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Appunti completi per conseguimento della materia Economia aziendale, Appunti di Economia Aziendale

Tutti gli argomenti più importanti dell economia aziendale

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 30/06/2024

matteosvr04
matteosvr04 🇮🇹

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Scarica Appunti completi per conseguimento della materia Economia aziendale e più Appunti in PDF di Economia Aziendale solo su Docsity! 1 ECONOMIA AZIENDALE La scienza economica La scienza economica è una disciplina scientifica che si occupa dello studio delle scelte operate dagli uomini, al fine di adattare mezzi scarsi ai molteplici bisogni umani. L’adattare mezzi scarsi a molteplici fini attribuisce, al comportamento umano, la natura di comportamento economico. La scienza economica, si divide in due rami: - Economia politica: studia i fenomeni economici dei grandi aggregati regionali, nazionali ed internazionali (quindi in un contesto macro) ed il problema economico inerente al singolo produttore e consumatore (quindi in un contesto micro). Un esempio di economista politico è Mario Draghi; - Economia aziendale: studia i fenomeni economici a livello di singole aziende o di classi particolari di aziende. Si interessa quindi delle scelte operate dagli uomini al fine di adattare gli scarsi mezzi a disposizione ai molteplici fini aziendali. Un esempio di economista aziendale è Jeff Bezos. È evidente come i due rami della scienza economica siano complementari tra di loro, infatti, l’economia politica studia il comportamento economico all’interno di un contesto micro e macro, mentre l’economia aziendale studia il comportamento economico dell’azienda. L’economia esiste perché nel breve termine le risorse sono limitate, infatti se fossero illimitate non si porrebbe il problema. L’unica risorsa potenzialmente illimitata è la conoscenza umana. 2 L’ECONOMIA AZIENDALE L’economia aziendale studia il comportamento dell’azienda e quindi studia i processi di decisione, esecuzione, controllo, feed-back ed il sistema informativo come strumento che li collega, in base al modello della razionalità limitata. Vediamo meglio come si arriva a questa definizione di economia aziendale. L’ex ragioneria/contabilità L’economia aziendale ha conosciuto una profonda evoluzione, infatti nel passato si identificava con la ragioneria. La ragioneria si occupava esclusivamente delle rilevazioni quantitative d’azienda seguendo queste 3 fasi: 1) Rilevazione dei fatti amministrativi (come acquisti, vendite e pagamento salari); 2) Determinazione dei risultati (come entrate, uscite, costi, ricavi e reddito); 3) Interpretazione dei fatti e dei risultati. La funzione svolta mediante queste 3 fasi, oggi prende il nome di contabilità, ed è solo una parte dell’economia aziendale. Il comportamento aziendale L’economia aziendale studia il comportamento dell’azienda. Ecco uno schema che riassume le fasi del comportamento aziendale: 5 6 L’AZIENDA L’economista Pietro Onida ci ha fornito 2 diverse definizioni di azienda: - Complesso economico che, sotto il nome di un soggetto giuridico (il titolare) ed il controllo e indirizzo di un soggetto economico, ha vita in un sistema che si rinnova e muta continuamente a causa delle operazioni che vengono svolte e dell’organizzazione del lavoro, atte a soddisfare i bisogni umani; - Istituto economico duraturo volto alla produzione di beni e servizi, per il soddisfacimento (diretto o indiretto) dei bisogni umani. Concentriamoci sulla seconda definizione, che è un po’ più tecnica: infatti un istituto è un organismo composto da sistemi di elementi coordinati e complementari di persone (organizzazione), beni (patrimonio/capitale) ed operazioni (gestione); è economico perché in esso vengono assunte decisioni per adattare mezzi scarsi a fini molteplici; è duraturo perché sopravvive oltre la vita fisica delle persone e dei beni; è volto alla produzione di beni e servizi perché la sua missione è quella di creare nuova utilità per la soddisfazione dei bisogni umani. Per produzione si intende la combinazione economico-tecnica di più fattori produttivi per l’ottenimento di un output. La creazione di utilità, invece, può essere effettuata mediante la trasformazione fisica di beni destinati alla vendita (come nel caso di aziende industriali e servizi), oppure mediante il trasferimento dei beni nel tempo e nello spazio (come nel caso delle aziende mercantili). Vediamo meglio come si arriva a questa definizione di azienda. Le aziende si dividono in aziende di erogazione e aziende di produzione, ma lo vedremo più avanti. La dottrina aziendale contro la disciplina giuridica Secondo la dottrina aziendale di Onida, l’azienda è quindi un istituto economico duraturo, composto da beni, persone ed operazioni e volto al soddisfacimento dei bisogni umani. Secondo la disciplina giuridica (secondo l’articolo 2555 del Codice civile) invece, l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Queste due definizioni si scontrano, poiché la disciplina giuridica dipinge l’azienda come un’entità statica, citando solo i beni e trascurando il sistema di persone e di operazioni che c’è dietro. Inoltre, nella definizione giuridica viene fatta passare l’azienda come strumento per l’esercizio dell’impresa, quando sappiamo che l’impresa è un tipo di istituto. Secondo la dottrina aziendale di Onida, che giudica imparziale e imprecisa la definizione giuridica, l’azienda non è un’entità statica formata solo dal complesso di beni, bensì è un organismo dinamico, fondato non solo sui beni ma anche sulle persone e sulle operazioni, che influenza e viene influenzato dall’ambiente esterno. 7 Relazioni tra azienda e mercati L’azienda si relaziona con diversi mercati, aziende e operatori economici, come: - Il mercato dei capitali, nel quale si reperiscono le risorse finanziarie e si prende il capitale necessario per la propria attività (le banche per esempio); - Il mercato degli approvvigionamenti, nel quale si ha accesso all’acquisizione di beni a fecondità semplice e/o ripetuta; - Il mercato del lavoro, ovvero l’insieme dei meccanismi che regolano l’incontro tra posti di lavoro vacanti e persone in cerca di occupazione, dove l’azienda andrà a cercare ed assumere dipendenti e lavoratori; - Il mercato delle vendite, o di sbocco, nel quale si ha la collocazione sul mercato di prodotti e servizi; - Il mercato della scienza e della tecnologia, che stimola l’azienda ad adottare tecniche produttive sempre più avanzate ed innovative al fine di aumentare la sua competitività sul mercato. Relazione tra azienda e ambiente sociale L’azienda è inserita ed opera in un contesto socio-economico più vasto con il quale instaura un interscambio di beni, servizi ed informazioni. Da questa concezione deriva la nozione di azienda vista come un sistema aperto, in cui azienda e ambiente si condizionano reciprocamente modificandosi secondo un processo in continua evoluzione, instaurando relazioni che si modificano con l’evolversi degli eventi interni ed esterni all’azienda. Basti pensare all’impatto sociale ed economico che il buon funzionamento di un’azienda può dare ai cittadini residenti in prossimità di un sito produttivo, garantendo ricchezza e occupazione. L’azienda, infatti, non interagisce solo con operatori economici, ma anche con quelli sociali, come: - L’ambiente socio-culturale, che spinge l’azienda ad avere un determinato atteggiamento verso le altre attività e i clienti in base alla cultura, all’età o al sesso delle persone, ma anche sul consumo delle risorse sotto forma di beni e servizi prodotti; - I vincoli ambientali, che determinano il modo di lavorare dell’azienda, che deve rispettare determinate regole al fine di non distruggere la flora o la fauna a contatto con essa; - La religione, basti pensare ai paesi in cui a causa della religione solo i maschi possono lavorare; 10 1) Bisogni ragionevolmente soddisfatti - Fisiologici: mangiare, bere, dormire, fare sesso; - Sicurezza: protezione della vita fisica, istituzioni che garantiscono la soddisfazione dei bisogni fisiologici; - Sociali: appartenenza ad un gruppo, interazioni; 2) Bisogni in tensione - Stima di sé: conoscenza, competenze, successo, indipendenza; - Stima degli altri: status, prestigio, potere, desiderio di essere riconosciuto; - Autorealizzazione: capacità di svilupparsi autonomamente, realizzazione delle capacità potenziali. Secondo Maslow, i bisogni e le correlate motivazioni si strutturano per gradi, ed il passaggio da un grado al suo superiore avviene solo dopo la soddisfazione dei bisogni di grado inferiore. Ogni umano è diverso ma i bisogni sono comuni a tutti, e nel momento in cui vengono soddisfatti si ha un miglioramento della vita. La priorità di un bisogno rispetto ad un altro si manifesta soprattutto in relazione alla variazione del reddito, infatti all’aumentare del reddito vi è una richiesta di bisogni di livello più alto e l’abbandono totale o parziale di altri bisogni di livello inferiore. Il contrario avviene nel caso di diminuzione del reddito. 11 L’attività economica L’attività economica si concretizza nella produzione e nel consumo di beni economici, che sono utili per soddisfare i bisogni e scarsi rispetto ai bisogni causati dal perseguimento dei fini delle persone. Le 2 fasi dell’attività economica sono: 1) La produzione di beni e servizi, tramite la combinazione dei fattori produttivi e la loro trasformazione nel tempo e nello spazio (quindi al loro trasporto), al fine di aumentare l’utilità dei beni esistenti; 2) Il consumo di beni e servizi, per produrne altri o per soddisfare direttamente i bisogni. Gran parte dell’attività economica si svolge all’interno di alcuni istituti, aventi fini economici e non economici. Gli istituti Gli istituti sono organismi composti da più sistemi coordinati tra loro, all’interno dei quali troviamo ulteriori sotto-sistemi che si relazionano tra di loro. Distinguiamo 4 classi di istituti: - Famiglie, per esempio un’azienda agricola di famiglia; - Imprese; - Istituti pubblici territoriali e istituzionali, per esempio il comune di Roma; - Enti non profit, per esempio il WWF. All’interno di ogni istituto è presente un’attività economica, che si definisce attraverso il concetto di amministrazione economica, cioè una complessa attività umana per la quale l’azienda esiste. L’amministrazione economica implica lo svolgimento di 3 mansioni: - L’organizzazione, che riguarda l’ordinamento degli organi aziendali e la coordinazione delle loro funzioni; - La gestione, che riguarda l’attività rivolta ai fini aziendali ed il sistema di operazioni nelle quali essa consiste; - La rilevazione, che riguarda le operazioni utili al fine di fornire informazioni utili per la migliore gestione ed organizzazione dell’azienda. Possiamo infatti concludere dicendo che l’istituto è un organismo composto da sistemi coordinati e complementari di persone (organizzazione), di beni (patrimonio/capitale) e di operazioni (gestione). Da ora in poi parleremo di azienda inserita nell’istituto dell’impresa. 12 Il sistema delle persone (organizzazione) L’organizzazione è un sistema coordinato di persone che si prefigge un più razionale impiego del lavoro umano in relazione agli obiettivi gestionali da raggiungere. Essa si realizza mediante una suddivisione e specializzazione delle attività e il loro coordinamento in un sistema integrato di obiettivi, poteri e responsabilità, al fine di ottenere condizioni di massima efficienza. Il processo organizzativo si svolge in 7 fasi: 1) Si determinano gli obiettivi da raggiungere; 2) Si determinano le funzioni da svolgere al fine di raggiungere gli obiettivi programmati; 3) Si scompongono e ricompongono le funzioni per creare dei ruoli da assegnare alle persone; 4) Si specifica, per ogni ruolo, dei compiti e delle responsabilità; 5) Si definiscono le linee di influenza (o relazioni) per indirizzare le persone; 6) Si definiscono le procedure operative per stabilire le modalità con cui le funzioni devono agire; 7) Si definisce il passaggio informativo all’interno del comportamento aziendale. Preliminarmente a tutto ciò, bisogna stabilire gli organi, le funzioni e le linee di influenza tra gli organi. Suddividiamo gli organi aziendali su 3 livelli: - Organo volitivo, rappresentato dal soggetto che prende le decisioni aziendali e definisce le linee strategiche da seguire; - Organo direttivo, che traduce in direttive operative le linee strategiche dettate dall’organo volitivo; - Organo esecutivo, composto da tutti coloro che eseguono materialmente quanto definito dall’organo direttivo. Nelle grandi aziende possono esserci anche più livelli di organi direttivi, mentre nelle piccole aziende spesso l’organo volitivo e quello direttivo sono fusi. Ogni organo svolge una determinata funzione, all’interno della quale vi sono differenti ruoli, compiti e si determinano le linee di influenza (o relazioni). I ruoli sono degli schemi definiti di comportamenti ed attitudini attesi da chi ricopre una particolare posizione, e sono tutti riportati all’interno di un documento che si chiama mansionario. Con compito si intende invece una singola azione o una serie di azioni organizzate in modo da contribuire ad uno specifico risultato o obiettivo. Nell’organizzazione aziendale, si parte dallo stabilire le mansioni (o compiti) di un ruolo, e poi si trova la persona adatta a ricoprire quel ruolo. 15 I tipi di autorità formale Nelle organizzazioni si possono identificare 3 varianti dell’autorità formale: l’autorità gerarchica, l’autorità funzionale e l’autorità del grado. Questi tipi di autorità formale possono anche convivere nella stessa azienda. L’autorità gerarchica è un modello molto diffuso nelle organizzazioni private, e si basa sul concetto dell’unità di comando (quindi esiste un solo capo diretto e un subordinato riceve ordini solo dal suo diretto superiore). Questo modello prevede che gli ordini si muovano nell’ambito di una stessa linea di comando ed in direzione discendente, cioè da organi di grado superiore a organi di grado inferiore e mai viceversa, e senza possibilità di critica da parte di chi riceve gli ordini. Questo comporta che un organo di grado superiore non possa impartire ordini a un organo di grado inferiore ma appartenente a una diversa linea di comando, per esempio il direttore delle vendite non può dare ordini e avere autorità su un operaio del settore produzione. L’autorità gerarchica considera l’autorità formale generale, perché riguarda tutti gli aspetti del compito del subordinato e presuppone che chi ha il potere di comando sia competente su ogni materia, per poter permettere al subordinato di svolgere al meglio il suo lavoro. Questo modello prevede inoltre sanzioni e ricompense che sono in grado di indurre i subordinati a rispettare gli ordini. L’autorità funzionale è una valida alternativa dato che l’autorità gerarchica richiede che chi impone ordini sia competente su ogni materia aziendale, e il rischio di quel modo di operare è che quando non si verifica questa condizione c’è il rischio che il subordinato riceva ordini errati su determinati argomenti che però è costretto a eseguire. Nella realtà, è molto difficile essere competenti su ogni materia, quindi c’è bisogno di presupposti diversi da quello dell’unità di comando. Occorre pertanto impiegare competenze specializzate. Il modello dell’autorità funzionale prevede la possibilità per un subordinato di ricevere ordini da superiori appartenenti a diverse linee di comando, per esempio il direttore del personale può impartire ordini anche ai subordinati del direttore delle vendite, nonostante siano diverse linee di comando, perché detiene le competenze adatte a farlo. Questo avviene in virtù delle competenze che i superiori hanno, che sono più qualificate perché sviluppate a seguito delle specifiche funzioni svolte all’interno dell’impresa. Quindi l’autorità formale non è più generale, bensì particolare, perché si limita a pochi aspetti del compito del subordinato e perché è limitata nel tempo. Anche nell’ambito dell’autorità funzionale esistono sanzioni e ricompense, ma anche se vengono proposte dal capo funzionale devono essere dispensate dal capo gerarchico. Anche questo modello implica l’obbligo di obbedienza. L’autorità del grado, invece, è il modello tipico delle organizzazioni militari, ma è talvolta presente anche nelle aziende. In esso, chi ha un grado superiore può dare ordini a chiunque abbia un grado inferiore, con il grave rischio che un subordinato potrebbe ricevere ordini contrastanti da parte di più superiori. Per rimediare a ciò, si adotta la regola secondo cui il subordinato deve eseguire l’ordine ricevuto per ultimo, eventualmente facendo notare il contrasto esistente con altri ordini ricevuti precedentemente. 16 I rapporti organizzativi All’interno delle diverse strutture organizzative, si hanno diversi tipi di rapporti tra i soggetti posti a differenti livelli gerarchici. In particolare, distinguiamo i seguenti rapporti organizzativi: rapporti gerarchici, rapporti funzionali e rapporti di assistenza. I rapporti gerarchici sono quelli che intercorrono tra un superiore ed un subordinato diretto, cioè sulla stessa linea di comando. Si tratta di rapporti di tipo autoritario, dove gli ordini fluiscono dal vertice ai livelli più bassi, senza possibilità di discussione sull’ordine da parte dei subordinati. In questo tipo di rapporto c’è solo un capo gerarchico. I rapporti funzionali sono quelli che intercorrono tra un superiore ed un subordinato non diretto, cioè su una diversa linea di comando. I rapporti funzionali si classificano in: - Rapporti funzionali autoritari, quando un organo ha il diritto di emanare comandi nei confronti di subordinati non diretti e questi devono obbedire, senza fare critiche; - Rapporti funzionali consultivi, quando un dirigente dotato di conoscenze specialistiche studia i problemi riguardanti altre divisioni e si limita a fornire consigli, senza però l’obbligo di obbedire; - Rapporti funzionali di servizio, quando un dirigente dotato di conoscenze specialistiche, viene autorizzato ad eseguire certe attività che normalmente sono di competenza di altri dirigenti, instaurando quindi un rapporto di consulenza; - Rapporti funzionali di controllo, quando un dirigente con particolare esperienza in un campo viene incaricato di svolgere (per conto del superiore gerarchico) il controllo dell’operato di divisioni normalmente condotto da altri dirigenti. I rapporti di assistenza si ha quando nell’organizzazione, in un rapporto gerarchico, viene inserita una linea di influenza dal basso verso l’alto. Questo tipo di rapporto viene normalmente inserito per l’esigenza di “completare” la competenza di un dirigente, e in tal caso gli viene affiancato un esperto in materia che interagisce con lui secondo un rapporto di assistenza. Se questa funzione è svolta da un singolo soggetto, si delinea la figura di Assistant/to, mentre se è svolta da un gruppo coordinato di esperti, si parla di General staff. 17 Line e Staff Da quanto detto in precedenza, deduciamo che all’interno dell’azienda esistono fondamentalmente due tipi di organi e di funzioni: organi e funzioni di Line e organi e funzioni di Staff. Questi due termini derivano dall’organizzazione militare, nella quale la parola “Line” sta ad indicare le forza combattenti di un esercito, mentre il termine “Staff” indica i reparti che svolgono una funzione di supporto nei confronti dei Line. L’organo di Line comanda, è essenziale, ha l’autorità ed ha la priorità nelle decisioni. L’organo di Staff assiste e consiglia, è secondario, ha solo influenze non autoritarie ed è in posizione subordinata. Tuttavia, recentemente, vi è una tendenza degli organi di staff ad assumere un potere superiore a quello degli organi di line, dato che sono in possesso delle conoscenze specialistiche che oggi rappresentano un fattore strategico importantissimo. Per conoscere meglio le funzioni di line e di staff, adottiamo la teoria di Ralph Davis, che classifica gli obiettivi dell’impresa: - Obiettivi primari, ovvero il creare i valori richiesti dalla clientela e produrre e distribuire i beni e i servizi desiderati dalla clientela. Queste sono funzioni di line; - Obiettivi collaterali, ovvero il creare i valori richiesti dai gruppi di interesse che gravitano attorno all’azienda, ovvero operai, impiegati e dirigenti (esclusi i clienti). Questi valori sono realizzati con quanto pagato dai clienti, e sono funzioni di staff; - Obiettivi secondari, ovvero il creare i valori che consentono la realizzazione efficiente egli obiettivi primari e collaterali. Anche queste sono funzioni di staff. Davis distingue anche le funzioni di line sulla base della natura delle imprese: - Nelle imprese industriali, le funzioni della produzione e della vendita spettano all’organo di line; - Nelle imprese commerciali, le funzioni di approvvigionamento, di vendita e di finanza spettano all’organo di line; - Nelle imprese di trasporti, le funzioni di manutenzione, del traffico e della vendita spettano all’organo di line. Malgrado le funzioni di staff si trovino in posizione subordinata, la loro importanza è comunque notevole in quanto producono fondamentali servizi di supporto. Si tratta però di funzioni che, al crescere del corpo aziendale, possono presentare gravi problemi in quanto si espandono in modo più che proporzionale portando l’impresa ad un’eccessiva burocratizzazione (le funzioni di staff sono infatti principalmente impiegati). Sempre Davis ha studiato la legge di accrescimento dello Staff, rilevando che al crescere dell’attività aziendale, le funzioni di line si sviluppano in progressione aritmetica (a velocità controllata), mentre quelle di staff in progressione geometrica (molto più velocemente). Per questo motivo le funzioni di staff vanno tenute sotto costante controllo per evitare un aumento incontrollato dei costi. 20 Aspetto quantitativo Per convertire tutte le diverse grandezze rilevate nell’inventario in un determinato valore, si utilizza il processo di valutazione, cioè l’attribuzione a ciascun bene di un valore monetario (che può essere il valore nominale, il valore di mercato, il costo di acquisto, il costo di produzione, ecc.). i beni così espressi sono omogenei e possono essere sommati tra di loro, in modo da poter fornire una misura sintetica del capitale, espressa in €. Per fare un esempio, possiamo dire che 50 litri di benzina, valutati con un criterio di valutazione basato sul costo di vendita, equivalgono a 100€. Il prospetto nel quale i valori monetari dei beni vengono esposti è chiamato Stato Patrimoniale (SP), o Stato dei Capitali. Utilizzando il prospetto di stato patrimoniale è possibile effettuare un’analisi, sia patrimoniale (cioè relativa al complesso dei beni che compongono l’azienda espressi in valori monetari), sia finanziaria (cioè attenta al rapporto tra i flussi in entrata e i flussi in uscita). In cui il totale delle attività è uguale al totale Investimenti (detto anche capitale investito CI). Indica tutte le risorse economiche che l’azienda impiega per lo sviluppo delle proprie attività produttive. Sono i beni economici a disposizione dell’azienda in un dato momento, e formano il capitale dell’azienda. Il totale delle passività, invece, rappresenta gli impegni assunti dall’azienda nei confronti dei terzi e gli obblighi contratti durante l’esercizio. Il totale delle passività sommate al Capitale netto è uguale al totale delle Fonti di Finanziamento (che è uguale al capitale di credito più il capitale proprio – CC + CP). Il capitale netto CN, detto anche capitale proprio CP, rappresenta la misura dei mezzi propri investiti dall’imprenditore o dai soci dell’impresa; mentre il capitale di credito - CC rappresenta la misura dei mezzi di terzi, come le banche. In uno stato patrimoniale, il totale della colonna sinistra (attività) deve essere sempre uguale al totale della colonna destra (passività, composta dalle passività più il capitale netto, quindi CC + CP), dato che stiamo parlando della stessa identica cifra ma analizzata sotto due diversi punti di vista, ovvero: come ho investito il denaro (colonna del dare) e da dove ho preso quel denaro (colonna dell’avere), quindi le fonti di finanziamento. Possiamo dire che lo stato patrimoniale è un’istantanea di un determinato istante della situazione economica dell’azienda. È importante specificare che i termini “dare” e “avere” non hanno nulla a che fare con il vero significato delle due colonne, infatti hanno questo nome per una ragione storica, e sono pure convenzioni. 21 Il capitale netto, o capitale proprio, è dato dalla differenza tra attività e passività, e possono verificarsi 4 casi diversi: - Se le 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à > 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖𝑡à, si ha un capitale netto dato dalla sottrazione A – P. È il caso più frequente, dato che di solito gli investimenti vengono finanziati sia con mezzi propri (capitale netto) sia con mezzi di terzi (capitale di credito/passività); - Se non ci sono passività e l’imprenditore ha finanziato tutto con mezzi propri, il capitale netto è equivalente alle attività. È un caso inusuale, che può verificarsi solo in sede di costituzione dell’azienda, infatti con l’inizio delle operazioni l’impresa accende inevitabilmente debiti di funzionamento o di finanziamento; - Se le 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à = 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖𝑡à, si ha un capitale netto pari a 0. È molto raro dato che di solito le aziende vengono chiuse prima di arrivare a questo punto, ma è possibile nelle aziende individuali e nelle società di persone ma non nelle società di capitali (in cui è vietato il conferimento di prestazioni d’opera); - Se le 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à < 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖𝑡à, non si ha un capitale netto bensì un deficit patrimoniale (o passivo netto o passivo scoperto). Di solito un’azienda chiude prima di arrivare a questo punto, infatti non solo non si ha un patrimonio netto: non si può neanche ripagare i debiti verso i terzi. Lo stato patrimoniale va fatto perché i terzi insoddisfatti (ovvero i finanziatori) potrebbero rivalersi sul patrimonio dell’investitore. Ha quindi duplice scopo, infatti è una forma di garanzia per gli investitori, che hanno diritto di sapere come vengono impiegati i loro soldi, ma è anche utile all’imprenditore per poter vedere come vanno i conti della sua azienda. Deve essere fatto ogni anno, solitamente il 31 dicembre. La riclassificazione dello stato patrimoniale Per quanto riguarda la struttura finanziaria, è possibile riclassificare le voci dello stato patrimoniale per ricavare degli indici finanziari, utili a comprendere meglio l’andamento aziendale. Qua sotto vediamo uno dei tanti possibili tipi di riclassificazione, detto liquid first, in cui le attività sono ordinate in base alla liquidità, ovvero la loro tendenza e velocità a convertirsi in denaro, mentre le passività sono ordinate in base alla loro tendenza a richiedere denaro e al tempo di rimborso. Sono quindi ordinati in modo speculare, infatti qui sotto vediamo che la prima voce della colonna del dare è la cassa, che è gia denaro liquido, mentre la prima voce della colonna dell’avere sono i debiti a breve, che richiederanno una restituzione di denaro imminente: 22 Gli indici finanziari La precedente operazione di riclassificazione è necessaria per poter applicare gli indici finanziari, infatti permette di rendere coerenti i criteri di classificazione del bilancio con le esigenze di analisi economiche e finanziarie, e facilitare la lettura dei dati contenuti nel bilancio agevolando la formulazione di giudizi riguardo allo svolgimento dei fatti di gestione ed ai valori da essa prodotti. Vediamo 3 indici: il leverage ratio, il current ratio e il quick ratio. Il leverage ratio esprime il grado di indebitamento dell’azienda e del suo rischio finanziario. In altre parole è una misura dell’indipendenza finanziaria dell’impresa, e si calcola con il rapporto tra capitale di credito e capitale proprio. Il livello di equilibrio è 1, che ci dice che le fonti sono bilanciate e che non ci sono debiti che non possono essere ripagati col capitale proprio. Se il rapporto dà un numero minore di 1 vuol dire che il capitale proprio è di più del capitale di credito, quindi l’azienda è poco rischiosa e avrà più probabilità di trovare finanziatori. Se il rapporto dà un numero maggiore di 1, invece, vuol dire che il capitale di credito è maggiore del capitale proprio, quindi l’impresa è abbastanza rischiosa e sarà più difficile ripagare i debiti e trovare finanziatori. C’è da dire che le grandi aziende possono permettersi un leverage ratio maggiore di 1: questo perché i finanziatori sanno che comunque rimane un’impresa affidabile e che possono essere ripagati con i redditi e non con il capitale proprio. Infatti, questo indice non ci dà una misura della redditività di un’azienda, bensì il suo rischio, quindi non deve essere per forza una discriminante. 𝐿𝐸𝑉𝐸𝑅𝐴𝐺𝐸 𝑅𝐴𝑇𝐼𝑂 = 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 = 𝐶𝐶 𝐶𝑃 25 Gestione riguardo l’intera attività aziendale Se i comportamenti di gestione sono analizzati con riferimento all’intera attività aziendale nel lungo periodo, la gestione investe il piano strategico, cioè le strategie di sviluppo dell’impresa. Per fare ciò, la gestione si avvale di funzioni di tipo direzionale o manageriale, come: - Funzioni di programmazione, relative ai processi che orientano le decisioni; - Funzioni di controllo, relative al controllo tra quanto preventivato e quanto ottenuto, quindi all’evidenziazione degli scostamenti fra decisione ed azione, e all’individuazione delle cause ed al feed-back: - Funzioni di organizzazione, relative alla definizione dei livelli gerarchici, dei ruoli e delle linee di influenza; - Funzioni di leadership, relative alla guida degli uomini nei processi di decisione, esecuzione e controllo, orientando il comportamento degli individui assegnati ad ogni funzione. Soprattutto l’ultima funzione direzionale (leadership) riveste un’importanza fondamentale dato che sovraintende a tutte le fasi in cui si divide il comportamento aziendale, ovvero decisione, esecuzione e controllo. È soprattutto dal modo di esercitare questa funzione che dipendono la creatività, l’immaginazione e la dedizione al lavoro dei soggetti che operano all’interno dell’azienda. La classificazione delle aziende Le aziende, pur esercitando tutte attività di acquisizione, produzione e uso dei beni economici per la soddisfazione dei bisogni umani, possono tuttavia avere obiettivi diversi. Distinguiamo principalmente: - Aziende di produzione, dette anche imprese, che hanno l’obiettivo di realizzare un profitto attraverso il soddisfacimento dei bisogni umani. La soddisfazione dei bisogni umani è quindi solo lo strumento per realizzare il vero obiettivo, ovvero il profitto; - Aziende di erogazione, che hanno l’obiettivo di soddisfare i bisogni umani attraverso il reperimento e il successivo impiego delle risorse necessarie e non hanno scopo di lucro e profitto. Le aziende possono essere distinte in aziende divise, se svolgono la loro attività in un’unica sede, o indivise, se operano con più sedi, filiali e dipendenze. 26 Le aziende possono essere distinte anche in base alla loro dimensione, e i criteri da utilizzare sono il numero dei dipendenti, il fatturato annuo e il totale di bilancio annuo. Utilizzando questi tre indicatori, distinguiamo le aziende in: - Piccole aziende; - Medie aziende; - Grandi aziende. A seconda dei soggetti che le governano, le aziende possono essere distinte inoltre in aziende individuali, se appartengono a una sola persona, e collettive, se appartengono a due o più persone. Le aziende di erogazione Le aziende di erogazione perseguono il soddisfacimento dei bisogni umani attraverso il reperimento e il successivo impiego delle risorse necessarie, e non hanno scopo di lucro. Questo tipo di azienda è un sistema socio-economico che produce beni e/o servizi per soddisfare i bisogni delle persone. Si dividono in: - Aziende di erogazione di consumo, se soddisfano i bisogni di persone interne all’azienda stessa o che comunque fanno capo ad essa. Ne sono un esempio le associazioni culturale e le associazioni sportive; - Aziende di erogazione in senso stretto, o enti non-profit, se soddisfano i bisogni di persone esterne (che si chiamano beneficiari) nell’interesse delle quali l’azienda è stata istituita ed opera. Ne sono un esempio gli enti morali di assistenza e beneficienza e gli enti di ricerca. L’obiettivo perseguito dalle aziende di erogazione non consiste nella massimizzazione del profitto, bensì nella realizzazione dei fini istituzionali, ovvero accrescere le risorse, i beni e i servizi posti a disposizione dei soggetti interessati. Ciò non toglie che comunque devono lavorare in condizioni di equilibrio economico, quindi ricavi + proventi = oneri + costi, e di efficienza, quindi mantenere bassi i costi unitari e alti i rendimenti. Le aziende di erogazione sono chiamate anche aziende non profit, in quanto il loro fine istituzionale, appunto, non è il profitto. Questo non vuol dire però che debbano andare in perdita, infatti come tutte le aziende anche loro hanno un patrimonio, un’attività gestionale e un sistema di operazioni. L’obiettivo rimane comunque accrescere il patrimonio dell’azienda, in modo tale da poter soddisfare più persone possibile. 27 L’attività delle aziende di erogazione si scompone in 3 cicli fondamentali: 1) Ciclo operativo, che si articola in 2 procedimenti: - Eventuale procedimento di produzione; - Procedimento di consumo/erogazione; 2) Ciclo finanziario, inteso come movimento di: - Entrate derivanti da persone interne, persone esterne (non dai beneficiari), dal patrimonio e da una combinazione dei precedenti punti; - Uscite che attivano i processi produttivi; Se le entrate sono uguali alle uscite si parla di pareggio finanziario, se le entrate sono ……………… maggiori delle uscite si parla di avanzo finanziario e se le entrate sono minori delle ……………….uscite si parla di disavanzo finanziario; 3) Ciclo economico, inteso come movimento di: - Rendite e proventi; - Costi e oneri; se i proventi sono uguali degli oneri si parla di equilibrio economico, se i proventi sono ……………….maggiori degli oneri si parla di avanzo economico e se i proventi sono minori degli oneri ……………….si parla di disavanzo economico. 30 La remunerazione dei fattori produttivi in posizione residuale, invece, è: - Eventuale, perché la possibilità di remunerare tali fattori dipende dall’andamento e dai risultati della gestione; - Variabile, perché l’entità della remunerazione non dipende da un contratto e dipende dai risultati economici della gestione; - Successiva, perché tali fattori non possono essere remunerati prima di quelli in posizione contrattuale I fattori produttivi in posizione residuale, infatti, consistono in tutti quei soggetti aziendali che hanno in mano la gestione dell’azienda, quindi che non sono dipendenti e non sono legati da un contratto. La loro remunerazione può avvenire solo in caso di avanzo economico, dato che in caso di equilibrio economico e disavanzo economico tutti i ricavi sono stati usati per remunerare gli altri fattori produttivi. Da questo punto di vista, il rischio è maggiore per i dirigenti di un’azienda. La loro remunerazione, infatti, deve avvenire dopo la remunerazione dei fattori produttivi in posizione contrattuale. In questo caso parliamo quindi di remunerazione congrua, o reddito. Si definisce congrua se, tenuto conto del rischio e dell’eventuale lavoro imprenditoriale, essa è in linea con quella ricavabile dai migliori investimenti alternativi. I ricavi derivanti dalle operazioni di scambio, devono quindi essere in grado di remunerare sia i fattori produttivi in posizione contrattuale sia quelli in posizione residuale, quindi bisogna realizzare un equilibrio economico comprensivo del reddito congruo, che si ottiene così: 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 ≥ 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 + 𝑟𝑒𝑚𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑔𝑟𝑢𝑎 Se infatti i ricavi sono minori di questa somma, si va incontro a un rischio economico generale. L’obiettivo dell’impresa, a differenza delle aziende di erogazione, è quello di massimizzare la differenza tra costi e ricavi, in modo tale da riservare ai fattori produttivi in posizione residuale una remunerazione congrua più alta possibile, o almeno una remunerazione maggiore o uguale a quella che otterrebbero se svolgessero altre attività. 31 Il soggetto giuridico All’interno di un’impresa è sempre possibile individuare 2 soggetti, il soggetto giuridico e il soggetto economico. Il soggetto giuridico di un’azienda è il responsabile giuridico dell’attività svolta: è la persona, il gruppo di persone o l’ente nel cui nome l’attività imprenditoriale viene esercitata e a cui fanno capo i diritti e gli obblighi derivanti da questa attività. Nel nostro ordinamento, il soggetto giuridico può essere una persona fisica o una persona giuridica. Entrambe le persone hanno capacità giuridica, ovvero l’attitudine ad essere titolari di diritti, da non confondere con la capacità di agire, cioè la capacità di costruire, modificare ed eliminare rapporti giuridici. Persona fisica Secondo il 1° articolo della Costituzione, una persona fisica acquista la capacità giuridica al momento della nascita, mentre secondo il 2° articolo della Costituzione la capacità di agire si acquista quando vengono compiuti 18 anni. Ci sono vari casi, però, in cui la capacità di agire è limitata, se è: - Minore, che può essere soggetto giuridico ma deve operare tramite un curatore. Nel caso in cui contragga matrimonio, diventa emancipato, e acquista la capacità di compiere atti di ordinaria amministrazione (cioè quegli atti che non intaccano il proprio patrimonio ma si limitano all’utilizzo del reddito aziendale), atti di straordinaria amministrazione (con il consenso del curatore e l’autorizzazione del giudice tutelare) e può esercitare un’impresa commerciale acquistando così piena capacità di agire (solo con l’autorizzazione del Tribunale). - Interdetto, che può essere il maggiorenne o il minorenne emancipato in condizioni di infermità mentale, che lo rende incapace di provvedere ai propri interessi. Può essere soggetto giuridico ma deve operare tramite un tutore; - Inabilitato, che può essere il maggiorenne la cui infermità non è così grave da far luogo all’interdizione, ma che per esempio fa uso di alcolici e stupefacenti esponendo lui e la propria famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono essere inabilitati anche i sordi e i ciechi che non hanno sufficiente educazione. L’inabilitato può essere soggetto giuridico ma deve operare tramite un curatore; - Scomparso, ovvero se non si ha più notizia di lui perché sparito dal suo domicilio da meno di 2 anni. il Pubblico Ministero può nominare un curatore che lo rappresenti anche se il soggetto scomparso resta titolare di tutti i diritti; - Assente, ovvero una persona scomparsa di cui non si abbia notizia da oltre 2 anni. I suoi beni vengono gestiti sotto controllo del Tribunale dai presunti successori legittimi o da chiunque creda ragionevolmente di avere diritti sui beni dello scomparso; - Morto presunto, ovvero una persona di cui non si abbia notizia da almeno 10 anni, che non può più essere considerato soggetto giuridico. 32 Persona giuridica Le persone giuridiche sono invece delle entità astratte, ma a cui può venire riconosciuta autonoma responsabilità giuridica. Sono enti che acquistano la capacità giuridica in base alla legge o in base ad un particolare iter, diverso in funzione delle 2 diverse tipologie di persone giuridiche, ovvero le persone giuridiche pubbliche e le persone giuridiche private. Le persone giuridiche pubbliche nascono in seguito alla manifestazione di volontà di un ente pubblico, mediante una legge o un provvedimento speciale di diritto pubblico. La procedura di costituzione (ovvero il loro atto costitutivo) segue un iter non standardizzato. Vengono riconosciute soggetti giuridici, soggette a leggi e usi di diritto pubblico, e perseguono fini di interesse generale, generalmente diversi dall’obiettivo del profitto. Possono essere: - enti pubblici territoriali (come le Regioni, le Province e i Comuni); - enti pubblici economici (come la BNL, Monte dei Paschi di Siena, ENI ed ENEL); - enti pubblici non economici (come l’INPS, l’INAIL e le Università). Le persone giuridiche private, che nascono in seguito alla manifestazione di volontà privata iscritta in un atto pubblico. La procedura di costituzione è standardizzata, e sono regolate dal Codice civile, sia nella costituzione sia nel funzionamento. Perseguono scopi privati, e possono assumere forma di: - Associazioni sono un complesso di persone che si associano per realizzare finalità private, come un’associazione sportiva; - Fondazioni, invece, sono istituzioni costituite da un patrimonio fruttifero che, per donazione o per testamento, sono permanentemente vincolate ad uno scopo predeterminato, come la fondazione Barilla; - Società commerciali con personalità giuridica sono le Società per Azioni S.P.A., le Società a Responsabilità Limitata S.r.l., le Società a Responsabilità Limitata Semplice S.r.l.s., le Società in Accomandita per Azioni S.a.p.a. e le Società Cooperative. Le associazioni e le fondazioni sono sottoposte al controllo da parte dei pubblici poteri, in quanto non devono essere contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costumo. Acquistano la personalità giuridica solo col decreto del Presidente della Repubblica (o della Regione se lavora a livello regionale, o del Prefetto se lavora a livello provinciale o comunale). Le società commerciali con personalità giuridica, invece, nascono mediante un contratto di società, con il quale due o più persone conferiscono beni e servizi per l’esercizio in comune dell’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Questo contratto di società diventa un atto costitutivo (redatto nella forma di atto pubblico) che va depositato entro 30 giorni presso l’Ufficio del Registro delle Imprese per i controlli di legittimità. Se l’esito è positivo la società viene iscritta nel Registro delle Imprese e acquista così la personalità giuridica. 35 Controllo senza investimento di capitali Il controllo senza nessun investimento di capitali si può avere in 3 casi diversi: - Se si ha influenza dominante, e si controlla una società in virtù delle azioni o delle quote del capitale possedute, o in virtù di particolari vincoli giuridici, legislativi e contrattuali (come contratti di finanziamento, contratti di fornitura esclusiva e contratti di servizio, ovvero appalti); - Nel caso di impresa pubblica, in cui il soggetto economico è un ente pubblico (come lo Stato o la Regione), il quale è rappresentato da manager pubblici nominati da pubblici poteri. Questi manager governano senza aver effettuato alcun investimento nell’azienda, quindi senza capitale, bensì unicamente in virtù della nomina politica prevista per legge (per esempio dal Governo o dal Sindaco). Dovrebbero avere competenze professionali adeguate e fare carriera in base alle loro competenze, ma soprattutto dovrebbero essere controllati dall’ente stesso che li nomina, cosa che risulta molto difficile data l’inadeguatezza delle tecniche di controllo e per le scarse risorse economiche; - Nel caso di impresa matura, dette anche public company, in cui avviene un fenomeno chiamato slittamento di potere, che consiste nello slittamento del potere di governo dai capitalisti ai dipendenti della società che posseggono le competenze manageriali per la conduzione di un’impresa, diventando così manager. La caratteristica di queste public company è che l’azionariato è molto diffuso e frazionariato, a tal punto che il soggetto economico è riconosciuto come tale solo per la sua bravura, non per la sua quota di capitale. In questo modo nessuno è interessato a diventare manager per aumentare le sue azioni, infatti ognuno pensa al reddito, dato che anche il manager è pagato con lo stipendio. È un fenomeno molto diffuso negli USA. Un fenomeno che si sviluppò in Italia grazie alla Benetton è il franchising, ovvero l’affiliazione commerciale, che è un accordo tra imprenditori. È indicata per chi vuole avviare una nuova impresa, ma non vuole partire da zero e preferisce affiliare la propria impresa ad un marchio già affermato. Per esempio, la Benetton è fornitrice esclusiva di alcuni imprenditori, che devono arredare i loro negozi tutti allo stesso modo e vendere le stesse identiche cose e al prezzo che decide la Benetton, ma la Benetton non deve investire nulla per fare ciò. 36 Soggetto giuridico e soggetto economico nelle varie imprese Ricapitolando quanto visto riguardo al soggetto giuridico e al soggetto economico, possiamo dire che: - Nelle aziende individuali il soggetto giuridico è una persona fisica, ovvero il proprietario dell’azienda. Il soggetto economico è sempre una persona fisica, che può essere il proprietario solo se ha la volontà di governare e ha le competenze; - Nelle società di persone il soggetto giuridico è rappresentato da una o più persone fisiche, ovvero i soci responsabili solidalmente e illimitatamente delle obbligazioni sociali. Anche il soggetto economico è rappresentato da una o più persone fisiche che hanno la volontà di governare, hanno le competenze e soprattutto che hanno la maggioranza del capitale e dei voti in assemblea. - Nelle società di capitali , il soggetto giuridico è una persona giuridica, ovvero la società stessa. Il soggetto economico è invece rappresentato da una o più persone fisiche che hanno la volontà di governare, hanno le competenze e soprattutto che hanno la maggioranza del capitale e dei voti in assemblea. Il soggetto giuridico e quello economico, quindi, non sempre coincidono, se non nel solo caso di imprese individuali. La responsabilità della propria azienda, nel bene e nel male, rimane comunque del soggetto giuridico, non del soggetto economico. Le azioni Il capitale sociale, detto anche capitale di rischio, è il capitale contribuito a una società per azioni da parte dei soci, ed è diviso in azioni. Esistono diversi tipi di azioni: le azioni ordinarie, le azioni privilegiate, le azioni di risparmio e le azioni di godimento. Le azioni ordinarie danno diritto di voto, sia nell’assemblea ordinaria sia in quella straordinaria. Danno inoltre diritto al dividendo e al rimborso del capitale in sede di scioglimento della società. Le azioni privilegiate danno diritto di voto, sia nell’assemblea ordinaria sia in quella straordinaria. Tuttavia, l’atto costitutivo di un’azienda può prevedere la loro partecipazione alla sola assemblea straordinaria, compensata da un trattamento privilegiato in sede di distribuzione dei dividendi. In sede di liquidazione della società, sono privilegiate nel rimborso del capitale. 37 Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società per azioni quotate in borsa. Non danno diritto di voto, né in assemblea ordinaria né in assemblea straordinaria. Tuttavia sono privilegiate in sede di distribuzione dei dividendi e di rimborso del capitale, infatti dopo l’accantonamento a riserva legale del 5% degli utili netti, spetta loro un dividendo minimo pari al 5% del valore nominale (ovvero il valore teorico associato ad un bene, che è diverso dal suo prezzo di mercato). Inoltre, a distribuzione completata dell’utile residuo tra tutte le azioni, deve risultare un dividendo superiore rispetto a quello distribuito alle azioni ordinarie di almeno il 2%. Le azioni di godimento non danno diritto di voto e sono trascurate negli utili dopo il pagamento alle azioni non rimborsate di un dividendo pari almeno all’interesse legale del 3%, in quanto non concorrono alla ripartizione degli utili che residuano. Inoltre, in caso di liquidazione, concorrono alla ripartizione del patrimonio sociale dopo il rimborso delle altre azioni al loro valore nominale. Le azioni di godimento sono distribuite a quegli azionisti le cui azioni sono state rimborsate: per esempio, in seguito a una riduzione del capitale sociale per esuberanza, alcune azioni vengono rimborsate al valore nominale. Tuttavia, se nel patrimonio sociale vi sono riserve, il valore effettivo delle azioni è superiore a quello nominale. Per tale motivo, agli azionisti a cui sono state rimborsate le azioni vengono date delle azioni di godimento a compensazione. È importante sottolineare che la somma delle azioni privilegiate e delle azioni di risparmio non può mai superare il 50% del capitale sociale. In generale, possiamo dire che alla diminuzione del diritto di voto in assemblea, aumentano i rendimenti e la priorità nei dividendi e in liquidazione: Molte persone infatti rinunciano ad una parte del diritto di voto per aumentare i propri dividendi, scambiando le proprie azioni con altre. 40 - Sviluppo diversificato, in cui la holding entra in settori nuovi e cambia l’oggetto della produzione. Ci sono 2 diverse strategie: la strategia conglomerale, in cui non ci sono connessioni di marketing e tecnologie, come la clientela, la pubblicità, l’assistenza e la distribuzione (per esempio la holding che produce carta da imballo produce anche automobili) e la strategia laterale, in cui ci sono connessioni tecnologiche e di marketing (per esempio la holding che produce carta da imballo produce anche carta da lettere). Questo sviluppo consente di diversificare i processi e frazionare i rischi economici e merceologici connessi ai processi, infatti se c’è la crisi di un determinato bene e io produco anche altri tipi di beni diversi da quello, potrò contare sulla produzione di quell’altro bene; - Sviluppo internazionale, in cui la holding mira alla ripartizione geografica dei rischi. Per diventare un’azienda internazionale, l’azienda deve attraversare 4 fasi: 1) Impresa nazionale e mercato internazionale, in cui la produzione dei beni avviene in Italia e la loro vendita all’estero avviene tramite compratori esteri; 2) Impresa internazionale, in cui la produzione dei beni avviene in Italia e la loro vendita all’estero avviene attraverso strutture distributive proprie situate all’estero come agenti e filiali; 3) Impresa internazionale avanzata, in cui la produzione dei beni avviene sia in Italia sia all’estero tramite partnership con aziende del posto (magari per ridurre i costi di produzione e di trasporto) e la loro vendita all’estero avviene tramite strutture distributive proprie situate all’estero o in partnership con aziende del posto; 4) Impresa multinazionale, in cui la produzione dei beni avviene sia in Italia sia all’estero con strutture proprie e la loro vendita all’estero avviene con strutture proprie. Le 4 strategie di sviluppo viste finora possono anche convivere tra loro in un’azienda, ma gli studi hanno dimostrato che un’azienda tende ad avere prima uno sviluppo orizzontale, poi verticale, poi diversificato e infine internazionale. La prima cosa ad internazionalizzarsi è la vendita, non la produzione, infatti un’azienda cercherà prima clienti a cui vendere i propri prodotti all’estero, e solo dopo sposterà il processo produttivo fuori dall’Italia. A livello collettivo non è mai opportuno che ci siano situazioni monopolistiche, dato che la concorrenza permette una calmiera dei prezzi e il loro abbassamento. Qui in Italia c’è l’Antitrust, che è il complesso delle norme che sono poste a tutela della concorrenza sui mercati economici, che impedisce di creare situazioni monopolistiche. 41 42 L’ECONOMICITÀ I criteri per valutare le scelte da adottare variano da azienda ad azienda, quindi non può essere espressa una generica teoria circa i criteri identificativi delle scelte più efficienti. Tuttavia l’aspetto economico è fondamentale è quindi utile per esprimere la congruità delle scelte da compiere. Proprio per questo diciamo che le aziende devono essere costituite e condotte secondo il criterio dell’economicità. L’economicità è la convenienza ad avviare e/o continuare una data attività imprenditoriale o la validità di un progetto di investimento. Possiamo dire che l’economicità è quindi una soglia, al di sotto della quale non è conveniente intraprendere un’attività economica e al di sopra sì. L’economicità è il criterio che consente di giudicare la convenienza ad intraprendere e continuare un’iniziativa economico-finanziaria ed è il criterio che ispira, generalmente, le scelte aziendali. L’economicità può essere valutata a diversi livelli, si distinguono infatti: Concentriamoci sull’economicità aziendale, che è formulata considerando l’impresa da sola senza tenere conto dei rapporti che la legano ad altre economie. Un’attività imprenditoriale è economica quando è capace di realizzare l’equilibrio economico dell’esercizio e un’adeguata potenza finanziaria. per capire a fondo i concetti e le formule che sono dietro l’economicità, occorre prima approfondire le grandezze che sono alla sua base: il capitale e il reddito. 45 Possiamo infatti vedere che: I costi sono sostenuti per l’acquisto dei fattori produttivi, e vengono classificati in: - Costi pluriennali; - Costi delle materie prime e merci; - Costi per servizi; - Oneri finanziari; - Oneri fiscali. I ricavi, invece, sono originati dalla vendita di prodotti, merci e servizi e vengono classificati in: - Ricavi di vendita; - Ricavi per disinvestimenti di beni strumentali; - Ricavi e oneri diversi. I costi e i ricavi presuppongono un’operazione di scambio, mentre gli oneri e i proventi non presuppongono un’operazione di scambio, bensì di erogazione. I costi, gli oneri, i ricavi e i proventi si intrecciano nel corso dell’esercizio, ma affinché assumano rilevanza per la determinazione del reddito riferito al periodo amministrativo considerato, devono essere di competenza. 46 Nelle operazioni di scambio, il ricavo è di competenza economica dell’esercizio in cui è avvenuto lo scambio, mentre il costo è di competenza economica dell’esercizio quando trova il correlativo ricavo o ragionevolmente non potrà più trovarlo. Nelle operazioni di erogazione, invece, un onere è di competenza economica dell’esercizio in cui viene erogata la prestazione, mentre un provente è di competenza economica dell’esercizio quando trova il correlativo costo/onere o ragionevolmente non potrà più trovarlo. Ci sono diverse configurazioni anche del reddito esercizio, in base alla sua finalità: - Se la sua finalità è l’equilibrio economico, il documento di riferimento nel quale è contenuto è il bilancio di gestione, la normativa di riferimento che segue è quella dei principi economico aziendali contabili e il destinatario del documento sarà il soggetto economico; - Se la sua finalità è la tutela delle minoranze e dei terzi, il documento di riferimento è il bilancio civilistico, la normativa di riferimento è il Codice civile e il destinatario è lo stakeholder; - Se la sua finalità è il pagamento delle imposte, il documento di riferimento è la dichiarazione dei redditi, la normativa di riferimento è la normativa fiscale T.U.I.R. e il destinatario è il fisco. Equilibrio economico L’impresa si trova in equilibrio economico quando riesce ad ottenere entrate capaci di remunerare sia i fattori in posizione contrattuale (come la manodopera) sia i fattori in posizione residuale (come il capitale di rischio). Questa condizione può essere sintetizzata nella seguente relazione: 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 ≥ 𝑟𝑒𝑚. 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑖𝑛 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 + 𝑟𝑒𝑚. 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑖𝑛 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑎𝑙𝑒 Dove per fattori in posizione contrattuale si possono intendere i costi e per fattori in posizione residuale si può considerare la remunerazione congrua, ovvero il reddito d’esercizio congruo o risultato d’esercizio congruo: 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 ≥ 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 + 𝑟𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑$𝑒𝑠𝑒𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑔𝑟𝑢𝑜 Dato che sappiamo che: 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 − 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 = 𝑟𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑$𝑒𝑠𝑒𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 47 Il risultato d’esercizio effettivo può essere un numero positivo, e in questo caso si parla di utile, o un numero negativo, e in questo caso si parla di perdita. Possiamo quindi concludere che, per trovarsi in equilibrio economico, deve risultare: 𝑟𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑$𝑒𝑠𝑒𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 ≥ 𝑟𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑$𝑒𝑠𝑒𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑔𝑟𝑢𝑜 La redditività dell’azienda, ovvero il ROE (Return on Equity), indica la percentuale di guadagno percepita dai soci o dall’imprenditore dell’azienda, che hanno investito nell’azienda con capitale proprio. Il ROE si calcola: 𝑅𝑂𝐸 = 𝑟𝑖𝑠𝑢𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑$𝑒𝑠𝑒𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑜 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 Inoltre, il ROE deve essere maggiore del tasso di congrua remunerazione 𝑖%: 𝑅𝑂𝐸 ≥ 𝑖% Ribadiamo che la remunerazione sarà congrua se, tenuto conto del rischio e dell’eventuale lavoro imprenditoriale, essa è in linea con quella ricavabile dai migliori investimenti alternativi. Questo tasso 𝑖% è scomponibile in 3 componenti fondamentali: - 𝒊𝟏 rappresenta il compenso per il puro investimento di capitale, ovvero il rendimento che si ottiene dal miglior investimento alternativo privo di rischio (parliamo quindi di investimento puro) e dunque non tiene conto né del rischio né del lavoro prestato. Nella realtà non esistono investimenti che non comportino anche un minimo grado di rischio, tuttavia per calcolare tale componente si assumono come termini di paragone i rendimenti netti (cioè al netto dell’inflazione) degli investimenti in titoli di Stato come CCT e BTP, e quel rendimento netto sarà proprio il nostro 𝑖#; - 𝒊𝟐 rappresenta il compenso per il rischio sopportato, e deve tener conto della perdita media delle aziende operanti nel settore e della probabilità che questa perdita si verifichi. Si calcola moltiplicando la perdita media per la probabilità di perdita. Se per esempio in un settore che conta 1000 aziende ve ne sono 100, cioè il 10%, che registrano una perdita media pari al 20% del capitale netto, avremo che: 𝑖( = 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑖𝑡𝑎 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 ∙ 𝑝𝑟𝑜𝑏𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑑𝑖𝑡𝑎 = 0,20 ∙ 0,10 = 2%; - 𝒊𝟑 rappresenta il lavoro imprenditoriale eventualmente prestato, ed è calcolabile come rapporto tra il compenso medio percepito da chi ricopre una carica direzionale e l’ammontare della somma investita. Si calcola dividendo il compenso medio per il capitale investito. Per esempio, se il compenso medio dei dirigenti è 50 e il capitale investito è 1000 avremo che: 𝑖! = "#$%&'(# $&*+# ",%+-,.& +'/&(-+-# = 01 2111 = 5%. 50 Il ciclo di vita dei prodotti Qualsiasi prodotto ha un ciclo di vita, e il suo grafico presenta sempre una forma a campana formato da una linea continua: Alcuni prodotti hanno un ciclo di vita più lungo e quindi una campana più larga (per esempio la Fiat Panda) che vengono venduti per molto tempo, mentre altri prodotti hanno un ciclo di vita più corto e quindi una campana più stretta (come il nuovo Iphone) che vengono venduti tutti in un periodo breve e poi nessuno li compra più. Il ciclo di vita dei prodotti si articola secondo le seguenti fasi: 1) Introduzione: è la fase in cui il prodotto viene immesso sul mercato, e che vede un lento incremento delle vendite. In questa fase il fattore strategico più importante è la qualità, dato che i clienti pionieri spesso sono super specializzati in quell’ambito e per comprare un nuovo prodotto esigono la qualità e l’innovazione. In questa 2) Sviluppo: è la fase in cui il prodotto comincia a diffondersi e subisce un rapido incremento delle vendite, e questo sarà il momento di massime vendite di tutto il suo ciclo di vita. Qui il fattore strategico più importante è la pubblicità, dato che il prodotto che prima era di nicchia ora deve essere venduto a più persone possibili. In questa fase le vendite crescono a incrementi crescenti, quindi la derivata prima sarà positiva così come la derivata seconda, dato che sono le derivate di variabili positive; 3) Maturità: è la fase in cui le vendite continuano a crescere ma ad un tasso contenuto, e i fattori strategici sono rappresentati dal prezzo e dagli sconti ai distributori (per esempio paghi 2 prendi 3). In questa fase le vendite crescono a incrementi costanti, quindi la derivata prima è un numero positivo, e la derivata seconda sarà 0; 4) Saturazione: è la fase in cui il mercato è saturo e le vendite si stabilizzano e si fa leva su fattori strategici come la confezione, l’imballaggio, l’aumento della gamma di colori e nuove versioni. Si fa questo per tenere aggiornato il prodotto, per tenerlo giovane e allungare un po' il ciclo di vita del prodotto e le sue vendite. In questa fase le vendite sono costanti, senza incrementi o decrementi, quindi qui la derivata prima è 0 essendo la derivata di una costante; 51 5) Declino: è la fase in cui le vendite sono in calo e si fa leva su fattori strategici come la pubblicità e i prezzi. In questa fase le vendite hanno un decremento, quindi la derivata prima sarà negativa, dato che è la derivata di una variabile negativa. È importante osservare che anche se c’è un calo delle vendite, comunque si sta vendendo, quindi si hanno comunque dei ricavi; 6) Rivitalizzazione: è la fase in cui le vendite calano e si ritira dal commercio quel prodotto, per poi inserire il prodotto innovato, al passo coi tempi o semplicemente diverso esteticamente (nuovi colori e nuovo design). Un ciclo analogo può essere individuato per i costi derivanti dalla produzione e commercializzazione di un nuovo prodotto. A differenza delle vendite, la maggior parte dei costi viene sostenuta prima e all’inizio della commercializzazione e riguardano le ricerche di mercato, l’acquisto del terreno, la costruzione dello stabilimento dove avrà luogo alla produzione, l’acquisto dei macchinari, la predisposizione dell’apparato distributivo e amministrativo e le spese di R&S. Successivamente all’introduzione del prodotto nel mercato, i costi consistono principalmente in costi di gestione: Il break even point, o punto di rottura, corrisponde al punto in cui i ricavi dell’attività d’impresa eguagliano i costi totali. Il punto di equilibrio economico, invece, corrisponde al momento in cui, remunerati i fattori produttivi in posizione contrattuale (quindi i costi), i ricavi riescono a produrre una remunerazione congrua anche per i fattori in posizione residuale. Questi due punti sono individuabili anche graficamente, ma li vedremo meglio più avanti. Riguardo alla quantificazione del livello di reddito che soddisfa la condizione di equilibrio economico dell’azienda, dobbiamo distinguere equilibrio economico oggettivo ed equilibrio economico soggettivo. Quello oggettivo si ottiene senza considerare le aspettative di profitto del soggetto economico e si limita a realizzare il minimo profitto per non perdere l’autonomia economica dell’azienda; quello soggettivo si ottiene quando l’azienda soddisfa le attese e le ambizioni del soggetto economico. 52 L’adeguata potenza finanziaria L’impresa ha un’adeguata potenza finanziaria quando ha la capacità di reperire capitale di rischio o capitale di credito per coprire continuamente, pienamente e convenientemente il fabbisogno finanziario derivante dall’eccedenza delle uscite rispetto alle entrate di gestione. Continuamente, perché bisogna coprire i costi di continuo, senza fermarsi; pienamente, perché bisogna coprire i costi per l’intero importo; convenientemente, perché devo trovare le fonti di finanziamento più convenienti per ogni spesa. Diciamo che per avere un’adeguata potenza finanziaria, le fonti di finanziamento reperibili devono essere maggiori o uguali al fabbisogno finanziario: 𝑓𝑜𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑟𝑒𝑝𝑒𝑟𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖 ≥ 𝑓𝑎𝑏𝑏𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖𝑜 La gestione può essere osservata sotto l’aspetto monetario e l’aspetto finanziario, due aspetti tra loro complementari. L’aspetto monetario evidenza le entrate e le uscite per operazioni tipiche d’esercizio, ossia le entrate per la vendita di prodotti e le uscite per l’acquisto di fattori produttivi. L’aspetto finanziario evidenzia le entrate e le uscite per la provvista o il rimborso di capitale proprio o di capitale di credito. Il pagamento dei fattori produttivi può avvenire utilizzando i fondi originati dalla vendita dei prodotti e derivanti da crediti di funzionamento, oppure dall’apporto dei soci e dei finanziatori esterni e derivanti dall’accensione di debiti di finanziamento. L’alternanza delle entrate e delle uscite per operazioni di esercizio crea un disequilibrio monetario e quindi un fabbisogno finanziario, che viene coperto dal capitale proprio e dal capitale di credito. Le uscite da considerare per il calcolo del fabbisogno finanziario sono: - Operazioni d’esercizio, come remunerazione dei fattori produttivi in posizione contrattuale e residuale; - Investimenti in crediti di finanziamento; - Estinzione di debiti di finanziamento. Per le uscite si distinguono le seguenti fasi: 1) Previsione: è il momento in cui prevediamo di avere un’uscita, ovvero un debito, e decidiamo di spendere soldi per qualcosa; 2) Liquidazione: è il momento in cui si verifica la corretta esecuzione della fornitura, quindi compriamo il prodotto senza averlo ancora pagato, e abbiamo l’esatta determinazione del debito da pagare; 3) Pagamento: quando effettivamente ripaghiamo il debito. 55 Un modo pratico per determinare il fabbisogno finanziario consiste nella redazione di uno stato patrimoniale relativo al periodo che si vuole prendere in esame. Infatti, se oggi è il 15 novembre, redigo uno stato patrimoniale al 31 dicembre, così che sia semplice prevedere le operazioni che verranno compite in questo mese e mezzo, di conseguenza l’azienda sarà in grado di sapere quanto sarà il suo fabbisogno finanziario il 31 dicembre. Per esempio: Possiamo quindi vedere lo stato patrimoniale come una cumulata, infatti esso dice a quanto ammonta il patrimonio totale, che altro non è che il patrimonio iniziale combinato con tutte le operazioni di gestione positive e negative che hanno portato quel patrimonio iniziale a quella determinata cifra finale. Il gruppo di investimenti lordi in attesa di realizzazione è identificato con la lettera 𝑘. Il fabbisogno al tempo 𝑡 è quindi dato dal totale di questi investimenti al netto dei fondi di rettifica, delle riserve e degli utili non distribuiti: In questo calcolo, gli investimenti lordi in attesa comprendono voci come crediti, merci, macchinari e fabbricato, ma non si devono considerare la cassa e la banca, dato che sono già soldi liquidi che l’azienda ha a disposizione e che quindi non sono un fabbisogno. Bisogna sottrarre le riserve e gli utili in quanto sono i soldi da distribuire ai soci e agli azionisti, dato che sono debiti che non rimangono nell’azienda, come pattuito in assemblea. I fondi di rettifica comprendono voci come il fondo svalutazione crediti e fondo ammortamento macchinari, e sono e i fondi rischi sono????? 56 Le fonti di finanziamento Come appena detto, un’adeguata potenza finanziaria prevede l’analisi della composizione delle attività (o impieghi) e la scelta di una certa combinazione delle fonti. Negli impieghi si possono distinguere, secondo il criterio della destinazione economica: - L’attivo immobilizzato, o immobilizzazioni, sono i beni destinati a rimanere a lungo all’interno dell’impresa, per esempio capannoni, impianti, macchinari e computer. Sono le attività realizzabili e suscettibili di utilità in un periodo superiore all’anno, e possono essere immobilizzazioni materiali (come attrezzature, arredi e fabbricati), immobilizzazioni immateriali (come brevetti, marchi e concessioni),e immobilizzazioni finanziarie (prestiti accordati a terzi e partecipazioni in altre imprese) e magazzino immobilizzato. - L’attivo circolante, o attività correnti, invece, comprende quegli elementi del patrimonio destinati alla vendita o comunque ad un utilizzo in tempi brevi. Sono le attività realizzabili in un periodo minore di un anno o già presenti in forma liquida, e possono essere liquidità differite (come crediti e cambiali), liquidità immediate (come cassa, denaro su c/c bancari, assegni e valori bollati) e il magazzino a breve (come scorte di materie prime e di prodotti finiti da vendere a breve). È importante precisare che il magazzino non fa sempre parte delle attività correnti, infatti in aziende come quelle di caramelle, che in magazzino avranno caramelle, il magazzino farà sì parte dell’attivo circolante; ma in aziende come quelle di navi, che in magazzino avranno grandi pezzi di navi che non si vendono in maniera così immediata, il magazzino farà parte dell’attivo immobilizzato. Molte aziende, inoltre, sono dotate del cosiddetto magazzino di sicurezza, in cui tengono delle materie prime e risorse come scorta, così che in caso di imprevisti e di non reperibilità di questi fattori produttivi non debbano andare in stop di produzione. Una volta determinato il fabbisogno finanziario e analizzata la composizione delle attività, cioè degli impieghi, sorge la necessità di reperire i capitali necessari alla sua copertura. A tal fine si ricorre alle fonti di finanziamento, che di distinguono in capitale proprio, capitale di credito e autofinanziamento. Il capitale proprio consiste nei mezzi che il singolo imprenditore (nell’impresa individuale) o i soci (nelle società di capitali) immettono e rischiano nell’attività d’impresa. In particolare, nelle società per azioni l’insieme del capitale proprio è diviso in azioni, e come già sappiamo ne esistono vari tipi. Il capitale proprio può essere distinto dal capitale di credito: in base alla durata e in base al costo del finanziamento. Si distingue in base alla durata, dato che è permanentemente vincolato all’azienda, e verrà ripreso dagli azionisti solo in caso di vendita delle azioni o al momento della chiusura dell’azienda. Si distingue invece in base al costo del finanziamento, dato che deve essere remunerato con la remunerazione congrua, che in un certo senso è il costo del capitale proprio. 57 Il capitale di credito è composto da quei mezzi che vengono immessi nell’attività imprenditoriale da soggetti non soci e che, quindi, non sopportano il rischio imprenditoriale. Si distingue dal capitale proprio in base alla durata e in base al costo di finanziamento. Si distingue in base alla durata, infatti si parla di debiti a breve termine se vanno estinti entro un anno (come uno sconto cambiario), di debiti a medio termine se vanno estinti entro i 5 anni, e di debiti a lungo termine se vanno estinti dopo i 5 anni (come un mutuo). Si distingue invece in base al costo del finanziamento, dato che sono generatori di interessi passivi che possono essere espliciti se calcolati in percentuale sulla durata e sul valore del debito, o impliciti se sono già inglobati nel valore di estinzione del debito. I mezzi per reperire capitale di credito sono tramite: - prestito obbligazionario: è una forma di finanziamento a lungo termine con cui l’impresa chiede un prestito ad investitori, ed emette dei titoli che certificano il credito vantato dal finanziatore nei confronti dell’impresa, detti obbligazioni; - credito bancario: sono i mezzi finanziari forniti da un istituto di credito; - reddito mercantile: è la dilazione nei pagamenti concessa dai fornitori. Si tratta di una forma di finanziamento molto veloce ed agile rispetto ad altre ma può essere molto costosa; - credito dei dipendenti, può assumere la forma del credito diretto (quando l’operazione di credito avviene direttamente tra creditore e debitore) quando, nelle grandi imprese fornite di sportelli aziendali che operano come nelle banche, il dipendente si rivolge a questi per ritirare solo una parte del proprio stipendio, lasciando il residuo presso l’azienda; assume invece la forma del credito indiretto (quando l’operazione avviene mediante intermediari, come le banche) quando riguarda il trattamento di fine rapporto (TFR). L’autofinanziamento, invece, consiste nel reinvestimento di quanto ottenuto mediante l’attività svolta nei precedenti esercizi. In tal modo, possiamo dire che l’azienda si finanzia da sola. Comporta la rinuncia parziale o totale, da parte dei soci, alla distribuzione dei dividendi. L’autofinanziamento può essere determinato con 2 metodi: - metodo sintetico o globale, per il quale l’autofinanziamento è pari alla variazione degli investimenti tra i vari anni oggetto d’analisi dell’azienda, alla quale vengono sottratti la variazione dei debiti e gli apporti e vanno aggiunti i rimborsi di capitale (i rimborsi meno gli apporti sono uguali alla variazione del capitale sociale). Ragiona quindi per differenza tra grandezze stock: 𝐴𝐹 = ∆ 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 − ∆ 𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑖 − ∆ 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒 - metodo analitico, per il quale l’autofinanziamento è pari alla variazione dell’importo degli utili, alla quale si somma la variazione del fondo rischi, del fondo di riserva e del fondo ammortamenti. Ragiona quindi identificando i singoli flussi: 𝐴𝐹 = ∆ 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖 + ∆ 𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 + ∆ 𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎 + ∆ 𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑎𝑚𝑚𝑜𝑟𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 60 Occorre sempre tenere presente l’esigenza del soggetto economico di conservare il governo dell’impresa, ovvero la conservazione del supremo potere volitivo del soggetto economico. Se il soggetto economico non detiene la maggioranza del capitale sociale, deve preoccuparsi di 2 cose: - Garantire dividendi normali e consueti ai soci, dove per “normali” si intende paragonabili agli investimenti che i soci otterrebbero se investissero i soldi da un’altra parte; e per “consueti” si intende che questi dividendi devono essere costanti, cioè forniti ogni anno. Se il soggetto economico non fornisce dividendi soddisfacenti, c’è il rischio che i soci e gli azionisti vendano le proprie azioni per investire i propri soldi da altre parti. - Finanziare gli investimenti disponibili mantenendo il leverage a livello di sicurezza, e il leverage di sicurezza non deve essere per forza 1, infatti dobbiamo confrontare il nostro leverage con quello medio delle altre aziende operanti nello stesso settore (se per esempio è 2 il leverage di sicurezza sarà 2). Quando bisogna coprire il fabbisogno economico, per esempio in caso di investimenti indispensabili, potrebbe essere necessario un aumento del capitale sociale, che potrebbe modificare i rapporti di forza all’interno della compagine sociale, fino a sostituire il precedente soggetto economico con uno nuovo. Se quindi non si vogliono modificare i rapporti di proprietà, bisognerà far ricorso al capitale proprio solo quando questo può essere sottoscritto nelle stesse proporzioni dai soci dell’azienda. In caso contrario, i capitalisti o gli azionisti diffusi potrebbero sottoscrivere una quota di capitale proprio maggiore di quella dell’attuale soggetto economico, spodestandolo e prendendo il governo dell’azienda. Onde evitare ciò, sarà più opportuno ricorrere al capitale di credito, senza però sforare il leverage di sicurezza. Nel momento in cui si sfora il leverage di sicurezza, si va incontro al cosiddetto rischio kaleskiano, il quale afferma che i capitalisti e gli azionisti diffusi tendono ad andarsene anche se gli si pagano dividendi normali e consueti, dato che percepiranno l’azienda come rischiosa. Per questo diciamo che è un po’ una coperta corta, dato che maggiori sono i dividenti che paghiamo, minori sono gli utili che trattengo in azienda, quindi saremo costretti a ricorrere alle fonti di finanziamento e al capitale di credito col rischio che il leverage si alzi troppo. Il costo del finanziamento deve essere paragonato alla redditività complessiva dell’impresa. Le scelte sul tipo di finanziamento vengono effettuate in base all’analisi di alcune grandezze che ci indicano la convenienza e i limiti al ricorso al capitale di credito. Bisognerà prendere in considerazione il valore del 𝑅𝑂𝐼, del 𝑅𝑂𝐸, il tasso d’interesse sul capitale di credito 𝑖𝑓 e il massimo indebitamento che l’azienda è in grado di sopportare 𝐿 (cioè il leverage). A tal fine, esiste una formula che descrive il cosiddetto effetto di leverage, o effetto leva: 𝑅𝑂𝐸 = 𝑅𝑂𝐼 + (𝑅𝑂𝐼 − 𝑖𝑓) ∙ 𝐶𝐶 𝐶𝑃 61 Da questa formula si deduce che: - Se 𝑅𝑂𝐼 > 𝑖𝑓, il 𝑅𝑂𝐸 aumenta all’aumentare del leverage !! !" , che esprime il grado di indebitamento che l’azienda può sopportare. Questo significa che vi è una convenienza ad utilizzare capitale di credito; - Se 𝑅𝑂𝐼 < 𝑖𝑓, il 𝑅𝑂𝐸 diminuisce all’aumentare del leverage !! !" , il che vuol dire che non risulta conveniente il ricorso al capitale di credito. Possiamo dire che il 𝑅𝑂𝐼 (return on investment) è ancora più affidabile del 𝑅𝑂𝐸, dato che quest’ultimo tiene conto anche degli oneri e proventi straordinari. Il ROE esprime la redditività dell’azienda, mentre il ROI La convenienza o no a ricorrere al capitale di credito si spiega precisando che se un’azienda ha un leverage troppo alto, quando richiederà dei finanziamenti gli verranno applicato dei tassi di interesse più elevati. Per affrontare questo tema, dobbiamo riferirci alla report form, con la quale sappiamo come calcolare le seguenti grandezze: ROE (return on investment) = #$ !" ROI (return on equity) = #% !!&!" RO (reddito operativo) = 𝑅𝑁 + 𝑂𝐹, quindi 𝑅𝑂𝐼 ∙ (𝐶𝐶 + 𝐶𝑃) RN (reddito netto) = 𝑅𝑂𝐸 ∙ 𝐶𝑃 OF (oneri finanziari) = 𝑖𝑓 ∙ 𝐶𝐶 L (leverage) = !! !" 62 L’economicità di gruppo Fino ad ora abbiamo esaminato il concetto di economicità riferito alla singola impresa, ma ci sono molti casi in cui è necessario valutare tale caratteristica inserendola all’interno di un contesto più ampio come quello di un gruppo. Ricordiamo che un gruppo è un insieme di imprese, ciascuna giuridicamente autonoma, legate da un unico soggetto economico dotato di potere volitivo su ogni azienda, detta holding. L’economicità di gruppo si presenta quando la singola azienda non è in grado di essere autonomamente sufficiente, ma o può raggiungere un equilibrio economico in virtù delle relazioni esistenti col gruppo; o non riesce a raggiungere l’economicità neanche col sostegno del gruppo ma la sua attività contribuisce all’economicità del gruppo nel suo complesso. C’è anche la possibilità che l’esistenza di un’azienda deficitaria appare come condizione necessaria per il conseguimento di utili di altre aziende del gruppo. Vediamo i vari giudizi di economicità: L’economicità realizzabile nel gruppo Un’impresa che singolarmente non è in equilibrio economico e non è in grado di produrre un’adeguata potenza finanziaria potrebbe invece far registrare dei risultati positivi in una situazione di integrazione con altre imprese appartenenti allo stesso gruppo. Le cause possono riguardare i seguenti fattori: - Organizzazione di alcuni servizi, infatti ci sono dei servizi che se svolti in comune con altre imprese dello stesso gruppo potrebbero risultare più vantaggiosi a livello di costi ed efficienza, mentre potrebbero comportare dei costi eccessivi per una singola impresa. Stiamo parlando di servizi come le ricerche di mercato, la R&S di nuovi prodotti, il reclutamento, la selezione e l’addestramento del personale, i servizi contabili, i servizi fiscali e i servizi di acquisto; 65 Gestione economica di una azienda di erogazione In un’azienda di erogazione, vi è la copresenza di processi erogativi e processi di scambio (vendita e acquisto): - I fatti gestionali collegati a processi di scambio individuano dei costi, all’atto dell’effettiva disponibilità, ovvero l’acquisto dei fattori produttivi; e dei ricavi, all’atto dell’operazione di scambio sul mercato, ovvero la vendita, del bene o del servizio prodotto. Un esempio potrebbe essere quando la Caritas ha rapporti con altre aziende da cui comprano il cibo da dare ai senzatetto; - I fatti gestionali collegati a processi di erogazione individuano degli oneri, all’atto della concessione di una contribuzione correlata al perseguimento della finalità istituzionale; e dei proventi, all’atto dell’ottenimento di una contribuzione da destinare alla finalità istituzionale. Un esempio potrebbe essere quando la Caritas distribuisce effettivamente il cibo ai senzatetto, senza chiedere nulla in cambio. Come detto prima, nelle aziende di erogazione cambiano i soggetti, infatti il soggetto economico persegue la finalità istituzionale. Inoltre, non esistendo lo scopo di lucro in queste aziende, anche il patrimonio netto diventa strumentale alla finalità istituzionale: Un’università, per esempio, ha come finalità istituzionale l’istruzione, non il profitto. L’istruzione deve però essere garantita durevolmente, non un solo anno, quindi c’è il bisogno di curare i conti e di rendere possibile il perseguimento della finalità istituzionale nel tempo, senza dover ridurre le risorse a disposizione. Vi è quindi una necessità di indagare sui livelli di efficienza ed efficacia. La remunerazione di chi ha conferito il patrimonio nell’azienda di erogazione risiede nella soddisfazione diretta dei bisogni a cui è asservita la finalità istituzionale dell’azienda di erogazione. Per esempio, per verificare che l’università funzioni, devo misurare il grado di soddisfazione degli studenti, dato che la sua efficacia deve essere misurata in termini di qualità e quantità erogata, non in termini di profitto. Non è quindi vero che la remunerazione non esiste nelle aziende di erogazione, semplicemente non va misurata in €. 66 Equilibrio economico nelle imprese e nelle aziende di erogazione Sappiamo che nelle imprese, l’equilibrio economico si sintetizza con la seguente formula: 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 ≥ 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 + 𝑟𝑒𝑚𝑢𝑛𝑒𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑔𝑟𝑢𝑎 Nelle aziende di erogazione, la relazione è diversa: 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 + 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 = 𝑜𝑛𝑒𝑟𝑖 + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 Questa relazione va intesa: - In riferimento all’intera gestione e non alla singola attività: vi potrebbero infatti essere attività redditizie che consentono lo svolgimento di attività non redditizie, ma comunque rientranti nella finalità istituzionale; - Come necessaria ma non sufficiente ad esprimere un giudizio positivo di economicità, infatti si deve comunque perseguire la finalità istituzionale; - In un’ottica di medio periodo, quindi tendenziale. Le oscillazioni di breve periodo intorno al pareggio, infatti, possono considerarsi fisiologiche. Se i 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 + 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 < 𝑜𝑛𝑒𝑟𝑖 + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 si ha un disavanzo economico, che porta a una lesione del patrimonio netto e quindi ad una maggiore difficoltà nel perseguire le finalità istituzionali in futuro. Per rimediare a ciò, occorrerà attuare una riduzione dei costi e fare un’analisi di efficienza; oppure aumentare i proventi, che però hanno dei limiti esogeni che possono essere normativi, sociali e politici. Un’università, infatti, non può alzare le tasse senza preoccuparsi del suo impatto sulla popolazione e sui limiti esogeni. Se i 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑒𝑛𝑡𝑖 + 𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 > 𝑜𝑛𝑒𝑟𝑖 + 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑖 si ha un avanzo economico, e già dal nome “risparmio” suona strano in questo ambito, il che vuol dire che l’azienda sta risparmiando (che non significa guadagnare o avere un utile, anche perché non è lo scopo delle aziende di erogazione) e quindi sottraendo risorse al perseguimento della finalità istituzionale. Per rimediare a ciò, si può attuare un incremento qualitativo o quantitativo dei servizi erogati facendo un analisi dell’efficacia; oppure tramite un decremento dei sacrifici richiesti, comprimendo i proventi, per esempio abbassando le tasse universitarie. È interessante osservare che il ciclo operativo nelle aziende di erogazione è opposto a quello delle imprese: nelle aziende di erogazione si ottengono i proventi per poi sostenere i costi, mentre nelle aziende di produzione si sostengono i costi nella ragionevole speranza di ottenere i ricavi. Un'altra differenza tra i 2 tipi di aziende è che l’attività di programmazione, nelle aziende di erogazione, è ineluttabile, cioè è obbligatorio dire prima come verranno impiegati i soldi ottenuti, mentre è facoltativo nelle aziende di produzione. Per esempio, la legge di bilancio varata dal governo ci dice preventivamente come verranno impiegati i nostri soldi, ed è obbligatorio destinarli a tali scopi. 67 Nelle aziende di erogazione, i costi/oneri e i ricavi/proventi si intrecciano nel corso dell’esercizio, ma assumono rilevanza per la determinazione del reddito d’esercizio solo se sono di competenza economica nel periodo amministrativo considerato: - Nelle operazioni di scambio, il ricavo è di competenza economica dell’esercizio in cui è avvenuto lo scambio; mentre un costo è di competenza economica dell’esercizio quando trova il correlativo ricavo o ragionevolmente non potrà più trovarlo; - Nelle operazioni di erogazione, un onere è di competenza economica dell’esercizio in cui viene erogata la prestazione; mentre un provento è di competenza economica dell’esercizio quando trova il correlativo costo/onere o ragionevolmente non potrà più trovarlo. L’equilibrio economico nel breve periodo Analizziamo una report form di un’azienda di erogazione: Qui nelle aziende di erogazione dobbiamo interpretarla diversamente. I margini di guadagno, infatti devono essere il più bassi possibile, non più alti possibile come nelle imprese. 70 Da questo grafico sul piano cartesiano deduciamo che un’azienda di erogazione può essere: - Efficace ed efficiente: se eroga bene i suoi servizi e riesce a comprimere i costi preoccupandosi della sua analisi dei conti. Si troverà nell’area dell’equilibrio economico duraturo; - Efficace ma inefficiente: se eroga bene i suoi servizi senza curarsi minimamente dell’analisi dei costi. Si troverà nell’area dell’efficacia insostenibile; - Efficiente ma inefficace: se sa comprimere i costi e si preoccupa dei propri conti ma non eroga servizi efficaci. Si troverà nell’area dell’efficienza inutile; - Inefficiente ed inefficace: se non eroga bene i suoi servizi e non si cura neanche dei propri costi. Si troverà nell’area dell’insostenibile inutilità, e sarà meglio chiuderla perché sta sprecando risorse. L’applicazione delle tecniche dell’economia aziendale alle aziende di erogazione consente di fornire informazioni che devono essere diversamente interpretate rispetto a quelle traibili dalle medesime tecniche applicate alle imprese. Questo perché sappiamo che le aziende di produzione per il mercato sono diverse dalle aziende di produzione per l’erogazione. 71 72 L’EFFICIENZA L’efficienza è la condizione che qualifica e misura il grado dell’economicità aziendale, individuandone le cause determinanti, sia positive che negative, e dando la possibilità di intervenire su di esse. In particolare, prende in considerazione 2 indicatori: i rendimenti fisico-tecnici e i costi. A parità di costi, maggiori sono i rendimenti fisico-tecnici e maggiore è l’efficienza, e quindi l’economicità. A parità di rendimenti fisico-tecnici, minori sono i costi e maggiore è l’efficienza, e quindi l’economicità. L’obiettivo assoluto non può essere però la minimizzazione dei costi o la massimizzazione dei rendimenti fisico-tecnici, perché l’azienda potrebbe minimizzare i costi accrescendo il volume di produzione tanto da rendere impossibile collocare prodotti sul mercato a prezzi mediamente remunerativi. Un’azienda può minimizzare i costi solo se il collocamento sul mercato fosse assicurato da prezzi fissi o variabili in connessione ai costi, in modo da migliorare la complessiva relazione tra costi e ricavi. Minimizzare i costi potrebbe quindi compromettere i rendimenti fisico- tecnici e viceversa. Per questo è importante effettuare un’analisi dei costi e trovare la giusta via di mezzo. Per calcolare l’efficienza, si mettono a rapporto i fattori produttivi. Per esempio, se in una facoltà ci sono 800 iscritti e 50 professori, e in un’altra facoltà ci sono 1000 iscritti e 40 professori, potremo dire che la seconda facoltà è più efficiente, perché ogni professore si occupa di più studenti. Ogni indicatore ha però il pregio e il difetto di essere una stima, un indicatore sintetico. I rendimenti fisico-tecnici La determinazione dei rendimenti fisico-tecnici può riguardare: - I fattori produttivi, come materie prime, macchine e lavoro; - I processi produttivi, per esempio un altoforno, una cokeria o una acciaieria. I rendimenti fisico-tecnici vengono ricavati dal rapporto tra la quantità di beni e servizi prodotti e la quantità di fattori produttivi utilizzati: 𝑅𝑑𝑥 = 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑏𝑒𝑛𝑖 𝑒 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑖𝑧𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑖 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑢𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑖 Ovviamente una valutazione generale dell’efficienza dell’impresa deve prendere in considerazione il rendimento di più fattori o processi produttivi ed altri elementi come le variazioni del costo e della qualità degli stessi. Capiamo bene che per i rendimenti fisico-tecnici le unità di misura utilizzate sono quantità fisiche, come litri, tonnellate, ore o posti a sedere. 75 La classificazione secondo la variabilità, che consiste nel classificare i costi in base alle caratteristiche fisiche ed economiche dei fattori produttivi. Distingue: - Costi variabili, ovvero quei costi che, a parità di altre condizioni come il prezzo di acquisizione, variano secondo il mutare della produzione, per esempio le materie prime; - Costi fissi, ovvero quei costi che non sono influenzati dal volume di produzione, per esempio gli impianti e i macchinari. Nel lungo periodo, però, possono essere considerati variabili al variare dei volumi produttivi, secondo un andamento tipicamente a scalini. - Casi particolari di costi della manodopera diretta, che sono costi variabili che si incrementano all’aumentare della produzione (per il ricorso agli straordinari, alla mobilità interna oppure per il ricorso a nuove assunzioni in presenza di incrementi produttivi di carattere duraturo) mentre tendono ad irrigidirsi al diminuire della produzione (a causa delle resistenza di carattere sociale che l’imprenditore incontra qualora si trovi nella necessità di operare una riduzione dell’organico). Per esempio, ipotizzando che un volo aereo abbia coperto i costi fissi con il suo volo da Roma a Londra, riempiendo solo metà dei posti. Per coprire anche i costi variabili, potrebbe fare uno scalo a Parigi e riempire l’altra metà dei posti con dei biglietti low cost, aumentando anche il guadagno. Configurazione dei costi L’individuazione delle configurazioni che possono essere assunte dal costo di produzione permette, mediante il confronto con i ricavi, di acquisire una serie di informazioni utili per le scelte aziendali. Si possono distinguere configurazione del costo totale e configurazione del costo parziale. Il costo totale di un processo o di un’area funzionale è il risultato di una stratificazione dei costi. È una tecnica utilizzata in riferimento a specifici oggetti di costo e prodotti. È possibile individuare: - Il costo primo, che comprende il costo delle materie prime, della manodopera diretta e i consumi diretti di altri fattori produttivi. Consente di controllare l’efficienza nell’utilizzazione delle materie prime e del lavoro; - Il costo di produzione, risultante della somma tra il costo primo e i costi industriali indiretti, come la manodopera indiretta e l’energia elettrica. Consente una valutazione dei prodotti finiti o in corso di lavorazione; - Il costo complessivo, risultante della somma tra il costo di produzione e gli oneri indiretti di natura amministrativa, finanziaria, commerciale e fiscale, come gli stipendi amministrativi e le provvigioni. Consente di valutare, mediante il confronto con i ricavi di vendita, i risultati netti conseguiti, quindi la redditività; - Il costo economico-tecnico, risultante della somma tra il costo complessivo e gli oneri figurativi, che rappresentano la remunerazione dei fattori produttivi in posizione residuale, come gli interessi di computo, il compenso per il rischio e il salario direzionale. Serve come base per determinare i prezzi di vendita. 76 Tra le configurazioni di costi parziali, particolarmente rilevante è quella del Direct costing e del Variable costing. Il variable costing è una configurazione che prende in considerazione i soli costi variabili (sia diretti che indiretti). La sottrazione di questi costi dai ricavi di vendita fornisce un margine di contribuzione specifico, che indica appunto il margine per la copertura dei costi fissi industriali e della struttura amministrativa e commerciale. È importante notare che dopo l’ottenimento del primo risultato, ovvero il margine lordo del prodotto, i passi successivi per la determinazione del margine di contribuzione specifico richiedono l’utilizzo di stime e congetture al fine di imputare in modo adeguato i costi variabili indiretti. Questo processo risentirà quindi inevitabilmente dell’influenza esercitata da chi effettua queste stime. Il direct costing, invece, cerca di evitare questo inconveniente. Essa procede sottraendo, dai ricavi di vendita, prima i costi diretti variabili, ottenendo così il margine lordo del prodotto, e successivamente i costi diretti fissi. Il risultato sarà il margine di contribuzione specifico, che quindi non avrà risentito di nessuna tecnica di imputazione dei costi e non è quindi inficiato, nella sua validità, da nessuna valutazione soggettiva. 77 Con il variable costing, infatti, i risultati che si ottengono sono il frutto di valutazioni soggettive, e non possono essere del tutto esatti. Con il direct costing, invece, si ottiene un reddito del prodotto gravato anche dai costi indiretti che non gli competono, ma il margine di contribuzione non risente più delle stime soggettive e delle valutazioni. Il controllo dei costi È di fondamentale importanza il controllo dei costi, che può essere effettuato con riferimento a diversi oggetti e a diversi livelli aziendali, in particolare: - A livello di sistema aziendale; - A livello di sub-sistemi aziendali, come quelli dell’approvvigionamento, della vendita, di R&S e di produzione; - A livello di oggetti più specifici, come quello dei singoli prodotti, o di determinati stabilimenti e filiali. In tal caso, gli stabilimenti oltre che essere oggetto di costo è anche centro di costo, mentre i prodotti dello stabilimento non sono centri di costo. 80 Il controllo dei costi per oggetti più specifici Per un controllo dei costi riferito ad oggetti più specifici, come uno stabilimento, una filiale o un settore, occorre procedere ad un ‘attività di imputazione dei costi generali, che in gran parte si basa su valutazioni soggettive e che potrebbero inficiare l’intera analisi. A tal fine, abbiamo visto che si procede ad una preventiva classificazione dei costi. L’analisi più importante è quella che studia l’andamento dei costi al variare del volume di produzione dell’attività aziendale. Per essa, si considerano: - 𝜷 i costi fissi; - 𝜶 i costi variabili proporzionalmente alla quantità di prodotto; - 𝜸 i costi variabili più che proporzionalmente alla quantità del prodotto. Questi costi vengono messi in relazione con la quantità di prodotto così da ricavare le seguenti misure: - Costo totale; - Costo medio, che forniscono indicazioni utili circa l’efficienza con cui vengono impiegati i fattori di produzione al variare della produzione. Esso può infatti essere calcolato per ciascun fattore del quale rappresenterà la produttività economica: - Costo suppletivo o marginale, che rappresentano l’incremento che subisce il costo totale per un aumento della produzione da una quantità 𝑞 ad una quantità 𝑞 + 𝛿. Questi costi suppletivi sono dati anche dall’incremento che i costi variabili subiscono nel passare dalla quantità di prodotto 𝑞 alla quantità 𝑞 + 1. In questo caso essi forniscono anche il valore minimo che deve essere assunto dal prezzo di vendita. 81 Il comportamento dei costi potrebbe essere il seguente: Il costo medio può anche essere scomposto, calcolandolo per le tre componenti 𝛽, 𝛼 e 𝛾: Per questo i costi 𝛽 sono detti a produttività economica crescente, i costi 𝛼 a produttività economica costante e i costi 𝛾 a produttività economica decrescente. 82 Il BEP Il BEP (break even point) o punto di rottura, rappresenta il livello di produzione in corrispondenza del quale i ricavi totali di vendita eguagliano i costi totali, e di conseguenza il profitto è nullo. La somma dell’andamento dei costi fissi e dei costi variabili ci darà l’andamento dei costi totali. Guardandolo dal punto di vista matematica, noi sappiamo che l’equazione di una retta è 𝑦 = 𝑚𝑥 + 𝑞: ecco, la nostra 𝑦 sono i 𝐶𝑇, la nostra 𝑚 sono i 𝐶𝑣𝑢, la nostra 𝑥 è 𝑄 e la nostra 𝑞 sono i 𝐶𝐹. l’equazione della retta è quindi: 𝐶𝑇 = 𝐶𝑉𝑢 × 𝑄 + 𝐶𝐹. Il BEP sarà individuato nel punto in cui la linea dei ricavi interseca la linea dei costi totali: L’altezza e l’inclinazione delle linee del grafico possono variare in dipendenza di diversi fattori, come le caratteristiche delle mercato, del prodotto o dell’impresa stessa. Per esempio, un’impresa che dispone di molte immobilizzazioni presenterà costi fissi più elevati che spostano i BEP in corrispondenza di un più alto livello di produzione, viceversa per le aziende con poche immobilizzazioni:
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