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Appunti completi storia dell'arte moderna, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Appunti completi storia dell'arte moderna dal concorso del 1400 fino al 1750 circa

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 19/12/2021

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Scarica Appunti completi storia dell'arte moderna e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! STORIA DELL'ARTE MODERNA 1° LEZIONE - LA CONQUISTA DELLA REALTA”, IL PRIMO QUATTROCENTO Quando si parla di Rinascimento in storia dell’arte ci si riferisce al periodo artistico e culturale che si sviluppò nella città di Firenze fra la fine del Medioevo e l’inizio dell'età moderna, pressappoco a partire dalla metà del XIV sec. al XVI sec.. Da tutti i suoi esponenti e principali protagonisti, il Rinascimento è visto come un’età di cambiamento che comportò un nuovo modo di analizzare il mondo e sé stessi, partendo dalla riscoperta dei classici e dell’antico. Il Rinascimento è lo “studio dell’antico”. La riscoperta dei classici ha caratterizzato la vita culturale del Rinascimento: il concetto umanistico di rinascita lo si ritrova anche in ambito letterario e storico, e il termine sta a indicare l’idea di risveglio sia dello spirito umanistico sia dell’arte antica. Già sul finire del Trecento, ma in particolar modo nel Quattrocento, si inizia ad avvertire in Italia questo spirito di rinnovamento con cui ci si vuole riappropriare delle antiche origini dell’Italia e quindi allontanarsi dal periodo ‘buio’ del Medioevo per far rivivere una nuova epoca grazie al recupero dell’arte antica. Fu nell'ambiente fiorentino del Quattrocento che lo studio dell’antico assunse un vero e proprio valore autentico di conquista. Il Rinascimento richiama immediatamente la città di Firenze, all’epoca ricca città mercantile che ha dato modo alla realizzazione di importantissime opere per la città. Il rinnovamento culturale e scientifico iniziò negli ultimi decenni del XIV secolo e nei primi del XV secolo a Firenze e affondava le radici nella riscoperta dei classici, iniziata già nel Trecento da Francesco Petrarca e altri eruditi. Nelle loro opere l'uomo iniziò ad essere l'argomento centrale accanto a Dio. In città, in concomitanza con una fioritura economica, per quanto effimera, e con alcuni successi militari e politici, si aprì una stagione in cui i legami con le origini romane, per altro mai venute meno, vennero rinsaldati e produssero un linguaggio figurativo radicalmente diverso da quello allora preponderante del gotico internazionale. | protagonisti di questo Rinascimento fiorentino furono essenzialmente tre e proprio grazie a questi tre personaggi l'architettura, la pittura e la scultura vennero rinnovate in maniera irreversibile: Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio. Per tutti e tre il classicismo ha rappresentato non soltanto uno stimolo a compiere opere originali ma anche un modo per riscoprire la natura, studiare e rappresentare il corpo umano nei suoi movimenti e fattezze e l'animo umano. La figura a lato è stata realizzata da Francesco di Lorenzo Rosselli e si Francesco di Lorenzo Rosselli, Pianta della Catena, XV sec., Firenze, Museo Storico Topografico chiama ‘Pianta della Catena’, del XV secolo. È fondamentale per capire com'era Firenze all’epoca. Fino al 1513, Firenze rimane una Repubblica. Nell'immagine si vede distintamente il fiume Arno e il centro storico della città. Si nota un forte agglomerato urbano e sulla riva destra si vede che spunta il duomo di Santa Maria del Fiore. Già a partire dai primi anni del Quattrocento Firenze poteva vantare un notevole giro economico dovuto proprio al fatto che la città di Firenze è stata una delle prime città mercantili e di conseguenza una delle più ricche, che quindi è stata in grado di ringiovanire e rinnovare il tessuto urbano con la realizzazione di importantissime opere. Per entrare in merito all'argomento, di fondamentale importanza è citare il bando di concorso che si tenne a Firenze nel 1401. La corporazione dell’Arte della Lana, che era la più importante e ricca corporazione di Firenze all’epoca, finanziò i lavori del battistero che si trova di fronte al Duomo di Firenze. E per la realizzazione delle porte venne bandito questo concorso cui vi presero parte anche Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti. Il tema che venne bandito per il concorso fu un tema tragico, ricavato dall'antico testamento: il Sacrificio di Isacco, che si doveva svolgere a rilievo entro una formella quadrilobata. La forma della formella doveva mantenere la forma della precedente porta trecentesca (quadrilobata con le cuspidi che recuperano un modello tardo-Gotico) realizzata in precedenza da Andrea Pisano. I due principali contendenti furono Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti, i quali giunsero a due risultati completamente diversi fra di loro. E alla fine dei lavori, venne scelto per la realizzazione della porta il lavoro di Ghiberti. Battistero di San Giovanni, IV-V sec. d.C., Firenze Le due formelle, a sinistra quella di Ghiberti e a destra quella di Brunelleschi, sono oggi conservate al museo nazionale del Bargello a Firenze. Il soggetto iconografico delle due formelle è il medesimo. In entrambe si vede Abramo nell'atto di sacrificare il figlio Isacco; l’angelo interviene a fermare il gesto di Abramo. L. Ghiberti (sinistra) / F. Brunelleschi (destra) - Il Sacrificio di Isacco, Museo nazionale —Lorenzo Ghiberti: si tratta di del Bargello, Firenze, 1401 a ercivian, una composizione bronzea. La composizione, quindi i personaggi animati e inanimati, è realizzata in maniera molto armonica, data dal fatto che la composizione non fuoriesce dalla cornice. La cornice è quadrilobata con le cuspidi, con un chiaro richiamo al periodo tardo Gotico. La tecnica di realizzazione del bronzo è a fusione a cera persa, con una certa valenza di risparmio di materiale. La cera persa è una tecnica che è stata ripresa dagli antichi. nervature marmoree che convergono verso un ripiano ottagonale. Sopra alla cupola poggia la lanterna cuspidata, stretta da otto contrafforti a volute. Brunelleschi inventò un nuovo metodo di costruzione basandosi sulle tecniche degli antichi. L'immagine da parte rappresenta lo schema grafico delle impalcature lignee della cupola del duomo, che sono impalcature lignee mobili, cioè potevano essere spostate e modificate a seconda man mano che la costruzione avanzava. Questo tipo di costruzione è stata ripresa dagli antichi Romani. Con questo tipo di Schema grafico delle impalcature lignee mobili della cupola di strutture lignee, la struttura era in grado di Brunelleschi . . autosostenersi. Essendo molto grande il diametro del tamburo, la cupola a sua volta ha una struttura molto ampia. Il rischio era che una volta costruita potesse crollare, ma con questo espediente Brunelleschi ovviò a questo rischio di crollo. All’interno c'è una doppia calotta utile per irrobustire la costruzione e alleggerire la struttura stessa. Fra la calotta interna e quella esterna c'è un’intercapedine, cioè uno spazio che Brunelleschi realizza appositamente fra le due cupole perché questo passaggio serviva per salire lungo la cupola e arrivare fino alla lanterna. Salendo le scale a chiocciola che sono state ricavate all’interno di due grandi pilastroni alla fine delle navate laterali, Brunelleschi ha creato il passaggio che conduce al ballatoio che dà sull’immenso vuoto su cui incombe la mole concava della cupola. Se si prosegue, si arriva in un corridoio che ci permette di capire che la cupola è composta da una cupola esterna e da una cupola interna. Le due calotte sono collegate da otto grandi costoloni d'angolo e da sedici costole intermedie disposte lungo le facce delle vele. All’interno dell’intercapedine c’è una ripida rampa di gradini che sono tagliati sull’estradosso (= parte esterna della cupola) che conduce al corridoio sottostante alla base della lanterna. La lanterna sembra apparentemente un tutt'uno con la cupola, ma osservandola dalla terrazza su cui si erge si nota che è totalmente isolata, come se fosse una sorte di tempietto posto alla sommità di un colle. Brunelleschi realizzò anche un sistema di illuminazione sia delle scale che dei corridoi che correvano sui vari livelli della cupola, per rendere più agevole la percorrenza dei cunicoli. Spedale degli Innocenti: i lavori di costruzione partirono attorno al 1419 nei pressi della chiesa dei Servi di Maria. L'edificio fu iniziato dal Brunelleschi ma fu concluso da altri e si articola attorno a un chiostro centrale affiancato dalla chiesa e dal dormitorio per gli orfani. Esso si erge su un ripiano raggiungibile salendo nove gradini. Il porticato presenta nove arcate nella porzione inferiore dell’edificio e nove campate coperte da volte a vela. Nove sono anche le finestre, di forma tipicamente classica, che richiamano le finestre del Battistero di San Giovanni. Sagrestia Vecchia di San Lorenzo: risale al 1422-28. Fu commissionata a Brunelleschi da Giovanni Averardo de Medici, il quale acquistò l’ambiente per farlo diventare la cappella funeraria di famiglia. Alla Sagrestia Vecchia si accede dal braccio sinistro del transetto della Basilica di San Lorenzo. Si tratta di uno spazio pressochè cubico al quale è sovrapposta una cupola emisferica ombrelliforme. La cupola è raccordata da pennacchi alle murature sottostanti ed è caratterizzata da dodici finestre circolari. È inoltre rafforzata da dodici nervature che le danno l'aspetto di un ombrello aperto. Esternamente la cupola è coperta da una superficie tronco-conica, protetta da squame di laterizio. La sormonta una lanterna su colonnine, che richiama la colonna del battistero fiorentino, coronata da un cupolino convesso-concavo percorso da scanalature che si avvolgono a elica, richiamando la spinapesce con cui Brunelleschi aveva disposto i numerosi mattoni della cupola del Duomo. Sul lato opposto all'ingresso c'è la scarsella, anch'essa a pianta quadrata. Tutti gli spazi sono scanditi dalle paraste, dalla trabeazione e dagli archi in pietra serena, di color grigio, che risaltano contro il bianco intonaco nudo. Le paraste assumono forme diverse in base alla collocazione cui sono destinate. La trabeazione è una cornice decorata da cherubini rossi e blu. La Cappella dei Pazzi: la Cappella dei Pazzi fu realizzata attorno al 1430 su commissione della potente famiglia dei Pazzi di Firenze. Nell'immagine è raffigurata la Cappella dei Pazzi nella veduta esterna del chiostro della chiesa di cui fa parte, la Basilica di Santa Croce a Firenze. Il progetto, la pianta e la sezione della cappella venne elaborata sullo schema della pianta centrale, molto amata da Brunelleschi perché richiamava l’antichità. La Cappella dei Pazzi rivela una ricerca spaziale e F. Brunelleschi, Cappella dei Pazzi, 1430 ca., veduta esterna planimetrica interpretabile come meditazione sulla del chiostro, Firenze, Basilica di Santa Croce Sagrestia Vecchia, a cui si ispira Brunelleschi per la sua edificazione. Brunelleschi ha cercato di armonizzare la costruzione all’esterno con l’ambiente circostante. L'ambiente principale si basa su una forma quadrata ma si dilata in un rettangolo la cui copertura comprende una cupoletta emisferica centrale affiancata da due volte a botte. La pianta centrale viene ripresa soprattutto dalla pianta del Pantheon, di Roma. Il vano cubico centrale è sovrastato da una cupola che si apre ai lati in due ali che sono coperte da volte a botte, che collega la parte esterna con quella interna della cappella. Sulla facciata esterna della cappella ci sono quattro finestre Pianta centrale e schema della Cappella dei Pazzi che richiamano la *® modanatura * " interna. h All’interno della i cappella si possono notare . e | Veduta interna della Cappella dei Pazzi \w delle arcate i cieche che sono il richiamo alle quattro finestre della facciata 4 esterna. Sono arcate cieche modanate con delle profilature in grigio, per evidenziare gli elementi architettonici e l’effetto di contrasto fra la parete bianca e le modanature delle finestre e degli archi. Su tutte le pareti, ridotto a motivo decorativo, è ripetuto il tema delle quattro paraste sormontate dalla trabeazione sulla quale poggiano due archi concentrici. Esternamente la facciata è divisa in due parti. La parte inferiore comprende un portico con colonne corinzie trabeate. La parte superiore è costituita da una parete piena, ornata a riquadri, scandita da coppie di parastine che sostengono una trabeazione a fregio strigilato. Infine c'è una cupoletta che richiama un gioco dinamico di archi che la sostengono. La cupoletta è stata realizzata con delle nervature in grigio che convergono verso l'occhio della cupola da cui proviene la luce che si irradia nella cappella. Gli occhi sono presenti in ogni spicchio della cupola. Masaccio Biografia: ilvero nome è Tommaso di Ser Giovanni Cassai. Masaccio nasce in un paese in provincia di Arezzo. La sua attività si protrae dal 1422 al 1428, in un lasso molto breve di tempo. La sua morte avvenne molto presto a Roma. Determinanti nella sua formazione artistica furono gli insegnamenti di Giotto, di Brunelleschi e di Donatello. Molto importante nella sua vita fu la collaborazione con Masolino da Panicale, a partire dal 1424, ancora quando Masaccio era legato alla cultura tardo gotica. Masaccio si discosta totalmente dall'arte tardo gotica con la Trinità. La formazione artistica e culturale di Masaccio avviene a Firenze, città in cui si trasferisce con la famiglia nel 1417 a seguito della morte del padre. Le notizie sulla sua biografia però risultano molto scarse, tanto che non abbiamo i nomi dei maestri da cui ottenne la sua formazione artistica. La tradizione vuole che Masaccio prende coscienza del proprio essere artistico grazie agli insegnamenti di Masolino da Panicale, anche se notizie più certe indicano Masolino non tanto come maestro ma come collaboratore alla pari. Fin dall'anno 1422, Masaccio risulta iscritto come pittore all'Arte dei Medici e degli Speziali. Riallacciandosi alle grandi intuizioni di Giotto, Masaccio concepisce un'idea di pittura completamente nuova, diventando così uno degli esponenti più importanti e rilevanti del primo Quattrocento. Le opere più significative di Masaccio: A dispetto della sua prematura morte, avvenuta nel 1428 a soli 27 anni, Masaccio ci ha lasciato una grande eredità con le sue opere artistiche. La produzione artistica di Masaccio è assai ricca e spazia dalla tempera su tavola alla tecnica dell’affresco. Una delle opere più significative di Masaccio è il Trittico di San Giovenale, del 1422. Questo trittico è una tempera mescolata con l’olio su tavola. Si trova nella Cascia di Regello vicino a Firenze. È la prima opera dell'artista ed è un’opera giovanile di Masaccio, che rileva già un'adesione ai principi della costruzione prospettica che l'artista apprese da Brunelleschi. È un’opera primordiale di Masaccio. È un trittico diviso in tre scomparti e l'impaginazione tradizionale dell’opera fa inmodo che è negata l'adozione di un unico punto di fuga centrale, mentre il fondo è oro. In quest'opera si legge un chiaro riferimento al tardo Gotico specialmente per l’uso di uno sfondo neutro, però volto a far risaltare la scena e non ad appiattirla. Nel pannello centrale si può vedere la Vergine seduta sul trono che regge in braccio il bambino, mentre due angeli sono inginocchiati ai piedi della Vergine, dando le spalle allo spettatore. Nel pannello di sinistra ci sono raffigurati San Biagio, in abiti vescovili, e San Bartolomeo. 10 Sant'Anna Metterza. | due maestri concordano precedentemente la distribuzione delle varie scene, cosicché i due modi diversi di dipingere potessero amalgamarsi con un certo equilibrio, senza creare contrasti. Il tema degli affreschi della Cappella Brancacci è quella della Vita di San Pietro, probabilmente suggerito dallo stesso committente e dalla sua cerchia. Ad esso si aggiungono anche scene tratte dalla Genesi. In questo ciclo di affreschi la centralità della figura di Pietro richiama quella della Nel primo affresco in alto sulla parete sinistra è raffigurato il Tributo, tratto da un episodio del Vangelo di Matteo nel quale si descrive n n È È l'ingresso di Cristo e dei suoi apostoli nella città di Cafarnao. Il Gabelliere, come di consuetudine, pretende da loro un tributo per il tempio di Gerusalemme. Gesù allora per non trasgredire alla legge, incarica Pietro di pescare un pesce nella cui bocca ci sarà una moneta d’argento per pagare il tributo al gabelliere. Nello stesso affresco Masaccio raffigura tre momenti temporalmente diversi. C'è un primo momento, al centro, in cui il gabelliere di spalle esige il tributo e dove Masaccio mette in rilievo lo stupore sui volti dei discepoli e di Cristo; la seconda scena, posta in secondo piano, è anticipata da Cristo che ordina a Pietro, indicando col dito, di pescare il pesce e sullo sfondo si vede Pietro da solo intento a pescare sulle rive del lago e come terza scena, sulla destra, si vede nuovamente Pietro che con un gesto deciso riconsegna il tributo al gabelliere. Tutti i personaggi raffigurati hanno un rilievo quasi scultoreo. Attraverso la tecnica del chiaroscuro Masaccio definisce i volumi e i panneggi. Nonostante le tre scene siano temporalmente separate fra di loro, Masaccio le raffigura adottando la medesima prospettiva, così da unificare lo spazio e il tempo in una visione unitaria della realtà. Il paesaggio appare brullo e desolato, e sullo sfondo le montagne sono disposte in successione cromatica. Le architetture sulla destra richiamano l'edilizia fiorentina del tempo. Le ombre dei personaggi hanno tutte la stessa direzione, per cui si presume che Masaccio abbia usato il sole come fonte luminosa del dipinto. La cacciata dal paradiso terrestre è dipinta da Masaccio nel secondo registro del pilastro di sinistra dell’arco di accesso alla cappella, appena prima del tributo. 11 L’affresco è caratterizzato per intensità e provenienza dalla stessa luce naturale che caratterizzava anche l'affresco del tributo. Qui sono rappresentati Adamo ed Eva nel momento in cui l'angelo di Dio li caccia dall’Eden. Le due figure sono nude, i corpi dei due personaggi sono sgraziati e caratterizzati da volumetrie massicce, modellando le sagome con un sapiente gioco chiaroscurale. Adamo, il cui piede sta ancora varcando la soglia del paradiso terrestre, sta piangendo e si copre la faccia in segno di vergogna, mentre Eva, che per la prima volta si accorge della propria nudità, ne prova vergogna e cerca di coprirsi i seni e il pube. Il volto di Eva è raffigurato da un dolore infinito, c'è un intenso gioco di luci e ombre, con forte predominanza di queste ultime. La bocca è spalancata in un urlo straziante e gli occhi sono contratti nella smorfia del pianto. Il paesaggio esterno all’Eden si riduce a una roccia e a un cielo azzurro senza nuvole, quasi irreale, spoglio e desolato, in contrapposizione col paradiso terrestre che i due si sono lasciati alle spalle. Importante è anche la scena che raffigura Masolino esattamente opposta a quella della cacciata di Adamo ed Eva. La rappresentazione è quella della Tentazione di Adamo ed Eva, cioè l’azione che giustifica il castigo divino. Alle spalle dei due personaggi c'è una pianta frondosa, che in questo caso è un fico, che allude al biblico albero del bene e del male, lungo il cui fusto si attorciglia, lambendo anche il braccio sinistro di Eva, un serpente, che simboleggia il demonio. La testa del serpente è la testa di una donna, che richiama l'iconografia della pittura cortese tardo-gotica. I due personaggi sono di una compostezza severa, quasi classica. Eva tiene delicatamente in mano il frutto proibito, raffigurata mentre è in procinto di passare il frutto al compagno che sta protendendo la mano sinistra verso di lei. Gli sguardi dei due personaggi sembrano guardare al di là, alludendo a una realtà sospesa e fuori dal tempo. La placida nudità e la grazia pacata dei gesti di entrambe le figure corrispondono a un’interpretazione assai puntuale delle scritture, in cui l'Eden è descritto come un luogo di delizie. Il forte realismo Masaccesco torna prepotente nell’affresco con San Pietro che risana con l’ombra, che si trova nel primo registro della parete di fondo, alla sinistra dell’altare. L'episodio è tratto dagli Atti degli Apostoli, in cui si narra che molti miracoli e prodigi avvennero per mano di San Pietro, il quale era in grado di risanare gli infermi al solo passaggio, soltanto sfiorandoli con la propria ombra. La rigorosa costruzione prospettica trova il punto di fuga spostato sulla destra, fuori dall'area del dipinto, quasi al centro della parete, e così facendo la linea dell'orizzonte si colloca all’altezza degli occhi di Pietro. Le architetture sullo sfondo alludono a Firenze, anche se non è identificabile un luogo preciso della città. Sulla 12 sinistra si identifica il palazzo signorile, con l’austero paramento bugnato. Accanto ci sono due sporti medievali e una colonna isolata con capitello corinzio, tipica dell'arredo urbano quattrocentesco. AI limite estremo, in alto a destra, si vede il cielo azzurro e la facciata di una chiesa a stile rinascimentale dotata di torre campanaria. | personaggi sono quasi scultorei, hanno massiccia imponenza e nei tratti richiamano la realtà quotidiana. | personaggi sono raffigurati con semplicità ed efficacia, per dare alla scena un profondo senso di verità. il senso di verità traspare anche dalla scena del Battesimo dei Neofiti. L'affresco è posto nel secondo registro, a destra della finestra della cappella, e a causa della collocazione le ombre sono dipinte come se i personaggi fossero colpiti dalla luce reale che passa dalla finestra. Il soggetto deriva di nuovo dagli Atti degli Apostoli, e fa riferimento a quando San Pietro ha battezzato in una giornata una trentina di neofiti. La scena, seppur svolgendosi in uno spazio aperto, richiama un senso di intimità. | personaggi sono accalcati fra loro, sullo sfondo si vedono delle nude montagne che conferiscono senso di profondità alla scena, grazie al progressivo diradarsi della tonalità del colore usato. La figura del battezzando è delineata in maniera perfetta. È dipinta in ginocchio, ai piedi di Pietro, raffigurata con un corpo scultoreo, modellato per masse contrapposte, con intensi tocchi di colore che richiamano la pittura compendiaria romana. La naturalezza della scena è data anche dal neofita alle spalle del battezzando che, spogliatosi degli abiti, è percorso da un umano brivido di freddo dal quale cerca di difendersi serrando le braccia conserte contro il petto. 15 Cristo, rappresentato nella dolorosa immobilità della morte. Gli arti del Cristo sono tesi nello spasimo. La testa è incassata nelle spalle e il collo risulta accorciato per il gioco prospettico di cui si è già in precedenza parlato. In basso di spalle c'è la Maddalena, della quale possiamo vedere una cascata di capelli biondo oro e due mani disperatamente protese verso Cristo, quasi formando un ideale triangolo con le mani di quest’ultimo. La Maddalena richiama uno straziante dolore grazie alla sua posa e alla sua gestualità, nonostante non ci sia concesso di vederne il volto perché posta di spalle. Giovanni è l’unico che la vede in faccia, diventando così lo specchio psicologico del profondo sgomento della donna. Fu Brunelleschi a dare agli artisti della sua epoca i mezzi matematici per risolvere l'illusione della profondità e uno dei primi che la applicò fu Masaccio. Lo si può riscontrare nella celeberrima opera /a Trinità, realizzata ad affresco e posta nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze, nella terza campata a sinistra. Masaccio la realizza a ridosso della sua prematura scomparsa. La Trinità è l’ultima opera realizzata da Masaccio prima della sua prematura scomparsa. L'artista operò secondo il metodo brunelleschiano della prospettiva centrica. Lo si può notare perfettamente nell'immagine che rappresenta la. prospettiva con veduta laterale, dove il punto di vista è quello dello spettatore medio previsto \/o4uta prospettica della Trinità di Masaccio con dall'artista. Da veduta laterale questo disegno prospettico è evidente che quest'opera presenta una struttura narrativa ripartita su più piani. Tale artificio crea un effetto di grande profondità spaziale come se la cappella non fosse stata dipinta ma scavata nel muro. Sembra quasi di andare oltre la parte, proprio grazie all’espediente della prospettiva centrica e della disposizione narrativa su più piani. La linea dell'orizzonte è posta a livello dei due oranti e coincide col punto di vista dello spettatore, che posizionandosi su questo punto si ritrova lo sguardo sui due oranti ai piedi della croce. Si può notare che le figure divine sono state inserite nello spazio a figura d'uomo: anche in un dipinto a tematica religiosa molto palese è l’uomo il protagonista, fondamentale per il Rinascimento. Non c'è un piano privilegiato per le figure divine rispetto a quelle umane, tant'è che l’occhio dell'osservatore va subito sui due oranti, segno della visione antropocentrica del Rinascimento. Massaccio, la Trinità, 1426-28, Firenze, Santa Maria Novella 16 Dal punto di vista compositivo, l'affresco è costituito all’interno da un impianto piramidale in cui ilo suo valore contenutistico è incentrato sul significato simbolico del triangolo e del numero tre, ricorrenti in questa composizione. C'è un primo triangolo che collega le figure umane e che ha come base i due committenti e culmina nella figura di Cristo. Nel secondo triangolo la base coincide col soppalco in legno e congiunge la figura di San Giovanni con quella di Maria e di Cristo mentre un terzo triangolo, rovesciato, ha il vertice sulla figura di Cristo, include la colomba posizionata fra la figura di Dio Padre e Cristo, e la base collega i due capitelli. Anche qui ricorre il continuo richiamo al mondo classico e lo si vede dall'uso dell’arco a tutto sesto della volta a botte a cassettoni e dei capitelli ionici. In basso in primo piano c'è un sarcofago con uno scheletro, la cui scritta “lo fu già quel che voi sete e quel ch'i’ sono voi ancor” allude proprio alla transitorietà delle cose terrene. Il sarcofago richiama quello che avviene nel registro superiore dell'affresco. | due oranti, cioè i due committenti di questo affresco, che molto probabilmente sono Domenico Lenzi e sua moglie che vennero sepolti nel 1426 sotto il pavimento della chiesa. Altri due particolari sono la Madonna e San Giovanni Evangelista. Lo sguardo della Madonna è rivolto all’osservatore e con il gesto della mano sta indicando quello che sta avvenendo, cioè il grande gesto della crocifissione. Il volto è molto serioso e plastico, assai composto. Entrambi hanno l’aureola che sembrano due piatti, sono evidenti e dipinte in prospettiva quasi a tagliare la scena e a evidenziare ancora di più l’effetto della profondità. La colomba è posizionata fra Dio Padre e la testa del Cristo. La struttura è piramidale e il tutto è realizzato all’interno del registro superiore dell'affresco, che rappresenta la trinità. È forte il richiamo agli archi di trionfo romani; il soffitto della volta è chiaramente a cassettoni e le colonne sono ioniche: sono tutti richiami all’arte classica che sono stati perfettamente studiati e inseriti. Donatello Donatello, il cui vero nome è Donato di Niccolò di Betto Bardi, si può considerare il più importante scultore della cerchia di Brunelleschi. A differenza di Masaccio ebbe sicuramente una vita più lunga e quindi una carriera altrettanto più lunga durante la quale egli sperimento diverse tecniche adoperandosi in una vastissima gamma di materiali. L'innovazione di Donatello consiste proprio nello sperimentare molti materiali e tecniche, fra questi marmo, bronzo, terracotta e anche il legno. La data di nascita di Donatello non è precisamente conosciuta, ma si fa risalire al 1386. Non è facilmente etichettabile, è una figura che durante la sua carriera ha avuto fasi alterne in cui si rifà molto al classico ed altre in cui invece se ne allontana. Donatello, di modestissime origini, inizia la sua formazione presso la bottega del Ghiberti, dal quale acquisisce le tecniche della fusione in bronzo e l’amore per l’arte classica. Agli inizi del Quattrocento, con Brunelleschi, compie un viaggio a Roma, dove perfeziona la propria formazione. L’attività di Donatello si svolge prevalentemente a Firenze. 17 La prima giovanile testimonianza della propria arte, Donatello ce la offre con il Crocifisso ligneo di Santa Croce, databile fra il 1406 e il 1408, anche se l'attribuzione a Donatello rimane ancora incerta. Si tratta di una scultura in legno di pero, realizzata in più pezzi. Le braccia mostrano il meccanismo a incastro grazie al quale potevano essere ripiegate durante la settimana santa, per poter mettere la statua del Cristo nel sarcofago. La figura è realizzata a tutto tondo, ma appare estremamente sommaria, come se ci si dovesse limitare a una visione frontale dell’opera. Lo studio anatomico che Donatello compie per la realizzazione di questa statua è lontanissimo da qualsiasi ideale classico di proporzionalità ed equilibrio, sembrando quasi condotto dal vero. Questa statua presenta ancora forti permanenze di tipo gotico, riscontrabili soprattutto nel panneggio del perizoma. Nella definizione del corpo, con piedi tozzi, vita stretta e ventre rigonfio hanno il sopravvento i motivi di un naturalismo nuovo e vivace, ma al contempo poco incline all’autocompiacimento. Il volto, ossuto e irregolare, trasmette il senso del dolore in tutta la sua drammaticità, grazie alla rappresentazione degli occhi semichiusi. nazionale del Bargello Figura 1 - Donatello, San Giorgio, 1416-17, Firenze, Museo Una delle sue opere più importanti è il San Giorgio, commissionato a Donatello nel 1416 dall’Arte dei Corazzieri di cui era patrono. È una delle opere giovanili di Donatello che si riallaccia alla scuola di Brunelleschi. Questa scultura venne commissionata dalla corporazione dei corazzai e degli spadari, perché San Giorgio era illoro patrono. Era una scultura indirizzata a una delle nicchie esterne della chiesa’ di Orsanmichele. Oggi è collocato al museo del Bargello di Firenze. Il San Giorgio appare molto composto, solido e molto ben piantato al suolo. Lo scudo cruciforme evidenzia ancor di più l’asse di simmetria e quindi l'equilibrio di ogni elemento che compone questa scultura. Lo scudo a forma di rombo poggia fermamente a terra perché funge da punto di appoggio e nello stesso tempo delinea un gioco simmetrico dei volumi. Donatello ha voluto sostituire la raffinatezza dei 20 dove il santo funge da centro focale del pannello. Il tutto è contornato da una folla di astanti. Al museo del Bargello troviamo, sempre ad opera di Donatello, l’opera scultorea bronzea raffigurante il David. Il David fu realizzato attorno al 1440 su commissione di Cosimo de’ Medici. La scultura del David è pensata per essere vista dal basso, presenta tratti singolari, tanto che alcuni hanno rivisto nella scultura donatelliana un forte richiamo all’iconografia greca del dio Hermes. La tecnica con cui è stata realizzata è la cera persa, tecnica già usata dall’artista e ripresa dal mondo classico. La testa del fanciullo richiama fortemente la testa del Dio Hermes, ripreso dalla mitologia greca. C'è un chiaro riferimento al mondo greco sia nelle fattezze del giovane David sia nella tecnica di realizzazione della statua stessa. Il giovane ha una posa pensosa e serena, molto probabilmente si dice che Donatello prese per esempio un giovane che trovò per strada come modello per la sua realizzazione. È una scultura armonica, che ha un movimento sinuoso ma giocata sempre su un gioco di equilibri molto forte che dà compostezza a questa splendida scultura. È Partendo da uno spunto classico, rappresentante un nudo virile, Figura 5 - Donatello, David, bronzo, ca. Donatello riesce a conferire al suo David un'espressione 1999 Firenze, Museo del Bargello pensosa, in vivace contrasto con l’innaturale postura del corpo, con ogni probabilità attinta dalla statuaria di Policleto. La luce anche in questo caso è impiegata come strumento di modellazione delle masse, che scivolando dolcemente lungo le membra di David si addensa ai suoi piedi, dove crea ombre profonde sulla testa mozza di Golia, ancora racchiusa nell’elmo. Donatello non vede il suo David né come cavaliere medievale né come eroe classico, ma come un simbolo del suo tempo. In questa scultura la razionalità dell'intelletto trionfa sulla forza bruta del gigante, allo stesso modo in cui la virtù e l'intelligenza devono sempre trionfare sulla violenza e sull’irrazionalità. Il periodo maturo di Donatello è il periodo padovano, la cui opera più importante risulta essere il monumento equestre del Gattamelata, esposto sulla piazza antistante alla Basilica di Sant'Antonio, e È È del grandioso Altare del Santo, collocato Figura 6 - Donatello, Monumento equestre al Gattamelata, 1445-53 ca, all’interno della basilica. Bronzo, Padova, Piazza del Santo Il monumento equestre a Gattamelata è un monumento celebrativo in onore del capitano di ventura Erasmo da Narni, che combattè al servizio della città di Venezia. È chiaramente ispirato alla statuaria 21 romana e in modo particolare si rifà a Marco Aurelio. La cosa di particolare rilevanza è il fatto che il cavaliere viene spogliato di quell’aura fiabesca che aveva assunto nel Medioevo per tornare a vestire le vesti di uomo. Il volto del Gattamelata ha tratti severi, la fronte presenta ampie stempiature, lo sguardo è risoluto ma non sprezzante, cosa che lo rende assai naturale nelle movenze e nella fisionomia di corpo e volto. Anche il cavallo è raffigurato, nella sua magnificenza, rifacendosi a un cavallo reale, con tratti realistici e naturali. È indubbiamente il risultato di uno studio dal vero, che sembra rendere l’uomo e il suo cavallo come un tutt'uno. Riprendendo itratti giovanili utilizzati con l’Abacuc, Donatello realizza la sua statua della Maddalena penitente. La Maddalena è rappresentata dopo il digiuno nel deserto, apparendo consunta nel fisico ma anche dilaniata nell'animo. Il volto della Maddalena è sofferente, le mani delle dita lunghe e nodose e il corpo mortificato da una informe cascata di capelli, i piedi scheletrici, modellati sul Figura 7 - Donatello, Maddalena terreno come se fossero vecchie radici, tutti dettagli volti ad penitente, 1455-56 ca., Legno esprimere la grandezza interiore del personaggio raffigurato. parzialmente dorato, Firenze, Museo 11 materiale di cui è composta la statua è legno, con nervature dorate. dell'opera del Duomo IL TARDO QUATTROCENTO IN ITALIA Leon Battista Alberti Leon Battista Alberti è stato il principale teorico e architetto della storia dell’architettura e proprio per questa sua peculiarità lavorò moltissimo presso le corti. Il suo interesse si volse principalmente verso la ricerca di regole prospettiche che dovevano in qualche modo guidare il lavoro di altri artisti che lavoravano a bottega con l’Alberti e di artisti che invece poi presero come esempio il metodo innovativo dell’Alberti per realizzare le loro opere. L'aspetto innovativo delle sue proposte consiste nel contrapporre alla pratica architettonica gotica il ritmo rigoroso di un edifico tale da porsi sulla linea inaugurata da Filippo Brunelleschi. A Leon Battista Alberti si devono la stesura di tre trattati su pittura, architettura e scultura. In essi, e principalmente nei primi due, l’autore enuncia i principi per una buona esecuzione e descrive i processi dell’ideazione dell’opera d’arte. Il concetto chiave sta nel fatto che se l'artista medievale era responsabile soltanto dell’esecuzione, l'artista ora invece deve trovare e definire i contenuti e i temi di immagine, che nel Medioevo erano già dati. Secondo l’Alberti la forma non è più semplice illustrazione o trasformazione in figura, ma ha un proprio intrinseco e specifico contenuto, che è la realtà. Secondo l’Alberti, e secondo il pensiero rinascimentale più genericamente, l’arte è un processo di conoscenza il cui fine non è tanto la conoscenza della cosa quanto quella dell’intelletto umano. Delle tre opere scritte da Leon Battista Alberti, ricordiamo di seguito i titoli (che già dal titolo richiamano l’antichità): De Pictura, De Re Aedificatoria e De Statua. Nel trattato De Pictura vengono esposti i principi della prospettiva ed al suo interno viene delineata la definizione di disegno, si parla dell'importanza della composizione e si dice delle relazioni fra luce e colore. Per l’Alberti il disegno è “circonscrizione”, cioè soltanto linea di contorno. L’Alberti ritiene che lo scopo della pittura sia oltre che essere imitazione della natura, ricercare la bellezza intesa 22 come qualcosa che dà piacere all'occhio e che sia riconoscibile in base a una facoltà che ciascun uomo possiede. Il De Re Aedificatoria è il trattato che maggiormente è caratteristico. Verosimilmente scritto nel 1452 ca. prendendo come esempio il trattato di Vitruvio, è suddiviso in dieci libri e al suo interno l’Alberti vi discorre del disegno, dei materiali di costruzione, dei processi costruttivi di edifici pubblici e privati, di strade, fortezze, ponti e dell’organizzazione delle città, delle acque e della loro ” canalizzazione e anche degli ordini architettonici. Il primo intervento architettonico che si riconduce all’Alberti è costituito dal rifacimento della chiesa gotica di San Francesco a Rimini. Nota anche come Tempio Malatestiano, su commissione di Pandolfo Malatesta, signore della città di Rimini, essa avrebbe dovuto trasformarsi in un monumento celebrativo per lui, la sua amante Isotta degli Atti e quella dei più noti uomini di cultura della corte riminese. L'intervento — dell’Alberti avrebbe dovuto trasformare il complesso in un Figura 8 - Facciata esterna del Tempio Malatestiano, Rimini vero e proprio mausoleo. I lavori di intervento cominciarono nel 1447, anche se per la completa trasformazione dell’interno si dovette aspettare il 1450. | lavori all’esterno presero l'avvio nel 1453 circa. La decorazione all’interno viene considerata da qualche tempo opera dell’Alberti, inizialmente era stata attribuita a Matteo de’ Pasti. All’interno si trova un’unica navata, affiancata da cappelle introdotte da grandi arcate a sesto acuto. L’interno gotico viene indirizzato verso un inquadramento classicheggiante, in modo tale da perdere l’influsso della tradizione medievale. All’interno del Tempio Malatestiano un doppio ordine di paraste inquadra gli archi acuti e il secondo ordine, su mensole, corona le pareti. L’Alberti incapsula l’edificio in un moderno involucro in pietra d'Istria, senza curarsi molto di quanto fosse già esistente. Nel tempio malatestiano l’Alberti creò la prima facciata di chiesa rinascimentale, facendo riferimento all’antichità romana. Egli non imitò le forme del tempio classico, ma si riferì agli archi di trionfo, fra cui l’arco di Augusto a Rimini e l’arco di Costantino a Roma. Nei fianchi, le grandi arcate a tutto sesto sorrette da pilastri ricordano gli antichi acquedotti e riprendono le arcate interne del colosseo. Un alto basamento sorregge sia i pilastri sia le semicolonne dai capitelli compositi, con teste di cherubino, che nella facciata ripartiscono la superficie della porzione inferiore in tre parti. La centrale accoglie il portale, all’interno di un’ampia e profonda arcata, circondato da festoni e da un ornamento geometrico di marmi antichi prelevati da Ravenna. Ai lati due arcate cieche avrebbero dovuto originariamente accogliere i sarcofagi di Isotta e Sigismondo 25 Palazzo Rucellai fu da parte dell’Alberti il primo tentativo di applicare gli ordini classici alla facciata del palazzo. Questa è una caratteristica importantissima in quanto è la prima volta che | accade: ci i il troviamo di fronte a Schema della facciata esterna di Palazzo Rucellai, a . Ì Firenze un'architettura di carattere privato Leon Battista Alberti, Palazzo Rucellai, che richiama gli stilemi e le forme dell’arte classica. L’Alberti, su Facciata, Firenze eredità di Brunelleschi, tenta di fare questo ‘esperimento’ che riuscirà oltretutto molto bene. L’Alberti utilizza per scandire i piani della facciata di questo palazzo delle lesene e delle trabeazioni. Le lesene sono elementi architettonici disposti in verticale che scandiscono la facciata e che inquadrano le grandi finestre che hanno la caratteristica di essere incorniciate in archi a tutto sesto. Si vede fin dall'esterno un'impronta molto marcata di riferimento all’arte classica, reinterpretando la classica colonna di epoca antica con le lesene. Nel disegno della facciata del palazzo si notano in maniera molto marcata le lesene sui tre piani della facciata e si vede anche molto bene il modo in cui le lesene scandiscono i ripiani e scandiscono le varie finestre. Dal disegno si può riscontrare il fatto che l’Alberti si ispira al Colosseo: l’Alberti studia infatti moltissimo i monumenti classici. Il richiamo si nota soprattutto dal fatto che al secondo piano (=piano attico) si ha un ordine corinzio, dato dalla scelta del capitello corinzio lavorato a volute e a foglie di acanto abbastanza stilizzate. Al primo piano invece di avere un capitello ionico sulle lesene troviamo ancora un capitello corinzio, anche se questo capitello è leggermente diverso da quelli del secondo. La differenza sta soprattutto nell’uso degli elementi fisiomorfi che sono stati realizzati. AI pianterreno invece l’Alberti usa un capitello di ordine tuscanico, molto più semplice rispetto al capitello corinzio. Tornando a parlare della facciata, bisogna notare che le lesene inquadrano delle porzioni di muro bugnato, su tutti e tre i livelli della facciata, realizzata a conci levigati. Oltre ai conci ci sono anche dei fregi decorativi che sono scolpiti a rombo e che sitrovano al piano terreno, che richiamano l’opus reticolatum della Roma classica. Altra cosa fondamentale è il fatto che le finestre del pianterreno sono dei grandi riquadri incorniciati strombati, molto semplici, mentre al primo e al secondo livello le finestre sono delle bifore. Il richiamo alle bifore è ripreso dalla bifora gotica, che era molto più decorata e merlettata, e la ripropone in un edificio della seconda metà del Quattrocento smussando l’arco che sovrasta le due aperture. C'è un recupero del disegno gotico nelle forme, ma reinventato nelle forme classiche. Si avverte ancora il sapore gotico sia negli edifici di carattere religioso sia in quelli di carattere privato e pubblico. *|*R*|*||eB#|* | È | #|® #|6 ACI (e) E] e] CI ETNEA 1 10] E] e] E] DO DI Deo DE ga 1 = centrale, che inserì in un arco a tutto sesto incorniciato da due semicolonne corinzie su alti piedistalli. L'arco introduce una breve volta a botte cassettonata, che poggia su superfici murarie scandite da coppie di lesene corinzie scanalate, richiamando l'ingresso del Pantheon. Le semicolonne vennero affiancate alle paraste d’angolo. Le paraste sono rivestite con fasce orizzontali di marmo alternativamente bianco e verde, rinviando ai pilastri angolari del battistero fiorentino di San Giovanni. Per l’intera altezza della navata centrale, la porzione superiore della facciata venne organizzata come un tempio classico tetrastico. Quattro paraste corinzie, dalla DUENOURE SEZ 26 Lo stesso committente di Palazzo Rucellai, fra il 1458 e il 1460, commissionò all’Alberti la progettazione della facciata della basilica fiorentina di Santa Maria Novella. In questo caso l’Alberti si ritrovò a dover lavorare su un progetto già parzialmente realizzato nel corso del Trecento. La porzione inferiore aveva già i portoni laterali, i profondi archi acuti con le tombe gotiche e le alte arcate cieche. L’Alberti dovette mantenere tutte queste caratteristiche, con il compito di dover armonizzare il vecchio con il nuovo. In questa parte inferiore intervenne sul portale sléfaojolsloktg+]è @ +] tipica zebratura marmorea, sorreggono una trabeazione al di sopra della quale poggia un timpano. Due ampie volute, riccamente e minutamente ornate, raccordano l’ordine superiore all’attico, nascondendo gli spioventi del tetto delle navate laterali. 27 L’intera facciata risulta inscrivibile in un quadrato, mentre due quadrati minori, di lato corrispondente alla metà di quello maggiore, circoscrivono la parte inferiore e uno di questi quella superiore. Sempre per Rucellai, fra il 1461 e il 1467, su progetto dell’Alberti viene costruita la Cappella del Santo Sepolcro, nella chiesa fiorentina di San Pancrazio. Attualmente la cappella ha acquisito propria autonomia, diventando indipendente dalla chiesa e trasformata in un museo. Si trattava di un ambiente esteso longitudinalmente lungo il fianco sinistro della chiesa, completamente aperto verso la navata e schermato soltanto da due colonne trabeate, che vennero rimosse nel XIX sec. per essere collocate sulla facciata dalla chiesa. Coperta da una volta a botte che poggia su un’ornatissima trabeazione, la cappella ospita un modello in scala dell’Edicola del Santo Sepolcro dell'omonima basilica a Gerusalemme. L’interpretazione albertiana di quest’edicola è umanistica. L’edicola albertiana si presenta come un piccolo edificio a pianta rettangolare, terminante in un'abside semicilindrica. Una lanterna dotata di un cupolino a spirale ne conclude la copertura. Le facce marmoree esterne sono ripartite verticalmente tramite lesene scanalate e rudimentate, di cui è priva la piccola abside, che è invece completamente liscia. L'intera superficie è decorata da un numero elevato di riquadri marmorei con delicati motivi ornamentali metrici o araldici dentro dei tondi. La chiesa di San Sebastiano, a Mantova, è un’opera dell’Alberti che si configura come uno dei primi esempi di chiesa rinascimentale a pianta centrale. Il progetto risale al 1460 e i lavori furono condotti da Luca Fancelli. L’Alberti rivolge l’attenzione a una pianta a croce greca preceduta in uno solo dei bracci da un pronao con cinque aperture sulla facciata. Quella centrale è sormontata da un ornato architrave sostenuto da due mensole a voluta che monta sulle due lesene contigue. Le due rampe di scale d'accesso frontali sono state realizzate soltanto nel 1925, l’Alberti doveva averle 30 questo periodo. Paolo Uccello, sin dagli esordi, manifesta da subito una passione per la costruzione prospettica, tant'è che anche lui non abbandona del tutto lo stile cortese di sapore ancora tardo gotico e lo reinventa dandogli una caratteristica decisamente moderna. Anche perché l’idea è quella di far riferimento a chi furono i committenti, che in questo caso furono i Medici, che era una famiglia che amava la tradizione, per questo Uccello recupera la tradizione medievaleggiante ricontestualizzandola nel suo ambiente contemporaneo. Le tre tavole con la Battaglia di San Romano vennero eseguite per la famiglia Medici in uno dei loro palazzi di residenza. In tutte e tre le tavole, benché si tratti di un evento bellico, Paolo Uccello lo dipinge quasi come fosse una favola: l'elemento di forte pathos tipico di una battaglia è presente in queste tre scene ma è reso meno drammatico, quasi surreale, sembrano scene che quasi non richiamano una battaglia. In origine le tre tavole erano conservate nel palazzo della famiglia Medici, ora invece si trovano in tre luoghi distinti. Si tratta di tavole dipinte a tempera. Una delle tre tavole (La Battaglia di San Romano, Nicolò da Tolentino alla testa dei fiorentini) mostra Nicolò da Tolentino in primo piano sulla tavola, alla guida dei fiorentini, che invece sono rappresentati alle sue spalle. La scena principale è delimitata sul fondo da alberi carichi di frutti e da alte siepi di rose in fiore. AI di qua della cortina di piante la profondità è definita da un piano che assume i contorni di n un trapezio dal colore chiaro. Paolo Uccello, Battaglia di San Romano, Niccolò da Tolentino alla testa dei Fiorentini, Su di esso aste spezzate, elmi 1438, Tempera su tavola, Londra, National Gallery. , , scudi, un cavaliere riverso in basso a sinistra suggeriscono uno schema a griglia che contribuisce a richiamare la posizione dei vari corpi nello spazio. Il volume e la pluralità di piani verticali è stabilita dalle lance levate in cielo e dai quattro cavalieri in primo piano, variamente orientati. Oltre alla siepe c'è un panorama di colline bianche coltivate. In primo piano si vedono cavalli impennati, armature dai componenti metallici, elmi e cimieri dalle fogge fantastiche e stoffe pregiate che catturano lo sguardo dell'osservatore quasi a volergli far scordare che siamo nel corso di una battaglia. Questa tavola è piuttosto medievale rispetto alle altre due, perché cavalli e cavalieri appaiono un po’ legnosi. Paolo Uccello tenta di rendere dinamica la scena, ma al contempo si nota ancora una sua precarietà nel realizzare a tutto tondo le figure. Anche le corazze sono molto pesanti nella rappresentazione. L'unico tentativo di dare prospettiva sta nel cavaliere caduto con cui vuole rendere la scena più profonda: ma il tentativo è mal riuscito perché i piani prospettici sono troppo vicini per dare profondità di campo. 31 La seconda tavola rappresenta il disarcionamento di Bernardino della Ciarda, presenta alcuni artifici meglio riusciti rispetto alla prima tavola. Un primo artificio è il largo e dinamico semicerchio creato dai cavalli e dai cavalieri, che crea dinamismo; il secondo artificio è la scena tagliata a metà dalla lunga asta che atterra il cavaliere e altri artifici compositivi sono gli scorci dei n cavalli e le lance spezzate. Sono tutti Paolo Uccello, Battaglia di San Romano, Il disarcionamento di Bernardino . ssi . della Ciarda elementi compositivi che danno maggior dinamismo alla scena e danno profondità e campo che tanto ricercava l’artista nelle sue sperimentazioni prospettiche. La terza tavola, a Parigi, ® \ \ rappresenta l'intervento di Micheletto da Cotigliola. Rispetto alle precedenti due tavole la scena sembra molto più statica. Micheletto è sempre circondato da soldati. In questo caso il punto di fuga è centrale e l'occhio dell'osservatore cade nella parte centrale della tavola e cade sul personaggio centrale della scena, che è Micheletto da Cotigliola. Paolo Uccello, Battaglia di San Romano, L'intervento di Micheletto da Cotigliola Fra il 1447 e il 1450 Paolo Uccello dipinge nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella, dove aveva affrescato già al suo ritorno da Venezia. Il soggetto di questi dipinti è tratto dalle Storie di Noè. Figura 9 Paolo Uccello, Diluvio e recessione delle acque, dalle Storie di Noè, 1447-50 ca., Affresco trasportato su tela, Basilica di SMN, Firenze La lunetta contenente il Diluvio e Recessione delle acque mostra un'indagine prospettica spinta fino ai limiti estremi. L'intera composizione, che comprende due episodi distinti (il Diluvio a sinistra e la Recessione delle acque a destra), è contenuta entro i margini della doppia presenza dell'arca. Il 32 punto di fuga non è unico, ma ognuna delle due scene di riferisce a un proprio punto di fuga ben preciso. A sinistra l’arca lignea, solida e stabile come una piramide egizia, è illusionisticamente delineata fin quasi ad avere il vertice coincidente col punto di fuga, determinando una dilatazione nello spazio che pare infinito. Sullo sfondo si vedono delle nubi scure e minacciose, basse sulle acque mosse, dalle quali si origina un fulmine che colpisce un albero, incendiandolo. Dalla chioma si staccano dei rami frondosi che il vento trasporta verso lo spettatore. In primo piano ci sono due brutali giganti armati di clava e spada, totalmente incuranti dell’ira divina, che continuano a combattere. Un uomo cerca rifugio dalla morte aggrappandosi all’arca, altri tentano di salvarsi in altri modi. A destra c'è Noè, che compare per ben due volte. La prima volta lo si vede affacciato a una finestra dell'arca, mentre è in atto di ricevere la colomba che porta nel becco un ramoscello di ulivo, simbolo della recessione delle acque. La seconda volta lo vediamo mentre è appena uscito dall’arca e poggia i piedi sulla terra ormai completamente sgombra dalle acque punitive. Andrea Mantegna Di rilevante importanza per questo periodo è anche la figura di Andrea Mantegna (1431 — 1506), che opera dapprima a Padova e poi continuerà la sua attività presso la corte dei Gonzaga a Mantova. È stato uno dei capisaldi della storia dell’arte del Quattrocento; la sua formazione parte presso la bottega dello Squarcione, figura molto particolare perché era un antiquario. Proprio da lui il Mantegna apprese la passione per l’antiquariato e per le cose antiche. Apprende anche dai Toscani, attivi a Padova, l’uso peculiare del disegno ben delineato, soprattutto per la forma statuaria e per la capacità di rappresentare lo spazio secondo le regole della prospettiva. Per quanto riguarda la città di Padova molto importante è un’opera, purtroppo andata perduta, che comprende il ciclo di affreschi della Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani a Padova. Questi affreschi andarono perduti durante la Il guerra mondiale, quando la chiesa venne bombardata. Questo ciclo di affreschi fu la prima opera nota dell'artista a Padova, e riguarda i santi Giacomo e Cristoforo. Importante è la scena di San Giacomo che si avvia al supplizio: Mantegna, su modello di Giotto e di Donatello, tenta di riprodurre la scena come doveva essersi svolta realmente. Questa è la vera novità portata da Mantegna. Per quanto riguarda questo dettaglio dell'affresco, è importante sottolineare il dettaglio della porta della città, che richiama un arco di trionfo romano (si ha ripresa delle forme classiche); un altro elemento importante sono le figure in primo piano dei soldati che scortano San Giacomo, che sono stati resi con una prospettiva molto evidente: campeggiano in primo piano e sono stati resi in maniera molto plastica e solida, e danno quasi la sensazione di poterli toccare con mano, perché il volume è reso a tutto tondo quasi come se ci trovassimo di fronte a delle statue e non a degli affreschi. Sempre per quanto riguarda i soldati, le vesti e le armature sono tipiche di quelle dei legionari romani, portando nuovamente un richiamo alla forma classica. 35 Una delle primissime e più importanti opere di Piero della Francesca è il Polittico della Misericordia, che è conservato a Sansepolcro, città natale dell’artista. Questo polittico risente moltissimo dell'influenza di Masaccio: la Trinità di Masaccio ha dei riferimenti e delle analogie molto simili alla Crocifissione della cimasa del polittico. L'influenza di Masaccio si nota sicuramente nel plasticismo che Piero della Francesca adotta per costruire le sue figure, in un contesto altamente drammatico: il carattere che Piero della Francesca riprende da Masaccio è la plasticità molto forte e accentuata che caratterizzerà tutte le sue opere, sia quelle del periodo maturo che della fase finale della sua attività. Un altro dettaglio importante del polittico è il dettaglio centrale dove è rappresentata la Madonna della Misericordia, dove anche qui si nota l'influsso masaccesco. La differenza con la Crocifissione sta che in questo riquadro manca la componente drammatica. La costruzione delle figure è ancora più accentuata: il mantello della Vergine si apre a semicerchio ed è un perfetto semicerchio che abbraccia e accoglie i fedeli che sono inginocchiati ai suoi piedi. Il volto della Madonna è un volto geometrico, stilizzato al massimo e quasi come se fosse una sfera alla quale sono stati dati i connotati del volto: questa caratteristica ricorre nelle opere di Piero della Francesca. Le figure sono delineate dalla luce: la consistenza dei corpi geometrici rivelati dalla luce rimangono proprio perché la luce ha una particolare diffusione e cade sul soggetto in modo particolare, rendendo ancor più statica e maestosa la figura. Piero della Francesca, oltre ad essere stato un grande artista, è stato in primis un teorico. Scrisse un trattato “De prospectiva pingendi”: la sua teoria è stata poi applicata alla sua opera. Questo tipo di trattati è servito anche ai contemporanei e ai successivi a Piero della Francesca. 36 Un'altra opera importantissima di Piero della Francesca è la Sacra Conversazione, conosciuta anche come Pala di Brera o Pala di Montefeltro. Venne realizzata quasi contemporaneamente alla stesura del suo trattato, e si può riscontrare ciò che viene teorizzato nel trattato. È una messa in opera della sua pratica teorica. È un’opera molto importante, ricchissima di simboli e anche in questo caso c'è una geometria che scandisce gli spazi (l'architettura a forme classiche) e un perfetto gioco di simmetrie dato dal semicerchio creato dai personaggi che circondano la Vergine che tiene sulle proprie ginocchia il Bambino. Ai suoi piedi c'è il committente della pala, Federico da Montefeltro. È stata realizzata fra il 1472 e il 1474, e si tratta di olio e tempera su tavola. La tavola ricorda la nascita dell'erede di Federico, Guidobaldo, con la conseguente morte della contessa Battista Sforza in seguito al parto e la conquista da parte di Federico di Volterra. La vergine in trono, adorante il bambino fia 3 addormentato, è circondata da sei santi e da quattro angeli preziosamente abbigliati. Davanti a lei, inginocchiato sulla destra, c'è la figura di Federico di Montefeltro. Il fatto che sia in ginocchio non significa umiltà da parte del signore di Urbino. La motivazione è data dal fatto che Federico aveva perso l'occhio destro in battaglia e una parte del naso, perciò preferì farsi ritrarre di profilo. Il dipinto ha anche un carattere penitenziale, dovuto al fatto che richiama alla memoria la morte della Contessa, assente dal dipinto. La sacra conversazione si svolge all’interno di un fastoso edificio classicheggiante. Tutti i personaggi sono nella campata dell’edificio che è più vicina a noi, anche se la composizione prospettica sembra collocarli tutti al centro dell’edificio, al di sotto della cupola. Circa nel 1452 Piero della Francesca venne incaricato dalla famiglia Bacci di continuare il ciclo di affreschi riguardanti le storie della Croce che erano precedentemente stati cominciato da Bicci di Lorenzo nella chiesa di San Francesco ad Arezzo. Il ciclo di affreschi più importanti di questo periodo è quello che riguarda le Storie della Vera Croce. Gli affreschi, anche se più propriamente si tratta di una tecnica mista, vennero interrotti fra il 1458-59 perché Piero andò in viaggio a Roma e furono conclusi entro il 1466. Dallo schema degli affreschi si può notare che si strutturano su tre livelli, più le lunette che fungono da chiusura. Gli affreschi sono nella cappella maggiore di San Francesco a Arezzo, e siamo fra il 1442 e il 1466. In questo ciclo di affreschi si nota come Piero Della Francesca si distingue rappresentando le varie scene di questa leggenda: la fonte a cui si rifà per raffigurare la storia della Vera Croce è la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine. 37 ld È cirio e E v+ sa Br LI Piero della Francesca compone dieci scene, distribuendole in due lunette e otto riquadri, di cui quattro maggiori e quattro minori. Le dieci storie, a cui sono aggiunte due figure di profeti, sono disposte sulla parete di fondo della cappella e sulle due pareti laterali. Il ciclo si colloca nel clima della conquista turca di Costantinopoli, caduta nel 1453. un affresco suggestivo tratto dal ciclo si trova nella lunetta raffigurante la Morte di | Adamo. È una fra le prime che l’artista realizza. Assistiamo a tre momenti della narrazione, dicui due in primo piano e uno in secondo piano. La scena raffigura Adamo morente, circondato dai suoi famigliari, che invia il figlio Seth dall’arcangelo Michele. Seth colloca nella bocca del padre morto il ramoscello che l’arcangelo gli ha dato. In un’altra scena vediamo Seth colloquiare con l’arcangelo alle porte del paradiso terrestre. Nel piccolo gruppetto di destra vediamo Eva, con un abito che lascia scoperti i seni avvizziti e le spalle curve da anni, sorreggere teneramente il corpo di Adamo che, nudo nella sua vecchiaia e semi giacente sulla terra, narra della promessa fatta dall’arcangelo Michele. Seth è raffigurato canuto e coperto soltanto in parte da un panno bianco 40 Nella parte alta della cappella, nelle due lunette, sono rappresentate l’Entrata di Eraclio a Gerusalemme a sinistra e a destra la Morte di Adamo. Le due scene richiamano molto da vicino la leggenda della Vera Croce (la Croce è sempre portata in primo piano in queste scene ed è sempre presente) e vi è assenza di fondi architettonici. C'è uno sfondo paesaggistico, ma non ci sono elementi architettonici che danno consistenza a queste due immagini, come richiamo alla leggenda. Nella parte mediana del ciclo di affreschi troviamo due affreschi che sono suddivise in due episodi; nella prima scena notiamo i primi due episodi che sono divisi dall’artificio della colonna che divide in due la scena: sulla sinistra c'è rappresentata L’adorazione del sacro legno (è Sant'Elena che è in adorazione di fronte al sacro legno), mentre sulla destra c'è l’incontro di Salomone con la regina di Saba. Nell’altro affresco ci sono altre due scene, che sono anche qui divise, anche se non c'è un elemento architettonico vero e proprio, ma si riesce a distinguere chiaramente le due scene. Sulla parte sinistra c’è il ritrovamento delle tre croci, mentre sulla parte destra la verifica della vera croce. l'espediente di riunire nello stesso riquadro due o più scene è un carattere tipico dell’arte Quattrocentesca. La fascia mediana affrescata ha sicuramente un carattere più cortese, cerimoniale: siamo in presenza di più cortei. Ci sono poi altri quattro affreschi che si trovano nella parete breve della cappella: entrando e guardando la cappella sono quelli che risultano frontali all’osservatore: in alto a sinistra è rappresentata La tortura dell’ebreo nel pozzo, in basso a sinistra l'iconografia che rappresenta L’annunciazione, in alto a destra c'è la rappresentazione di Salomone fa sotterrare il sacro legno e in basso a destra il Sogno di Costantino. Il Sogno di Costantino è il primo notturno della storia dell’arte italiana: Piero della Francesca ricrea un notturno stupefacente, che ha il sapore anche del mistero trovandoci in un contesto notturno. Nella scena si vede la tenda dell’imperatore Costantino, che sta dormendo. La tenda è aperta, e di guardia c'è un soldato, che guarda l'osservatore, e poi ci sono altri soldati che sono di guardia all'accampamento. Questa scena è importantissima perché Piero Della Francesca riesce a ricostruire un’atmosfera che ha il sapore del mistero grazie anche all’espediente della luce. In alto a sinistra c'è raffigurato l'angelo, che è un alto espediente importantissimo che indica l’imperatore che sta dormendo nella sua tenda e cala dal cielo tenendo in mano il simbolo della croce. Anche qui si nota come l'influenza di Masaccio e di Mantegna ha influito fortemente nello stile di Piero della Francesca. Le guardie dell’accampamento ci permettono di sottolineare il ruolo che ha la luce in questo affresco: la luce non aiuta soltanto a modellare le figure ma riesce a creare l'illusione della profondità. Piero della Francesca utilizza l'elemento della luce, che rientra nel carattere formale e stilistico dell'analisi dell’opera, creando un gioco di chiariscuri che danno l'impressione di una profondità maggiore rispetto a quella che è la realtà. L’artificio prospettico in questo affresco è di una perfezione assoluta. Il soldato di spalle, che rispetto agli altri due soldati, è parzialmente illuminato, e il passaggio chiaroscurale di questo soldato che si trova in primo piano crea ancora di più il passaggio chiaroscurale di tutta l’immagine. 41 La Flagellazione di Urbino si colloca dopo il viaggio a Roma di Piero della Francesca. Si tratta di due scene distinte ma connesse fra loro: una si svolge all'aperto, l’altra in un interno. Si vedono in una strada con edifici antichi e rinascimentali tre uomini mentre a colloquiano. Nel a - A % frattempo, nella STONE TAI . scena retrostante che si svolge Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1459 ca., Tempera sutavola, Urbino, Galleria nazionale “l'interno, Cristo è delle Marche legato a una colonna e flagellato. La prospettiva è qui sapientemente applicata e la sua applicazione riesce a raffigurare un grande spazio in una tavola dalle piccole dimensioni. Le persone sono immobili e fermate in un attimo dell’azione in una specie di vitalità sospesa. | fustigatori sono irrigiditi, con le braccia sollevate, per colpire il composto e inanimato corpo del Cristo. La mano sinistra dell’uomo con il turbante sembra che non debba mai più ricadergli lungo il fianco. Pilato è seduto sulle scale e guarda fisso davanti a sé. Il colloquio dei tre personaggi in primo piano sembra congelato, come lo è il muto linguaggio della gestualità delle loro mani. La presenza della scena evangelica in secondo piano suggerisce che i veri protagonisti della tavoletta siano i personaggi in primo piano sulla destra. 42 Forse commissionato attorno al 1460, il Polittico di Sant'Antonio è un’altra opera rilevante ad opera di Piero della Francesca. Si compone di due predelle, di una porzione mediana coronata da cinque archeggiature a stile gotico e di una cimasa cuspidata, conformata e spezzata. Le strutture lignee della parte mediana e della cimasa sono state eseguite in contemporanea. La parte principale di questo polittico è caratterizzata dalla tradizionale forma gotica e dal fondo oro. Per la composizione dell’ornamento Paolo della Francesca si è mantenuto libero da ogni vincolo. Nella parte mediana l'artista ha raffigurato la Vergine con il Bambino, seduta su un trono che poggia su di un diaspro rosso fuoco. La Vergine è circondata da quattro santi: Sant'Antonio, San Giovanni Battista sulla sinistra e San Francesco e Santa Elisabetta d'Ungheria a destra. La Vergine e i santi hanno le aureole specchiate, come se fossero realmente realizzate in oro. San Francesco mostra la ferita sul costato e tiene nella mano destra una croce trasparente di cristallo di rocca. Nella cimasa del polittico l'angelo nunziante, inginocchiato con le mani incrociate sul petto, è vestito d’abiti celesti e lo stesso colore va sfumandosi sulle ali dell'angelo, che sono distese. L'angelo si staglia contro un arco di un chiostro che circonda un giardino, mentre la Vergine annunciata, eretta e anch'essa a braccia incociate, indossa un manto rosato e azzurro, si trova al di sotto di un portico, 45 Botticelli ha voluto privilegiare la continuità della linea: sullo sfondo ci sono cielo e mare che si impostano verticalmente, e in primo piano sulla stessa linea vi sono i protagonisti della scena. Venere risulta essere il centro della composizione perché appare perfettamente bilanciata e simmetrica alla scena: le figure laterali le fanno da contrappunto, anche se questo gruppo di figure è in alto e non ancora i piedi a terra. La posa di Venere ricorda una copia ellenistica della Venere Pudica: il gesto di coprirsi i seni viene ripreso da un modello classico. Per quanto riguarda la tecnica pittorica, Botticelli impasta l’imprimatura a base di gesso con del blu per dare questo effetto azzurrognolo a tutta l’opera. L'oro è usato in abbondanza sia sui capelli della Venere che ‘a missione’ sui tronchi e sulle foglie degli alberi. Il carattere spirituale della Venere è suggerito dall’accostamento altema profano di un’iconografia di tipo sacro. Il soggetto principale, ossia Venere, sta al centro del dipinto in posizione eretta, affiancato a destra da una seconda figura che gli tiene un braccio sollevato sopra alla testa. Due figure astanti stanno alla sinistra della Venere. Venere è raffigurata nel momento in cui è appena nata dalla schiuma del mare, ma è già una donna, nuda su una conchiglia. La Venere viene sospinta dai venti a riva, dove Flora la accoglie porgendole un drappo ricamato rosso chiaro per coprirsi. In questo dipinto la mancanza di profondità è totale, così come la bidimensionalità. Il paesaggio alle spalle dei personaggi è ridotto all’essenziale: si vedono delle lievi increspature a v sull'acqua, la costa è rappresentata con una linea. Tutto ciò è voluto affinché l’attenzione dell'osservatore si possa concentrare sui personaggi del dipinto. La Vergine ha spalle incredibilmente spioventi e alla linea continua e morbida con cui Botticelli raffigura la parte sinistra del corpo si contrappone la parte destra dominata dalla sfrangiatura dei lunghi capelli biondi che le cingono il fianco destro e che sono mossi dal vento. Antonello da Messina Antonello da Messina è considerato il maggior rappresentante dell’Italia meridionale e uno dei maggiori diffusori dello stile fiammingo. Grazie alla conoscenza dell’opera di Piero della Francesca Ù seppe conferire alle sue opere un solido plasticismo e senso volumetrico degli spazi, che tendono proprio a semplificare le forme. Antonello da Messina è colui che dà il via al rinnovamento artistico del Meridione d’Italia, sperimentando la combinazione delle tecniche prospettiche con la cura meticolosa dei particolari di origine fiamminga. Non ci sono attestazioni, ma siamo sicuri che l'artista sia passato da Napoli, dove l’artista venne a contatto con le opere fiamminghe e dove conobbe le tecniche della pittura a olio. L’opera che meglio esprime le caratteristiche dell’arte di Antonello è il dipinto San Gerolamo nello studio. La data di composizione si fa risalire al 1474. La piccola tavola mostra al di là di un arco ribassato di foggia catalana un ombroso interno gotico con volte ogivali e bifore. AI centro di un grande vano prospettico, San Gerolamo è rappresentato nel suo studio. Lo studio è raffigurato come una specie di macchina teatrale, consistente in un ambiente, 46 all’interno di uno più vasto, che rende molto bene l’idea di intimità del raccoglimento del santo all’interno intento nella lettura. A destra la prospettiva del pavimento a piastrelle policrome è rafforzata da esili colonne sormontate da archi e volte che conducono verso i due vani aperti del fondo. A sinistra lo sguardo è attirato dall’ampia finestra sul fondo, oltre cui si vede un paesaggio naturale estremamente dettagliato. Durante il soggiorno veneziano fra il 1474 e il 1476, Antonello da Messina giunge al massimo della sua potenzialità espressiva. Ciò si può notare dal dipinto di San Sebastiano, dove l’artista associa alla monumentalità di una piazza veneziana, animata da vari personaggi quella della figura umana. San Sebastiano, dal volto ovale leggermente inclinato e dagli occhi rivolti al cielo, ha la stessa solidità delle architetture che gli fanno da cornice. La bellezza del suo corpo, delicatamente chiaroscurato e dalle proporzioni perfette, non è alterata dalle ferite sanguinanti delle acuminate punte che lo trafiggono. Nel corpo non è visibile alcuna contrazione dovuta al dolore. | muscoli appaiono invece rilassati e su di essi la luce scivola rendendo il corpo tornito allo stesso modo della colonna levigata e spezzata che poggia sul pavimento alla destra del santo. Il pavimento è fatto di cerchi e di quadrati, tutti in prospettiva. Al 1475-76 risale PEcce Homo, del Collegio Alberoni di Piacenza. Al di là di un davanzale si vede Cristo flagellato, con una corona di spine in testa e al collo la corda con la quale sarebbe stato trascinato al supplizio della croce. La figura, dalla decisa volumetria, costruisce lo spazio ponendosi un po’ di tre quarti e inclinando e ruotando appena la testa. Dietro Gesù c’è una colonna tornita, che contribuisce alla resa spaziale complessiva suggerendo il tema della flagellazione, che la tradizione iconografica ha sempre reso con la raffigurazione di Cristo alla colonna. La luce proviene da sinistra e contribuisce a definire in maniera ancor più chiara le forme. Realistiche lacrime solcano il volto di Cristo. Gli occhi sono grandi e scuri, infossati, tristi e indifesi. Gocce di sangue rigano la fronte ferita dalle spine acuminate. Delineati molto attentamente sono anche i baffi e la barba del Cristo, che luccicano come fossero di seta. La bocca è raffigurata in una smorfia di dolore. | lunghi 47 capelli mossi costruiscono complessi volumi curvilinei, dando un senso di maggior peso alla corda al collo del Cristo. Importante è la Crocifissione, che realizza durante il suo breve viaggio a Venezia. L'atmosfera è immobile data dalla scena dell’orizzonte molto ribassato rispetto alle tre croci e viene animata dalla figura dei due ladroni che si muovono in maniera contorta sulle rispettive croci. Giovanni Be 1430 — 1516) Giovanni Bellini nacque a Venezia attorno al 1530 e fu l’innovatore della pittura veneziana. Fu allievo di Gentile da Fabriano e inizialmente fu attivo presso la bottega di quest’ultimo assieme al fratello Gentile. Illuminante per l'artista fu l’incontro con Andrea Mantegna. Le scelte artistiche del Bellini si incentrano sul rigore prospettico e sulla luminosità dei dipinti ripresa da Piero della Francesca, riprendendo anche le morbide tinte tipiche dell’arte di Antonello da Messina. Nel 1483 venne nominato pittore ufficiale della Repubblica veneziana. L’influenza di Mantegna è verificabile anche nella limitata produzione grafica del Bellini, soprattutto dall'impiego di linee secche e metalliche. Fin dai primi disegni Bellini utilizza una linea più fluida di quella del Mantegna, ricercando l'aspetto chiaroscurale e pittorico più che quello volumetrico e scultoreo. Un altro protagonista della scena del Rinascimento dell’Italia settentrionale è Giovanni Bellini, il quale viene influenzato dallo stile pittorico di Mantegna anche se lo adotta con una sensibilità differente. È importante il fatto che l’artista riprende la figura umana ben delineata plasticamente e inoltre adotta un paesaggio molto aspro e scheggiato alla maniera di Mantegna, oltre a elementi architettonici che vengono usati da Bellini come elementi strutturali che richiamano l’arte classica. Giovanni Bellini nasce a Venezia attorno al 1530 ed è considerato l’innovatore della pittura veneziana, che per molti anni si era tenuta lontano dalle novità rinascimentali restando fedele allo stile tardo Gotico. Bellini fu allievo di Gentile da Fabriano, anche se fu l'influenza del Mantegna a guidare l’artista nelle sue scelte definitive in campo artistico e pittorico. Tali scelte vennero rafforzate dallo studio del rigore prospettivo e della luminosità dei dipinti di Piero della Francesca e delle tavole di Antonello da Messina. Una delle opere che chiudono la fase giovanile dell'artista è la Pietà, del 1460 ca. conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano, dove si può notare un forte pathos che sarà tipico dell’arte veneta del Rinascimento maturo. Un'altra importantissima opera di Bellini è il Trittico dei Frari, del 1488, a Venezia. Fra il 1485-90 l’artista riprende a rielaborare la Sintesi antonelliana dando vita a una serie di opere, fra cui il trittico dei Frari, in cui è predominante l'ispirazione a Piero della Francesca, soprattutto nella grande plasticità e nel fatto che l'artista inserisca i personaggi all’interno di una struttura architettonica. 50 Leonardo da Vinci non ebbe formazione letteraria e non conosceva né il greco né il latino, essendo così impossibilitato a leggere le opere antiche nella lingua originale. Leonardo fu uno dei primi a riconoscere il valore dell'esperienza intesa come sperimentazione e come studio meticoloso e scientifico della realtà in tutte le sue forme. Durante la sua permanenza a Firenze, dove c'erano i Medici, sviluppa una moderna concezione di arte come conoscenza fondata su basi scientifiche. Nel 1482 si trasferisce a Milano, dove già operava Donato Bramante, altro grande protagonista del Quattrocento, che gettò le basi assieme a Leonardo che portarono a un rinnovamento dell’architettura basata su canoni classici. Nel 1499 Leonardo lasciò Milano per brevi soggiorni su suolo italiano. Andò a Mantova e Venezia, tornò a Firenze più volte, e poi soggiornò a Roma dove rimane per circa 6 anni, dove Leonardo pensò di lavorare alla Cappella Sistina, dato che gli era stato chiesto di collaborare ai lavori. Poi il lavoro non andò più in porto, così decise di lasciare Roma. Gli ultimi vent'anni della sua vita, Leonardo li trascorse fra queste tre città: Milano, Firenze e Roma. Dal 1517 però si trasferì presso la corte francese di Francesco I, dove poi morì. Questi suoi ultimi due anni della sua vita (morì nel 1519) furono anni molto felici perché soggiornò presso il casello di Ambois di Francesco | e venne molto stimolato da questo sovrano. Gli ultimi anni della sua vita sono catalogati come gli anni più felici che l'artista trascorse. Una delle primissime opere di Leonardo con cui collaborò col Verrocchio è il Battesimo di Cristo, datata fra il 1474 e il 1475. È un’opera di Andrea Verrocchio, in cui Leonardo collaborò alla realizzazione di questo dipinto, progettando e dipingendo uno dei due angeli in basso, alla sinistra del Cristo. La differenza fra l'angelo di Verrocchio e quella di Leonardo è assai marcata: la differenza stilista è molto forte, tant'è che si dice che lo stesso Verrocchio, maestro di Leonardo, si ingelosì per le straordinarie capacità del suo allievo tanto che lo mise a lavorare e lo fece compartecipare all'opera, ma alla fine della realizzazione lo stesso Verrocchio riscontrò che l'angelo di Leonardo riuscì molto meglio del suo. L'angelo di sinistra, quello che guarda verso il centro del quadro cioè verso il Cristo, è quello realizzato da Leonardo, mentre l'altro è quello di Verrocchio. La differenza sostanziale sta nel fatto che il volto dell'angelo di Leonardo è molto più dolce, la linea di contorno e le stesse linee che delineano i tratti somatici del volto dell'angelo di Leonardo sono molto più morbide. Leonardo inizia a usare lo sfumato leonardiano, che definisce anche il leggero chiaroscuro sulle gote dell'angelo stesso, e anche la stesura dei capelli è sicuramente diversa. Il movimento del volto dell'angelo, così girato verso l'interno, quasi di profilo, ha una diversa sagomatura della parte mandibolare rispetto a quella di Andrea Verrocchio: il volto dell'angelo verrocchiano è molto più allungato, spigoloso e arcaico. Nell’angelo di Leonardo c’è molta più morbidezza anche nella stesura dei colori, oltre che nella resa dei tratti somatici. L'inserimento di quest’angelo così come lo aveva studiato Leonardo cerca di movimentare la composizione, che altrimenti sarebbe stata molto più statica di come si propone alla vista. Quando venne realizzato questo dipinto Leonardo era molto giovane, ancora adolescente. 51 Importanti furono gli studi di Leonardo sull’anatomia e sulle scienze umane in generale. Leonardo è conosciuto ed è famoso soprattutto per questi suoi studi, che furono innumerevoli. Molti sono i bozzetti di Leonardo che illustrano studi anatomici, raffigurando corpi umani in maniera molto dettagliata, proprio perché Leonardo amava esplorare e andare oltre quello che era noto, e per quanto riguarda il corpo umano andò nelle viscere del corpo umano, tanto che prima di arrivare a disegnare questi capolavori, sezionò più di trenta cadaveri. Fu uno dei primi ad avventurarsi nel mistero della crescita del feto nel grembo materno. Sono disegni straordinari in cui Leonardo studia attentamente lo sviluppo del feto nel grembo materno ed è uno dei suoi studi più affascinanti 4 =D oa riguardanti gli studi di anatomia. Oltre agli studi anatomici, fece studi riguardanti le acque avventurandosi nell’ingegneria idraulica, e ci sono alcuni disegni che illustra lo studio delle acque. Leonardo era affascinato da tutto ciò che causava movimento, tant'è che investigò le leggi che governano le onde e le correnti e passò anni a osservare il volo degli uccelli e degli insetti. Uno dei sogni di Leonardo era quello di far volare l’uomo realizzando delle grosse ali molto simili a quelle dei volatili. L’opera di Leonardo, una delle più famose in assoluto, è il Cenacolo, conosciuto anche come Ultima Cena, che si trova nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano (1495-97). Quest'opera, che è un affresco, ha subito un lungo restauro dovuto al fatto che Leonardo utilizzò e sperimentò anche in questo caso la tempera a uovo, cosa che portò l'affresco a deteriorarsi e sgretolarsi in poco tempo. Il restauro è durato per moltissimo tempo e fortunatamente ha ridato alla luce il grande capolavoro leonardiano. L’opera fu realizzata fra il 1495-97, e siamo sul finire del Quattrocento. Venne commissionata a Leonardo da Ludovico Sforza, lo stesso che invitò Leonardo a trasferirsi da Firenze a Milano. L’affresco costituisce il vertice della ricerca artistica di Leonardo: impiegò abbastanza per realizzare questo affresco. Leonardo difficilmente iniziava e finiva un’opera in poco tempo, difatti i suoi committenti lo sollecitavano sempre perché accelerasse il suo lavoro, ma lui preferiva cominciare, interrompere e continuare poi le sue opere, cosa che lo rese geniale nella composizione delle sue opere. All’interno dell’affresco, l'artista si soffermò moltissimo sullo studio dei singoli personaggi che compongono questo riquadro. | suoi studi anatomici lo portarono a soffermarsi molto sullo studio dei corpi, dei movimenti, delle espressioni del volto. Sono stati ritratti più personaggi e lo studio che fece Leonardo fu quello di rapportarli fra di loro, mettendoli in relazione seguendo un'armonia compositiva e nello stesso tempo studiando anche l’effetto della luce e dell’illusione spaziale, e della prospettiva, oltre poi a sperimentare la tecnica (tempera a uovo) e i materiali che utilizzò per realizzare e progettare l'affresco. 52 L’iconografia di questo affresco non è nuova: l’ultima cena è una delle iconografie che vennero più battute nel Quattrocento e non solo. Quella di Leonardo però è unica nel suo genere, perché in questo affresco Cristo non sta benedicendo l’ostia (non sta istituendo il sacramento dell’eucarestia), ma in questo caso il Cristo è collocato al centro dell'affresco ma sta dialogando sia con il corpo che con la mente coi suoi discepoli e sta indicando qualcosa. Non è nell’atto di benedire, è come se stesse anticipando che uno di loro lo tradirà (Giuda). In quest’ultima cena iltema che Leonardo ha voluto evidenziare è proprio il rapporto umano che si instaura fra i commensali e il fatto che Cristo stia anticipando ai suoi discepoli che uno di loro lo tradirà. Tutti i personaggi seduti a questo tavolo sono in movimento, nessuno di loro guarda l'osservatore ma parlano fra di loro, tanto che si formano addirittura dei gruppi distinti. L'immagine si può suddividere in tre comparti: nel comparto centrale vi è la figura di Cristo, che è racchiusa all’interno di un triangolo che simboleggia anche la Trinità. È tutto molto calibrato, anche se nell’opera c'è molta espressività e movimento. Il mutamento iconografico si pensa sia dato dalla citazione dal vangelo di Matteo “In verità vi dico, uno di voi mi tradirà”. La figura di Cristo è espressione della Trinità divina e assurge anche all’istituzione dell’eucarestia. Cristo è stato raffigurato indicando il vino e il pane, che sono gli emblemi eucaristici e che sono posti sulla tavola, e inoltre la sua mobilità (il fatto che sia immobile) fa scaturire il movimento tutto intorno a sé, anche perché il dettaglio delle braccia aperte sta a indicare un’apertura verso i due lati: è un espediente che accompagna il triangolo ideale in cui Cristo è inscritto ma allo stesso tempo l’apertura indica apertura verso tutto ciò che gli sta attorno, è quindi il primo motore che movimenta tutto il resto. Partendo da sinistra, si ha una prima triade, che si trova rispetto a Cristo, alla sua destra. Sono gli apostoli Bartolomeo, Giacomo Minore e Andrea, che sono stati ritratti in piedi. Sono tutti e tre in piedi e lo si nota dal fatto che siano più alto rispetto agli altri. Bartolomeo è in piedi con le mani appoggiate sulla tavola; Giacomo si appoggia con una mano al braccio di Andrea e con l’altra tocca la spalla di Pietro, mentre Andrea allarga le mani e le mostra allo spettatore quasi in segno di voler allontanare da sé tutti i sospetti. Nella seconda triade di personaggi, quella più vicina alla figura di Cristo, troviamo Pietro, Giovanni e Giuda Iscariota, ritratti in una serrata composizione di tipo piramidale. Giuda si trova rispetto agli altri due in posizione più avanzata ed è staccato dagli altri due compagni proprio perché è consapevole che sta per tradire il suo maestro. La terza triade è formata da Tommaso, Giacomo maggiore e Filippo. Le espressioni dei volti sono molto particolari e suggellano il tema fulcro di questa ultima cena. Anche qui si ha un movimento di braccia e di mani. Tommaso allarga le braccia incredulo rispetto a quanto è stato appena detto da Cristo, e anche gli altri due gesticolano per evidenziare il fatto che non sono loro i colpevoli. Gli sguardi i movimenti e il modo di gesticolare serve a indirizzare il fatto che non sono loro i colpevoli. Ultima triade è formato da Matteo, Taddeo e Simone, che si trovano sull’estrema sinistra rispetto a Gesù. Matteo indica il maestro con le braccia e si volge verso gli altri due apostoli perché è incredulo e disperato per quanto ha appena ascoltato. Gli altri due discepoli rispondono a Matteo gesticolando e muovendo le mani verso di lui, confermando la stessa incredulità e lo stesso sgomento mostrati da Matteo. Su una delle pareti brevi dell'interno del refettorio troviamo il dipinto di Leonardo, che prima di eseguire l'affresco studiò a fondo lo spazio che aveva a disposizione e soprattutto cercò di studiarne l’effetto prospettico visto da un osservatore che si trova molto più in basso rispetto alla posizione dell'affresco. L'impianto spaziale è alquanto ampio e severo anche perché Leonardo in questo caso studiò molto anche l’effetto della luce. Dalle finestre laterali entra la luce, che vanno a colpire in maniera radente l’affresco. Leonardo ha saputo creare l’effetto di illusione prospettica senza far vedere il dislivello fra l'osservatore e l’affresco. 55 L'iconografia alla quale Michelangelo si rifà è sicuramente di derivazione nordica: lo si può notare nel Cristo morto che pietosamente viene sostenuto dalla Vergine. Ben diversa è però rispetto ai modelli d’oltralpe la geometrica armonia di insieme e la sapiente resa materica alla quale Michelangelo sa dare un grande vigore. Si vede rispetto al Bacco una maggiore tensione muscolare soprattutto nel volto della Vergine, che è inclinato verso il basso, ha gli occhi socchiusi e sta sorreggendo con tutte le sue forze il corpo inanime di suo figlio. In questa scultura, i passaggi cromatici derivati dall'effetto della luce sul marmo danno la resa chiaroscurale e accendono alcuni passaggi del corpo di Cristo; molto interessante è anche il particolare della mano che cade lungo la veste della Vergine. Michelangelo rende la modulazione delle gambe di Cristo, facendole cadere a peso morto e che accompagnano la veste della Vergine. Sempre in ambito scultoreo, a Firenze Michelangelo ritorna nel 1501 perché fu incaricato dall'opera del Duomo di scolpire per la cattedrale di Santa Maria del Fiore una scultura del David, altro soggetto chiaramente ripreso dall’arte classica. La scultura è a tutto tondo ed è datata agli inizi del Cinquecento. Si vede già la differenza con il Bacco visto in precedenza. David era il giovane pastore e futuro re di Israele: da Michelangelo è colto nel momento che precede l’azione, e si nota dal fatto che la sua fronte è leggermente corrugata in un atteggiamento che indica concentrazione e valutazione delle proprie forze rispetto a quella dell’avversario. David sta riflettendo e anticipando l’azione che avverrà subito dopo. Nella mano destra di David c'è il sasso che sta per lanciare contro il suo avversario. Nella mano sinistra tiene invece la fionda con cui tirerà poi il sasso: il polso è piegato e si nota anche la venatura sulla mano che Michelangelo ha reso assai sapientemente. La forza creatrice e la novità espressiva di Michelangelo si manifestano anche nel vigore plastico del corpo e nella fierezza del volto dell’eroe, che diviene padrone e artefice del proprio destino secondo quelli che erano gli ideali umanistici. La simmetria della posa è molto netta, se la scultura venisse divisa in due parti, fra la parte sinistra e quella destra del David. La posa asimmetrica del David è di chiara derivazione greca, data dal peso che viene portato a scaricarsi sul lato destro del corpo: infatti dietro la gamba destra c’è un supporto che sta a sostegno della gamba stessa. L'altra gamba invece è leggermente stesa. Questa posa asimmetrica realizza una formulazione della scultura che rende il movimento muscolare molto elastico. La resa della muscolatura è molto più accentuata ed è tipica del Michelangelo maturo sia scultore che pittore. 56 Michelangelo è anche stato un grandissimo pittore. Una delle sue più famose realizzazioni pittoriche è il Tondo Doni, conosciuto anche col nome di Sacra Famiglia, e risalente al 1504. È esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Siamo ancoraa Firenze, durante il periodo fiorentino, in cui Michelangelo rimase affascinato dalle opere del grande Leonardo da Vinci. Pare che per la realizzazione della Sacra Famiglia si sia rifatto e abbia preso come modello i cartoni e gli studi leonardeschi per il gruppo di Sant”Anna con la Vergine, il Bambino e San Giovannino. Infatti, in questo Tondo Doni i personaggi sono i medesimi, a parte la figura di San Giuseppe che qua completa la Sacra Famiglia. Questa è l’unica tavola che Michelangelo realizza, ed è molto importante perché si pensa che possa aver realizzato altri oli su tela. Questo è unico nelle opere di Michelangelo che finisce e che realizza a olio. Sul primo registro, in primo piano proprio di fronte all'occhio dell'osservatore, l’artista ha raggruppato saldandoli in un unico blocco i componenti della Sacra Famiglia (Maria, Giuseppe e Gesù. AI di là di un muretto sullo sfondo, alle spalle di Giuseppe, emerge sulla destra la figura di San Giovannino, che è stato ritratto da Michelangelo ma che non fa parte del blocco in primo piano. Dietro a San Giovannino sono stati disposti a semicerchio delle figure di giovani nudi che stanno appoggiati al muretto. | piani attraverso i quali è stata realizzata l’opera sono almeno tre: il primo registro con la Sacra Famiglia, il secondo piano col muretto che divide e San Giovannino, terzo registro i ragazzi nudi e l’altro muretto e in quarto registro il paesaggio. A Michelangelo interessava poco il paesaggio, perché lo cita soltanto con brevissime tracce di colore, quello che a lui premeva maggiormente era la raffigurazione del corpo umano e il fatto di mettere l’uomo al centro della sua attenzione e delle sue riflessioni come artista e creatore di una figura umana che rispecchiasse perfettamente l'anatomia del corpo. Qua è ancora più evidente che nelle sculture la precisione con cui disegna il corpo umano. C'è una maggiore plasticità dei corpi, soprattutto nel corpo della Vergine che sembra mascolina, non ha le grazie di una Madonna. Tutta la scena centrale segue un andamento elicoidale, parte dalla veste della Vergine sino a salire alla parte sommitale del dipinto, quindi i tre corpi, che formano un unico blocco, sembrano incrociarsi a mo' di vite e allungarsi verso l’alto. È l'intreccio di corpi che sembra alzare la scena verso l’alto. 57 Una delle opere fondamentali di Michelangelo è la Volta della Cappella Sistina, progettata e realizzata fra il 1508 e il 1512. Si tratta di un affresco. Con la realizzazione della volta della Cappella Sistina, ubicata nei palazzi vaticani a Roma, dove nel 1508 papa Giulio Il offrì a Michelangelo di affrescare l'immensa volta della Cappella Sistina. Prima dell'intervento di Michelangelo, la volta della Cappella Sistina era dipinta alludendo a un cielo stellato, fingendo delle membrature architettoniche alle quali l'illusione prospettica conferisce un realismo che lascia abbastanza sconcertati perché questo lungo affresco irrompe totalmente nella volta, dando un senso di apertura verso l’alto. L'idea del papa di far affrescare a Michelangelo la volta derivò dal fatto che sulla volta si erano formate delle crepe, quindi voleva che venissero coperte. Il ciclo di affreschi doveva coprire questo difetto delle z crepe. | ) 2 - L'immagine © raffigura nello £ specifico dove s sono stati c n. È 4 z realizzati i 3 pennacchi, le è © figure di Sibille e profeti, le storie centrali, le vele, [MI Pennacchi Sibille e Profeti [Storie centrali MII vete Lunette [NM] Medaglioni le lunette e i medaglioni, che sono le cornici. L'intera volta della Cappella Sistina si presenta attraversata da dei grandi arconi che notte. 60 Michelangelo introduce anche le edicole, che poggiano sulle otto porte d’ingresso alla cappella stessa. Sia la tripartizione delle pareti che le edicole sono elementi non presenti nella Sacrestia Vecchia realizzata dal Brunelleschi. All’interno della Sacrestia Nuova le tombe di Lorenzo e del fratello Giuliano non furono mai realizzate, mentre furono collocate lungo le pareti laterali della cappella le sepolture dei duchi Giuliano di Nemours e di Lorenzo di Urbino. La tomba di Lorenzo (1524-34) si trova nella parete ovest della cappella, con le statue del Duca e le due allegorie del crepuscolo e dell'aurora. Le effigi di entrambi i duchi Giuliano e Lorenzo furono collocate lungo le pareti laterali della cappella. Sono state idealizzate e inserite all’interno di nicchie incassate nelle pareti e sovrastanti i sarcofagi; nella zona centrale in ciascuno dei sarcofagi poggiano due coppie di statue allegoriche: l'aurora e il crepuscolo, e il giorno e la Raffaello Sanzio (1483 — 1520) Raffaello è il terzo grande protagonista del Rinascimento maturo. Biografia: Raffaello nasce come figlio del pittore e letterato Giovanni Santi e dapprima si forma a Urbino nella bottega paterna, dove aveva avuto occasione di entrare in contatto con i Montefeltro. Nel 1504 giunge a Firenze, dove già c'erano Leonardo e Michelangelo e ci rimane fino al 1508. Raffaello si applica fin da subito allo studio della tradizione figurativa fiorentina, particolarmente guarda alle opere del Pinturicchio e di Signorelli. Si avvicina a Pietro Perugino, entrando nella sua importante bottega: Perugino divenne il maestro di Raffaello almeno per il primo periodo della sua formazione. Le prime opere raffaellesche escono dalla bottega del Perugino. Perugino lo instrada verso le pale d'altare, che diedero un input all'opera successiva di Raffaello, tirati e i muscoli. cioè le famose madonne fiorentine. Si riscontrano la profondità di campo, data soprattutto dai contrasti di luce molto accentuati e dallo sfumato, soprattutto l’ambrato con cui sfuma i volti, cose che Raffaello riprende da Perugino. Dai disegni giovanili di Raffaello è possibile cogliere l'evoluzione stilistica dell'artista. Un disegno di rilevante importante è un disegno raffigurante lo Studio di un nudo maschile, conservato attualmente al British Museum. In questa figura si può vedere la tecnica con cui Raffaello delinea in maniera decisa il contorno della figura realizzata usando una linea non continua ma composta da tanti tratti i cui inizi e fine si sovrappongono e con un tratteggio ondulato a archetti per modellare la muscolatura. Essenziale è la resa anatomica, in cui le linee sembrano scavare il corpo mettendone in evidenza i tendini 61 L’influenza di Leonardo è visibile fin dai primi disegni cinquecenteschi: ciò è visibile nel San Giorgio e il drago, conservato agli Uffizi. Da notare il dettaglio del cavallo impennato, la posizione scattante del cavaliere, il collo lungo e la coda del cavallo. C'è un forte chiaroscuro ottenuto da tratteggi incrociati e brevi chiazze. Il Raffaello giovane disegnò parecchi nudi. Opere di Raffaello: le prime opere raffaellesche escono dalla bottega del Perugino. Raffaello però divenne famoso per le Madonne fiorentine: realizza tantissime Madonne, specialmente perché lavora per una committenza papale. Perugino intrada Raffaello alle pale d'altare. Le pale d'altare danno un input all'opera successiva di Raffaello, cioè le famose Madonne fiorentine. Nella Vergine appare a San Bernardo, a opera di Perugino, si può notare la profondità di campo data soprattutto da contrasti di luce molto accentuati e dallo sfumato. Perugino soprattutto per quanto riguardava i volti usava moltissimo sfumare un colore ambrato. Ciò si nota particolarmente se si osservano i volti nel dettaglio. Per lo sfumato, Perugino riprende la tecnica leonardesca dello sfumato. Tutto ciò fa da scuola a Raffaello. In questa pala le figure sono disposte in funzione dell'armonia compositiva del quadro e ognuna di esse si muove con molta calma e dignità: nell'opera non c'è movimento, le figure rimangono quasi immobili, c'è una dolce armonia che sovrasta tutto il quadro e che accompagnerà gran parte delle opere sia di Perugino che di Raffaello. Se ci confronta la Madonna del Granduca di Raffaello, del 1505, si possono riscontrare le somiglianze con la pala del Perugino. C'è un'aria soffusa, il chiaroscuro molto accentuato impreziosito dallo sfumato, ripreso da Leonardo, che caratterizza i volti dei personaggi, che devono essere, in quanto volti di figure divine, quasi ieratiche. Nella Madonna del Granduca, Raffaello raggiunge un elevato livello di semplicità tanto che l’opera fu considerata per diverse generazioni il paradigma della perfezione. Non è una delle madonne più famose, ma è quella che da l'input per altre sue realizzazioni; l’opera è talmente colma di enfasi, di colore e di semplicità nella stesura della linea, che è molto dolce, che fa da scuola anche per altri artisti. C'è un equilibrio di insieme che modella sia il volto della Vergine che quello del Bambino. 62 Altra opera importante di Raffaello è la Madonna con Bambino e San Giovannino, conosciuta anche come La Bella Giardiniera, è una delle opere che rientra nella fase sperimentale dell'artista perché la composizione dei tre personaggi, che sono nel primo registro, è caratterizzata dalla rappresentazione di uno sfondo naturalistico. La scena si svolge all'aperto, lo sfondo non è più neutro e con lo sfondo all'aperto riprende le Madonne leonardesche. Allo stesso tempo le sperimentazioni di Raffaello procedono verso una maggiore complessità dinamica. A differenza della Madonna del Granduca, qua vi è una maggiore dinamicità, c'è più movimento anche perché i personaggi sono tre e collocati all’interno di uno scenario naturalistico. Nonostante la dinamicità si continua a mantenere l'armonia tipica delle opere di Raffaello. Pala Baglioni, Olio su tavola, Roma, Galleria Borghese, 1507. La pala d'altare venne commissionata da Atalanta Baglioni, appartenente alla celebre famiglia perugina dei Baglioni. Il soggetto della pala centrale, la Deposizione di Cristo, piuttosto inconsueto, venne probabilmente dettato dalla volontà di omaggiare il figlio della donna, Grifonetto, assassinato nel corso di alcuni fatti di sangue interni alla stessa famiglia per il dominio di Perugia nel 1500. Grifonetto aveva infatti ucciso nel sonno con la spada tutti i parenti maschi rivali, in occasione delle nozze "di sangue" di suo cugino Astorre Baglioni con Lavinia Colonna, il 15 luglio. Abbandonato dai suoi stessi familiari, compresa la madre inorridita per l'accaduto, era tornato a Perugia dove Giampaolo Baglioni, miracolosamente scampato alla strage fuggendo per tempo a Marciano, lo raggiunse e lo fece uccidere, in Corso Vannucci. Poco prima di morire però Grifonetto venne raggiunto dalla madre e dalla moglie, Zenobia, che riuscirono a fargli perdonare i suoi assassini: ormai incapace di parlare, il moribondo toccò la mano della madre in segno di assenso al perdono. | vestiti insanguinati dell'uomo vennero quindi trasportati da Atalanta lungo la via pubblica, e arrivato sui gradini del Duomo ve li lasciò pronunciando solennemente: «Che questo sia LURetp El 65 Al centro si può vedere la volta, con le virtù teologali e l’allegoria che ruota attorno alla figura del papa. | quattro affreschi sono disposti sulle quattro pareti della stanza. La Scuola di Atene è l’affresco più rappresentativo di questa stanza. È stata realizzata fra il 1509 e il 1510. In questo affresco Raffaello La scena si svolge in un edificio dai tratti classicheggianti, che ricorda vagamente le terme romane e il progetto di Bramante per la Basilica di San Pietro. L'edificio è preceduto da una scalinata: sulla scalinata e su altri due livelli l'artista colloca i personaggi della scena, disponendoli con un andamento semicircolare, facendoli ruotare attorno alle figure dei due filosofi fondamentali: Platone e Aristotele, al centro della scena sotto la loggia. Dei due filosofi, Platone indica verso il Leonardo da Vinci. cielo, richiamando la sua concezione filosofica secondo cui il mondo altro non è che la brutta copia di una realtà ideale e superiore, il secondo ha un braccio teso davanti a sé, indicando che l’unica realtà possibile è quella concreta in cui viviamo, quella percepibile dai sensi. Platone sembra essere la rappresentazione di 66 Fra i due maggiori filosofi è posizionato il punto di fuga dell'impianto prospettico, che si può rilevare prolungando le direttrici delle fasce chiare della pavimentazione e quelle decise e nette delle cornici sottostanti alle volte. La costruzione prospettica dà un senso di compostezza e di classicità. Il personaggio disteso sulle scale mentre scrive su un foglio è la rappresentazione di Michelangelo (= Eraclito) e anch’esso non è posizionato casualmente ma segue le linee prospettiche della scena. Dall'esterno si intravede il cielo, che aumenta il senso di profondità di campo. Bramante è raffigurato nella figura di Euclide a destra mentre è intento a tracciare disegni geometrici, Raffaello stesso è raffigurato come il giovane che sta guardando all’esterno della composizione in basso a destra. Il Parnaso, Affresco, Città del Vaticano, Stanza della Segnatura, 1509-10. La scena è una raffigurazione del monte Parnaso, secondo la mitologia dimora delle Muse. ulla sommità del colle, nei pressi della fonte Castalia, Apollo, coronato di alloro e al centro della composizione, suona una lira da braccio, circondato dalle Muse. Ai suoi lati si vedono Calliope ed Erato, che presiedono il coro delle altre: a sinistra dietro Calliope, Talia, Clio ed Euterpe; a destra dietro Erato Polimnia, Melpomene, Tersicore e Urania. Nei disegni preliminari le muse tenevano strumenti musicali ispirati vagamente all'antico, che nella redazione definitiva vennero sostituiti con oggetti più precisi: Calliope, Erato e Saffo tengono infatti strumenti copiati con cura dal sarcofago delle Muse, oggi al Museo nazionale romano, mentre lo strumento di Apollo è moderno, a nove corde invece delle sette abituali (un richiamo al numero delle muse?), e richiama probabilmente uno dei passatempi di Giulio II. Tutt'intorno si trovano diciotto poeti divisi in più gruppi, alcuni di identificazione inequivocabile, altri più dubbia, tutti disposti come in una platea, concatenati l'un l'altro da gesti e sguardi, a formare una sorta di mezzaluna continua che si proietta verso lo spettatore come ad avvolgerlo. 67 Le nove Muse corrispondono alle sfere di cui è composto l'universo, un gigantesco organismo in perpetua vibrazione. Apollo Musagete (guida delle Muse) è il principio ordinatore del cosmo: egli impone una sequenza razionale all'esistente attraverso il magico suono della lira. Nell'affresco lo strumento assume le sembianze di una viola da braccio, largamente diffusa in epoca rinascimentale. Disputa del Sacramento, Affresco, Città del Vaticano, Stanza della Segnatura, 1510-11. | titolo tradizionale dell'affresco deriva da un'erronea interpretazione settecentesca di un passo vasariano; "disputa", cioè "discussione", presupporrebbe una divergenza o contrasto tra coloro che discutono, seppure dalle espressioni e dalle movenze dei personaggi Raffaello volle far trasparire un interesse vivo e un trasporto nel discutere circa il grande mistero cristiano dell'eucaristia. Più appropriato sarebbe quello di Trionfo dell'eucaristia o Trionfo della Chiesa. Su due registri sono infatti raffigurate la Chiesa militante, nella parte inferiore, e la Chiesa trionfante, in quella superiore. Il dipinto è dedicato quindi alla teologia, disciplina attraverso la quale l'anima può arrivare alla verità nel campo della fede. La Chiesa trionfante è rappresentata dalla Trinità con Gesù al centro di una grande aureola luminosa con serafini e cherubini, affiancato da Maria e da Giovanni Battista. Sotto di lui quattro angioletti mostrano le Sacre Scritture (uno per evangelista, con brani di ciascuno, da sinistra Matteo, Marco, Luca e Giovanni), vicini alla colomba dello Spirito Santo, che punta direttamente al nodo focale dell'affresco, l'ostensorio con l'ostia consacrata. Attorno a Gesù corrono gli scranni dei santi e dei profeti, mentre in alto una cupola di raggi dorati (con i raggi resi a rilievo con lo stucco), in cui si intravede uno sciame di testine angeliche a monocromo, circonda l'apparizione dell'Eterno, con il globo in mano e con l'aureola quadrata, mentre fa un gesto di benedizione. Ai lati completano la rappresentazione celeste due gruppi di tre angeli ciascuno, ispirati probabilmente a quelli di Ghirlandaio nell'Incoronazione della Vergine della Cappella Tornabuoni; anche la posa della Vergine ricorda quella del Ghirlandaio. Tra i santi si riconoscono da sinistra san Pietro, Adamo (senza aureola), Giovanni evangelista, Re David con una cetra, santo Stefano e Geremia; a destra Giuda Maccabeo, san Lorenzo, Mosè con le tavole della Legge, un apostolo (san Matteo o san Giacomo maggiore o san Giacomo minore), Abramo e san Paolo. Nella parte inferiore è rappresentata la Chiesa militante, un vero e proprio concilio in cui figurano teologi, dottori della Chiesa e pontefici, ma anche filantropi, letterati e semplici fedeli anonimi; non tutti i personaggi sono stati identificati. Da sinistra si trovano Bramante, appoggiato alla balaustra mentre indica un libro e si volta verso uno sconosciuto, Francesco Maria Della Rovere, il giovane in piedi in primo piano che indica l'altare (ai cui servigi Raffaello doveva forse la venuta a Roma), san 70 Cacciata di Eliodoro dal tempio, Affresco, Città del Vaticano, Stanza di Eliodoro, 1511-13. Questo affresco allude all’inviolabilità del potere temporale della chiesa. Si continua a soffermarsi sull'importanza della chiesa sulla terra. La scena si svolge all’interno di un'architettura immaginaria, definita dal ritmo serrante e incalzante delle arcate, scandita da bagliori luminosi. Il gioco di arcate è evidente e rende la scena molto profonda. Sulla destra è rappresentato il cavaliere celeste, col manto celeste, e altri messi divini che sospingono la figura di Eliodoro. Sullo sfondo sono stati rappresentati il grande sacerdote Onia che prega presso l’altare. Sulla sinistra si trova Giulio II. A lato si identifica sulla sinistra Marcantonio Raimondi e sull’estrema sinistra al lato del sacerdote Giulio Romano. Giulio Romano è stato tra i maggiori allievi di Raffaello tanto che Raffaello decise di raffigurarlo. La scena è tratta dal Libro dei Maccabei (Libro II, 3, 21-28) e simboleggia la protezione offerta da Dio alla Chiesa rispetto ai suoi nemici. Eliodoro di Antiochia era un ministro di Seleuco IV, re di Siria, incaricato di profanare il tempio di Gerusalemme. Ecco che però la preghiera del sacerdote Onia, al centro della composizione, evoca un messo divino a cavallo, seguito da due aiutanti a piedi, che travolge il profanatore nell'angolo destro della scena. Eliodoro e i suoi seguaci sono schiacciati al bordo del campo visivo, ricordando alcune convulse scene di massa della volta della Cappella Sistina come il Serpente di bronzo. Si tratta probabilmente di un'allusione alla vittoria del papa sui cardinali filofrancesi scismatici, che avevano complottato contro di lui. La scena ha luogo in un grandioso edificio classico, con lo scorcio di una navata dai soffitti dorati, aperta sullo sfondo del cielo. AI centro, il sacerdote Onia in preghiera di fronte al candelabro acceso. Nonostante le similitudini dello sfondo con la Scuola di Atene, la luce radente sull'architettura genera un'accentuazione drammatica del tutto nuova. | ritmi pacati e solenni appaiono ormai superati da un andamento vorticoso e dinamico, in cui la concitazione dei gesti dei personaggi guida l'occhio dello spettatore a una lettura accelerata dell'immagine lungo direttrici prestabilite. Anziché articolarsi dal centro verso le periferie in maniera armonica, la composizione oppone una zona centrale pressoché vuota e immota, dominata da masse d'ombra profonda e bagliori luminosi, ai due nuclei drammatici laterali, dove le figure si accalcano. Inoltre, se negli affreschi della Stanza della Segnatura tutti i personaggi avevano pose disinvolte e naturali, nell'affresco di Eliodoro cominciano a essere introdotti gesti esasperati e torsioni che preannunciano il manierismo. L'azione si svolge prevalentemente a destra, dove il cavallo travolge Eliodoro steso a terra. Il moto dei personaggi è legato da un ritmo rapido, ma perfettamente scandito, come se ciascuno si muovesse lungo un tracciato prescritto, una coreografia. Sono state notate analogie tra l'animale e gli studi leonardeschi per il monumento Trivulzio. Il pathos è michelangiolesco, ma Raffaello cerca anche di mantenere un distacco, l'obiettività della rappresentazione. 71 A sinistra assiste impassibile Giulio Il portato dai sediari, ribadendo l'inviolabilità dei possedimenti della Chiesa e la sua volontà di cacciarne gli usurpatori. Si tratta di un inserimento "teatrale", con cui l'artista riafferma, contro la concezione michelangiolesca della storia come tragedia in atto, la sua concezione della storia come exemplum: la stessa rapida prospettiva che affretta il movimento delle figure mette in rapporto diretto il Papa in primo piano con il sacerdote orante in fondo. | due sediari del papa sono, secondo la tradizione, i ritratti di Marcantonio Raimondi e Giulio Romano, che Vasari usò anche come ritratti per l'edizione giuntina delle Vite; altri ritengono che il ritratto di profilo sia l'autoritratto del Sanzio. Il terzo portatore sarebbe Pietro de Folariis, noto dignitario di corte. Messa di Bolsena, Affresco, Città del Vaticano, Stanza di Eliodoro, 1511-13. Raffaello qua dovette affrontare un problema compositivo legato alla presenza nella parte sottostante di un riquadro nero dove vi era una finestra. L'affresco è stato concepito in maniera tale da non essere troppo decentrato dalla finestra, escogitando una serie di espedienti compositiviche hanno comunque portato la scena dello svolgimento della messa proprio al centro dell’arcata. L’artificio compositivo è quello di prolungare sulla destra il piano su cui poggia l’altare modificando così la successione dei gradini. La scena è impostata in masse equilibrate, ma con una simmetria piuttosto libera, di estrema naturalezza, variando la successione dei gradini che portano alla zona superiore dell'altare e disponendo in maniera diversa le masse ai lati. La tensione appare contenuta, come interiorizzata dagli astanti. Sullo sfondo di una basilica classicheggiante aperta sul cielo (proprio come nella Scuola di Atene), l'artista isolò l'altare attraverso la massa scura di un'esedra lignea, una specie di coro rovesciato, cinquecentesco, da cui si sporgono due curiosi. AI centro si vede il blocco dell'altare, coperto da un telo a righe dorate e con una misurata natura morta di oggetti liturgici sopra, dove il sacerdote boemo sta celebrando la messa, seguito da numerosi chierichetti inginocchiati con ceri processionali in mano. Davanti a lui è inginocchiato Giulio II, in tutta la pompa della sua posizione, con i gomiti appoggiati su un voluminoso cuscino con nappe agli angoli, retto da un mobiletto pieghevole con intagli leonini. Ha alle spalle un gruppo di cardinali e più in basso alcuni sediari pontifici attendono seduti. Tra i prelati sono stati riconosciuti Raffaele Riario, con le braccia incrociate al petto, e forse il cardinal Sangiorgio, con le mani giunte. Più che un miracolo che accade, è un miracolo che si ripete davanti al papa testimone. A sinistra si trova un gruppo di astanti sorpresi, in piedi o seduti in terra, che ripetono come se fossero attori i loro gesti ammirativi o dimostrativi. Se la ricostruzione storica è ancora una 72 proiezione immaginaria del passato, la ripetizione rituale del fatto si colloca nel presente: l'architettura all'antica, che indica un tempo remoto, è solo uno sfondo. I colori spiccano per un vivace contrasto, soprattutto sullo schermo del marmo bianco della gradinata. Leone Magno ferma Attila, Città del Vaticano, Stanza di Eliodoro, Affresco, 1514. Questo affresco ha una differenza di stile e di colori e di forme, perché qui probabilmente intervengono altre mani oltre quelle di Raffaello. La scena narra l'incontro, semileggendario, avvenuto nei pressi del Mincio nel 452, tra Attila re degli Unni e Papa Leone I che avrebbe distolto il bellicoso capo barbaro dall'invadere l'Italia. Come per la battaglia di Ponte Milvio, la propaganda cristiana ne aveva fatto un episodio miracoloso, con l'apparizione celeste di un vecchio in abiti sacerdotali che avrebbe terrorizzato gli assalitori, sostituito però da Raffaello dai santi Pietro e Paolo, protettori della città eterna. Raffaello ambientò la scena nei pressi di Roma, con evidenti richiami alla situazione politica contemporanea. Sullo sfondo a sinistra si riconosce infatti una città murata, una basilica, un acquedotto e il Colosseo, mentre il colle su cui divampa l'incendio, a destra, è Monte Mario. | due gruppi contrapposti sono quanto di più diverso. Il gruppo degli Unni si slancia estremamente dinamico e furente, bloccato però dalla sfolgorante apparizione degli apostoli armati di spada in cielo. A sinistra invece il papa col suo corteo procede ordinato e pacato nella sua infallibilità. Una tale differenziazione è rispecchiata anche nel paesaggio, placido a sinistra, sconvolto dal fuoco e dalla rovina a destra. Le fattezze del pontefice sono quelle di Leone X, subentrato a Giulio Il che era morto nel 1513, anche per l'omonimia con Leone I. Il nuovo papa figurava però già come cardinale nell'affresco, l'ultimo a sinistra. L'idea dell'omonimia piacque al nuovo pontefice, che lo scelse come tema per la stanza successiva, quella stanza dell'Incendio di Borgo e in cui le composizioni asimmetriche saranno la dominante stilistica. 75 inferiori ai lati della finestra, dove si trovano gruppi di soldati e guardie svizzere. Allusivo è il ricamo sul paliotto, che mostra martiri salvati da angeli dal supplizio della ruota dentata. Battaglia di Ostia, Affresco, Città del Vaticano, Stanza dell'incendio di Borgo, 1514-15. È sempre nella terza stanza. L'affresco fa riferimento alla battaglia che si svolse a Ostia nell'849, quando le galee delle repubbliche marinare di Amalfi, Gaeta, Napoli e Sorrento, al comando del Console Cesario, figlio di Sergio | duca di Napoli, venute in soccorso di papa Leone IV, attaccarono vittoriosamente la flotta saracena che aveva in animo di risalire il Tevere per invadere, saccheggiare e devastare Roma. Nell'affresco il papa, a sinistra e nell'atto di rendere grazie, ha i tratti di Leone X, e allude a una crociata vanamente invocata da quest'ultimo contro i Turchi Ottomani. Tra i vari personaggi che compongono il seguito del papa, si possono intravedere, alle sue spalle, due cardinali; quello a destra dovrebbe contenere il ritratto del cardinal Bibbiena e quello a sinistra del cardinale Giulio de' Medici, futuro Papa Clemente VII. AI centro si scorgono la Rocca di Ostia e la battaglia che infuria tra le due flotte; a destra, in primo piano, si vedono alcuni prigionieri musulmani che vengono sbarcati e portati brutalmente davanti al pontefice, dove si inginocchiano in segno di sottomissione, secondo un tema derivato dall'arte romana, detto dei captivi. Sala di Costantino: è la quarta stanza, che venne realizzata da Giulio Romano e da aiuti quando Giulio fu costretto a migrare a Mantova. La stanza venne conclusa attorno al 1524 e rifinita da altri artisti che collaborarono con Giulio Romano. In origine questa sala era destinata ai ricevimenti e alle cerimonie ufficiale, cosa riscontrabile dalla forma della sala, molto grande e rettangolare. La decorazione fu commissionata da Leone X. L'intera decorazione narra la sconfitta del paganesimo e il seguente insediamento della chiesa a Roma, attraverso quattro episodi della vita di Costantino che si trovano lungo le quattro pareti, a mo’ di nastro. Ritratto di Leone X con due cardinali, olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1518. Opera conclusa nel 1518, in questo dipinto il papa Leone X è colto seduto davanti a uno scrittoio coperto da un tappeto rosso su cui sono poggiati un campanello da tavolo e un codice miniato che sta osservando con 76 l’ausilio di una lente di ingrandimento. Accanto vi sono i cugini Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII e Luigi de’ Rossi, entrambi cardinali. | tre personaggi sono inseriti in un'architettura monumentale, immersi nella quasi totale oscurità. Leone X ha lo sguardo curioso e indagatore, le sue mani sono delicate, quasi femminili, e il volto e la corporatura indicano che vive nell’agiatezza. Il rosso è il colore che domina la scena. Il campanello sul tavolo riporta i simboli medicei, così come anche il libro miniato, che rappresenta una Bibbia aperta alla pagina iniziale del Vangelo secondo Giovanni. Trasfigurazione, olio su tavola, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, 1518-20. Nel 1516 il cardinale Giulio de’ Medici commissiona a Raffaello una pala destinata alla cattedrale di Narbonne. La tavola fu iniziata nel 1518 e si distingue per la complessità e la novità dell'invenzione, in quanto accosta due episodi evangelici, quello della trasfigurazione vera e propria nella parte superiore e quella della guarigione dell’ossesso nella parte inferiore del dipinto. Il tutto è armonizzato da un’orchestrazione scenografica, da violenti contrasti di luce e da una forte carica espressiva delle figure. La trasfigurazione è il mutamento, la trasformazione che Cristo subì sul monte Tabor quando si mostrò ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni splendente di luce mentre al suo fianco apparivano i profeti Mosè ed Elia. In quelmomento Cristo fu avvolto da una nube luminosa, dal cui interno una voce disse “questo è mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo” e i discepoli caddero a terra impauriti. La tradizione narra poi che scendendo dal monte Cristo abbia guarito un giovane fanciullo posseduto dal demonio. Raffaello si rifà a Leonardo per lo studio fisionomico, per il linguaggio dei gesti e il colloqui degli sguardi e il trasparire dei sentimenti. 77 Giorgione da Castelfranco (1477/48 — 1510) Autoritratto dell'artista, Giorgione da Castelfranco Veneto, Duomo Giorgione, Pala di Castelfranco, La Madonna in trono con il Bambino fra i santi Liberati e Francesco, 1504-05, Tempera su tavola, Castelfranco Biografia: Giorgione nacque nel 1478 e morì agli inizi del Cinquecento. Giorgione è lo pseudonimo di Giorgio o Zorzi da Castelfranco. Di Giorgione non sappiamo moltissimo, la sua biografia è oscura, ma sappiamo che è originario del Veneto e sembra che il suo apprendistato si compì presso Giovanni Bellini, altro protagonista della pittura veneta. Rispetto al Bellini, le sue opere rivelano una cultura più complessa e articolata. La sua attività pittorica conosciuta — perché sempre che di Giorgione esistono tante altre opere ancora da attribuire all'artista — risulta essere straordinariamente ricca e intesa di aspetti innovativi, tanto che Giorgione apre la strada alla pittura tonale veneta e caratterizza il periodo del Rinascimento maturo nell’area settentrionale italiana. Opere di Giorgione: una delle prime opere dell’artista sembra essere una pala d'altare, la pala raffigurante la Madonna in trono con il Bambino fra i santi Liberati e Francesco. La pala si trova nella chiesa di San Liberale a Castelfranco Veneto. Già dalle primissime opere si nota come l'artista anticipi per certi aspetti dei caratteri innovativi. In quest'opera si nota uno stacco rispetto alle pale d’altare precedenti di soggetto religioso. L'elemento innovativo è sicuramente la struttura architettonica che si stacca dello sfondo, che non è neutro ma raffigura un paesaggio che va degradando. | particolari nel registro ultimo si notano a malapena ma nel complesso l’opera è molto chiara, perché è evidente soprattutto l'aspetto della piramide (impianto piramidale) che parte dalla testa della Madonna congiungendosi coi due personaggi che si trovano ai lati del trono rialzato. Questo è un aspetto innovativo di questa pala d’altare. Inoltre, c’è un'ulteriore purezza nelle forme geometriche, cosa che è difficile riscontrare in pale d’altare precedenti o contemporanee: Giorgione stringe la forma triangolare all’interno di una cornice geometrica, dandone l'evidenza con lo spaccato in due della scena. Il gruppo sacro che si trova nella parte alta 80 Da protagonista alla scena è sicuramente il paesaggio, esaltato dalla forte cromia, con colori molto accesi e vivaci che si scontrano sulla tela e che sono stati sfumati per dare risalto al fulmine nel cielo. Gli edifici sullo sfondo, le rovine e le fronde degli alberi sono accennate dall’impasto fluido e dal colore steso in maniera molto veloce, caratteristica della pittura tonale veneta. Il colore nella tempesta è fondamentale: Giorgione modulando i colori riesce a ricreare l'illusione di uno spazio prospetticamente infinito, al fondo del quale il nostro occhio si perde in modo abbastanza simile allo stesso in cui si perde quando nella realtà osserviamo un panorama all'orizzonte. Le figure umane e il paesaggio hanno una perfetta armonia fra loro, diventando un perfetto complemento l’una dell’altro. La donna è stata identificata probabilmente con Eva e il bambino con Caino, mentre l’uomo sembrerebbe essere Adamo. Un'altra opera in cui ricorrono un po’ tutti i temi tipici dell’arte di Giorgione è l’olio su tela raffigurante la Venere dormiente, di poco anteriore al 1510. Nel dipinto si vede la Venere colta in un momento di dolce abbandono, morbidamente adagiata su soffici coltri accomodate in mezzo a un prato. Nell’innocenza del volto e nella rilassatezza delle membra, più che il ritratto di una dea, sembra Giorgione abbia voluto raffigurare una donna. Il fascino di questa Venere sta nella inconsapevolezza della sua incredibile bellezza. Alla bellezza umana Giorgione fa corrispondere la bellezza del paesaggio circostante. Il prato fiorito e il cespuglio alle spalle della Venere sembrano volerle rendere più confortevole il riposo e il villaggio deserto che si staglia sulla destra, contro le nuvole bianche in cielo, richiama il dolce torpore di un caldo pomeriggio estivo. Più lontano fra la campagna ricca di alberi si intravede la sagoma di un altro borgo, che richiama quasi un castello, che emerge dalle nebbie e alle sue spalle un massiccio montuoso. Il paesaggio è illuminato dalla stessa luce dorata che modella il corpo di Venere e che enfatizza i naturali panneggi del lenzuolo a lei sottostante. Tiziano Vecellio (1488 — 1576) Tiziano Vecellio nasce a Pieve di Cadore in provincia di Belluno. La data di nascita è incerta ma comunque verosimile, anche se è di certo posteriore da quella professata dallo stesso Tiziano, che era solito fingersi più anziano di quanto non fosse in realtà per sbalordire gli interlocutori per il vigore e la prestanza fisica che dimostrava. Proveniente da una famiglia agiata, della formazione di Tiziano si sa veramente molto poco. Da giovane frequenta varie botteghe di pittura e fin da subito si distingue per la capacità di padroneggiare i colori. Da adolescente entra nella cerchia di Giovanni Bellini e in seguito approda alla bottega del Giorgione, presso il quale approfondisce la tecnica del tonalismo. Di Giorgione assimila anche la sensibilità artistica tanto da arrivare a realizzare opere 81 assai molto simili a quelle del maestro, tanto che per lungo tempo si è faticato a distinguere le opere dei due artisti. Tiziano si applica brillantemente anche al disegno, nel quale dimostra di possedere un ottimo talento. Nella bottega di Giorgione, Tiziano inizia a maturare uno stile proprio che prevede un uso del tutto nuovo dei colori, che stende con tratti rapidi e imprecisi, senza l’ausilio di disegni preparatori. Da ciò ne deriva una pittura di grande immediatezza ed espressività. Le forme rappresentate da Tiziano sono più spesso accennate che descritte, cosa che conferisce loro una vivezza e un realismo sconosciuti fino ad allora. Fra il 1518 e il 1521 l’artista opera nella città di Ferrara per il duca Alfonso d'Este. Contemporaneamente viene convocato alla corte mantovana dei Gonzaga, dove eseguì alcuni dei suoi ritratti più famosi. Attraverso l’amico Pietro Aretino, Tiziano entra in contatto con diverse corti italiane e con alcune corti europee, dove godeva di prestigio e stima altissimi. Successivamente staziona nella città di Urbino e dopo ancora si reca a Roma, dove conosce anche Michelangelo ed entra a contatto con le sue opere. Nel 1548 si reca ad Augusta alla corte di Carlo V. Fin dagli esordi la pittura di Tiziano suscita scalpore fra i suoi contemporanei. L’ASSUNTA, OLIO SU TAVOLA, VENEZIA, BASILICA DI SANTA MARIA GLORIOSA DEI FRARI. Si tratta di un olio su tavola di enormi dimensioni raffigurante l'assunzione in cielo della Vergine Maria. La narrazione si articola su tre registri sovrapposti, in un continuo crescendo che dal mondo terreno, estremamente agitato e caratterizzato dalle passioni e dal peccato, conduce idealmente alla perfezione e alla gloria divine. In basso sono rappresentati gli apostoli, che gesticolano concitatamente e richiamano l'estremo realismo, dando un senso di sbigottimento e di incredulità che gli uomini semplici provano di fronte all'evento soprannaturale. Le braccia robuste degli apostoli sono protratte verso il cielo, nel cui mezzo si libra la Vergine, equidistante sia dagli uomini in basso che da Dio in alto. Il colore rosso delle vesti di Maria e dei due apostoli in basso origina un triangolo che conferisce stabilità alla composizione alludendo all'unione fra cielo e terra. Maria è raffigurata in piedi su una nuvola vaporosa e biancastra ed è attorniata da una festosa torma di cherubini. Il piede destro della vergine è quasi completamente sollevato, quasi come se indicasse l’ascendere della sua figura, unitamente al gesto di protendere le braccia verso l’alto. Il volto della donna è radioso, colto nell’attimo di estati appena precedente all'assunzione in cielo. Il manto della vergine è rappresentato da Tiziano in modo estremamente realistico e naturalistico, quasi come se fosse gonfiato da un turbine di vento ascensionale che ne fa percepire tutto il volume. Alla sommità della pala si vede il padre eterno nella gloria dei cieli, che chiude lo svolgimento della narrazione contrapponendo la propria pacata immobilità tipicamente divina al moto che anima tutti gli altri personaggi terreni. Il creatore appare fortemente in controluce, perché Tiziano vuole che l'osservatore rimanga abbagliato dallo splendore in cui è immerso; l'apparizione di Dio sembra, grazie ai colori, una sorta di visione soprannaturale e regala alla metà superiore del dipinto una fonte di luce autonoma e intensissima. La luce naturale invece illumina gli apostoli nel mondo terreno. 82 PALA PESARO, OLIO SU TELA, VENEZIA, BASILICA DI SANTA MARIA GLORIOSA DEI FRARI, 1519-26. La grandiosa tela fu commissionata dal Vescovo Jacopo Pesaro nel 1519 ma realizzata soltanto nel 1526. Rappresenta una Madonna in trono fra i santi Pietro, Francesco d'Assisi e Antonio da Padova. Tutti attorno in ginocchio sono raffigurati i personaggi più potenti della famiglia Pesaro. Il soggetto è quello di una Sacra Conversazione dalla composizione arditissima. La Madonna infatti non è posta al centro della composizione ma spostata sulla destra, lungo una simbolica linea diagonale che collega in senso ascendente l’angolo a sinistra in basso con la mezzeria del lato destro della pala. L'aspetto prospettico accresce la sensazione di moto ascensionistico. Tiziano immagina la scena in uno spazio complesso e profondo, compreso fra il primo piano con i committenti inginocchiati e il luminoso cielo alle spalle. All’interno di questo spazio ogni figura ha una propria collocazione e serve a unire i vari piani prospettici. In alto si vedono su una nuvola due angioletti che si affaccendano in modo estremamente realistico per erigere una croce. La nuvola si libra sopra la figura di San Pietro. Le colonne raffigurate, delle quali non si vede il capitello, suggeriscono uno spazio molto più ampio come se fossero una sorta di continuazione degli spazi fisici della tela. | santi che attorniano la Vergine sono rappresentati in maniera particolarmente naturalistica, senza gerarchie o pomposità. La chiave simbolica di San Pietro è appoggiata con noncuranza sullo scalino, ai piedi del santo. Attraverso un’accortissima graduazione dei toni Tiziano riesce a dare ai volti dei personaggi accenti di irripetibile naturalezza e agli abiti riflessi cangianti e panneggi che ne danno tratti scultorei. AMOR SACRO E AMOR PROFANO, OLIO SU TELA, ROMA, GALLERIA BORGHESE, 1541. Si tratta di un’opera commissionata all'artista da Niccolò Aurelio nel 1514. Aurelio fu un patrizio veneziano e influente politico, che per celebrare le proprie nozze con la padovana Laura, figlia di un giurista, commissionò quest'opera per attestare le proprie nozze. L'intenzione del dipinto trascende la pura occasionale cerimonia e si pone come strumento di riappacificazione famigliare e ispiratore di concordia, amore e pacificazione. Oltre al significato nuziale, l’opera vuol essere un simbolo di riappacificazione visti i retroscena che si celano dietro alla figura del padre della futura sposa. Il dipinto ha carattere allegorico in quanto esprime per simboli significati reconditi, resi evidenti dal carattere privato della destinazione dell’opera. È un quadro di matrimonio ma anche uno strumento di diplomazia famigliare e che usa la celebrazione e la forza dell'amore per riappacificare l’atto di violenza che si voleva cancellare. Infatti nell'opera sono presenti scene cruente dipinte sul 85 (l'hortus conclusus) e con il braccio destro, in un gesto un po' innaturale, indica il Dio Padre che si è manifestato in una nuvola e da sotto la loggia sta inviando con le mani giunte la sua benedizione su Maria. Quest'ultima è in primo piano a sinistra e, con una certa spregiudicatezza compositiva, si volge verso lo spettatore, dando le spalle all'annuncio, e solleva le mani sorpresa, infossando la testa tra le spalle con un'espressione tra l'umile, il turbato e il succube. Stilisticamente le teste sono leggermente sottodimensionate e le figure appaiono bloccate in gesti rigidi, anche se altamente espressivi. Colpisce l'amorevole descrizione dei dettagli della stanza, di matrice nordica, come il letto a baldacchino, la finestrella coi vetri piombati, la mensola con la piccola natura morta (alcuni libri, un candelabro e un calamaio), l'appendiabiti, lo sgabello con la clessidra, l'inginocchiatoio e soprattutto il gatto che fugge spaventato inarcando la schiena, un simbolo della sconfitta del male ma anche un garbato elemento di ironia. 86 IL MANIERISMO Il ‘manierismo’, o ‘arte della maniera’: il termine maniera compare per la prima volta nel Quattrocento e sta a significare il modo espressivo di ogni singolo artista. Con maniera identifichiamo l’operare artistico di ogni singolo artista nella sua maniera più caratteristica. Inizialmente il termine manierismo veniva impiegato col significato negativo di imitazione e si riferiva a tutti quegli artisti che operavano alla maniera di Leonardo, Raffaello e Michelangelo, spogliandosi della propria fantasia e riproponendo cose già viste. Con Giorgio Vasari, più importante biografo degli artisti, il termine assurge a indicare quello stile emblematico dell’età inaugurata da Leonardo da Vinci, la cosiddetta ‘bella maniera”, alla ricerca di un perfetto equilibrio fra naturalità, idealità e tradizione classica, in quanto Leonardo parla di arte della maniera come arte bella. Il termine maniera non ha accezione negativa, ma va interpretato in termini di idealità e tradizione classica rivisitata nel corso del Cinquecento. Il manierismo fu la tendenza allo sperimentalismo di tipo compositivo di tutte e tre le arti (figurativa, scultorea e architettonica) forzandola in senso anticlassico. È un movimento che si sviluppa fra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento: l’arte si distacca adesso da quella tradizionale rinascimentale. Attualmente col termine manierismo indichiamo un movimento artistico successivo all'anno 1520 che si è diffuso in Italia dopo la morte di Raffaello. L’opera manierista ricerca la grazia, la licenza della regola, il virtuosismo, la difficoltà, l’inusuale, la bizzarria, l’eccentrico e il capriccio. Le opere manieriste sono accomunate da un’ossessiva ricercatezza formale, una tendenza estrema alla raffinatezza, all'eleganza, al virtuosismo compositivo. Proprio per questo Leonardo parla di bella maniera, in quanto nell'opera manierista c'è un eccesso di sperimentalismo che va contro la maniera anticlassica che nello stesso tempo presenta grande eleganza e raffinatezza nell'aspetto formale e stilistico. I dipinti propongono delle composizioni molto affollate, dove la prospettiva non è più l'elemento unificante e le proporzioni di figure e elementi contenuti sono completamente alterate. Anche le sculture sono percorse da un equilibrio instabile, perché i corpi si animano, si allungano, si deformano in strane contorsioni che rivelano l'aspetto caratteristico dell’accentuato dinamismo. Le architetture presentano elemento strutturali e decorativi che rompono con l’equilibrio formale tipico del Rinascimento, tanto che in alcune architetture si nota la differenza e lo stacco di stile dal periodo rinascimentale. | centri di maggior diffusione del manierismo durante il secondo decennio del Cinquecento furono: Firenze, Siena e Roma. Nelle città toscane la maniera si sviluppa come stilizzazione eterodossa e irrealistica dei modelli lasciati soprattutto da Michelangelo, ma anche da Raffaello e Leonardo. A Roma si esplica nei grandi cantieri politecnici e decorativi diretti da Raffaello. Nel terzo decennio del secolo, nella Roma di Clemente VII si costituisce il primo vero linguaggio manierista comune, che raccoglie artisti della scuola di Raffaello: Giulio Romano, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio, Parmigianino e Rosso Fiorentino. Andrea del Sarto (1486-1530) Figlio di un sarto, da qui il soprannome, Andrea di Agnolo nasce a Firenze nel 1486. Si formò presso la bottega di Piero di Cosimo a Firenze. A soli ventiquattro anni gli viene richiesto di affrescare il chiostro della Santissima Annunziata. La sua fame cresce rapidamente e la sua presenza venne richiesta a Roma, Venezia e alla corte di Francesco I. Muore a Firenze a causa della peste del 1530. Andrea del Sarto deve la maturazione delle proprie opere a Michelangelo, Raffaello e Leonardo, cosa che gli garantì un elevato prestigio nell'ambiente fiorentino degli inizi del Cinquecento. 87 Con Andrea del Sarto il linguaggio pittorico rinascimentale appare ormai definitivamente acquisito e stabilizzato. L'artista fu in grado di amalgamare lo sfumato leonardesco, l'equilibrio e la grazia tipiche di Raffaello e il volume e la monumentalità michelangiolesche, arrivando a una propria concezione personale di perfezione. Andrea del Sarto si rivela anche un incisivo e potente disegnatore, dotato di grande decisione di tocco. Lo stile pittorico di Andrea del Sarto riprende lo sfumato di Leonardo, l'equilibrio e la grazia di Raffaello e il volume e la monumentalità di Michelangelo. | suoi personaggi si caratterizzano per la lieve malinconia e l’espressione sorridente o di attesa. MADONNA DELLE ARPIE, TEMPERA SU TAVOLA, FIRENZE, GALLERIA DEGLI UFFIZI, 1517. Un'opera importantissima di Andrea del Sarto, commissionata nel 1515 dalle suore del monastero fiorentino di San Francesco de’ Macci è la Madonna delle Arpie, una tempera su tavola datato 1517 che deve il proprio appellativo ai mostruosi personaggi marmorei posti agli spigoli del piedistallo a base ottagonale su cui poggia la Madonna. Nel dipinto è palese il tentativo di sintesi fra le conquiste portata dalla pittura di Michelangelo, Raffaello e Leonardo. Lo sfumato atmosferico del dipinto si rifà palesemente alla tecnica dello sfumato leonardiano e si unisce armoniosamente alla perfezione formale dei volti e dei gesti delle figure allo stile tipico di Raffaello. L’accentuato naturalismo dei personaggi trae invece spunto dalla complessa plasticità michelangiolesca, addolcita dalla ripresa dello sfumato e dal colorismo di stampo veneto ripreso dalla pittura tonale veneta, specialmente dalla scuola veneta di Giorgione. A sinistra San Francesca indossa un ampio saio e a destra c'è un giovane san Giovanni che scrive e indossa uno sgargiante manto rosso fuoco. San Giovanni richiama palesemente l’Anassagora della Scuola di Atene di Raffaello. Si può assistere a un ponderato equilibrio compositivo, simbolicamente imperniato sulla figura centrale di Maria e la sapiente graduazione dei chiaroscuri richiamano invece la tradizione classica del Rinascimento. | personaggi sono caratterizzati da un forte naturalismo: 90 DEPOSIZIONE, OLIO SU TAVOLA, VOLTERRA, PINACOTECA DI VOLTERRA, 1521. La tavola trae ispirazione dalla Deposizione eseguita da Filippino Lippi e Pietro Perugino, distaccandosene però notevolmente. La posizione della croce e l’azione che su di essa si svolge è un elemento che richiama fortemente l’altra tavola. La tavola di Fiorentino è centinata ed è attraversata verticalmente e trasversalmente dalla pesante e tozza croce. Alla croce si appoggiano tre scale di legno inclinate secondo direzioni diverse, andando così a definire lo spazio. Lo spazio entro cui si svolge la scena è limitato, compresso e proteso in avanti nella parte inferiore per consentire l’azione dei personaggi. L’iconografia cui si rifà Rosso Fiorentino è quella delle opere gotiche. A differenza della Deposizione del Pontormo, quella di Fiorentino è meno affollata. Il corpo di Cristo anche in questo caso è staccato dalla Croce e sta per essere deposto. La Vergine è ammantata di blu ed è sorretta dalle pie donne. La Maddalena indossa un abito rosso ed è inginocchiata. San Giovanni si tiene la testa intanto che piange addolorato. Sullo sfondo si notano appena accennati i confini delle colline e il cielo blu che va scurendosi verso l’alto: questi due elementi rendono la composizione ancor più tormentatamente oppressiva. I corpi degli uomini sulle scale e quello del Cristo sono atteggiati in modo complesso e scomposto. | movimenti dei personaggi e la continuità dei contatti fra di loro rende la scena altamente concitata. È presente una forte propensione a smaterializzare. | personaggi si risolvono in angolature geometriche: la verticalità delle forme e l’enfasi di carattere teatrale è data da elementi architettonici. La croce è verticalizzata verso l’alto. C'è una mancanza quasi totale della prospettiva per evidenziare l'elemento drammatico. I colori sono accesi, incentrati su contrasti violenti che danno un effetto lacerante. La cromia è caratterizzata da colori molto forti quali il blu, il rosso, l'arancione e l'azzurro. Bronzino (1503 — 1572. Un altro grande interprete della politica e dell'ideologia medicea fu Agnolo Allori, detto il Bronzino. Bronzino è noto per essere l'artista preferito dell’aristocrazia fiorentina, per i quali rappresentò numerosi ritratti ed opere molto raffinate, spesso talmente allusive da risultare anche per lui stesso enigmatiche. 91 ALLEGORIA CON VENERE E CUPIDO, LONDRA, NATIONAL GALLERY, 1543-45. Quest'opera di Bronzino, datata 1543-45, è conservata a Londra alla National Gallery. In questa allegoria si ha una complicata catena di simboli e allegorie che è impaginata con colori talmente smaltati da sembrare quasi delle tarsie marmoree da raggelare la posa della Venere, sensuale, che si ricollega alle immagini di Amorini e Cupido che la contornano. L’opera è dominata dalla figura sensuale di Venere, che richiama la Madonna del Tondo Doni di Michelangelo ma che ne perde totalmente la plasticità e il dinamismo. La dea, dalla pelle di porcellana e il volto quasi impassibile dal sorriso enigmatico, non tradisce alcuna emozione. La donna è in procinto di ricevere un bacio e delle attenzioni dal giovane Cupido, rappresentato maliziosamente come un adolescente. Venere tiene fra le mani una mela che richiama nella simbologia la guerra di Troia e nel mentre sfila dalla faretra di Cupido una freccia, mentre Cupido cerca di levarle la corona dalla testa. Benvenuto Cell 1500 — 1571 Benvenuto Cellini nacque a Firenze. La sua formazione fu da orafo. Fu a Roma per un lungo periodo e dal 1540 al 1545 fu presso la corte di Francesco I. Rientrò successivamente in Italia, dove lavorò al servizio di Cosimo de’ Medici. PERSEO, BRONZO E MARMO, FIRENZE, LOGGIA DEI LANZI, 1545-54. Commissionata da Cosimo de’ Medici, la statua, realizzata con la tecnica della colata di bronzo, raffigura l’eroe vincitore su Medusa. L’immobilità del mostro sconfitto si contrappone all’energico dinamismo dell’eroe, che si innalza su Medusa sconfitta e canta vittoria. La testa di Medusa, grondante di sangue, è nelle mani del giovane Perseo, mentre ilcorpo sanguinante si trova sotto i suoi piedi. Nella mano destra il giovane impugna la spada con cui ha tagliato la testa a Medusa. La chioma di Medusa è serpentiforme. La gamba destra di Perseo è portante, mentre la sinistra è flessa; il busto è leggermente reclinato indietro e la testa è rivolta verso il basso. Il tentativo di moltiplicare i punti di vista proietta il movimento del corpo nello spazio. Ogni dettaglio della scultura risulta levigato, cesellato e ben rifinito, ricalcando la sua formazione da orafo. La monumentalità della scultura si contrappone alla finitura da oreficeria che caratterizza il basamento. Perseo è raffigurato in maniera statuaria, quasi fosse un Dio. 92 Giambologna (1553 — 1608) Giambologna è un artista fiammingo nato in Francia ma che dal 1550 opera e vive nella città di Roma. RATTO DELLE SABINE, MARMO, FIRENZE, LOGGIA DEI LANZI, 1583. Si tratta di un’opera emblematica. Fu realizzata senza che il Giambologna avesse in mente un soggetto ben preciso. Dimostra una grandiosa abilità tecnica nell'esecuzione di nudi maschili e femminili. Il gruppo è eseguito secondo lo schema dell’avvitamento e si compone di tre corpi intrecciati: due nudi maschili e un nudo femminile. In basso si vede un vecchio, prostrato in terra e sconfitto; il giovane, in mezzo, dal corpo atletico e sodo, ghermisce la giovane fanciulla, che tenta di divincolarsi inarcando il corpo e protendendo le braccia. La rappresentazione statuaria è una dimostrazione puramente manierista della scelta e dell’esecuzione di un soggetto difficile e la dimostrazione del superamento brillante delle difficoltà di esecuzione. MERCURIO, FIRENZE, LOGGIA DEI LANZI, 1575. Anche in questo caso siamo di fronte a una scultura “rotante”. Anche questa scultura dev'essere studiata e vista da più punti di vista, a causa della sua serpentinità. La scultura si irradia nello spazio e si muove con molta energia tanto da creare una spirale che quasi la porta ad allungarsi verso l’alto. Anche qui Giambologna si richiama a un’opera di Michelangelo, la Vittoria conservata a Palazzo Vecchio. L'elemento serpentinato e roteante è ripreso da Michelangelo, opera che Giambologna ha avuto modo di ammirare. La torsione del busto del Mercurio è l'elemento serpentinato che accentua molto di più il movimento e il dinamismo tipico della scultura manierista. Giulio Romano (1499 — 1545) Giulio Romano fu allievo e fu anche il continuatore dell'attività di Raffaello dopo la sua prematura morte. Fu pittore, decoratore e architetto, di origini romane. Affrescò le stanze vaticane anche se le sue opere più importanti sono conservate nella città di Mantova. A Mantova Giulio Romano fu presente a partire dal 1524, dove venne chiamato da Roma da Federico Gonzaga, che lo nominò prefetto delle fabbriche ducali e sovrintendente al rinnovamento urbanistico della città. 95 Parmigianino è una delle personalità più rilevanti del periodo manierista, specialmente nella zona dell'Emilia. Francesco Mazzola, detto il Parmigianino perché originario della zona di Parma, si formò nella bottega degli zii paterni e lavorò anche presso il Duomo di Parma nello stesso periodo in cui vi operò il Correggio. Attorno al 1524 giunse a Roma. È stato uno dei più raffinati, espressivi e eccentrici artisti dell’età della maniera. Rispetto al Correggio, Parmigianino fu uno degli artisti della maniera ancor più rivoluzionario. È stato sicuramente un artista che ha espresso in maniera molto precoce i mezzi espressivi e pittorici tipici della maniera. LA VISIONE DI SAN GIROLAMO, LONDRA, NATIONAL GALLERY, 1526-27. È una fra le opere più interessanti ed importanti del periodo romano del Parmigianino. In questa tavola si concretizzano gli ideali e la sensibilità della stagione artistica della maniera. Si tratta di un soggetto religioso assai eccentrico ed innovativo. La composizione è sottoposta a una sofisticata elaborazione formale: si nota dall’accentuato verticalismo e dalle anomalie iconografiche. Le figure sono sottoposte a una smisurata sproporzione delle forme: il Bambino è in piedi sulle ginocchia della Vergine ma è notevolmente sproporzionato e verticalizzato e in qualche modo quasi fuoriesce dall’oscurità dell’opera stessa. Il braccio del Battista è sproporzionato anch'esso: il Battista indica la visione e il suo poderoso braccio imprime un movimento al contempo rotatorio e ascensionale alla composizione, che culmina nella posa del Bambino. Tutto ciò è inserito in una pala d'altare dalla forma verticalizzata longitudinale e ancor più accentuata dalle sproporzioni e dal dinamismo rotatorio ed ascensionale verso l’alto. AUTORITRATTO ALLO SPECCHIO CONVESSO, VIENNA, KUNSTHISTORISCHES MUSEUM, 1523. Parmigianino si ritrae di fronte a uno specchio convesso per deformare la sua mano. La mano in primo piano, che abbraccia quasi tutta la parte sottostante del dipinto e che è stata sicuramente allungata e deformata dallo specchio. Da qui si nota come Parmigianino fu un artista molto originale per l'epoca. Si dice che sia stato un artista molto tormentato e che le sue opere fossero profondamente alchemiche anche a seguito degli studi in ambito alchemiche compiute da Parmigianino. Con la formula alchemica rende le sue opere ancor più misteriose e illeggibili a una prima lettura iconografica. Le sue opere sono difficili da interpretare anche se i soggetti sembrano perfettamente riconoscibili. 96 MADONNA DAL COLLO LUNGO (INCOMPIUTA), FIRENZE, GALLERIA DEGLI UFFIZI, 1534-39. Si tratta di un’opera non terminata e non si conoscono le motivazioni per cui l'artista l'abbia lasciata incompiuta. Il nome della tavola deriva dal modo in cui l’artista ha raffigurato il collo della Vergine, che è la caratteristica che più si nota osservando il dipinto. Il collo della Madonna è lungo e esile, sorregge una piccola testa coronata da una raffinata acconciatura di capelli e gioielli. La vergine probabilmente è seduta. Il suo ampio corpo, dai fianchi larghi e dalle gambe lunghe, lascia intravedere l'ombelico e l'abito che indossa mette in evidenza i seni. Un mantello vaporoso dal colore freddo tendente all’azzurro-verde le è adagiato sulle spalle dando la sensazione che stia scivolando e stia per cadere dalle spalle della donna. Il Bambino è rappresentato addormentato e simboleggia la morte del Salvatore. San Girolamo sullo sfondo mostra i suoi scritti a un ipotetico interlocutore ed è raffigurato più piccolo perché è in secondo piano. La prospettiva dal basso verso l’alto, stante la linea dell'orizzonte bassa, dà all'opera un tocco monumentale. In quest'opera Parmigianino ha riformulato l’immagine umana secondo i canoni di una bellezza artificiale e raffinata da configurare un’iperbole estetica. Ne sono un esempio la Madonna molto sproporzionata, il Bambino che sembra un adulto e San Girolamo che è troppo piccolo per essere rapportato alle figure in primo piano. Dalla colonna alle spalle della Vergine si nota l’incompiutezza dell’opera: la colonna sembra dovesse essere di ordine classico invece non è finita, è spezzata. La lunghezza del collo della Vergine richiama la colonna retrostante. Le proporzioni sono esagerate: il collo della Vergine e le dita della mano destra del Bambino sono troppo lunghi: inoltre la figura in secondo piano non è proporzionata in dimensioni con quelle in primo piano. Vignola (1507 — 1573) 97 CHIESA DEL GESU”, PIAZZA DEL GESU’, ROMA, 1568-84. La chiesa risale alla seconda metà del Cinquecento, quasi sul finire del secolo. La chiesa fu edificata per conto dei Gesuiti a partire dal 1568 ed è l’edificio architettonico che maggiormente incarna i principi sanciti dalla Controriforma. In questo edificio ‘monumentale è è evidente l'esperimento di sintesi fra sperimentalismo e tradizione rinascimentale. Vignola lavorò alla costruzione della chiesa assieme a Giacomo della Porta. Vignola esercitò una notevole influenza su tutti gli architetti del periodo della Controriforma. La chiesa si trova in una posizione centrale, vicina al campidoglio. Con quest'opera Vignola ha spianato la strada a molti altri architetti della Controriforma. La chiesa si compone di una grande aula coperta a botte, che si conclude con un’abside jJ a pianta semicircolare. Si compone di un’unica vasta navata affiancata da cappelle, che mancano in corrispondenza del presbiterio, dove l'aula sembra dilatarsi in un transetto. Il presbiterio è ricoperto da una cupola. La facciata della chiesa presenta due registri sovrapposto e un frontone sopra al marcapiano. L'esterno richiama fortemente la tradizione rinascimentale mentre l'interno si rivela più sullo stile tipicamente manierista. Giacomo della Porta modifica il progetto iniziale di Vignola ispirandosi alla facciata di Santa Maria Novella, soprattutto nel raccordo a due volute delle due porzioni più basse dell’edificio. L’edificio fonde in un unico organismo il tipo della pianta centrale con lo schema longitudinale tipico della tradizione cristiana; la facciata è una sintesi di sperimentalismo e tradizione rinascimentale. Nella facciata il Vignola era riuscito a armonizzare la parte superiore con quella inferiore tramite un’orditura regolare di colonne e paraste, che il Della Porta moltiplica togliendo la corrispondenza fra il registro superiore e quello inferiore, facendo quindi sembrare la facciata più tozza. Correggio (1489 — 1534; Antonio Allegri, conosciuto come il Correggio, fu un artista emiliano originario della città di Correggio. L'attività di Correggio si svolge quasi tutta in ambito emiliano. L'artista matura una
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