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Strategie di marketing delle imprese: comunicazione, branding e reclutamento, Appunti di Scienze Della Comunicazione

Una panoramica delle strategie di marketing delle imprese, con un focus sulla comunicazione, il branding e il reclutamento. Vengono presentate diverse assi semantici, le aree della comunicazione d'impresa, il processo di ideazione e analisi semantica, la verifica culturale e legale, e la presentazione al cliente. Inoltre, vengono discusse le aree di comunicazione istituzionale, commerciale, gestionale, economica-finanziaria e la gestione dell'ufficio stampa. inoltre informazioni sui benefici di una migliore gestione dei rischi, migliore performance finanziaria, rafforzamento dell'immagine e reputazione, maggiore fidelizzazione dei clienti, miglior rapporto con le autorità pubbliche e maggiore accesso al credito. Vengono inoltre presentati strumenti come il bilancio sociale e codice etico, e strumenti digitali come intranet, newsletter, corporate blog, tv aziendali, social network e sito web, APP, social recruiting, sharing jobs, social sourcing e socialising employer brand.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 03/01/2019

giorgia1919
giorgia1919 🇮🇹

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Scarica Strategie di marketing delle imprese: comunicazione, branding e reclutamento e più Appunti in PDF di Scienze Della Comunicazione solo su Docsity! Contesto Ci troviamo agli albori della quarta rivoluzione industriale che si compone di una dimensione di innovazione tecnologica e di una dimensione di innovazione culturale. Le aziende devono prendere atto del digitale, che è game changer, cambia l’intera organizzazione. Il digitale è transformation continua, un sistema in perenne cambiamento. Questa trasformazione non riguarda semplicemente la comunicazione esterna ma anche, e soprattutto, quella interna: le aziende devono adottare modelli organizzativi nuovi. La tecnologia ha permesso lo sviluppo di due processi: liberazione dell’individuo dai vincoli di società tradizionali e cambiamenti sociali complessivi. La tecnologia non è altro che un attivatore, un mezzo che risponde a bisogni, il motore però è l’inventiva, il desiderio e l’energia delle persone che stanno animando un cambiamento globale. Il digitale è disruptive, disintegra, mette in discussione il modo in cui siamo abituati a fare qualsiasi cosa, ma al contempo integra, perché la base per la distruzione è il potenziamento del mondo nel quale comunichiamo. Il digitale dà potere di parola ad ogni individuo, annullando le comunicazioni unidirezionali e imponendo anche alle aziende un dialogo diretto con i suoi consumatori. Esempio: Video di Lucio Vario, canzone sulla Nutella. Quando questo video diventa virale, Nutella sta cercando di fare un cambiamento di posizione per passare dall’idea di prodotto proibito da limitare a prodotto naturale che fa bene. L’ufficio comunicazione di Nutella si ritrova con un video che gli fa pubblicità ma in direzione opposta a quella che cerca di fare Esempio: Dave Carroll, United breaks guitar. Il cantante Dave Carroll fa un viaggio con United Airlines e all’atterraggio ritrova la sua chitarra rotta, ma nonostante numerosi reclami non ottiene né rimborsi né scuse. Scrive così una canzone United breaks guitar che condivide su Facebook e diventa virale. La United Airlines subisce un calo in borsa e una perdita di milioni di euro Cluetrain Manifesto1999 Facebook2004 Twitter2006 Iphone2007 •Linkedin •Whatsapp •Instagram 2009 •Ipad •Pinterest 2010 Snapchat2011  Possiamo sintetizzare le tendenze di questo nuovo contesto in alcune parole chiave: o Radical transparency = Tendenza a rimuovere le barriere per rendere libero e facile l’accesso alle informazioni dell’azienda (materiali utilizzati, condizioni di lavoro, impatto ambientale dei prodotti) o Dimensione relazionale-tribale = Dimensione di comunità, di aggregazione per interesse recuperata dalle commmunity aziendali o Story-telling = Fare narrazione, creare un filo, passare l’informazione attraverso il coinvolgimento e l’emozione del pubblico o Responsabilità etiche e sociali = Assunzione di temi socialmente utili sui quali il consumatore pone l’attenzione richiedendo un impegno alle aziende o Velocità = Cogliere l’attimo, sfruttare gli stimoli della rete o Engagement = Creare coinvolgimento in modo da avere un rapporto stretto tra azienda e consumatore o Complessità = VUCA (volatility uncertainty complexity ambiguity) Ogni cambiamento richiesto alle aziende dal contesto è sintetizzato nel Cluetrain Manifesto (1999), di R. Levine, C. Locke, D. Searis e D. Weinberger. Cluetrain manifesto è un insieme di 95 tesi organizzato e presentato come un manifesto, o un invito all'azione, per tutte le imprese che operano all'interno di questo nuovo mercato interconnesso. Le idee presentate hanno l'obiettivo esplicito di esaminare l'impatto di Internet sia sui mercati (i consumatori) sia sulle organizzazioni. Inoltre, il manifesto suggerisce i cambiamenti che saranno richiesti da parte delle organizzazioni per rispondere all'ambiente del nuovo mercato. Nonostante siano passati circa vent’anni, è tuttora molto attuale. All’esplosione del web 2.0, dieci anni fa, Internet non rappresentava una risorsa di creatività e di talento. Non c’è priorità tecnico-tecnologica nell’avvento dell’era digitale, ma essa rappresenta maggiormente un’innovazione sociale, che aiuta le persone a collaborare. Qualcosa ha aperto la strada alla diffusione del dispositivo digitale, la crisi. Il dispositivo digitale, infatti, ha reso reale la possibilità di contribuire alla gestione e alla crescita di ambienti in cui ciascuno è allo stesso tempo fruitore e creatore di valore. Le organizzazioni si trovano la trasformazione digitale sotto il proprio tetto, poiché il loro asset fondamentale, le persone, hanno vissuto e vivono questa trasformazione. Anche le organizzazioni, quindi, devono trasformarsi. Nonostante esse appaiano come complessi sistemi di processi, sui quali è difficile agire, si possono trasformare Esempio: quadro Las Meninas di Velazquez, apparentemente intoccabile per la sua perfezione, trasformato da Picasso secondo una metodologia ben definita. Egli si è concentrato sugli elementi salienti dell’opera, sviluppandone la singola trasformazione, per poi ricostruire il quadro d’insieme Esempio: Quello che avviene oggi è esemplificato dai quadri Las meninas di Velasquez e di Picasso. Il secondo, infatti, ha riformulato il quadro del primo in ottica cubista, dando un ordine nuovo  Tutto può essere trasformato Digital transformation Le ricerche indicano una crescente consapevolezza del management sull’importanza dell’impatto digitale sul futuro della propria impresa. Le ricerche, però, non evidenziano la vera criticità del cambiamento: la rischiosità della transizione al digitale richiede un ripensamento profondo dell’organizzazione e una grande capacità di governo. In questo processo giocano tanti elementi: la tecnologia, il capitale umano e il caso. Secondo Leonardi le azioni umane e le azioni rese possibili dalla tecnologia interagiscono e si intrecciano per formare nuovi modi di organizzarsi e di approcciarsi in un processo continuo e flessibile. La digital transformation può essere, quindi, modellizzata solo per semplicità di interpretazione, tenendo, però, presente il presupposto di flessibilità e adattabilità. Quando si affronta un cambiamento all’interno dell’organizzazione bisogna tenere presenti due aspetti di tale processo:  Sapere perché cambiare: diagnosi dell’organizzazione e del rapporto con il mercato, l’economia e le grandi forze della società per identificare la direzione da intraprendere  Strategic change Il cambiamento strategico viene attivato quando l’organizzazione percepisce che il proprio modello di business non è coerente con le aspettative degli stakeholder. Può essere originato da situazioni diverse: analisi del posizionamento di mercato, necessità di ridurre i costi operativi, interventi di regolazione legislativa, ecc. È possibile individuare diversi pattern di cambiamento: o Incremental change: cambiamento che adatta l’organizzazione marginalmente e progressivamente alle condizioni che lo richiedono, realizzando numerosissime azioni locali di adattamento e trasformazione Esempio: rimodulazione degli spazi di lavoro o Punctuated equilibrium change: cambiamento come alternanza di brevi periodi di discontinuità e lunghi periodi di stabilità Esempio: scelta di Microsoft di entrare nel mercato delle console per giochi con Xbox Esempio: ingresso di Apple nel mondo degli smartphone o Turnaround: cambiamento radicale, rapido, volto a modificare completamente il funzionamento dell’organizzazione, compiendo una vera inversione di rotta da attuare nei tempi più rapidi possibili e in condizioni estreme di mercato Esempio: integrazione di Fiat Agri e Ford New Holland o Paranoid change: cambiamento come continua messa in discussione dei propri prodotti e servizi e del proprio posizionamento, ripensando criticamente ogni processo e ogni attività in un circuito di correzione continuo Esempio: abbandono da parte di Intel del suo business storico dei chip dirigendo le risorse nel mercato dei microprocessori a causa della competizione giapponese o Evolutionary change: cambiamento che fa leva su una continua azione di sperimentazione, generata grazie alla capacità di innovare e produrre varietà Il ciclo del miglioramento continuo consiste in: Plan  Do  Check  Act Esempio: utilizzo di lean start-up, strutture per l’innovazione simili alle start-up nel funzionamento all’interno dell’organizzazione, da parte di Dropbox  Sapere come cambiare: guida dell’organizzazione verso un modo diverso di operare confrontandosi con le resistenze, le inerzie e le difficoltà  Organizational development Il processo di cambiamento ha originato un campo di studi e pratica, l’organizational development, volto a dare indicazioni su come cambiare in modo efficace. Esistono diversi modelli di change management: o Modello a stadi di Lewin: 1. Unfreezing: alterazione dell’equilibrio delle azioni dell’organizzazioni rendendo evidente la necessità di un cambiamento, messa in discussione e disconferma della situazione degli attori organizzativi 2. Movement: modifica dei comportamenti agendo su strutture, processi e sistemi, ma anche su valori, credenze e atteggiamenti 3. Refreezing: rinforzo dei nuovi comportamenti acquisiti per evitare una regressione allo stato iniziale o Modello di Kotler (ripresa e ampiamento del modello di Lewin): 1. Creare urgenza per rendere necessario il cambiamento 2. Creare una coalizione di potere per promuovere il cambiamento Le persone coinvolte sono i cosiddetti ambassador, cioè persone inclini allo scambio, volenterose e che capiscono la necessità del cambiamento 3. Creare una visione per il cambiamento per indicare la direzione di marcia 4. Comunicare la visione per raggiungere tutte le persone nell’organizzazione e per far radicare il processo 5. Sostenere l’azione di chi agisce a favore del cambiamento 6. Gratificare gli sforzi per indebolire le resistenze 7. Costruire sul cambiamento, intervenendo sulle forze che lo limitano, modificando le strutture e i processi, promuovendo le persone e i progetti 8. Istituzionalizzare il cambiamento, ovvero farlo attecchire creando un collegamento tra il cambiamento e il successo dell’organizzazione Bisogna tenere presente, però, che quando il cambiamento è evolutivo la gestione della transizione non può essere un processo a sé stante ma diventa una dimensione del funzionamento interno dell’organizzazione. La digital transformation genera tensioni all’interno delle imprese perché comporta:  Perdita del confine tra ciò che accade dentro l’organizzazione e fuori di essa  Perdita della temporalità, dovuta all’immediatezza dei flussi informativi e delle conseguenze delle scelte organizzative  Perdita dell’ordine e del comando, dovuta alla pluralità di situazioni che non si possono più affrontare secondo il processo decisione-ordine-azione  Perdita della tecnologia come funzione, come strumento con una funzione unica e facilmente identificata, a favore invece di una tecnologia flessibile. In questo senso la digital transformation richiede che l’organizzazione sia liberata per trovare una strada adattiva, secondo un chiaro modello evolutivo di cambiamento strategico. Esempio: hitrea ha sviluppato un modello di intervento che fornisce diverse fasi al fine di dare alle organizzazioni la capacità di operare in autonomia. Comunicazione d’impresa La comunicazione Il termine “comunicazione” deriva dal latino communicatio e significa “mettere in comune”. Informazione ≠ Comunicazione Scambio unidirezionale Scambio bidirezionale Secondo il modello di Jakobson gli elementi della comunicazione sono: mittente, destinatario, messaggio, codifica, decodifica, canale, contesto e feedback. Durante la comunicazione tra mittente e destinatario ci possono essere interferenze: rumori, aspettative, pregiudizi, stato emotivo, esperienza passata, ecc. Il destinatario co-costruisce il messaggio con il mittente, che deve conoscere fin dall’inizio il suo destinatario, deve fare la “lettura del lettore”. Secondo il modello di Lasswell e Hymes bisogna porsi alcune domande elementari per fare comunicazione:  Chi comunica (identità del mittente)  Che cosa (analisi del contenuto)  La reputazione è fondamentale, perché sostiene l’immagine e crea un rapporto positivo di lungo periodo Vision e mission La vision è lo stato futuro desiderato del business, è l’impresa dell’azienda, è qualcosa di lontano e desiderato. Avere una vision condivisa rafforza l’identità, perché tutti collaborano verso un obiettivo comune. NB: È diversa dalla mission, che è la modalità che si sta utilizzando per raggiungere la vision. È la differenza tra strategia e tattica. Esempio: vision di Henry Ford alla fondazione della sua impresa “Io costruirò un’automobile per le grandi masse…avrà un prezzo tanto basso che nessun uomo che guadagni un buon salario non potrà non permettersela e potrà coì godere insieme alla sua famiglia la benedizione di Dio di passare ore piacevoli nei grandi spai aperti… Quando avrò raggiunto il mio obiettivo, tutti potranno permettersene una e tutti ne avranno una. Il cavallo scomparirà dalle notre strade e sarà considerata scontata la presenza delle auto…e noi daremo a un gran numero di persone un impiego con un buon salario.”  Carattere visionario, rivoluzionario Esempio: vision di Sony Anni ’50: diventare l’azienda più nota per aver cambiato l’immagine dei prodotti giapponesi come prodotti senza alcuni qualità Oggi: provare la gioia di far avanzare e applicare la tecnologia per la gioia del pubblico Esistono vision di brand ma anche vision di funzione Esempio: Dipartimento di inglese: “Continuare a migliorare la nostra capacità di progettare e realizzare corsi di inglese in un modo che siano efficaci e divertenti. Lo scambio professionale cotante, la capacità di individuare e seguire le migliori fonti per la didattica e la considerazione delle diverse tecnologie capaci di rinnovare la nostra offerta orientano le nostre scelte.” Esempio: IT: “Supportare la strategia con lo sviluppo, l’implementazione e il governo delle sue risorse tecnologiche. La velocità di risposta al cliente interno e la capacità di trovare soluzioni innovative con coti contenuti sono i nostri criteri d’azione quotidiana.” Esiste una catena dei valori: creazione, diffusione, consolidamento, mantenimento. La comunicazione si occupa della diffusione e del mantenimento. Deve basarsi sulla comprensione del contesto. Visual identity La visual identity include tutti gli elementi osservabili dell’identità dell’organizzazione che si manifestano nella sua presentazione visiva attraverso il suo nome, il logo, il pay-off, il suo colore distintivo fino ad arrivare anche alla sua architettura.  La visual identity è la parte non verbale della comunicazione d’impresa Logo Il logo dice la prima cosa dell’azienda, comunica l’identità. Il cambio del logo necessita considerazioni di costo, di senso, di strategia. Bisogna farlo se c’è necessità, quando bisogna comunicare un progetto di cambiamento. È fondamentale la coerenza nella scelta di:  Colori: aiutano ad associare un qualcosa al brand, a definire e mantenere l’identità dell’impresa. Esempio: la storia di prodotto di Coca-Cola ti fa associare il rosso al brand  Immagini e simboli  Posizione degli elementi nel foglio  Font: La scelta del font è molto importante, perché rispecchia in parte il posizionamento. Essi si dividono in graziati (posizionamento più tradizionale) e non graziati (posizionamento più moderno). Diversi font possono essere abbinati, in modo tale da aiutare da un punto di vista estetico, organizzativo e gerarchico.  È importante raccogliere queste indicazioni nel manuale d’identità visiva, un documento ufficiale che descrive e illustra dettagliatamente gli elementi dell’identità visiva e riporta i criteri e le regole per il loro corretto utilizzo nei diversi strumenti. Tutti coloro che utilizzano il brand sono obbligati a osservare con scrupolosità le regole per la loro corretta applicazione Nome Il nome è un elemento fondamentale dell’identità del brand. La scelta del nome è importante: il nome costruisce la storia dell’impresa, racchiude un destino. Un nome sbagliato o brutto, infatti, può danneggiare la percezione di un prodotto e ridurne l’attrattiva. Il nome è un modo per riferirsi ad un oggetto, un animale o una persona, quindi è una definizione che contiene diversi significati. È importante il suono del nome per la creazione delle impressioni. Per alcune imprese il nome è talmente di successo che è diventato uno standard di mercato Esempio: Bic, Rimmel, Scottex, Scotch Anche il nome può cambiare: quando un prodotto o un servizio cambia deve comunicare il cambiamento o un’implementazione, modificando il nome. La modifica del nome può essere data dall’aggiunta della data di edizione, dal riferimento al modello, dalla fusione di due nomi diversi. Anche il registro cromatico del nome è fondamentale: comunica continuità o cambiamento radicale. I nomi possono essere di varie categorie:  Descrittivi o funzionali: descrivono il benefit o l’azione del prodotto o del servizio Esempio: Coca-Cola zero  Acronimi: composti dalle lettere inziali di parole diverse Esempio: IBM, FIAT, ALFA  Evocativi: suggeriscono benefit o un’atmosfera Esempio: Yahoo!, Allure Chanel, Innocent, Aero  Cognomi: derivano dal nome del fondatore Esempio: Barilla, Ferrari, McDonald, Pirelli, Louis Vuitton  Di fantasia: possono non avere niente a che fare con il prodotto o il servizio, suscitando l’attenzione dei consumatori Esempio: Zara, la Rinascente, Tre La creazione di un nome avviene secondo diverse fasi:  Definizione di due o tre assi semantici in relazione al posizionamento strategico  Brainstorming (una parte di produzione di idee senza filtro e una parte di riorganizzazione delle idee)  Shortlist di nomi  Analisi semantica (analisi delle diverse declinazioni di significati in base anche al target)  Verifica culturale  Verifica domini disponibili  Verifica legale  Presentazione al cliente Esistono casi di insuccesso con nomi che evocano o richiamano elementi sgradevoli. Esempio: Jetta, Pheton, Gingo Spazio “Sappiamo bene che non basta trasformare lo spaio per cambiare i rapporti sociali, ma sappiamo bene altresì che questi s’inscrivono nello spaio, e lo fanno in modo concreto. Evidentemente, non è indifferente avere o non avere una certa libertà di movimento al proprio poto di lavoro, essere lontano o non dalla luce del giorno, potere o no svolgere lo sguardo sugli altri, sull’esterno, sulla vita.” (Marc Augé, in Disneyland e altri non luoghi) Lo spazio è uno strumento della comunicazione istituzionale, perché rappresenta il contenitore dell’azienda ma anche una piattaforma di relazioni. Esso, infatti, mette in connessione i dipendenti, ma anche l’azienda e il mondo esterno. Oggi gli spazi richiedono modernità, leggerezza, permeabilità. Dato che il lavoro diventa sempre più smart, i luoghi devono permettere lo scambio, facilitare le interazioni. Lo spazio è l’abito, un palcoscenico di identità e di universi narrativi. Gli spazi risentono di una comunicazione spettacolarizzata: l’azienda è teatro, officina creativa, hub. Non è più una scatola, ma una piattaforma di relazione che mette in comunicazione interno ed esterno, che abbatte il muro tra lavoro e altro. Le aree della comunicazione Le aree della comunicazione d’impresa sono:  Area dell’identità dell’impresa: comunicazione istituzionale  Area del mercato: comunicazione commerciale  Area dell’organizzazione: comunicazione gestionale  Area della finanza: comunicazione economica-finanziaria Comunicazione istituzionale La comunicazione istituzionale riguarda l’impresa nella sua interezza e pone al centro del messaggio la sua identità, i suoi valori, i suoi progetti, anziché gli specifici elementi relativi alla sua attività (prodotti, strutture, risultati). Non parla di prodotti e risultati, ma ci dice chi è l’impresa, dove vuole andare e come vuole farlo. L’obiettivo è affermare il posizionamento nella testa del pubblico e generare un atteggiamento favorevole, lavorando sul patrimonio di reputazione. Ha un ruolo di guida e di governo complessivo della comunicazione d’impresa e autonomo di contatto con pubblici di riferimento non raggiungibili dalle altre aree. Ha alcune attività specifiche e non:  Attività specifiche: ufficio stampa, area corporate della social responsability, lobbying (sostenere i rapporti dell’impresa con le istituzioni economiche e legislative)  Attività non specifiche: pubblicità (la cui finalità è raccontare l’identità dell’impresa, non un prodotto), sponsorizzazioni, convention, ecc. Focus: un’attività è la gestione dell’ufficio stampa, fondamentale perché è:  Bocca: porta fuori significati concetti ed elementi interni che possono interessare ai media, permette di far conoscere l’identità dell’impresa all’esterno (contatta il mondo dei giornalisti affinché un’informazione venga trasmessa ad un pubblico più ampio su cui quella testata ha influenza)  Occhi: è il luogo in cui si guarda cosa succede fuori per portare dentro informazioni rilevanti per l’azienda e sull’azienda  Cervello: non è un lavoro di mera trasmissione, ma è un lavoro intelligente di selezione delle informazioni provenienti dall’esterno o dall’interno NB: Le informazioni sono da interpretare nel senso di notizia, la quale è caratterizzata da vari elementi: rilevanza per un certo pubblico, novità, conseguenze nella vita pratica, vicinanza, esclusività, imprevedibilità, creatrice di attesa. Occorre quindi un interlocutore che si rivolga ai media, che offra una visione credibile dell’organizzazione e dei prodotti nel lungo periodo. Deve inoltre contribuire a formare/mantenere/migliorare la corporate image rispetto ai diversi stakeholders. L’interlocutore può essere interno o esterno, cioè gestito da consulenti e società di relazioni pubbliche. Occorre una finalità:  Garantire una comunicazione con i media coerente con gli obiettivi di comunicazione dell’azienda  Selezionare e filtrare il flusso di informazioni provenienti dai diversi settori dell’organizzazione  Svolgere la funzione di consulente interno nei confronti del top management NB: Il consulente interno deve avere un atteggiamento pro attivo, cioè di chi non aspetta di essere stimolato ma si auto-stimola, anticipa dei movimenti  Costruire un rapporto di fiducia con i giornalisti  Definire ed elaborare temi che, pur non direttamente legati al prodotto, possano essere associati all’azienda I presupposti per un lavoro efficace sono:  Proporre notizie vere  Conoscere le testate e i giornalisti che vi lavorano (frequenza, politica editoriale, tipo di audience, diffusione, tiratura, organizzazione dei tempi di creazione)  Rispettare le regole e i ritmi del lavoro dei media  Selezionare le agenzie di stampa di maggiore interesse  Inserire le relazioni con i media all’interno di un piano strategico di comunicazione  Creare una rete di relazione stabili e credibili con il mondo dei media Le attività dell’ufficio stampa sono:  Attività di base (in dispensa): o Avere una mappa dei media o Avere schede descrittive sull’impresa o Avere biografie sulle persone più rilevanti e visibili all’esterno o Avere un archivio fotografico o Avere testi importanti NB: Avere questi strumenti facilita il lavoro del giornalista e permette di essere veloci e preparati  Attività di routine: o Fare rassegne stampa (raccolta di tutte le informazioni che sono uscite intorno all’impresa/prodotti/brand) NB: È un compito molto operativo. È uno strumento che permette di capire che cosa pensa il pubblico e i competitor dell’azienda o Fare interviste con i giornalisti NB: Importante è chiedere di sapere prima le domande e di rileggere l’intervista prima che sia pubblicata, informarsi su chi è il giornalista e prepararsi, concordare l’oggetto dell’intervista, essere chiari e attinenti alle domande e concludere con un riepilogo o Creare e mantenere relazioni coi giornalisti o Stesura di comunicati stampa, sintetici chiari e immediatamente comprensibili o Organizzazione di conferenze stampa (incontri di alcuni esponenti aziendali con un gruppo di giornalisti, finalizzati a divulgare notizie di una certa importanza) NB: È il momento di massima esposizione ai media, bisogna essere attenti a scegliere:  Data e ora (martedì o giovedì, non troppo presto e non troppo tardi)  Luogo  Inviti personalizzati (e-mail con contenuti personalizzati) e recall (ricordare l’evento)  Scelta di supporti audiovisivi - dimostrativi  Press kit e tesserini di riconoscimento  Follow up, l’evento non finisce quando si realizza concretamente, ma c’è sempre un prima e un dopo La responsabilità sociale d’impresa (CSR) La Corporate Society Responsability è l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate (gli stakeholder).  È un modo di comunicare l’impresa, che sceglie volontariamente di caratterizzarsi come attenta alle tematiche sociali ed ecologiche, considerate un elemento caratterizzante della propria identità (sicurezza del mondo e dei consumatori) Le linee guide sono fornite dal Libro Verde della Commissione Europea. Le imprese socialmente responsabili devono assumere tali principi identitari. Le parole chiave sono:  Sostenibilità: tener conto delle conseguenze di lungo periodo non solo economiche ma anche sociali e ambientali  Volontarietà: originata dall’interno dell’impresa di essere greenwashing  Consapevolezza: conoscenza delle conseguenze che l’operato dell’impresa ha sul contesto economico, sociale e ambientale Esempio: Edison, Enel, Eni I vantaggi sono diversi:  Miglior gestione dei rischi  Miglior performance finanziaria (attrae investimenti)  Rafforzamento dell’immagine e della reputazione  Maggior fidelizzazione dei propri clienti (in quanto temi valoriali molto sentiti)  Più capacità di attrarre e mantenere i dipendenti La competizione, quindi, avviene per product augmentation: in una situazione di forte competizione il lavoro sul prodotto avviene per addizione e sottazione. Secondo Philip Kotler i principi del marketing funzionano in modo circolare. Al centro c’è il core product (i benefici del prodotto), successivamente l’actual product (elementi di differenziazione: stile, valore del brand, qualità). Si possono poi aggiungere benefici addizionali, non tangibili, è l’augmented product. La competizione avviene per addizione di benefici da quelli del core product a quelli intangibili. La moltiplicazione si basa sull’aggiunta di una variante.  Nessuna di queste strade è quella per la differenziazione, in quanto c’è una continua rincorsa con i competitors senza innovazione Esistono però degli idea brand, che hanno lo scopo di rompere il muro dell’omogeneità, di “fare la differenza” (non “essere differenti”). Si pongono come obiettivo un’innovazione che sia stravolgente e che faccia la differenza. Questi brand possono essere almeno di tre tipi:  Brand capovolto: brand che ha qualcosa in meno, ma anche qualcosa in più, capace di cambiare il mercato e la storia Esempio: IKEA stravolge il mondo dell’arredamento, prima pieno di negozi accessibili che cercano di aiutare il cliente, di farlo sentire a suo agio e di accudirlo. IKEA propone un’offerta completamente differente: il cliente deve raggiungere il negozio fuori città, scegliere da solo i mobili, metterli in auto e montarli. Ha capovolto l’idea dell’arredo della casa, togliendo qualcosa al cliente ma dando anche qualcosa in più (possibilità di cambiare, arredi di design a un prezzo accessibile, ecc.)  Brand defezionista: brand che si avventura al di fuori delle categorie consuete Esempio: Cirque du Soleil afferma di appartenere alla categoria “circo” ma si avventura fuori dalla categoria evocata, in quanto qualcosa di completamente differente (senza animali, ecc.) Esempio: Pampers in un certo senso esce dalla categoria di “pannolino” creandone un tipo fatto a mutanda per i bambini grandicelli ma non in grado di controllarsi perfettamente Esempio: Swatch arriva sul mercato degli orologi proponendo un orologio  Brand ostile: brand capace di polarizzare il consumatore, che non corteggia il consumatore Augmented product Actual product Core product Esempio: RedBull non ascolta il consumatore, va per la sua strada La comunicazione è una delle leve che l’impresa impiega per affermarsi. Oggi è fondamentale lavorare in termini di differenziazione anche sul piano comunicativo. Per una comunicazione commerciale di successo è importante seguire una strategia di differenziazione. Strumenti di comunicazione La scelta dello strumento non è casuale, ma deve essere razionale sulla base dell’analisi del target. Gli strumenti di comunicazione possono essere suddivisi in tre categorie: 1. Strumenti relazionali  Colloquio: comunicazione informale quotidiana, ma anche formale gestionale  Intervista: colloquio di selezione, intervista semi-strutturata, intervista strutturata  Riunioni: d’informazione (interazione limitata), di consultazione o analisi (scambio di informazioni), di co-decisione (molta interazione), di creatività (gestita da un coordinatore)  Convention: si basa su diverse leve di persuasione, cioè logos (basato su analisi, statistica, argomentazione, ecc.), ethos (autorevolezza) e pathos (spettacolarizzazione)  Eventi: occasione di auto-presentazione e di incontro con il pubblico  Corsi di formazione 2. Strumenti digitali  Intranet  House organ  Newsletter  Corporate blog  Tv aziendali  Social network e sito web  APP 3. Strumenti cartacei  House organ (giornale aziendale)  Rassegna stampa  Cartellonistica  Bacheca  Kit di accoglienza  Lettere e circolari  Regolamenti Bisogna sempre ricordare di utilizzare in maniera integrata questi strumenti. Recruiting nell’era digitale La Direzione Risorse Umane è l’area maggiormente chiamata a trasformarsi utilizzando nuovi strumenti digitali. In particolare il ripensamento dell’attività coinvolge il processo di recruiting. Le dimensioni digital, infatti, offrono spazi di incontro differenti, aprendo un’interazione diretta tra candidato e azienda. Ci sono numerosi vantaggi nell’utilizzo dei canali social rispetto alle metodologie tradizionali:  Riduzione dei costi  Riduzione delle tempistiche  Maggior numero di candidature spontanee  Maggior visibilità  Maggior opportunità di feedback  Mostrare in forma innovativa e creativa l’anima dell’organizzazione Si parla, quindi, di social recruiting, facendo riferimento al comportamento attivo, interattivo e dinamico con i candidati. Il processo di recruiting si compone di quattro fasi: 1. Determinazione dell’obiettivo di ricerca 2. Definizione del messaggio con cui diffondere le informazioni sulla ricerca 3. Scelta dei mezzi per trasmettere il messaggio 4. Raccolta di un pool di nominativi destinati alla successiva fase di valutazione. La ricerca avviene sia internamente, con bacheche, passaparola, mobilità interna, sia esternamente, con autocandidature, intermediari, contatti, legami con università. Oggi si assiste anche all’e-recruitment, nato negli anni Novanta, che racchiude due attività: web site recruiting (presenza all’interno del sito aziendale di una sezione sulle posizioni aperte e sul job posting) e recruiting online (pubblicazione di job advertising su siti specializzati). Si parla anche di social recruitment (ricerca di candidati attraverso social media), processo in grado di estendere la strategia di reclutamento. Il principio di fondo è la costruzione e il mantenimento di una relazione più ingaggiante con i candidati (umanizzazione del processo). Nei fatti comprende alcune attività:  Sharing jobs: pubblicazione di offerte di lavoro sui social network NB: è fondamentale creare una combinazione di contenuti e informazioni sull’azienda sempre aggiornati, per rendere efficace il job posting  Social sourcing: ricerca, contatto e reclutamento dei candidati attraverso social network  Socialising employer brand: attività di employer branding (insieme delle politiche aziendali atte a rafforzare la propria immagine sul mercato del lavoro) condividendo contenuti e cultura aziendale sui social network Esistono diversi tipi di community: 1. Core Team Community: community composte da persone che lavorano quotidianamente insieme 2. Project Community: community composte da persone che condividono un obiettivo di progetto 3. Functional Communities: community di persone che lavorano nella stessa funzione 4. Learning Community: community che hanno come obiettivo l’apprendimento e la condivisione 5. Community of Interest: community che non hanno nulla a che fare con temi lavorativi I requisiti per il funzionamento sono diversi, ma fondamentale è non imporre la partecipazione e non esasperare i membri. Le community interne funzionano quando c’è:  Common identity: il legame che unisce i membri della community  Plausible Promise / Sense of Purpose: il perché della community  Tools: la tecnologia e gli strumenti necessari  The Bargain: aspettative e impegno del singolo utente  È fondamentale che l’individuo si senta libero e desideroso di condividere la propria naturale curiosità ed inventiva  Commitment dall’alto: supporto dalle alte sfere Oggi non bisogna calare dall’alto un modello organizzativo che definisca le competenze necessarie, alle quali la persona si deve adattare (organizational driven). Bisogna, invece, essere consapevoli dello stock di competenze e talenti di cui si dispone per incrementare le spinte al cambiamento continuo e motivare gli employees. Il manager dello sviluppo deve stare al balcone, cioè deve adottare un approccio osservativo delle dinamiche all’interno del campo di osservazione (la community) allo scopo di estrarre comportamenti, saperi, competenze, attitudini. Si parla oggi di conversational analysis, uno strumento che mira a catturare elementi di analisi nelle conversazioni dei gruppi di persone. Ci sono numerosi riferimenti teorici metodologici, ma il modello centrale è la social contributor map, una mappa di key people ottenuta dall’incrocio di due assi. Il primo è quello delle dinamiche fra i membri della community basata su frequenza e direzione; il secondo è quello dei contenuti trattati in termini di frequenza, direzione e dimensione. Il processo di conversational analysis si basa su diversi step:  Individuazione della community  Costruzione del dashboard dei KPI di analisi Per creare il dashboard bisogna tenere sotto controllo due elementi: interaction analysis (misura del livello di engagement e dello scambio quantitativo) e conversational flow (apporti di contenuto espressi e individuazione dei contributori centrali). È necessaria la personalizzazione degli indici al fine di catturare gli elementi di valore  Listening e reporting La fase di monitoraggio dura almeno 6 mesi e può diventare permanente. Si divide in due componenti: listening (lettura costante delle conversazioni) e reporting (raccolta dei dati, analisi e interpretazione, con successiva restituzione). Il report è fondamentale, in quanto strumento di base per decisioni future. I protagonisti della community interna si suddividono in:  Ruoli professionali: sponsor, initiator, community manager  Utenti, classificabili secondo il membership lifecycle VISITORS NOVICES REGULAR MEMBERS TOP CONTRIBUTORS ELDER Il ciclo di vita di una community si divide in quattro fasi: 1. Inception: avviamento Comincia quando la community viene avviata e termina quando la community raggiunge una “massa critica” sufficiente di partecipanti attivi. In questa fase avviene la produzione di contenuto e di conversazione quasi esclusivamente ad opera del community manager. I membri iniziano a interagire e si evidenziano i top contributor, che devono essere valorizzati con azioni individuali. Si producono newsletter e comunicazioni istituzionali a supporto della community 2. Establishment: autonomia Comincia quando la community genera in autonomia dal 50% al 90% delle conversazioni, senza bisogno dello stimolo del community manager. Il community manager deve, però, continuare a invitare i top contributor a far crescere la community, deve moderare le conversazioni, creare momenti di aggregazione fisica o virtuale e misurare costantemente il livello di partecipazione 3. Maturity: maturità Inizia quando la community è ormai autonoma (genera il 90% delle conversazioni) e ha prodotto dei risultati tangibili. Il community manager deve assicurarsi che la community rimanga fedele alla propria mission, deve ottimizzare i tool, riportare i risultati e distribuire il community management 4. Mitosis: la nascita di nuove community Quando una community rischia di diventare talmente grande da non essere più gestibile, può avvenire una “rinascita” della community sotto forma di community più piccole. Il community manager deve co-progettare la nuova struttura della community, mantenendo il legame con quella originale, coinvolgere i top contributor e lanciare una nuova fase di inception ONA (Organizational Network Analysis) L’ONA è una tecnica di rappresentazione e interpretazione delle reti informali e organizzative che nasce come evoluzione dello strumento social network analysis (SNA). La SNA cerca di comprendere lo spazio simmelianamente inteso (spazio sociale come prodotto delle interazioni tra gli individui) e l’ONA riduce la domanda al perimetro organizzativo. Gli elementi di base si dividono in alcuni gruppi di metriche:  Struttura dell’intero network o Densità (rapporto tra legami esistenti e legami possibili) o Distanza (lunghezza del percorso tra un nodo e l’altro) o Connettività (tenuta del network)  Legame delle persone nel network o Nodi (attori presenti e attivi) o Frecce (relazioni fra i nodi)  Valutazione dei nodi o Grado (numero di legami per nodo) o Closeness (prossimità del nodo ad altri) o Betweness (numero di connessioni come intermediario tra altri nodi) L’ONA può essere utilizzato per diversi scopi:  Mappare il flusso delle comunicazioni reale  Analizzare i reali collegamenti fra dipartimenti e funzioni  Ottenere informazioni su eventuali scollegamenti di nodi dalla struttura centrale  Individuare gli knowledge owner organizzativi  Individuare il peso riposto sugli knowledge owner La digital transformation ha portato alla ribalta la componente centrale delle organizzazioni reali: le persone, che hanno potenziato la propria capacità di creare reti di relazioni usando la tecnologia. Si sta, quindi, 4. Produzione del contenuto in collaborazione con chi detiene le competenze tecniche (citazioni, infografiche, immagini, gif, quiz, testi di accompagnamento, link, e-book, risorse scaricabili, video, podcast, webinar  Si può far uso della gamification, ovvero l’applicazione delle meccaniche di gioco e di tecniche del game design in contesti non ludici. Si utilizzano missioni, livelli, punti, badge, classifiche, narrazioni, per stimolare la coopetition. La gamification sfrutta la totale immersione che i giochi comportano (accelerazione dei battiti cardiaci; produzione di dopamina da parte del cervello, una sostanza rilasciata quando c’è un momento di gratificazione). Il gioco diventa un potente strumento di marketing e di engagement sia nella comunicazione esterna sia in quella interna. Nella comunicazione interna l’apprendimento tramite gamification si articola in due categorie: a. Piattaforme al cui interno è contenuto un sostrato di gamification (non sono direttamente un gioco) b. Serious game (gioco con finalità di apprendimento)  Un’attività di gamification si costruisce in diversi step: o Costruire una cornice narrativa (metafora del viaggio o della crescita) o Inserire meccaniche di gioco che valorizzano l’individuo o Collegare gli obiettivi individuali e gli obiettivi organizzativi (reminder, premi, ecc.) o Prevedere diversi tipi di motivazione (competizione, aiuto agli altri, classifica, premi alle risposte agli altri, ecc.) o Inserire dinamiche di coopetition (squadre che devono portare a termine delle missioni, poi premiate) o Inserire livelli per valorizzare l’apprendimento (da newbie a master) o Integrare con il micro-learning (produzione di materiali di apprendimento divisi in piccole parti di cui la persona può usufruire quando e dove vuole. I vantaggi sono: libertà di costruire il percorso formativo, minor tempo di attenzione richiesto, compatibilità con dispositivi mobili, diversi stili di apprendimento) 5. Stimolazione, monitoraggio e moderazione delle conversazioni secondo la netiquette (galateo della community contenente le regole condivise) 6. Analisi e reportistica Conclusione La trasformazione digitale necessita una risposta riorganizzativa da parte delle organizzazioni. Essa, infatti, è un processo pervasivo che si insinua dentro tutti i processi di business. Gli elementi fondamentali sono:  Top management alfabetizzato sul digitale  Dati e conoscenza del costumer journey  Analisi dello scenario competitivo  Definizione delle priorità (NB: devono essere flessibili e suscettibili al cambiamento continuo)  Scelta delle responsabilità di ciascun presidio organizzativo Esistono modelli di organizzazione che abbandonano il modello piramidale classico per prediligere un’organizzazione per gruppi autonomi. Essi attribuiscono autonomia, responsabilità, libertà all’individuo. La fiducia viene posta nella spontaneità delle azioni individuali e nella capacitò di coordinamento. Esempio: Spotify, esempio di organizzazione Agile Esempio: Zappo’s, esempio di applicazione del modello holicracy Nel modello di processo Solari si fa riferimento a sei componenti fondamentali per il disegno organizzativo:  Lattice: reticolo di connessioni di una struttura complessa, adattive e flessibili  Multi-ruoli: assenza di ruoli collegati a una posizione organizzativa ma immersione in un flusso di potenziali ruoli diversi  Simulatore interattivo: meccanismo di generazione di varietà attraverso la possibilità di costruire team e unità virtuali per rispondere alle necessità di business  Generatore di entropia: sistema che, in modo casuale ma orientato, produce occasioni di incontro e di legame tra persone che non si conoscono (riassegnazione periodica dei luoghi di lavoro, creazione di riunioni lampo a partecipazione causale)  Auto-organizzazione emergente: innovazione e cambiamento a partire dalle persone stesse  Dashboard operativa: osservazione libera del funzionamento dell’organizzazione (logica di panopticon invertito) In questo modello il manager diventa freedom manager, le cui competenze saranno: ricerca dell’unicità, orientamento alla scoperta, apprendimento evolutivo continuo, intuizione evidence based, desiderio nomadico. Anche la Direzione Risorse Umane cambia guardando alle caratteristiche più generali della qualità e delle competenze delle persone (determinazione, autoefficacia, resilienza, ottimismo). Il modello proposto si concentra sulla valorizzazione del capitale umano, un’opportunità di investimento capace di generarsi e rigenerarsi grazie alla volontà e alla motivazione delle persone. Bisogna approcciarsi alla progettazione e alla gestione in modo da mantenere l’equilibrio tra capitale umano, processi di business e auto-realizzazione. Paola Miglio Apple Nella comunicazione sceglie un’estrema semplicità, perché ha l’idea di dover parlare con la gente, con le persone, NON con un target. Il punto di forza è il messaggio “il potere di essere il tuo meglio”. Era vero, perché le dinamiche di azienda mettevano le persone in condizione di fare il proprio meglio. Il cambiamento epocale nel mercato è il fatto che si dà il potere di fare (power to people). Anche all’interno c’era una brandizzazione pazzesca. Un’altra campagna è stata “think different”.  Si dice alle persone “comprami perché tu sarai meglio degli altri” non “comprami perché io sono meglio degli altri” L’ingresso di IBM col tempo manda un po’ in crisi Apple. Allora si fanno circa 70 mini-clip con la personificazione del Mac e del PC. È diventata una saga divertentissima. Sono spesi online, sperimentando i contenuti virali. Bisogna stare attenti al contenuto e i possibili acquirenti. Il contenuto è l’insieme di informazioni usate per trasferire conoscenze. È tutto ciò che si percepisce. Il contenuto si sceglie sulla base di cosa cerca il consumatore: inspire, be in the knoe, find, comfort, connect, feel good, entertain, update socially. È difficile definire il target, è meglio creare un cocktail che metta insieme d armonizzi diverse necessità. Più si pensa al contenuto come l’essenza della comunicazione, poi di può scegliere il canale. Sara Serravalle Occupazione: graphic storyteller La facilitazione visuale è il filo che tiene le idee di un progetto decisionale. Uno dei lavori più diffusi è la graphic recording, ovvero prendere appunti attraverso immagini (ascoltare, concettualizzare, disegnare). Esempio: Coca-Cola deve far fronte al mondo hipster (cura della salute) che ha comportato una forte diminuzione delle vendite. Deve comprendere come ri-raccontarsi per un cliente diverso. La nuova comunicazione punta sul bere responsabilmente e in modo mirato (Coca-Cola non va bene con tutto) La cultura è profonda e multistrato: parte osservabile basata sugli artefatti, valori e norme, radici profonde. La facilitazione visuale arriva all’essenza. Immagini diverse ci fanno comunicare con pubblici diversi e trasmettere messaggi diversi. Una presentazione potente necessita di una mappa. Andrea Fontana Il potere delle storie Lo storytelling necessita di più piattaforme online, ma anche spazi fisici offline. Lo storytelling necessita apicalità esistenziali, ovvero i grandi tempi per cui ci si emoziona. Esempio: Campagna Leon Vivien, Museo della Grande Guerra. Le storie ingaggianti, oggi, presentano eroi che cadono, che hanno problemi, che muoiono  Nella narrazione bisogna familiarizzarsi con un mindset diverso: bisogna esporre i propri problemi Esempio: Alibaba, personaggio di Frank Underwood.  L’immaginario precipita nel reale e diventa addirittura più importante. Il fantastico ha straordinariamente effetti sulla realtà Chi progetta narrazione deve sempre aver presente l’output finale possibile, attraverso una logica crossmediale. Esempio: Sfilata di Valentino a Parigi, protagonisti di Zoolander (inizio della campagna di promozione che dura addirittura un anno) NB: la parte finale in cui Ben Stiller prende il telefono del pubblico è preparata (telefono di uno dei più importanti critici di moda)  Bisogna progettare la story experience, pensando alla conseguenza emozionale del pubblico, e far si che ciò accada Esempio: UnderAlmore, Phelps raccontato nell’ottica problematica, dell’eroe che perde  Oggi si fa existential marketing, si dà un destino al pubblico Battle of narrative: le marche si contendono la supremazia nelle nostre menti e nei nostri cuori anche attraverso la narrazione. Esempio: Campagne tra McDonald e Burger King. Il Burger King ringrazia il competitor, sottolineando la collaborazione tra i due Esperimento: Significant object, USA, 2007  Il capitale narrativo è il gap che c’è fra la storia di partenza e il racconto significativo In termini di mindset lo storytelling porta l’oggetto ad aumentare il suo valore tramite i media e ad ingaggiare pubblico per diventare parte dell’oggetto Lo scopo principale è creare valore. Storytelling NON è autobiografia, foto su Facebook, aneddoti, ecc., MA è un metodo per progettare e guidare identità e relazioni per creare valore attraverso le tecniche del racconto. La storia è la cronologia, il racconto è una rappresentazione. Lo storytelling è comunicare attraverso un racconto. La narrazione diventa semplicemente la combinazione della storia e della rappresentazione. Le competenze necessarie per fare storytelling sono:  Strategic storytelling: bisogna considerare il chi, ovvero ricostruire le storie di vita del pubblico attraverso tecniche di analisi  Script-writing: deve sapere costruire racconti per il pubblico  Visual storytelling: deve creare l’immaginario, deve sviluppare la rappresentazione visiva  Media narrative design: deve studiare la story experience, ovvero l’effetto che la narrazione deve avere sul pubblico Ci sono diversi modi di fare storytelling ma il modo più impattante prevede 3 passaggi: 1. Analisi delle biografie di consumo 2. Definizione core story 3. Media-telling
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