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Appunti completi su Montale, Appunti di Italiano

Appunti presi a lezione uniti al libro

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 07/04/2024

ccarlottaaas
ccarlottaaas 🇮🇹

5

(1)

19 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti completi su Montale e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! EUGENIO MONTALE Pag.298 - Nasce a Genova nel 1896 e muore nel 1981. - Partecipa alla prima guerra mondiale. - Montale scrive un articolo di elogio dell’opera di Svevo. - Negli anni dell’inizio fascismo, firma il manifesto degli intellettuali anti-fascisti di Benedetto Croce. - Egli aderisce al partito d’azioni: dura pochissimo ed è un partito liberale  come intellettuale lui è liberale Siamo negli anni 1925 e qui scrive la raccolta ossi di seppia (più importante). Poi dal 1927 si trasferisce a Firenze e qui sono importanti i rapporti col mondo della rivista Solaria: sono intellettuali che si oppongono al fascismo. Fine anni 1930 le occasioni (raccolta). Nel frattempo si dedica alla traduzione: la letteratura inglese, americana (straniera) è ostracizzata, nascosta però non si può totalmente fermare: non entra nei programmi di studio scolastico però ci si entra in contatto. Terminata la seconda guerra, nel 1956 bufera ed altro (raccolta). Poi satura ed exenia negli anni ‘70. Nel ’75 Nobel per la letteratura, 10 anni prima senatore a vita (anche Manzoni lo era diventato). LE SUE RACCOLTE OSSI DI SEPPIA 1925 Ha avuto anche una seconda edizione. È divisa in 4 sezioni: 1. “Movimenti” 2. “Ossi di seppia” 3. “Mediterraneo” è come un poemetto 4. “Meriggi e ombre” I rapporti con la poesia precedente a lui: prima di lui ci sono d’Annunzio e Pascoli. I rapporti con d’Annunzio sono importanti perché lui rifiuta il superomismo, il panismo, la poesia alta e sublime e l’atteggiamento stesso del poeta vate. Anche se è esistita una corrente, i crepuscolari, a cui deve questo rifiuto: ma a differenza della loro vena ironica, prevale un pessimismo di Montale che è simile al pessimismo cosmico leopardiano. I rapporti con Pascoli anche qui nessuna vicinanza col poeta vate simbolista, però sostiene la sua posizione anti-tradizionale (polemica di Pascoli con Leopardi dell’adesione alla realtà e non si dica rose e viole quando non si può dire)  condivide l’atteggiamento di una poesia che va verso la concretezza, gli oggetti e non solo: oggetti umili. La tendenza dei vociani espressionistica si ritrova inoltre in Montale. IL TITOLO: due prospettive poetiche completamente diverse (la prima non è quella di Montale, lui prende le distanze da questa): 1. L’osso di seppia può galleggiare felicemente nel mare e questo perché può vivere una condizione di panismo. Ma questa lettura non ha niente a che fare con la sua prospettiva, anzi lui prende una distanza da qua. Il mare è l’opportunità della fusione panica, vitale e felice ma lui invece: 2. L’osso di seppia è sbattuto sulla terra quindi arriva sul bagnasciuga come fosse un residuo non più vitale. È simbolo di qualcosa che è stato prosciugato e ridotto a qualcosa di calcare.  l’osso di seppia diventa simbolo di una condizione che il poeta sente di esclusione dalla natura, dalla felicità. Come si risponde? Con una stoica accettazione della vicenda umana. Ma l’osso di seppia diventa simbolo della poesia anche: una poesia che non ha più il vigore di essere poesia che svela agli uomini una verità nascosta ma ora è una poesia spoglia, non ha più gli ornamenti sontuosi ed esuberanti della poesia tradizionale. Immagine che ricorre è PAESAGGIO usato è quello LIGURE e anche qui abbiamo una contrapposizione con le scelte dannunziane: 1. Per quanto lui aderisca alla concretezza, quando usa il paesaggio esso non è descrittivo-realistico, ha altro valore. Comunque, questo paesaggio ligure ce lo immaginiamo col mare, il sole ma queste connotazioni paesaggistiche erano utilizzate da d’Annunzio come in “meriggio” come condizione panico-vitalistica. 2. Invece ora in questo paesaggio assolato, la forma di vita viene prosciugata. In Meriggio d’Annunzio descrive proprio i luoghi coi nomi, invece qui fa calare la foschia che invece occlude la vista. L’altra immagine che ricorre è il MURO che l’uomo non è capace di superare, di andare oltre e quindi attingere alla pienezza vitale. Si sente in condizione di prigionia dell’esistenza in cui il TEMPO si ripete monotonamente in gesti sempre uguali: Montale parla dell’uomo che crede di andare avanti ma il suo è un “in moto andar” cioè andare stando fermo (ossimoro) I LIMONI (Ossi di seppia, “Movimenti”) pag.306 Esiste la condizione di felicità? Se esiste è qualcosa che rimanda all’infanzia, è collocata nel passato ma questa adesione panica va via con la maturità perché si ha la percezione che non esiste armonia tra soggetto e il mondo esterno, ma esiste disarmonia invece. Quindi la condizione dell’infanzia è una sorta di rimpianto anche perché neppure la memoria funziona: non è uno strumento per contemplarla felicemente. Questa è proprio il MANIFESTO POETICO. Il poeta si rivolge in forma confidenziale al suo lettore e questo “ascoltami” diversamente della pioggia del pineto in cui dice “taci” perché io poeta superuomo sono in grado di decifrare i simboli della natura che poi li condivido io da posizione di poeta vate. “I poeti laureati (quelli della tradizione precedente, hanno la corona d’alloro e sono portatori di un messaggio) fanno ricorrere le piante dai nomi poco usati (riferimenti particolari e rivisitati delle piante): bolli ligustri o acanti. Io invece preferisco un paesaggio concreto, quotidiano: le strade che sbucano sui fossi pozzanghere seccate dove giocano i ragazzi, le viuzze che seguono le sponde dei fossi, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti i limoni (frutto ligure, simbolo della quotidianità aspra ma contemporaneamente un frutto vivo e colorato). In questo contesto è preferibile che i suoni degli uccelli si allontanino nel cielo e si senta più chiaro il sussurro dei rami amici nell’aria che quasi non si muove (usa elementi tipici simili alla poesia dannunziana, ma poi ci porta d’altrove: i rami amici mostrano una famigliarità tra il poeta e la natura e l’aria non si muove come in meriggio…). Si ascolta l’odore che non sa staccarsi da terra (lo tiene vincolato a ciò che è terreno) e piove in petto una dolcezza inquieta (il verbo è “si ascolta” prima il sussurro, ora gli odori si ascoltano  sinestesia tipica del decadentismo simbolista. Dolcezza inquieta è ossimoro, ma questa dolcezza come gli giunge? Con l’espressione “piove in petto” e rievoca la pioggia nel pineto dove però la pioggia annuncia l’inizio della fusione, è un battesimo pagano. Sembra che tutto vada in quella direzione, che il poeta possa quasi poter raggiungere l’obbiettivo). In questa condizione riesce a mettere da parte tutti gli aspetti delle passioni inutili che distolgono l’individuo dai veri significati dell’esistenza. Qui tocca anche a noi poveri poeti non laureati la nostra parte di ricchezza, ed è l’odore dei limoni”  sembra che tutto converga verso questa epifania, questa possibilità che anche il poeta umile possa instaurare una comunicazione privilegiata con la natura, comunicare coi rami amici – avverte l’odore dei limoni. Quindi sembra che si possa aprire un VARCO = apertura verso altrove, che ci possa svelare i significati nascosti dell’esistenza. “Vedi, in questi silenzi in cui le cose s’abbandonano e sembrano tradire il loro ultimo segreto. Ma per cogliere un oltre, la natura deve cedere da qualche parte e aprire una crepa diciamo, sembra che questa crepa si apra: uno sbaglio di natura, un punto morto del mondo, l’anello che non tiene (metafore per la crepa), la possibilità di disbrogliare il filo e scoprire una verità. La mente stabilisce i legami tra gli aspetti della realtà, dietro questo profumo che si diffonde (sembra la promessa di una rivelazione, sembra che si stia compiendo questo miracolo). “Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana, qualche disturbata divinità” siamo al tramonto ma allora c’è una confusione di prospettiva: c’è la confusione che possa avvenire questo miracolo ma è un’illusione ingannevole perché ci sembra di scorgere nella natura la presenza del divino, ma in realtà quella che si allontana è un’ombra, non è una divinità che si allontana. La natura non è popolata dalle divinità. “Ma l’illusione manca” inizia proprio con un’avversativa, il paesaggio muta, viene descritto il tedio della città d’inverno “la città rumorosa dove l’azzurro si mostra solo a pezzi. La pioggia stanca la terra, il tedio sulle case, la luce si fa avara- amara l’anima (paronomasia e chiasmo). Quando un giorno tra gli alberi si mostrano i gialli dei limoni; il gelo si sfa e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d’oro della solarità”: allora, il miracolo non si compie, l’unica cosa che rimane sono le trombe d’oro della solarità = i limoni che è un’immagine positiva che allude ad un suono delle trombe gradevole, la solarità fa riferimento alla dolcezza della vita, ma è questo quello che resta: la speranza che permane è nel ridurre l’oggetto del desiderio, cioè bisogna accontentarsi di ciò che è povero e comune. Non c’è nessuna palingenesi. NON CHIEDERCI LA PAROLA (Ossi di seppia, “Ossi di seppia”) pag.310 Ora siamo nella sezione “ossi di seppia”. Questo anche è un componimento di poetica. Il messaggio del poeta che è un messaggio in negativo: la poesia non può aiutare l’uomo a conoscere la realtà, la poesia non ha messaggi da veicolare, non ha significati ultimi da svelare, non ha nessun ruolo consolatorio. L’unico ruolo che può avere è rappresentare il dolore: il “male di vivere” che diventa uno dei temi. Il poeta potrà dire “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” e quindi, dinnanzi a ciò, l’unica alternativa? È la divina indifferenza: il poeta può solo proporre un atteggiamento che parte da una posizione che riguarda il pessimismo cosmico leopardiano: uomo consapevole del male di vivere può rispondere solo con atteggiamento stoico-eroico di distacco  la saggezza deriva proprio da questa consapevolezza. Quando il poeta cercherà di protendersi verso questo famoso varco, dovrebbe dare idea di uscire da questa prigione esistenziale, nessuna fuga in realtà sarà consentita. L’unica speranza = dove lui ha fallito possono riuscire gli altri. Il ruolo del poeta? È una persona come tutte le altre al cospetto del male di vivere quindi non ha missione sacra e consolatoria: non ci sono certezze né spiegazioni che il poeta può dare al lettore, ma c’è solo la presa di coscienza che il poeta viva in disarmonia con la realtà. La poesia può solo constatare l’insensatezza del mondo. Nella prima strofa parla a nome di un’intera generazione di poeti: “non chiederci la parola (metonimia per testo poetico, per il messaggio che dovrebbe avere delle verità) che abbia la capacità di squadrare quindi di rendere armonico e dare interpretazione “Il viaggio finisce a questa spiaggia che tentano gli assidui e i lenti flussi” il mare è qualcosa di impedito, ostacolato. Non c’è nessun segreto nascosto da disvelare  la monotonia resa da questi lenti e assidui flussi delle onde del mare che con il loro movimento si abbattono sulla spiaggia. “Nulla disvela se non pigri fumi la marina che tramano di conche i soffi leni”: il paesaggio di d’Annunzio prepara l’intensità dell’esperienza panica e il sole a mezzo giorno rende illuminata tutta la costa della Toscana e gli consente di voltarsi da ogni parte e poter guardare ovunque e tutto è chiamato per nome; nel paesaggio di Montale c’è questa foschia che copre gli oggetti e si vedono solo questi pigri fumi e si sente questo soffio debole che ogni tanto lascia intravedere le conche cioè qualche insenatura.  non è un’estate vitale, ma arida e soffocante. “Ed è raro che appaia nella bonaccia muta, tra le isole dell’aria migrabonde, la Corsica dorsuta o la Capraia (citazione di Meriggio, Alcyone)” sono le isole dello sdegno di Dante: ma lui dice che solo lontanamente appaiono queste due. “Tu chiedi se così tutto vanisce in questa poca nebbia di memorie” ad una figura femminile chiedi se tutti i ricordi del passato svaniscono così: “se nelle ore che intorpidiscono (torna idea di vita monotica e statica) o nel sospiro del frangente, la vita di ciascuno si compie” questa è una domanda ma non c’è una risposta interpretativa. “Vorrei dirti che le cose non stanno così, vorrei dirti che poi si avvicina l’ora che ti permetterà di superare la prigionia del tempo (la vita terrena di ora, monotonia); forse solo chi vuole s’infinita, e questo tu potrai, chissà, non io” cioè dice che per me non lo penso, ma può darsi che forse per te ci sia un’apertura. Solo chi vuole può uscire da questa visione pessimistica ed entrare in questa condizione. “Per la maggior parte degli uomini la salvezza = superamento dei limiti dell’esistenza, ma spero che qualcuno possa farlo, superare il varco e poter attingere ad una verità nascosta. Prima di arrendermi vorrei indicarti questa via di fuga (da questa consapevolezza)” una labile speranza di sottrarsi “ti dono anche l’avara e scarsa mia speranza. Te la dono così che possa essere diverso il tuo fato”. “Il cammino finisce a questa casa del mare, in questa spiaggia che la marea continua ad erodere. Invece per te (per la donna) che sei lontana, il viaggio dell’esistenza forse continua in eterno”. LE OCCASIONI 1928-1940 Pag.333. Questa raccolta si chiama le occasioni: sembra alludere al fatto che il poeta parli di episodi collegati ad eventi autobiografici. Il legame con i fatti autobiografici invece resta implicito  questo aspetto renderà questa poesia a volte poesia difficile da interpretare e lo dice lui stesso “occorreva esprimere l’oggetto e tacere l’occasione” = esprimere la tematica, ma non esplicitare l’occasione collegata ad essa. La raccolta pone al centro quindi la poetica degli oggetti: gli oggetti a prima vista in evidenza e i loro significati lasciati oscuri e siamo quindi nella ripresa del correlativo oggettivo sotto l’influenza del poeta Eliot. Questo va messo in relazione anche con un altro rapporto letterario di questi anni: Montale vive a Firenze e qua entra in contatto con gli intellettuali che hanno dato vita a due riviste molto importanti: Letteratura e Solaria si chiamano. Questi letterati sono quelli che sono definiti i “letterati-letterati”. Allora, l’impegno nel produrre letteratura viene intesa come una condizione esistenziale, quasi come una religione e non come una professione, ma questo cosa significa? Allora, Montale scrive dal 28 al 39 circa e quindi siamo negli anni del massimo consenso (dopo l’assassinio di Matteotti, si consolida) questi qua sono intellettuali anti-fascisti che concepiscono il loro dedicarsi alla letteratura come un baluardo di resistenza rispetto all’avanzare della barbarie: come se solo la letteratura potesse preservare i valori della civiltà umanistica. La barbarie è tutto quel mondo incarnato anche dal fascismo (rozzezza, volgarità, violenza) ma anche dall’associazione tra fascismo e cultura massificata, cioè il pensiero dominante diventa cultura di massa. E in più ci sono le minacce della guerra, di un disfacimento. Questi intellettuali hanno compiuto anche una scelta di isolamento rispetto a determinate tematiche: non è che scrivo poesia e critico, ma è poesia che visto che non si vuole allineare al regime ok non è celebrativa ma non è nemmeno collegata alle dinamiche della contemporaneità  diventa una poesia elitaria. E quindi poi nasce la poesia ermetica da non confondere però con Montale: lui solo li frequenta, ma lo stile + elevato, il lessico vicino al monolinguismo, ritorno dell’endecasillabo sono un ritorno di una forma di maggiore vicinanza alla tradizione. Quindi lui non è un poeta ermetico, però c’è una vicinanza in questo periodo: la poesia più tende all’ermetismo, più diventa concentrata e oscura perché i passaggi interpretativi sono taciuti e diventa difficile. Quello che resta, che lo separa dagli ermetici, è preservare al centro la poesia degli oggetti. Egli svolge e approfondisce degli studi riguardo a Dante e all’utilizzo poetico dell’allegoria. A Firenze entra in rapporto con Gianfranco Contini, studioso di Dante (scritto saggio in cui distingue Dante e Petrarca) e approfondisce Dante elaborando questo riutilizzo dell’allegoria nella poesia contemporanea. Quindi con Montale: - Rifiuto metodo analogico = corrispondenze, collegamenti inattesi visti con Pascolo. E sostituirli col - Correlativo oggettivo = c’è l’oggetto che con l’immagine diventa l’emblema della condizione interiore che però viene taciuta, non si instaurano questi rapporti da interpretare. C’è l’oggetto in piena evidenza e poi noi riconduciamo al concetto di male di vivere es. - Utilizza l’allegoria: importante l’elaborazione che Montale svolge a cavallo tra questa raccolta e la terza. Elabora una nuova figura femminile salvifica, una donna angelo che possa indicare una salvezza rispetto alla prigione della quotidianità. Come funziona questa allegoria in Montale? Dante: tutto era sottoposto ad allegoria (utilizza il mito di Orfeo che suona e le pietre si muovono: questo è un esempio per Dante dell’interpretazione allegorica). Con Montale: la simbologia e i concetti che usa per utilizzare l’allegoria sembrano riferirsi alla cultura cristiana, come Dante, ma siamo in una cultura pagana. Dante aveva usato tutta la tradizione pagana con significato cristiano. Invece Montale aveva usato quella cristiana con significato laico. Dante cosa aveva voluto proporre al lettore? Il rapporto tra Dante e l’umanità = la condizione sua personale è trasferita su un piano di universalità. Il ragionamento sul male di vivere di Montale segue lo stesso percorso, questa contrapposizione tra condanna e salvezza con di mezzo una figura femminile salvifica che prende il nome di Clizia: nei miti di metamorfosi viene trasformata da Apollo in girasole  va sempre verso la luce del sole, che è Apollo, che è la poesia  Clizia diventa simbolo della poesia, della cultura e quindi simbolo di una nuova religione laica delle lettere, che può consentire questa salvezza dalla contemporaneità  - Da un lato la prigionia della monotonia di questa quotidianità che spesso assume il volto della società massificata, della città moderna, l’incombere minaccioso della guerra - Dall’altro la speranza dell’epifania di Clizia: la donna angelo che può fornire un senso diverso alla vita. Infatti la raccolta di Occasioni si chiude con una poesia “Nuove stanze” del 1938 in cui il mondo esterno è quello con rischio della guerra, della morte, un mondo rappresentato con gli specchi che ti ustionano e poi c’è invece Clizia con il suo occhio d’acciaio che rappresenta intelletto, razionalità e si oppone alla barbarie. NON RECIDERE, FORBICE, QUEL VOLTO (Le occasioni) pag.339 Tema del ricordo. Quindi l’impossibilità del valore positivo del ricordo, qua addirittura viene meno la preservazione del ricordo stesso. L’invito (forbice e recidere paronomasia: suoni stridenti e duri) è “non tagliare dalla memoria il volto della persona amata, che è rimasto rispetto invece a tutti gli altri che sono svaniti (memoria che si sfolla). Non fare sì che tutto, e il viso della donna che mi può ancora ascoltare, rientri nella grande nebbia di sempre (la nebbia è l’oblio)”. “Un freddo (metonimia per l’acciaio, l’ascia. Metaforicamente è il freddo della morte. La strofa termina infatti con novembre, in cui c’è l’estate dei morti) cala, duro il colpo svetta. Colpito cade il guscio di cicala (è il ricordo felice che però sotto i colpi del trascorrere del tempo svanisce. Collegato alla cicala  porta con sé memoria di solarità e calore dell’estate ma ora siamo nel momento dell’oblio, di novembre) nella prima fanghiglia di novembre”. LA CASA DEI DOGANIERI (Le occasioni) pag.341 Partiamo dalla nota 1: il tu è rivolto ad una villeggiante conosciuta a Monterosso che assume il nome di Annetta-Arletta. C’è ancora il tema dell’impossibilità del ricordo, collegato alla morte della fanciulla. La poesia inizia con citazione di “A Silvia” di Leopardi in cui però diceva “ricordi”: le due fanciulle morte, lì c’era l’invito al ricordo di qualcosa di lieto. “Non ricordi la casa dei doganieri” edificio usato dalla Giardia di Finanza, isolato su un rialzo della scogliera a Monterosso dove lui trascorreva d’estate e qui ha incontrato la fanciulla, che però è morta quindi non può ricordare il luogo. il riferimento alla dogana richiama il concetto del limite, della separazione vita vera-vita biologica, falsa. L’immagine della casa suggerisce proprio un contrasto tra interno (autenticità) e l’interno (vita falsa): se noi trasferiamo tutto nella dimensione della storia, l’esterno corrisponde al mondo del fascismo e società di massa rispetto al quale è contrapposto lo spazio interno. “Sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata, battuta dal vento, ti attende da quando ci fu questo incontro con la figura femminile” lei viene connotata in maniera positiva: identificata attraverso lo sciame di pensieri, cioè la donna che entra vitale nell’intelletto. “E lo sciame (la donna) vi sostò inquieto (ossimoro dell’inquietudine della donna)”. Ora ritorna il tema della perdita, della separazione, il tempo ha annullato tutto “Il suono del tuo riso non è più lieto: (non ci si sa orientare nell’esistenza) la bussola non ti dice dove andare, il calcolo dei dadi non torna più. La donna chiaramente è morta e quindi “altro tempo frastorna la tua memoria; un filo si avvolge” questo è il filo di Arianna, che potrebbe legare ancora il poeta alla donna. “Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa (è impossibile questo legame), ma si allontana la casa e la banderuola gira senza pietà (non si può poggiare sulla salvezza e uscire dal labirinto. La casa, che rappresenta il ricordo, si allontana sempre di più). Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell’oscurità”. Ora scorge nell’orizzonte una luce: “L’orizzonte in fuga, dove si accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui (ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende)” la luce del varco è il passaggio a un significato autentico di salvezza? No, è la risposta  l’onda ritorna a battere e continuano a farlo quindi è una prigione esistenziale in cui si apre nessun varco. “Tu non ricordi la casa di questa mia seria. Ed io non so chi va e chi resta” leggo nota 14. e 15. Il poeta non sa chi muoia veramente: chi va (Arletta) o chi resta in vita in questo immobilismo che è simile alla morte. Analisi del testo “La prevalenza degli oggetti”: la ragazza, il ricordo, la casa si comprendono. Ci sono tutti oggetti che vanno però interpretati: i dadi (irrazionalità dell’esistenza) la luce (il varco, apertura verso oltre). Procede per ellissi (si tagliano parti), è uno stile più elevato ma non rompe con la sua poetica originaria di Ossi di Seppia. Leggo. BUFERA E ALTRO 1956 Contiene le poesie scritte a partire dal 1950 fino al 1954. Il titolo? La “bufera” rappresenta la guerra, la lotta per la liberazione a cui fa poi seguito “l’altro” cioè quello che viene dopo la seconda guerra mondiale, e non è affatto bello perché poi inizia la guerra fredda, il terrore della guerra atomica, il trionfo della società massificata. Sul piano delle idee c’è una grande situazione di delusione che ha a che fare con ciò che era accaduto come proseguo della resistenza: l’Italia che esce dalla seconda guerra mondiale è spaccata in due: - Mondo libero, alleato all’America - Il socialismo reale, collegato a Mosca Questo è palese nella politica italiana. Montale è vicino ai liberali, al partito d’azione fuori dalle due chiese che dominano  c’è un po’ di delusione per tutte le speranze che in tanti avevano sul sorgere dell’Italia dopo il fascismo. Sono poi anche altre condizioni: la malattia della moglie Mosca, i lutti famigliari, sempre di più l’incrinarsi della prospettiva salvifica incarnata da Clizia, infatti il passaggio avviene da Clizia a Volpe: da una figura salvifica modello Clizia si passa ad una figura di anti-Beatrice che non vola in alto ma è collegata al terreno come se l’unico modo di resistenza sia quella rappresentata dall’anguilla. Lo stesso Montale disse che le poesie scritte durante il fascismo e la guerra, riflettevano questa condizione di asfissia, di oppressione  è una poesia più ardua, chiusa e difficile (così dice). Possiamo dire che la poesia di Montale non è mai pienamente appartenente all’ermetismo perché coglie aspetti più realistici, contemporaneamente dopo la guerra sarà critico verso letteratura neo-realistica perché dirà che oltre che collegata alla dimensione della realtà, la poesia deve sempre avere qualcosa di esistenziale, di più profondo e non solo il collegamento col reale. Poi appunto ci sono queste due figure femminili che si alternano: da Clizia a Volpe appunto. Queste due si succedono nella raccolta, con la donna angelo che è costretta a fuggire ed è sostituita da questa nuova figura che ha una componente più terrena e istintuale. LA PRIMAVERA HITLERIANA (La bufera e altro) pag.348 COLLEGAMENTO MATURITÀ. Si apre con un’epigrafe, versetto di Dante che si riferisce a Clizia che nella mitologia greca veniva trasformata in girasole. Clizia è Irma Brandeis che lui chiama con il senhal “Clizia”: lei poi lascerà l’Italia perché ebraica. La poesia fa riferimento alla visita di Hitler nel maggio del 1938 a Firenze. Quindi Hitler viene accolto da una Firenze in feste. Si apre con questa immagine di uno sciame: “la folta nuvola bianca delle falene impazzite turbina intorno agli scialbi fanali” quindi c’è uno sciame di falene che cadono a terra dopo, come impazzite, aver volato intorno a questi lampioni dalla luce debole e poi cadono sul bordo del fiume Arno “e sulle spallette e costituiscono a terra un’apertura su cui scricchia come su zucchero il piede” associa il rumore che il piede calpestando le farfalle provoca al rumore che provocherebbe lo zucchero schiacciato dal piede. Contemporaneamente l’immagine è realistica ma anche allegorica perché richiama un’immagine di morte: qualcosa che viene schiacciato, calpestato: queste falene che sono cadute sulla terra e calpestate rimandano a dei corpi che vengono calpestati  immagine allegorica di morte anche. Questa allegoria mortuaria va avanti, sempre con immagine realistica, “l’estate imminente sprigiona ora il gelo notturno che era conservato nelle grotte segrete della stagione morta (inverno, ora siamo a maggio in primavera)” quindi ci dovrebbe essere calore primaverile ma c’è una gelata “che giunge fino agli orti di Firenze, da Maiano scavalcando fino alle sponde dell’Arno”. Questa gelata invernale preannuncia l’avvento di Hitler, ma è anche annunciata dalla “nuvola bianca” dell’inizio. Sono tutti dei correlativi oggettivi. “Da poco sul corso è passato velocemente un messo infernale (Hitler) tra un alalà (saluto fascista inventato a Fiume da d’Annunzio) di scherani (questo è un termine dispregiativo perché lo scherano è qualcuno asservito che compie azioni violente per conto di qualcuno)” quindi Hitler viene accolto in questo omaggio dei complici fascisti “dopo la passeggiata va nel teatro (golfo mistico è la parte dell’orchestra) che è illuminato, addobbato con le svastiche ed è stato accolto. Si sono chiuse le vetrine dei negozi perché è festa, queste vetrine che sono si povere (perché è povero il mondo dell’Italia per le sanzioni, per la guerra vs Etiopia) e inoffensive benché armate anch’esse di cannoni e giocattoli di guerra”: sono povere e inoffensive però tra gli oggetti esposti ci sono dei giocattoli di guerra, vuole evidenziare il carattere ideologico bellicista che il fascismo aveva: l’addestramento bellico che inizia da bambini “tra i tanti negozi che hanno chiuso c’è quello del macellaio che aveva adornato il muso dei suoi capretti uccisi con dei fiori” ecco noi cogliamo associazione tra capretto ucciso (innocenza) esposto in forma di festa come se fosse rito sacrificale in onore del messo infernale venuto a far visita. “La festa dei miti carnefici (ossimoro: persone che ora sono lì ad acclamare Hitler, sono pacifici che ancora non hanno fatto crimini ma senza saperlo, col loro applauso e conformismo, certamente si rendono complici di quello che non sanno però che accadrà) che ancora ignorano il sangue che sarà versato, si è trasformata in un’immonda danza di ali schiantate” dobbiamo tornare all’immagine delle falene prima, sennò non capiamo: la gente comune non sa che sta preparando il bagno di sangue della guerra “di larve cadute sugli argini dell’Arno, l’acqua continua a scorrere. Nessuno è incolpevole appunto”.
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