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Appunti completissimi!, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Si trattano i tre moduli delle lezioni tenute nel II semestre 2021/22. Sbobine complete e integrate con alcuni manuali

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 13/12/2022

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Scarica Appunti completissimi! e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! Storia del Teatro e dello Spettacolo 1 🎭 Storia del Teatro e dello Spettacolo Class K02 Type Classe Reviewed Docente Cambiaghi Crediti 9cfu Appello 30/05 A) Introduzione generale: Storia del teatro. Scena e spettacolo in Occidente. MI, Pearson, 2020; B) Il caso del Piccolo di Milano: 20 Lezioni su Giorgio Strehler, IM, Cuepress, 2020 C) Luca Ronconi al Piccolo, regia nel III millennio: Luca Ronconi. Un’idea di teatro, Mi, Mimesis, 2011 L’esame sarà in forma scritta, con domande aperte a numero di righe prestabilito. Il primo appello, 30 maggio, avrà domande tratte esclusivamente dagli argomenti trattati a lezione. 14 febbraio Teatro e Spettacolo nell’Antica Grecia Teatro e Spettacolo sono due ambiti differenti: teatro è l’insieme di poetiche di progettazione di uno spettacolo, quest’ultimo è la realizzazione pratica e la prassi dell’intrattenimento. Spesso le due cose coincidono strettamente, come in Grecia. In Storia del Teatro e dello Spettacolo 2 altre epoche la distanza tra teoria e prassi è enorme e serve osservarle distintivamente. Ad esempio: nel teatro romantico abbiamo un teatro di cultura che incide solo in minima parte con la civiltà dell’Ottocento, c’è uno iato tra produzione di teoria/letteratura teatrale e la prassi spettacolare. Sottolineeremo i momenti in cui c’è più sincronia tra le due, definendo una vera e totale civiltà teatrale. Il teatro greco affonda le sue origini nei fondamentali delle dinamiche dei culti religiosi. Le origini dello spettacolo sono collegati al culto di Dioniso, dio del Teatro in Grecia. Un legame che lascia traccia in fenomeni legati al teatro, come nel caso del ditirambo (canto rituale per Dioniso, eseguito da un coro che si muoveva intorno all’ara dedicata al dio. Secondo la tradizione, da questo coro si sarebbe distaccato un solista, ypocritès, risponditore, che diventa l’attore solista nei decenni successivi). L’etimo di tragedia ha un legame con Dioniso: tragoidìa, tràgos+ oidè, canto del capro, momento di sacrificio del capretto in onore di Dioniso. Un altro legame è il fatto che al centro dell’orchestra del teatro greco si trova un’ara, thymèle, dedicata a Dioniso. Luogo Teatrale nel V secolo a.C (momento storico in cui il teatro diventa indispensabile nella collettività greca), ricostruzione del IV secolo, ai tempi di Licurgo → ricostruzione ottimistica rispetto alla realtà. Era il teatro più importante tra le polis greche. Le informazioni che possediamo sul luogo teatrale greco sono in realtà frutto di ipotesi: quasi tutti gli edifici hanno subito ricostruzioni successive con cambiamenti molto invasivi, che hanno calpestato le caratteristiche precedenti. Usiamo la parola Storia del Teatro e dello Spettacolo 5 considerato la massima occasione in cui la comunità riunita può rinsaldare i suoi legami di appartenenza (4) alla stessa civiltà. In Grecia, il teatro viene investito di un profondo ruolo civile all’interno della stessa comunità panellenica (→ il teatro era un fattore identitario di appartenenza). Era sempre inserito all’interno della dimensione festiva che coincideva con le feste del dio Dioniso: la massima espansione, infatti, delle manifestazioni teatrali si ha partire dalla fine del VI secolo con le feste Dionisie, feste ateniesi che si tenevano in primavera, quando si riprendeva la navigazioni sull’Egeo, così che qui potessero confluire viaggiatori e personaggi importanti e partecipare alle celebrazioni. Questa grande manifestazione vedeva riunita tutta la comunità della poleis e i personaggi di spicco. Aveva una durata di 5-6 giorni, a cui seguivano delle vere e proprie gare drammatiche: si trattava di un concorso dove venivano messi a confronto 3 autori, presentanti, a giudizio del pubblico, una trilogia di testi tragici e un testo satiresco. L’organizzazione di tutto questo meccanismo scenico era demandata dallo stato, per mezzo di un magistrato (funzionario) che sceglieva gli autori e assegnava loro il coro → a ciascuno veniva assegnato un numero di persone (reclutate all’interno della poleis stessa) destinata a formare il coro delle tragedie (Il coro, che nel V secolo arriva da 10 a 12 componenti, era formato da comuni cittadini, il che crea una forte consonanza tra il pubblico che andava a vederlo e chi si esibiva), a cui si aggiungevano gli attori, dei professionisti che recitavano invece le parti singole. La cosa interessante è che le spese dei costumi, del coro, eventuali arredi scenici e quindi di tutta la macchina era sostenuta da un privato cittadino, che si chiamava corego, interpretando questo suo servizio come servizio reso alla comunità. La co- regia era ritenuta un atto di generosità della patria ma, innegabilmente aveva un ritorno di immagine molto forte e gratificante. La struttura della festa, così come è stata analizzata, faceva si che le gare drammatiche fossero vissute come uno dei grandi eventi della civiltà ateniese per tutte le poleis e costituissero un grande richiamo per tutta la popolazione. Tutti i cittadini erano chiamati ad intervenire allo spettacolo, anche se non è chiaro se con “tutti” si considerassero anche bambini e donne. Quello che è interessante è il sistema di funzionamento del biglietto: non si andava a teatro gratuitamente e accumulandosi nella cavea senza nessun criterio, al contrario esisteva un biglietto che veniva assegnato a ogni cittadino che ne facesse richiesta. Il théoricon → piccole tavolette di terracotta con numero e posto assegnato. In epoca classica, per il ritiro del biglietto, il cittadino doveva versare una piccola quota in denaro, ma nel momento in cui andava a teatro e lasciava il biglietto gli venivano ridati i soldi. Questo meccanismo sottolinea l’importanza dell’atto di andare a teatro, ossia come se fosse quasi un dovere civico che lo stato gli riconosceva. E’ una Storia del Teatro e dello Spettacolo 6 consuetudine per la quale il teatro diventa portatore di significato e senso per tutta la comunità e portatore di valori in cui, tutta la popolazione, era chiamata a riconoscersi. Le tragedie che partecipavano a queste gare erano composte per quest’unica occasione: questo mette una luce diversa sulle tragedie che conosciamo come capolavori immortali della poesia e ci fa capire che, nel momento in cui furono composte, erano dei copioni per lo spettacolo. Infatti, una delle caratteristiche più diffuse nella stampa moderna è che le tragedie greche, al contrario di come le vediamo oggi, non portano didascalie (come, invece, siamo abituati a vederle) proprio perché erano dei copioni. E’ solo più tardi che si esauriscono queste vene creative e si cominciano a ripetere le tragedie già rappresentate → si crea così un “repertorio”: cominciano a mancare i talenti innovativi e i finanziamenti per le grandi dionisie e quindi si ripiega su un modello di teatro già presente. E’ proprio a metà del IV secolo, che il magistrato Licurgo istituisce una commissione, incaricando di copiare le versioni più fedeli delle tragedie del secolo precedente → si da vita in questa occasione all’ “archivio di stato” a cui dobbiamo il corpus delle tragedie che ci sono arrivate ora. Come funzionava lo spettacolo? Prima di tutto si formava una compagnia che obbediva agli ordini degli autori e possiamo dire che assumessero delle componenti registiche (ossia che si occupavano della gestione dello spettacolo). Cfr l’immagine che rappresenta una compagnia pronta per entrare in scena, dove osserviamo che gli attori del mondo greco erano sempre e solo uomini: per avere le donne regolarmente attive dovremmo arrivare alla metà del 500 con la “Commedia dell’Arte” e la nascita dell’attrice professionista. Le donne, quindi, non recitano nel “teatro serio”, destinato solo all’attore uomo, il quale preserva la moralità della figura femminile. Questo significa che tutti i personaggi del teatro greco femminili sono originariamente scritte ed eseguite da attori uomini. Essi recitavano avvalendosi della maschera, che garantisce loro la possibilità di interpretare ruoli femminili ma soprattutto più ruoli. Recitare in un teatro all’aperto, inoltre, richiede un forte sforzo vocale ed è probabilmente per questo che gli attori erano in numero limitato: in dettaglio, la tragedia prevedeva 2 attori + coro (anche se con Sofocle, invece, vedremo 3 attori), mentre il numero dei personaggi, invece, andava tra i 5 e gli 8 e, a questa disparità, si faceva fronte appunto distribuendo più ruoli agli stessi attori. Il costume era costituito da una tunica lunga con maniche, un chitone, a cui si sovrapponevano alcuni mantelli ed accessori che potevano distinguere un attore da un altro. Per quanto riguarda le calzatura, nel V secolo erano in uso dei sandali rasoterra. Un Storia del Teatro e dello Spettacolo 7 elemento fondamentale in scena del teatro antico, è la maschera. Il primo tipo di maschera che incontriamo nella storia copriva interamente il viso ed era corredata anche da un’alta parrucca (onkos). Era realizzata in tela, sughero, cuoio o anche legno e poi dipinte con un colore della pelle più o meno chiaro e presentavano una espressione precostituita, per permettere il riconoscimento immediato. Molte maschere non sono giunte a noi a causa della deperibilità del materiale, ma possiamo vedere quelle di uso votivo (terracotta o marmo). C’è una differenza fondamentale tra la recitazione attoriale del V secolo e degli attori d’epoche successive: questa va ad adeguarsi al cambiamento dei luoghi del teatro. E’ in età ellenistica vediamo questo cambiamento, innanzitutto perché il costume è costituito da imbottiture per aumentare la sua presenza scenica e le sue calzature con zeppa (cothurni) quasi lo immobilizzava. Anche la maschera si adegua: si enfatizzano le loro espressioni, aumentando le aperture e vengono corredate da parrucche molto più elaborate. Siamo quindi nel momento in cui lo spettacolo greco comincia ad allontanarsi da quella funzione pedagogia di trasmissione dei valori e trasforma lo spettacolo in un esercizio di virtuosismo vocale che va a cambiare il significato originario del teatro. Non ci stupisce ricordarci che il teatro ellenistico prevede uno spettacolo in forma di recital: più che una tragedia, vediamo brani di tragedie molto famosi offerte al pubblico come numeri virtuosistici. La drammaturgia nella Grecia antica Qui possiamo affrontare una serie di riflessioni che partono dalla chiave spettacolare ma che, accanto ad essa, tengono conto che ci troviamo davanti ai generi fondamentali della scrittura del teatro fino alla fine del ‘700. E’ Aristotele a fondare la prima teoria drammatica distinguendo i generi di tragedia e commedia. E’ vero che i generi dello spettacolo nelle gare tragiche erano 3, ma vale la pena dire che il genere comico-satirico era assorbito nelle grandi dionisie e poi si emancipa e avrà delle sue gare specifiche ed è altrettanto importante notare che, con la fine delle gare tragiche, il dramma satiresco va a perdersi (l’unico che ci è rimasto è il “Ciclope” di Euripide). Di fatto, nel IV secolo con Aristotele e fino al ‘700, quindi, i generi sono solo 2. Tra questi due è nettissima sin dalle origini la prevalenza della tragedia sulla commedia, per prestigio, qualità della scrittura e serietà dei contenuti. La tragedia, nel mondo greco, ha sempre un contenuto mitologico con pochissime eccezioni, ma fonda il suo valore di testimonianza negli ideali civili, religiosi e umani del mondo greco, attraverso la ripresa di storie già note e tramandate in versioni magari meno consuete, che però prevedessero la messa in scena di eroi che avevano delle funzioni archetipiche → lo spettatore riconosce degli elementi a cui Storia del Teatro e dello Spettacolo 10 teatro antico. Si inventa, invece, uno spazio del tutto insolito: fa costruire al suo scenografo un parallelepipedo di legno che contenga sia la scena che gli spettatori. Gli attori recitano su una pedana di legno che si muove in modo che, lo spettatore, abbia una distanza più o meno lunga rispetto a ciò che vedono. Non vediamo, inoltre, chitoni o abiti tipici classici, ma indumenti che alludono a uno stato primordiale. Prende poi alcuni spunti dal testo originario e li sviluppa come dei simboli (es. l’uso dell’acqua) e ce li fa vedere, come se stessimo all’interno di un percorso di costruzione della nostra civiltà (occidentale), che non vuole attualizzare la civiltà greca, ma vuole rappresentarla nelle sue valenze che possono parlare ancora agli spettatori di oggi. recitazione: secondo Ronconi, il percorso antropologico è anche un percorso di conquista della parola. Il momento arcaico è il momento in cui i personaggi scoprono l’aspetto semantico della parola. La prima parte della tragedia, infatti, vede parole isolate e rallentante e come le scopre il personaggio, le scopre anche lo spettatore queste parole. È una recitazione che, ritmicamente, varia tra le varie parti dell’Orestea: prima scandito e lento, poi più ritmato legato alla singola frase più che alle parole e, poi, l’ultima parte con un andamento monotono o intervallato con momenti di afasia. https://www.youtube.com/watch?v=6Nj-kll5Jz4 17 febbraio Sofocle (496-406 a.C.) Un tragediografo che registrò il più costante numero di vittorie durante le Dionisie per la sua abilità drammaturgica: arrivò sempre in classifica, assicurandosi grande celebrità. L’approccio alle tematiche mitiche cambiano sensibilmente, perchè si supera l’idea della trilogia legata tematicamente l’una all’altra. Ora acquisisce un’identità autonoma e si presenta come una vicenda tutta incentrata sul personaggio protagonista. Guardando i titoli delle opere, (notiamo 7 tragedie arrivate fino a noi tra le numerose che scrisse) per la maggiorparte vediamo che già nel titolo è presente solo il nome del protagonista (ad eccezion delle Trachinie). Gli eroi di Sofocle sono contraddistinti da onestà e volontà granitica senza compromessi, andando in contro alle avversità del destino che li rende dei personaggi esemplari ed enormi. A differenza di quella di Eschilo, la drammaturgia di Sofocle ha molto spazio nel teatro contemporaneo, proprio perchè parla di grandi personalità. Basti citare Storia del Teatro e dello Spettacolo 11 l’Elettra di Sofocle secondo Strehler (unico caso in cui Strehler sceglie di fare una tragedia greca), 1951 al Teatro Olimpico di Vicenza → qui prende l’Elettra tradotta dalla penna di Quasimodo ed interpretata da Lilla Brignone, attrice di riferimento per il Piccolo a quel tempo. Euripide (485 - 406 a-C.) Ha un’accoglienza del pubblico inferiore a quella di Sofocle e molto contestata. Sono opere che lasciano perplessi (Medea arriva terza alle Dionisie) → è già molto distante dalla drammaturgia tragica. Euripide registra quel sentimento di fine di un’epoca, tramite un riferimento al mito che ribalta la prospettiva eroica e anzi mettendo in evidenza la fragilità umana. Se presso i contemporanei è preso in giro (cfr Aristofane) e guardato con dubbio\sospetto, a partire dall’età ellenistica diventa invece l’autore più letto e rappresentato perchè incarna sul palco il clima dell’epoca. Una fortuna postuma dovuta al numero di tragedie che ci sono arrivate, 19. E’ un innovatore che si approccia alla materia del mito rivedendo alcuni aspetti delle versioni mitiche o recuperando versioni secondarie poco note. Ad esempio esiste “Elena”, una variante secondo cui lei non giunse mai a Troia, ma vi giunse un simulacro al suo posto. Le peripezie dei protagonisti a volte non arrivano ad uno scioglimento ed è Euripide ad adoperare spesso il deus ex machina, un intervento esterno divino (cfr viene usato al contrario con Medea: sollevata e portata via per sottrarla alla vista degli uomini). In Euripide, guardando i titoli ci rendiamo conto che dominano i nomi dei personaggi, con alternanza impari tra coro e personaggio. Un altro elemento è la prevalenza del personaggio femminile: introduce l’attenzione profonda della psicologia di eroine, umanamente fragili, dominate dalla passione che non permette loro di affrontare la vita. In particolare vediamo Medea, donna abbandonata dal marito che decide di uccidere i suoi figli: l’amore qui è una forza distruttiva e auto-distruttiva. Medea non è greca, è una donna della Calchide, non si inserisce facilmente nel mondo del logos greco. E’ portavoce della passione della vita, si ribella al fato che la vorrebbe abbandonata, si ribella al ruolo che la società greca le propone. Euripide ha a cuore Medea, la fa assumere in cielo → l’intento è andare a svelare le parti oscure, ed è forse questo che le opere di Euripide destavano scandalo. L’altro esempio è Fedra, nell’Ippolito Velato, figliastro del primo matrimonio di cui Fedra si innamora. La prima versione vedeva l’incesto raccontato direttamente o meglio la volontà di cedere all’incesto (perchè di fatto non avvenne: Ippolito rifiuta) → questo tratto non è apprezzato ed Euripide deve censurarsi, variando il testo (Ippolito incoronato): Fedra esce di scena suicida e lascia un Storia del Teatro e dello Spettacolo 12 biglietto in cui maledice Ippolito come colpevole. Qui in evidenza è l’amore, di nuovo, le passioni travolgenti che non possono sciogliersi. Parlando invece delle Baccanti, unica tragedia che parla del protagonista delle Dionisie. Si tratta dell’ultima opera d’Euripide e viene fatta mettere in scena dal figlio. Qui si mette a confronto la psicologia femminile e quella maschile, Penteo. Accanto al genere della tragedia troviamo il genere della commedia. Esso appare come genere spettacolistico, in consonanza con le gare Dionisie → avranno delle loro gare specifiche. Possiamo parlare di Commedia Attica antica (Aristofane), caratterizzata da elementi d’attualità. Si prende spunto da fatti quotidiani, prendendo in giro personaggi contemporanei. Per questi fattori si paragonò il teatro di Aristofane al nostro cabaret. La struttura prevedeva due parti intervallate da una parabasi. Questa modalità di scrittura va spegnendosi con l’autonomia della polis e si sviluppa, dal III secolo, età ellenistica, una Commedia Attica nuova: completamente svincolata dalla vita contemporanea → il più delle volte si tratta di una coppia che vive delle perpezie che ostacolano il loro amore, finchè in conclusione le cose si sciogliono per il meglio. Teatro a Roma Potrebbe sembrare un copione di quello greco: anche qui il teatro è un evento importante per la collettività, gratuiti e in coincidenza con delle feste religiose (→ i Ludi, tenutosi più volte l’anno) e inoltre erano commissionati da autorità pubbliche, specialmente saranno gli imperatori a capire la forza comunitaria del teatro. La concezione dello spettacolo, però, è del tutto diverso. La coincidenza con la festa religiosa si limita ad essere occasione spettacolare (più che teatrale), senza che i contenuti dello spettacolo debbano avere connessioni etico-religiose con la celebrazione. E’ del tutto diverso: il legame con il religioso aveva lustrato il teatro in Grecia, rendendolo un evento imprescindibile. Ulteriormente, il finanziamento di uno spettacolo vuole essere solo uno show-off delle capacità remunerative del finanziatore. Ne segue che il teatro è una cosa estranea (1) per il sistema di valori dell’uomo romano (sono anche prima di tutto generi teatrali di importazione greco ed etrusco) e molto spesso vengono disprezzati (2) coloro che facevano teatro, favorendo invece l’osservazione di gare sportive (3). Il teatro è un pericoloso momento (4) di ozio e sollazzo, contro il quale il Senato si oppone, ostacolando la costruzione di luoghi di spettacolo. Per secoli, questi luoghi Storia del Teatro e dello Spettacolo 15 Una caratteristica del teatro latino è l’uso della maschera, in latino persona, da cui personaggio. E’ uno degli elementi su cui si gioca la recitazione, senza che diventi una regola fissa. E’ un uso controverso, di importazione greca (quindi molto espressive): non è più obbligatorio, usato in piccole scene nelle commedie per aumentare l’effetto caricaturale. Per quanto riguarda i generi teatrali: il contenuto del teatro è detto fabula e articolata con diversi argomenti: fabula cothutnata, tragedia di argomento mitologico greco fabula pretexta, tragedia storica romana (toga romana) fabula pallaita, commedia di ambientazione greca (Plauto e Terenzio): pallium, mantello di foggia greca. La commedia non poteva mai essere ambientata a Roma, perchè non si poteva ridere dei romani! fabula togata: di ambientazione italica, mai a Roma, anche se nell’aggettivo si fa riferimento alla toga, abito nazionale romano. (fabula) atellana: non è una commedia scritta ma improvvisata in piccole azioni sceniche. Sappiamo che c’erano personaggi fissi (il vecchio, il giovane, il furbo) che si scontravano sulla scena in piccoli quadretti comici che divertivano molto gli spettatori. Alcuni collocano qui le origini della Commedia dell’Arte. Plauto (259 - 184 a.C.) Forse autore di atellane, perchè riguardo il suo cognome, una delle ipotesi è che Maccus si riferisca ad un personaggio stereotipico, il golosone. Ottenne incredibile successo anche post mortem e possediamo 21\130 commedie integre, alcune molto note. Fu un drammaturgo molto capace nel mettere a frutto le caratteristiche del teatro, e sembra coerente che abbia personalmente una familiarità con la scena. Plauto pesca dalla Commedia Attica Nuova meccanismi e trame e le rimontava in intrecci elaboratissimi grazie alla tecnica della contaminatio (1): saccheggia originali greci che non possiamo consultare ormai. La bravura del drammaturgo, secondo lui, è il saper montare le scene nell’intreccio in modo elaborato (2), con una continua tensione scenica (3) che tenga concentrato lo spettatore. La vicenda si snoda in un crescendo che porta ad un’anagnòrisis o agnizione (4). Inoltre, la commedia plautina è famosa per l’alternanza di diverbia (dialoghi o monologhi senza musica) e cantica (5) (con musica). Storia del Teatro e dello Spettacolo 16 Serviva ritmo e vivacità incessanti, grandi intrecci di personaggi → non ci stupisce che il personaggio incarni un tipo umano senza particolare approfondimento psicologico: si tratta di personaggi tipici (6), tra cui il vecchio avaro, il millantatore, ma specialmente la figura del Servus callidus, che svela le situazioni difficoltose. Spesso porta un costume dalla tunica corta, un sandalo basso detto socco, e una maschera molto espressiva. Titoli: Anfitrione, Aulularia, Miles Gloriosus, Mostellaria, Menechmi. Terenzio L’autore più sfortunato, appartenente al circolo degli Scipioni. E’ un teatro più approfondito a livello psicologico. Tocca frequentemente il tema dei rapporto difficile vecchi-giovani. Conserviamo 6 titoli di commedia: Andria, Hecyna, Heautontimoroumeros, Eunuco e Formione, Adelphoe. Non amato dai contemporanei, viene però recuperato dalla tradizione scolastica: entra nei libri di scuola. Seneca È autore di fabule cothurnate: l’unico autore latino giunto a noi in forma non frammentaria. Tratta temi di conflitti e passioni, elabora un gusto per il macabro e l’orrido per poter mostrare la pars destruens dell’uomo. Usa uno stile e tono declamatori, in virtù anche della sua qualità di retore. Le sue opere furono oggetto di varie letture o rappresentazioni pubbliche. Titoli: Ercole furioso, Le troiane, Le fenicie, Medea, Fedra, Edipo, Agamennone, Tieste, Ercole sull’Eta. 21 febbraio Il Teatro nell’età medievale Una cesura completa con il tempo precedente, tanto da annullare il significato dello spettacolo per come si era concepito prima. Ciò è legato alla condanna della chiesa di ogni elemento di spettacolarità. Questa deve essere demolita perchè pericolosa per l’integrità della vita di un cristiano. Si svolse una vera campagna denigratoria che vede prima di tutto l’abbandono dei teatri antichi e la rinuncia dei luoghi da spettacolo: fino alla fine del 500, non ci sono più edifici teatrali, specificatamente dedicati al teatro → si farà teatro in luoghi inizialmente dedicati ad altre funzioni. Agostino, nel De Civitate Dei, si compiace (con lui Tertulliano, Lattanzio, Girolamo: Padri e teorici della Chiesa) che crollino i teatri nelle più importanti città → in tutto il Storia del Teatro e dello Spettacolo 17 territorio dell’ex-impero, gli edifici vanno in rovina e usati come cave per materiale edilizio o come ritrovo per incontri occasionali moralmente illeciti. Sotto i fornici, archi dell’anfiteatro, si radunano le prostitute (→ da qui il significato di fornicare, trovarsi sotto i fornici!). Il teatro è visto fino al 1000 come un’evento da cancellare, una totale damnatio memoriae. La condanna dello spettacolo aveva due ragioni: lo spettacolo antico romano, basato sulla visione, era ritenuto perturbante per l’equilibrio dello spirito del credente. I pantomini e le provocazioni satirico- erotiche, le esibizioni di violenza con i gladiatori, erano condannate da predicatori e teorici della Chiesa. La condanna dell’esibizione del corpo da parte dell’attore → ciò poteva provocare turbamenti e passioni sopratutto il discretito della Chiesa è legato al fatto che l’attore è colui che per professione dice il falso: il teatro è il regno della finzione, spacciando falso per vero. L’attore è il veicolo di questa finzione, eretta a principio di vita Questo discredito va a cancellare addirittura il ricordo della rappresentazione teatrale. Isidoro di Siviglia scrivendo le Etimologie, cerca di spiegare com’era il teatro antico. Dice che il teatro esisteva come lettura pubblica, con un actor, un autore che legge da un libro, mentre dei mimi (ioculatores, giullari) mimavano quanto veniva letto → il teatro come dialogo drammatico non esiste più. Dal X secolo, una forma di teatralità è recuperata dalla stessa Chiesa: essa riconosce quanto il teatro possa essere efficace per svolgere un’azione catechetica nei confronti di un pubblico sempre più distante dalla comprensione del latino. La stessa chiesa prevede nella liturgia alcuni spazi con micro-rappresentazioni a dialogo, di momenti importanti della storia della salvezza, ottenendo immediatamente un grande consenso, che porta allo sviluppo di questo fenomeno in articolazioni diverse e porta il teatro religioso al di fuori della Chiesa. Gli storici distinguono due fasi di questo passaggio: il dramma liturgico, in latino, si riferisce a quelle parti drammatizzate contenute nella liturgia (messa), specialmente nelle grandi celebrazioni annuali. Si tratta di brevi composizioni, che sono recitate esclusivamente in latino, ad opera di chierici → attori, che si muovono nello spazio della Chiesa. Vediamo ad esempio nel X secolo: Quem quèritis, e nel X-XI: visitatio sepulchri. Presto, però, la Chiesa non è più adeguata ad ospitare queste rappresentazioni → dalla fine del XII secolo, si sposta verso l’ingresso della basilica, per poi uscire ed essere collocato all’interno della piazza principale della città. Si parla ora di dramma sacro, con parti in latino gradualmente soppiantate dalle parti in Storia del Teatro e dello Spettacolo 20 nel medioevo: la sofferenza umana e il messaggio della salvezza e resurrezione. Vediamo tre passaggi, corrispondenti ai tre momenti fondamentali della Passione. Interessante il punto 2, dove è situato l’Inferno, polo opposto al Paradiso. In questo diagramma, il pubblico poteva posizionarsi ai lati e seguire le rappresentazioni, oppure collocarsi in uno spazio, platea, mediano che ospitava anche gli attori → un luogo “terreno” che serviva agli attori ed era prevista anche per alcuni spettatori. Nella biblioteca nazionale di Parigi, possediamo alcune miniature sotto il titolo di La Passione di Valenciennes (1545: data spartiacque di fine rinascimento). Ci da un’idea di come potevano essere strutturati i vari luoghi: al centro il palazzo di Pilato, un tempio con al centro un trono e gradini su cui potevano salire gli attori. A Sinistra il tempio e sul fondo la Città di Gerusalemme. Particolare la rappresentazione dell’inferno: effetti pirici e presenza del diavolo: immancabile nello scenario medievale → i diavoli erano affidanti ai giullari, perchè nessun cittadino avrebbe mai accettato di vestire i panni del diavolo. E’ un unico caso, in questo tempo, di un performer specifico, che recitava con maschera (in greco, pròsopon), detta ora masca, da cui maschera, ma che vuole dire fantasma, larva, qualcosa legato al mondo infernale. La figura del demonio prevede degli scambi comici, anche un po’ volgari a scopo esorcistico nei riguardi della paura della dannazione. Accanto all’inferno vediamo anche un mare in tempesta: sconvolgimenti dettati dall’avvento di Cristo. Altra cosa da notare è la modalità di fruizione. Il teatro è concepito come festività collettiva, con una coincidenza tra emittenti e destinatari. Andare a teatro comprendeva l’eventualità di vedere amici recitare e, dunque, le ragioni di coinvolgimento nello spettacolo è duplice: per i valori del contenuto e per la dinamica di rappresentazione. C’è forte compattezza, dunque, tra pubblico e spettacolo, e l’evento teatrale unisce spettatori da un punto di vista ideale e materiale. Storia del Teatro e dello Spettacolo 21 Vediamo un’esempio dei Miracoli: da una miniatura di Jean Fouquet, vediamo una scena del Martirio di Santa Apollonia, 1453. Notiamo la disposizione del loci deputati, disposti in circolo attorno allo spazio centrale (v. siepe circolare): ci sono raffigurate delle tribune, spazi per il pubblico → tipico del teatro quattrocentesco è il costruire delle tribune che mescolano il pubblico all’evento dello spettacolo. Vediamo anche una figura indispensabile, vestita di blu e rosso imbracciando un libro: è il meneur du jeu (cerimoniere dell’azione drammatica, una sorta di direttore, non tanto un regista, perchè si tratta di pura organizzazione → si assicurava che le parti fossero svolte nella giusta sequenza, controlla le entrate e le uscite degli attori e guida internamente gli addetti allo spettacolo, e testimoniando la ricchezza del meccanismo. Storia del Teatro e dello Spettacolo 22 Altri sistemi di organizzazione dello spettacolo, vediamo una rappresentazione in piazza, in una città tedesca (XV secolo). Qui il palco prevede sezioni multiple sovrapposte. Un problema era provvedere una posizione tale per cui la visione fosse agevole → vediamo qui un palco a tre piani con i luoghi tipici: inferno in basso, la condanna di Cristo al centro e la resurrezione in alto. Gli attori salivano e scendevano da scale poste a lato. Ritroviamo la figura del cerimoniere che serviva ad orientare la fruizione del pubblico. Gli spettacoli itineranti, invece, sono tipici dell’Inghilterra e ne vediamo un documento datato inizio XVI secolo, Mistero svolto in una piazza presso Coventry, conservato nel British Museum. Qui, alcuni carri sfilavano con alcune soste in punti della città e il pubblico poteva seguire le scene seguendo gli spostamenti e le soste del carro. Questo era detto pageant, una struttura in legno, leggero per questioni pratiche, che ricostruisse la scena che bisognava realizzare. Storia del Teatro e dello Spettacolo 25 italiane: punto di partenza da cui muoveranno teorie e prassi di tutto il Cinquecento. Sempre al 1486 è la pubblicazione della edito princeps del trattato di Vitruvio, De Architettura: opera del I secolo d.C. dove si teorizzano i criteri costitutivi dell’architettura latina (si tratta anche dell’edificio teatrale) -> punto di riferimento per la ricostruzione del mondo teatrale antico. La parabola di rinascite va esaurendosi introno alla metà del secolo, 1545, data che tutti gli storici identificano come anno di inizio della Commedia dell’Arte: l’anno a cui risale il primo documento (contratto notarile) che attesta la presenza di una compagnia di comici professionisti dediti alla recitazione e al nomadismo. La commedia dell’arte inaugura la strada per il teatro italiano e modifica quella riscoperta offerta dal rinascimento. Il teatro di corte è centrale, un fenomeno tipicamente italiano, un’avanguardia in campo di teoria e progettazione dello spettacolo, mentre i tutta Europa persiste la figurazione del dramma sacro medievale. Nelle corti padane e dell’Italia centrale, va sviluppandosi l’idea di un teatro commissionato direttamente dal signore, in cui lo spettacolo è l’elemento fondamentale di una festa destinata agli ospiti della corte (1) , auto-celebrativa (2), in veste di celebrazione del potere signorile. La corte italiana promuove lo spettacolo come manifestazione della sua politica culturale (3) e come emanazione del nuovo gusto di cui vuole farsi promotrice. In questa prospettiva vediamo il fenomeno di recupero della dimensione classica dello spettacolo → teatro come strumento di prestigio culturale, non legato alla dimensione religiosa. Le corti a fine del 400 non badano a spese e chiama a lavorare grandissimi nomi del mondo culturale di quel tempo: Leonardo da Vinci chiamato a milano a realizzare le scene del paradiso per gli Sforza o i drammaturghi come Ariosto e Tasso, che scrivono testi per gli spettacoli della corte. Un fenomeno che raggiunge la fine del 500 con i Mantova e i Gonzaga: Monteverdi e la nascita del melodramma. Ci interessa focalizzarci sul fatto che il teatro è un’emanazione di un potere che così viene riconfermato. Se questa è l’idea che muove la produzione di spettacolo ecco che abbiamo un teatro elitario e rivolto esclusivamente alla corte: questo succede per la prima volta, un pubblico scelto costituito dai frequentatori della corte, ospiti esterni, ambasciatori, invitati eccelsi. E’ un teatro per pochi, un otium letterario destinato a spiriti eletti e alieni da ogni volontà di guadagno e infatti tutti i protagonisti dello spettacolo sono dilettanti, sopratutto gli attori del teatro di corte: essi sono reclutati tra i cortigiani più colti e sensibili e il loro ruolo nel teatro è ridotta a quell’occasione → non potrebbero mai abbassarsi ad esercitare quel lavoro a fini di lucro. Si recupera un luogo scenico che va in direzione opposta a quella medievale: è sempre una scena unica, senza disposizione in loco, così come era descritta nel trattato di Vitruvio: una scena unica che utilizza una scenografia prospettica e Storia del Teatro e dello Spettacolo 26 dipinta, all’interno di un luogo identificato come autonomo e che ancora appartiene alla corte. Se abbiamo il recupero del palcoscenico unico, ancora non abbiamo l’edificio teatrale, fino al 500. Tutto si svolge all’interno di spazi appositi nella corte: lo spazio dello spettacolo coincide con il salone (1) di palazzo, di solito dove si servivano i banchetti. Qui viene montata la scena prospettica e gli invitati prendono posto in modo tale che possano vedere sia lo spettacolo che il signore (posto su un balconcino in buona vista). Alternativamente può essere il giardino (2) ad essere adibito a palcoscenico, con un velario che filtri la luce del sole, utilizzando delle panche apposite sotto le arcate del cortile (anche perché serviva uno spazio libero per gli intermezzi, riempitivi dello spettacolo nel 500). Tornando alla scena: essa è unica, prospettica e dipinta. La prima indicazione è che siamo davanti ad una iniziativa italiana a cui tutta l’Europa guarda, dando avvio alla grande scuola degli scenografi italiani e insegnano a tutta l’Europa. All’estero, la scenografia non era usata per gli spettacoli, vediamo ad esempio i teatri di Shakespeare e i teatri francesi fino al 600. Il punto chiave è l’adozione della prospettiva centrale: una piazza di città che continua con una via di fondo. E’ una scenografia fissa per tutto il tempo dello spettacolo ed era orientata verso la postazione del signore di corte. Sebastiano Serlio scrive Perspectiva nel 1545, riguardo le possibilità scenografiche del suo tempo suddivise per generi. Notiamo la data: viene edito vicino al punto finale dello spettacolo rinascimentale. Questi ha contezza che i contemporanei hanno individuato i tre generi (commedia, tragedia e dramma pastorale) e si occupa di descrivere le potenzialità scenografiche per ciascuno dei tre generi. Vediamo il confronto: Storia del Teatro e dello Spettacolo 27 Troviamo di nuovo una scena di città rappresentata in prospettiva centrale con un cambio di stile degli edifici: rimandano a quell’imitazione del classico che aveva come obbiettivo la tragedia del 500. Più attuale nel teatro del rinascimento era la scena comica: la commedia presenta un turbamento dell’ordine che riporta al lieto fine ed è parallela al potere del sovrano di ritrovare l’ordine. La struttura della città 400esca indica la suddivisione della scena in tre fasce: nel proscenio, la parte antistante del palco, troviamo una pavimentazione orizzontale che permetteva all’attore di recitare in questa zona, nella seconda parte presenta un pavimento orientato verso l’alto in corrispondenza delle quinte che erano dipinte ed angolari. (Nel 500, la tipica quinta è quella angolare o serliana → è fatta da due facce: la prima parallela al proscenio, la seconda angolare. Le due quinte sono montate ed inchiodate: non è possibile fare un cambio di scena. Le prime quinte sono praticabili, possono interagire con l’attore e prevedono la possibilità di salire al piano superiore. Le quinte servono per movimentare il momento dell’affaccio al balcone o alle finestre. Le altre erano esclusivamente quinte dipinte ed andavano in successione fino all’ultima parte, dove ci stava un fondale altrettanto dipinto. (Perché si chiama quinta? E’ la quinta parte del palcoscenico, è la collocazione dove dovevano essere montate le quinte) Nel testo si tratta poi della scena boschereccia: era realizzato raramente perché il terzo genere, boschereccio o pastorale non aveva una grande frequenza e se si faceva lo si preferiva fare all’esterno nei giardini. Tra i drammi pastorali appunto svolti all’aperto ricordiamo l’Aminta. Andiamo ad affrontare il genere della Commedia, il genere più frequentato. 1. Il primo filone del teatro del Cinquecento è la commedia erudita o classicistica, che si richiama direttamente ai modelli classici -> si intendono i modelli latini (Plauto e Terenzio). Nasce mettendo in scena direttamente i commediografi latini e ben presto si affiancano i volgarizzamenti in italiano dei testi latini. Se prevalgono questi modelli di rappresentazione, le corti si fanno Storia del Teatro e dello Spettacolo 30 rettangolare ed è abbinata alla scelta prospettica e c’è una rete di rami ed ellissi che riempiono lo spazio. Nel 1580, Andrea Palladio: architetto italiano più importante del tempo. Alla fine della sua vita accetta la commissione dell’Accademia degli Olimpici, un’associazione di intellettuali che gli chiedono di realizzare un teatro permanente a Vicenza, 1585 → il primo edificio teatrale permanente costruito ed arrivato fino a noi, in legno e stucco come molti altri dopo di lui, gli altri distrutti in incendi. E’ un teatro che coniuga la matrice classica con un’elaborazione originale: lui non fu in grado di vedere l’opera conclusa. La genialità di Palladio sta nella curvatura della cavea, semiellittica: gradinate su rami ad ellisse che consentono di aumentare la capienza mantenendone la struttura classica che stava a cuore agli accademici. Presenta tre porte e le due porte di fiancata: riprende la struttura della scene frons antica. Muore durante il primo anno di lavori e non fa in tempo a risolvere il problema della scenografia nè si costruirà una scenografia prospettica visibile da ogni punto del pubblico, ma unica, percorribile dall’attore → fu Vincenzo Scamozzi nel 1585 a realizzare sette vie prospettiche plurifocali percorribili (5 sul fondo e 2 laterali). Storia del Teatro e dello Spettacolo 31 28 febbraio Commedia dell’Arte Questo è un evento-svolta per il teatro occidentale → il teatro diventa un mestiere da professionisti, lo spettacolo è una merce da offrire ad un popolo pagante. Cambia il modo di fruire l’evento-spettacolo rispetto alle dinamiche passate. Con la Commedia dell’Arte si istituisce un (1) mercato, dove lo spettacolo è un’occasione quotidiana e tendenzialmente serale per lo spettatore, offertogli da un gruppo di professionisti che fanno del teatro il loro mestiere. La seconda considerazione a riguardo è che si tratta di un (2) fenomeno italiano e dall’Italia viene esportato nel mondo conosciuto, ottenuto un’enorme successo → da qui nasce la fortuna del teatro italiano come teatro d’autore. I comici dell’arte sono contesi da tutti i regnanti del tempo e portano per il mondo il loro modello di teatro, dove una grande importanza non è solo alla recitazione, ma anche al ritmo e ai movimenti del corpo. La fine del rinascimento coincide con il 1545: data spartiacque perchè in questa data ci fu il primo documento riguardante una compagnia d’attori → un contratto annuale notarile di Padova: un capocomico Ser Mafio dichiara di essere in “fraternal compagnia” con altri 7 componenti. Questi 8 uomini formano una società per recitar commedia di loco in loco → l’idea di una recitazione itinerante nelle città è alle basi di questo fenomeno e caratteristica fondamentale del teatro professionistico italiano. Il fine esplicito è guadagnar denaro. Una posizione diversa dagli spettacoli di corte o di religione → nasce il professionismo, già evidente nel nome delle compagnie. La valenza della parola Arte equivale a Mestiere, non ha connotato creativo o artistico come lo intendiamo noi. Procedendo nel documento si legge il Storia del Teatro e dello Spettacolo 32 regolamento interno e tutte le clausole economiche, finanziarie, assistenziali, diritti e doveri dei soci (casse comuni, acquisti previsti, soluzioni in caso di malattie). Sono aspetti interessanti, ma manca del tutto l’indicazione artistica: non si parla di modalità di recitazioni, di argomento, di piazze → l’ispirazione fondamentale di questo teatro è riconoscere la professionalità dell’attore. Egli decide di lucrare sulla base del proprio talento artistico, creandoci una merce replicabile → lo spettacolo deve attirare sempre più pubblico. L’idea della replica dello spettacolo è anch’esso nuovo → agli inizi e fino al Rinascimento, sono eventi rappresentati come unicum. Questo teatro contiene per forza l’idea della replicabilità, perchè il fine è guadagnare la massima attrattiva del pubblico. Anche il nomadismo della Compagna ha senso in questi termini: gli attori si spostano quando hanno esaurito l’interesse del pubblico di una città. Ha un successo immediato in tutte le classi sociali, anche perchè il costo del biglietto è minimo. Negli anni ‘80 le compagnie si dotato di un’ulteriore attrattiva: l’ingresso della donna sulle scene professionistiche → sempre escluse a priori, mentre la Comica dell’Arte veste i panni di una donna che può esibirsi, indipendente, e suscitare scalpore/ammirazione. Chiaramente un fenomeno di questo tipo crea entusiasmo e scandalo contemporaneamente, da parte della Chiesa e la Parte Bene della Società. Questa figura donna-attrice è immediatamente giudicata come squalificata dal punto di vista morale ed è indicata come professione-anticamera alla prostituzione. >>>> Da qui le attrici sono donne moralmente discutibili, dai costumi facili, occupazione disdicevole alle ragazze per bene. Comportamenti, abiti e trucchi sono condannati dalla Chiesa. Accanto a tutto ciò, il discredito comportamentale ed intellettuale → le classi intellettuali mostrano i loro pregiudizi a riguardo. Gli attori della Commedia finiscono per costituirsi una micro-società a parte, con una condotta di vita libera dalle costrizioni, fuori dai comuni canali educativi e, dunque, una delle battaglie più profonde del 600 sarà quella contro la loro supposta ignoranza. La cultura era spesso ancora un otium, svincolata da ragioni di guardagno, un’arte disinteressata → con le rivendicazioni del teatro-merce, esso è subito squalificato come manufatto culturale e s’innesca un immediato discredito verso questa micro-classe sociale. Si tratta di un teatro d’attore, fondato sull’esercizio del suo talento: questo è il responsabile esclusivo della costruzione dello spettacolo. Su questa base, i comici dell’arte sono associati all’idea di un teatro improvvisato e anzi le compagnie vengono chiamate Commedie all’Improvvisa (Commedia dell’Arte solo a partire dal 700). Il concetto di improvvisazione per noi oggi è quella di una reazione estemporanea ed istintiva, tuttavia qui l’Improvvisa del Comici dell’Arte è piuttosto un Storia del Teatro e dello Spettacolo 35 quelle delle maschere, che in genere parlano in dialetto, che stilisticamente, piene di metafore e concetti e strutture retoriche che la bravura recitativa riusciva a mettere in evidenza e a far apprezzare al pubblico → erano il ruolo alto della vicenda, con connotati sentimentali e patetici. I vecchi (cfr Pantalone e il Dottore) hanno connotazioni comiche tipiche. Ad esempio Pantalone, a volte presentato con altri nomi, un mercante avaro e vecchio libidinoso, vestito attillato in calzamaglia rossa, uno sfruttatore e seduttore. Una figura che sul palco è destinata ad essere sconfitta con effetti di comicità. A lui contrapposto è il Dottore, il più famoso è Balanzone, un intellettuale pedante, saccente ma ignorante ed inefficace, con cadenza bolognese (sede di università di legge) e di professione avvocatizia → destinato ad essere sconfitto e satireggiato. Il capitano e la servetta. Ruoli mobili, perchè non sempre presenti nelle compagnie, soprattutto era raro il capitano → questo è presente soprattutto nel 600, nel 700 quasi scompare ed era la caricatura parodistica del militare di carriera millantatore, presuntuoso, ma di fatto pusillanime e incapace di un’azione vera. Il capitano recitava con una maschera e aveva abiti sgargianti, che potevano ricordare le divise, soprattutto quelle spagnole (cfr dominazione spagnola d’Italia). Uno dei capitani più importanti era Capitan Spaventa (Francesco Andreini) e la sua azione era quella di un personaggio secondario, che voleva ergersi a essere tutore dell’ordine, ma in realtà era pronto alla sopraffazione dei personaggi più umili. Più diffusa la presenza della servetta: consentiva un ruolo femminile diverso dall’ amorosa. Erano attrici disinvolte e seducenti e smaliziate, a partire dai loro costumi dalle grandi scollature (non contemplati nel guardaroba delle amorose), e così la loro capacità di civettare sulla scena con i personaggi maschili, prestandosi a battute e giochi di doppio senso. La servetta poteva parlare sia in dialetto sia in italiano, ma con un registro più basso → questo la rendeva un personaggio versatile, capace di attirare le attenzioni del pubblico (maschile), ma anche molto funzionale: serviva nei canovacci per replicare la vicenda amorosa su un livello basso. Vale a dire che la storia degli amorosi, filo conduttore, poteva avere un secondo binario più basso nella vicenda amorosa tra lo zanni e la servetta. La vediamo infatti nell’Arlecchino Servitore di due Padroni, tra Arlecchino e Smeraldina, cameriera di Clarice, con cui alla fine si fidanza. → È un sistema complesso di costruzione dello spettacolo, legato alla costruzione dell’attore ma che necessitava anche di supervisione: in questa direzione gli studi hanno indagato la concertazione → lavoro di supervisione delle diverse parti e del montaggio dello spettacolo tra parti messe a fuoco dagli attori e numeri degli altri, della musica. E’ stato messo in rilievo come, in ogni compagnia, un attore aveva il Storia del Teatro e dello Spettacolo 36 compito ordinatore e direttore, non ancora assimilabile al regista, perchè era un compito pratico: nessun concertatore si proponeva di rivendicare una paternità artistica dello spettacolo, ma semplicemente metteva in luce il lavoro completo della compagnia e si preoccupava che la sequenza funzionasse. Gli zanni sono i personaggi più interessanti. Tra i due, uno astuto (Brighella), servitore di una casa nobiliare (cfr costume che indossa) ed uno sciocco (Arlecchino) il bracciante occasionale senza lavoro fisso, una fame insaziabile e necessità di imbrogliare il prossimo per non perire. Recitano con la maschera e parlano in dialetto (bergamasco per Arlecchino: provenienza dei bracciati della Serenissima). E’ importante la caratteristica linguistica perchè altre parti invece parlano in una lingua alta, cfr gli innamorati. L’espressività degli zanni è più legata al corpo che alla parola: sono personaggi illetterati il cui scopo è far ridere il pubblico. L’utilizzo del corpo e il ritmo della recitazione sono fondamentali → parlano così veloci che spesso non si riesce ad intendere ciò che dice, se non per ridere delle sue storpiature grammaticali. Riguardo Arlecchino, Strehler fece una sua riproposta del teatro vitale della Commedia dell’Arte nel 1947, due secoli dopo Goldoni (ultimo grande nome, cancellato come emblema dell’ancien regime). Si ricrea una modalità teatrale che non si sapeva più: gli attori non sanno più come si recita in maschera, sopratutto E’ dunque un opera di ricreazione del testo e delle modalità di recitazione. Notiamo che il titolo della commedia di Goldoni non riporta il nome del protagonista: Arlecchino servitore dei due padroni → Goldoni la scrive partendo da un canovaccio che lui stesso aveva scritto nel 1745 per un comico dell’arte (l’atto non dà problemi perchè il diritto d’autore a questa altezza cronologica non è ancora stato affrontato), Sacchi, uno dei più famosi, conosciuto come Truffaldino → grande successo quando fu messo in scena. Goldoni rompe il contratto con la compagnia di Medebach, una compagnia importante, proprio per una questione di diritti d’autore → i suoi copioni erano venduti al capocomico, che ne diventava proprietario. Dato il successo della riforma del teatro di Goldoni del 1750, Goldoni comincia a pensare di poter ricavare entrate attraverso la pubblicazione dei testi, cosa diversa dal copione perché quelli registrano altre osservazioni che possono essere introdotte postume e tengono conto anche degli esiti dello spettacolo. Chiede, quindi, a Medebach di poterne fare un’edizione e Goldoni, uscendo dalla compagnia, pretende di diventare unico proprietario dei testi in quanto autore dei testi → Medebac gli fa causa e la questione continua per anni (causa edizione Bertinelli). Alla fine, i magistrati del tribunale di Padova danno ragione a Medebach, perché proprietario dei copioni e perchè Storia del Teatro e dello Spettacolo 37 Goldoni aveva ceduto la proprietà del copione al capocomico. La nostra edizione, da cui leggiamo Arlecchino, è quella che per reazione Goldoni riscrive e comincia a pubblicare, indipendentemente dai copioni sotto la tutela del capocomico. Questa commedia è del 1753 interamente scritta ed ha a monte il lavoro del canovaccio scritto nel 1745 su commissione di Sacchi e che era stato portato a successo dalla compagnia stessa del Truffaldino a cui questo lavoro era stato dedicato, essendo stato commissionato da lui. Nella prefazione, Goldoni dice che Sacchi gli aveva portato un riassunto di un canovaccio francese che doveva essere l’ispirazione per il canovaccio che doveva scrivere per lui. Goldoni dichiara di ricostruire, dunque, a posteriori, una commedia dell’arte (commedia degli istrioni): la ricostruisce in forma estesa, sulla base dei resoconti dello spettacolo. Goldoni non ha in mano il generico → materiale di lavoro che non veniva diffuso e al contrario lavora con la memoria, ricostruendo le parti più importanti dello spettacolo, cercando di ripercorrere gli elementi di maggiore successo ed attrattiva che dal canovaccio avevano generato uno spettacolo di grande successo. L’originario canovaccio del 45 aveva delle parti scritte → vuol dire che Goldoni aveva già provveduto a scrivere i dialoghi, in particolare degli amorosi, ma aveva sicuramente lasciato “a soggetto” le parti del secondo zanni, Truffaldino: un omaggio quasi a Sacchi, ricordando i punti salienti della sua interpretazione scenica. Terzo passaggio → Strehler. Capisce il senso profondo che aveva questo canovaccio fatto rivivere, scritto su commissione, pagato, quando Goldoni era avvocato ma conosciuto per la sua abilità di scrittore comico. Nel 47 Strehler ha 26 anni e decide di fare una ricreazione registica sottolineandola con il titolo: Truffaldino non c’è più, ma è Arlecchino il servo sciocco più famoso dopo Sacchi. Ricostruisce con i suoi attori uno spettacolo perduto → successo clamoroso, va in scena fino agli sgoccioli della vita di Strehler, in 10 edizioni. Ne possiamo parlare attraverso le sue edizioni → Arlecchino è un unicum: è l’unico esempio di spettacolo di repertorio del teatro drammatico italiano. Ciò significa che, a differenza di altre tradizioni, in Italia non esiste la prassi di riprendere degli spettacoli storici, rappresentandoli in maniera uguale a sé stessi: non esiste il repertorio, non è possibile. Arlecchino, invece, ogni anno viene ripreso dal Piccolo in un’edizione consuntiva del 2005, con delle strutture e delle sequenze ancora identiche: cfr il lazzo della lettera, ripreso da Bonavera esattamente come lo abbiamo visto. Alcuni aspetti da osservare: è uno spettacolo di regia, ricreato dal regista e della compagnia in coworking: il lavoro fatto con i suoi attori non dà origine ad uno spettacolo improvvisato: è uno spettacolo di regia, cioè che prevede una fase di creazione ed elaborazione Storia del Teatro e dello Spettacolo 40 sequenza, mentre l’attore di regia crea il personaggio con il regista e lascia al regista il compito fissare la versione migliore. Scena X, Atto II. Un lazzo storico, ossia non di Goldoni. Si tratta di nuovo di Arlecchino, servitore di due padroni. Arlecchino entra in scena a metà dell’atto, senza che Goldoni dica nulla: siamo nella locanda, dove deve prendere accordi con l’oste, Brighella, per servire il pranzo e comincia a parlare. Strehler e gli attori si accorgono che Arlecchino non può entrare così in scena come un cameriere qualsiasi e cercano, tra le testimonianze dei generici dell’Arte, un lazzo di entrata, quindi un lazzo non specifico, “da manuale”→ trovano il famoso lazzo della mosca, invenzione tra le più famose di Strehler, fondata su un recupero storico. Strehler trova, nei resoconti delle compagnie del 600, che diversi zanni usavano lo stratagemma di inseguire una mosca nel momento in cui entravano in scena, suscitando ilarità → sulla base di ciò, si inventa questa famosa sequenza dell’arlecchino. Il lazzo è molto rapido e diviso in due parti: una sequenza interamente mimica e di interazione col pubblico reale → Arlecchino entra in scena da sotto il fondale intento a inseguire una mosca, il pubblico si ferma e commenta e Arlecchino lo zittisce per non far scappare la mosca (ulteriore piccolo margine di improvvisazione); poi l’azione mimica si completa con il balzo felino (cfr maschera di Arlecchino) che termina con la cattura della mosca. La testimonianza storica parlava di una cattura della mosca che poi veniva mangiata e Strehler riprende questa sequenza: Arlecchino, dunque, le strappa le ali e la ingoia, dopodichè il lazzo finisce. Strehler invece, lo prolunga, fa iniziare la battuta di Goldoni (gran disgrazia che l’è la mia), però mentre in Goldoni questa va avanti, in Strehler si interrompe, perché la mosca continua a volare nello stomaco di Arlecchino che fa diversi salti per digerirla. L’inizio di una battuta neutra nel copione di Goldoni, assume così una rilevanza notevole nella tensione del pubblico, grazie all’introduzione dell’elemento del lazzo, che rende più vivace lo spettacolo. Nel proseguo della scena, vediamo un assaggio di come recita Arlecchino: molto velocemente e, quello di Strehler, recita anche con un tono molto alto, quasi in falsetto. Per la tournè negli USA, ogni attore doveva avere uno sostituto, che doveva recitare una volta ogni 5 giorni, dando all’attore una sera di riposo. Grassi trova un giovane attore diplomato nell’Accademia di Roma, di origine fiorentina, Soleri, che si trova a dover imparare la parte di Arlecchino e soffre molto per il ritmo sostenuto che Strehler gli impone. Lo obbligava a leggere gli articoli di giornale senza prendere fiato per esercitarsi e lo incentivava a usare toni alti per dare un aspetto gracchiante alla maschera, che non doveva essere compresa per quello che diceva, ma trascinare il pubblico per il vortice delle azioni e delle situazioni. Viene messo in Storia del Teatro e dello Spettacolo 41 scena quasi ogni anno al Piccolo e quando viene proiettato lo spettacolo ci sono i sovra titoli in inglese, che però vengono ignorati da un certo momento in poi dal pubblico, che si fa trascinare dalle azioni. E’ un altra caratteristica della commedia dell’Arte: gli attori italiani recitavano in italiano anche all’estero. Riguardo il lavoro di concertazione nella Commedia dell’Arte → Strehler si occupa anche di questo. Se ne accorge dopo aver iniziato il lavoro di messa in scena di Arlecchino, a fine anni 50. Negli anni 60, mette a fuoco la IV e la V edizione in cui la concertazione è mostrata sulla scena. Sviluppa due livelli fisici, cercando di far vedere al pubblico contemporaneo sia la commedia dell’arte messa in scena sia il lavoro della compagnia dell’arte che la mette in scena: una pedana di legno su cui si svolge la commedia e un fuori scena in cui gli attori stanno per tutta la durata dello spettacolo, dedicandosi ad attività quotidiane e interagendo anche con la scena (→ commentando le sequenze, chiamando gli attori che devono entrare,..), così che lo spettatore contemporaneo abbia uno spaccato del lavoro della commedia dell’arte, del processo creativo che accompagnava lo spettacolo. Questo lavoro di Strehler diventa imprescindibile nella V edizione del 1973, realizzata all’aperto e nota come edizione della Villa Reale di Milano, realizzata davanti alla facciata della Villa. L’ambientazione all’aperto rende chiaro questo doppio livello, perché il pubblico vede ai lati della pedana i carri, i comici che si truccano, può assistere alle prove, agli allenamenti e questa V edizione addirittura ha scambi dialogici che Strehler scrive per accompagnare le diverse fasi dello spettacolo, a sottolineare la concertazione e il montaggio che accompagna il lavoro dei comici dell’arte. Strehler offriva così allo spettatore anche un assaggio di storia del teatro, inserendolo nella commedia dell’arte per fargli apprezzare il risultato. La ricostruzione di Strehler offre uno spaccato fedele di quella che era una compagnia dell’arte del 600. Per farlo lavora su documenti del XVIII secolo, quando già la commedia dell’arte sta già decadendo. L’idea della villa Reale, già avuta da Strehler ad Affori a Villa Litta, si ritrova nelle incisioni: era costume dei nobili in villeggiatura di offrire spettacoli di commedia dell’arte ai loro ospiti e alle popolazioni del contado durante il periodo estivo. Strehler approfitta del largo spazio per farci vedere gli elementi “contorno” dello spettacolo: il suggeritore che segue dal canovaccio e suggerisce entrata e uscita, gli attori che si calano la maschera a vista, e viceversa se la toglie alla fine, il balletto iniziale che serviva alla attrattiva del pubblico e la scansione degli atti fatta dal servo di scena, battendo il bastone sulla scena. Il lavoro di concertazione è svolto dall’attore più anziano, qui Pantalone, e Storia del Teatro e dello Spettacolo 42 diventa un elemento di dirigismo pratico, indispensabile affinchè tutto potesse funzionare nella macchina dello spettacolo. All’interno di una compagnia dell’arte vivevano grandi differenze caratteristiche in termini sociologici. Come, ad esempio, ci potevano essere compagnie estremamente ricche e ben articolate e altre compagnie minime e povere. Gli studiosi hanno distinto tre livelli o categorie di comici, non equivalenti: 1. Livello più basso: ciarlatani o saltimbanchi → si esibivano in spazi aperti (piazze, strade), montando un banco di vendita e su questo veniva offerto un piccolo spettacolo comico, che aveva funzioni introduttive e di presa dell’attenzione di potenziali acquirenti. L’imbonitore/venditore, per attirare il pubblico saltava direttamente sul banco (salt-in-banchi) e dava origine ad una performance scenica. I saltimbanchi erano piccolissime compagnie di 1,2 o 3 attori, spesso tutti maschi, uno dei quali anche suonatore e facevano scenette comiche ispirate alla commedia dell’arte, ricorrendo anche a gag volgari. Potevano avere anche talenti acrobatici, accanto a quelli recitativi → il teatro andava mescolandosi con esercizi circensi. Lo spettacolo era gratuito. Il pubblico si riuniva in siepi tutt’attorno e l’unico compenso consisteva nella seconda parte → uno degli imbonitori proponeva la vendita di prodotti miracolosi, mentre l’altro attraversava la platea con un cappello (una pratica che non risulta presente fin dal principio, ma viene introdotta in seconda battuta) raccogliendo le eventuali offerte: proprio un livello base di commedia dell’arte. Questa storia ha un discreto successo, anche se scarsamente documentata (possediamo al massimo i verbali degli arresti di questi poveretti che venivano messi in galera per disturbo di ordine pubblico). Abbiamo però la sicurezza che i ciarlatani attraversano tutta la parabola della commedia dell’arte, fino alla metà del 700, agendo nei centri periferici dove le grandi compagnie non arrivavano. Resta però chiaro che uno spettacolo di questo tipo non ha consapevolezza tale da diventare uno spettacolo autonomo. Goldoni, ad esempio, incontra la compagnia di un ciarlatano ed entra in confidenza con lui e conosce altri attori che lo porteranno a collaborare con i comici. La commedia dell’arte è una categoria vasta e variegata, capace di arrivare ad un ampio pubblico. 7 marzo 2. Le compagnie delle stanze. Compagnie di comici che affittano spazi (stanzoni) specifici per mettere in scena i loro spettacoli. Il teatro del 500 non prevede ancora edifici permanenti per gli spettacoli e così fu fino alla fine del 500 → i Storia del Teatro e dello Spettacolo 45 Teatro Elisabettiano Durante la metà del 500 prendono vita nuove esperienze in Europa, caratterizzate dalla fioritura di modelli di teatro, che tra loro hanno in comune: 1. Teatro profano, svincolato dalla religione; 2. Professionismo: il teatro è merce proposta ad un pubblico pagante L’esempio più illustre è quello inglese, durante l’epoca elisabettiana. Si tratta della Golden Age: Elisabetta I (1558,1603), Giacomo I (1603, 1625) → un momento di grande fioritura, che da origine ad una civiltà teatrale del tutto originale per la tipologia di spettacolo e produzione di testi. Il teatro a Londra fiorisce soprattutto nell’ultimo quarto del 500, approfittando della fioritura economica e culturale del centro di Londra. I teatri sono collocati topograficamente sulla riva sinistra del Tamigi, quella opposta alla city → cioè a dire che sono collocati come alternativa anche geografica rispetto alla cultura ufficiale. Una sorta di quartiere dei divertimenti che già esisteva e comprendeva luoghi di spettacolo per pubblico indifferenziato. Si tratta di un teatro a pagamento, ma molto accessibile al pubblico di tutte le classi economiche: un modesto costo, anzi sappiamo che il teatro Globe (di WS) faceva pagare un penny per la platea, due penny per la seduta e via dicendo. Siamo, dunque, davanti ad un fenomeno popolare, alla portata di tutte le tasche e ciò giustifica il proliferare di una serie di teatri permanenti, a partire dall’ultimo quarto del 500. Questi sono solitamente di proprietà di impresari → The Theatre, The Curtain, The Rose, The Swan, The Globe. Questi teatri sono andati tutti persi: le tracce documentarie sono state eliminate sotto i colpi della rivoluzione puritana. Le strutture, d’altronde, erano deperibili perché in legno e i puritani distrussero e chiusero tutti i teatri e quando riaprirono, fu come se si trattasse di una rinascita da zero e il teatro elisabettiano rimarrà un fenomeno isolato, passato, poco documentato. Storia del Teatro e dello Spettacolo 46 Ricostruzione ipotetica del The Theatre (1576) → una struttura permanente, desinata solo allo spettacolo, in legno, con pianta poligonale a 16/16 facce o circolare che prevedeva una sezione centrale con gallerie intorno. Una struttura che permette di ricondurre il teatro ai luoghi di combattimento, le arene. I riferimenti per questo tipo di struttura vanno appunto ritrovate in altri edifici del quartiere della riva sud, dove già nel 500 sono attestati luoghi in cui si tenevano luoghi di combattimento, circolari, con palizzate da cui assistere e contemporaneamente si va sviluppando il teatro nei cortili delle locande → piccoli spettacoli a pagamento (o tramite maggiorazione della consumazione), che potevano essere visti dall’alto sfruttando i ballatoi del locale. E’ plausibile che questi due modelli abbiano ispirato la costruzione di queste strutture, che prevedevano la possibilità di ospitare il pubblico in modo e costi differenziati: la platea, yard, era in terra battuta e vi veniva fatto stare il pubblico in piedi, all’aperto, senza alcun riparo; le gallerie (con un costo differente in base alla posizione) erano riparate da un tetto di paglia e corredate da panche, mentre si poteva acquistare un cuscino per stare più comodi; la gentleman’s room era un piano più elevato, per favorire la visibilità e permetteva l’accesso da un ingresso separato (sezione frequentata dai nobili); altre posizioni molto ambiti dall’alta società erano i posti a sedere direttamente sul palcoscenico. La scena era definita play-house, che per estensione definiva poi definiva l’intero edificio, ma, in Storia del Teatro e dello Spettacolo 47 senso proprio s’intende la costruzione scenica → presentava una struttura con due colonne e un tetto da cui si aprivano due livelli di scena: un primo livello, inner-stage, di cui non abbiamo certezze a riguardo, perché presentava un paio di porte schermate da tendaggi e, in base ai testi, poteva essere che venisse usato per scene di interni. (cfr l’uccisone di Polonio nel III atto dell’Amleto → WS scrive il testo con ben in mente la conformazione del palco). Altri autori parlano di questo spazio come discovery place, ossia uno spazio che veniva aperto per mostrare una scena avvenuta nell’aldilà, quasi una ripresa dell’uso della commedia greca (cfr kuklema). Qui venivano svolte le parti che erano vietate per ragioni di censura; un secondo livello dagli utilizzi più chiari: upper-stage → una balconata su cui venivano recitate le scene svolte da un luogo alto (cfr lo spettro che apre l’Amleto). Inoltre, sopra c’era un tetto, heaven, che ospitava meccanismi per oggetti scenici o un’ulteriore galleria per i musici. Infine, elemento immancabile, la bandiera → questa serviva ad indicare l’apertura del teatro e a richiamare il pubblico agli spettacoli che si svolgevano nel pomeriggio. Il palco scenico comprendeva anche la botola, che collegava ad un sottopalco (possibile per il fatto che il palco era rialzato) e che permetteva l’ingresso di spiriti dell’oltretomba. Il palco era tale che la platea poteva circondare i tre lati il palco e gli attori potevano scendere in platea. Particolarità di questo teatro è che non possiamo parlare di particolarità scenografiche: non ci sono fondali e non ci sono quinte → è un teatro essenziale dal punto di vista scenografico. Di contro, i brani sono corredati da didascalie verbali: battute tramite le quali l’attore racconta ciò che lo spettatore può solo immaginare. Gli oggetti di scena aiutano ad evocare le scenografie e la ricchezza dei costumi compensano altrettanto → i costumi elisabettiani erano ricchissimi e non filologici (cfr Antonio e Cleopatra erano vestiti come la regina elisabettiana senza che qualcuno si risentisse → non c’era coerenza storica) Cfr visita il sito del globe -> qui si crea un pubblico di abituèe, a volte anche abbastanza competente, visto il basso prezzo dello spettacolo. Lo Swan Theatre, 1596, tramite un disegno di Witt, un viaggiatore olandese in Inghilterra. Egli descrive un pomeriggio a teatro nel suo diario di viaggio destinato ad un pubblico olandese, che non sa cosa fosse il teatro. Gli elementi che abbiamo Storia del Teatro e dello Spettacolo 50 Gli studiosi si sono resi conto che nella prima si trattava di una versione abbreviata, con tagli e passaggi spostati nelle battute e nelle scene, saltano dei personaggi minori. A conclusione si dice che questa prima edizione sia pirata, spuria → i filologi inglesi la definirono il “bel quarto”. Nel teatro elisabettiano si assisteva ad episodi di furto, atti di stenografia delle battute e ripubblicazione dei testi, altre volte gli attori tradivano e passavano la loro parte a terzi e ricomponevano a memoria le parti degli altri. Quest’ipotesi è stata messa in discussione da Andrea Sarpieri, che osservò che si trattava di un’edizione pirata incredibilmente curata, molto coerente, con un testo che funziona e non risulta amputato. Si crede in modo più accreditato che l’edizione del 1603 sia un’edizione minore autorizzata dalla compagnia per le tournèe in provincia. Le potature del testo sembrano allora mirate a renderlo più fruibile per lo spettatore medio della provincia e meno pesante per l’attore che recita Amleto (è un testo teatrale molto parlato, e il suo ruolo era pensato per l’attore di punta della compagnia del Ciambellano) → è possibile che si sia semplificato il testo anche in vista di un Amleto sostitutivo, meno abile dell’attore ufficiale. Questa analisi ci fa presupporre un doppio canale di circolo di testi. L’edizione del 1604 sembra quella accreditata dalla compagnia perchè riporta anche un sottotitolo firmato da quest’ultima in cui si dichiara che si tratta della versione più completa. 1623, edizione in folio dell’Amleto → foglio tipografico intero, libri pesanti da utilizzare su leggii, oggetti di pregio. Si tratta dell’edizione post mortem di WS, fatta da due dei suoi attori e che concorre a far parte del canone Shakespeariano: Mr William Shakespeare Comedies, Histories and Tragedies, published according to the true original Copied. Abbiamo davanti un’edizione altrettanto diversa dalle precedenti: compaiono molte didascalie che non ci sono nella 1604 o sono lievitate in numero di versi, ci sono correzioni stilistiche che modificano espressioni, ci sono tagli legati alla parte di Amleto. Queste varianti si leggono tenendo conto della storia del testo. La 1603 ha assorbito stratificazioni legate al fatto che è il testo su cui la Compagnia ha continuato a lavorare. Nel 1619, Inoltre muore l’attore Amleto ed è possibile che sia in corrispondenza di questo evento che le parti di Amleto siano state ridotte nella forma che si legge nella 1623. Per risolvere, i moderni editori scelgono soluzione di compromesso che si legge nella nota al testo → importante per capire quale prospettiva hanno avuto le scelte del filologo. Di solito si prende come base la 1604 e si mettono in nota le varianti in folio e successivamente del 1604, in modo da dare al lettore l’idea della stratificazione. Nella messa in scena, invece, è il regista a scegliere a quale edizione rifarsi e/o quali aggiunte e modifiche fare. Il regista commissiona a volte traduzioni Storia del Teatro e dello Spettacolo 51 apposite, per avere quei margini di libertà che renda un testo così poco uniforme adatto ad essere messo in scena. WS entra nelle Compagnie che agivano sulla riva sud, prima come attore e poi come autore, risultando presto già noto e saccheggiando i testi e le ispirazioni di altri autori o da altri drammi o da eventi storici (eccetto per La Tempesta) → questo per avere testi che raggiungano l’interesse del pubblico. Lavora con la compagnia di Barbage (l’attore che interpreta Amleto) sotto la protezione di Lord Chamberlain. Questa arrivò ad avere un suo teatro, il The Globe, dove decolla la carriera di WS. Entra poi al servizio del re Giacomo I, con la compagnia che va sotto il nome di King’s Man. WS lavora con loro fino al 1611, nel 1613 brucia il Globe e lui si trova ancora a Londra, torna a Strefford dove muore nel 1616. All’uscita dell’edizione in folio, volume di riferimento per la classificazione del canone shakespeariano, si sottolinea l’esistenza di altre copie del testo, rimaste in possesso della compagnia. Il canone divide l’opera di WS in tre generi: 1. Histories - Drammi storici: un genere molto in voga nel teatro elisabettiano e WS approfitta → si tratta di drammi storici collegati alla storia nazionale britannica. Spesso erano chiamati cronical histories o cronical play, perchè narravano gli scontri medievali che portano all’affermazione della monarchia inglese. Questi prendono di solito il nome dal protagonista (Riccardo II,III, Re Giovanni, Enrico IV, V, VI, VIII) >>> Si voleva esaltare il valore nazionale, cercando di stimolare da parte dello spettatore una vicinanza con il protagonista eroico. Le trame erano ricche di dettagli e inconvenienti che si concludono sempre con la risoluzione di questi da parte dell’eroe riportatore di ordine. In questo modo si garantisce e si stimola la fedeltà del pubblico alle istituzioni. WS costruisce figure intriganti, violente, ma di grande fascino. Nelle Histories vengono inseriti anche i drammi romani, che WS scrive ispirandosi alle opere storiche che circolavano nell’Europa rinascimentale, tra questi Giulio Cesare ad esempio → qui il protagonista muore a metà e l’interesse slitta sulla figura di Marc Antonio; Antonio e Cleopatra, coniuga storia politica e storia sentimentale → due amanti che sono due capi di stato e ciascuno rappresenta una civiltà che entra in conflitti di valore, non una trama nè un contenuto facile dal punto di vista ideologico. 2. Comedies: va inteso come generale orientamento tematico con prospettato lieto fine, ma si distaccano molto dalla commedia rinascimentale. WS accosta una vastità di testi estremamente diversi tra di loro: ci sono commedie letterarie Storia del Teatro e dello Spettacolo 52 500esche (La commedia degli errori, che riprende la commedia dei gemelli di Plauto, Menechmi); ci sono le commedie romantiche, di sentimento (Pene d’amore perdute, La dodicesima notte o quel che volete); altre di impianto fantastico, in un contesto che fa quasi scomparire la struttura originaria per risaltare gli aspetti teatrali (Sogno di una notte di mezz’estate, Come vi piace); altre ancora chiamate dark comedies, le commedie dove il lieto fine c’è, ma lascia tutti scontenti e i personaggi sono posti davanti a scelte drammatiche (Tutto è bene quel che finisce bene, Misura per Misura). Riguardo le commedie, Ronconi ne mise in scena due: il Sogno e Misura per Misura. Il primo spettacolo fu messo in scena al Piccolo nell’ultima parte della sua carriera: molto originale, per la visualizzazione della struttura interna della commedia → si vede la volontà di denudare i fili rossi che guidano la fruizione della commedia. Il Sogno risale ai primi anni di lavoro di WS, presenta tre fili principali di intreccio e tre mondi paralleli: corte-reale; foresta-fantastico; teatro-illusione. Una vicenda amorosa di quattro giovani che fuggono dalla corte di Atene soffocante (non affrontata con interesse storico) verso una foresta in cui vivere il loro amore e le avventure si intrecciano con quelle della popolazione fatata del bosco → questa, composti di fati ed elfi, è governata da Titania e Ober, figure in conflitto amoroso tra loro stessi. A questo intrico di vicende di somma una dimensione metateatrale: alla corte di Atene era stato organizzato uno spettacolo che doveva essere interpretato da un gruppo di artigiani, i quali si recano nella foresta per le prove teatrali. E’ una tipica struttura shakespeariana, noncurante delle misure di spazio e tempo canonici e che da la possibilità ai registi contemporanei di mettere in risalto dimensioni diverse >>>> Ronconi è interessato alla tridimensionalità dei mondi e alla doppia dinamica psicologica dei personaggi, alla ricerca della propria identità, ma in bilico tra sogno e realtà (così come anche la dimensione teatrale viene sdoppiata). La regia di Ronconi mette in risalto che il teatro di WS sia pieno di metafore e invita lo spettatore a cercare ciò che sulla scena non c’è → Ronconi mette in scena una didascalia verbale: le parole, tre, corrispondenti ai tre mondi, strutturate come elementi della scenografia che si possono usare sul palco → Atene, Foresta, Luna. Per quanto riguarda la terza parola, Luna, quella che evoca il teatro, Ronconi sovrappone un’idea interessante → la luna è l’argomento su cui discutono gli artigiani: vorrebbero un oggetto scenico e nel corso del dibattito si dividono tra chi vuole usare la luna, la realtà, e chi un gioco di lampade, l’artificio. La luna è così la cifra di un approccio collettivo registico. La realtà e l’artificio evocano il doppio mondo del teatro, e questa diventa la metafora principale della regia di Ronconi. Storia del Teatro e dello Spettacolo 55 teatro che non vuole essere verosimile, al contrario denuncia la sua finzione. Strehler allora ribalta le comuni considerazioni riguardo Re Lear: è un testo illeggibile, non irrappresentabile → inadatto alla scena nella quale la si cercava di incastrare con fatica. “E’ una tragedia che si inteatra” → Strehler ha capito il testo quando lo ha messo in scena. Il mondo è teatro, per WS, come il nome del suo teatro → un gioco vicendevole di metafora: il palcoscenico e il mondo, due valenze che rendono il teatro un tutt’uno col vivere → immediata identificazione. La scenografia è quella del circo-teatro-mondo, ad opera di Ezio Frigerio. Il fondo della scena è un tendone da circo: l’arena è composta di strati spessi di sabbia (un elemento che, lasciato da solo, rende faticoso muoversi → disperazione di Lear), gli attori passano su pedane, passerelle, usano sgabelli e vestono costumi con gorgiere, tessuti cangianti e trucco marcato che rimanda alla dimensione di finzione. Il circo è la vita di ciascuno di noi, il nostro numero di acrobazia → la metafora del teatro mondo si ritrova nel teatro di WS ed è un topos che si diffonde ampiamente. E’ il dato di teatralità, di non realismo, che sta a cuore a Strehler in questo lavoro di regia, comprensivo di 52 giorni di prove. Il senso attuale del personaggio è la rappresentazione di uomo vecchio che non accetta il cambiamento della sua vita e nella sua sfera privata e pubblica. Lear vorrebbe riaffermare la propria autorevolezza, che comincia a venire meno. La scena di apertura, love test, vede Lear intento a organizzare un rituale di sottomissione da imporre alle tre figlie alle quali aveva deciso di destinare il regno. Le prime due approfittano per mostrarsi ipocritamente suddite del padre con esagerata cerimonialità, mente la terza rifiuta di recitare e dichiara semplicemente di provare per il padre l’affetto che una figlia può avere. Quando Lear caccia la terza figlia indignato, cala un velo nero sulla scena: la stessa oscurità che rende cieca la mente di Lear. → https://www.youtube.com/watch?v=fLmQqJl-hNw Il personaggio del fool, è indispensabile. Lear vaga, abbandonato dalle ipocrite figlie maggiori, scacciato da ogni villaggio, peregrino e solo ma accompagnato dal fool, un ruolo presente nelle compagnie elisabettiane. Un personaggio con una funzione indispensabile, a sostegno del Re → il fool è in scena quando Cornelia non c’è, sparisce dalla scena quando Lear si riconcilia con il padre. Il fool è presenza del bene che si è allontanato. Vestito come vero clown, egli è la presenza rasserenante, che sostiene il re nel momento di massima crisi. → https://www.youtube.com/watch? v=fLmQqJl-hNw Per Strehler la tempesta atmosferica è una tempesta interiore → la recitazione deve investigare l’aspetto interiore e psicologico del dramma del re. In questa scena Strehler usa lo stratagemma della didascalia, per costruire la Storia del Teatro e dello Spettacolo 56 tempesta. Il mantello di Lear è il pesante fardello che lo rende pazzo e via via, raggiunto l’apice del tormento, viene abbandonato. Nel finale, Lear ritrova la figlia minore morta e grida di dolore in mezzo ad un’arena di sabbia spoglia. → https://www.youtube.com/watch?v=IRbut4BpvKM 4. L’ultima stagione di WS è quella dei Romances o drammi romanzeschi e corrisponde anche all’apertura di un nuovo spazio teatrale → i King’s Man lavorano dal 1608 circa al Blackfriars Theatre, il refettorio di un convento in disuso dei domenicani a Londra. La struttura del luogo è differente: una stanza al chiuso, piccola, con una breve distanza tra palco e pubblico, un pubblico elitario di corte. Il Blackfriars si trovava dalla parte del Tamigi che apparteneva alla city, e le sue rappresentazioni teatrali incontravano qualche ostacolo. Utilizzavano in contemporanea anche il The Globe, più popolare, con un calendario e un repertorio diverso. Al pubblico del Blackfriars sono, dunque, dedicati i Romances → testi a lieto fine, con accompagnamenti musicali a volte, amori avventurosi e ambientazioni favolistiche o leggendarie, esaltazione dei valori positivi → questi motivi andavano incontro al gusto aristocratico. Racconto d’inverno, Pericle, Cimbelino, La Tempesta. Il più importante è The Tempest, 1611 circa: una storia del tutto inventata da WS, il suo ultimo testo, e di impostazione metateatrale, basata sull’equivalenza Prospero=Shakespeare(=Strehler). Prospero, mago e demiurgo, confinato su un’isola, prende il dominio dei suoi abitanti e dispone a suo piacimento delle forze della natura → si vendica sul fratello fedifrago e i simpatizzanti che passavano navigando nei pressi dell’isola. Una vicenda d’amore imprevista gli apre gli occhi sull’insensatezza della vendetta e perdona i suoi nemici. La meta-teatralità domina tutto il testo di WS: l’isola è il teatro/mondo. Strehler concepisce il suo lavoro su questo testo guardando a Prospero come al regista (cfr la bacchetta magica che imbraccia per tutta la scena che rappresenta la bacchetta del regista), che agisce sull’isola come se fosse un palcoscenico e mira a recuperare il rapporto con il mondo. Emerge il tema del perdono e del rapporto con il reale. Debutta nel 1978, ed è costruito su due assi tematici: il teatro come capacità di trasfigurare il reale (incantesimi di Prospero); il percorso di consapevolezza del protagonista, corrispondente a quello del regista nei confronti della realtà: il teatro deve tornare ad accettare il reale >>>> La scenografia è allestita davanti agli spettatori, per mostrare agli spettatori la teatralità e la finzione. La scena è essenziale: arena di sabbia, botole, una pedana-isola-palcoscenico, un fondo retroilluminato, un telo azzurro a simulare il mare, un altro telo che cala dall’alto. Il filmato è curato da Storia del Teatro e dello Spettacolo 57 Battistoni e fa confluire la scena e il fuori scena, per mostrare come erano realizzati gli effetti sonori, di luce e di scena. Prospero è impersonato da Tino Carraro, ed incarna diversi prototipi umani: il padre, il duca, il mago, il regista → mondi concretizzati in simboli che porta con se: bacchetta, libro, mantello. 15 marzo Se in Italia il mercato teatrale è tutto concentrato sulla commedia d’autore, in Europa il professionismo porta allo sviluppo della drammaturgia. Non solo in Inghilterra, ma in Spagna e Francia: è’ ritenuta l’età di massima fioritura di queste nazioni → età elisabettiana, siglo de oro (600), le grand siecle. Questa è una differenza fondamentale con l’Italia, dove la drammaturgia non esiste. La drammaturgia, il teatro di parola, diventa indispensabile anche per la letteratura. Comedia Nueva In Spagna, questa fioritura contrasta con l’involuzione storica della nazione → la Spagna sta affrontando un periodo di involuzione politica ed economica del sistema. Il teatro, tuttavia, ha uno sviluppo peculiare e raggiunge gli apici della storia del teatro in Spagna: molti sono i centri cittadini che vivono la fioritura del teatro. Una caratteristica unica è che il teatro medievale continua lungo tutto il 600 con una grande attrattiva, ma contemporaneamente si sviluppa un teatro profano basato su un circuito di compagnie professioniste, nomadi per città, recitando da testo scritto prodotti da autori per la compagnia. Il mercato teatrale assorbe l’inventiva degli autori spagnoli e la richiesta di questo mercato è altissima. L’autore è uno scrittore professionista che vende i suoi testi, ma lo vende per un certo numero di anni (di solito 5 anni), dopodichè l’autore può rivenderlo o pubblicarlo. Il teatro è a pagamento. Le compagnie si stabiliscono in luoghi per tutto il tempo in cui lavorano ad un testo. Nelle compagnie appaiono attrici donne: probabilmente l’influenza delle compagnie italiane in tournèe. Tra i generi più richiesti, la commedia → tanto che l’edificio teatrale è detto Corral de comedia. L’edificio teatrale è molto distintivo e originale: corral, luogo chiuso, recinto → una parola che svela l’origine del luogo: un edificio riutilizzato con scopo teatrale, adibito originalmente ad essere un’abitazione, chiuso sui quattro lati, (come in Inghilterra). La pianta rettangolare permette di distinguere la collocazione del pubblico in senso sociale. Il Corral viene poi edificato appositamente per la rappresentazione teatrale. La pianta è rettangolare, uno dei lati corti presenta il palcoscenico, profondo con diverse porte e piani → ciascuna rappresenta un diverso tipo di ambientazione. I drammi del 600 spagnolo richiedevano cambi di scena vari e rapidi: non sarebbe possibile senza una struttura Storia del Teatro e dello Spettacolo 60 essere preso dentro → non è un atteggiamento accettabile dal mondo del 600: Calderon lo fa morire sul palco con un proiettile vagante → non si fuggono le responsabilità. Questo è l’unico del 600 spagnolo che arriva nei repertori italiani. Il tema del sogno-vita ha una valenza meta-teatrale. Il soggetto sognante valuta quello che gli capita così come lo spettatore valuta lo spettacolo che osserva. Nel 2000, Ronconi dirige il Piccolo di Milano dopo Strehler, fino al 2015. Lo spettacolo d’esordio di Ronconi al Piccolo e lo spettacolo d’esordio del Piccolo come teatro drammaturgico → La vita è sogno, il suo biglietto da visita in Italia e a Milano. Questo testo è costruito su una doppia equazione sogno-vita, vita-teatro, due spettacoli che chiamano in causa il giudizio del visionario-spettatore. La critica ne parla come spettacolo da opera lirica, di grande dimensione e grande presa spettacolare. Ronconi cerca di risolvere il problema della scena multipla che c’è in Calderon, attraverso alcuni giochi: botole, sipari, praticabili spostati a vista, pedane semoventi. La prima scena è l’arrivo di Rosalia in groppa all’Ippogrifo, viene disarcionata e scende dalla montagna e s’imbatte nella torre. Ronconi inventa una struttura con basculante e un cavallo, su pedane semoventi che restituisce l’idea di una struttura barocca, ma esclude una scenografia più verosimile, che sarebbe risultata fuori luogo e di poco impatto. La recitazione mantiene la polimetria originale del testo spagnolo → per Ronconi, la ritmicità diversa può avere attrattiva anche per lo spettatore contemporaneo. La regia di Ronconi nel II atto (risveglio di Sigismondo nella reggia) segna un vero teatrum-mundi e teatro nel teatro → Sigismondo è sottoposto ad un esperimento che per il Re è proprio un esperimento di teatro nel teatro: Sigismondo è un inconsapevole attore che viene giudicato, come se si trattasse di un esperimento psichiatrico e mira a realizzare il fallimento, motivato solo allo scopo di mettersi a posto la coscienza. La scenografia non mostra nè una reggia nè una stanza, anzi un ambiente asettico con i dignitari vestiti da infermieri attorno ad un letto-ring centrale → esperimento psichiatrico. L’unico che parteggia per Sigismondo è Clarino, tenuto sempre in scena (novità: in Calderon entrava e usciva), in osservazione su una sedia per tutto il tempo → è la guida per lo spettatore reale. E’ colui che segue lo spettacolo di Sigismondo per trarne un insegnamento. La scena di Ronconi è un letto-palcoscenico che diventa un ring (parapetto di metallo) in cui misurarsi con gli altri, sul quale Sigismondo vive quello che poi pensa di aver sognato. Clarino è il personaggio determinante e nel dialogo del III atto, egli si definisce il ficcanaso, l’intruso, il voyer → chi spia qualcosa che non gli compete → lo spettatore, che va a teatro per vedere qualcosa rispetto a cui rimane esterno. Clarino morto rimane sulla scena, così come lo spettatore è sempre presente anche se muto. Ed è Clarino che Storia del Teatro e dello Spettacolo 61 dirà la frase finale rubando la scena a Sigismondo: la vita è un sogno e i sogni, sogni sono. 17 aprile Le grand siècle In Francia nel 600 vede uno sviluppo culturale pari agli altri stati d’Europa. Lo chiama un periodo di grande fioritura, il grande secolo, in riferimento all’eccellenza dei risultati artistici ottenuti a livello culturale nazionale. Rispetto alle altre nazioni, in Francia il teatro si sviluppa in parallelo con la poetica italiana → l’eredità del rinascimento italiano e il suo recupero di forme classiche e latine è fortissima, in particolare nell’ambito del teatro >>> Forse per questo il genere della drammaturigia risulta un genere letterario associato ad una affinità culturale, dove in altri paesi era un’attività commerciale (cfr Spagna). Il teatro in Francia è un luogo privilegiato di dibattito di tematiche politiche, religiose, sociali. Se ne occupa la classe colta e aristocratica, gli intellettuali → interessanti al testo (alle edizioni e conseguenti commenti, critiche) sia all’allestimento, in quanto espressione artistica. Lo spettacolo diventa la traduzione visiva di un testo con finalità culturali e suscita come tale l’interesse della capitale e della corte. Il sistema teatrale francese vede una grande capitale, Parigi e una provincia che rincorra i gusti di quella, in dimensioni più modeste → doppio canale di produzione: i teatri di Parigi e il centro produttivo della Corte, sopratutto durante gli anni del Re Sole → lo spettacolo è un rito mondano delle classi colte e della corte Parlare di teatro nel 600 francese vuol dire penetrare il fil rouge della cultura nazionale. Due eventi fondamentali: → 1635, fondazione dell’Académie française, per il controllo della lingua e scrittura letteraria francese, che interviene indicando norme e precetti da seguire affinchè la letteratura esprima i valori culturali nazionali. Uno dei primi ambiti in cui viene chiamata in causa è nel 1637, in riferimento ad un testo teatrale: scandalo (querelle du Cid) della tragicommedia de Il Cid, di Corneille → un evento che investe tutte le classi intellettuali del secolo. Corneille è criticato di aver costruito un testo immorale, dove una donna sposa l’assassino di suo padre, una storia che comprime entro i termini di pochissimi giorni un’insieme di vicende complesse che così sono ridotte all’osso; in più, lo si critica di non aver rispettato le unità di tempo e spazio, agendo per compromesso → un discostamento semantico e testuale dei canoni. Notiamo la grande considerazione che la classe dirigente riservava alla composizione teatrale: non era mai successo in Inghilterra e in Spagna. → 1680, nascita della Comédie Française → il primo teatro stabile finanziato dallo stato, che arriva ad avere una sua regolare programmazione in Europa. Il re stanzia Storia del Teatro e dello Spettacolo 62 una parte delle finanze del regno per finanziare gli spettacoli di questa compagnia, affinchè questa rappresenti le migliori opere del teatro francese (selezione di testi → modello di scrittura che la Francia vuole sia interprete dei propri valori). Da evento commerciale a evento culturale da promuovere. (In Italia, questo succede nel 1947). Con teatro stabile, tecnicamente, s’intende centro di produzione finanziato stabilmente → non si tratta di un teatro permanente. Due generi principali: tragedia e commedia. La commedia fiorisce sopratutto nella seconda metà del secolo e sarà modello di riferimento per il resto della produzione europea. Molière (1622 -1673). Lavora attraversando tutti i fenomeni: professionismo, rapporto con gli intellettuali e con la corte e il sovrano. Fu drammaturgo, attore e uomo di teatro: un uomo che scrive per la sua compagnia, di cui è capocomico e che recita nelle stesse commedie che lui compone. Un artista che riesce a coniugare l’invenzione geniale con una profonda conoscenza pratica dei meccanismi del fare teatro, padronanza dei tempi tecnici e della costruzione del personaggio. Molière viene da una famiglia borghese che gli ha assicurato un futuro tranquillo. Si chiamava Giambaptiste, figlio primogenito di un artigiano al servizio della corte → viene fatto studiare nelle migliori scuole parigine, in prospettiva di un lavoro che lo avrebbe messo a contatto con l’alta società. Viene fatto studiare legge. A vent’anni la svolta: si innamora di un’attrice, Madelleine e dedica la sua vita al teatro → scelta radicale testimoniata: rinuncia ai beni di famiglia, li lascia al fratello e cambia nome, per non compromettere il nome della famiglia. Fonda una prima compagnia, Illustre Theatre (1644) e percorre la provincia per anni → apprendistato importante, tra cui l’incontro con la Commedia dell’Arte. Colpo di fortuna, 1658: il fratello del re, Monsieur, propone loro di recitare a Parigi sotto sua protezione → decollo della compagnia: scrive per la corte, ha un suo teatro in città, viene protetto dal re (Troupe du Roi). Negli anni ‘60 mette a frutto una produzione di commedie che diventano modelli fondativi. Prima di questa produzione, scrisse una serie di (1) farse, che risalgono al tempo in cui la compagnia girava in provincia e continuavano ad essere messe in scena negli anni successivi → sono composizioni brevi, che risentono della Commedia dell’Arte e del Rinascimento italiano per quanto riguarda alcuni espedienti (equivoci, conflitti amorosi, ruolo dei servi, satira di intellettuali e medici). Dalla commedia italiana, viene sopratutto la prevalenza del servo, Sganarelle, la parte che era recitata da Molière. Titoli: il Matrimonio per forza, l’Amore medico, il Medico suo malgrado. Il salto di qualità si ha all’inizio degli anni 60 con la (2) prima commedia di costume, di ambientazione contemporanea, che va a colpire le abitudini e le Storia del Teatro e dello Spettacolo 65 affascinante e spregevole → in Mozart elementi drammatici si coniugano con elementi patetici e comici: la gioia di vivere, la forza dell’amore, non può vivere se non amando ed è indispensabile far si che nuovi amori nascano continuamente. Il pubblico lo condanna ma non lo disprezza più. Giovanni è un libero pensatore e questa è una sfida al sovrannaturale (Statua del Commendadore) → l’uomo nuovo che spregia la dimensione metafisica: una forte immagine se pensiamo che siamo al contesto storico e culturale della Rivoluzione Francese. Spettacolo del Don Giovanni, Mozart. Il libretto propone una lettura contemporanea, senza travisare l’opera di Mozart → rinnovamento dei messaggi del testo, con una strategia registica. Fil rouge del metateatro, a partire dallo strappo iniziale del sipario e lo specchio autoriflettente e ondulatorio. Utilizzo della macchineria teatrale svelata → la scenografia settecentesca non c’è e la suo posto un susseguirsi di sipari e palchi a diversi livelli. L’ambientazione è il teatro, una storia di finzioni e travestimenti → il costume è utilizzato in scena: si scelgono e cambiano nel proscenio. 5. Secondo Strehler, Scala 1987: Don Giovanni è costruito come l’opera dei contrasti di luce, la notte avvolge tutti con mistero; Giovanni è di “egoistica gioventù; gioco dei tre mantelli (oro, rosso, blu) L’avaro 1668, ricalcata sul modello classico di Plauto, Aulularia. L’avaro nasconde i suoi averi in una cassetta seppellita in giardino, poi rubata dal servo → una scena tipica della letteratura francese, riscritta paro paro dalla scena di Plauto: l’avaro chiede aiuto agli spettatori. L’imitazione di Plauto serve per comprarsi le simpatie del pubblico, tuttavia la commedia non piacque. Il suo avaro non è completamente stereotipico, ma è calato nella Francia del 600: è un borghese (in cui il pubblico può rivedersi), inquieto, che nasconde il suo vizio e tiene molto al giudizio della gente, ha ambizioni sentimentali e sociali (assenti in Plauto) → nel personaggio di Arpagone si ritrovano i punti deboli della borghesia del suo tempo, mentre il pubblico francese non voleva pensare nè vedersi riprodotto a teatro. Il tartufo o l’ipocrita (1664-1669). La commedia più problematica: ha tre versioni, a causa delle censure. Oggetto è la satira dei falsi devoti → delle associazioni religiose di laici, che si proponevano di essere guide edificanti per i parigini, quando in realtà vivevano in avidità e corruzione. Tartufo è un uomo che si introduce in casa di un ricco borghese, Orgone (rappresentato da Molière), si conquista la sua fiducia e lo inganna totalmente, se non fosse per la seconda moglie e i due figli, che salvano la situazione. Nella prima versione, non c’è lieto fine: la famiglia è sfrattata dalla propria casa. Una seconda edizione smaschera Storia del Teatro e dello Spettacolo 66 Tartufo tramite le guardie del re, tutrici di giustizia. Molière si dimostra coraggioso: scrive di temi spinosi all’interno della sua società. Il Misantropo L’ultimo filone sono le (4) comèdies ballet, commedie che consistono 1/3 della produzione di Moliere e sono commissionate per la corte di Versailles → prosa, musica e danza. Alla fine di ogni atto c’è un numero di ballo che coinvolge i personaggi della commedia, spettatori di un balletto offerto per una cerimonia. Si usa metterli in scena in occasione di cerimonie, su richiesta diretta del Re. Entra in collaborazione con altri artisti di corte. Rappresenta queste commedie, ridotte nella parte spettacolare, vengono proposte anche nel suo teatro. Tra quelle sopravvissute: il Borghese gentiluomo, 1670. Satira di un borghese che vuole trovare accesso nell’aristocrazia, coprendosi di ridicolo il Malato immaginario, 1674. L’ultima commedia di carattere. Argante è vittima di una malattia psicologica e psicosomantica, tale che non ha perso la voglia di vivere e cerca con malattie immaginarie di attrarre l’attenzione della famiglia. I balletti sono tentativi di farlo stare meglio. E’ un testo legato posteriormente alla biografia di Molière: l’autore recitava Argante e ad una delle repliche, a Versailles, si sente male davvero, mentre il pubblico ride. Molière morirà poco dopo, senza rinnegare la sua “peccaminosa arte” → non avrebbe avuto diritto ad essere seppellito secondo rito cristiano. 21 Marzo Il teatro all’Italiana E’ un fenomeno che ha a che fare con l’attività produttiva e il senso dell’andare a teatro. Volendo dare una definizione, è un modello architettonico di sala, nato dalle sperimentazioni di fine 500, che avrà molta fortuna a partire dal 600 fino a fine IXX, con un corredo di decorazioni che riflette l’idea di un teatro con gradi sipari, palchetti, e mondanità (→ Teatro della Scala) >> È un modo di fare teatro, un modo di guardare il teatro. Questo modello è una soluzione architettonica e spaziale per il luogo teatrale e corrisponde ad una modalità organizzativa del teatro e dello spettacolo che prevede una modalità di collocazione del pubblico in classi sociali ordinate → il rituale teatrale fino a Ottocento inoltrato diventa uno status simbol: andare a teatro affermava la propria collocazione sociale e ostentava le proprie ricchezze. Il teatro è in stretta correlazione con i fenomeni sociali e allora lo spettacolo segue il sistema di valori e aspettative del suo pubblico. Storia del Teatro e dello Spettacolo 67 In termini architettonici. Un teatro all’italiana ha una (1) netta separazione tra scena e pubblico → distinzione che nella sala 6/700 esca è marcata dall’arcoscenico, delimitando la zona del palcoscenico con la zona del pubblico. Zona dell’illusione e zona della realtà. Questa separazione porta a non avere mai un diretto collegamento tra la scena e lo spettatore → lo spettacolo non entra in contatto con il pubblico e mai lo spettacolo scende a contatto con gli spettatori. Secondo tratto generale: (2) la collocazione gerarchica e differenziata degli spettatori nella sala. Tra il 6/700, la logica amministrativa dello spettacolo è figlia delle categorie di pensiero dell’ancien regime → si predispone che tutta la società possa andare a teatro, senza che le classi sociali entrino in contatto → l’edificio spesso è una struttura di pregio, aperta a pagamento ai diversi ordini sociali. Ma per salvaguardare le distinzioni, ci sono i palchi per le classi più alte, la platea per la classe media e il loggione o piccionaia per la servitù e classe popolare. Terzo dato: accanto alla visione dello spettacolo, la (3) modalità d fruizione e l’ architettura dello spazio permettono la visione degli altri spettatori → visione della scena e visione della sala: si va a teatro per guardare ed essere guardato. Quest’ultimo tratto spiega lo sviluppo del teatro europeo come rito mondano dell’incontrarsi. I teatri di questo periodo vedono lo sviluppo di locali non destinati allo spettacolo, ma al rito che vi si accompagna (sale da gioco, foyer) → locali in cui ci si incontra prima, dopo e durante lo spettacolo: ciò è permesso dagli ingressi privati ai singoli palchi. L’architettura dunque riflette la concezione sociale e politica del teatro. Quarto elemento: il fenomeno interessa anche la (4) mentalità e gli orizzonti di attesa del pubblico. Si chiama all’italiana anche nelle altre nazioni ed il motivo è che i primi sviluppi vennero alla luce in Italia, prima di essere esportato in tutti i paesi europei. In Inghilterra, ad esempio, dopo la riforma protestante, i teatri sono ricostruiti secondo questo modello. Ma perchè nasce in Italia? Nella sala di corte rinascimentale, gli spettacoli erano messi in scena in luoghi decorati per l’occasione. Nella seconda metà del 500 si comincia a destinare un salone specifico come salone da spettacolo → il palazzo dunque ospita permanentemente uno spazio teatrale >>> Si cerca di distinguere in maniera netta uno spazio scenico, per lo spettacolo, e uno spazio reale, per il pubblico → quest’ultimo è disposto in uno spazio che ricalca il modello a gradinate ad anfiteatro di Vitruvio, ma gradualmente si comincia a modellare lo spazio, aumentando la pendenza → facilitare la visione. Si introduce un palchetto distinto per il principe. Si usa la platea per gli intermezzi. Si sfrutta la presenza di retropalco, sottopalco e soffitta. Vediamo ad esempio il teatro Farnese del 1618 a Parma: il primo di cui abbiamo testimonianza diretta. Storia del Teatro e dello Spettacolo 70 parte spettacolare, visiva, perchè sa che sarà straordinariamente attrattiva per il pubblico. Data di svolta: 1637, Venezia, Teatro San Cassian, primo teatro pubblico in Italia ossia teatro a pagamento aperto a pubblico diversificato purchè capace di pagare. E’ un teatro impresariale destinato a spettacoli di melodramma, realizzati da un impresario che affitta il teatro dalla famiglia proprietaria dell’edificio ed investe nello spettacolo a fini di lucro. E’ un fenomeno di grande successo, i teatri si moltiplicano → nasce la stagione, il periodo in cui il teatro si apre alle rappresentazioni. A fine 600, si hanno stagioni di maggior afflusso e minore, quando lo spettacolo offerto è meno sontuoso (di solito in questo periodo si affitta il teatro ai comici dell’arte). L’Italia settentrionale stabilizza un sistema di stagioni teatrali che sarà tale fino alla PGM → l’inizio dell’anno melodrammatico va dal 26 dicembre al martedì grasso di Carnevale. Questo è un momento di festeggiamenti per il pubblico che si reca a vedere melodrammi e a volte prosegue con i festeggiamenti con un ballo → è l’evento mondano della città. Nelle altre stagioni minori di primavera ed estate si collocano i cicli drammatici, stagione operistica e poi la stagione autunnale. Venezia aveva la concentrazione di teatri più alta delle città italiane, 6, grazie alle famiglie aristocratiche che vi investono. Tutti i teatri hanno nome di santo perchè edificati su terreni parrocchiali. Il teatro è fonte di guadagno e polo attrattivo. Si colloca riflettendo l’ordine gerarchico proprio dell’ancien regime. Il modello veneziano prevede l’invenzione della parete a palchi → che nel teatro all’italiana prevede dei divisori che isolano ogni palco, come spazio autonomo e personale, con ingresso specifico e ospiti che guardano lo spettacolo in maniera riservata, dialogando tra loro e osservando gli altri spettatori. Ricordiamo che la luce nella sala è sempre accesa (cfr il lampadario della Scala, a calata, illuminato con candele tutte le sere). Per aumentare la visibilità, la parete divisoria ha diversi orientamenti: il palchetto è prima fatto rettangolare, poi è posto radialmente. Nel modello di Giacomo Torelli per il teatro della Fortuna di Fano, la Storia del Teatro e dello Spettacolo 71 società 600esca è collocata nei palchi: il secondo piano di palchi era il migliore e ospitava al centro quello reale, più in alto si affittavano i palchi alla famiglia borghese (per l’intera stagione → appendice del salotto di casa). Giù nella platea, nella prima parte, vi era un recinto chiuso da una balaustra destinato all’orchestra (in una fossa tardo 800esca, da Wagner in poi). Segue una fascia di panche o sedie che si potevano comprare e a seguire era previsto uno spazio in piedi, amato da studenti e intellettuali, perchè aveva un costo modico e una buona visibilità. L’ultima parte in alto, la galleria o loggione o piccionaia, era non divisa, con posti indifferenziati: la sezione destinata al pubblico pagante di più bassa estrazione sociale e vi alloggiavano liberamente i servi che accompagnavano gli aristocratici. La curvatura della sala è un dettaglio importante e un grande problema, perchè vi dipende capienza, visibilità e qualità acustica. Le prime realizzazioni riprendo la pianta allungata vista nel Farnese (cfr, parete di palchetti con una pianta a U allungata), un altro modello simile è quella del San Giovanni Grisostomo sempre a Venezia. Ma la pianta a U allungata non garantisce la funzionalità massima e il problema della curvatura interessa tutto il secolo → tra le varianti, si parla di pianta ad ellisse tagliata oppure pianta a campana (cfr Teatro di Verona), ma la soluzione che ha più fortuna è la pianta a ferro di cavallo, usata per la prima volta a Napoli, 1737. Pianta a ferro di cavallo: un numero massimo possibile di palchi e la possibilità di avere buona visibilità e acustica, grazie alla posizione dell’invaso → pianta vincente del teatro all’Italiana e pianta della Scala: inaugurato nel 1778 e già famoso in Europa e nel Mondo. La sua costruzione arriva così tardi perchè a Milano era già stato costruito il teatro Reggio Ducale, nel Palazzo Ducale, legato alla corte ma pubblico e a pagamento, costruito in legno → brucia completamente nel 1776, ma l’amministrazione cittadina austriaca dell’epoca, decide di erigere un teatro fuori dalla corte, nel tessuto urbano. Si individua l’area di una chiesa sconsacrata, dedicata a Santa Maria della Scala, che era stata costruita da una duchessa della famiglia veronese della Scala. Il nuovo edificio è finanziato in parte dal governo e in Storia del Teatro e dello Spettacolo 72 parte dai cittadini → il governo è proprietario dell’area e dei muri perimetrali e dei locali di servizio, mentre la struttura della sala è pagata da una società dei panchettisti, formata dalle migliori famiglie milanesi che si autotassano → queste diventano proprietarie di uno o più palchi in base a quanto avevano investito: proprietà trasmissibili, compreso un canone annuale di manutenzione. E’ un teatro con uno status peculiare. Giuseppe Pierimarini è il progettista: pianta a ferro di cavallo; ribassamento del soffitto per l’acustica; perfetta proporzione delle parti; locali di ingresso destinati al rito sociale per la società milanese: foyer e spazio che prima ospitava una sala da gioco; stile neoclassico; struttura a palchetti tipica della Scala: locali di camerino in retropalco, costruiti su richiesta dei palchettisti, ossia piccoli locali di servizio (oggi ci si mettono i cappotti) che erano di proprietà ed era usato per cucinare, organizzare rinfreschi, raccogliere la servitù; i palchetti sono poi uniformati per decoro e tappezzeria, ma all’interno era possibile personalizzare il palchetto (→ appendice del salotto di casa); esistevano delle tendine per chiudere il palco dalla parte del teatro, per escludere lo spettacolo. E’ un modello di teatro dove la fruizione dello spettacolo è intermittente e il pubblico nei palchi aveva un molteplice interesse nell’essere lì → è uno spettatore distratto e intermittente, ma presumibilmente molto competente perchè frequentatore assiduo, se non altro allenato d’orecchio. 22 marzo Settecento teatrale Nel XVIII secolo tutti gli aspetti teatrali vengono in un qualche modo riformati: il teatro del secolo precedente non era più conforme alla società del 700. Si parla di riforme: riforma della commedia, del melodramma, delle modalità organizzative, della fruizione del pubblico → nascono da una consapevolezza tra addetti al lavoro e intellettuali riguardo la crisi della scrittura teatrale tradizionale (tragedia e Storia del Teatro e dello Spettacolo 75 educativo e culturale, deve essere fondamentalmente specchio delle vicende serie della vita. Deve trarre esperienza da vicende verosimili, in cui fosse possibile riconoscersi → rappresenta storie, vicende, modelli di comportamento, che rifletta la realtà a cui appartiene lo spettatore, in particolare riferimento al contesto settecentesco. La classe media è nel mirino → il personaggio deve appartenere alla classe media contemporanea (borghese, nel 700) e riflettere i suoi valori, per trarne degli esempi da recepire e applicare. Il testo andrà scritto in prosa: la struttura compositiva deve essere semplice e lineare e che la situazione presentata sia verosimile. Si rifiutano tutte le tecniche teatrali che prevedevano equivoci di scena che erano ritenuti dannosi per la fruizione. Sulla scena, dunque, si portano scene private, storie di sentimento e denaro, storie di famiglie borghesi → nasce qui la cellula base del dramma borghese: storia d’amore che diventa un’affare/contratto. I personaggi sono sulla scena con abitudini e costumi della loro epoca contemporanea, parlano un linguaggio contemporaneo: non un linguaggio aulico e in versi della tragedia, nemmeno un dialetto regionale tipico della commedia → non una lingua vera, una lingua verosimile. Diderot non si limita a dare indicazioni drammatiche, ma si occupa di impostare l’allestimento. Ne Il padre di famiglia (1758) e Il figlio naturale (1757), vengono messi in pratica elementi teorizzati. Lo scrittore dedica molto spazio alla didascalia → lunghe, precise, dettagliate: un’abitudine rara all’epoca (cfr Moliere, Goldoni). Diderot anticipa l’allestimento visivo nel testo. Inoltre, introduce lo spazio del salotto, dove sempre sono ambientate le sue scene. Nella didascalia di apertura del Padre di famiglia, lo spettatore si trova davanti un quadro ben articolato: l’ambiente, il salotto da conversazione (precisazione importante: il salotto in cui la famiglia riceve gli ospiti, il salotto buono → l’ambiente della casa, privato, dove la famiglia si mostra e dichiara il suo ruolo sociale); personaggi disposti su più livelli di profondità ed è una novità: il quadro che si presenta è tale che ciascun personaggio è impegnato in una scena pantomimica che rivela il carattere di ognuno. Codici visivi della recitazione spiegano le relazioni pregresse dei personaggi e gli spettatori hanno già un’idea della situ- azione. L’autore s’incarica di prescrivere l’idea teatrale non limitandosi al codice verbale, ma utilizzando anche pantomimica e sopratutto facendo appello a capacità specifiche dell’attore. Diderot suggerisce di concepire la scena come una stanza in cui manchi una parete, quella da cui il pubblico guarderà l’azione. E’ la prima volta che emerge l’espressione quarta parete, caposaldo della regia naturalista dell’800. E’ una decisione presa in funzione del pubblico che guarda, diversamente da quello che sarà per i naturalisti. Storia del Teatro e dello Spettacolo 76 Tra gli altri intellettuali contemporanei, alcuni prendono soluzioni vicine. Tra questi Goldoni, la cui riforma della Commedia si colloca negli anni centrali del secolo, tra 1748 e 1762 → superamento della Commedia dell’Arte. Anche lui prosegue verso un argomento più serio che comico. Nella prospettiva europea, Goldoni è capace di concretizzare l’esigenza della riforma della commedia presente in Italia fin dall’inizio del secolo. Goldoni non è, come tanti suoi contemporanei, un letterato che pensa di promuovere un teatro che si accosti alla letteratura, ma è un drammaturgo di mestiere, stipendiato da compagnie drammatiche veneziane che gli commissionano commedie che abbiano successo di pubblico. Il suo obiettivo è educare il pubblico ad un testo teatrale di ispirazione contemporanea e contenuto serio, con un testo interamente scritto, imparato a memoria dagli attori, nel quale il pubblico si possa riconoscere per via della verosimiglianza dei personaggi e dell’ambientazione → un modello di commedia seria, in cui alle vicende romanzesche si sostituiscono vicende semplici, che hanno come protagonisti la classe media veneziana ossia quella dei mercanti e che trasmettano i loro valori: onestà, laboriosità, capacità imprenditoriale. La differenza con Diderot sta nei due pilastri che Goldoni riconosce come base della sua riforma: il mondo e il teatro. Mondo, ricetta di Diderot: un teatro scritto, d’autore, di ambientazione contemporanea, con valori propri della prima classe veneziana, finalità educativa; Teatro, arte scritta al servizio del palcoscenico → l’autore è pagato da una compagnia e scrive avendo in mente per ciascun personaggio l’attore che lo metterà in scena (scrittura calibrata, su misura, una scrittura-sartoria, per evidenziare le capacità espressive e rendere efficace il personaggio). I limiti e i problemi degli attori, abituati ad andare in scena con maschere, sono superati da Goldoni rendendo facile ed efficace la recitazione dell’attore → non si bandiscono colpi di scena, escamotage, peripezie, vezzi: sono elementi che agganciano il pubblico. Per lo stesso motivo si mantengono in parte le maschere e i colpi di scena. L’uso di queste maschere, però, è moderato e calibrato sui nuovi ideali: (cfr Pantalone goldoniano, il buon padre di famiglia, mercante onesto, risolutore delle controversie familiari). Innovare il gusto del pubblico senza sconvolgerlo. Lessing, in Germania, 1722-1781. Finora la sua civiltà spettacolare era stata riflessa su quella degli altri e le compagnie recitavano testi importati dalla Francia. Un teatro nazionale parte con la metà del 700 in un clima simile: rinnovamento, nuove esigenze del teatro, ricezione dello spettatore. Nel 1767 apre il primo teatro stabile tedesco ossia finanziato dalle classi mercantili di Amburgo che aprono un teatro di produzioni per la città con un repertorio interamente tedesco. Dura solo due anni, ma avvia un processo che sarà ripreso. Il repertorio è, per volontà dei committenti, orientato a rispecchiare valori borghesi di quel pubblico, completamente Storia del Teatro e dello Spettacolo 77 estraneo al teatro di corte e al teatro basso delle compagnie itineranti → un repertorio selezionato tra i testi migliori esteri e testi di giovani autori tedeschi. Ad occuparsi del repertorio viene posto Lessing, che acquisisce la carica di damaturg, ovvero appunto il responsabile del repertorio, selezionare i testi e apporre adattamenti (tagli, spostamenti, revisioni). E’ un lavoro che permette a Lessing di conquistare grandi conoscenze drammaturgiche: le sue scelte sono contenute nella Drammaturgia d’Amburgo, un catalogo di recensione critica del lavoro messo in scena in quel biennio. La direzione delle sue scelte, va verso la costruzione di un teatro borghese, che risponda al pubblico contemporaneo. L’esempio principale è la commedia Minna von Barnhlem, 1767, un perfetto esempio di dramma serio e sentimentale: vicenda contemporanea privata, seria e sentimentale, ambientata nel 1763, con personaggi medi e borghesi tedeschi, con riferimento alla storia nazionale. Si narra di Minna e del maggiore Tellaim che viene congedato bruscamente dall’esercito per accusa falsa di corruzione. Si nasconde considerandosi indegno, ma Minna lo insegue → lui dichiara di non poterla sposare perchè non era alla sua altezza, Minna finge di essere stata diseredata, lui torna da lei, l’accusa si rivela falsa e il sentimento d’amore trionfa. L’aspetto comico è sempre calibrato all’appartenenza della loro classe. Nel 1983, Strehler recupera la commedia perchè affascinato dall’ intrico di sentimenti propri di questi personaggi, che appaiono molto moderni: due amanti orgogliosi; metafora della condizione esistenziale contemporanea. 28 marzo Carlo Goldoni In una prospettiva italiana, diede il contributo più importante al teatro riformato europeo. Il suo progetto di riforma non è il primo, ma quello vincente, incidente sul gusto del pubblico, perchè strettamente collegato al mondo del teatro e non solo un ripensamento teorico. Goldoni è un poeta di compagnia: un professionista a contatto di compagnie, traendo guadagno dal suo lavoro a teatro; un lavoro vincolato da contratto che lo obbliga a seguire il destino del testo preso nelle mani della compagnie: segue prove, tournèe, cambiamenti. Il lavoro di riforma, allora, è quello di un professionista interessato ad ottenere il consenso del pubblico. S’insiste, infatti, sul fatto che la riforma fu cauta: non doveva spiazzare il pubblico bruscamente. Venezia è una collocazione determinante nel contesto italiano → qui Goldoni vive il suo apprendistato. Laureato nel 1731 in legge a Padova, intraprende un’incarico avvocatizio, ma comincia a coltivare la passione del teatro. Dal 1734, collabora con la compagnia di Giuseppe Imer, la quale scrittura Goldoni come poeta di compagnia sopratutto durante la permanenza veneziana presso il teatro San Samuele → qui Storia del Teatro e dello Spettacolo 80 seduzione femminile ne esce rinnovata con un risvolto sociologico: la seduzione in atto è intellettuale e che non passa da un gioco di civetteria, al contrario ha delle note di autonomia che sono molto innovative. E’ l’ultima commedia scritta per Medebach e quando va in scena Goldoni ha già firmato un contratto con il San Luca, a Venezia (1753,1762): meno stretto di obblighi, benchè siano anni difficili e ostacoli non previsti → il palco è più profondo e la platea è più ampia. La compagnia è gestita impresariamente dalla famiglia Vendramin, ma subisce cambiamenti continui di organico e la tecnica usata con Medebach non funziona, mancando attori di riferimento. Inoltre, inizia la concorrenza di altri drammaturghi che imitano il suo modo di fare teatro, come avviene con Pietro Chiari e Carlo Gozzi. Goldoni dal 1760 si riprende: riesce a proporre in sequenza commedie di genere serio → non si ride, si sorride. Al centro c’è la decadenza della società veneziana → la classe borghese è nuova rispetto a quella di 10 anni prima, forza propulsiva: è ora una classe ripiegata su se stessa, conservativa del proprio status. Le commedie hanno un taglio corale; ci sono diversi elementi di analisi nei caratteri psicologici e sentimentali dei personaggi; gli individui appartengono ad un ambiente che li rappresenta. Un gruppo di testi che portarono la critica a parlare di dramma borghese. I rusteghi (1760), Una delle ultime sere di Carnovale (1762). L’esempio più alto di questa scrittura è La trilogia della Villeggiatura, scritta per la stagione d’autunno del 1762, fatta di tre testi autonomi (smanie, avventure, ritorno) che rappresentano tre fasi della stessa storia: due famiglie borghesi assorbite dal desiderio di imitare le abitudini dell’aristocrazia per quanto riguarda le spese di villeggiatura → fenomeno che nel 700 diventa moda borghese: si trasferivano in case prese in affitto con lo scopo di ostentare uno status sociale che non possedeva. In questo contesto, Giacinta, una ragazza autonoma e intraprendente, vogliosa di mondanità, si vuole trasferire in villeggiatura con padre e promesso sposo. La seconda commedia vede il trasferimento in villeggiatura e novità amorose. La terza commedia, Livorno: le famiglie sono tornate in città e Giacinta sposa il fidanzato che non ama → il ritorno mette in luce che Giacinta e Leonardo sono entrambi colpiti da un dissesto economico irreparabile: ogni tipo di iniziativa o mutamento è impossibile. Da questo punto di vista, la Trilogia è diventato il testo più rappresentato nel panorama goldoniano: Strehler ne colse le proprietà → 1954, uno spettacolo unico in tre atti che unisce le tre commedie, che fino ad allora era stata più letta che rappresentata. Ciò impone un lavoro di tagli e condense del testo, pur mantenendo la struttura delle commedie. Gli interessa giocare sul fallimento della borghesia: una commedia che preannuncia il crollo dell’ancien regime → Strehler usa un’ambientazione e uno stile di costumi vicina a quella della rivoluzione in fermento, 1789. Gioca sull’ambivalenza, tra crisi della protagonista e crisi della società: Storia del Teatro e dello Spettacolo 81 Giacinta è un perfetto personaggio borghese, che non si ribella ad un amore sbagliato in nome del rispetto delle convenienze e dell’immagine del nome della famiglia. Dal punto di vista registico, è un capolavoro di Strehler. L’idea della crisi, parabola delle tre commedie, è trasposta come successione delle stagioni. Seguono tre ambientazioni, tre ritmi, tre coloriture di luci e tre recitazioni diverse → lo spettatore nota il cambio di tono e fase. 1. primavera, stagione di speranza, ritmo rapido e comico, recitazione farsesca e spensierata, luce diretta e chiara: frenesia della partenza. La scena è costruita da Ezio Frigerio: un interno borghese apparentemente armonico. 2. estate, esplosione di passione e comprensione dell’impossibilità; 3. autunno, completa disillusione: ritorno dalla villeggiatura; ambiente funereo; scena → luogo di passaggio in casa altrui. 29 marzo La rielaborazione di Strehler è spettacolaristicamente molto peculiare: la stesura del suo copione, con tagli calcolati e sapienti, diventa un modello di drammaturgia. L’amore di Gacinta è destinato a fallire così come la parabola della borghesia che tenta di vivere aristocraticamente. L’assunto critico alla base della regia è rappresentato dall’alternanza di ritmi e stagioni, come abbiamo visto. Un aspetto suggestivo è legato all’estate: qui si colloca la scoperta della passione che Giacinta ha per Guglielmo e la contestuale impossibilità di fioritura del loro amore. Il regista progetta una terrazza assolata, davanti ad una campagna che si snoda lontano dai personaggi, un fondale olografico irraggiungibile e i personaggi sono divisi da un parapetto, una siepe leopardiana. L’atmosfera è asfissiante e calda, rallenta i movimenti e sfinisce i comportamenti delle persone, nonostante la passione che brucia dentro i loro petti. La lettura del personaggio Giacinta: colei che vorrebbe uscire dalle convenienze ma si stente intrappolata da vincoli che lei stessa si è imposta e sceglie per se l’infelicità, come se non ci fosse alternativa. Attenzione al gioco delle luci, dei ritmi → è una delle prime occorrenze in cui si esprime il realismo poetico della regia di Strehler. Cfr Atto II, momento apice della vicenda: Guglielmo ferma Giacinta per avere un incontro (nel testo di Goldoni si svolge in un boschetto), siamo su una terrazza assolata, due tazzine di caffè rimangono sul tavolo, rimasuglio di una merenda festosa alla quale Giacinta partecipò con sofferenza. Si dichiarano amore, ma subito l’onorabilità delle apparenze rende impossibile lo stare assieme. Appare Leonardo, Giacinta ricade nella sua condizione di promessa sposa. Il personaggio borghese non dichiarerebbe facilmente i suoi sentimenti, in Goldoni, mentre qui si dichiarano, ma subito il Storia del Teatro e dello Spettacolo 82 processo si blocca: sono entrambi infelici senza soluzione → il sentimento è espresso, ma l’individuo rimane imbrigliato. Strehler fa rallentare il ritmo, corrispondente alla spossatezza del clima e la direzione registica gioca con la prossemica e l’ambiente → la scena solo complessivamente può definirsi realistica: non è una scena naturalistica dettagliata. Seleziona alcuni elementi e li colloca in una scena che abbina elementi teatrali. Le strutture sono vagamente settecentesche, il fondale è dipinto, l’ambientazione e l’arredo è selezionato (cfr mancano le sedie, c’è una tovaglia con due soli oggetti). La poetica personale, realismo poetico, trova qui realizzazione → secondo Strehler la ricostruzione realistica fotografica, finisce per risultare volgare e poco significativa per uno spettatore, che si perderebbe in un quadro complessivo. Il teatro deve filtrare gli elementi della realtà, scegliendo quelli funzionali alla trasmissione di alcuni significati. Alcuni particolari, affinchè il singolo dettaglio possa caricarsi di un significato ulteriore, poetico, capace di evidenziare un valore simbolico che si associa al passaggio → cfr tazzine di caffè: rimasuglio di una strana merenda. Solo Giacinta interagisce con le tazzine, mentre dichiara con se stessa di aver voluto fortemente un fidanzamento, non sapendo che l’amore era un’altra cosa → rovescia le due tazzine di caffè: Giacinta già sa che quell’accoppiata è destinata al rovesciamento. Lo spettatore vede così un amplificazione del significato del gesto: Giacinta sta attaccata all’albero dell’ombrellone, mentre parla con Guglielmo → un punto saldo, fermo, che nella vita di Giacinta non c’è. Strehler va oltre la battuta, visualizzando i significati nascosti. Nel III Atto, similmente, l’autunno è molto piovoso: i personaggi entrano in scena con mantelli di tela cerata, luci cupe, recitazione che va spegnendosi, battute che vengono sospirate → un mondo che non ritrova una sua collocazione, raffreddato, umido, piovoso: non rimane che prendere atto del suo fallimento. Strehler unifica l’ambientazione in un solo passaggio: un corridoio in casa di una delle ospiti della villeggiatura, Costanza, che la proprietaria sta smantellando (è una delle tante ambientazioni che invece usa Goldoni) → il non-luogo è il contenitore adatto per evidenziare la condizione esistenziale dei personaggi. Lo spessore realistico del testo di Goldoni è così ben percepita → nasce un filone di studi di critica goldoniana, che aveva proposto già da due anni una nuova chiave di lettura, a partire da una originale messa in scena della Locandiera di Visconti. Quest’ultimo e Strehler insegnano agli accademici una nuova prospettiva su Goldoni → prospettiva che oggi è un punto di riferimento: il teatro dei classici offre agli artisti contemporanei delle prove di confronto che permettono di aprire nuove ipotesi interpretative che dalla scena si trasmettono agli studi. Storia del Teatro e dello Spettacolo 85 madre” alla risoluzione finale, quasi sempre lieta, ma che comunque soddisfa lo spettatore tenendolo attaccato al palco scenico senza preoccupazione di noia: ritmo incalzante e dialogo brillante. I nomi sono sconosciuti: il più grande autore di piece è Eugene Scribe, a livello europero e dopo di lui Victorien Sardou, autore di Tosca ad esempio. Dopo di loro, Georges Feydeau, commedia della belle epoque. Il teatro invisibile è letteratura, teatro di cultura scarsamente rappresentato: tragedie romantiche, dramma romantico → Schiller, Goethe, Byron, Manzoni, Hugo (l’unico che fa eccezione: ha un teatro di forte impegno, ma riesce ad avere un forte successo con Hernani nel 1830: sintesi tra comico e tragico; una scrittura in versi; esplosione delle passioni, in particolare dell’unico protagonista; esaltazione spazi aperti; nazionalismo come ricerca di medievali identità linguistiche e culturali → coerente con la poetica romantica, ma lontana dal dramma di successo). I generi commerciali hanno successo perchè il sistema organizzativo è legato agli attori e ai capocomici, ai quali è destinata la scelta del repertorio, salvo eccezioni. La compagnia capocomicale (di tipo privilegiata oppure nomade): tutta l’Europa vede un teatro gestito privatamente dalle compagnie, nomadi tra le città, affittando un teatro trattando con un impresario e poi gestendo autonomamente il repertorio confrontandosi solo con la censura, che doveva approvare il copione previamente. In questo sistema, l’istruzione dell’attore consiste nell’apprendistato sul campo e nell’imitazione dei colleghi più anziani. I repertori consistono in una rosa di 20/30 titoli e la compagnia presentava il suo ciclo di recite e cambiava spettacolo quasi ogni sera: la replica, rara, si faceva o per la novità o per il grande successo dell’attore. L’aspirazione massima di una compagnia era essere compagnia privilegiata, sovvenzionata da uno stato, protetta e finanziata da un sovrano. In Italia i sovrani della restaurazione ritenevano utile alla loro immagine di impegno culturale sostenere una compagnia teatrale che proponesse un modello di teatro di morale controllata. La compagnia del regno di Sardegna, con sede a Torino, la Compagnia Reale Sarda, ad esempio, che durò fino a che Cavour ne tagliò la sovvenzione in quanto spesa inutile, 1855. Com’era possibile andare in scena in maniera decorosa, visti i cambi quotidiani di testo? La compagnia era divisa in ruoli. Ruolo, in senso proprio, sta per una categoria di parti affini in cui l’attore si specializza: i contratti venivano fatti per ruolo. Nel linguaggio comune, il ruolo è confuso con la parte, ma in senso teatrologico la parte è l’insieme di battute riservate ad un singolo personaggio, il ruolo è il personaggio o la categoria di personaggi per cui l’attrice è scritturata (cfr l’amorosa). Per un’attrice era fondamentale contare sul ruolo, perchè le parti sono affini e i personaggi possono essere resi sulla scena con atteggiamenti e pose simili → la tecnica di preparazione e resa è simile, altrettanto i costumi sono simili (ed erano a Storia del Teatro e dello Spettacolo 86 carico dell’attore), come lo sono le tecniche recitative e le mimiche. L’attribuzione del ruolo è anche determinato dalle proprie caratteristiche fisiche (le fisique durol dell’attore principale) E’ l’epoca dei bauli personali dei costumi: l’attore si compra i costumi ed essi sono sua proprietà personale. Il ruolo era tendenzialmente mantenuto per tutta la vita e non sono rari i casi in cui l’attrice continua a fare l’amorosa anche superati i 60 anni: il teatro dei ruoli è un sistema di gerarchie. (Ruoli più comuni: Primo/a attore/ice, caratterista, brillante, promiscuo, seconda donna, genitore nobile, generico) Sapere la parte a memoria era un obiettivo inarrivabile: il teatro dell’800 è fatto con l’ausilio indispensabile del suggeritore → un uomo molto modesto di proporzioni, che si collocava in una cupola sulla ribalta e lì seguiva tutto il copione, dando l’attacco all’attore quando non sapeva la parte. Per entrare in scena c’era il buttafuori, che indicava all’attore il momento in cui entrare in scena → questo perchè l’attore di ruolo impara solo la sua parte, studia solo quella e non sa cosa succede nelle parti degli altri personaggi. Gli allestimenti scenici sono molto modesti: fondali dipinti, con praticabili in dotazione del teatro, completati con arredi recuperati all’occorrenza. Il trovarobe, un’altro elemento indispensabile, l’addetto all’arredamento dello spettacolo e al ritrovamento degli accessori. Uno spettacolo nell’insieme molto approssimativo e retto dal talento dell’attore: l’ottocento è il secolo dei grandi attori. 31 marzo Dramma Borghese del II Ottocento La drammaturgia viene rinnovata nel primo Ottocento, ma sembra ad oggi sparito dalla memoria collettiva. Il dramma borghese è un filo sotterraneo che sembra dimenticato e riaffiora nella seconda metà del secolo, con un atteggiamento che riprende le caratteristiche 700esche e in parte le rinnova. Dal dramma 700esco, sono recuperate le (1) ambientazioni contemporanee e la relazione ambiente- personaggi → cambia il punto di vista: la rappresentazione dell’ambiente cede il focus all’introspezione della psicologia (2) del personaggio → (3) diminuisce l’azione di scena, prende spazio la situazione sociale e le conseguenze di questa nell’interiorità del personaggio. Il fine è abbinato ad una nuova funzione della drammaturgia: la conferma dei nuovi valori della società e la critica degli eccessi della formalizzazione degli stessi valori borghesi, soffocanti. Nel dramma 700esco, i primi drammi finivano per ribadire la validità degli schemi della borghesia: lo spettatore trovava nei valori rappresentati una conferma dei fondamenti della società in cui viveva. Al contrario, con il dramma borghese, (4) l’analisi è spietata e critica, le Storia del Teatro e dello Spettacolo 87 contraddizioni e le ipocrisie sono messe a fuoco → consente al dramma borghese di ricucire la forbice tra teatro rappresentato e non-rappresentato: è un prodotto di cultura che ha un sèguito e attira gli interessi della classe più alta. Gli intellettuali si riavvicinano al teatro rappresentato, vedendo una nuova modalità di traduzione scenica della realtà (→ questa nuova drammaturgia va di pari passo con l’affermazione della regia). L’autore più rappresentativo è Henrik Ibsen (1828-1906), norvegese, attivo nella seconda metà del 800. Per la prima volta si tratta di un autore del Nord Europa, fin ora privi di una loro cultura teatrale originale, ma vissuti nell’eco del teatro francese e tedesco. Ibsen inizia al servizio di testi d’importazione, per oltre un decennio → fa il dramaturg per i teatri di Oslo: repertorio e adattamento di testi stranieri, esattamente come per Lessing. Questo gli consente una grande conoscenza della drammaturgia contemporanea: gli da la possibilità di viaggiare in Europa, entrando in contatto con i filoni romantici e di drammaturgia. Negli anni 60 comincia a scrivere i suoi testi autonomi. Scrive drammi storici e inaugura un suo nuovo filone di drammaturgia → poemi drammatici, testi pensati per la rappresentazione, in cui l’aspetto formale e il dettato poetico è prevalente. Sono testi difficili che lo portano ad un grande insuccesso → una delusione che lo porta a riformare la sua scrittura. Imposta un modello di dramma borghese che lui definisce teatro-fotografia, messe in scena che riproducano direttamente e senza pietà la realtà contemporanea. Un teatro che riflette la società (norvegese) con tutte le contraddizioni e i contrasti, tra un ambiente sereno e un personaggio che vive delle sue imposizioni come prigionia per le sue aspirazioni autentiche. 1. 1878, Casa di Bambola → una grande popolarità immediata, nata dallo scandalo della vicenda: una giovane signora borghese, moglie di dirigente di banca, che rinnega la sua condizione, vive un tormento interiore ed esplode. E’ considerata una bambola, da suo marito, bellissima e da esporre agli ospiti → lei sopporta, conservando un segreto: un vecchio debito contratto falsificando firme, per curare il marito. Un usuraio viene per quel motivo a ricattare la donna, minacciandola di rivelare l’atto illecito. Nora è convinta che, nel caso, il marito l’avrebbe protetta per il fine nobile dell’atto → non è così e Nora ha una rivelazione importante: ipocrisia del marito, fine dell’affetto. Se ne va di casa → questo crea scandalo nel pubblico, anzi al dramma è attribuito un apparato femminista che Ibsen non intendeva porre. Con questo testo si impongono i nuovi caratteri del dramma borghese: attenzione all’ambientazione: la scena è un salotto (tipico di Ibsen, teatro del salotto) dove si uniscono la dimensione privata e pubblica della famiglia; Storia del Teatro e dello Spettacolo 90 un’anatra, in stato di prigionia dopo essere stata catturata in uno stagno) e in 1886, La Casa dei Rosmer, un testo passato anche nei repertori contemporanei per la dimensione psicoanalitica (conflitto dei due protagonisti, un pastore e la sua governante, rispetto al suicidio della moglie di lui) → continui elementi simbolici che fanno si che questo sia il testo che inaugura il primo teatro simbolista Francese. Negli anni ‘90, Ibsen approfondisce la scrittura dei personaggi, intercettando il mito della fine dell’800: il self-made man, finanziere di grande successo, spregiudicato capitalista. Sono gli ultimi drammi che si concentrano su queste vicende: l’azione è ridotta a nulla e il protagonista, centrale, deve fare i conti con un passato che determina la sua sconfitta, professionale e sentimentale. Molto forte è il tema dell’amore deluso e infelice per entrambi, che sciupa la vita dei singoli, minimizzando e sprecando i sentimenti autentici d’amore. Tra i tre titoli, John Gabriel Borkman, 1896: un fallito arrivato alla vecchiaia, dopo aver raggiunto da minatore il ruolo di dirigente di banca, diventando ricchissimo → la sua spregiudicatezza lo ha portato alla bancarotta. Il dramma si apre dopo il fallimento: vive in una casa con il resto della famiglia ma i membri non si incontrano mai. Appare una vecchia amante, lasciata improvvisamente per ottenere l’alleanza di un importante avvocato. Si è condannato all’infelicità per interessi personali e il punto focale del dramma è il confronto tra questi due, anche se non c’è più spazio per la soluzione. Il tempo ha consumato la vita di tutti: il passato è rimasto sospeso condizionando la vita di chi ha subito le scelte. Ronconi recupera nel 1982 questo testo esclusivamente per la televisione, puntando sui primi piani, l’uso della telecamera fissa e piano sequenze. Per lui si tratta di un dramma di vecchi e un dramma del tempo: tutti bloccati diversamente in un tempo ammuffito e sospeso, prossimo alla decadenza → visivamente, Ronconi annulla l’ambientazione del salotto, che è sostituito da profondi sipari di velluto verde da cui emerge qualche mobilio. L’interesse è sull’interiorità dei personaggi. Sviluppa, inoltre, un codice molto peculiare di recitazione: rallentata, che isola la parola chiave nella frase. Videoregistrazione completa su youtube e sul sito Lucaronconi. Il tema del dialogo è il tempo: un tempo sciupato che non ha portato nessun elemento costruttivo. 11 aprile Torniamo a parlare dello spettacolo del secondo Ottocento, con due fenomeni importanti. Il teatro d’attore e il teatro di regia: anime che abitano il teatro europeo e due modalità diverse, che hanno la capacità di attirare il pubblico e gli interessi culturali nei confronti del teatro → torna al centro del dibattito e vede l’investimento di diversi uomini di spettacolo per rinnovare il teatro. Storia del Teatro e dello Spettacolo 91 Fenomeno del grande attore. Nella seconda metà dell’800, sopratutto in Italia, si ha un periodo in cui lo spettatore va a teatro principalmente per vedere un attore in particolare → massima espressione: si trasforma in un’autonoma concezione dello spettacolo e della sua produzione. E’ un teatro in cui si distingue l’interpretazione del protagonista, ma è molto di più: uno spettacolo che nelle sue componenti è (1) finalizzata a dare spicco alla figura dell’attore protagonista, che quasi sempre è anche il produttore e capocomico. L’intero evento è centrato sulla presenza di una figura tanto carismatica da essere magnete d’attenzione. Ne deriva che tutto lo schema del testo è subordinato all’attore protagonista: utilizza spesso un testo letterario e famoso, facendoselo (2) adattare con tagli e traduzioni su misura affinchè esalti la sua interpretazione. Spesso si recuperano i classici: Shakespeare, tragedie classicistiche (Alfieri, Racine), ma i testi non sono originali → questi vengono adattati vistosamente, in modo da ottenere una partitura tutta concentrata sull’esibizione virtuosistica del grande personaggio. Gli interpreti italiani (Rossi e Salvini, Amleto) sono esempi estremamente convincenti e dotati di grandi capacità vocali, sopratutto per la (3) modulazione dei toni della voce e mimica gestuale di grandissima suggestione. Il gioco mimico, con sapiente utilizzo del (4) costume che l’attore crea per se stesso e utilizzo di accessori, aggiunte alla capacità di commentare il testo con cambi di ritmo e cadenza → elementi di grande fascinazione per gli spettatori: ipnosi dalla potenza scenica del grande attore (cfr Stanislavkji: concezione dell’attore dichiarata nelle sue memorie). L’inventiva e la creazione dell’attore diventano perno fondamentale dello spettacolo e tutti i codici sono al servizio di questo aspetto pregnante: la scena è fatta in modo da focalizzare l’attenzione sulla mimica e movimenti del protagonista; gli altri personaggi sono satelliti, elementi di spalla, con funzione pratica che costruisce un organico che talvolta è modificato a seconda del teatro in cui recita; tourneè internazionali, più che soggiorni fissi → vanno recitando in tutta l’Europa e Oltreoceano, presentandosi sempre con lo spettacolo in lingua italiana. Però in molti casi la compagnia era completata da attori reclutati sul posto che allora recitano nelle lingue nazionali. Ciò vuol dire che siamo lontani dal naturalismo, dal realismo di complesso, ma davanti ad un evento giocato sulla prova virtuosistica del protagonista, capace di proporre al pubblico una versione del personaggio unica e irripetibile, nata dalla perfetta immedesimazione (ma in realtà si tratta di un calcolatissimo gioco di partiture mimico-gestuale). Questo è il motivo per cui gli attori recitano spesso lo stesso testo (cfr Rossi in Storia del Teatro e dello Spettacolo 92 Amleto: pallido principe, malinconico, sensibile, romantico. Salvini in Amleto: vigoroso, potenza vocale, impetuoso nelle passioni (il suo attore tipico era però Otello). L’artista più applaudita è Adelaide Ristori, fino agli anni 90. Un personaggio di primo piano, che costruisce con calcolo la sua carriera sopratutto all’estero, a partire dal 1855 a Parigi. Recita in italiano, (anche se non sempre) costruendo spettacoli interamente centrati su di lei (era anche capocomico). Si faceva scattare delle fotografie che vendeva come cartoline dopo lo spettacolo → 1856, Medea: l’eroina greca è riadattata da un autore francese, riscattando l’immagine perturbante di questa donna straziata → nel suo finale, uccide i figli perchè teme che la folla di Corinto li voglia linciare, non per vendicarsi di Giasone. Lady Macbeth, una riscrittura al femminile di Macbeth: ciò che interessa a Ristori è mettere in scena la grande pazzia di Lady e la scena del sonnambulismo: è presentato come testo di Shakespeare ma non lo è, è una ricreazione d’attore. Il successo del grande attore va scemando negli ultimi 20 anni dell’800. Avanzano le prime critiche: il grande attore artisticamente è intoccabile, ma la fedeltà filologica e valoriale del testo viene meno. Risponde a questa carenza una nuova generazione di artisti, tra la fine dell’800 e i primi 20 anni del 900. Ancora in Italia, Eleonora Duse: condivide con gli attori della generazione precedenti alcune caratteristiche: carisma personale tale da attirare il pubblico solo con la sua presenza; dimensione internazionale della carriera (1924, muore in tourneè negli Stati Uniti). Ma tra le differenze, ella mostra rispetto del contenuto del testo d’autore e segue un nuovo metodo di lavoro sul testo → gli artisti di fine Ottocento partono da una lettura attenta del testo e da un rispetto completo per la struttura delle battute: non c’è taglio violento drammaturgico, quanto un processo interpretativo del personaggio che va a sovrapporre significati a testi già noti. Duse si fa notare per questa sua capacità: interiorizza personaggi già presenti, dando un’interpretazione nuova e non scontata. Nei primi lavori su soggetti eroici femminili si mette in luce la sofferenza interiore: il testo viene letto con l’intenzione di andare a cercare un sottofondo malinconico di dolore trattenuto e rapporti irrisolti con gli altri, restituiti sulla scena con tonalità spezzate, sussurrati, risposte secche, sequenze mimico-gestuali. Nella prima foto, (Signora delle Camelie, 1890) Duse riesce a dare una versione che spiazza e commuove: Margherita ha una storia d’amore con Armand e viene poi lasciata da lui su invito del padre → invece di una brillante ragazza di mondo, Margherita con Duse è una ragazza tormentata quasi ritrosa e pudica rispetto al ruolo che le è chiesto di recitare (cfr la sua apparizione avviene attraverso un ventaglio). La sua storia d’amore è il riscatto, il sogno accarezzato ma troppo bello per diventare vero → la critica parla qui di dolorismo della Duse. La scena che figura è verso la fine, vicino al Storia del Teatro e dello Spettacolo 95 scena, per chi fa teatro e chi lo guarda. Diventa poi l’elemento trainante di tutta la civiltà teatrale novecentesca. Il teatro di regia pretende che ci sia un regista, artista non chiamato in causa nello spettacolo, ma che si prenda la responsabilità della creazione della messa in scena, elaborando le diverse componenti. Il primo aspetto è la (1) disciplina degli attori: la prima regia è percepita come antagonista rispetto al teatro degli attori e si cerca di anullare il divisismo delle primeattrici/primattori, ingaggiando attori giovani o dilettanti. Inoltre, è il regista a decidere le parti ed assegnarle agli attori. L’attenzione rivolta alla sinergia delle componenti fa si che diventano indispensabili le (2) prove, che diventano più lunghe, così da mettere a punto ogni componente dello spettacolo → il che vuol dire anche trovare spazi per la preparazione dello spettacolo (laboratori, scuole, sale prova). Agli attori sono chieste competenze culturali maggiori nel loro lavoro, il regista impone un tempo a (3) scenografi e costumisti (addetto allo spettacolo che prima non esistevano) → si crea un mondo più articolato di professionisti della scena che lavorano tutti coordinati nel medesimo progetto firmato dal regista. I primi esempi si hanno a partire dal 1874 e 1890, con una compagnia tedesca famosa, quella del Meininger. Attori dilettanti e semi-dilettanti, diretti dal duca Georg di Sax Meininger, appassionato del teatro e di realismo teatrale: finanzia a sua spese e mette in scena drammi storici curatissimi nei particolari, in modo da restare coerenti con l’età della scena rappresentata. Cfr Giulio Cesare di Shakespeare, per il quale il duca aveva studiato e viaggiato → la scena è in parte costruita secondo gli scavi archeologici di Roma. L’attore di Bruto era stato scelto perchè somigliava ai tratti di Bruto e non parla dal centro del palco → focus sul senso di dramma collettivo nella cultura romana. 12 aprile La nascita della regia segue la necessità di un’organicità: il regista si assume la responsabilità creativa dello spettacolo. La regia ha un orientamento storico- realistico, a partire dai Meininger, per raggiungere una coerenza filologia della resa del testo. Il passo successivo è la regia naturalistica: una messa in scena basata su una perfetta ricostruzione dell’ambiente, tale per cui lo spettatore possa riconoscere sulla scena uno spaccato di realtà il più vicino possibile alla sua quotidianità → tranche de vie. Nel 1887, a Parigi, Montmartre, nasce un teatro molto ridotto nella capienza, per opera di un operaio appassionato di teatro Andrè Antoine, seguace delle teorie di Zolà: vuole fornire un repertorio del tutto innovativo rispetto agli altri teatri francesi. Il saggio Naturalismo a Teatro, 1881, è un testo in cui Zola trasferisce al teatro una serie di principi che aveva ritenuto linee guida Storia del Teatro e dello Spettacolo 96 essenziali per il suo romanzo. Zola si scaglia contro le convenzioni che si scagliano ancora sul panorama e che sottraggono lo spettatore ad una dimensione di cultura, abbandonandolo solo ad un divertimento superficiale. I giovani autori naturalisti propongono repertori seri, ambientazioni contemporanee, con corrispondenze perfette nella realtà. Antonie fa propria questa tendenza trasferendola nella messinscena. I suoi (1) attori sono (semi)dilettanti e dunque disponibili a sperimentazioni di nuovi metodi ed è il regista a scegliere l’attore e ad assegnare le parti senza tenere conto dei ruoli, come era per i Meininger, attuando la rotazione dei ruoli all’interno della compagnia, a seconda dello spettacolo. Lo spazio teatrale consiste in una (2) sala privata cui si accede per inviti e abbonamenti. Il (3) repertorio è contemporaneo e comprende a volte testi sospetti alla censura. L’attenzione al testo dell’autore è tale che il (4) regista è servo dell’autore. Il punto focale è sulla (5) messinscena: deve restituire il messaggio voluto dall’autore nella stesura del testo. Riprodurre la vita reale nel modo più vicino possibile >> la recitazione si avvicina alla più naturale conversazione, con un ritmo che sia coerente con quello quotidiano, senza conteggiare la presenza dello spettatore. Si realizza concretamente il concetto di quarta parete, teorizzato già da Diderot (parlava di una parete trasparente tra palco e pubblico, di cui l’attore non doveva tenere conto), e qui introdotta come vero metodo operativo: Antoine arreda una sala prove, grande quanto il palco, in modo da poter provare le scene con gli attori, senza dire loro quale delle quattro pareti sarebbe caduta sul palco, per mostrarsi agli spettatori. Questa percezione segna una svolta nelle tecniche di messa in scena e recitazione: l’attore non ha più lo scopo di offrire una recitazione accattivante per il pubblico e si rinnova la fruizione del pubblico, uno spione, voyer, che guarda uno spazio privato non pensato per lui. L’ambiente, di conseguenza, è ricostruito in tutti i particolari più minuti e autentici: lo spaccato di realtà è realizzato con dettagli concreti, pezzi autentici, oggetti veri. Cfr rappresentazione di La Terra, Zola, 1900: l’interno di una cascina, ricostruita con legname usato e corredato da elementi tipici della vita di campagna (fienili, animali vivi, terra che copre il piano del palco). Antoine fa molto scalpore: si parla di veri quarti di bue messi sulla scena, o autentiche minestre calde che arrivano anche agli spettatori/spioni → il sapore dell’ambiente è ricostruito fino all’ultimo particolare. Un altro esempio, 1890, una scena dei Tessitori di Hauptmann: l’ambiente è ricostruito nel dettaglio con materiali autentici e accessori reali. Qui sopratutto gli attori non sono volti a favore del pubblico → autonomia assoluta dello spazio: nasce qui l’idea di palco come scatola chiusa. Riguardo la scelta del repertorio: la scelta di un testo tedesco (Hauptmann) è anomala, vista l’egemonia francese → Antoine propone repertori stranieri il più delle volte (è il primo a proporre Ibsen, Spettri; propone Storia del Teatro e dello Spettacolo 97 Tolstoy, all’epoca sconosciuto in Europa). Con la regia naturalista, il testo è rispettato in pieno (regia testocentrica): il compito del regista è farsi servo dell’autore, per restituire in maniera fedele il messaggio dell’autore → questione che i critici hanno ritenuto utopistica, vista l’inevitabile interpretazione del regista sul testo. Che il progetto abbia alla base un’interpretazione del testo, ha conseguenze sull’attore: egli è a sua volta dipendente dal testo, non è autonomo, è una tastiera nelle mani del regista, strumento per la resa del testo. L’unica identità artistica è il regista, mentre l’attore è strumento obbediente. Il Theatre Libre di Antonie cade, per la debolezza dei finanziamenti, per i vincoli della censura, ma diviene modello di successo ed imitato da molti paesi d’Europa → a fine 800 gli impianti di tipo naturalista nascono in molti paesi. Tra tutti, l’adozione più interessante è quella russa. Nel 1898, apre a Mosca il Teatro d’Arte, espressione che avrà molta fortuna in tutta Europa. Gli storici del teatro la ritengono una data spartiacque tra 8/900: la data di inizio, in relazione alla fondazione di questo piccolo teatro → un teatro che si oppone al teatro di consumo, egemonico nelle sale da spettacolo. Si tratta di una piccola sala, sostenuta da un gruppo di abbonati che voleva presentare un repertorio selezionato di testi di impegno letterario, poco legati alle tematiche degli spettacoli di grande consumo, con allestimenti curati ed apprezzabili anche per la vicinanza tra pubblico e palco (→ maggiore intimità). Gli spettacoli sono molto raffinati e studiati. I locali intorno prevedono molte zone di servizio, rendendo rapidi i cambi di scena. Un luogo selezionato per un repertorio di cultura e un pubblico elitario di estimatori. Tra i protagonisti, Stanislavskij e Dancenko: fondatori entrambi appassionati di teatro, riunitosi in un esperimento di rinnovamento della scena russa in una duplice direzione. Stan, attore e regista, voleva (1) importare in Russia tutte le innovazioni viste in Europa. Membro di una delle famiglie più ricche, aveva debuttato come attore, aveva visto Salvini, Antoine, Minninger → nota la necessità di operare un cambiamento nell’ambito della regia. Dancenko era un uomo di lettere, autore e appassionato di teatro, lavorò come dramaturg, si occuperà in questo esperimento della (2) direzione dei testi e degli attori. L’inaugurazione del teatro è perfettamente coerente con il naturalismo: va in scena Lo zar Fedor, di Tolstoj. Stan chiama il suo lavoro di messinscena come realismo esteriore: collega i due modelli di regia naturalista, Antoine e Meininger, per organizzare la sua opera di regia, restituendo al pubblico lo spaccato di vita. Dopo il primo anno di carriera, Dan propone un testo di Cechov, testo sconosciuto, autore contemporaneo (Il Gabbiano). Stan non ama questo testo ad una prima lettura: gli sembra banale e con un’azione poco significativa nel complesso, dialogo che non porta a sconto di anime, atmosfera difficile da ricostruire nel realismo esteriore o storicistico → Dan insiste: indica a Stan
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