuto: si percepisce un forte contrasto tra il ramo nero e i petali (non ne è specificato il colore ma s’immaginano chiari, bianchi o rosa, per contrasto). Il ritmo percepito da Pound quando racconta la sua esperienza, il bisogno di trovare una “pattern” con un “repeat” tra i volti della folla, si trasforma quasi in maniera ideografica nell’alternanza tra chiari e scuri, che si replica nei due versi (che hanno consistenza visiva differente perché sono di varia lunghezza). Lui stesso riporta di aver avuto un’impressione fortemente cromatica (“splotches of colours”), ed è possibile che abbia voluto applicare la teoria dei colori di Kandinsky). Nella poesia si ha una sorta di tensione creata dagli spazi bianchi e neri alternati, e lo stesso Kandinsky dice che il bianco è un grande silenzio, non di morte ma di potenzialità perché precede la creazione, mentre il nero indica la possibilità resa reale e definita, perché nel momento in cui si scrive si fa una scelta e la potenzialità muore. Si va dal silenzio pre-creazione al silenzio post creazione, che annulla il tempo e lascia esistere solo l’istante dell’immagine, una compressione temporale che si attua attraverso questa metafora assoluta e sovrapposizione di piani da un pov visivo (i volti, la folla) e la trasformazione di queste immagini che si confondono, creando un effetto statico (non c’è un verbo, i verbi danno il senso del movimento, del tempo e dell’azione) ciononostante cinetico. Pound dice che l’immagine non è ornamentale ma essenziale (poet’s pigment): si comprende che l’occasione dell’esperienza si riferisce non solo al contenuto ma anche alla forma in cui quel momento è stato fissato. Sempre da Vorticism: The “one image poem” (poesia di una sola immagine) is a form of super-position (sovrapposizione), that is to say, it is one idea set on top of another. I found it useful in getting out of the impasse in which I had been left by my metro emotion. I wrote a thirty-line poem, and destroyed it because it was what we call “work of second intensity.” Six months later I made a poem half that length; a year later I made the following hokku-like (hokku: haiku) sentence: “The apparition of these faces in the crowd: Petals, on a wet, black bough.” I dare say it is meaningless unless one has drifted into a certain vein of thought. In a poem of this sort one is trying to record the precise instant when a thing outward and objective transforms itself , or darts into a thing inward and subjective. -> interazione e movimento dall’esterno verso l’interno, successiva elaborazione mentale e conseguente oggettivazione del soggetto; giustapposizione di elementi, che sono cioè posizionati gli uni accanto agli altri senza che siano esplicitati I legami logici, spinge il lettore a fare esperienza delle immagini che appaiono indipendenti, dandone diverse interpretazioni: solo in questo modo le immagini acquistano significato, quando il lettore interagisce col testo. Questo componimento è molto famoso, la cui costruzione indica come doveva essere secondo Pound dovesse essere la poesia imagista  composto da due sintagmi nominali, uno nel primo verso, uno nel secondo verso; e un titolo essenziale per contestualizzare il componimento nel testo urbano. Non abbiamo verbi (i verbi indicano movimento). È chiaro che un qualche tipo di relazione non espressa esista tra questi sintagmi nominali che sono giustapposti, cioè messi uno di seguito all'altro e separati, non solo perché sono in versi diversi, ma anche dalla punteggiatura, infatti nella versione contenuta in Lustra abbiamo un punto e virgola, mentre nelle altre poesie viste in precedenza c'erano i due punti. Se pensiamo a un quadro, la giustapposizione di immagini in un quadro rompe la prospettiva iniziale, ma qui abbiamo due immagini che sono una di seguito all'altra e in un quadro potrebbero essere una di fianco 30 all'altra per cui non abbiamo più la centralità della prospettiva ma due immagini, qui in maniera analoga abbiamo due immagini avvicinate, alla prima immagine si aggiunge una seconda immagine o una trasformazione metaforica della prima ma senza che i legami logici di causa effetto siano espressi esplicitamente nel testo. Così abbiamo la sensazione di due immagini di uguale peso e valore, proprio perché giustapposte: sensazione di separazione, rafforzata dal punto e virgola, che indica una separazione rispetto alle due parti e gli elementi che compongono la stessa frase. I due punti, che avevamo visto nella prima versione, danno l'idea che l'elemento che sta dopo i due punti sia in qualche modo una spiegazione, un chiarimento di quello prima, invece il punto e virgola indica una separazione: la punteggiatura indica una relazione e il fatto che li troviamo uno di seguito all'altro a comporre questo testo, è chiaro che qualche tipo di relazione non espressa esiste tra questi versi. Il titolo dice dove, invece il primo verso ci dice che alcuni volti sono apparsi al parlante anche se non c'è riferimento al parlante stesso. Il ruolo di chi parla è di qualcuno che ha vissuto un'esperienza. L’apparizione delle facce non è data da un verbo, ma dal sostantivo “apparition” che è una nominalizzazione a sua volta che rende il tutto astratto e diminuisce il senso di presentazione concreta e toglie questo elemento di azione che il verbo porta con sé. Per capire determinati fenomeni linguistici, si può provare a immaginare di fare piccoli cambiamenti nel testo: per esempio in questo caso c'è differenza tra mettere il sostantivo “apparition” o il verbo “to appear”. Apparition è un termine che ha a che fare con vari significati: viene usato per uno spettro o un fantasma, ma anche l'improvviso manifestarsi improvviso di qualcosa che richiama il concetto piuttosto caro ai modernisti dell'epifania che verrà utilizzato in una maniera da lui propria da Joyce che teorizza e ci spiega cosa sia per lui l'epifania. L'epifania la ritroviamo anche nei moments of being di Virginia Woolf, ma siamo sempre nello stesso ambito semantico di qualcosa che accade improvvisamente -> il momento di rivelazione della verità che ha a che fare con la propria condizione. L’idea del frammento e dell'epifania cambia a seconda dell'autore e anche Pound definisce la “image” come “il complesso intellettuale e emozionale in un istante di tempo” , un frammento come questi testi stessi possiamo vederli come frammenti e legati alla poetica del frammento. La separazione tra questi versi è sia grafica che sintattica, grafica perché abbiamo due versi, sintattica per la punteggiatura. Altro elemento di separazione è “petals”, concreto plurale, “apparition” astratto e singolare. Il secondo verso è enigmatico, perché non è una conseguenza del primo, che ha un contesto urbano, mentre il secondo naturale. I petali caduti su un ramo nero e bagnato potrebbero indicare un'immagine di declino (le stazioni a quel tempo erano molto più buie) > il nero un'assenza di luce ma nella nostra cultura è anche un riferimento alla morte, inoltre “apparition” ha a che fare con gli spiriti quindi le associazioni che si creano grazie anche alla disposizione dei versi sono contraddittorie; nuova esperienza estetica che non è del tutto spiegata ma non è neanche del tutto irrazionale. L'importante qui non è capire il concetto espresso, ma cogliere la relazione che può esistere ma che è solo presentata. Le due idee sono diverse ma sono unite perché fanno parte entrambe di questo componimento. Se il primo verso continuasse nel secondo, le due immagini contenute nella poesia si fonderebbero in un insieme unico e diventerebbero una cosa sola. Mantenendo i versi separati l'effetto è quello di creare una relazione, una sorta di interazione tra i due versi e le idee che questi contengono  Come certe poesie cinesi che costruiscono una sorta di insieme (“compounding”) in cui ci sono due elementi, uno è aggiunto all'altro, che non creano una terza cosa e suggeriscono una relazione più che un'analogia. Per dimostrare che le immagini sono separate il lettore può provare a inserire un verbo che chiarisca la relazione tra i due versi: l'idea è che questi volti che appaiono nella folla siano trasformati in un petalo nero e bagnato. Inserendo un verbo (appear, are like, seem) la maggior parte delle volte viene usato un verbo al plurale ma il soggetto non è “this faces in the crowd” ma “the apparation of this faces in the crowd” ma anche mettere un verbo singolare risulta forviante  le immagini restano quindi separate, non si può creare una terza cosa perché se proviamo a creare un collegamento abbiamo la difficoltà di un soggetto al singolare che vuole un verbo al singolare e al secondo verso troviamo un plurale che vuole un plurale. La seconda immagine è una trasformazione metaforica dell'altra, qualcosa di esterno che diventa interno, ma le due immagini non diventano una sola e rimangono separate  si crea una relazione, non è 31 un’analogia: elementi di grammatica e punteggiatura danno forte contraddizione perché le idee vengono unite ma la differenza viene evidenziata da una serie di elementi per sottolineare l'assenza di un’unione. Pound diceva che la sua esperienza parigina avrebbe dovuto esprimersi attraverso i colori: la transcodificazione si risolve in una sorta di Haiku o comunque una poesia con una sovrapposizione di un'idea sull'altra, che diventa una controparte poetica di un linguaggio visivo e pittorico. Per Pound l'immagine è un complesso con una composizione, che subordina gli elementi singoli all'interno dell’insieme, queste due immagini e la loro relazione creano un'immagine in cui le singole immagini sono subordinate ma non fuse insieme, e sono unitarie proprio in virtù dell'armonia delle relazioni che istituiscono al loro interno. Pound parla di un pattern (schema) e di un repeat (ritmo all'interno del pattern), e di un “arrangement of color”. Usa il verbo presentare, non rappresentare, per dire che l'immagine è causa diretta della sensazione e la sensazione è assolutamente soggettiva e unica  in una poesia come the station of the metro “si tenta di registrare l'istante esatto processo quando una cosa esterna e oggettiva si trasforma in una cosa che è interna e soggettiva” quindi un'interazione tra ciò che è esterno e interno ha luogo in un primo movimento che va da fuori al dentro quindi un'osservazione, una ricezione di una forma, e poi avviene una successiva operazione mentale. Pound chiama questi processi “di receaving” (il movimento fuori < dentro, come l'osservazione che è esterna)  poi avviene questa elaborazione mentale che Pound chiama “conceaving” che indica la trasformazione della prima forma di ciò che era esterno e diventa interno. Le immagini prese indipendentemente l'una dall'altra sono prive di significato (stazione, volti, petali) ma con questo processo di giustapposizione Pound crea una relazione e spinge il lettore a interagire con le immagini che il poeta presenta e fare esperienza di quel legame. Quello che conta non è cogliere il concetto espresso (diversi lettori possono dare delle letture diverse, per es uno può vedere nei volti qualcosa di bello ma non permanete, di fuggevole; la bellezza dei petali bagnati è effimera e svanisce così come i volti della folla quanto belli possono non essere più visti; oppure un lettore può pensare alla brevità della vita umana così come quella di petali su un ramo): le interpretazioni possono essere infinite, ma quello che è importante è che queste immagini attraverso questa loro giustapposizione offrono un’interpretazione attraverso la presenza e l'interazione con il lettore. T.S. Eliot e The Waste Land Eliot (americano, Missouri 1888 – 1956), studia filosofia ad Harvard. 1910: si reca a Parigi per poi tornare negli USA. Allo scoppio della 1GM si trasferisce a Oxford e poi a Londra (incontra Pound, sposa Vivian Wood nel 1915). 1917: impiegato alla Lloyd Bank, pubblica la sua prima raccolta di poesie Prufrock and Other Observations, 1920 la prima raccolta di saggi critici The Sacred Wood e 1922 The Waste Land. 1927: si converte all’anglicanesimo e prende la cittadinanza britannica. Da questo momento di conversione nella chiesa di Inghilterra all'High Anglicanism (forma di anglicanesimo più conservatrice) in poi le sue poesie acquisiranno un carattere religioso. 1930: la sua poesia cambia tono e temi, pubblica Ash Wednesday (= mercoledì delle ceneri). 1934: The Rock che però è un'opera sulla chiesa. 1943: pubblica l'opera poetica più importante della maturità, Four Quartets. In tutto questa tempo dedicato alla scrittura poetica Eliot non smise mai di scrivere saggi (componimento tipico degli scrittori di questo periodo, i modernisti hanno un'autocoscienza critica molto sviluppata) occupandosi di problemi di letteratura e cultura in generale. Anni ‘30 scrisse anche per il teatro: 1935 The Murder in the Cathedral; 1939 The Family Reunion. Con queste opere, entrambe in versi, Eliot cerca di recuperare il teatro classico greco e latino (in The murder in the Cathedral abbiamo anche il coro, elemento tipico nel teatro greco). Tutte le discipline artistiche sono coinvolte nel tentativo di rinnovamento delle forme, ma il teatro in Inghilterra non viene capito e perseguito (tentativo di Gordon Craig; drammaturghi europei es Brecht). Mentre nelle arti, poesie, romanzo, prosa artistica, c’è un rinnovamento molto importante, questo 32 Temi: crisi occidentale, vista come perdita della fertilità, desolazione, aridità delle culture primitive, finché al momento dell’arrivo della pioggia ci sia una rinascita. Le modalità per rappresentare questa crisi si incarnano nel metodo mitico (metodo intertestuale perché mette in parallelo, ma non è il concetto stesso di intertestualità), teorizzato da Eliot nel suo saggio Ulysses, Order, and Myth nel 1923 come recensione all’Ulisse di Joyce. Questo metodo scarta la narratività, non procede più attraverso un filo logico e opera attraverso il parallelismo tra mondo contemporaneo e passato. Struttura, titolo, analogia Testo attuale: 5 sezioni, provviste di titolo, precedute da un'epigrafe e da una dedica a Ezra Pound. I temi generali sono chiari sin dall'inizio: relazione profonda con un grande background antropologico. - 1. nota, subito dopo il titolo: Eliot afferma “non solo il titolo, ma anche il piano e buona parte del simbolismo insito nel poemetto, furono suggeriti dal libro di Miss Jessie L. Weston sulla leggenda pre- cristiana del Graal, From Ritual to Romance (1920)*: “in verità vi sono così profondamente indebitato che il libro di Miss Weston spiegherà le difficoltà del poemetto molto più di quanto possano fare le mie note e lo raccomando indipendentemente dal grande interesse del libro in se stesso a chiunque ritenga valga la pena giungere a una simile delucidazione del poemetto”. - “verso un'altra opera di antropologia sono indebitato in generale, che ha influenzato profondamente la nostra generazione, cioè The Golden Bough: A Study in Comparative Religion (1890-1915 “il ramo d’oro”, monumentale opera antropologica di Sir James Frazer): mi sono servito in particolare di due volumi Adonis Attis Osiris, chiunque abbia dimestichezza con queste opere si accorgerà che nel poemetto ci sono riferimenti ai riti pre-cristiani della vegetazione”. Eliot include elementi magici e tratti dall’occultismo + forme di cultura di superstizione e divenute oggetto di studio serio (leggenda del Graal, riti della vegetazione): in questa grande memoria antropologica Eliot inserisce la situazione del suo tempo, la sua terra desolata, come prescritto dal metodo mitico attua un parallelo tra passato e presente, tra mito e storia contemporanea  analogia tra la sterilità della terra (la terra desolata è definita terra guasta nella leggenda del Graal) e la crisi della civiltà contemporanea, il fallimento della condizione umana presenti nella società del suo tempo  attraverso un uso metaforico di immagini inerenti ad entrambe le situazioni. Quindi la terra desolata è come quella del re pescatore, una terra che nella realtà è quella uscita dalla 1GM, vi è perdita di fertilità come perdita di valori > contemporaneità di Eliot. L'enunciato di base di The Wasteland è che la terra, tutta la terra che è scenario di tutta la storia, ha perso ogni capacità rigenerativa, è inaridita e sterile, e la condizione del suolo è una figura fedele dei personaggi (correlativo oggettivo): folle anonime, individui equivoci e miserabili di ogni estrazione sociale, o nel migliore dei casi personaggi coscienti della propria sterilità dalla quale però non sono in grado di uscire. L'assuefazione a questa condizione di sterilità si configura come uno stato di ignavia che tutti gli abitanti di questa terra desolata condividono, arrivando a ritenere ottimale lo status quo. Eppure, in contrasto con questa ignavia e questa incapacità di prendere decisioni e all'immobilità del presente, sussiste una memoria sfumata di una condizione alternativa di un’esistenza ricca di valori umani, appartenuta ad altre epoche  l'angoscia che affiora dalla collisione dei due mondi determina il discorso poetico, costituito dai frammenti di questa tradizione, che l'intellettuale ammucchia per arginare la frana della storia contemporanea. Miss Jessie L. WESTON (allieva di Sir James Frazer), FROM RITUAL TO ROMANCE* (indagine sul Santo Graal, 1920): studio sulle origini della leggenda medievale e cristiana del Graal. Weston stabilisce un ponte tra il mondo pre-cristiano (studiato da Frazer ne Il ramo d’oro) e il mondo cristiano medievale, cioè tra ritual e romance. [NB il romanzo- novel è il romanzo 700-800esco di carattere più realistico, tendente alla mimesi, e vicino al pubblico contemporaneo di cui riporta i costumi; ciò si allontana dalla tradizione più antica del romanzo- romance , un genere narrativo applicato alla letteratura in vernacolo (cioè in inglese) e non alla letteratura latina, che tratta di personaggi favolosi ed eroici, descritti con un linguaggio elevato con una tendenza al fantastico, riporta vicende di cavalieri eroici che sfidano le forze del male.] Il titolo di Weston indica il passaggio dai riti della vegetazione, studiati da Frazer, al romance, cioè alla leggenda medievale e cristiana del Graal: Weston parte dagli studi del suo maestro sui nature cults, che 35 associavano la condizione fisica di un dio alla fertilità della terra, e dimostra come la leggenda del Graal sia una derivazione letteraria di un antico rituale (es. attraverso una serie di simboli, come la lancia e la coppa, che in origine erano simboli sessuali). Analogia che stabilisce una permanenza antropologica di schemi simbolici applicabili a varie epoche, tra cui anche quella contemporanea. La terra desolata rimanda a una terra sterile, invernale, deserta, ma anche alla terra della leggenda del Graal  ovvero quella del re ferito alla coscia che ha a che vedere con la sterilità della terra, che secondo il mito erano collegati (tramite un legame simpatico, di legame magico). Affinché la terra torni fertile, il re deve essere risanato e questo può accadere solo se un cavaliere puro riesce a ottenere la coppa del Graal, coppa che si crede sia stata usata da Cristo nell’ultima cena e con cui Giuseppe d’Arimatea aveva raccolto le ultime gocce di sangue di Cristo morente sulla croce. Nel cercarla, molti cavalieri perdono la vita, solo un cavaliere puro può raggiungere la cappella dov’è custodito, rispondere a una serie di domande, come un rito di iniziazione, e in caso positivo salva il re e la terra. Il re del Graal è noto come re pescatore, perché fin dall’antichità cristiana il pesce è simbolo di vita. È associato alla figura pre-cristiana del dio dei riti della vegetazione, simbolo di una natura fertile e riproduttiva che veniva simbolicamente sacrificato – sotterrato o affogato – per poi essere fatto risorgere come pegno di rinascita. Gli dèi adorati nel mediterraneo in epoca pre-cristiana erano Tamuz, Osiride, Adone, Attis, tutte divinità legate ai culti della fertilità: a partire da questi rituali si deduce l’essenza della leggenda del Graal. Quando Weston scrive il saggio, è in corso un dibattito tra gli studiosi sull’origine della leggenda del Graal: cristiana o celtica? Weston dice che la civiltà celtica e cristiana sono venute dopo e hanno avuto origine dai culti pre-cristiani del Mediterraneo, e che hanno poi arricchito di elementi. La Quest del Graal divenne poi sinonimo della più grande impresa richiesta a un individuo: una ricerca da parte di un eroe e allo stesso tempo una lotta contro un nemico malvagio, forse il male stesso, alla cui sconfitta segue un’esaltazione finale. La conoscenza del Graal era la più alta conoscenza cui un individuo potesse accedere. Il rito d’iniziazione ricorda le pratiche delle sette gnostiche cristiane, che consistono in prove che l’eroe deve superare, un’avventura strana e terrificante in cui l’eroe rischia la vita venendo a contatto con gli orrori della morte fisica e con le forze del male (“cappella del periglio”, intorno a cui giacciono i cavalieri che hanno fallito), con dettagli variabili. I romanzi del Graal si fondano sulle rovine di un antico rituale considerato depositario dei segreti della vita. Simbologia del Graal: la lancia, affondata nel costato di Cristo, e la coppa, in cui fu raccolto il sangue di Cristo morente in croce. Questi due oggetti hanno un significato anche precedente al Cristianesimo: con le varianti del piatto e della spada, sono simboli sessuali antichi e ampiamente diffusi, legati al simbolismo della vita e della riproduzione e a rituali legati alla vitalità riproduttiva. Sono anche i 4 semi delle carte (coppe, spade, piatti, lance/bastoni/picche) e dei tarocchi (78 carte, di cui 22 sono gli arcani maggiori, numerati da 0 a 21, che raffigurano oggetti e personaggi simbolici): i tarocchi sono carte antiche, si ritrovano in Egitto legate al calendario e ai movimenti delle acque del Nilo, ritrovati anche in Cina, quindi l’uso dei tarocchi sembra essere la predizione non tanto del futuro ma delle piene e secche delle acque che portavano fertilità alla terra (acqua > re pescatore). Nome del re pescatore > non un’invenzione letteraria, ma parte integrante di una tradizione culturale, centro essenziale dell’intero culto, come essere semidivino e semiumano che sta tra il suo popolo e la terra e le forze invisibili che controllano il loro destino: - Ipotesi: in una delle versioni della leggenda del Graal, durante le peregrinazioni di Giuseppe d’Arimatea, uno dei suoi compagni si macchia di un peccato e, per ordine divino, Broms il cognato di Giuseppe cattura un pesce, che fornisce una sorta di cibo mistico che i peccatori indegni non possono mangiare: Broms diventa quindi il “ricco pescatore”, uno dei cavalieri puri che trova la coppa del Graal, da cui deriva il titolo dei romanzi di Perceval. Caratteristiche: il re pescatore è vecchio, mentre il cavaliere è giovane, e ha la stessa funzione della figura centrale della divinità negli antichi rituali della natura. - Secondo i primi cristiani, il pesce era simbolo della cristianità, e secondo il folklore irlandese e gallese mangiare le carni del pesce conferisce la vera conoscenza. Weston dice che il simbolismo pesce- pescatore si ritrova nel fatto che da epoche antichissime il pesce è simbolo di vita e il pescatore è 36 sempre stato associato a divinità deputate alla conservazione della vita. Il cibo durante i culti misterici era considerato sacro (cfr ebrei e cristiani): origine del simbolo è la credenza che la vita derivi dall’acqua. - Legame del pesce con la dea Astarte (dea-madre fenicia adorata dagli egizi come Iside, dai greci come Afrodite, dai romani come Venere), simbolo di bellezza e fertilità, legata anche alla colomba. Nei templi a lei dedicati, si trovavano colombe e pesci, tenuti in un laghetto vicino al tempio: era proibito catturare gli animali, con la pena di ulcere e tumori, tuttavia si tenevano segretamente banchetti mistici per iniziati in cui si consumava il cibo proibito perché il pesce era considerato il corpo della dea. Ne deriva l’uso di mangiare il pesce di venerdì, giorno dedicato alla dea Astarte nelle sue varie identità locali. Il segreto del Graal: è un oggetto enigmatico e misterioso, che incute timore reverenziale, colui che svela il segreto sarà perseguitato dalla cattiva sorte, e solo un santo cioè un cavaliere puro può raccontare le meraviglie del Graal. I romanzi del Graal sono del XII sec con protagonista Giuseppe d’Arimatea, poi del XIII sec. c’è il ciclo in cui si narra che il Graal fu portato in Inghilterra dai discendenti di Giuseppe d’Arimatea e che ora sarebbe nascosto in un castello e vigilato dal re pescatore guardiano. La saga culmina nel XV sec col testo di Sir Thomas Mallory, Le morte d’Arthur (1469-70), che fa parte della saga di re Artù che regna a Camelot con i cavalieri della tavola rotonda. Il Graal è perduto, e quando a Pentecoste riappare nella luce del cielo i cavalieri s’impegnano per riportarlo a corte. Molti provano, ma riescono solo Bors, Perceval, Galahad, che vengono iniziati ai misteri del Graal: il re ora è guarito e così anche la terra. I cavalieri vanno quindi verso la città celeste in Oriente, dove l’ultimo mistero viene svelato e dove il Graal serve di nuovo come calice nella messa. Galahad muore nell’estasi dell’ultimo segreto del Graal, Perceval succede al re guardiano del Graal (una volta guarito dalla ferita, il vecchio guardiano muore e subentra il nuovo), Bors torna a Camelot, e il calice viene portato in cielo. The Golden Bough: A Study in Comparative Religion (1890-1915 “il ramo d’oro”), monumentale opera antropologica di Sir James Frazer -> i nature cults erano praticati da popolazioni basate su un’economia prettamente agricola quindi la cui sopravvivenza dipendeva dalla terra e dalle variazioni del ciclo naturale: si credeva che le disgrazie fossero frutto di un dio offeso, nasceva quindi la necessità di praticare sacrifici e rituali per placare l’ira degli dei e di garantire la continuità della fertilità e vitalità della terra. In epoca pre-cristiana nelle società primitive il tempo era percepito come ciclico, non lineare come per noi, ed era considerato un modo per dividere il singolo anno invece che un accumulo di anni: l’anno era diviso in equinozi e solstizi, che seguono l’annuale progresso del sole ed erano quindi indicazioni stagionali di variazioni climatiche  simboli anche del combattimento annuale tra le forze della fertilità-vita e quelle della sterilità-morte: primavera = rinascita, estate = pieno della vita e della luce, inverno = morte e buio, in costante ripetizione annuale; l’interruzione del ciclo significava problemi per la sopravvivenza della terra. Nel mito sacro ebraico-cristiano, il viaggio dell’essere umano si compie tra la Genesi e l’Apocalisse (primo e ultimo libro della Bibbia), tra la nascita e la morte, che in chiave cristiana è il preludio alla rinascita e alla vita perfetta nell’aldilà. L’interruzione del ciclo in questo caso è il tempo nel giardino dell’Eden: con la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino s’introduce la morte, e il tempo non è più ciclico ma lineare -> cambia anche il rituale della fertilità. Lo schema narrativo del mito sacro include sia il cadere dalla perfezione (mortificazione) sia l’ascendere a un nuovo stato ideale di rinascita e godimento. Weston individua costanti presenti nelle varie versioni della leggenda del Graal: - Storia postuma, stretta connessione tra vitalità del re e del suo regno - Se il re viene indebolito o ferito, anche la terra diventa sterile e improduttiva - Funzione dell’eroe: riportare in salute la terra > fertilità e produttività. I miti pre-cristiani orientali raggiunsero Roma, centro della civiltà occidentale, e occuparono un ruolo rilevante. Weston menzione soprattutto i culti legati agli dèi Mitra e Attis, che hanno elementi affini con la cristianità > parallelo con la leggenda del Graal: in entrambi i casi c’è un impasto mistico in cui il cibo ha una relazione con la vita, e l’obiettivo finale è ottenere la vita eterna. Vennero assimilati dal Cristianesimo e vennero diffusi nell’Impero Romano tramite tre elementi: mercanti siriani che viaggiavano nel Mediterraneo, gli schiavi asiatici (vivevano nelle case, a volte diventavano anche impiegati statali), i soldati dislocati nella parte orientale dell’Impero. 37 Tuttavia Eliot ricorre ancora a Conrad: riprende un brano da Heart of Darkness (1898-99, ponte tra narrativa vittoriana e modernista) come epigrafe a The Hollow Men (1925), frase pronunciata da uno schiavo quando trova Kurtz morto: “Mistah Kurtz he dead” -> Apocalypse now, Kurtz morente pronuncia The Hollow Men. Dedica “Per Ezra Pound, il miglior fabbro” (“the better kraftsman”, inserita nel 1925): lavoro di revisione “labor limae”. Citazione da Dante, Canto 26. Purgatorio, v. 117 -> tra i lussuriosi incontra Arnaut Daniel, poeta provenzale (1150-1210) di cui restano 18 componimenti poetici: poesia difficile ed ermetica, la forma e la tecnica erano esasperate, non per mero esercizio stilistico ma finalizzate al tentativo di trovare un nuovo linguaggio poetico, esigenza che nella sua poetica si definisce “amore sensuale, passione”, ragion per cui Dante nel De vulgari eloquentia lo considera il maggior esponente della poesia amorosa, per cui lo inserisce tra i lussuriosi insieme a Guido Guinizzelli che diede l’avvio al Dolce Stil Novo (si canta l’amore sensuale fino a sé stesso e non l’amore divino come farà Dante). Dante lo definisce “il miglior fabbro del parlar materno” -> unico caso nella Commedia in cui Dante concede di esprimersi nella lingua madre, il provenzale: tiene conto della grandezza del poeta, Eliot omaggia Pound amante della poesia provenzale. The Better Kraftsman è anche il titolo del secondo capitolo del saggio di Pound The Spirit of Romance (1910) in cui si sofferma sulla poesia provenzale e in particolare su Daniel. Paul Maldoon apre l’introduzione a The Waste Land sull’importanza del testo: “è quasi impossibile pensare a un mondo in cui The Waste Land non esista: così profonda è stata la sua influenza, non solo sulla poesia del XX sec, ma anche nel modo in cui siamo arrivati a percepire il secolo come un insieme”. The Waste Land I sezione, “The burial of the dead” La versione di questa sezione sottoposta a Pound era molto più lunga, introdotta da 54 versi (successivamente omessi) privi di rima, in cui si parlava di un personaggio che passa la notte in città in un bordello: sembra che Eliot voglia riprendere in poesia quel che Joyce ha fatto in prosa nell’episodio Circe di Ulysses, sembra una sorta di reminiscenza giovanile di Eliot a Boston (come Joyce a Berlino). Effetto frammentato, situazioni diverse e voci diverse che prendono la parola, presentando scenari diversi, oppure un’unica voce che riporta il discorso di varie persone -> cfr nota di Eliot nella III sezione: Tiresia dà voce ai personaggi maschili e femminili, “come fosse una sola storia, se fossero più storie il lettore dovrebbe ricostruirle e trovare somiglianze tra le situazioni presentate” -> funzione del lettore che deve intervenire trovandosi davanti a un testo poetico in cui tutto è voluto e rilevante ma il poeta non fornisce i legami logici per collegare le porzioni di testo, deve farlo il lettore per giustapposizione. Ma la relazione c’è? Il punto è evidenziare la realtà frammentata senza unità, oppure essendo un testo unico che raccoglie elementi disparati questi sono tenuti insieme in una struttura più ampia quindi si cerca di dare un ordine alla frammentarietà? “connect nothing with nothing” o nuova unità con nuove regole? Paul Maldoon nell’introduzione cita una lettera del 6.11.1921 tra Eliot e Audington e mette in evidenza il tentativo di Eliot di riflettere la realtà contemporanea post 1GM -> conseguente discontinuità e smembramento, frammentazione e perdita di valori della cultura europea (= perdita della fertilità), tentativo di trovare un nuovo ordine all’immenso panorama di futilità e anarchia. A questo si aggiunge un aspetto personale: Eliot “was going to pieces” a detta del poeta Richard Audington (Pound usa il termine imagist in riferimento alla sua poesia), i suoi nervi erano arrivati a uno squilibrio emozionale, abulia inerte, che resterà per tutta la vita; a gennaio 1922 va poi in Svizzera a Losanna a farsi curare da uno psichiatra specializzato in questa mancanza di motivazione e di volontà, probabilmente simbolo di depressione. Questa prima sezione è divisa in 5 movimenti, ognuno basato su un tema diverso e segnalati anche graficamente da Eliot con uno stacco fisico tra una parte e l’altra. Introdotti nella prima sezione temi, simboli, personaggi del poemetto, già richiamati dall’epigrafe, e stabilisce in chiusa due possibili soluzioni finali: il ripetersi continuo di una circolarità ormai priva di senso (tempo mitico: nascita – riproduzione – morte), oppure la rottura della circolarità mitica e l’intervento della 40 Storia, attorno cui tutto deve organizzarsi e riferirsi -> due possibilità racchiuse nell’interrogativo forte a fine sezione, cui non viene data risposta (= ambiguità). Il titolo “the burial of the dead”: - Legame col rituale anglicano e col Book of Common Prayer (testo di riferimento dottrinale e liturgico della Chiesa d'Inghilterra: in questo testo sono raccolti i passi biblici e le preghiere recitati in occasione di un funerale, quando al momento della sepoltura l’officiante va incontro alla salma quando viene deposta la bara nella terra e la cerimonia si conclude). - Legame con la Sibilla, sbeffeggiata e incapace di agire e condannata a vivere una vita-morte. - Legame tra vita e morte, rovesciato perché la morte in quest’opera è il preludio a nuova vita nell’aldilà  alla fine di questa sezione c’è un richiamo agli ignavi di Dante, che non hanno speranza di morte e continuano a soffrire per l’eternità. “April is the cruelest month”, richiamo ipertestuale al poema medievale Canterbury Tales di Chaucer : aprile è il mese più propizio per i pellegrini per iniziare il pellegrinaggio verso Canterbury. Incipit curioso, si ricollega alla tradizione letteraria che inneggia la primavera come simbolo di rinascita e una nuova vita, ma l’archetipo letterario è rovesciato, e con esso anche l’archetipo mitico e antropologico della primavera come stagione portatrice di fertilità e vita. Eliot lo definisce il momento più crudele, sembra turbare la quiete invernale della morte della terra desolata, perché gli abitanti pare preferiscano la quiete grigia e sterile invernale (= ignavia). Gli scenari della prima sezione dove tutto si svolge sono quelli della primavera, vista come contrapposizione tra il tranquillo giacere invernale nel grembo della terra vs. la tensione che porta alla rinascita. 1. Prima sezione, primo movimento, vv. 1-18 (poi spazio bianco): presentata la terra desolata e lo scenario in cui si svolge la vicenda vv. 1-7: struttura, disposizione grafica, sintassi e semantica rimandano al rapporto vita-morte - A parte due, i versi terminano quasi tutti con un verbo in gerundio - ing -> senso di ripetitività, difficoltà sintattica: introducono frasi secondarie che però non si sa a quale principale si riferiscano; - vv. 4 e 7, diversi dagli altri (senza -ing) ma legati tra loro a livello sintattico e semantico, costruiti con un parallelismo sintattico (ripetizione con variazione: stessa struttura sintattica ma con termini diversi) e un chiasmo semantico (figura retorica con quattro elementi che si incrociano, strettamente connessi l’uno all’altro: “dull roots”, radici spente, semanticamente vicine a “dried tuberos” patate secche; “spring rain” è collegato a “little life” perché l’acqua è fonte di vita -> si evidenzia il legame morte-vita che si ripete fin dall’incipit per tutto il poema -> fonosimbolismo, percezione che certi suoni hanno sui parlanti di quella lingua, per esempio in inglese la /l/ è liquida e richiama all’acqua, che a sua volta richiama la vita); - enjamblement ripetuto (mancata coincidenza tra la pausa metrica, data dalla fine del verso, e la pausa sintattica, data dalla fine della frase -> giustapposizione tra suono e senso) - “breeding lilacs”: i lillà sono simbolo di fertilità, ma si generano dalla terra morta; - “mixing memory and desire”: il passato è memoria, il futuro è desiderio, il presente è una sorta di commistione tra i due, il desiderio rimette in moto il tempo; - “Winter kept us warm”: aprile è crudele perché risveglia la vita dalla panacea invernale; - v. 5 primo riferimento al parlante “us” (noi non è plurale di io, perché di io ce n’è uno, noi è sempre “io e un’altra persona”: io e l’interlocutore, io e te, io e loro…), sembra far riferimento a “ io e il resto dell’umanità, e un ipotetico abitante della terra desolata”, condivide con le altre persone la medesima condizione di morte in vita (se si preferisce l’inverno, stagione di tenebre e morte, alla primavera che è vita e rinascita, si è in condizione di morte in vita, in comune con la Sibilla). vv. 8-18 - cambiamento anche visivo: versi più lunghi, senza rima, sintassi più semplice rispetto ai versi precedenti: procede non per subordinazione ma per coordinazione (paratassi, più comune nella lingua parlata); - pausa metrica e pausa sintattica coincidono in quasi tutti i versi; - cambiamento stagionale: dall’inverno alla primavera, ora “summer surprised us”, parallelismo sintattico; - nuova voce: “us” non è più “io e l’umanità”, ma si parla di due individui; 41 - cambio di situazione, dal generale al particolare (un ricordo: dal passato al presente) nell’Hofgarten di Monaco, con un frammento di conversazione in tedesco e un ricordo presentato da Marie; - discorso di Marie Larisch (cfr. nota di Serpieri) pare sia la nipote confidente dell’imperatrice, dice “non sono affatto russa ma originaria della Lituania, una vera tedesca”: riferimento al trattato di pace di Brest- Litovsk, siglato in Bielorussia nel 1918 tra la Russia rivoluzionaria di Lenin e le potenze degli imperi centrali di Austria e Germania, la Russia per uscire dalla guerra pagò un prezzo altissimo perché perse 1/4 dei suoi territori europei (Polonia orientale, Lituania, Estonia, Finlandia). Riportate all’interno del suo discorso anche le parole dell’Arciduca, cugino di Marie. Questo ricordo di Marie è un lasciarsi andare con timore ma anche con un grande senso di libertà (“in the mountains there I feel free”), si ricollega col tema del risveglio alla vita; - v. 18 “I read, much of the night, and go south in winter”: il ricordo di Marie si inserisce in una prospettiva inequivocabilmente passata, si ritorna al presente, ad aprile che è il mese più crudele  adulterazione dei ritmi naturali (cambiamento giorno-notte) e delle stagioni, infatti l’ultima parola – winter – riporta alla morte e tenebre e al winter del v.5. 2. Prima sezione, secondo movimento, vv. 19-30 - giustapposizione tra prima e seconda sottosezione: non sono dichiarati i legami tra una e l’altra parte - l’ambiente è desolato, secco e “pietroso”: macerie, un albero morto, una roccia rossa capace di offrire forse un po’ d’ombra e di ristoro ma inaridita  mancanza d’acqua, aridità = morte, sterilità; - “the sun beats”: connotazione negative del sole, che picchia e causa aridità; - apre con due domande: “What are the roots that clutch, what branches grow / Out of this stony rubbish?”; - “son of man, / You cannot say, or guess, for you know only / A heap of broken images”: la voce si rivolge a qualcuno -> linguaggio biblico (cfr nota 11 di Eliot, Ezechiele Libro II “figlio dell’uomo, sta’ in piedi che devo parlarti”), si può immaginare che la voce parlante sia in una posizione di conoscenza diversa rispetto all’uomo, cui viene negata la possibilità di parlare, indovinare e conoscere, e la cui conoscenza è ridotta a un cumulo di immagini rotte -> impossibile avere una conoscenza armoniosa e completa, perché l’uomo ha solo frammenti a disposizione; introdotto un tono profetico, un motivo religioso della rottura del tempo ciclico; - vv. 25-27 “There is shadow under this red rock / (Come in under the shadow of this red rock), / And I will show you something different” -> intenzione di mostrare qualcosa di diverso rispetto all’ombra; - indicazione temporale data dall’ombra, legata al ciclo vitale mattina-sera e nascita-morte (l’ombra della morte): “Your shadow at morning striding behind you / Or your shadow at evening rising to meet you”; - v.30 “I will show you fear in a handful of dust” -> riferimento a Devotions upon Emergent Occasions di John Donne (1572-1631: Eliot riconosce I poeti metafisici del ‘600 come più vicini alla sensibilità moderna, il sentire e il pensiero coincidono), saggio in prosa in cui compare l’espressione “a handful of dust” con riferimento alla morte (tutti ci ridurremo in polvere); - riferimento alla Sibilla: profetessa di Apollo che le ha donato la vita eterna ma non la giovinezza, altra ipotesi è che le abbia donato tanti anni da vivere quanti granelli di polvere stanno in una clessidra -> paura del protrarsi della morte in vita, in The Waste Land come per Sibilla. 3. Prima sezione, terzo movimento, vv. 31-42: la terza sottosezione racchiude un altro motivo della rottura, ovvero l’erotismo (sviluppato nella seconda sezione di The Waste Land e ripreso nella terza). - Citazione cantata in tedesco, da Tristano e Isotta di Wagner, rappresentato al Covent Garden di Londra nel 1920 quindi forse Eliot l’ha anche visto: “fresco soffiava il vento verso casa, mia bambina irlandese, dove t’attardi?” -> canto di un marinaio che ricorda una ragazza che si è lasciato alle spalle: accenno velato al marinaio fenicio (categoria che ha contribuito a diffondere i culti pre-cristiani nell’Impero), in più il motivo erotico è introdotto in tedesco, che ha un effetto straniante rispetto all’inglese (diversità linguistica e tematica?) - vv. 35-41: scena del giardino dei giacinti, fiori legati al mito di morte-resurrezione-rinascita, e alla metamorfosi del dio, quindi agli antichi riti della fertilità: Giacinto era un giovane bellissimo, amato da Apollo e da Zefiro, scelse Apollo, mentre giocava al disco con l’amato, Zefiro deviò il disco colpendo Giacinto alla tempia, dal sangue che ne uscì Apollo fece nascere il Giacinto. 42 Quindi: tempo ciclico di nascita-ripetizione-morte, oppure rottura della circolarità mitica con l’introduzione della storia, che mette in moto il tempo, a cui tutto deve riferirsi. Tempo della primavera: tranquillità inerte dell’inverno, vs. tensione della rinascita. Tono profetico, tema religioso e rottura del tempo ciclico. Motivo erotico e tema del veggente degradato. Tecnica surrealista: inferno dantesco sovrapposto alla Londra moderna, con strani individui automi. Chiusura con interrogativi senza risposta chiave del poema: ci sarà una rinascita o eterna morte in vita? The Waste Land II sezione, “A Game of Chess” Originariamente prima e seconda sezione avevano un altro titolo, “He Do the Police in Different Voices”, tratto da un romanzo di Dickens, Our Mutual Friend, cap. 16: “fa la voce della polizia con voci diverse”, sintassi non standard (usa “do” e non “does”), frase detta da una vedova a proposito dell’orfanello Sloppy, bravo a leggere le notizie di cronaca nera. -> strategia delle voci diverse, ne troviamo molte nel poemetto, oltre alle citazioni più o meno evidenti nel testo come voci di passate tradizioni e culture. La prima sezione aveva “The Burial of the Dead” come sottotitolo, mentre “A Game of Chess” nella seconda sezione è stato sostituito al sottotitolo originario “In the Cage” (riferimento all’epigrafe, Satyricon di Petronio, Sibilla chiusa in gabbia). Molti interventi di Pound e della moglie Vivienne sulla prima stesura della seconda sezione. - L’argomento trattato è l’eros, l’amore nevrotico dell’alta borghesia e quello banalizzato e di routine del ceto basso proletario. In entrambi gli ambienti sociali l’elemento principale è incomunicabilità e aridità nelle relazioni di coppia, e sono accomunati dalla partita a scacchi, cioè ogni atto o azione in contesto erotico rientra in uno schema rigidamente definito: ogni elemento è prestabilito, ci sono regole e movimenti ben conosciuti e pianificati (-> metafora “in the cage”). - Situazioni meno tragiche rispetto alla prima sezione; si passa da luoghi esterni (I sez: Monaco, Londra, giardino, pietraia) a luoghi interni, in cui avvengono azioni quotidiane vuote: la stanza della signora, la toilette femminile, le chiacchiere in un pub a Londra all’ora di chiusura; - due dialoghi riportati come discorso diretto, in cui le protagoniste sono donne che non riescono a vedere o non possono più vedere una speranza di vita. - il lettore viene chiamato in causa in maniera più diretta. - Citazioni di Shakespeare, con ai vertici Cleopatra e Ophelia: Tempesta (I sez. v. 48) II sezione v. 123-24; Antonio e Cleopatra II sezione v. 77, Amleto III sez. v. 172 -> tutte sul tema dell’acqua e morte per acqua. Middleton + Shakespeare (contemporanei) = dal pov tematico e stilistico, forte legame di Eliot con la cultura inglese di ‘500-‘600, epoca con grande fioritura del teatro e della poesia in Inghilterra. Titolo, A Game of Chess: - fa riferimento al dramma omonimo di Thomas Middleton (pubblicato del ‘600), allegoria politica che riscosse grande successo a Londra - riferimento più puntuale anche al dramma sempre di Middleton Women Beware Women , atto II scena seconda: la giovane Bianca, fedele al marito cede alla seduzione del duca di Firenze, mentre per non farsi scoprire la suocera è trattenuta dalla mezzana con una partita a scacchi -> ogni mossa è compiuta nella seduzione, sterilità dei rapporti individuali -> paradigma lusso-lussuria-sterilità. Questa sezione è divisa in tre sottosezioni, tutte ambientate in ambienti interni: la descrizione della stanza (vv. 77-110), il “nerves monologue” (vv. 111-138), e la scena del pub (vv. 139-172). 1. Seconda sezione, prima sottosezione, vv. 77-110, più difficile anche a livello sintattico e semantico. v. 77 descrizione obliqua in terza persona della signora borghese tramite la descrizione della sua stanza: l’ambiente è saturo di profumi sintetici e colori pesanti, è una sorta di quadro decadente  la stanza è il correlativo oggettivo della sua coscienza: saggio di Eliot Hamlet and His Problems (1919) modo per rappresentare lo stato emozionale correlandolo o paragonandolo a oggetti esterni, concreti e definiti, che conferiscono espressione a cose astratte come sentimenti o emozioni. 45 Eros, incipit “The Chair she sat in, like a burnished throne” -> parallelo con il dramma di Shakespeare Antonio e Cleopatra (dramma dell’amore adulto): il primo verso è una citazione quasi identica del momento in cui Enobarbo racconta il primo incontro, quando Antonio vede Cleopatra arrivare su un battello sul Nilo -> atmosfera di sensualità orientale, richiamo anche negli “strange invisible perfumes” di Cleopatra in contrasto con quelli artificiali della signora. NB sulle sponde del Nilo = tema dell’acqua e della fertilità, cfr riti per le acque del Nilo che portano fertilità. Note di Eliot: non sempre cita Shakespeare, tranne Antonio e Cleopatra, molte altre menzioni però non vengono segnalate, forse sono solo reminiscenze, ma ci sono riferimenti ad altri testi (spesso donne). Lamia, Keats (1820): donna dal corpo di serpente, anticamente un mostro dalle fattezze umane che rapiva gli umani e li rendeva sue prede; nell’opera di Keats non viene mai etichettata come maligna, ma appare come una donna dolce ed innamorata, intrappolata in un corpo sgradevole, come una colpa da espiare. v. 91-93 “In fattening the prolonged candle-flames, flung their smoke into the laquearia, stirring the pattern on the coffered ceiling” -> Didone, tratta in causa con “the laquearia”, la stanza dove accoglie Enea, gli chiede di raccontare le sue avventure e nell’ascoltare il suo racconto s’innamora di lui, infine si uccide quando Enea l’abbandona e lei è venuta meno alla promessa fatta al marito morente di mantenersi fedele alla sua memoria -> ipotesi, due categorie di figure femminili: la predatrice, come Cleopatra e Didone (entrambe nel canto V - dei lussuriosi - dell’Inferno di Dante), e la depredata, come Filomena e Ophelia. v. 99-103 mito di Filomena, trasformata in usignolo dopo essere stata stuprata dal cognato re Tereo, marito della sorella Trocne, affinché non parli le fa tagliare la lingua e la rinchiude, lei però attraverso il ricamo riesce a comunicare alla sorella la violenza subita, e la sorella Trocne, per vendicarsi, uccide il figlio, lo cucina e lo offre per cena a Tereo, quando egli se ne accorge vuole vendicarsi, ma le sorelle invocano gli dei per sfuggire dalla sua furia, che trasformano Filomena in usignolo e Trocne in rondine, e lei col suo triste canto ricorda al mondo la violenza subita. In The Waste Land, v. 99-103 “the change of Philomel, by the barbarous king so rudely forced; yet there the nightingale filled all the desert with inviolable voice and still she cried, and still the world pursues, 'Jug Jug' to dirty ears.” (la trasformazione del dolore in canto), l’accento è posto non tanto sulla trasformazione di Filomena in usignolo, ma sulla violenza e la sopraffazione della bellezza e purezza ad opera della volgarità. Il mito di Filomena con la trasformazione della violenza in canto si riduce ad un ornamento sopra il camino della signora borghese. Questa sottolineatura di degradazione del suo canto viene espressa anche dalle orecchie sporche che ascoltano il canto dell’usignolo, e dal “jug jug” (v. 103), termine onomatopeico che vuole riprodurre il canto dell’usignolo ma sembra riprodurre anche un riferimento osceno all’atto sessuale, nota 7 cfr Metamorfosi di Ovidio sul mito di Filomena. Citazioni e allusioni a personaggi femminili: Bianca di Middleton, Cleopatra e Ophelia di Shakespeare, Didone, Lamia di Keats etc. -> figure di donne diverse accumunate da un identico destino di sterilità e di morte, abbassamento e degradazione del mito e della grande tradizione seicentesca, ora futilità decorativa. Tutta questa prima parte può essere considerata una grande citazione, che trova un corrispettivo formale nel progressivo allentamento e instabilità del pentametro giambico: appare nella prima sezione (richiama la grande poesia elisabettiana), procedendo nel testo decade fino alla dissoluzione anche metrica dell’elemento formale, infatti nella terza parte viene sostituito da una lingua popolare non standard; nella seconda parte la citazione shakespeariana non è un pentametro giambico, ma un tetrametro, quindi anche la stessa citazione subisce il progressivo allentamento. In questa sezione sono presenti anche enjambement (altro elemento che troviamo in Shakespeare). v. 128 (seconda sezione) “O O O O that Shakespéhérian Rag-”, altro cambiamento di ritmo e di passaggio: - richiama il ritmo burlesco e sincopato del rag-time, un tipo di jazz molto in voga negli anni ’20; Pentametro giambico: verso della grande poesia elisabettiana, usato da Shakespeare in poi, costituito da 5 piedi giambici. piede = unità di misura del verso nella metrica classica, costituito da un certo numero di sillabe portatrici o meno di accento. NB in inglese non importa il numero delle sillabe ma l’accento. Il giambo è costituito da due sillabe, di cui la prima è accentata e la seconda no Es. The Chair she sat in, like a burnished throne (v. 77): pentametro giambico regolare di 10 sillabe quindi 5 piedi Il trocheo è la variazione più comune del giambo: inversione del consueto ordine, quindi si accenta la prima sillaba invece che la seconda. 46 - il termine “rag” indica anche una specie di rappresentazione filodrammatica studentesca a scopo di beneficienza, quindi abbiamo una riduzione parodica del dramma shakespeariano; - il significato primo di “rag” è però quello di “straccio, brandello”, che si collega semanticamente al v.104 “And other withered stumps of time” (brandelli di tempo), ma anche alle “broken images” (I sez The Burial of the Dead, seconda sottosezione: son of man conosce solo quelle) Questo richiamo semantico ha sempre a che fare con il brandello, frammento o ceppo, un riferimento troppo insistito per non essere tematico -> riferimento all’instabilità del pentametro giambico, che si allenta fino a scomparire + instabilità della voce, che passa dalla terza persona al discorso diretto al monologo drammatico, quindi esclude la presenza di un qualsiasi commento di un narratore. 2. Seconda sezione, seconda sottosezione, vv. 111-138, “nerves monologue” (lettura surrealista: parole pronunciate dai capelli mentre vengono spazzolati) Sintassi: da frasi lunghe e complesse si passa a una situazione in parte drammatica dove le parole sono riportate in maniera diretta; i versi sono brevi, lo stile Shakespeariano è dimenticato, la sintassi non è standard, ci sono ripetizioni lessicali e sintattiche, l’accento e le inflessioni sono colloquiali (Eliot non riproduce graficamente l’accento tranne nell’ultimo verso dove il personaggio dà la buonanotte). Ritratto della signora nevrotica, che probabilmente abita nella stanza decadente, e i suoi tentativi di attirare l’attenzione dell’interlocutore e di suscitare una risposta dal partner silenzioso, finendo nella frustrazione più completa: pone domande incalzanti su presente, passato e futuro, ritorno al “mixing memory and desire” dei primi versi del poemetto. vv. 108 “Under the firelight, under the brush, her hair spread out in fiery points glowed into words, then would be savagely still” (“alla luce del fuoco, sotto la spazzola, i suoi capelli si spiegavano in punte di fuoco, splendevano in parole, per ricadere in una cupa calma”) -> all’inizio del dialogo-monologo (ancora nella prima sottosezione) troviamo la Lady pettinarsi i capelli infuocati e aridi: i capelli hanno una forte valenza simbolica, ad es. venivano tagliati dalle donne in onore delle divinità o come richiamo erotico, eros che nell’intera sezione prevale sulla fertilità. L’accenno alle “punte infuocate” introduce una dicotomia che sarà poi alla base della sezione successiva del poemetto: bagnato-asciutto, quindi per estensione acqua-fuoco, fertilità-sterilità (generalmente, l’acqua è simbolo di vita e amore, mentre il fuoco di aridità e lussuria, ciononostante qui sembra sopravvivere questo sistema, a una lettura più attenta esso è facilmente capovolgibile). Capelli aridi della signora vs. hyacinth girl, I sez: nonostante quest’ultima sia legata all’acqua, non incontra un amore fertile, ma una fallita unione sessuale. Inoltre, acqua-morte: Phlebas muore annegato, senza possibilità di resurrezione. L’interlocutore pensa/dice commenti criptici, cinici e macabri, risponde con parole di sterilità e morte: - presente di desolazione (vv. 115-116 “I think we are in rats' alley where the dead men lost their bones”), - un ricordo passato (il giardino dei giacinti, “I remember…”), - un futuro alienante (v. 131-134 “What shall I do now? What shall we ever do?”), proposte azioni costruite sintatticamente da sembrare destinate a ripetersi in eterno nella routine (v. 135-138 “The hot water at ten. And if it rains, a closed car at four. And we shall play a game of chess, pressing lidless eyes and waiting for a knock upon the door”) Partita a scacchi (cfr titolo), ambiguità: sia la partita a scacchi che l’uomo e la donna giocano o giocheranno, sia la partita tra gli oggetti giocati o fatti agire dalla routine quotidiana della coppia. 47 L’accostamento rats-bones riprende quello alla fine della prima sezione Dog - corpse -> entrambi figurazione dall’opposizione vita/morte e positivo/negativo. Mentre le corrispondenze con la vita e con la morte sono chiare (animali/cadaveri), quella con positivo- negativo è posta a chiasmo: Dog e bones sono simboli positivi, mentre rats e corpse i negativi. Ciò che accomuna i primi due è che la loro positività viene rifiutata: come si era visto, il Dog deve essere lasciato lontano dai corpse, affinché non avvenga la resurrezione; qui “i morti hanno perso le ossa e non possono più usarle per la loro resurrezione”. Siamo nuovamente senza speranza, in un mondo che continua a dirci che non ci sarà una nuova vita. Secondo Serpieri, una delle possibili interpretazioni metaforiche di rats è quella di “mondo sensuale, morboso, repellente della carne”: la carne è il naturale contrapposto delle ossa, l’una è figura di vitalità, le altre di morte; però la vitalità del topo è qualcosa di peccaminoso e animalesco, che ha più a che fare col sesso fine a sé stesso che con un’unione procreativa; ancora, la vita è qualcosa di corrotto, mentre la morte ha perduto la sua attesa di rinascita. **v. 186 respinto refrain ipnotico di Spenser: “The rattle of the bones, and chuckle spread from ear to ear”, lo scricchiolo delle ossa anonime e senza tempo (la sorte di tutti gli individui in esilio). Il fiume mitico del Tamigi che scorre dolcemente non fa più da sottofondo al poeta che canta, ora il poeta pensa ad altro nella degradazione circostante, il brivido metafisico spettrale delle ossa scricchiolanti vanifica il canto di Spenser. v. 187 “A rat crept softly through the vegetation”: l’immagine repellente del topo che striscia ‘softly’ è negativa e spettrale, un senso completamente diverso dallo scorrere dolce del Tamigi nel Prothalaniom. v. 191-192: “Musing upon the king my brother's wreck and on the king my father's death before him” - meditando sul naufragio del re mio fratello -> Tempesta Shakespeare, canto di Ariele, cfr sez. I e II - sulla morte del re mio padre -> re pescatore, protettore del popolo nella leggenda del Graal Morte per acqua, ricerca di salvezza tramite l’acqua (tramite la pesca), ma qui è desacralizzata e vana, circostanze degradate e desolate: “on a winter evening behind the gashouse”, “the dull canal” (spento canale, vv. 189-90), ramo morto del fiume dietro il gasometro (che è la degradazione della cappella del Graal), dove lui stava pescando e vede il topo, e pensa alla morte per acqua. v. 193 “White bodies naked on the low damp ground”, bianchi cadaveri che si decompongono sul terreno basso e umido, probabilmente sono i corpi dei morti per acqua abbandonati in riva al fiume -> rinascita impossibile perché i corpi non sono sepolti ma sparsi sulla riva (cfr v. 173, “fingers of leaf” natura decomposta in sembianze umane; rimando alla morte di Ophelia). vv. 194-195 “and bones cast in a little low dry garret, rattled by the rat's foot only, year to year”, ulteriore spoliazione ricorrente (year to year), impossibile la resurrezione e rinascita, solo degrado: ossa gettate in una piccola soffitta bassa e arida, smosse solo dal piede del topo, un anno dietro l'altro. Un altro punto che collega questa seconda sottosezione con quella che la precede è la disseminazione fonica di ‘rat’ (rattle, rat, rattled, garrett, rat’s); inoltre rimanda al nerves monologue (II sez.) in cui l’interlocutore della signora parla dei ratti. v. 196 “But at my back from time to time I hear (cfr v. 185) / the sound of horns and motors, which shall bring / Sweeney to Mrs. Porter in the spring”, introdotti i suoni della vita che nonostante tutto continua: clacson e motori annunciano l’appuntamento di Sweeney da Mrs Porter. Sweeney è spesso usato da Eliot (Poems 1920): un eroe al rovescio, un personaggio scimmiesco, presentato sempre ironicamente appaiato agli eroi dei miti greci Agamennone e Teseo. Mrs. Porter è una prostituita, oggetto di ballate militare sboccate*: dall’inverno siamo ora in primavera, sottolinea come la vita che continua nel rumore e nella volgarità. - Nota 11 di Eliot, allusione al dramma Parliament of Bees, John Day (1608) “when of the sudden listening you shall hear, a noise of horns and hunting, which shall bring Actacon to Diana in the spring”  riferimento al mito della dea Diana e Atteone: lei viene sorpresa mentre si lava nuda, lei se ne accorge, lo trasforma in cervo (era un cacciatore) e viene sbranato dai suoi stessi cani. Degradazione del mito. - *v. 199-201 “O the moon shone bright on Mrs. Porter / and on her daughter / they wash their feet in soda water” Eliot inserisce parte di questa ballata volgare (disposizione dei versi e ritmo, dice nella nota 12 di non conoscere l’origine della ballata, gli è stato detto che viene da Sydney su una famosa prostituta, c’erano versi censurati “she washes out her – in soda water” intende la vagina), sostituendo il lavaggio vaginale con il lavaggio dei piedi evangelico -> anticlimax, degradazione del rito evangelico. v. 202 “Et, O ces voix d'enfants, chantant dans la coupole!” verso francese dal sonetto Parsifal di Verlaine nella raccolta Amour (nota di Eliot): la ‘coupole’ rimanda alla coppa del Graal; l'eroe Parsifal deve combattere la tentazione della lussuria e dell’omosessualità (tema ripreso nella sottosezione successiva). A differenza di quanto avviene nel testo di Verlaine e in quello di Wagner (dove il cavaliere puro supera la tentazione eterosessuale e omosessuale, risana il re, adora la coppa, infine sente le voci dei fanciulli che cantano dalla cupola), la purificazione qui non è raggiunta. Controcanto, sopra quello dei bambini che celebrano l’ascesa del re, rimanda allo stupro Filomena: “Twit twit twit / Jug jug jug jug jug jug / So rudely forc'd. / Tereu”. Terza sottosezione, v. 207 “Unreal city, under the brown fog of a winter noon”, vocativo che rimane sospeso, ricordo della Londra invernale della prima sezione: il mercante appartiene al mondo mediocre di 50 cui fanno parte anche Stetson e Trimalchione, contrapposti al mondo speculativo ma altrettanto sterile della Sibilla e Tiresia -> incapacità di rimediare alla rovina della civiltà contemporanea. Ricordo di un incontro squallido di tentativo di adescamento del parlante da parte del mercante di Smirne, “Mr. Eugenides, the Smyrna merchant / unshaven, with a pocket full of currants”, che porta con sé l’uva passa, un avanzo avvizzito del frutto di Dioniso (dio dei misteri, legato al culto della fertilità che mercanti e marinai diffondevano in Europa tempi antichi)  degradazione del marinaio con un invito omosessuale. vv. 211-214 “C.i.f. London: documents at sight, /asked me in demotic French /to luncheon at the Cannon Street Hotel /followed by a weekend at the Metropole” Serpieri dice nella nota che è un invito omosessuale: il Metropole era un albergo lussuoso accanto alla stazione ferroviaria omonima di Brighton, quindi frequentato dai viaggiatori del continente: è un’espressione colloquiale per invocare delle scappatelle “irregolari” -> tema della sterilità e della lussuria (siamo sempre nel Fire Sermon). Entra in scena Tiresia, il vecchio androgino, da vecchio saggio e mitico profeta, ora ridotto a voyeur (assiste all’incontro fugace tra due automi, la dattilografa e il giovane impiegato), abbassamento e degradazione del veggente (Sibilla e Madame Sosostris). Non è un’appendice della partita a scacchi ma il centro del poema. v. 215 “At the violet hour, when the eyes and back / Turn upward from the desk, when the human engine waits / Like a taxi throbbing waiting” Eliot descrive gli impiegati che finiscono il lavoro all’ora del tramonto e vanno a casa (cfr ‘unreal city’ e ‘brown fog’), ne descrive solo occhi e schiene, per disumanizzarli. L’ora viola (‘violet’ tende al blu, mentre ‘purple’ tende al rosso), colore spesso usato da Eliot, simbolo del crepuscolo e di penitenza, (ripreso anche da Joyce nel capitolo di Circe dell’Ulisse). Il viola è inteso come crepuscolo non solo del giorno ma anche dell’umanità, è accostato al degrado tra l’incontro frivolo tra uomo e donna. Nota 17 di Eliot, la più lunga del poemetto: “Tiresia, pur essendo un semplice spettatore e non un ‘personaggio’ (non interviene, non parla e lascia parlare gli altri personaggi, incomunicabilità come Sibilla), è tuttavia il personaggio più importante del poema, che accomuna tutti gli altri. Come il mercante con un occhio solo, venditore di uva passa, si fonde con il Marinaio fenicio, e quest'ultimo non è del tutto distinto da Ferdinando principe di Napoli, così tutte le donne sono un'unica donna, e i due sessi si incontrano in Tiresia. Ciò che Tiresia vede, infatti, è la sostanza del poema.” -> interesse antropologico del passo dalle Metamorfosi di Ovidio , III, 320-338: un giorno, vedendo dei serpenti che si accoppiavano li infilzò con il suo bastone, si trasformò all'istante in una donna; sette anni dopo la stessa cosa si ripeté e si ritrasformò in un uomo. Avendo sperimentato il corpo in entrambi i sessi, gli fu chiesto da Giove e Giunone di risolvere una disputa sul piacere di fare l'amore tra uomo e donna. Tiresia si schierò dalla parte di Giove e rispose che le donne avevano più piacere. Giunone, irritata, lo accecò. In cambio, Giove gli concesse il dono della profezia e della lunga vita. Tiresia è dunque, grazie ai suoi accadimenti, un personaggio privilegiato dagli dèi, infatti “partecipa della doppia natura di maschio e di femmina, è cieco, ha il dono della divinazione ed è assunto in una serie di valenze simboliche, tra cui quella di testimone di decadimento della società attuale”. Tiresia, secondo il mito, è l’unico essere umano ad aver fatto esperienza di entrambi i sessi; in particolare, il suo “meeting of sexes” è un “meeting that Tiresias experiences by identifying with the female” -> Quando ci racconta il rapporto sessuale tra la dattilografa e l’impiegato, il suo punto di vista cambia di continuo tra il maschile e il femminile: anche lui, come la donna, “awaited the expected guest” e “have foresuffered all”, ma allo stesso tempo sente come propri i pensieri dell’uomo, “the meal is ended, she is bored and tired”. In Tiresia, i due sessi si sono unificati , nonostante sia tornato uomo può ancora provare le emozioni femminili e sente che almeno una parte di lui è ancora donna: “old man with wrinkled female breast”. Tiresia unendo in sé entrambi i sessi non è più né maschio né femmina -> mito dell’androgino, approssimazione al divino, tale privilegio viene tuttavia punito paradossalmente con l’impossibilità di procreare, così come la cecità trova in lui appagamento e sollievo nel vaticinio -> sterilità. 51 - vv. 218-219 “I Tiresias, though blind, throbbing between two lives, old man with wrinkled female breasts, can see” parla in prima persona, può vedere nonostante la cecità ma non può intervenire, percepisce i pensieri dei pg e ne anticipa le mosse (“The time is now propitious, as he guesses”). - vv. 221-227 “The typist home at teatime, clears her breakfast, lights her stove, and lays out food in tins (sparecchia la colazione, accende la stufa, mette a posto il cibo in scatola). Out of the window perilously spread her drying combinations touched by the sun's last rays (fuori dalla finestra sono stesi i panni), on the divan are piled (at night her bed) stockings, slippers, camisoles, and stays”  Tiresia assiste alla scena: in un monolocale c’è la biancheria disseminata ovunque, i resti della frettolosa colazione, il cibo in scatola -> senso di meccanicità e sradicamento (dato anche dalla costruzione dei versi e dall’uso del present simple). Tiresia è consapevole del significato di questa vita meccanica ma non può intervenire. - vv. 228-234 “I Tiresias, old man with wrinkled dugs (ripetizione) perceived the scene, and foretold (predissi) the rest — I too awaited the expected guest. He, the young man carbuncular, arrives, a small house agent's clerk, with one bold stare, one of the low on whom assurance sits as a silk hat on a Bradford millionaire.”  Presentazione del giovane impiegato ‘foruncoloso e con lo sguardo ardito, uno di bassa estrazione a cui la sicurezza s'addice come un cilindro a un neo-arricchito’ (nota: Bradford durante la 1GM ha trasformato le industrie che lavoravano la lana per produrre invece abbigliamento militare, quindi la città si arricchì, cfr cappello Stetson). - vv. 236-242 Eliot si sofferma sulle sue mosse, sembra di nuovo una partita a sacchi: “The meal is ended, she is bored and tired, endeavours to engage her in caresses which still are unreproved, if undesired. Flushed and decided, he assaults at once; exploring hands encounter no defence; his vanity requires no response, and makes a welcome of indifference.”  Lei è passiva, non respinge le carezze ma non sono neanche desiderate, quindi lui interpreta questo comportamento come un accettare il rapporto sessuale. Incomunicabilità, fraintendimento = squallore e sterilità nei rapporti amorosi, macchine umane. - vv. 243-246 “And I Tiresias have foresuffered all enacted on this same divan or bed; I who have sat by Thebes below the wall and walked among the lowest of the dead.” impossibile intervenire: anche nell’Edipo re di Sofocle Tiresia annuncia la caduta di Tebe, resa sterile a causa del matrimonio di Giocasta col figlio Edipo, cfr incontro tra Tiresia e Ulisse nell’Odissea. - vv. 247-252 “Bestows on final patronising kiss (senso di superiorità rispetto alla ragazza), and gropes his way, finding the stairs unlit... She turns and looks a moment in the glass, hardly aware of her departed lover; her brain allows one half-formed thought to pass: 'Well now that's done: and I'm glad it's over.'  Tiresia si concentra infine su di lei, rimasta sola dopo l’incontro, che sembra quasi contenta che l’amante se ne sia andato (= sterilità e noia). vv. 253-256 “When lovely woman stoops to folly and paces about her room again, alone, she smoothes her hair with automatic hand, and puts a record on the gramophone.”  rimando a Godsmith, The Vicar of Wakefield: nel romanzo la ragazza Olivia torna nel posto dov’è stata sedotta e canta una canzone: “quando donna leggiadra e folle si piega, e scopre troppo tardi che gli uomini tradiscono, quale incantesimo può placare la sua malinconia, quale arte lavar via la sua colpa?” - v. 257 'This music crept by me upon the waters' citazione dalla Tempesta di Shakespeare : Ferdinando mentre piange la morte del padre ascolta una musica che lo distrae, così fa la dattilografa. - vv. 258-265 (non si sa chi sia il parlante, se Tiresia, la dattilografa, l’impiegato…) “And along the Strand, up Queen Victoria Street. O City city, I can sometimes hear beside a public bar in Lower Thames Street, the pleasant whining of a mandoline and a clatter and a chatter from within where fishmen lounge at noon: where the walls of Magnus Martyr hold inexplicable splendour of Ionian white and gold.” La musica in questa sezione è molto importante: il canto di Spenser con le ninfe, i suoni del clacson, i motori, lo scricchiolare delle ossa, il canto dei bambini nella cupola per Parsifal, il canto di Filomela (uccelli) e la canzone di Olivia, che canta la canzone nello stesso luogo in cui è stata sedotta, il grammofono, i mandolini e le chiacchiere nel pub. Il tutto è circondato dal canto delle ninfe del Tamigi: alla fine viene data voce a una di loro che nuovamente parla di violenza. Parodia e abbassamento del canto delle figlie del Reno (crepuscolo degli dèi, Götterdämmerung di Wagner ), in cui lamentano il furto dell’oro del Reno, simbolo di antichi valori (rovina). 52 The Waste Land IV sezione, “Death by the Water” È la sezione più corta, si articola in una sola sottosezione di 10 versi. Nella prima stesura era composta da 93 versi, di cui i primi 83 vengono eliminati da Pound, in quanto influenzati dal canto di Ulisse dell’inferno di Dante: raccontavano un viaggio maledetto di un marinaio e un naufrago (più altri richiami ad altri poeti). Il titolo è un contrasto tra il sermone del fuoco e la morte per acqua (legata ai riti della fertilità). Problema: il titolo indica una morte senza resurrezione o la morte sacrificale che prelude alla rinascita? L’annegamento del marinaio fenicio Fleba fa avverare la profezia di Madame Sosostris (carta del marinaio fenicio annegato, la prima scoperta)  carattere rituale della morte per acqua, perché il mercante orbo e il mercante di uva passa si confondono con il marinaio fenicio (Eliot avverte nella nota su Tiresia), e con Ferdinando (Tempesta, Shakespeare) che crede il padre sia morto in un naufragio. Lettura cristiana di The Waste Land: nella catarsi di interessi mondani e nella morte come castigo per il peccato c’è la condizione per la salvezza. Ma non si può escludere un’interpretazione simile al mito di Filomena, cioè la violenza senza rinascita e conseguente inutilità e vacuità del mito davanti all’automatismo delle pratiche di culto, quindi caduta irrevocabile dell’uomo. Difficile ricavare significati definitivi, la questione resta aperta per tutto il poema, non si sa se la morte sia definitiva (come non si sa la risposta alle domande fatte a Stetson nella prima sottosezione di The Burial of the Dead). vv. 312-314 “Phlebas the Phoenician, a fortnight dead, forgot the cry of gulls, and the deep seas swell and the profit and loss” (morto, da 15 gg, dimenticò il grido dei gabbiani, il fondo gorgo del mare, il profitto e la perdita): n aufraga e viene spolpato , quindi non ha possibilità di redenzione: morte come monito per gli abitanti della terra desolata, affinché prendano coscienza del destino che li attende se non c’è rinascita. vv. 315-318 “A current under sea picked his bones in whispers. As he rose and fell he passed the stages of his age and youth entering the whirlpool” (una corrente sottomarina gli spolpò l'ossa in sussurri; mentre affiorava e affondava, passò attraverso gli stadi della maturità e della giovinezza procedendo nel vortice) -> il termine ‘whisper’ (bisbiglio) è usato spesso da Eliot con connotazione dissacrante, ma rimanda anche alla citazione di Conrad da Heart of Darkness che Eliot voleva usare come epigrafe: le ultime parole di Kurtz erano ‘he cried in a whisper’, non è una morte per acqua e non c’è traccia di resurrezione, l’istante supremo di conoscenza perfetta è un momento di orrore. vv. 319-321 “Gentile or Jew, o’ you who turn the wheel and look to windward, consider Phlebas, who was once handsome and tall as you” (O tu che giri la ruota e guardi sopravvento, considera Phlebas, che un tempo fu bello, e alto come te): - vocativo “Gentile o Giudeo” appartiene all’Antico Testamento (ripresa nel nuovo), significa “credente o non credente” quindi questa sezione si chiude con un appello a tutta l’umanità, che esorta tutti gli uomini a meditare sul messaggio che la morte di Fleba porta con sé da qualsiasi punto di vista, indipendentemente che si sia credenti o no - “wheel” ruota/timone, cfr carta di Madame Sosostris, è ‘samsara’ la ruota della vita buddhista (dottrina inerente al ciclo vita-morte-rinascita) e la ruota della fortuna e del destino nel Medioevo (equilibrio mutevole e precario, tutto gira: ciò che in origine sta in alto poi starà in basso) Cambiamento stilistico e ideologico: - prima sezione, l’appello al lettore si realizza tramite Baudelaire: il lettore diventava sosia e fratello del poeta, abolita la distanza poeta-lettore, entrambi abitanti della terra desolata ed entrambi responsabili della degradazione sociale, medesima immobilità e assenza di significati proiettivi; - quarta sezione, con questo ammonimento viene rispristinata la distanza parlante-lettore, il primo in grado di impartire una lezione all’umanità tramite l’appello universale (tradizione retorica). Proprio perché si rivolge al pubblico universale e introduce il pronome di seconda persona singolare “you” (scomparso dopo la prima sezione), l’esortazione richiama il ‘Son of man’ della seconda sottosezione di The Burial of the Dead. Potrebbe essere perciò una sorta di voce ultraterrena. 55 The Waste Land V sezione, “What the thunder said” Nell’ultima sezione di The Waste Land si conclude il viaggio nella terra desolata. Il titolo fa riferimento alla leggenda indiana del tuono contenuta nel libro sacro indiano dell’induismo, le Upanishads: si tratta di un insieme di testi con insegnamenti filosofici alla base dell’induismo, comunicati attraverso l’ascolto diretto del Maestro (infatti in sanscrito il termine indica l’atto di tenersi affianco al maestro, ma upas di Upanishads indica anche l’atteggiamento psicologico di attesa silenziosa di ricevere questo insegnamento). Questo libro contiene le teorie sull’origine dell’universo, sulla natura di Dio, dell’anima e della relazione tra la materia e lo spirito. La maggior parte di Upanishads è scritto in prosa ma in parte anche in versi (accertati 108, ma secondo alcune fonti arrivano fino a 200). Il titolo della sezione, “what the thunder said”, è parte di un Upanishads che contiene una sorta di cosmogonia primitiva: all’inizio si dice esistesse il nulla, poi il signore delle creature, Prajapati - tradotto in inglese anche come “the all father”, il signore di tutte le creature - crea 3 stirpi (le divinità, gli uomini ed i demoni) cui assegna un regno: alle divinità il cielo, agli umani la terra, ai demoni gli inferi. Le stirpi chiesero al signore consigli su come dovessero vivere, e lui diede loro un consiglio ciascuna: - agli dèi diede il primo comandamento del tuono, “Damyata”, cioè l’invita a dominarsi, a usare il potere con saggezza e moderazione per il bene di tutte le creature. - All’umanità diede un altro comandamento, racchiuso nel termine “Datta”: dona, fai dono generoso di ricchezza, di tempo, di te stesso, sii generoso. - Ai demoni diede un altro comandamento, “Dayadhvam”, sii misericordioso, significa che anche quando si sconfigge il proprio nemico si deve usare sempre la compassione. Da allora, quando il tuono pronuncia la parola “Da”, oppure “Da da da”, i suoi figli sanno che si tratta della voce del padre che ricorda loro l’essenza della loro identità: agli dei l’autocontrollo per usare il potere in maniera moderata, agli uomini di donare e di essere generosi, ai demoni la misericordia. Così in The Waste Land i comandamenti del tuono vengono ripresi da questa parola “da” (la voce del tuono, del signore di tutte le creature che ricorda la loro essenza), tuttavia l’ordine nel poema è diverso: nell’Upanishads infatti troviamo “Damyata, Datta, Dayadhvam” (dei, umanità, demoni), mentre in The Waste Land il primo comandamento viene dato all’umanità, quindi “Datta” (dona per piegare l’avidità umana), poi seguono i demoni con “Dayadhvam” (anche le creature più crudeli devono mostrare empatia), e infine si rivolge agli dei con “Damyata” (devono essere in grado di controllare il potere). In The Waste Land i comandamenti del tuono vengono smentiti all’interno del testo. Incipit della V sezione: serie di immagini (“after the torchlight red… with a little patience”) che rievocano con la passione di Cristo, la sospensione tra morte e vita cosi com’è caratteristica della liturgia della settimana santa. (“He was living is now dead / We who are living are now dying”) È tutto “after” all’inizio dei primi 3 versi, qualcosa che è venuto dopo: dopo l’azione, dopo gli eventi che hanno portato alla morte del Dio, c’è questa inazione, un senso di vuoto che la morte del dio ha portato. Si ricorda la morte del Dio, “he who was living is now dead”, ma questo dio può anche non essere il dio cristiano, ma può essere la divinità delle popolazioni precristiane, Adone, Attis, Osiris, infatti qui si ricorda soltanto la morte del dio e non si parla di resurrezione o di rinascita. Vari momenti nell’incipit: - l’agonia in luoghi pietrosi , che ricorda non solo la preghiera sul monte degli ulivi nella notte prima dell’arresto di cristo e della crocifissione, ma anche la veglia dei cavalieri del Graal. - “We who where living are now dying”, la prima persona plurale è assente dalla prima sezione e qui si mescola con la voce del narratore, che si rivolge di frequente ad un interlocutore, un compagno senza volto, senza voce. “We” può essere gli abitanti della terra desolata privati della pioggia, i discepoli di Cristo dopo la morte del dio, ma anche le lamentatrici nei riti della fecondità, cioè le donne che pronunciavano i lamenti nel momento in cui avveniva la morte rituale del dio. Qui siamo dopo gli eventi, dopo l’azione e questo senso di vuoto, dopo. 56 - Segue martellante la memoria della montagna arida e della pietraia incontrate nell’apertura del libro, nella prima sezione nella seconda sottosezione, qua vengono riprese queste immagini di desolazione incontrate in “The burial of the dead”. Per tutta la scena fino al verso 358, le fonti più importanti di questa parte sono fonti interne, cioè riferimenti che il testo fa a se stesso, ad altri luoghi del testo: rielaborazione delle immagini bibliche con i richiami a Ezechiele e le ecclesiaste e Isaia, con una possibile allusione al deserto del Sinai - luogo della penuria e della sterilità per antonomasia nella memoria culturale del popolo ebraico e dei suoi profeti - quindi solitudine e deserto che trasformano le antiche certezze in allucinazioni e incubi. Eliot indica i 3 temi per questa sezione: il viaggio ad Emmaus, l’avvicinamento alla cappella perigliosa (vedi il libro di Miss Weston) e la presente decadenza dell’Europa orientale. Che cosa s’intende? 1) Questo viaggio ad Emmaus nel deserto simbolico, con un possibile richiamo al deserto del Sinai, è scandito da questo ritmo martellante, tra la mancanza di acqua e presenza di roccia (“rock and water”), e la ripetizione scandisce il tema principale che qui è chiaramente l’aridità: se l’acqua è simbolo di vita, la mancanza di acqua e pioggia sulla terra desolata fa sì che questa rinascita non possa avere luogo. Il viaggio ad Emmaus è un evento raccontato nel vangelo, che narra la vicenda dopo la morte di cristo: gli avvenimenti a Gerusalemme si erano svolti in maniera vorticosa (processo, agonia, morte e sepoltura), dopodiché due discepoli di Gesù lasciano Gerusalemme verso un villaggio di nome Emmaus, e parlano di tutti gli avvenimenti accaduti, non attribuiscono un senso alla morte di Cristo ma esprimono la loro delusione di un sogno spezzato, la promessa che aveva fatto Cristo. Per strada verso Emmaus si avvicina a loro un uomo, così straniero da non sapere nulla di quanto accaduto nei tre giorni precedenti, e ha bisogno che qualcuno glielo racconti, ed è proprio sulla strada di Emmaus che Cristo lentamente si rivela a questi due discepoli, delusi dagli eventi che hanno portato alla sua morte (i due non hanno visto il Cristo risorto ma solo il sepolcro vuoto: questo signore si avvicina a loro e piano piano si rivela). Ora l’incredulità dei due discepoli è vinta, la tristezza è dissolta, e dovendo dare l’annuncio della resurrezione tornano a Gerusalemme: hanno bisogno di qualcuno che li guidi verso la luce e la verità, e Gesù stesso si fa compagno di viaggio. L’io narratore da spettatore diventa attore della ricerca (che è alla base della leggenda del Graal, la ricerca per la più grande verità cui un essere umano possa ambire). L’io s’incammina verso una meta (tema del viaggio), un senso di percorso assente nelle sezioni precedenti che si esaurivano in una circolarità senza soluzione di continuità; ora invece viene presentato il tema del viaggio e il viaggio ha sempre una meta. 2) In questo viaggio si spalanca il panorama della storia contemporanea: le macerie della prima guerra mondiale da poco terminata e la minaccia che Eliot percepisce della rivoluzione russa, che è in qualche modo rievocata nei versi successivi, quando parla di orde che camminano incappucciate su ampie pianure. Eliot parla di presente decadenza dell’Europa orientale e fa riferimento alla minaccia creata dalla rivoluzione russa nel 1917, presentata come una sorta di apocalisse universale e percepita anche con tratti surrealistici. In questa terra devastata, soltanto il ritrovamento del Graal potrebbe riscattare questa terra desolata, e quindi abbiamo questo avvicinamento alla Cappella Perigliosa. 3) La cappella perigliosa, dov’è custodita la coppa del Graal, si rivela però vuota, abitata solo dal vento e circondata da un cimitero, dove secondo la leggenda giacciono i cavalieri che non sono riusciti nell’impresa, ma le tombe sono scoperchiate e i cadaveri lasciati insepolti intorno alla cappella del Graal. Anche nella V sezione, come nella terza, si richiamano suoni musicali, creando una sorta di contrasto tra i suoni delle due sezioni. Nella terza sezione ci sono i clacson, i motori, i bambini che cantano, il suono dei mandolini, il grammofono della dattilografa, il canto di Spencer...). Nel sermone del fuoco i suoni sono a volte ambigui e a volte consolatori, ora invece sono suoni misteriosi e ingannevoli, per esempio il tuono ai versi 342 o 399, oppure il canto della cicala, l’erba secca, drip drop, canto di questo tordo eremita, d’acqua stillante è giustamente rinomato, qualcosa che imita il rumore dell’acqua ma è solo illusione, oppure sono suoni tragici, per esempio il lamento delle madri e i sussurri che si sentono nel deserto, le voci inascoltate all’interno delle cisterne e dei pozzi vuoti 384, o suoni ingannevoli come quello del canto del tordo. La scena si sposta sulle rive del Gange, che condivide con il Tamigi lo stato di secca in attesa della pioggia, e poi irrompe la voce del tuono con i suoi comandamenti. 57 questione sono i lussuriosi che devono purgarsi, affinarsi, purificarsi dal peccato di lussuria. Dopo aver parlato in provenzale con Dante, Arnaut Daniel sparisce nelle fiamme purificatrici, e di nuovo c’è il riferimento al fuoco: fuoco della passione in vita e fuoco come pena di contrappasso con cui l’anima deve purificarsi. Il motivo del fuoco che infine erompe nella terra desolata è “The Fire Sermon” ma anche il fuoco del London Bridge. Ci sono molti riferimenti a testi esterni in “The Waste Land” ma anche interni: c’è uno scoppio di citazioni, con riferimenti a una memoria culturale esterna ampia ma anche ad altri riferimenti intratestuali. - Quando fiam uti chelidon ” si riferisce alla storia di Filomela (cfr II e III sezione): Filomela e la sorella Procne per sfuggire alla furia di Tereo chiesero aiuto agli dei che le trasformarono in rondine e usignolo; la rondine è simbolo del ritorno della primavera, dà un senso di speranza individuale di una rigenerazione, collegandosi all’inizio del poema (“April is the cruellest month”). - “L e Prince d ’ Aquitaine à la tour abolie ” è un verso tratto dal sonetto “El desdichado” (1853) di Gèrard de Nerval, poeta francese che ha scritto questa poesia sulla perdita dell’amore imputata al fato. Il titolo originale era “Le destine”, mentre il titolo attuale rimanda al romanzo di Walter Scott “Ivanhoe” (pubblicato nel 1820, ma le vicende narrate nel romanzo sono ambientate nell’Inghilterra medievale alla fine del XII secolo) in cui si narra di un misterioso cavaliere il cui feudo gli era stato tolto ed egli appare in un torneo con uno stemma raffigurante un albero sradicato e il motto “El desdichado” (che in spagnolo significa “infelice”, Walter Scott intendeva più “diseredato”). Il secondo verso è esattamente il verso ripreso da Eliot alla fine della serie di citazioni, cioè “il Principe d’Aquitania dalla torre abolita”, presso la torre abolita: Aquitania vuol dire “terra d’acque”, è la terra della poesia provenzale, in lingua d’oc, di Arnaut Daniel. L’acqua (e la mancanza di essa) come motivo ricorrente in quanto la terra desolata ne è priva, la torre infranta (tutte le torri che cadono, “falling towers” come simbolo della civiltà occidentale); si percepisce una mancanza, una distruzione, un passato glorioso che non esiste più. Il sonetto di Nerval si chiude con un richiamo al canto poetico mitico di Orfeo e al viaggio nell’Aldilà (attraversato due volte l’Acheronte, modulando di volta in volta sulla lira di Orfeo, i sospiri della santa e le grida della fata). La torre infranta del Prince d’Aquitaine simboleggia una tradizione e una funzione poetica perdute; inoltre il simbolo della torre si trova anche nei tarocchi, con l’immagine di una torre con due figure umane che cadono da una torre che sta crollando: il significato dell’arcano maggiore rimanda ad un conflitto doloroso ma necessario e che deve avere luogo per uscire da una situazione critica, perciò non rimane altro che distruggere un equilibrio stagnante quindi il bisogno di modularsi con la realtà. C’è quindi un richiamo a Orfeo e alla funzione poetica perduta, e questo richiamo al sonetto di Nerval lo possiamo collegare al fatto che il poeta o narratore di The Waste Land è diseredato, defraudato dalla stabilità della tradizione che la torre simboleggia, ma la torre è crollata e quindi non ha più questa certezza. I ponti crollano, le torri si sbriciolano e quindi cosa resta? Le rovine. Questo io poetico sta cercando forse di contenere ancora la distruzione, oppure alla fine si è arreso alla distruzione: “These fragments I have shored against my ruins” (con questi frammenti ho puntellato le mie rovine) dà segno del fatto che non è certo cosa voglia fare. - “Why then Ile fit you. Hieronymo’s mad againe .” parla della prima tragedia di vendetta 500esca di Thomas Kyd “The Spanish Tragedy” in cui Hieronimo è impazzito per la morte de figlio ucciso: gli viene chiesto di organizzare una recita a corte e lui risponde con una battuta sarcastica “why then Ile fit you” (*“fit” significa affidare le parti della recita, ma anche “vi sistemo io” quindi c’è un’implicazione sinistra), infatti nel corso della recita avverrà il massacro degli assassini del figlio di Hieronimo e dei loro complici. La recita era parte di un dramma scritto dallo stesso Hieronimo in gioventù in diverse lingue (collegamento The Waste Land). La brutalità e la violenza dell’essere umano sono rievocate e allora ci si chiede cosa ne sia stato dell’empatia, della generosità, dei comandamenti del tuono. Poi di nuovo torna la voce del tuono con i tre imperativi: dona, sii misericordioso, controllati. *“Fit” è anche un termine arcaico che indica le sezioni di una poesia o di un canto, infatti esisteva l’espressione “lender into a fit” che voleva dire “to make into a poetry”: c’è un altro richiamo alla poesia e al testo poetico, mettere in poesia, dare uno schema e una costruzione, “un modo di ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea”. - Le ultime parole di The Waste Land sono affidate ad una lingua non europea, appartengono alla tradizione sanscrita, ad indicare forse che la ripresa deve avvenire in una parte diversa del mondo. La 60 ripetizione finale di “Shantih” significa “pace che sorpassa l’intelligenza” (sorta di conclusione di un Upanishad?) quindi è forse un messaggio di speranza, oppure è una visione pessimistica poiché fa un riferimento evangelico alla Lettera ai Filippesi (che recita “e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza”) quindi è forse un colpo di spugna su tutto l’enorme lavoro d’intelligenza e cultura che aveva costruito il testo stesso del poemetto. NB “Shantih shantih shantih”: ci sono persone che hanno detto che è una sorta di suono onomatopeico che ricorda lo scrosciare della pioggia che cade dopo le parole del tuono e i suoi comandamenti, e la terra è resa di nuovo fertile. È una speranza di rigenerazione futura (si usa il futuro “fiam”, non “faciam” al presente come nella frase originale). Chiusura del poemetto con “scoppio” di citazioni su temi, personaggi, motivi affrontati nel componimento: - re pescatore che appare nell'ultimo gruppo di versi, la leggenda del Graal e con essa la terra desolata. - Nella prima nota di Eliot: leggenda del Graal, il libro di Weston, i riti della fertilità studiati da Frezer. - Richiamo alla tradizione biblica Cristiano-giudaica con il richiamo al Re Ezechia, - il richiamo alla leggenda di Filomela (Primavera, richiamo alla tradizione classica e in particolare alle Metamorfosi di Ovidio) - Dante, Purgatorio; richiamo alla poesia provenzale “poi s'ascose nel foco che li affina” si sta parlando di Arnaut Daniel  fuoco purificatore (cfr III sez “Fire Sermon”, che richiama la tradizione ascetica orientale con Buddha e con Sant'Agostino la tradizione ascetica occidentale. A - poesia di Gérard Nerval “El desdichado”, “Le prince d'Aquitaine à la tour abolie (...) “, allora questo è l'emblema anche del poeta in questa poesia. Il verso “Le prince d'Aquitaine à la tour abolie” è la citazione verbatim in The Waste Land: principe d'Aquitania, la terra delle acque e dei trovatori, dove qualcuno è stato privato di un’eredità e di un casato, in questa poesia questa perdita assume toni cupi che vediamo già dal terzo verso: “Ma seule étoile est morte, - et mon luth constellé porte le soleil noir de la Mélancolie” (“La mia unica Stella è morta e il mio liuto costellato porta il sole nero della malinconia”) -> non si tratta soltanto della perdita di un casato ma evoca anche la sensazione di una separazione da un passato che è stato felice. - La conclusione di questo sonetto di Gérard de Nerval richiama Orfeo, il poeta. - ripetizione due volte di “J’ai” ovvero “io ho” = “io ho, due volte vincitore, attraversato l'Acheronte”, il fiume dei morti, viaggio agli inferi che Orfeo compie con la sua lira  conclusione consolatoria: il poeta con il suo canto può ridare vita a ciò che gli è stato tolto per sempre e quindi viene detto “vincitore”. - La torre all’interno di The Waste Land ha connotazione di simbolo di una civiltà: le torri che crollano sono le torri della civiltà, delle grandi città della cultura del passato ma anche della contemporaneità. In The Waste Land vi è una situazione già vista: perdita di un’eredità culturale, ma a differenza del sonetto di Nerval qui non c’è riferimento consolatorio così esplicito. Questo verso richiama il testo di Nerval e quindi possiamo immaginare un’evocazione di consolazione, ovvero che il poeta, attraverso il canto e la poesia, abbia riportato in vita ciò che era stato tolto per sempre. - In the Waste Land, è difficile veramente dire se attraverso il canto e attraverso la poesia si riesca a recuperare o perlomeno a limitare questo franare della cultura occidentale. - Il testo dice che sicuramente il poeta è un diseredato, è un “Le prince d'Aquitaine à la tour abolie”, stessa ambiguità che troviamo con la citazione dal libro di Isaia, in cui il re chiede, attraverso l'allusione al testo biblico, se ancora avrà il tempo di mettere a posto le sue Terre; - il Re Pescatore sta per morire, come Ezechia, però sappiamo dal testo biblico che a Ezechia sono stati dati altri 15 anni: è la stessa ambiguità che si ripresenta ancora una volta in chiusa alla poesia e quindi la difficoltà in qualche modo a trovare una soluzione che sia univoca e che apra all’ambiguità o all'incertezza nella chiusa ma forse è proprio questo che il testo ci vuole suggerire. Quando leggiamo un testo cerchiamo di stabilire una coerenza interna, attraverso elementi presenti nel testo: attraverso le nostre conoscenze e competenze di lettori, interagiamo con tali elementi e diamo un senso a ciò che leggiamo. Se il senso non è così immediato lo cerchiamo: ogni elemento in un testo poetico è un elemento portatore di significato e ha senso che sia in quella precisa collocazione all'interno del testo. In The Waste Land interi passi sembrano legati tra loro a livello tematico, stilistico, formale ecc, ma spesso sfugge la coerenza delle cinque sezioni, a volte anche delle singole sottosezioni. Tra i temi: la degradazione dell'amore con sterilità dei rapporti interpersonali, la futilità della società moderna, la perdita di valori, la ricerca di un ordine ecc. -> tutti i temi presenti in The Waste Land. 61 Questi temi però non riescono a essere racchiusi all'interno di un'unica prospettiva e ogni tentativo di unificarli risulta un'operazione insoddisfacente. Il primo senso che ricaviamo dalla lettura è una grande varietà di modi e voci che si fa fatica a racchiudere in un'unica prospettiva. Ma forse non dobbiamo neppure farlo perché siamo di fronte a un testo di cui lo stesso procedimento su cui è costruito rifiuta questa unitarietà, rifugge da questa visione unica e univoca. I fili rossi minimi li troviamo e il fatto stesso che le 5 sezioni siano numerate dall'1 al 5 dallo stesso Eliot, costituisce un collegamento perché si potrebbe interpretare come una sorta di progressione. Serpieri individua una sorta di sfasatura tra le prime tre sezioni e le ultime due , in particolare l'ultima: - Nelle prime tre sezioni, il metodo impiegato è il metodo mitico intertestuale: parallelo tra passato e presente, tra storia e mito e quindi questo tentativo di dare un ordine a ciò che ordine non ce lo ha più. - Nell'ultima parte, soprattutto nella quinta sezione, il metodo sarebbe allegorico e non più mitico intertestuale: le citazioni sono presenti, ma hanno una funzione diversa e più tradizionale, cioè quella di conferire autorità e di sostenere quello che si sta dicendo, mentre nel metodo mitico questo non avviene perché funziona come un parallelo. - In più Serpieri dice che nella quinta sezione abbiamo il motivo del viaggio (a Emmaus), come indicato da Eliot stesso nella nota: il viaggio ha sempre una meta e questo cambia la costruzione tra le prime tre sezioni, in cui abbiamo una sorta in circolarità con le ultime due e soprattutto l’ultima. Varietà: varietà di voci all'interno del poemetto, varietà di lingue che rimandano alle rispettive culture, grande varietà stilistica con passi caratterizzati da una complessa sintassi e passi dal linguaggio popolare oppure in altri passi il linguaggio si avvicina più al parlato (in The Game of Chess la sintassi è standard e il linguaggio si avvicina molto ad uno slang). Es, prima sezione, ricordo di Marie: si ha l’impressione di sentire una conversazione tra due persone, lei che racconta di un episodio della sua gioventù. Varietà di voci + fili tematici che ritornano ed elementi che spingono il lettore a costruire il testo. Il fatto centrale è che The Waste Land rimane un testo difficilmente comprensibile e dotato di un senso unico, anzi è un testo che è deliberatamente oscuro. - Questa varietà di voci, stili, temi, lingue significa polifonia o cacofonia? Cioè sono suoni che in qualche modo si accordano o sono voci che stridono? - Le diverse esperienze contenute sono esibite in maniera frammentaria oppure sono ben amalgamate? I frammenti sono un tentativo fallito di integrazione oppure sono ben integrati? - Tutte le voci in The Waste Land confluiscono in un coro o diventano una sorta di Babele di suoni dove non capisce appunto la confusione di tutto? Difficile dare delle risposte univoche ma forse l’essenza e la grandezza di questo poemetto è proprio questa coerenza incoerente, cacofonia polifonica: il principio organizzativo non risiede nella fissità di un'intenzione o di un significato, ma nella sua continua trasformazione, in un processo di transizione per cui una voce diventa un'altra nel passaggio, una scena confluisce in un'altra, uno stile prende il posto di un altro. Il fatto che Eliot ponga Tiresia come figura più importante di tutto il poemetto è significativo perché è stato sottoposto ad una metamorfosi sessuale, è stato donna ed è stato uomo. Quindi è possibile un poema di trasformazioni: ninfe > prostitute, Tamigi > Gange, occhi > perle, la consapevolezza si trasforma in una sorta di oblio. Tutte trasformazioni con la presenza del tema e del suo doppio (III sezione), proprio perché The Waste Land affronta un mondo privo di ordine, a cui si cerca di dare un ordine forse attraverso anche il metodo mitico, forse anche The Waste Land come poema rimane irrisolto e non ammette forse che noi imponiamo dei significati o un senso definitivo a quello che senso definitivo magari non ha. NB nel periodo in cui è stato scritto, subito dopo la guerra, c’era il tentativo di ridare ordine. The Waste Land: Five Limericks, di Wendy Cope (1945 - tutt’ora vivente) Testi carichi di ironia e humor, in questo caso sui grandi testi della tradizione inglese. Le sue parodie erano un modo di venire a patti con ciò che era di moda in poesia: occorre possedere grandi doti interpretative, sia una grande conoscenza tecnica della poesia. 62 - v. 5 “Met Stetson and gave him an earful” visione disperata e surreale della Londra contemporanea (NB la consonanza, la ripetizione fonica di Met e Stet) Seconda sezione, The Game Chess: questa mancanza di comunicazione e tono nevrotico. Wendy Cope “sgonfia” la seconda sezione, in particolare prende in giro il linguaggio poetico elegante e forbito di Eliot, ma con esso prende anche in giro la tradizione a cui Eliot fa riferimento, cioè la grande poesia elisabettiana, in particolare di Shakespeare. - v. 6 “She sat on a mighty fine chair” > tragedia di Antonio e Cleopatra, “she sat in like a burnish trhone” - v. 7 “She asks many questions, I make a few suggestions” > seconda sezione nel monologo, questi due versi danno il senso della conversazione sconnessa, ma questo “make suggestion” non è soltanto aver dato dei suggerimenti, ma può anche avere una connotazione volgare - v. 10 “Bad as Albert e Lil- what a pair!”, inteso come “questi due qui sono altrettanto negativi e altrettanto pessimi come Albert e Lil”: si chiude l’abbassamento > scena del pub “Hurry up please it’s time”, richiamo forse apocalittico a fare in fretta perché il tempo sta per finire con questo. Terza sezione, The Fire Sermon: ci sono il fiume, Tiresia, la dattilografa; invece della degenerazione espressa in quella sezione (il fiume, i cadaveri, i topi ecc) c’è l’interpretazione di Wendy Cope di Tiresia: - v.11-15 Tiresia da grande protagonista e figura profetica di veggente, diventa un voyeur che sbircia dal buco della serratura: “A typist is laid, a record is played. Wei la la. After this gets deep” -> qui ci sono varie sfumature, “it gets deep” punta sull’ineffabilità di The Waste Land, ma c’è anche una sorta di allusione sessuale e un richiamo al seguente annegamento di Fleba. Quarta sezione, Death by Water: - v. 16 > incipit di Eliot sull'annegamento del fenicio Phlebas (sprofondare nelle acque); non solo nel contenuto ma anche nella sonorità, con l’allitterazione e la ripetizione fonica (/f/). - abbandonati i bisbigli sinistri (le ossa spolpate), riduzione dell'assurdo rispetto all'originale. - la morte per acqua è rituale, preludio per una rinascita, però qui non sembra ben chiaro se ci sia questa rinascita, anzi il dubbio permane, forse la morte di Flebas è una morte definitiva e senza riscatto o resurrezione. Nella quarta sezione Flebas è lasciato a marcire nelle acque. Quinta sezione, What the Thunder Said: - v. 20 “No water. Dry rocks and dry throats” > scena dell’aridità, diffuse ripetizioni in tutta la prima parte della quinta sezione, ma in tutta la quinta sezione c’è mancanza d'acqua e secchezza, - v. 21 “Then thunder, a shower of quotes” poi il tuono e la pioggia di citazioni (che Eliot fa coi lettori). - v. 22-23 “From the Sanskrit and Dante. Da. Damyata. Shantih” fonicamente riprende le assonanze /s/, /t/, /d/, giocando proprio con la sonorità. - v. 25 “I hope you will make sense of the notes”, commento arguto e satirico con cui prende in giro tutta la vicenda delle note: indica che la poesia di Eliot non finisce con ‘Shantih Shantih Shantih’, perché è l'ultima parola della parodia ma anche l'ultima parola di The Waste Land. Aggiungendo quest’ultimo verso indica che la poesia nel poemetto stesso continua nelle note: vuole prendere in giro la pedanteria di Eliot nell’aver costruito le note e mette in evidenza l'ineffabilità e la difficoltà di comprensione del poemetto. Si prende gioco della critica che si è sforzata di “Make sense”, spiegando il testo attraverso le note, che non sono solo quelle di Eliot ma anche tutti i commenti e note introdotti dalla critica. La parodia in epoca post-moderna assume una connotazione di scrittura sovversiva, perché rappresenta un’opportunità di mettersi in relazione o di esprimere atteggiamenti critici nei confronti del passato. Questa ripetizione con differenza - la parodia - consente di esprimersi nuovamente su ciò che è stato detto e scritto e di riscrivere sia il canone sia la storia , è come far scendere dal piedistallo ciò che è ritenuto canonico e generalmente accettato da tutti, che costituisce anche la storia della letteratura, quindi deforma il testo originale, rispetto cui ha un effetto straniante, e lo ripresenta da una prospettiva diversa -> intento della letteratura postmodernista, sviluppatasi a partire dal secondo Novecento, e porta alle estreme conseguenze la disgregazione letteraria e culturale del modernismo. Il postmodernismo è stato un argomento di dibattito molto acceso soprattutto nelle accademie e nelle università statunitensi. Il termine ha cominciato a circolare all'inizio degli anni ‘70, anche i maggiori esponenti del postmodernismo e del postmoderno letterario sono statunitensi. 65 Il POSTMODERNO va considerato come condizione di tutta la letteratura post-bellica 2GM, sia statunitense sia europea: riconosciuto l'enorme contributo dei filosofi francesi (Derrida e Foucault) sul pensiero postmoderno, basato su dispersione del senso, rivalutazione dell’eterogeneo e pluralità dei linguaggi. Gli autori hanno avvertito intorno alla metà del secolo scorso un senso di stanchezza diffusa, una sorta di ripiegamento e un esaurimento proprio delle forme espressive della modernità. Il maggiore interprete e teorizzatore del postmoderno è Fredric Jameson, secondo cui il postmodernismo è una vera e propria epoca, non una costante dell'estetica occidentale: “Il postmodernismo è uno spartiacque fondamentale, un salto di qualità ormai ci separano in modo decisivo da quello che usava essere il mondo nuovo della prima metà del secolo, l'epoca del modernismo trionfante”. Il prefisso “post” esprime un'idea di posterità, cioè una fede degli artisti e degli autori postmoderni sulla rilevanza storica delle proprie opere e dicono che la posterità è intrinseca all'atto stesso della scrittura, in quanto la scrittura presuppone sempre una lettura ‘post’, a distanza di tempo rispetto alla scrittura. Il postmodernismo (in cui in parte siamo ancora inseriti) è l'epoca di una resa disperata ma a volte anche autocompiaciuta al materialismo della tecnologia, del Mercato e dei mass media: la creazione artistica viene percepita ormai in competizione con il prodotto industriale, costruito in serie e in maniera meccanica. Due dogmi del Romanticismo e del Modernismo vengono contraddetti e resi inattuali: l'idea dell'individuo creatore (Romanticismo, il genio creatore che crea la grande opera); il secondo è l'originalità del grande artista (Modernismo). Già Eliot aveva detto qualcosa in proposito. Questi elementi vengono proprio resi assolutamente inattuali dal postmoderno: tipico del postmodernismo rinunciare ai programmi e alle poetiche, è finita in qualche modo l'era delle avanguardie e dei manifesti. Lo scrittore postmodernista non progetta, non teorizza, non critica, ovviamente a livello "teorico”, perché il fatto stesso di non teorizzare, non criticare significa presuppone un progetto da questo punto di vista. Mentre lo scrittore modernista non ha più un centro mentale cui riportare la molteplicità del mondo e le molteplici manifestazioni della realtà; invece, lo scrittore postmoderno non ha un centro solo ma infiniti, e considera la scrittura come uno spazio vuoto da riempire con la maggiore quantità di materiali ed esperienze possibili, come una continua improvvisazione. Qui non c’è più, come nel modernismo, la ricerca di recuperare e di ricostruire valori perduti: ora la coscienza è la perdita di tutti i valori, della loro irrecuperabilità e dell'impossibilità di ritornare a un ordine (quello che Eliot e gli altri modernisti hanno cercato di fare). Anche i critici si aprono all’esplorazione di forme letterarie e culturali tradizionalmente bandite dalla sfera del sapere riconosciuto, quindi qualcosa al di fuori dei canoni stabiliti. Quindi il postmoderno è un'estetica del molteplice, dell'ibrido, dello scambio, del bello con il funzionale e, una volta decontestualizzato l'oggetto, lo scambio del funzionale con l'inutile. Non esistono più gerarchie di valore, c'è disordine e confusione, ciò che era organizzato ancora secondo gerarchie di valore viene posto in una situazione appunto di disordine e di confusione. Da un certo punto di vista questo è un processo di democratizzazione della scrittura: avviene la contaminazione dei codici, i confini tra i generi tradizionali e stabiliti si cancellano, i messaggi sconfinano nel non-senso, il letterario si parifica al linguaggio della comunicazione di massa del cinema e della musica. Quindi la lingua letteraria diventa un codice tra i tanti, però viene allargato il concetto di codice letterario, facendo di questo potenziale contenitore una rappresentazione della rappresentazione. Negli ultimi anni poi il trionfo paradigma elettronico e la comunicazione in rete ha radicalizzato questa tendenza all'essere onnivori, alla totalità, virtualità e precarietà del mezzo letterario, quindi caratteristiche proprie anche della scrittura, perché lo scrittore vede la scrittura come uno spazio vuoto, al cui interno inserire una grande quantità di materiali e di esperienze. Caratteristiche anche formali di riscrittura, forma tipica del postmoderno: consiste nel riscrivere da un altro punto di vista un'opera della tradizione; es. le favole di Angela Carter, che riprende le favole tradizionali (Barbablù, La bella e la bestia ecc.) e le riscrive da una prospettiva delle donne, rovesciando una serie di convenzioni e stereotipi legati al ruolo della donna, soprattutto all'interno della cultura patriarcale. Es. Barbablù di Angela Carter: la ragazza ha una voce; e chi è che va in soccorso della giovane non è il principe sul cavallo bianco, ma la madre su un ronzino -> abbassamento. Un'altra tecnica letteraria presente nel post-modernismo è il pastiche: in un'opera si mescolano lingue e stili differenti, spesso ricorrendo a citazioni e prelievi da altri testi e opere di altri autori, con finalità ironiche e parodiche, satiriche e grottesche. Es. Pasticciaccio brutto di via Merulana di Carlo Emilio Gadda. Altra tecnica letteraria postmoderna è la metanarrazione: si scrive un'opera in cui un autore/pg scrive un'altra opera -> meta-narratività, con combinazioni di stili, per sconfessare un canone dominante per tanto tempo. 66 James Joyce (1882, Dublino - 1941, Zurigo) Nasce a Dublino il 2 febbraio del 1882, stesso anno di nascita di Virginia Woolf, primo di 10 figli, nasce in una famiglia cattolica, piccolo borghese, il padre è un esattore delle imposte giunto a Dublino da Cork. La vita di Joyce può essere suddivisa in 3 fasi che rispecchiano lo spirito geometrico dello scrittore stesso: ciascuna di 20 anni circa, corrispondono anche alla scrittura e alla pubblicazione delle opere: 1. i primi 20 anni vive a Dublino: pubblicazione di Dubliners e del romanzo autobiografico A Portrait Of The Artist As a Young Man, un ritratto dell’artista da giovane; 2. secondo ventennio tra Trieste e Zurigo: composizione di Ulysses, pubblicato il 2 febbraio 1922; 3. terzo ventennio a Parigi: composizione di Finnegans’ Wake, pubblicato il 2 febbraio 1939 (Joyce amava pubblicare nello stesso giorno del suo compleanno), quindi dell’arco temporale del Modernismo, infatti una delle date pensate per definire la conclusione del movimento modernista inglese è il 1939, anno idi pubblicazione di Finnegans Wake, oltre ad essere vigilia della seconda guerra mondiale. I primi anni di Joyce a Dublino sono caratterizzati dallo studio presso la migliore scuola cattolica d’Irlanda, retta dai gesuiti, sotto la cui tutela inizia il suo curriculum di studi. Anche la sua infanzia è caratterizzata da un’intensa pratica devozionale, ma successivamente si allontana dal cattolicesimo e in generale dalla religione. Affermerà, infatti, che la religione cattolica sia stata uno degli ostacoli per la liberazione dell’Irlanda, insieme al dominio inglese (l’Irlanda di fatto era fino al 1922 parte del Regno Unito), fattori che secondo lui hanno causato la paralisi della società irlandese, paralisi che lui cercherà di smascherare attraverso i racconti di Dubliners. Dopo la scuola gesuita, per questioni economiche deve cambiare scuola, ma frequenterà un collegio sempre retto da gesuiti (studia anche l’italiano), dopodiché s’iscrive allo University College Dublin, dove comincia ad espandere le sue letture esulando dai programmi accademici, e segue le novità della cultura europea contemporanea. Sin dal periodo dell’università, tra il 1899 e il 1903, Joyce condanna il provincialismo e il moralismo dei contemporanei e mostra anche una certa indifferenza nei confronti del “revival” celtico (rinascimento celtico) che stava fiorendo, il mito eroico di un’Irlanda celtica: Joyce ne prende le distanze perché lo vede come un segno del provincialismo irlandese e vede operare i segni del nazionalismo e dell’etnocentrismo (tendenza a giudicare la storia, la struttura sociale e la cultura dei gruppi umani diversi dal gruppo cui si appartiene secondo i valori propri di questo, tenuto come ideale centro e punto di riferimento dell’analisi). Finita l’università, si reca a Parigi per studiare medicina e si mantiene scrivendo articoli per un giornale di Dublino. Rientra a Dublino per la morte della madre, e nel 1904 scrive un lungo saggio autobiografico, intitolato Portrait of The Artist, che viene rifiutato dalla rivista dublinese Dana: questo rifiuto diventa per Joyce il pretesto per riscrivere il saggio in forma di romanzo autobiografico, dal titolo Stephen Hero, che non viene pubblicato con questo titolo ma diventa A Portrait Of The Artist As a Young Man, pubblicato a puntate, tra il 1914 e il 1915. Questo romanzo non è un autoritratto dipinto in giovane età, ma il modo in cui Joyce, ormai maturo, vede sé stesso quando era giovane. Il 10 giugno del 1904 vede per la prima volta Nora Barnacle, una cameriera al Finn’s Hotel di Dublino, proveniente dall’Irlanda occidentale e il 16 giugno 1904 Joyce dà il primo appuntamento a Nora: questa sarà la data in cui si svolge la vicenda di Ulysses. Nora è la compagna di Joyce per tutta la vita e madre dei suoi figli, anche se si sposano solo nel 1931. Nora e Joyce nel 1904 progettano la fuga dall’Irlanda, che avviene nell’ottobre dello stesso anno. Joyce porta con sé poche cose, tra cui i primi 11 capitoli di Stephen Hero; il dodicesimo capitolo viene scritto a Zurigo, dove la coppia si reca nella speranza di trovare il posto d’insegnante promesso a Joyce, ma quando arrivano non ve n’è traccia. Si trasferiscono a Pola, dove Joyce insegna inglese alla Berlitz School, e dal 1905 si trasferiscono a Trieste dove risiedono per una decina d’anni. Tra il 1904 e il 1905 Joyce compone alcuni racconti che saranno parte di Dubliners, e diverse poesie per la prima raccolta di poesie, Chamber Music (musica da camera), pubblicata nel 1907 in volume, prima opera a stampa di Joyce. 67 The Ulysses Se The Waste Land che ha cambiato la scrittura della poesia, Ulysses ha cambiato la scrittura del romanzo. Ulysses è il punto d’arrivo non solo nell’attività creativa di Joyce ma anche nello sviluppo della letteratura occidentale. Eliot dice nel suo saggio che il romanzo è finito con Henry James e Flaubert, ed il merito di Ulysses è non nel fatto che sia un romanzo ma nel fatto che sia un superamento del romanzo grazie alla sostituzione del metodo mitico a quello narrativo : il metodo utilizzato da Joyce è talmente importante (parallelo mitico) da avere l’importanza di una scoperta scientifica, dice Eliot. Joyce chiama la sua opera novel come a smentire Eliot, e dice che l’Ulysses sta per l’intera tradizione narrativa inglese, secondo la quale la definizione di novel data nel ‘700 (momento in cui nasce il romanzo) nasce da Henry Fielding, importante scrittore di romanzi quando la forma del romanzo prende l’avvio. Il novel è una forma nuova nata nel ‘700 in ambito di scrittura realistica, più vicina alle vicende quotidiane e alla lingua quotidiana, in opposizione alla scrittura fantastica in prosa come quella del romance che è di origine medievale e tratta di avventure fantastiche con eroi che sconfiggono le forze del male. Henry Fielding definisce il novel come un poema eroi-comico in prosa, cioè inteso a strutturare una rappresentazione minuziosamente realistica della vita quotidiana su modello dell’epica classica, in modo da ironizzare sia l’anti-eroismo dell’esperienza quotidiana sia l’atteggiamento magniloquente dell’epica. Prendendo questa definizione del romanzo, e cercando di rappresentare realisticamente la vita su modello dell’epoca classica, Ulysses è un romanzo che descrive, presenta la quotidianità con struttura dell’epoca classica (metodo mitico). C’è un parallelo tra la contemporaneità e il realismo da un lato e l’epica dall’altro, e in questo incontro emerge la dimensione antieroica. L’uso del metodo mitico ha esiti ironici e comici in Joyce, mentre in Eliot il tono è cupo, raramente ha il guizzo ironico presente nell’Ulysses. Anche l’atteggiamento magniloquente dell’epica è abbassato a un livello minuziosamente realistico. Nel 1918 quando Joyce aveva scritto solo un quarto dell’Ulysses, lui stesso offre due definizioni dell’ Ulysses e definisce il romanzo da un lato “un’Odissea moderna” e dall’altro “l’epica del corpo umano”, i due pilastri su cui poggia l’intera struttura del romanzo. Perché “epica del corpo umano”? Si propone come summa di tutte le esperienze fisiche dell’essere umano, con la negazione di tutte le esperienze metafisiche. In una lettera in italiano all’amico Carlo Linati del 21 settembre 1920, Joyce scrive: “è l’epopea di due razze (Israele e Irlanda), e nel medesimo tempo il ciclo del corpo umano, ed è anche la storiella di una giornata (vita)”. “La figura di Ulisse mi ha sempre affascinato, fin da ragazzo, cominciai a scrivere una novella per Dubliners ma smisi [...] è una specie di enciclopedia, la mia intenzione è di rendere il mito sub specie temporis nostri, non soltanto ma permettendo che ogni avventura (cioè ogni ora, ogni organo, ogni arto connessi e immedesimati nello schema somatico del tutto) condizionasse anzi creasse la propria tecnica. Ogni avventura è per così dire una persona benché composta di persone come favella l'Aquinate degli angelici eserciti”. Joyce sostituisce la summa teologica di San Tommaso d’Aquino (l’Aquinate; Joyce aveva studiato presso i gesuiti) con una summa antropologica, e alle schiere angeliche di San Tommaso sostituisce la gente di Dublino, che riassume tutta in un’unica persona che è la città stessa ma anche l’universo umano. Perché “Odissea moderna”? L’Ulisse è costruito sull’Odissea di Omero: ogni episodio dell’Ulisse di Joyce ha come parallelo mitico un episodio dell’Odissea di Omero. Però è un poema eroicomico in prosa, dunque ridimensiona il tempo e lo spazio: le peregrinazioni di Ulisse per mare e per terra, che si svolgono in molti anni, diventano i movimenti di Leopold Bloom per le strade e i bar di Dublino dalle 8 di mattina fino alle ore piccole di notte nell’unica giornata del 16 giugno del 1904 (questo è anche il giorno del primo appuntamento tra Joyce a Nora, che è fedele Penelope ma proprio per questo in questa deformata epopea dev’essere infedele). Bloom ha 38 anni come Joyce (sia Bloom che Stephen sono proiezioni di Joyce in due età diverse: Bloom è Joyce uomo, mentre Stephen Dedalus è Joyce il giovane artista che lascia l’Irlanda e si rifiuta di pregare al capezzale della madre morente - come anche Stephen; cfr A Portrait of the Artist as a Young Man). Nonostante questa forma di autobiografismo, le deformazioni eroicomiche sono tali che anche questa forma di autobiografismo è limitata: alla fine Bloom è la raffigurazione inclusiva di ognuno/everyman, cioè dell’uomo nella sua fisicità. 70 Joyce qui ripete, in chiave ironica ed eroicomica, l’operazione di smascheramento della paralisi oppressiva che aveva iniziato con Dubliners. Ulysses è anche l’epica del corpo umano perché i personaggi sono vari aspetti di un'unica figura: Ulysses è popolato di una folla di dublinesi, ciascuno col suo nome e caratteristiche osservate minuziosamente, ma tutti i personaggi confluiscono in un’unica figura. Al di sopra della folla di dublinesi, Joyce riassume gli aspetti che riguardano i tre protagonisti principali: Leopold Bloom (Ulisse), Stephen Dedalus (Telemaco), Molly Bloom (Penelope). Bloom (Ulisse) Stephen (Telemaco) Molly Bloom (Penelope) è l’uomo medio, sensuale, positivo, inefficiente, curioso di nuove esperienze ma timido e cauto, alla ricerca di concretezza scientifica e di relazioni umane che non riesce a trovare. già incontrato in A Portrait of the Artist as a Young Man, è l’idealista alla ricerca di valori spirituali, che si ribella all’esistenza quotidiana nel tentativo di trovare una coerenza individuale. moglie infedele di Leopold, nel monologo finale riassume tutte le donne che compaiono nel libro e le loro controparti mitiche: Molly è la ninfa Calipso, si riflette in Nausicaa, Circe, Penelope ed in tutti i personaggi che hanno un corrispettivo femminile nell’Odissea. Molly è espressione della fisicità assoluta, dell’accettazione della condizione umana, ma non passiva, e in questo senso bisogna interpretare questo yes finale pronunciato nell’ultimo monologo dell’Ulisse: yes è l’ultima parola del romanzo stesso, nell’ultimo capitolo in cui ascoltiamo questo monologo di Molly nel dormiveglia, popolato da immagini sensuali. Solo grazie a Molly, quindi all’elemento femminile, la figura umana (che è uno dei pilastri dell’Ulisse di Joyce) viene completata: al parallelo del mito omerico si affianca il mito cristiano, sia la sacra famiglia sia la Trinità. Il messaggio di Joyce sta nell’aver sostituito alla terza persona della Trinità (lo spirito santo) Molly, che è carne e fertilità naturale. è ebreo e non credente o praticante, quindi nasce già in una condizione esule. fa di questa condizione di esule una scelta deliberata (come di fatto aveva fatto Joyce decidendo di lasciare per sempre l’Irlanda), tuttavia lo Stephen dell’Ulisse è già uno sconfitto perché, a differenza dello Stephen che ha scelto l’esilio volontario nel Portrait, qui è uno sconfitto, dopo la fuga annunciata nel libro precedente. Stephen ha in comune con Bloom l’inefficienza nel realizzare le aspirazioni, sono alla ricerca di qualcosa e sono complementari: - l’unico figlio naturale di Bloom è morto durante l’infanzia, quindi lui ha un desiderio struggente di trovare un figlio, - Stephen ha rifiutato il padre naturale ed è alla ricerca di un padre. I temi principali sono: - la ricerca del padre da parte di Stephen, - la ricerca del figlio da parte di Bloom, - la condizione di esilio come scelta esistenziale  Joyce ha scritto un unico dramma, Exiles, e diede indicazioni specifiche anche alla traduzione italiana del titolo, poiché a “esiliato” preferiva “esule”: l’esule compie una scelta, mentre l’esiliato è costretto all’esilio. L’Odissea è un viaggio di ritorno nella patria da cui l’eroe è rimasto lontano, quindi è un esule anche lui. Questi tre temi muovono i protagonisti attraverso il loro viaggio nella città, e vengono comunicati nel romanzo attraverso una ricca rete di temi ricorrenti e sussidiari. Uno dei punti più importanti è la tecnica narrativa di questo romanzo. Eliot parla di sutura mitica e metodo mitico ma è importante anche l’elemento dello “STREAM OF CONSCIOUSNESS”: questa espressione è stata coniata dallo psicologo William James (fratello di Henry James), che nel suo studio Principles of Psychology (1890) usa quest’espressione per descrivere la libera associazione o flusso di pensieri nella mente di una persona in un dato momento (quindi si applica in letteratura una definizione medica). Nei primi anni del ‘900 l’interesse per il subconscio e i processi mentali era particolarmente sentito: gli scrittori sono interessati al processo del pensiero che avviene all’interno del personaggio, che attraverso i suoi occhi e i suoi pensieri media con la realtà esterna, quindi ciò che noi riceviamo è la realtà mediata dallo sguardo e dal pensiero del personaggio. 71 Il MONOLOGO INTERIORE viene inserito direttamente nella vita interiore del personaggio e nella sua mente, senza alcun commento o intervento apparente del narratore. I pensieri possono essere conosciuti solo dalla persona che li origina, quindi il monologo interiore è: - sempre in prima persona (la terza persona non può conoscere i pensieri altrui); - è sempre al presente: noi pensiamo nel presente, non nel passato, anche la nostra riflessione sul passato avviene sempre nel presente -> l’atto del pensare avviene esclusivamente nel presente; - il linguaggio è idiolettico, cioè quello proprio del personaggio che pensa, con le strutture linguistiche tipiche del parlante/pensante; nei monologhi dei tre personaggi principali dell’Ulysses, i loro pensieri vengono riprodotti secondo modalità diverse perché ognuno è diverso dall’altro; - ogni allusione all’esperienza del personaggio non è commentata o spiegata se non dal flusso stesso delle idee: quando noi pensiamo non abbiamo bisogno di spiegare a noi stessi cosa stiamo pensando, nella libera associazione mentale è ovvio che la capiamo, qualcun altro magari non capirebbe ma noi sì; - trattandosi di pensieri, è esclusa la presenza di un pubblico o di un destinatario se non sé stessi; - il lettore, per capire cosa sta avvenendo, deve affidarsi ad operazioni di presupposizione e d’inferenza perché il lettore non ha alcuna informazione dall’esterno, quindi può essere complicato. Il monologo interiore si distingue dalle altre rappresentazioni della coscienza perché al narratore è vietato fare enunciati sul fatto che quel personaggio stia pensando o percependo: le parole devono essere esattamente quelle che passano per la testa del personaggio e soltanto quelle (ovviamente è una finzione, un tentativo di rappresentare un pensiero in formazione), e non ci sono indicazioni grafiche nel testo come virgolette o verbi del discorso (dice, chiede...), quindi c’è questo passaggio brusco dalla narrazione in terza persona alla narrazione del pensiero del personaggio. Nell’Ulisse il monologo interiore è abilmente intessuto con narrazioni in terza persona e altre forme di pensiero, sempre dal punto di vista del personaggio, e il monologo diventa un mezzo importante per la caratterizzazione dei personaggi: - Bloom, ad esempio, usa frasi molto brevi e punti fermi che indicano pause, questo indica una sua mancanza di fluency, perché la sintassi è disarticolata con tante pause; - Steven invece ha un linguaggio molto più elaborato sintatticamente e lessicalmente. La short story Questo genere ha un impulso molto forte nel Modernismo e subisce cambiamenti attraverso tutti i generi letterari e artistici in generale; questo non riguarda però il teatro, che non avverte quella spinta al rinnovamento come per la poesia e l’arte, eccezion fatta per Gordon Craig, che non venne riconosciuto per le sue novità durante il suo periodo dalle persone comuni, ma venne riconosciuto dai grandi. Il teatro per avere un cambiamento così radicale dobbiamo aspettare Beckett negli anni ‘50, con “Aspettando Godot”. Nella storia mondiale ci sono tantissime testimonianze di racconti brevi, anche le narrazioni bibliche lo sono. Si iniziano a considerare però come genere a sé stante solo con Edgar Allan Poe. In inglese ci sono due parole per ‘racconto’: short story e tales, che presentano delle differenze. - ‘tale’ si lega all’oralità, parla di vicende fantastiche; - ‘short story’, più recente, si riferisce ad un racconto realistico legato al presente e la quotidianità, con una lingua più vicina a quella quotidiana; quest’ultimo tipo di racconto si diffonde soprattutto nel 19esimo secolo. In una recensione di Hawthorne del 1842, Edgar Allan Poe fa delle affermazioni che possono essere prese come teoria del racconto letterario, infatti si definisce così la short story come indipendente dal romanzo: ha caratteristiche ben precise diverse da quelle del romanzo, e anche l’impegno del lettore per le shot stories è diverso dal romanzo, si lega il giudizio anche al lettore. Le caratteristiche rimangono inalterate nel corso del tempo. Le caratteristiche che individua sono: - la brevità, non tanto riguardo le parole ma dell’effetto che si vuole produrre sul lettore: deve riuscire a finirla più o meno entro un’ora, quindi in una sola seduta; - l’unità d’effetto: deve essere l’obbiettivo primario dello scrittore, che deve prima pensare l’effetto che vuole dare, poi gli eventi da inserire ed infine le parole, già dall’incipit; - la presenza di un momento di crisi seguito da un momento di presa di coscienza della crisi, tramite un intreccio controllato e uno scioglimento finale. 72 Il testo doveva risultare costruito per parti minime indipendenti, ma non scollegate l’una dall’altra. Il fratello Stanislao, che si occupò di raccontare l’esperienza del fratello, scrive in proposito: un’altra forma sperimentale attraverso cui la sua esigenza letteraria prese forma consisteva nell’annotare le epifanie, manifestazioni o rivelazioni. Lui aveva sempre apprezzato la segretezza, e queste note all’inizio erano osservazioni di lapsus, piccoli errori, gesti: pagliuzze nel vento attraverso cui le persone rivelavano le stesse cose che erano intenti a nascondere. Le epifanie erano sempre brevi bozzetti, raramente più lunghi di 12 righe, ma sempre accuratamente osservati e annotati. Essendo così lieve ed esigua, la raccolta gli servì come un quaderno di schizzi per un artista, ma in nessun senso era un diario. Due forme antitetiche in cui si presentano le epifanie (non c’è un’unica struttura definitiva): - dialogo, forma drammatica come tranche de vie, realisticamente riportato verbatim, con didascalie, senza un intervento esplicito di un narratore, come se il lettore assistesse al dialogo; - forma narrativa, la presenza del narratore è più tangibile e soggettiva: brevi componimenti narrativi, con lessico ricercato, come piccoli poemi in prosa. Nella forma narrativa Joyce inserì anche trascrizioni di sogni: la rivelazione, l’importanza dell’inconscio avevano catturato il suo interesse, le epifanie divennero più soggettive, includevano sogni considerati rivelatori – sogni veri, ma sottoposti ad adattamento letterario, in un tentativo cioè di riprodurre le impressioni oniriche, in quanto i sogni erano un rifacimento incontrollato dei nostri pensieri da svegli, sebbene si possa sperare che possano rivelare cose che i nostri pensieri controllati nascondono inconsapevolmente. Conservate perché pensava potessero essere il suo addio alla poesia, l’indicazione che la prosa stesse prendendo il controllo: mirava al significato di ammissioni “unreflecting”, senza riflessione, e cose di poco conto prive di considerazione, delicatamente soppesate per indagare stati d’animo. Rappresentazione di un sogno: - descrizione: campo di erbacce che brulica di creature mezze uomini e mezze capre, che si muovono in maniera aggressiva, mossi da un peccato personale segreto, che li rende malevoli. Descrizioni confuse che poi sono più precise. Lo sguardo si sposta su creature in particolare: uno si lamenta impigliato tra le erbacce, uno si abbottona la giacca di flanella. - ‘they move about me, enclosing me’ -> momento di avvicinamento all’io, ha paura e chiede aiuto. Originariamente le epifanie di Joyce dovevano essere circa 70 ma ne restano 40, solo brevi frammenti. Queste prime epifanie in prosa risalgono al 1900-1904, quando Joyce andò a Parigi e lasciò un gruppo di manoscritti al poeta irlandese George Russell, uno dei quali si intitolava Epifanie. Joyce abbandona poi l’idea di costruire un volume di epifanie, ma le inserisce in un deposito di materiali che inserirà nelle opere successive – Ulysses, Finnegan’s Wake, Dubliners. 16 epifanie drammatiche, frammenti di dialogo preceduti da una didascalia che indica l’ambientazione, costruite tutte con stessa struttura: indicati la città e un luogo circoscritto, e a lato i nomi dei personaggi, che si scambiano le battute del dialogo. Artificio naturalistico di tranche de vie, registrazione fedele del dialogo, non c’è istanza narrativa quindi è l’oggetto a parlare di sé e mostrarsi al soggetto, non c’è in modo esplicito un’organizzazione compositiva, non ci sono inizio e fine, solo il frammento. Riproduzione esatta di un evento accaduto, in cui Joyce ha percepito qualcosa (non si sa cosa). L’artista deve ricercare queste improvvise manifestazioni “not among gods, but among men, in casual and spontaneous even unpleasant moments: he might find a sudden spiritual manifestation in the vulgarity of speech or a gesture.” 75 Un fratellino di Joyce morì di peritonite a 15 anni nel 1902, Stanislao riferisce che le sue ultime parole fossero "I am very young to die"; 3 epifanie sullo stesso episodio. dialogo ironico 22 epifanie narrative, brevi componimenti con istanza narrativa, lessico più ricercato come piccoli poemi in prosa, comprendono anche trascrizioni di sogni in forma letteraria. es n.24, sulla notte seguente alla morte del fratellino: - soggetto narrante in prima persona, - comportamento diverso dell’io rispetto agli altri (chi? nessuna indicazione sull’identità dei pronomi) che dormono, mentre l’io è sveglio ed esprime l’intenzione di fare qualcosa. Isolamento rispetto agli altri ‘I cannot pray for him as the others do’ (anticipazione: Joyce si rifiuterà di pregare al capezzale della madre morente, nonostante lei lo chieda). - Focus dell’attenzione su ‘he’, che è sdraiato sul letto, si capisce che è morto perché ‘they’ l’hanno coperto con un lenzuolo e coperto gli occhi con le monete. - Puntini di sospensione sembrano indicare un cambio di discorso: si passa a ‘poor little fellow!’, esclamazione espressione di commozione, giudizio dell’io parlante. - ‘we’ indica un rapporto di vicinanza, dice che aveva un portamento leggero, poi si passa all’io, altro giudizio ‘I’m very sorry he died.’ - ‘everything else is so uncertain!’ su cosa non c’è certezza? la morte, la sua impossibilità a pregare, la certezza di cosa può avvenire se non ciò che è già accaduto…  immediatezza e ambiguità: passaggi di pensieri non segnati da legami logici ma dalla punteggiatura, suggerisce la natura elusiva dell’esperienza epifanica, pur cercando di riprodurla; in quanto esperienza essenzialmente privata e intima, la comprensione totale è solo quella del soggetto che vive l’epifania. 76 Dubliners Tutte storie realistiche ambientate a Dublino (“vulgarity of speech and gesture”), contengono epifanie con lo scopo di smascherare la cultura disprezzata da Joyce che la considerava paralitica e incapace di reazioni. Pubblicazione. Nel 1905 mandò all’editore Grant Richards una raccolta di 12 racconti, lui per paura di problemi legali cercò di fargli fare dei cambiamenti, lui rifiutò e dovette aspettare altri 8 anni prima della pubblicazione (1914). L’occasione per la scrittura dei racconti gli fu data da un amico che conosceva le condizioni di difficoltà economica di Joyce: nel giugno 1904 il poeta giornalista George Russel gli offre aiuto chiedendogli di scrivere sull’Irish Homestead, settimanale sull’organizzazione agricola irlandese, qualcosa di “vivo, rurale, patetico, da pubblicare senza scandalizzare i lettori, una novella di 1800 parole circa pubblicabile, per una sterlina di guadagno; facile se sa scrivere di getto, e se non gli dispiace una volta tanto concedersi alla comprensione e al gusto correnti.” Joyce accettò, firmandosi con lo pseudonimo di Steven Dedalus (protagonista del romanzo autobiografico che stava scrivendo). Il giornale interruppe la pubblicazione dei racconti, perché erano tutt’altro che semplici rurali e di gusto comune. Progettò quindi la raccolta di racconti: non solo un’unità tematica, ma la loro raccolta è un libro organico ordinato in una sequenza precisa. La sequenza cronologica è indicata in una lettera del 1905 in cui Joyce spiegava al fratello Stanislao l’ordine dei racconti - 4 triadi, le prime tre sulle fasi della vita umana, la quarta sulla vita pubblica della città, solo implicita nei racconti (i racconti poi si ampliarono e divennero 15): - The Sisters, An Encounter, un altro racconto (Araby, che scriverà poco dopo), che sono storie della mia infanzia (lapsus freudiano: non voleva identificarsi nei suoi personaggi); - The Boarding House (la pensione), After the Race, Eveline: sono storie sull’adolescenza; - Clay (argilla), Counterparts, A Painful Case: storie della maturità; - Ivy Day in the Committing Room (il giorno dell’edera), A Mother, e l’ultimo racconto (Grace, ancora non l’aveva scritto) sono storie della vita pubblica a Dublino, rispettivamente a livello politico, culturale- artistico, e religioso: “se pensi che Dublino è stata una capitale per migliaia di anni e che è la seconda città dell’Impero Britannico, pare strano che nessun artista l’abbia presentata al mondo.” Innovazione di Dubliners: relazione tra i vari racconti e i relativi temi, con cornice organizzata, in cui Joyce riesce a dare un quadro sociale organico e definito. Lettera maggio 1906 all’editore Grant Richards, enunciata l’intenzione di Joyce con la scrittura di Dubliners: - Cosa? scrivere un capitolo della storia morale del suo Paese, - Ambientazione e perché? ha scelto Dublino perché gli sembrava il centro della paralisi. Ha cercato di presentarla al pubblico indifferente sotto 4 dei suoi aspetti: le tre fasi della vita e la vita pubblica, e le novelle sono disposte in tale ordine. - Scritto per la maggior parte con uno stile di scrupolosa mediocrità (realistico), con la convinzione che chi osa alterare nella presentazione o peggio ancora deformare ciò che ha visto e sentito sia temerario. - Ha immaginato fin dall’inizio l’opera come ‘qualcosa di più’ di una raccolta di racconti: smascherare l’anima di quell’emiplegia o paralisi che molti considerano una città. I racconti secondo Joyce devono essere EPÌCLETI > greco epiklsis, ‘invocazione’; - nella liturgia cristiana indica l’invocazione a dio affinché operi la transustanziazione eucaristica per opera dello spirito, e la partecipazione dei comunicanti agli effetti benefici del sacrificio eucaristico. - Funzione di rivelare e dare corpo alla natura nascosta e segreta di una situazione o di un luogo non circoscritti, in continuità nel tempo e nello spazio: ampliamento temporale e spaziale delle epifanie (momenti improvvisi, non hanno continuità), al fine di dare un’organicità alla raccolta. - Struttura precisa: descrizioni dettagliate di eventi apparentemente banali, ma di fatto sono essenziali per i personaggi, che diventano emblemi di una condizione esistenziale in un preciso contesto storico. - La condizione condivisa dai personaggi è di immobilità, passività, impotenza, condizione da cui cercano di evadere ma sempre frustrati o col fallimento delle loro aspirazioni, bloccati dalla paralisi (morale, intellettuale, psicologica; The Sisters è l’unico racconto con un personaggio affetto da paralisi fisica, 77 Tutto il racconto ruota intorno alla figura del prete, che però non appare come personaggio nel vero senso della parola, perché di fatto viene presentato da altri personaggi: dominano la narrazione il suo comportamento erratico, la sua paralisi fisica ma anche spirituale, la sua morte. Di lui parlano altri personaggi (il ragazzo, le sorelle del prete, l’inquilino amico degli zii del ragazzo), quindi non c’è un’unica prospettiva su di lui, e nessuno degli altri personaggi offre una visione piena, anzi i resoconti di fatto non coincidono l’uno con l’altro. Resta al lettore il ruolo di conciliare i diversi resoconti e formarsi un’idea, che però in qualche modo risulta difficile e sostanzialmente non viene né confermata né smentita dal racconto stesso, quindi resta una forma di incertezza e perplessità. Altri personaggi sono le sorelle del prete presso le quali questo prete aveva vissuto e poi è morto: - una è Eliza, che cerca di razionalizzare il comportamento del fratello, alla fine della storia veniamo a sapere che a un certo punto il fratello rompe inavvertitamente il calice della messa, ma il calice è vuoto e dal quel momento non è più stato in sé e ha cominciato ad avere un comportamento strano. Una sera cercano Father Flinn e lo trovano chiuso di notte in chiesa in un confessionale che ride tra sé e sé e chi lo vede capisce che c’era qualcosa che non andava, non era più a posto. Eliza cerca di razionalizzare il comportamento del fratello ma è propensa a negare che qualcosa fosse andato storto. - L’altra sorella, Nanny, non partecipa al dialogo e vediamo solo le azioni che compie (versa lo cherry, sta per addormentarsi, ma non parla): è il classico personaggio muto, se ne trovano tanti in Joyce. Questo racconto è costruito su una serie di vuoti, omissioni, ellissi che punteggiano i discorsi degli adulti che evitano di parlare apertamente al bambino, anzi insinuano, alludono, fanno dei cenni più che dichiarare apertamente, non nominano mai e le frasi sono non finite, incomplete, spezzate. Quello che domina da un punto di vista retorico è la figura della reticenza e della soppressione: il discorso viene interrotto, infatti c’è un uso abbastanza frequente dei puntini di sospensione, e ciò impone un sovrappiù interpretativo perché ci domandiamo quali siano le ragioni per questa omissione, quindi quello che ci si immagina è che sia qualcosa che non va detto, che va sottaciuto perché forse è inesprimibile. Le figure retoriche della reticenza vengono sviluppate soprattutto nel Medioevo in relazione alla brevitas, al tipo di discorso breve, e le strategie per mettere in atto la brevity di cui parla Edgar Allan Poe sono anche questi vuoti, omissioni, ellissi, allusioni. Ad es: “Old Cotter (questo personaggio che va a dare la notizia della morta del prete agli zii e quindi anche al bambino) […] No, I wouldn’t say he was exactly… but there was something queer... there was something uncanny about him... I’ll tell you my opinion…” (prima pagina), poi ancora nelle pagine seguenti, è in vari punti nel testo e anche nel dialogo alla fine, quando il bambino e la zia vanno a trovare le sorelle del prete e vanno a portare le condoglianze per la morte del prete stesso. Siccome la narrazione è in prima persona, restringe la visione e la conoscenza del narratore, che in quanto persona ha dei limiti anche sensoriali che non può superare e ha una conoscenza e una visione limitata. Noi ci troviamo nella stessa posizione del bambino, infatti neanche il lettore è in grado di capire esattamente quello che viene omesso, lo possiamo immaginare ma non abbiamo mai certezze. Sembra che il bambino sia “chiuso fuori” dalla realtà degli adulti ma anche dalle istituzioni (la chiesa cattolica è importante visto che si tratta di un prete cattolico). Il bambino cerca di sapere, gli adulti gli rispondono ma senza dire, alludendo che ci sia qualcosa di importante dietro ciò che non dicono: insinuano che ci sia qualcosa di non adatto per i bambini, qualcosa che è bizzarro “queer”, “peculiar”, “unpleasant”, qualcosa di sporco. Questo aspetto delle sospensioni, vuoti ed emissioni è molto più accentuato nella seconda versione di The Sisters: nella versione che noi leggiamo come racconto di apertura di Dubliners, vediamo anche che davanti a tutto questo non-detto il bambino dice “I puzzle my head to extract meaning from his unfinished sententences” (mi lambiccavo il cervello per estrarre il significato dalle sue frasi non finite, lasciate incomplete, in sospeso). Il lettore si trova nella stessa posizione del bambino: l’esame di una situazione, il tentativo di comprensione e di decifrare ciò che accade attorno a lui, di estrarre significato dai racconti. Quello che emerge è anche un tipo di società che richiede che il tergiversare: l’eufemismo è di fatto la norma invece del discorso chiaro, tanto che questo racconto finisca proprio con un’altra omissione (“It was that chalice he broke… That was the beginning of it. Of course... But still… They say… I heard something…”). Poi la sorella Eliza racconta quello che avviene, racconta che lo trovano (“So then… himself”) e il racconto si chiude con Eliza che riprende questa dichiarazione (“wide-awake and laughing-like to himself… him…”): 80 questo rafforza il fatto che questo racconto sia costruito sull’ellissi, su tutto ciò che non viene detto – qualunque sia la ragione per non dirlo, o perché non si sa o perché non si osa dire – ed è una storia tutta di negativi relativi al non sapere e non dire, ed è proprio questo non sapere e non dire che viene espresso all’interno della storia. Riscrivendo The Sisters, Joyce ha trasformato un racconto sulla relazione tra un prete e un ragazzo nella rappresentazione di una cultura in cui la consuetudine, l’abitudine è quella di sopprimere, di tergiversare, non dire, forse legata anche a una sessualità imbarazzante, sgradevole, che accompagna quegli atti di soppressione. Il racconto presenta esattamente quel tipo di cultura religiosa, sociale, familiare che ha chiesto a Joyce – attraverso l’intervento degli editori – di modificare i suoi racconti. “There was no hope… deadly work” -> L’incipit del racconto è non solo l’inizio del racconto, ma anche l’inizio di tutta la raccolta. Il racconto, come tutta la raccolta di Dubliners, si apre con questa affermazione e carica l’intera raccolta con un senso di perdita della speranza e di irrimediabilità, di qualcosa che non può più essere cambiato. Le prime (no hope) e le ultime parole (the dead) non lasciano molta speranza riguardo i contenuti, non solo di questo racconto ma di tutta la raccolta, racchiusa tra la mancanza di speranza presentata e dichiarata nelle prime parole di apertura di The Sisters, e la morte alla fine dell’ultimo racconto. Inoltre rimanda a Dante: “lasciate ogni speranza o voi che entrate”, la scritta alla soglia dell’inferno che rimanda alla discesa in una regione sconosciuta, la regione dei morti, coloro che non hanno più alcuna speranza di vita o di resurrezione e devono pagare per l’eternità i peccati che hanno compiuto in vita. “There was no hope for him this time: it was the third stroke” (non c’era più speranza per lui questa volta, era il terzo ictus) si percepisce la mancanza di speranza che circonda la vita del prete. L’incipit dice che il bambino ogni notte va a vedere se vede le candele, se è cambiata l’illuminazione nella stanza del prete, perché se muore mettono le candele intorno al letto. “I said softly to myself the word paralysis. It had always sounded strangely in my ears, like the word gnomon in the Euclid and the word simony in the Catechism.” Le tre parole paralysis (paralisi), gnomon gnomone (no grande gnomo), e simony (simonia), che il bambino trova misteriose (le ripete in modo ritualistico), vengono inserite nella seconda versione e hanno un carattere fortemente simbolico, addirittura risuonano tematicamente in tutta la raccolta: - Paralysis: paralisi, immobilità, incapacità di fuggire, di uscire da una routine di pensiero o di azione, a cui gli abitanti di Dublino sono stati confinati o si sono auto-confinati; è la condizione che li caratterizza, d’altra parte Joyce stesso nelle sue lettere aveva dichiarato in maniera esplicita che voleva smascherare quella paralisi che riscontrava nella società dublinese. In questo caso è una paralisi fisica (ictus) ma è l’unico caso in Dubliners in cui la paralisi è dovuta a una malattia, mentre il tema della paralisi spirituale è presente in tutto il racconto. - Gnomon ha diversi significati questo termine: con “gnomone” si intende una parte di una meridiana che crea ombra e la parola viene dal greco che vuol dire “indicatore”, qualcosa che rivela, quell’indicatore che in una meridiana fa ombra e indica l’ora. Questo termine indica anche la squadra (intesa come strumento per il disegno a forma triangolare, che viene usata soprattutto in carpenteria). Ma qui Joyce parla di Euclide: nella geometria euclidea lo gnomone indica una figura piana (un quadrilatero, un rettangolo, o un quadrato) che viene formata rimuovendo un parallelogramma simile da un angolo di un parallelogramma più grande. Il fatto che Joyce usi questo termine potrebbe indicare il processo estetico usato da Joyce secondo cui in ogni storia c’è un’assenza, una rimozione, un’omissione: è una figura incompleta, ma la figura che resta quando si toglie una parte più piccola di questa figura. - Simony indica la compravendita di beni spirituali attraverso il denaro (per esempio sacramenti, indulgenza, consacrazioni, perdono); il termine simonia deriva da un episodio negli atti degli apostoli, in cui Simon Mago cercò di comprare dagli apostoli Pietro e da Giovanni il potere di conferire i doni dello spirito santo, offrendo loro denaro in cambio. Questi tre termini hanno a che fare con un certo tipo di mancanza: la paralisi è la mancanza di una funzione (l’uso per esempio di un arto o di una parte del corpo), lo gnomone è la mancanza di una struttura o di parte di essa e la simonia è la mancanza di un fine vero e proprio. Questo farebbe pensare, visto che questi termini sono legati al prete, che al prete sia stato sottratto qualcosa di più alto, forse la speranza o la fede: si tratta quindi una malattia fisica ma anche morale che si 81 carica di un valore simbolico, il venir meno di qualcosa di fondamentale, soprattutto perché il prete è la figura del maestro, del padre spirituale, dell’autorità agli occhi del bambino ma anche della stessa comunità, e ciò implica anche il fallimento del processo di formazione dei giovani, della trasmissione del sapere e della memoria storica all’interno di una società che si mostra ipocrita e pragmatica perché non dice, implica anche che la parola d’amore che il sacerdote dovrebbe trasmettere viene in qualche modo svenduta (la simonia svenduta da sacerdoti simoniaci). Sono quindi evidenti il realismo e l’attenzione al dettaglio che caratterizzano i racconti di Dubliners, che in fondo mostrano la natura più sporca, profonda e simbolica che non viene detta, ma che emerge comunque in qualche modo, così come Joyce voleva mostrare, anche attraverso la scelta del termine “epicleto” per scrivere i suoi racconti, che nonostante l’apparente semplicità presentano una profondità e anche una difficoltà di interpretazione a volte. Dubliners, An Encounter [2] Secondo racconto dell’infanzia, la trama è sempre semplice: due ragazzi un giorno programmano di marinare la scuola e di passare una giornata fuori in cerca di “avventure vere”. Le prime parti di questo racconto stabiliscono immediatamente il tono emozionale della storia e introducono i temi di libertà, avventura e conflitto, presentati attraverso l’immagine del gioco delle finte battaglie contro gli indiani nel Far West, che i ragazzi organizzano dopo la scuola per gioco. Viene anche introdotto un certo senso di noia ed irrequietezza. Il titolo è ricco di significati: encounter in inglese significa “incontro faccia a faccIa”, “imbattersi in qualcuno casualmente”, “incontro tra avversari o forze opposte in un conflitto”, quindi un sinonimo di battaglia e scontro, e anche se obsoleto significa anche incontro amoroso. Quindi di che tipo d’incontro si narra? In varia misura tutti questi sensi del termine sono presenti: in questo racconto Joyce affronta temi tabù legati alla sessualità, ma anche la noia, la delusione e la stanchezza per la vita di tutti i giorni. Incipit – nel primo paragrafo del testo si evidenziano i termini legati alla battaglia: qui è per gioco e per finzione narrativa, ciò che i ragazzini fanno dopo la scuola (“battles”, “battle”, “bouts” che vuol dire scontro), e il racconto sembra orientato verso un incontro-scontro con qualcosa o qualcuno. L’incipit suggerisce subito un mondo lontano e fantastico, il Far West, e la voglia di avventure non solo dei bambini ma anche il narratore che partecipa a questi giochi, perché “they opened doors of escape”, davano cioè la possibilità della fuga (o l’illusione di essa). Il protagonista però si stanca presto di questi giochi e ha voglia di avventure vere: “ the mimic warfare of the evening became at last as wearisome to me as the routine of school in the morning because I wanted real adventures to happen to myself. But real adventures, I reflected, do not happen to people who remain at home: they must be sought abroad.” Si percepisce una sorta di tensione tra il gruppo e l’individuo, il bambino che si stanca della finzione e ha voglia di vere avventure, che però non accadono alle persone che se ne stano a casa e devono esser cercate fuori. I due ragazzi iniziano un piccolo viaggio attraverso le strade di Dublino, una sorta di percorso iniziatico, di Odissea in miniatura: vanno in giro e scoprono la vita delle città, poi quando subentrano la stanchezza e la noia sono in riva a un fiume, alla confluenza tra il fiume Liffey (fiume di Dublino) e l’affluente Daughter. Questo è un luogo dove in tempi remoti sbarcavano gli scandinavi e sottoponevano alla prova delle armi gli indigeni vinti: si configura come un luogo mitico, dove c’è l’incontro rituale con gli stranieri. Qui i due bambini incontrano uno strano vecchio con un bastone (“he’s a queer old josser!”): la figura dello straniero che è anche una sorta di cantastorie perverso. Si avvicina e parla con loro, prima chiacchiera sul tempo, del più e del meno, la nostalgia della giovinezza, parla di letteratura, di poesie popolari, di romanzi storici, romanzi di sensazione (romanzi pubblicati nel XIX secolo), e si presenta come un vecchio sognatore, innamorato della lettura e dei racconti, proprio come il ragazzo narratore della storia di cui non si conosce il nome o lo stato familiare. Loro sono un po’ annoiati, “then began to talk of school and books”: parla della poesia di Thomas Moore, poeta sentimentale vissuto alla fine del ‘700 e gli anni ’50 dell’800, parla di Walter Scott e del romanzo storico, parla di Lord Lytton (autore prolifico, che ha fatto scandalo durante gli anni del XIX sec). 82 Lui promette di andare e di comperarle un regalo, però lui nonostante le sue intenzioni dipende dallo zio, c’è tutta una serie di elementi che l’ostacolano, alla fine lui riesce ad ottenere il permesso e ad arrivare a questo mercato, ma è tardi, le luci sono quasi spente e ci soltanto pochi banchi aperti. Si è precluso la possibilità anche di comperare un regalo per la ragazza, perché ha speso metà di quello che gli ha dato lo zio dando il denaro a un guardiano perché lo facesse passare da un’entrata secondaria. Quindi alla fine il bambino si ritrova nel bazar in chiusura, sa che deve andarsene, a un certo punto lui non si ricorda nemmeno più perché è lì. “I heard a voice… completely dark” si ritrova nel buio, “gazing up into the darkness…” e ha questa epifania, improvvisa rivelazione: scorge se stesso come una creatura trascinata e derisa dalla vanità, prende coscienza della vanità del desiderio, della vanità dell’amore come tale (qui vanità è da intendersi come futilità ma anche come splendore delle apparenze). Lui si avvicina a uno dei pochi banchi ancora aperti e sente il dialogo di due lì al banco, e a questo punto c’è una sorta d’implicito colpo di scena: il bambino si accorge che l’accento con cui parlano è un accento inglese (“I remarked their English accents and listened vaguely to their conversation”), quindi nel bazar, la fiera che rappresenta la via di fuga, l’esotico, la libertà, il protagonista sente parlare con l’accento inglese, cioè o sono inglesi o irlandesi del Nord quindi con ascendenza inglese, protestanti delle classi medie (gli inglesi sono socialmente e politicamente uno dei motivi principali della paralisi irlandese, quindi l’oriente ha assunto una valenza parodica negativa, anche pensando alla collocazione dell’Inghilterra che è a Oriente rispetto all’Irlanda, e ironicamente sono proprio gli inglesi ad organizzare quest’illusione di fuga verso la libertà tra gente oppressa e soggiogata). Lui a un certo punto dice “I looked humbly at the great jars that stood like eastern guards at either side of the dark entrance to the stall and murmured: No thank you” fallisce anche l’illusione: non può comprare nulla per la ragazza, i vasi ( eastern guards ) che sta osservando sono apparentemente uno scorcio sull’esotico, in realtà sono come guardie, quindi se da un lato sono descritti come “eastern”, cioè orientali e richiamano la libertà, dall’altro sono guardie e controllori di quella libertà e anche i fautori della paralisi , possono anche richiamare le guardie messe da Dio all’est dell’eden per impedire il ritorno di Adamo ed Eva cacciati (questo si trova nel libro della Genesi). Queste eastern guards sono probabilmente una conferma del potere britannico che s’insinua e che rende vano qualsiasi tentativo di fuga per riconquistare la libertà, a questo punto il protagonista ripiomba nell’oscurità e l’ultima frase con cui si chiude il racconto ha un linguaggio poetico, sottolineato anche dalle figure foniche di assonanze e allitterazioni (“driven and derided”, “anguish and anger”). Qui la stessa cosa: il vicolo cieco e la casa isolata ora diventano un paesaggio interiore, e il bambino è costretto a prendere coscienza della vanità del tutto e probabilmente anche dell’amore stesso. L’oscurità che chiude come aveva aperto il racconto. Dubliners, Eveline [4] Tecniche narrative: d’ora in poi narrazione in terza persona, non necessariamente con distanziamento dal personaggio, ma col discorso indiretto libero il narratore ne riporta pensieri e sensazioni (filtrati da lui). La vicenda di Eveline si condensa nel momento della scelta della protagonista che deve capire se restare a Dubino o andare con Frank a Buenos Aires, lasciando la vita squallida fatta finora  in realtà la scelta è già stata fatta, ma lei sta ripensando al momento e al futuro: va indietro e avanti del tempo, anche se non si stacca dal presente. Il racconto si apre con lei alla finestra e ricorda lo squallore del passato ma anche le piccole gioie. A causa della devozione alla madre malata non riesce ad accettare la proposta del ragazzo e resta bloccata al porto. Incipit di Eveline, riprende lo sguardo che scruta nella penombra di Araby: lei seduta guarda infatti fuori, con la testa appoggiata alla tenda: sensazione olfattiva della ragazza dal suo punto di vista, sebbene con la voce del narratore. Lei resta per tutto il racconto alla finestra, c’è solo un’azione che fa, cioè andare al porto; non viene descritto il tragitto, è direttamente descritta lì (strategia del racconto breve). Lei finché è in casa osserva degli oggetti che descrive come vecchi e polverosi, quindi ciò che lascerebbe alle spalle sarebbe deprimente. La proposta dal ragazzo di andare via non è attiva, ma passiva. 85 Lei si chiede cosa diranno al negozio dove lavorava quando sapranno che è scappata via: pensa alla donna che la odia e che sarebbe felice. L'azione del presente però nel frattempo che pensa è bloccata. Dopo una lunga sezione che parla delle informazioni sulla vita della protagonista molto negative (violenza del padre, morte della madre, difficoltà economica): la fuga può essere un cambiamento anche sociale. Riflette però su quanto poi la sua vita non fosse così malvagia, provando anche un po’ di nostalgia, cosa che risulta incoerente da tutto il resto del tempo. Lei sembra si ripeta spesso che la fuga possa essere la cosa giusta, quasi avesse bisogno di convincersi. Per la prima volta il ragazzo viene chiamato per nome, Frank, che le aveva raccontato tante storie (però si sa non siano così veritiere). Ci si chiede quanto Frank sia ‘franco’, onesto, ma non si scopre mai. La ragazza si chiede quanto la vita sarebbe realmente diversa a Buenos Aires. Lei è intrappolata tra il desiderio di fuga e l’obbligo di rimanere a casa a prendersi cura della madre. Durante tutto quello che è stato letto finora la ragazza era stata seduta e sente una melodia che le ricorda la madre, ma poi avviene lo scatto e scappa per la salvezza al porto. Arrivata laggiù lei si sente male tra la gente ma lui la prende per mano e inizia a tirarla per farla salire. Prima vedeva il ragazzo come una salvezza, adesso lo vede come ciò che l’affogherà. Lei è talmente paralizzata che non riesce a pensare. Dubliners, After the Race [5] Trama. Mentre molte auto appariscenti si dirigono verso Dublino, la folla si raduna e applaude: Jimmy Doyle sale su una delle auto con il suo ricco amico francese, Charles Ségouin, conosciuto durante gli studi a Cambridge. Con loro viaggiano anche altri due uomini: André Riviére, cugino canadese di Ségouin, e Villona, pianista ungherese. Tornando a Dublino, i giovani si rallegrano per la vittoria e Jimmy si gode il prestigio del viaggio. Pensa al suo recente investimento nell'impresa automobilistica di Ségouin, un sostegno finanziario che il padre, macellaio di successo, approva e sostiene. Jimmy assapora la notorietà di essere circondato e visto da una compagnia così affascinante e in un'auto così lussuosa. Ségouin lascia Jimmy e Villona a Dublino, in modo che possano tornare a casa di Jimmy, dove alloggia Villona, per cambiarsi in abiti formali per la cena all'hotel di Ségouin. Alla cena, la comitiva riunita si unisce a un inglese, Routh. Jimmy, parlando delle relazioni tra irlandesi e inglesi, suscita la reazione stizzita di Routh, ma Ségouin spegne ogni possibilità di discussione con un brindisi. Dopo il pasto, i ragazzi passeggiano per Dublino e si imbattono in un'altra conoscenza, un americano di nome Farley, che li invita sul suo yacht: la festa si fa più allegra e i ragazzi cantano una canzone francese mentre si dirigono verso il porto. Una volta a bordo, gli uomini ballano e bevono mentre Villona suona il pianoforte. Jimmy fa un discorso che i suoi compagni applaudono a gran voce, poi gli uomini si sistemano a giocare a carte. Ubriaco e stordito, Jimmy gioca una partita dopo l'altra, perdendo sempre più soldi. Desidera ardentemente che il gioco finisca, ma continua a giocare. Un'ultima partita lascia Routh campione. Anche se è il più grande perdente insieme a Farley, il morale di Jimmy non si abbassa mai. Sa che l'indomani proverà rimorso, ma si assicura di essere felice proprio quando Villona apre la porta della cabina e annuncia che è arrivato il giorno. - desiderio potenzialmente distruttivo di denaro e status: indicati la posizione monetaria e i legami sociali della maggior parte dei personaggi, ma la storia si concentra sugli sforzi di Jimmy di inserirsi in una classe agiata; è completamente libero e infantilmente capriccioso verso la vita e la cultura. - Come molti dei personaggi di Dubliners, Jimmy ha un’epifania in cui riconosce la verità della sua situazione, ma non fa nulla per cambiarla. Dopo aver perso rovinosamente a carte, Jimmy si mette la testa tra le mani, sapendo che l'indomani si manifesterà il rimpianto. L'ironia della conclusione sta nel fatto che l'indomani è già lì, che l'alba è arrivata. - Jimmy affronta sempre la realtà della sua finta ricchezza e delle sue follie, ma la evita anche: il rimpianto è costantemente in agguato sotto la superficie delle sue azioni, eppure rinuncia a riconoscerlo. - Quando Jimmy pronuncia il suo discorso sullo yacht, non riesce a ricordare ciò che ha detto solo pochi istanti dopo averlo terminato, ma si assicura che deve essere stato decente se persone così eccellenti lo hanno applaudito. La storia dipinge Jimmy come un uomo semplice e passivo, che ripone fiducia nel denaro che gli sfugge costantemente. - In evidenza gli interessi politici alla base della richiesta di denaro da parte della famiglia Doyle: l'attività redditizia del padre macellaio è fiorita a costo delle sue idee politiche. Sebbene un tempo fosse un fervente sostenitore dell'indipendenza irlandese, il padre guadagna grazie a contratti con la stessa polizia che sostiene la legge britannica. Agisce anche contro l'interesse nazionale di promuovere tutto ciò che è irlandese, mandando il figlio in Inghilterra e incoraggiando i suoi investimenti in imprese 86 commerciali francesi. Quando Jimmy tenta di parlare di queste questioni dibattute a tavola, la sua voce viene messa a tacere. - L'inglese lascia questa storia da vincitore : come le auto di lusso che sfrecciano via dalla campagna per tornare sul continente nell'incipit, alla fine della storia tutto il denaro sembra fuggire dalle tasche di Jimmy verso quelle di altri. Gli irlandesi finiscono sempre all'ultimo posto. Dubliners, Two Gallants [6] Trama. Lenehan e Corley, due uomini dalle occupazioni sospettosamente vaghe, camminano per le strade del centro di Dublino dopo una giornata di bevute in un bar. Corley chiacchiera del suo ultimo interesse romantico, una cameriera che lavora in una casa benestante e con la quale ha un appuntamento quella sera. Si vanta delle sigarette e dei sigari che la cameriera sottrae dalla casa e di come sia riuscito a evitare di dirle il suo nome. Lenehan ascolta pazientemente, ogni tanto con una domanda o una risposta banale. Mentre parlano, rivelano un piano che hanno escogitato per convincere la cameriera a procurarsi denaro dalla casa del suo datore di lavoro. Lenehan chiede ripetutamente a Corley se pensa che lei sia adatta ai loro affari, il che lancia Corley in una breve lezione sull'utilità di una buona cameriera, o "slavey": a differenza di altre donne che insistono per essere ricompensate, Corley spiega che le schiave si danno da fare. Si sofferma malinconicamente a ricordare una delle sue ex amanti che ora lavora come prostituta, e Lenehan ironizza sul fatto che Corley, che sembra eccellere nel fare il pappone, deve aver incoraggiato questa professione. Gli uomini riprendono a discutere del loro piano e Corley conferma che la cameriera si presenterà come promesso. Passano davanti a un'arpista che suona una canzone luttuosa sulle leggende irlandesi, poi si avvicinano all'angolo stabilito dove la cameriera sta aspettando  descrizione, è una giovane donna dalle guance rosse, vestita in modo strano con un cappello da marinaio e un boa a brandelli. Lenehan, impressionato dal gusto di Corley, la guarda. Corley sembra scontento, sospettando che Lenehan voglia estrometterlo dal piano. Ma mentre lascia Lenehan per andare a salutare il suo accompagnatore, promette di passare oltre per permettere a Lenehan di guardarla di nuovo. Gli uomini concordano di incontrarsi più tardi quella sera in un angolo vicino alla casa della cameriera. Lenehan guarda Corley e la cameriera che si allontanano e lancia un'altra occhiata intensa prima di posizionarsi in modo da poter guardare la coppia passare ancora una volta. Finalmente solo, Lenehan vaga senza meta per Dublino per passare il tempo. Non volendo parlare con nessuno, Lenehan continua a camminare finché non si ferma a mangiare in un bar, e contempla tristemente la sua vita: invece di tirare avanti, desidera un lavoro fisso e una vita familiare stabile. Lenehan lascia il bar e si dirige verso Corley. Lenehan fuma nervosamente una sigaretta, temendo che Corley lo abbia escluso dal piano, prima di scorgere Corley e la cameriera. Cammina furtivamente dietro la coppia fino a quando si fermano in una residenza elegante, dove la cameriera entra di corsa dall'ingresso della servitù. In un attimo esce dalla porta d'ingresso, incontra Corley e torna dentro di corsa. Corley se ne va. Lenehan lo insegue, ma Corley ignora i suoi richiami. Alla fine Corley si ferma e mostra a Lenehan una moneta d'oro, segno che il piano è riuscito. - titolo ironico: Corley e Lenehan sono tutt'altro che uomini galanti, raffinati e cavallereschi. Al contrario, ingannano le cameriere per indurle a rubare ai loro datori di lavoro. - Contrasto e descrizione: Lenehan è più riflessivo, fornisce un equilibrio tranquillo e contemplativo alle azioni corpulente di Corley, che ha ideato ed eseguito il piano attuale; Lenehan è un uomo di Dublino letteralmente sul filo del rasoio (ha un piede sul sentiero e uno sulla strada mentre cammina con Corley, deve prendere tempo mentre Corley corteggia la ragazza), vive sull'orlo della bancarotta e molti lo considerano "una sanguisuga". Entrambi gli uomini conducono una vita dissoluta con poche prospettive, solo il denaro facile dà loro speranza, per entrambi la moneta è la ricompensa e il desiderio finale. - Anche se Lenehan e Corley usano il tradimento per fare soldi, entrambi sono ansiosi di tradire. Corley orchestra il suo incontro con la cameriera in modo difensivo, lasciando a Lenehan solo scorci lontani della cameriera per paura della concorrenza. Allo stesso modo, Lenehan tormenta Corley sulla scelta della vittima, preoccupato che il piano fallisca e lo lasci ancora una volta senza un soldo. Quando Corley e la cameriera ricompaiono più tardi di quanto Lenehan si aspettasse, Lenehan si convince momentaneamente che Corley lo abbia truffato, e solo nell'ultima frase del racconto si ha la certezza che la collaborazione tra gli uomini sia intatta  costante preoccupazione per il tradimento riappare in tutto Dubliners (rif. scandalo irlandese in cui il politico Parnell, secondo i suoi fedeli seguaci, fu abbandonato dal governo irlandese e da molti elettori quando la notizia della sua relazione trapelò sulla stampa): Lenehan e Corley fanno parte di una generazione delusa, che ora sente di non avere nessuno di cui fidarsi, e questo stato d'animo porta solo a ulteriori tradimenti. - Le immagini nazionali tradizionali collegano le vite disperate e superficiali dei due con l'Irlanda stessa. (es l'arpa, simbolo tradizionale dell'Irlanda): fuori da un ricco club per gentiluomini anglo-protestanti, gli uomini incrociano un'arpista che suona uno strumento femminilizzato, spoglio e "stanco". Mentre Corley galoppa con la sua 87 una tragica rivelazione: sa di essere "prigioniero" in casa. La fugace resistenza del piccolo Chandler è come una nuvoletta che passa nel cielo. - Alla fine della storia si vergogna del suo comportamento sleale, completando il cerchio di emozioni, dal dubbio alla certezza al dubbio, che probabilmente ripeterà per il resto della sua vita. La storia finisce dove era iniziata: con il piccolo Chandler che sospira per le sue aspirazioni non realizzate, ma che si sottomette al malinconico pensiero che "era inutile lottare contro la fortuna": la routine circolare affligge Chandler come la maggior parte dei personaggi di Dubliners. - Rapporto con Gallaher. L'incapacità di Chandler di mettere in atto i suoi desideri e la sua dipendenza da Gallaher per le esperienze a cui può partecipare in modo vicario lo rendono simile a Lenehan in Two Gallants : come Lenehan si trova all'ombra di Corley, il piccolo Chandler ammira e invidia Gallaher. Anche quando si rende conto che Gallaher rifiuta il suo invito a vedere la sua casa e la sua famiglia per disinteresse, tiene per sé questi sentimenti. In Gallaher, un vecchio amico che ha fatto bene, il piccolo Chandler vede la speranza di fuga e di successo. Questa amicizia sostiene le fantasie di Little Chandler, permettendogli di sognare che Gallaher possa presentare una delle sue poesie a un giornale londinese e facendolo sentire superiore per le sue conoscenze all'estero. Allo stesso tempo, man mano che l'incontro al pub procede, Little Chandler si sente imbrogliato dal mondo, poiché Gallaher può avere successo e lui no, e quindi ancora una volta l'amico fornisce un barometro con cui misurarsi e giudicarsi. Lasciato da solo con i suoi libri, il piccolo Chandler deve affrontare le proprie mancanze. Dubliners, Counterparts [9] Trama. In uno studio legale molto frequentato, uno dei soci, il signor Alleyne, ordina con rabbia alla segretaria di mandare Farrington nel suo ufficio. Farrington è un impiegato incaricato di fare a mano le copie dei documenti legali, e non è riuscito a produrre in tempo un documento importante. Alleyne deride Farrington e gli dice duramente che se non copia il materiale entro l'orario di chiusura, la sua incompetenza sarà segnalata all'altro socio. L'incontro fa arrabbiare Farrington, che per sfuggire a questa situazione si organizza per bere con gli amici. Farrington torna alla sua scrivania ma non riesce a concentrarsi sul lavoro. Si allontana dall'impiegato capo per recarsi di nascosto al pub locale, dove beve rapidamente una birra. Due clienti stanno parlando con l'impiegato capo quando Farrington torna in ufficio, rendendo evidente la sua assenza. L'impiegato gli chiede di portare un fascicolo al signor Alleyne, anch'egli in compagnia di un cliente. Farrington si rende conto che il fascicolo richiesto è incompleto perché non ha copiato due lettere come richiesto. Sperando che il signor Alleyne non se ne accorga, Farrington consegna il fascicolo incompleto e torna alla sua scrivania per lavorare al suo progetto. Di nuovo incapace di concentrarsi, Farrington sogna bevande calde e pub affollati, per poi rendersi conto, con rabbia crescente, che completare il compito è impossibile e che non ha alcuna speranza di ottenere un anticipo sullo stipendio per finanziare la sua sete. Nel frattempo, il signor Alleyne, avendo notato le lettere mancanti, si è presentato alla scrivania di Farrington con la sua cliente, la gioviale signorina Delacour, e ha iniziato un'altra critica offensiva del lavoro di Farrington, che sostiene di essere ignorante e insulta argutamente il signor Alleyne per il divertimento della signorina Delacour e dei suoi colleghi. Costretto a scusarsi con il signor Alleyne, Farrington lascia il lavoro senza aver completato il suo progetto e temendo il sicuro contraccolpo in ufficio. Deciso più che mai ad andare al pub, Farrington impegna il suo orologio da tasca per avere i soldi per bere. Alla prima fermata incontra i suoi amici Nosey Flynn, O'Halloran e Paddy Leonard e racconta loro il momento di gloria in cui ha insultato il suo capo. Un altro impiegato dell'ufficio arriva e si unisce a loro, ripetendo la storia. Ben presto gli uomini lasciano il pub e O'Halloran, Leonard e Farrington si spostano in un altro locale. Lì Leonard presenta agli uomini un acrobata di nome Weathers, che accetta volentieri i drink che gli altri uomini gli offrono. Farrington si irrita per la quantità di denaro che spende, ma gli uomini continuano a bere e si spostano in un altro pub. Le frustrazioni di Farrington aumentano quando flirta con una donna elegante seduta lì vicino, che alla fine ignora le sue avances. Leonard e O'Halloran convincono Farrington a fare braccio di ferro con Weathers, che si è vantato della sua forza con gli uomini. Dopo due tentativi, Farrington perde. Pieno di rabbia e umiliazione, Farrington torna a casa a Shelbourne Road, una zona di classe medio-bassa a sud-est del centro città. Entrando nella sua casa buia, chiama la moglie Ada ma viene raggiunto da uno dei cinque figli, il figlio Tom. Quando Tom lo informa che Ada è in chiesa, Farrington ordina a Tom di illuminare la casa e di preparare la cena per lui. Poi si rende conto che il fuoco della casa è stato lasciato spegnere, il che significa che la sua cena tarderà ad arrivare. Con la rabbia che ribolle, Farrington inizia a picchiare Tom, che promette con tono sommesso di recitare un'Ave Maria per Farrington se si fermerà. - Mentre molti personaggi di Dubliners desiderano qualcosa, affrontano ostacoli frustranti e alla fine rinunciano ai loro desideri nella paralisi: Farrington vede tutto nel mondo come un ostacolo al suo benessere e si arrabbia. Il tedio del lavoro irrita Farrington per primo, ma anche tutto ciò che incontra nella storia. 90 - La radice del comportamento violento ed esplosivo di Farrington è l'esperienza circolare di routine e ripetizione che definisce la sua vita. Il lavoro di Farrington si basa sulla duplicazione: copia documenti per un capo esigente, quindi produce repliche di altre cose, e la monotonia di questo lavoro lo fa infuriare. - Farrington immagina di potersi liberare da questa attività mortificante nel calore e nelle bevande dei locali pubblici, ma le sue esperienze lì generano solo ulteriore routine. Ripete la storia del confronto con Mr. Alleyne ai suoi amici, che a loro volta la ripetono. Seguendo la tradizione del "giro", in cui ogni persona di un gruppo offre a turno da bere a tutti i compagni presenti, spende continuamente denaro e consuma altro alcol. La presenza di Weathers, che approfitta di questo sistema, fa capire a Farrington come la tradizione e la ripetizione lo derubino letteralmente. - La sua rabbia aumenta nel corso della storia. Farrington va avanti nella storia senza soffermarsi a riflettere sulle sue azioni o sul motivo del suo malcontento. Di conseguenza, le sue attività circolari diventano sempre più brutali. Quando perde due incontri di braccio di ferro con Weathers, un "semplice ragazzo", torna a casa solo per picchiare il suo stesso ragazzo. Ciò che inizia come una banale copiatura sfugge al controllo e diventa un ciclo di abusi brutali. Mentre altri personaggi della raccolta riconoscono le loro vite di routine, lottano e poi accettano passivamente il loro destino, Farrington è inconsapevole e implacabile. - L'abuso a cui alludono altri racconti di Dubliners diventa esplicito in Counterparts, e il tema emotivo costante della rabbia è alla base di ogni evento della storia. - Il titolo, "Controparti", si riferisce a una copia di un documento legale, l'oggetto della carriera di Farrington, ma anche a cose simili o uguali tra loro. Farrington vive una vita di controparti, con fini pericolosi. - Per Farrington, la vita si ripete: lavoro = pub = casa. Quando la routine e la ripetizione sono la spina dorsale dell'esperienza, la passività può essere il risultato, ma anche la frustrazione può essere volatile. - Joyce usa aggettivi come "pesante", "oscuro" e "sporco" per descrivere Farrington: egli è letteralmente logorato dalla frustrazione e dalla rabbia. Nemmeno la disperata servitù e la pietà del figlio lo toccano, segnalando che la spiritualità non riesce a salvare e a proteggere. Farrington non è in grado di rendersi conto che le proprie azioni sono ben peggiori della beffarda crudeltà del suo capo. - Joyce si riferisce a Farrington sia con il suo nome che come "l'uomo" nel corso della storia. In una frase è il personaggio familiare di Farrington che il lettore segue per tutta la storia, ma in un'altra è "l'uomo" per strada, sul treno, in un ufficio. Farrington, in un certo senso, agisce come un tipo scambiabile o generale, un uomo specifico come un uomo qualunque: suggerisce che la sua brutalità non è nulla di insolito. Dubliners, Clay [10] Maria, cameriera presso un'associazione protestante che ospita donne in difficoltà, esamina con orgoglio i preparativi per i festeggiamenti di Halloween al lavoro. Scorrendo il programma della serata, Maria si aspetta anche di festeggiare più tardi con la famiglia di un amico, Joe Donnelly. Maria ha assistito Joe e suo fratello Alphy quando erano piccoli ed entrambi hanno aiutato Maria a ottenere il suo attuale lavoro. Sebbene all'inizio Maria non si sentisse a suo agio con l'associazione protestante dell'istituto, ha imparato ad accettarla ed è molto amata dal personale e dai residenti. Durante i festeggiamenti Maria distribuisce il pane stagionale speziato (barmbrack) e il tè. Una delle donne brinda a Maria. In seguito, Maria si prepara per il viaggio verso la casa di Joe, ammirandosi allo specchio prima di uscire dalla sua stanza. Mentre si reca da Joe, Maria fa un po' di shopping. Muovendosi per le strade affollate, visita due negozi per comprare torte per i bambini e un plumcake speciale per Joe e sua moglie. Sale su un tram affollato e si siede accanto a un "signore dall'aspetto di colonnello" che le fa gentilmente posto. Durante il viaggio chiacchierano con disinvoltura e alla fermata di Maria si salutano cordialmente. A casa di Joe, i Donnelly accolgono con gioia Maria. Maria distribuisce i dolci ai bambini, ma quando va a prendere il plumcake, non trova il pacchetto. Maria cerca disperatamente dappertutto, senza successo. I Donnelly suggeriscono che probabilmente l'ha lasciato sul tram, il che fa pensare a quell'uomo e Maria si rimprovera di essersi fatta distrarre dalla sua presenza e di aver rovinato il suo regalo a sorpresa. Joe consola Maria raccontandole storie sul suo ufficio e offrendole noci e vino. La conversazione si sposta sul passato e Maria cerca di parlare bene di Alphy. I fratelli hanno litigato, anche se Joe ha dato il nome di Alphy al figlio maggiore. Joe si mette sulla difensiva e la moglie tenta di sviare la questione iniziando un giro di giochi tradizionali di Halloween. Due ragazze della casa accanto aiutano i bambini a sistemare un tavolo di piattini pieni di oggetti diversi e conducono una Maria bendata verso di loro. Maria tocca il piattino con un cumulo di argilla bagnata (rappresenta la morte prematura). La moglie di Joe rimprovera le ragazze in visita, come se l'argilla non dovesse essere una scelta di cattivo auspicio. Maria allunga di nuovo la mano e tocca un libro di preghiere, (prevede una vita pia in un convento). I festeggiamenti proseguono felici fino a quando Joe chiede a Maria di cantare per la famiglia. Con la signora Donnelly al pianoforte, Maria canta timidamente "I Dreamt that I Dwelt", un'aria d'opera popolare scritta da un compositore 91 irlandese del XIX secolo. Maria canta la prima strofa due volte, ma nessuno le fa notare l'errore. Joe è visibilmente commosso fino alle lacrime e, per nascondere la sua reazione, chiede alla moglie dove sia il cavatappi. - A differenza delle protagoniste femminili dei racconti precedenti, Maria non affronta decisioni e situazioni con grandi conseguenze, ma piuttosto quelle le cui conseguenze sembrano piccole o addirittura inesistenti. In questo racconto non sembra accadere nulla di particolare, e la sua inazione risalta ancora di più perché segue la violenta "Controparte" della raccolta. - Maria illustra la vita tranquilla di una domestica single, la cui reputazione immacolata di "portatrice di pace" attesta il suo stile di vita placido. L'entusiasmo con cui la famiglia Donnelly la accoglie dimostra che anche al di fuori del lavoro è amata. Maria è una donna piccola e gentile, la cui risata continua porta la punta del naso a sfiorare il mento, come se si perdesse nella sua gioia. - Tuttavia, gli eventi di Clay, sebbene tranquilli, sono tutt'altro che innocui. Persino Maria, con la sua vita serena, cova infelicità e frustrazione ed è di fatto imprigionata tedio della routine. Maria ha così pochi conflitti e così poche esperienze variegate che i minimi dettagli della vita quotidiana sono diventati il fulcro delle sue energie, e questi dettagli le fanno morire la vita. - Per Maria tutto richiede organizzazione e precisione: supervisiona scrupolosamente la distribuzione delle porzioni di cibo all'ente di beneficenza, si vanta del suo corpo pulito e ordinato e divide ripetutamente i minuti da dedicare al viaggio e alla spesa per la sera da Joe. Maria intende che la sua attenzione ai minimi dettagli crei ordine e chiarezza nella sua vita, ma questa rigidità in realtà incoraggia la frustrazione e le reazioni emotive sproporzionate alla situazione (è così furiosa con se stessa e con la sua sbadataggine che quasi piange per il plumcake perso). - A differenza di Eveline, che si sente insensibile alla perdita dell'amante e di una potenziale nuova vita, Maria prova emozioni acute per eventi molto più banali -> le reazioni di Maria sono altrettanto frenanti di quelle di Eveline. Molto probabilmente Maria si concentra sui piccoli dettagli della vita per evitare dolori più grandi. Joe mostra lo stesso comportamento: copre la sua misteriosa e lacrimevole reazione alla canzone di Maria chiedendo alla moglie di mostrargli dove si trova un comune oggetto domestico. Preoccuparsi di questioni così banali aiuta a reprimere gli aspetti più difficili della vita. Il lettore non sa cosa muove Joe, né cosa Maria possa provare profondamente. - Il titolo "Argilla" richiama l'attenzione sulla fatidica scelta dell'argilla da parte di Maria nel gioco di Halloween e applica questo simbolismo di morte precoce all'intera storia. Piuttosto che sottintendere una morte letterale, l'argilla proietta la vita poco movimentata e attenta ai dettagli di Maria come una morte precoce metaforica. L'argilla suggerisce anche lo stato di Maria e della sua vita fino a quel momento: - come il paralitico padre Flynn di The Sisters , Maria è in bilico tra la vita e la morte, dove l'impegno con l'ambiente circostante non può andare oltre un livello superficiale e materiale. - Come Farrington in Counterparts , non riesce a riconoscere la noiosa routine dei suoi giorni, come suggerisce la ripetizione della canzone. Maria non modella attivamente la sua esperienza in modo significativo, ma lascia che la plasmi. L'immagine del suo volto che si accascia in una risata implica che Maria, nella sua cieca felicità, è plasmabile e morbida, come l'argilla. Maria sceglie il libro di preghiere dopo l'argilla, il che suggerisce che potrebbe trovare una via di fuga nella vita di clausura di un convento: che Maria fugga o meno, una parte di lei morirà, perderà la sua vivacità a favore del grigiore della routine, o perderà la vita che conosce per una che non le è familiare. Dubliners, A Painful Case [11] Cassiere di banca prevedibile e poco avventuroso, il signor Duffy vive all'insegna della prudenza e dell'organizzazione: tiene una casa ordinata, mangia negli stessi ristoranti e fa gli stessi spostamenti quotidiani. Di tanto in tanto, il signor Duffy si concede una serata all'opera o a un concerto e, in una di queste serate, intavola una conversazione con un altro spettatore, la signora Sinico, una donna affascinante che siede con la figlia piccola. In seguito, altri incontri si susseguono in occasione di altri concerti e alla terza occasione il signor Duffy fissa un giorno e un'ora per incontrarsi di proposito con lei. Poiché la signora Sinico è sposata e il marito, capitano di una nave mercantile, è costantemente fuori casa, il signor Duffy si sente leggermente a disagio per la natura clandestina della relazione. Ciononostante, i due continuano a incontrarsi, sempre a casa di lei. Le loro discussioni ruotano intorno ai loro interessi intellettuali simili, tra cui libri, teorie politiche e musica, e ad ogni incontro si avvicinano sempre di più. Questa condivisione ammorbidisce gradualmente il carattere duro del signor Duffy. Tuttavia, durante uno dei loro incontri, la signora Sinico prende la mano del signor Duffy e la mette sulla sua guancia, cosa che infastidisce profondamente il signor Duffy. Egli ritiene che la signora Sinico abbia mal interpretato i suoi atti di compagnia come avances sessuali. In risposta, interrompe la relazione, prima interrompendo le visite e poi organizzando un ultimo incontro in una pasticceria di Dublino, deliberatamente non a casa della signora Sinico. I due concordano di porre fine alla relazione, ma la presenza emotiva della signora Sinico a questo incontro suggerisce che è meno disposta a dire addio di quanto lo sia il signor Duffy. 92 pianoforte e francese in una scuola conventuale, come ha fatto la signora Kearney, e riceve anche ripetizioni di irlandese su insistenza della madre. La signora Kearney non è sorpresa quando il signor Holohan propone a Kathleen di esibirsi come accompagnatrice nella serie, e consiglia al signor Holohan di redigere un contratto per ottenere un pagamento di otto ghinee per l'esibizione di Kathleen nei quattro concerti. Data l'inesperienza del signor Holohan nell'organizzare un evento del genere, lo aiuta anche a stendere il programma e a svolgere altri compiti. Dopo i suoi sforzi, la signora Kearney rimane turbata quando i concerti si rivelano al di sotto dei suoi elevati standard. I primi due concerti sono poco frequentati, il pubblico si comporta in modo "indecoroso" e molti degli artisti sono mediocri. La signora Kearney si lamenta con il signor Holohan, ma né lui né il segretario capo, il signor Fitzpatrick, sembrano preoccupati dell'affluenza. Ciononostante, il comitato della Società cancella il terzo concerto nella speranza di aumentare l'affluenza per quello finale. Questo cambiamento di programma fa infuriare la signora Kearney, che si è già aggravata per gli atteggiamenti lassisti degli uomini e per quelle che lei considera maniere scorrette. Si rivolge al signor Holohan e insiste sul fatto che un tale cambiamento non dovrebbe alterare il pagamento pattuito, ma il signor Holohan si limita a rimandarla al signor Fitzpatrick, che si sottrae alle sue richieste. La sera del concerto finale, la signora Kearney, accompagnata dal marito e da Kathleen, arriva in anticipo alla sala per incontrare gli uomini, ma né il signor Holohan né il signor Fitzpatrick sono arrivati. Mentre i musicisti si riuniscono e attendono l'apertura del sipario, la signora Kearney si aggira nel camerino finché non trova il signor Holohan e, seguendolo in un corridoio tranquillo, insiste sulla questione del contratto. Lui insiste ancora una volta che tali questioni non sono "affari suoi" e che lei deve consultare il signor Fitzpatrick. Infuriata, torna nel camerino, dove i musicisti aspettano che Kathleen li raggiunga per iniziare l'esibizione, che il pubblico reclama a gran voce. La signora Kearney trattiene la figlia e, quando arriva il signor Holohan per chiedere spiegazioni sul ritardo dell'esibizione, annuncia che Kathleen non si esibirà se non verrà pagata per intero. Il signor Holohan se ne va in fretta e furia e torna con il signor Fitzpatrick, che dà alla signora Kearney metà della somma, spiegando che il resto arriverà all'intervallo, dopo l'esibizione di Kathleen. Kathleen si esibisce, mentre gli artisti e i membri del comitato criticano il comportamento aggressivo della signora Kearney. Nell'intervallo, i signori Fitzpatrick e Holohan informano la signora Kearney che pagheranno il saldo alla figlia dopo la riunione del comitato della prossima settimana. Ma la signora Kearney battibecca furiosamente con il signor Holohan e alla fine allontana la figlia, lasciando la sala da concerto. In "Una madre", l'approccio pratico ma inflessibile della signora Kearney alla vita , pur ottenendo il più delle volte ciò che vuole, alla fine non fa altro che aumentare la sua rabbia. La signora Kearney si spinge a portare a termine qualsiasi compito, sfida o necessità si presenti, spesso senza mostrare grandi emozioni. Sposa il marito solo per essere sposata, non per amore. Insistendo in modo irremovibile affinché la figlia Kathleen venga pagata per intero per la sua esibizione, la signora Kearney persegue i suoi interessi a tal punto da vanificare i suoi sforzi per perfezionare il concerto e se stessa. Quando gli organizzatori forniscono solo la metà del compenso, la signora Kearney mette in imbarazzo la figlia e ne rovina la carriera, spazzandola via dalla sala da concerto e irritando tutti. La signora Kearney non si preoccupa di una cifra irrisoria, insiste, ma dei suoi diritti e del suo rispetto. La storia lascia il lettore a indovinare perché la signora Kearney abbandoni la sua causa e lasci la sala da concerto. È umiliata? Si rende conto che nessuno condivide o simpatizza con le sue frustrazioni? Come "una pietra arrabbiata", la signora Kearney non si ammorbidisce alle circostanze e non ci ripensa. Come altri personaggi di Dubliners, continuerà a vivere secondo la sua routine. Attraverso il carattere esigente della signora Kearney, "Una madre" critica sottilmente le preoccupazioni superficiali sul profilo sociale. Gli immensi sforzi della signora Kearney per organizzare e perfezionare non sono motivati dall'ambizione di avere successo, come suggerisce la storia, ma dalla preoccupazione per lo status e l'apparenza. La signora Kearney prepara per Kathleen un'educazione al pianoforte, al francese e all'irlandese, che rende evidente l'interesse della famiglia per la cultura e l'impegno nazionalista. Il concerto offre alla signora Kearney l'occasione ideale per far risplendere Kathleen come beniamina della cultura irlandese, ma le sue frustrazioni nei confronti dei membri della società, le sue lamentele per il luogo e la scelta degli artisti indicano che la signora Kearney è ossessionata dai dettagli per garantire né la carriera felice di Kathleen né il successo del concerto, ma il proprio aspetto rispettato. Quando sempre più cose rovinano la sua visione ideale, la signora Kearney fa osservazioni sprezzanti su se stessa e lotta per mantenere la sua compostezza. Quando si rivolge a Mr. Fitzpatrick per il contratto, ridicolizza interiormente il suo accento, che percepisce come di classe inferiore, ma resiste a fare commenti sgradevoli su di esso, che "non sarebbero da signora". Alla fine, il tentativo della signora Kearney di migliorare il proprio aspetto sociale non fa altro che offuscarlo drammaticamente. La signora Kearney si percepisce come parte di una lotta tra uomini e donne, notando a se stessa, quando inizia ad avere difficoltà con il contratto, che sarebbe trattata diversamente se fosse un uomo. Questa preoccupazione pone brevemente la signora Kearney in una luce di simpatia e porta il lettore a interrogarsi sulle sue condizioni. Tuttavia, mentre il signor Fitzpatrick e il signor Holohan appaiono pigri e disinteressati allo svolgimento del concerto, nulla nelle loro azioni suggerisce che si approfittino della signora Kearney. Anzi, si sforzano di fornire il pagamento 95 richiesto per Kathleen. Come la signora Mooney in "La pensione", una protagonista femminile sfida il lettore a considerare la sua situazione in un contesto sociale più ampio. La signora Kearney vuole garantirle diritti adeguati, ma deve anche apparire signorile: per lei, questa combinazione è incompatibile. Dubliners, Grace [14] Un uomo è caduto da una rampa di scale in un pub del centro di Dublino e ha perso brevemente i sensi. Due uomini e un dipendente del pub portano l'uomo al piano di sopra e, insieme al gestore e alla folla già riunita nel bar, cercano di capire cosa sia successo. Il gestore chiama un poliziotto sulla scena, ma quando l'agente arriva non offre molto aiuto. Un passante riesce a rianimare il ferito, che dice di chiamarsi Tom Kernan. A malapena in grado di rispondere alle domande, il signor Kernan si prepara ad andarsene quando un suo amico, Jack Power, emerge dalla folla e lo accompagna a una carrozza. Durante il viaggio verso casa, il signor Kernan mostra al signor Power di essersi ferito alla lingua nella caduta e di non essere in grado di parlare e spiegare l'incidente . Questo evento riflette la recente sfortuna del signor Kernan: un tempo era uno stimato uomo d'affari, ma di recente ha attraversato un periodo difficile. Dopo che la carrozza è arrivata a casa e il signor Kernan è andato a letto, il signor Power chiacchiera con i bambini e la signora Kernan. Egli nota mentalmente a sé stesso l'accento di classe inferiore dei bambini, proprio mentre la signora Kernan inizia a lamentarsi del comportamento negligente del marito . Il signor Power le assicura che aiuterà il signor Kernan a ravvedersi. L'ultima e terza sezione di "Grace" si svolge alla funzione religiosa dei gesuiti e si concentra sulle parole del sacerdote officiante, padre Purdon. Il signor Cunningham, il signor Kernan, il signor M'Coy, il signor Power e il signor Fogarty siedono vicini tra i banchi, che sono pieni di uomini provenienti da tutti i ceti sociali di Dublino, compresi i banchi dei pegni e i giornalisti. Dal pulpito illuminato di rosso, padre Purdon predica a loro, sostiene, da uomo d'affari a uomo d'affari, come "contabile spirituale" della congregazione davanti a lui. La funzione, a sua volta, è un'occasione per fare i conti, e chiede agli uomini di contare i loro peccati e di confrontarli con le loro coscienze pulite o colpevoli. Sia coloro che hanno i conti in pareggio sia coloro che presentano discrepanze saranno salvati dalla grazia di Dio, a patto che si sforzino di correggere le loro colpe. Dopo due notti, un gruppo di amici del signor Kernan visita la casa per convincere il signor Kernan a unirsi a loro in un ritiro cattolico, o servizio di purificazione. La sfida sta nel fatto che il signor Kernan è un ex protestante che si è convertito al cattolicesimo per la moglie e non ha mai accettato calorosamente la sua nuova chiesa. Il signor Power, il signor Cunningham e il signor M'Coy trascorrono la loro visita parlando inizialmente dell'incidente del signor Kernan e della sua salute, prendendosi del tempo per lamentarsi dell'inefficace poliziotto del bar. Poi rivelano gradualmente i loro piani per il ritiro e spostano la discussione sulla religione. Il signor Fogarty, che gestisce una drogheria vicina, si unisce al gruppo e tutti lodano il sacerdozio irlandese e i papi del XIX secolo. Il signor Kernan li segue, contribuisce e alla fine accetta di partecipare al ritiro, con un'eccezione: si rifiuta di accendere le candele come parte della funzione, spiegando che non crede nella magia. Un quadro di caduta, conversione e redenzione rivela il ruolo complicato della religione nella vita dei Dubliners. Le tre sezioni separate della narrazione servono a minare il processo di redenzione. - Nella prima sezione, il signor Kernan funge, letteralmente, da "uomo caduto". Il suo disastroso incidente al pub fa apparentemente parte di una spirale discendente che sta vivendo e che rimane un mistero nella storia. Il signor Kernan ricorda solo che si trovava con due uomini nel bar, ma non ha altri ricordi dell'evento. Probabilmente il signor Kernan nasconde la verità per imbarazzo, costringendo il lettore a mettere insieme gli indizi che suggeriscono che era ubriaco e abbandonato dai suoi compagni. Questo sconcertante inizio della storia rende ancora più strani gli sforzi costanti degli amici del signor Kernan per aiutarlo: non sappiamo cosa abbia il signor Kernan o perché abbia bisogno di aiuto. La storia complica questa apparente buona volontà rivelando le tendenze non solidali di amici come il signor Power, che fa una smorfia interiore sull'educazione di basso livello dei figli di Kernan. Il fatto che il signor Power si allontani da certi segni di status suggerisce che la sua preoccupazione per gli altri deriva dalla preoccupazione per la propria reputazione. - La seconda sezione della narrazione tratta la conversione del signor Kernan e Joyce mina questo processo mostrando gli uomini che cercano di convincere il signor Kernan a partecipare al ritiro con dettagli inesatti sulla storia della Chiesa cattolica. Gli uomini discutono della storia apparentemente senza macchia dei gesuiti, cercando di rafforzare l'opinione di Kernan sulla chiesa, e sviano le lamentele di Kernan sui preti di provincia affermando che "il sacerdozio irlandese è onorato in tutto il mondo". Quando arriva il signor Fogarty, gli uomini iniziano a discutere della carriera illuminata del Papa Leone XIII del XIX secolo, ma lo fanno abusando di una serie di termini latini. Il signor Cunningham, di gran lunga il più prolisso del gruppo, tenta di raccontare il dibattito della Chiesa 96 sull'infallibilità papale, ma anche lui commette errori. Il punto della scena non sono gli errori specifici, ma il fatto che gli uomini si affidino a termini e nomi altisonanti per apparire seri e pii : suggerisce che la conversione del signor Kernan è una specie di finzione. - La "purificazione" del signor Kernan nella sezione finale della narrazione non avviene mai veramente. Arriva in chiesa e ascolta il prete, ma la storia non segue la sua risalita dalla caduta. Al contrario, vengono evidenziate le numerose contraddizioni del servizio, che servono a criticare la chiesa come luogo di guarigione. Padre Purdon condivide il suo nome con quello della strada che ospita il quartiere a luci rosse, o zona di prostituzione, di Dublino , e il suo pulpito brilla di una luce rossa come se fosse un faro di peccato, non di redenzione . La progressione della storia dalla caduta alla redenzione, quindi, si blocca e si arresta. "Grace" sembra chiedersi quanto sia lontana la distanza tra il fondo delle scale del pub e i banchi della chiesa . La conclusione del racconto assicura agli uomini che la grazia può salvarli dal peccato, ma la parola grazia ha molteplici significati. Può riferirsi alla qualità del portamento o della cortesia. Può anche riferirsi a un ritardo o a una dilazione concessi, come un periodo di grazia concesso a un debitore che deve del denaro. A volte può riferirsi al favore incondizionato di Dio concesso agli esseri umani che permette loro di essere salvati. Tutti questi significati affiorano in qualche misura in questa storia e servono a sottolineare come eventi semplici si infondano di significato spirituale, e non sempre per fini utili . Il signor Kernan stesso incarna la parola grazia in modo ironico, poiché è letteralmente un uomo privo di equilibrio. I suoi amici, invece, interpretano questa caduta come una mancanza di grazia di Dio. La storia si conclude con l'assicurazione di padre Purdon che anche l'uomo caduto può essere salvato con l'aiuto della grazia di Dio, ma il sacerdote usa il linguaggio economico della contabilità per comunicare i suoi pensieri alla congregazione di uomini d'affari. Il confronto con se stessi, quindi, funge da periodo di grazia, ma nessuno degli uomini della storia fa i conti con se stesso. La ricerca della grazia diventa un altro ciclo ripetitivo per questi dublinesi. Dubliners, The Dead [15] È il più lungo dei racconti, tanto che qualcuno lo definisce romanzo breve. Appare subito diverso da tutti gli altri, che pongono l’attenzione sulla privazione morale e spirituale dei protagonisti. Qui le condizioni del protagonista sono piuttosto soddisfacenti, il centro non è sugli eccessi o sugli estremi. Il racconto si ambienta in una festa e il protagonista è un uomo della middle class, quindi la condizione economica è solida e sicura, sebbene la sua sicurezza non sia così valida per gli altri spetti della vita. Il ballo ha luogo in occasione della festa dell'Epifania, il 6 gennaio (che celebra la manifestazione della divinità di Cristo ai Magi, o poco prima, la festa riunisce diversi parenti e amici) a casa di due anziani e della loro nipote, dopo il Natale (che nella concezione cristiana celebra la nascita e si ricorda il passato). Questo racconto è molto dettagliato, si sofferma su cose piccole significative. La festa dei Morkan è costituita da quel tipo di routine mortifera che rende l'esistenza così priva di vita in Dubliners. Gli eventi della festa si ripetono ogni anno: Gabriel fa un discorso, Freddy Malins arriva ubriaco, tutti ballano gli stessi passi memorizzati, tutti mangiano. Come il cavallo che gira intorno al mulino nell'aneddoto di Gabriel, i dublinesi si adattano alla routine prevista per questa festa. Tale tedio fissa i personaggi in uno stato di paralisi: non riescono a staccarsi dalle attività che conoscono, quindi vivono la vita senza nuove esperienze, insensibili al mondo. Persino il cibo sulla tavola evoca la morte. La sostanza vivificante appare alle "estremità rivali" della tavola imbandita con file parallele di piatti vari, divisa al centro da "sentinelle" di frutta e guardata da lontano da "tre squadre di bottiglie". Il linguaggio militaresco trasforma una tavola imbandita per un banchetto comune in un campo di battaglia, che profuma di pericolo e di morte. Per saperne di più su come viene esplorato il tema della ripetizione e delle routine nel racconto. L'ospite più importante della serata è Gabriel, nipote delle sorelle anziane, che arriva alla festa come il componente maschile più anziano della famiglia. Parla con Lily la cameriera e le chiede della vita sentimentale mettendola in imbarazzo: Gabriel incolpa la sua prestigiosa educazione per la sua incapacità di relazionarsi con i domestici come Lily, ma la sua volontà di lasciare che il denaro parli per lui suggerisce che si affida alle comodità della sua classe per mantenere le distanze. Seguono altri balli, che vedono Gabriel in coppia con Miss Ivors, un'insegnante universitaria, fervente sostenitrice della cultura irlandese, che mette in imbarazzo Gabriel etichettandolo come "britannico occidentale" per aver scritto recensioni letterarie per un giornale conservatore. Gabriel respinge l'accusa, ma la signorina Ivors insiste invitando Gabriel a visitare le Isole Aran, dove si parla irlandese, durante l'estate. Quando Gabriel rifiuta, spiegando di aver organizzato un viaggio in bicicletta sul continente, la signorina Ivors lo mette alle strette sulla sua mancanza di interesse per il proprio Paese. Gabriel esclama di essere stufo dell'Irlanda. Lui è la persona che deve guardare la famiglia e che deve fare il discorso di ringraziamento alle zie. Tale discorso parla di ospitalità, ma anche di ricordo, e lo fa tramite la rimemorazione dei morti: inquadrando questa qualità come una 97
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