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Appunti Corso geografia 6cfu Prof.ssa Pressenda A.A. 2021-2022, Appunti di Geografia

Appunti Lezioni del Corso di geografia (6 CFU) della Prof.ssa Pressenda

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 17/11/2022

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Scarica Appunti Corso geografia 6cfu Prof.ssa Pressenda A.A. 2021-2022 e più Appunti in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA APPUNTI LEZIONI a.a. 2021-2022 Prof. Pressenda Argomenti del Corso • Storia del pensiero geografico: fase pre-istituzionale • Storia del pensiero geografico: fase istituzionale • New Geography • Il concetto di regione • Luogo, spazio, posizione • Territorio paesaggio • Diffusione spaziale • Il concetto di sistema • Geografia fisica • Geografia della popolazione • Origini dell’agricoltura • Sistemi agrari: agricolture primitive, tradizionali e commerciali • Il modello di Von Thunen • Geografia urbana • Reti e sistemi urbani • Il modello di Christaller • Modello dello zoning • I fattori di localizzazione industriale • Industria e territorio • Geografia dello sviluppo Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Introduzione Obiettivo del corso è quello di offrire una prima occasione di avvicinamento alla geografia come disciplina scientifica, cercando di superare l’immagine nozionistica spesso associata alla pure descrizione di luoghi e di paesi che in tanti casi ne trasmettono gli studi pre-universitari. È una disciplina associata nella percezione diffusa all’immagine di arido nozionismo. Non c’è invece disciplina che realizzi un distacco così grande tra la disciplina scientifica e quella insegnata nella scuola. In questo corso di base cercheremo di familiarizzare con tutti gli elementi che definiscono oggi la scienza geografica, con l’obiettivo di individuare I principali temi e probeli dell’indaigine m al centro dell’indagine geografica. Si cercherà durante il corso di fare propri I diversi linguaggi attraverso I quali la disciplina si esprime, in primo luogo affiancando al linguaggio discorsivo quello specificamente cartografico. Della geografia che abbiamo conosciuto sino ad ora, emerge come sua funzione primaria, quella insita nel suo significato etimologico, quella di descrivere il mondo: Geografia come descrizione e scrittura della terra. Per molti secoli la cultura occidentale ha utilizzato proprio la geografia per descrivere il mondo, elaborando le immagini dell’ecùmene, del mondo in allora conosciuto attraverso il racconto e la sistematizzazione dei dati attraverso le esplorazioni e le scoperte. Da Tolomeo, poi nell’epoca medievale, poi rinascimentale, e oggi con le carte satellitari. Questa funzione di geografia come scrittura e descrizione della terra sembrerebbe quindi oggi perdere di importanza. Una perdita di importanza dovuta alla fine delle scoperte in un mondo che appare ormai completamente noto; il geografo ha perso il suo compito di rivelare paesi lontani. Una funzione di descrizione del mondo che può considerarsi superata, anche grazie alla maggiore mobilità individuale (possiamo spostarci, per piacere o per lavoro, in parti del mondo anche lontane), possiamo pensare di conoscere in autonomia quelle zone che una volta erano conoscibili solo grazie a descrizioni dettagliate. Anche i mass media hanno contribuito a questo. In sostanza, possiamo dire che l’espansione dell’orizzonte delle nostre esperienze spaziali ha incrinato quel monopolio che a lungo era stato detenuto dalla geografia come produttrice di immagini nel mondo. 2 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Ciò che importa è fare una geografia che si fondi sull’analisi e identificazione delle relazioni e delle interazioni che connettono i fenomeni reciprocamente nello spazio della superficie terrestre. L’aumento del flusso di informazioni spaziali, della complessità delle relazioni, non ci fanno accontentare della geografia nozionistica. La geografia come scienza delle relazioni non si basa sulla localizzazione dei singoli relitti (elenco dei fiumi, delle città), ma si basa sull’identificazione delle reti di relazioni che connettono luoghi tra loro. Pertanto, la geografia, pur avendo perso il monopolio della trasmissione di immagini del mondo, non ha perso le sue funzioni: ci offre non solo delle nuove descrizioni, ma anche un insieme di strumenti critici per l’interpretazione del mondo, in particolare per interpretare le modalità secondo le quali si organizzano nello spazio le complesse interazioni tra ambienti naturali e comunità umane. È una scienza che si pone in una talora scomoda ma proficua posizione di intersezione tra scienze della natura e scienze umane, per comprendere le complesse interazioni tra gli ambienti naturali e le comunità umane. La geografia può anche offrire sollecitazioni e strumenti importanti anche sul piano applicativo, nell’ambito della gestione del territorio, così sul piano della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale e paesistico. Una solida cultura geografia apparrebbe fondamentale per la definizione di decisioni e azioni che abbiano per oggetto il territorio. La geografia rappresenta un tassello importante nella formazione culturale non solo dei cittadini che vivono nel territorio (destinatari delle decisioni), ma anche per quei professionisti direttamente impegnati nella messa a punto di decisioni che riguardano il territorio. Capire quali sono stati gli assetti territoriali passati è un aspetto fondamentale per gestire e costruire, reinventare, il territorio nel futuro. Pianificare senza attenzione alla geografia storica e agli assetti territoriali preesistenti vuol dire pianificare in modo mero. La geografia ci insegna a ragionare in termini di reti di relazioni, e non di emergenze architettoniche. Ci sono discipline che si occupano dello studio del singolo monumento, della singola emergenza. La geografia si occupa delle relazioni tra quell’emergenza e il territorio nel quale quell’emergenza è insita. In Italia, alla diffusione del sapere geografico concorrono anche Associazioni non accademiche,con finalità divulgative. 5 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 In primis la Società Geografica Italiana, con sede a Roma, oppure la AGEI (Associazione di Geografi Italiani). Ancora, la Associazione Italiana degli Insegnanti di Geografia. Che cos’è la geografia? Possiamo dire che la geografia è la scienza dei rapporti uomo-natura o società- ambiente. Nel suo sviluppo come scienza, la geografia ha fondato la sua specificità proprio sullo studio delle relazioni tra fenomeni naturali e antropici entro lo spazio della superficie terrestre. Qual è l’oggetto della ricerca geografia? È il territorio, come prodotto dell’interazione tra società e ambiente. Come si colloca la geografia tra le altre scienze all’interno del più grande sistema di conoscenza? La geografia si distingue dalla prospettiva adottata dalle altre scienze naturali e umane che indagano i medesimi fenomeni, perché queste altre scienze li assumono separatamente, come proprio oggetto settoriale. La demografia ad esempio studia la popolazione, indipendentemente dalle relazioni della popolazione con il territorio, cosa che invece fa la geografia. La climatologica, la botanica, la zoologia, la sociologia, l’economica politica indagano dei fenomeni in maniera isolata, li assumono come proprio oggetto di ricerca: la geografia indaga quei fenomeni nelle loro relazioni con il territorio. L’ordinamento spaziale delle società è studiato dalla geografia politica, amministrativa e regionale; i valori socio-culturale sono studiati dalla geografia storica, del paesaggio e culturale; le attività economiche sono studiate dalla geografia agraria e delle attività industriali; l’insediamento è studiato dalla geografia urbana; la popolazione e il suo assetto è studiata dalla geografia della popolazione; i quadri ambientali sono studiati dalla biogeografia e dalla geografia fisica. Queste varie parti sono anche quelle di cui tratta il manuale, che si suddivide nei vari ambiti di cui la geografia si occupa. Tutto l’insieme di questi ambiti specifici è dato dalla geografia generale, il corso che stiamo seguendo, ovvero quell’area di integrazione delle geografie specializzate nell’analisi di tutte le componenti che interagiscono nel rapporto società-ambiente. La geografia sistematica attiene a quelle differenti componenti (i quadri ambientali, il popolamento, ecc.), che interagiscono nel rapporto società-natura. Possiamo dire che l’area di integrazione è tra scienze della terra, scienze umane e scienze geometriche. La geografia generale si pone obiettivi di generalizzazione e spiegazione per la dimensione spaziale dei fenomeni naturali e antropici, ovvero per I fatti di localizzazione, distribuzione, organizzazione e 6 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 interrelazione nello spazio. La geografia è dunque la scienza che analizza i nessi logici che legano nello spazio fenomeni, fatti, strutture. In particolare la geografia indaga due tipi di relazione: • Le relazioni verticali o ecologiche: che si instaurano tra un gruppo umano e l’ambiente da esso occupato (es. tramite l’attività agricola vengono sfruttate le risorse naturali. L’agricoltura è una relazione verticale che il gruppo umano instaura con certi caratteri specifici dell’ambiente con cui entra in contatto). Valorizzandone alcune componenti, quel gruppo umano sfrutta determinate componenti naturali trasformandole in risorse per rispondere a bisogni quali il cibo, l’abitazione, le attività economiche di base; • Le relazioni orizzontali: che si instaurano tra diversi soggetti, gruppi, elementi territoriali situati in luoghi diversi della superficie terrestre (es. relazioni che connettono il porto con il centro siderurgico o la grande città; flusso di merci). Iniziamo a focalizzare alcuni elementi chiave. La geografia è una scienza che indaga le relazioni, siano esse verticali o orizzontali. Le relazioni si instaurano a scala locale (miniera e giacimento), a scala globale (miniera e centro siderurgico verso il quale vanno i materiali estratti; centro siderurgico e il resto del mondo con cui vengono scambiati i materiali). Oppure anche a scala multiscalare (ovvero dalla scala locale alla scala globale). Le relazioni verticali e orizzontali sono espresse attraverso flussi che possono essere di due tipi, materiali e immateriali. Le relazioni verticali del porto con il suo ambiente naturale di riferimento sono di tipo ecologico; qualsiasi ecosistema ha cicli bio-geochimici, flussi circolari di materia e scambi di materia. Possono anche esserci legami orizzontali di tipo ancora materiale (es. scambio di merci tra porto e città). Accanto alle relazioni materiali ci sono anche flussi immateriali, flussi di energia e informazioni veicolati da reti infrastrutturali materiali, che agiscono in una sorta di rete invisibile che avvolge ormai l’intera superficie terrestre. Questa rete presenta addensamenti e discontinuità che variano nel tempo e in relazione ai fenomeni considerati. 7 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 ovviamente il potere politico che userà la cartografia per governare e per controllare quei territori entrati nella sfera del potere. Fase di istituzionalizzazione Nell’ultimo quarto dell’800, la geografia vive una fase di trasformazione e va configurandosi lcome disciplina scientifica e accademica in senso moderno. Sul finire dell’800 nascono le prime cattedre stabili di geografia, per l’insegnamento della materia nelle università di quasi tutti i paesi europei. Per quanto sia arbitrario tracciare un preciso spartiacque cronologico tra le due fasi, tuttavia possiamo identificare alcuni momenti, con tratti comuni, più che date, che segnano il passaggio dall’una all’altra fase: - creazione di cattedre universitarie stabili; - l’ingresso della geografia tra le materie di insegnamento fin dal grado elementare. La geografia diventa materia/strumento utile a rafforzare le identità nazionali. Prima del 1859 (quando viene istituito l’obbligo scolastico fino alla terza elementare), pochi erano coloro che potevano accedere all’insegnamento. Con questo obbligo si amplia la platea di coloro che accedono all’insegnamento scolastico, e tra le materie insegnate compare la geografia. La geografia, nel contesto italiano, aiuta a fare l’Italia: è una geografia al servizio del nation build; - creazione delle Società Geografiche nazionali, con la finalità di promuovere la ricerca scientifica, le attività di esplorazione e colonizzazione ( soprattutto nella seconda metà dell’800); - la creazione di riviste scientifiche specializzate, da parte delle Società Geografiche nazionali ch, parallelamente all’organizzazione di convegni periodici, consentono la diffusione di conoscenze geografiche. In sintesi, cosa caratterizza la grande diversità tra la fase pre-istituzionale e quella istituzionale? La differenza è che la prima fase è quella in cui la geografia è elaborata da singoli pensatori e ha minore capacità di penetrazione nel tessuto della storia delle idee; la seconda é la fase in cui vengono elaborate vere e proprie scuole di pensiero che si formano intorno alle prime cattedre di geografia. 10 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Il passaggio dalla prima alla seconda fase è segnato simbolicamente dall’identificazione di due figure: - Alexander von Humboldt, considerato il padre della geografia. A lui si devono le grandi teorie geografiche elaborate al di fuori di una cattedra universitaria. Ma é un pensatore isolato. - Carl Ritter è il primo a sedere su una cattedra universitaria di geografia, nel 1750 a Berlino. Alexander von Humboldt è un naturalista, esperto in botanica e mineralogia, un grande viaggiatore che ha saputo raccogliere nei suoi viaggi una grandissima quantità di dati su climi, flora, fauna, geologia di regioni remote in allora ancora poco conosciute:“Qualunque sia il fenomeno oggetto di studio, Humboldt non si concentra di analizzarlo in sé, occupandosene come geologi, botanico o meteorologo, ma lo mette in relazione con altri fenomeni con I quali può avere rapporti di causa-effetto, il che è tipicamente geografico. Così, per esempio, studiando il clima, Humboldt ne esamina i rapporti con rilievo, vegetazione (principio di causalità), per poi passare alle condizioni in cui tali fenomeni si osservano nella regione considerata, e alla ricerca di altre regioni nelle quali gli stessi fenomeni si verificano (principio di coordinazione spaziale) presentando i risultati delle proprie indagini con l’ausilio di carte a isolinee e illustrazioni.” (Bartaletti, 2006, p.22). Humboldt è considerato il padre della geografia moderna, l’ultimo dei grandi pensatori singoli ma colui che pone il fondamento e la base sostanziale di quello che sarà l’approccio scientifico successivo. Infatti Humboldt analizza non i singoli fenomeni a sé stanti, ma fa quello che farà la geografia nei decenni successivi: mette in relazione i fenomeni tra di loro, cercando di coglierne i rapporti di causa ed effetto. Fase istituzionale È con la fase di istituzionalizzazione che la geografia viene definita come scienza che studia la dimensione spaziale dei fenomeni naturali e antropici con particolare riferimento alla: • localizzazione; • distribuzione; • variazione; • interrelazione; • organizzazione. 11 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Non si limita a descrivere, ma si pone l’obiettivo di spiegare le correlazioni tra i fenomeni naturali e antropici che hanno luogo sulla superficie terrestre. L’ambito di studio, ridefinito, è parzialmente più circoscritto rispetto alla fase anteriore e contemporaneamente viene distinto da altre discipline (es. cartografia, etnografia, geologia) All’interno di questa prospettiva generale, il dibattito teorico attraverso il quale si definisce la moderna identità della disciplina si concentra intorno ad due problemi chiave: le relazioni uomo-ambiente. e la differenziazione regionale della superficie terrestre. Qual è il contesto del primo problema? È un clima culturale, quello della seconda metà dell’800, dominato dal positivismo e dalle affermazioni delle teorie evoluzionistiche di Darwin. Nel 1859 Darwin pubblica l’origine della specie sancendo l’abbandono della concezione statica della natura e il passaggio verso una condizione dinamica. L’evoluzione è l’unico motore della realtà nelle sue molteplici forme. E’ stato un conectto applicato estesamente a tutte le scienze, anche alla geografia, geografia, sia per la particolare attenzione agli aspetti naturalistici, sia per la tendenza ad attribuire ai comportamenti umani le stesse regole deterministiche che si affermavano nei fenomeni naturali. L’evoluzionismo darwiniano e la nascita dell’ecologia (Henkel) pongono dunque al centro dell’attenzione la questione tra organismi viventi e ambiente naturale, ovvero quello che si va definendo come l’oggetto di studio della disciplina. Il positivismo è caratterizzato da un esasperato empirismo che esclude dalla realtà tutto quanto non sia visibile e verificabile scientificamente. Secondo questa prospettiva l’unico fondamento è rappresentato dai fatti positivi e l’unità dei fenomeni della realtà richiede necessariamente che il metodo d’indagine sia quello delle scienze naturali: il metodo empirico-induttivo: osservare – comparare – classificare -generalizzare. Le previsioni e spiegazioni sono l’obiettivo del lavoro scientifico del positivista. Il modello è quello della fisica e della biologia: la natura ha un ordine necessario che si conosce attraverso le leggi, e dunque è prevedibile. Bisogna arrivare a identificare delle leggi deterministiche di valore generale. Data l’unità del metodo, le scienze si distinguono e definiscono in base al loro ambito. Nel caso della geografia, la scelta di ambito (le relazioni uomo-ambiente) conferisce alla disciplina una posizione particolare come scienza di sintesi tra le scienze della natura e le scienze dell’uomo. 12 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 La scuola francese – Blache de Vidal Si sviluppa intorno a questi concetti la scuola francese, il cui fondatore – Blache de Vidal, si contrappone alla scuola tedesca. Vidal è uno storico di formazione, ha un’esperienza di ricerca concentrata sulla Francia rurale. Condivide l’approccio di Ratzel ma ne elabora una diversa interpretazione. Il raggio delle sue esperienze parte dall’uomo e non dall’ambiente. Secondo Vidal, nei rapporti uomo-ambiente le relazioni non sono riconducibili a schemi di tipo deterministico, a relazioni causa-effetto di tipo rigido e a senso unico; l’ambiente non pone all’uomo vincoli univoci, unidirezionali. Offre al contrario all’uomo una serie di possibilità, che vengono colte in modo variabile e differente dai diversi gruppi umani. L’ambiente esterno pone delle condizioni di vita con le quali la società interagisce, e l’esito finale non é univoco. I gruppi umani, infatti, interagiscono per trovare una propria forma di adattamento a quelle condizioni di partenza che l’ambiente pone. Pur rimanendo la necessità di considerare che l’ambiente pone condizioni iniziali con le quali l’uomo si deve scontrare, tuttavia, la natura non è un vincolo insuperabile. Le comunità umane possono esercitare una scelta tra le possibilità loro offerte dall’ambiente fisico (il clima, la flora, la fauna, ecc.). Il gruppo umano, in modo libero, sceglierà di valutare queste opportunità in modo diverso a seconda del momento storico, del contesto geografico e del contesto sociale in cui vive. Così le collettività possono usare la propria creatività per reagire alle condizioni e alle costrizioni di un particolare ambiente naturale. Utilizziamo il termine di “costrizioni” per indicare che l’ambiente viene visto sempre come una limitazione delle scelte e delle possibilità che le persone hanno a disposizione. La natura non è un vincolo ma una costrizione. . Tuttavia, la costrizione, impone di fare scelte in base alla cultura e in riferimento alle tecnologie utilizzate (es. il deserto ha offerto all’uomo una certa gamma di possibilità: ne sono derivate società dedite all’allevamento di pecore, di cammelli, all’agricoltura nelle oasi, ecc.). La natura quindi esprime vincoli, ma offre anche varie possibilità di occupazione del territorio e di utilizzazione delle risorse fisiche. Le comunità, pur all’interno di evidenti condizionamenti, esercitano una scelta tra le possibilità loro offerte dall’ambiente fisico. La scelta, prodotto significativo del grado di libertà di cui gode l’uomo, è compiuta in base alla cultura e, ultimo ma non meno importante, risente anche di circostanze storiche. Questi ultimi aspetti fanno dell’uomo un “fattore geografico”, fattori su cui 15 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 va messa a fuoco l’attenzione del geografo, che deve comunque restare sensibile a cogliere il substrato fisico dell’organizzazione del territorio. Se l’ambiente pone all’uomo non vincoli rigidi e univoci, ma offre un ventaglio di possibilità, allora il genere di vita è quell’insieme di attività, valori, comportamenti collettivi messi in atto da un gruppo umano per far fronte ai propri bisogni fondamentali di sussistenza entro un determinato quadro ambientale. Ogni gruppo seleziona alcune tra le molteplici possibilità di valorizzazione degli elementi costitutivi di un dato ambiente naturale fondando su essa la propria sussistenza. Una determinata valorizzazione dell’ambiente tende a perpetuarsi nel tempo attraverso le pratiche di più generazioni. Una volta che un genere di vita è stato messo a punto, esso tende a perpetuarsi nel tempo; diventa esso stesso un potente agente di trasformazione dell’ambiente naturale originario. Il persistere di quel genere di vita provoca delle modificazioni e trasformazioni nell’ambiente naturale originario. Si ha il cd (es. effetti della distribuzione selettiva della flora spontanea da parte dell’attività agricola o pastorale; dove si vetrificano queste attività, allora la flora spontanea ne risente di conseguenza. Il genere di vita diventa così un agente di modellamento ambientale. In questo modo Vidal sottolinea la biunivocità delle relazioni uomo-ambiente e sottolinea il fondamentale ruolo modificatore esercitato dall’uomo sull’ambiente terrestre. Il rapporto uomo-ambiente diventa biunivoco. Questa concezione contrappone alla rigidità delle leggi naturali la variabilità storica delle scelte umane, necessariamente contingenti. Per usare le parole di un grande geografo italiano, Lucio Gambi, possiamo dire che quando una società umana fa suo, in qualche modo, un ambiente, lo fa perché vi riconosce le potenzialità atte a fornirgli produzioni o energie o agevolazioni. Il range di possibilità di risposta umana all’ambiente fisico e la considerevole discrezione dell’uomo a scegliere tra esse, giustifica il termine possibilismo, con il quale lo storico Lucien Febvre battezza, nel 1922, questa nuova concezione del rapporto uomo-ambiente (NB: Vidal non usa mai il termine “possibilismo”). Non dobbiamo però immaginare, in questa dicotomia tra determinismo e possibilismo, una separazione netta tra un prima e un dopo. Ci sono delle forti linee di continuità tra il determinismo ratzeliano e il possibilismo vidaliano: - insistenza sul peso della tradizione e sulla durata dei generi di vita, che rende il concetto “genere di vita” poco adatto a studiare società complesse; - insistenza sulla durata più che sul mutamento dei generi di vita porta con sé implicita l’idea che ci siano generi di vita che si affermano in quanto più adatti all’ambiente. 16 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 New Geography La geografia umana classica - di stampo deterministico e possibilistica - come descrizione e come spiegazione di regioni, attraverso il concetto di genere di vita conosce una profonda crisi nel secondo dopoguerra anche in relazione all’emergere di molteplici sollecitazioni. All’interno della stessa disciplina si pongono problemi relativi alla constatazione dell’impossibilità di pervenire a generalizzazioni in ragione di analisi regionali che erano condotte spesso con metodi diversi e poco compatibili. Le analisi regionali costituivano nell’idea di Vidal de la Blache un primo passo verso un obiettivo più alto che era quello della generalizzazione. D’altro canto in quel contesto storico si assiste ad una crescente specializzazione dei saperi, che si riverbera anche all’interno della geografia; all’interno della geografia il riverbero è più forte rispetto a quello delle altre discipline. È una specializzazione dei saperi che dà come esito una frammentazione in sotto-settori rendendo sempre meno praticabile un’analisi regionale unitaria (le analisi regionali vengono fatte a partire da sguardi parziali o comunque settoriali). Le analisi regionali si concentrano su specifiche questioni dell’industria, o della popolazione, o legate al mondo agrario. A ciò si aggiungono le sollecitazioni provenienti dalla società, con la richiesta di strumenti analitici per affrontare i nuovi problemi posti dalle forme di organizzazione complessa delle società urbano-industriali, soggette a rapide trasformazioni e difficilmente inquadrabili attraverso categorie tradizionali come quella dei generi di vita. In sostanza, i concetti e i metodi tradizionali di fronte alle trasformazioni indotte dallo sviluppo urbano-industriale, con ritmi più rapidi, diventano inadeguati. A partire dagli anni ’50 si devono affrontare problemi legati alla ricostruzione post- bellica, che richiedono alle discipline economiche, sociologiche, urbanistiche, precisi strumenti di pianificazione per la ricostruzione. Negli anni ’50 e ’60 il boom economico che caratterizza quel periodo si manifesta anche con forti squilibri territoriali. L’Italia non investe in maniera uguale in tutto il territorio nazionale: ci sono alcune aree, il triangolo economico Torino-Milano-Genova, che conoscono uno sviluppo imparagonabile ai territori del sud. Il prezzo della crescita e dello sviluppo è il sottosviluppo di altre zone. Di fronte a ciò si ha bisogno di individuare gli strumenti più idonei per comprendere gli squilibri e per correggerne gli esiti negativi. 17 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 posizioni politiche di ispirazione marxista propugnano una una critica radicale più al sistema socioeconomico dominante. In quest’ottica la geografia radicale dà spazi a temi di ricerca che fino ad ora erano negletti: la geografia politica, dello sviluppo, l’analisi delle proiezioni territoriali e delle disuguaglianze sociali, ecc. È una corrente di pensiero che tende ad esaurire la sua spinta propulsiva nel corso degli anni ’80, quando quelle stesse correnti politiche marxiste conoscono un certo declino, pur non conoscendo alcun declino la filosofia che ne sta alla base. Anche la geografia umanistica si pone come una impronta critica al neo-positivismo della geografia economica. Sotto questa denominazione si colloca un insieme piuttosto composito di esperienze di ricerca, che maturano soprattutto in campo anglosassone ma anche nella geografia francese, unificate dal rifiuto dell’impostazione quantitativa e funzionalista, di cui si critica il riduzionismo economico e gli effetti alienanti di una pianificazione territoriale condotta secondo principi di mera razionalità economica. La geografia umanistica propone analisi che si basino sulla considerazione della dimensione soggettiva dello spazio. Lo spazio viene percepito e caricato di significati nell’esperienza individuale. È la cosiddetta behavioural geography: l’attenzione si sposta dalle nozioni di regione e spazio alla nozione di luogo. Luogo come spazio dell’esistenza individuale, che si struttura nella vita quotidiana attraverso le percezioni e le pratiche sociali reiterate. È anche lo spazio mentale, che sviluppa una fidelizzazione. Da qui il concetto di identità locale o territoriale. Vengono adottati metodi di indagine di tipo qualitativo, come la psicologia, (es. interviste orali, analisi di fonti letterarie, cinematografiche). Si colgono non solo i valori soggettivi ma anche quelli culturali. I metodi qualitativi sono mutati dalle scienze umane. Questo filone oggi è rimasto assai vitale, pur con degli aggiornamenti, e praticato all’interno del filone della geografia culturale. Ulteriore forma di indagine é la geografia storica. Il forte antistoricismo di cui era impregnata la geografia economica viene criticato: secondo la geografia storica, lo studio del mutamento dei sistemi spazio-temporali è necessario e indispensabile per costituire un fondamentale tema per le analisi geografiche. Le linee di pianificazione territoriale non devono tenere conto solo di uno spazio astratto e funzionale, ma anche delle preesistenti e precedenti strutture spazio-temporali. 20 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Il concetto di regione Partiamo dalla definizione della geografia umana classica (scuola francese e scuola tedesca). Hardsharn, teorico della disciplina, nel 1939 giunge a definire la geografia come scienza della differenziazione parziale, superando in questo modo quel dualismo tra determinismo e possibilismo che rischiava di rompere l’unità disciplinare della materia distinguendo una scienza riferita esclusivamente all’ambiente e una scienza che parte dall’uomo. Il tema della regionalizzazione è un tema connesso con il concetto di scala di indagine. Più il livello di indagine si restringe, più aumenta la capacità di dettagliare. Le opere offrono descrizioni di particolari porzioni della superficie: - La cosmografia studia la terra nel suo insieme; - La geografia studia i caratteri generali della terra; - La corografia studia la terra ponendo l’attenzione alle caratteristiche di alcune sue particolari porzioni; - La topografia studia le caratteristiche particolari di un singolo luogo sulla superficie terrestre. Nella regione vengono a combinarsi fenomeni di carattere fisico ed umano che possono studiarsi nelle relazioni reciproche. La regione è la modalità attraverso la quale si salda l’unità disciplinare e vengono a coincidere e combinarsi fenomeni di carattere fisico e umano e possono studiarsi così le interrelazioni. • La scuola francese di Vidal fa dell’indagine regionale lo strumento privilegiato della ricerca geografica, per cogliere l’irripetibile varietà e specificità delle combinazioni di fatti naturali e umani che caratterizzano le diverse parti della superficie terrestre. È solo attraverso l’indagine regionale che appare possibile cogliere la specificità e la varietà delle soluzioni messe in atto dai gruppi umani per rispondere alle sollecitazioni ambientali. Riassumendo: la scuola francese fa dell’indagine regionale lo strumento privilegiato della ricerca geografica per cogliere nella loro irripetibile varietà e specificità quelle combinazioni di fatti naturali e umani che improntano di sé le diverse parti della superficie terrestre. La regione è un’unità territoriale dotata di spiccata riconoscibilità, non necessariamente coincide con la regione politica, con l’unità politica. E’ una porzione di spazio identificata da un particolare intreccio di elementi naturali (clima, 21 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 vegetazione, ecc.) e umani (insediamenti, forme di organizzazioe economica), è il risultato delle scelte dell’uomo di valorizzazione delle risorse locali. Il territorio infatti riflette sul piano delle forme visibili un certo paesaggio. In sostanza, la regione é il risultato della lunga sedimentazione di un certo genere di vita e dell’azione azione modellatrice esercitata dal gruppo umano sull’ambiente. • La scuola tedesca – peraltro poco interessata al problema della regionalizzazione – approccia il tema della regione alla luce dei principi deterministici: le regioni non possono che essere le grandi regioni ambientali del globo al cui interno, all’uniformità dei tratti naturali (clima, rocce, suoli, vegetazione, ecc.) non corrispondono le uniformità dei caratteri antropici. Crisi del concetto di regione La definizione di regione così come vista fino ad ora, entra in crisi contestualemnte alla crisi della geografia classica. I motivi principali sono: - Impossibilità a pervenire a generalizzazioni; - Crescente specializzazione dei saperi che si riverbera all’interno della geografia; - Inadeguatezza dei concetti e dei metodi tradizionali di fronte alle trasformazioni di fronte allo sviluppo urbano-industriale nel dopo guerra. Emerge il concetto di regione funzionale che porta a distinguere differenti tipi di regione geografica: - Politico-amministrativa (istituzionale, ecc.); - Politica (Stato, Cantone, Ue, ecc.); - Naturale (ecosistema, ecc.); - Storica (eventi comuni, ecc.); - Culturale (lingua, religione, ecc.); - Economica (industriale, turistica, ecc.). Alcune sono maggiormente identificabili e oggettivabili, altre sono costruzioni derivanti da precise scelte di osservazione. La regione viene definita sulla base di funzioni, ovvero viene definita come un insieme di luoghi contigui caratterizzati da attributi non omogenei, connessi reciprocamente da reti di relazioni spaziali (flussi materiali o immateriali) più intense di quelle che 22 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 che sto osservando (non necessariamente dalla prossimità spaziale). Adottare una prospettiva spaziale significa prestare attenzione alle differenze tra un luogo e l’altro, tra uno spazio e l’altro, nelle dinamiche della società e nei rapporti tra ambiente e società. La posizione, anch’essa assoluta o relativa. La posizione designa un particolare punto entro lo spazio della superficie terrestre. La posizione geografica è la posizione che un luogo occupa in un contesto regionale più ampio, con riferimento alla rete di comunicazioni e alle possibili relazioni del luogo con quel contesto. La posizione assoluta è quella data dalle coordinate geografiche. La posizione relativa è quella di un elemento all’interno del più ampio contesto di relazioni spaziali che lo connette con altri elementi e altri luoghi. Torino è quel punto sulla superficie terrestre che ha determinate coordinate: questa è la sua posizione assoluta. A partire dal dato della localizzazione possiamo analizzare la distribuzione spaziale dei vari fenomeni e formulare ipotesi sulla loro organizzazione ed interrelazione nello spazio. Acquisire dimestichezza con questi aspetti del concetto di spazio è fondamentale se si vuole capire fino in fondo come funziona il mondo. La variazione spaziale e la correlazione spaziale sono altri concetti chiave usati dai geografi, entrambi basati sullo studio della distribuzione spaziale dei fenomeni. Noi dobbiamo capire come si svolgono quelle relazioni tra ambiente e società. E come lo capiamo? Lo capiamo anche mettendo in relazione i fenomeni: • La distribuzione spaziale fa riferimento alla disposizione dei fenomeni sulla superficie terrestre • La variazione spaziale fa riferimento ai cambiamenti nella distribuzione di un fenomeno da un luogo all’altro. • La correlazione spaziale fa riferimento al grado in cui due o più fenomeni condividono una stessa distribuzione e variazione spaziale. Territorio e paesaggio Il concetto di territorio ha subito, soprattutto negli ultimi decenni, una trasformazione radicale: da semplice risorsa materiale, suscettibile di sfruttamento, a frutto delle dinamiche interattive che si svolgono tra uomo e ambiente. 25 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Il territorio è prodotto dell’interazione tra società e ambiente, e come tale è l’oggetto stesso della ricerca geografica. È un prodotto sociale complesso, l’esito di un processo relazionale. Possiamo dire che il territorio sia la struttura spaziale dell’organizzazione dello spazio geografico. È lo spazio delle interazioni tra soggetti, correlato con l’insieme delle interazioni rispetto all’ambiente esterno. È un’interazione a lunga durata ed è ciclicamente trasformato dal succedersi dei diversi stadi delle civilizzazioni. Non è un oggetto fisico, il territorio non esiste in natura; rappresenta l’esito di un processo di territorializzazione, di strutturazione dello spazio fisico da parte della società insediata. Il suolo, la terra, l’ambiente, l’ecosistema, il paesaggio, ecc. non sono presi singolarmente, ma rappresentano i supporti fisici e simbolici del territorio. Con territorio non si fa riferimento a un insieme di caratteri di tipo naturale, ma ad un prodotto storico-sociale dell’uomo. Il punto di partenza per comprendere come attori e territorio interagiscano tra di loro è il concetto di territorializzazione: il territorio è prodotto attraverso l’azione sociale. L’analisi della territorializzazione comprende il processo attraverso il quale le comunità umane conferiscono allo spazio naturale un valore antropologico, costruendo i loro spazi di vita e le loro geografie che si concretizzano nello spazio geografico e nella varietà dei suoi paesaggi. Un territorio dunque è un sistema di relazioni ed è un prodotto sociale organizzato. Incorpora eredità e memorie sia naturali, sia artificiali. Ha degli attori, che sono i gruppi, gli Stati, le imprese, ha leggi e regole di organizzazione che sono espressione dei diversi sistemi sociali. Se questo è il territorio, allora il paesaggio è la forma che assume l’organizzazione territoriale. Il concetto di paesaggio è un concetto chiave della geografia ed è un termine a cui è stato dato un significato differente a seconda dei diversi approcci e scuole di pensiero geografico. Il concetto è stato introdotto dal geografo Von Humboldt all’inizio del XIX secolo, quasi un espediente per indurre i suoi contemporanei a osservare e studiare i fenomeni geografici, immaginandoli come se si presentassero in una galleria di quadri dipinti dalla natura e dalla storia. 26 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Sotto l’influenza del positivismo il paesaggio viene considerato come un’entità puramente oggettiva. Abbiamo visto che, per la scuola francese, la regione è quel particolare intreccio di elementi naturali e risultato di scelte di valorizzazione di risorse naturali praticato da uno specifico gruppo umano e codificato in un particolare genere di vita. La lunga sedimentazione di un certo genere di vita e la conseguente azione modellatrice del gruppo sull’ambiente fa emergere le combinazioni di tipi paesistici. Le regioni si configurano come unità territoriali dotate di una ben spiccata riconoscibilità e di particolari paesaggi. I paesaggi, nell’ottica della scuola francese, sono quell’insieme delle manifestazioni sensibili di intrecci di elementi naturali e antropici: le forme del terreno, la vegetazione, gli insediamenti. Nella geografia della prima metà del secolo, l’osservazione delle forme paesistiche, che sono materiali e visibili, è la modalità attraverso cui studiare il rapporto tra ambiente naturale e popolazioni insediate. Questo metodo è stato parzialmente criticato da un importante geografo italiano, Lucio Gambi. Egli sostiene che la mera osservazione del paesaggio non porta a delle spiegazioni, ma suggerisce solo l’esistenza di correlazioni spaziali tra fatti visibili, ignorando quelli che non sono direttamente osservabili. Egli sosteneva che per capire i paesaggi occorreva ricostruire la storia della loro formazione e delle loro trasformazioni. Per Gambi il paesaggio è una sorta di pergamena; per quanto ripetutamente cancellata e riscritta dalle azioni compiute dagli uomini, conserva le tracce di quello che gli è stato impresso nelle varie epoche. Il paesaggio geografico si compone sia di elementi naturali (geomorfologia, ret. Idrografico, clima, natura del suolo, vegetazione), ma anche di componenti antropiche, materiali e immateriali (rapporti di produzione, consuetudini nella trasmissione della terra, rapporti col mercato, influenza urbana, credenze religiose e atteggiamenti psicologici). Altro punto su cui Gambi punta l’attenzione è il non confondere i termini. Il territorio è ciò che abbiamo visto, il paesaggio, la forma dell’organizzazione territoriale, e l’ambiente. L’ambiente è cosa ancora distinta: l’ambiente è quell’insieme di condizioni fisico-naturali che circondano gli organismi viventi sulla superficie terrestre e ne influenzano la vita. Sono i caratteri biologici, metereologici, botanici, ecc. Da questo punto di vista, l’ambiente non è solo quello naturale, ma è anche quello artificiale, quello costruito e modificato all’uomo. Questo approccio riconosce al paesaggio il duplice significato di percezioni soggettive e realtà oggettive. Questa prospettiva é stata assunta dalla Convenzione Europea del Paesaggio, varata nel 2000 e recepita dalla legislazione italiana. La legislazione italiana 27 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 • espansione, ciò che si diffonde persiste anche nel luogo di origine. Questa modalità avviene attraverso tre possibili varianti: via gerarchica, in cui lo spostamento avviene dall’alto verso il basso o in qualche caso anche dal basso verso l’alto, secondo una successione ordinata per rango (rete urbana o struttura sociale). E’ una forma di diffusione nella quale la propagazione di un’innovazione può procedere sia dall’alto verso il basso, ma anche viceversa. (es. scoperta scientifica all’interno di un gruppo di ricercatori di una università, poi condivisa all’interno di un gruppo di ricercatori di università diverse, e poi resa nota ad un pubblico più ampio ancorché di un livello elevato e diffusa su larga scala). contatto: il processo tende ad assumere un andamento spaziale regolare in cui la distanza è inversamente proporzionale alle probabilità di contatto, definendo il campo di contatto (es malattie infettive: la diffusione per contatto o contagio avviene quando un fenomeno malattia o una abilità manuale- si diffonde tra persone che vengono a contatto tra di loro). stimolo si verifica infine quando la diffusione di un’idea contribuisce a generare una nuova idea; questa diffusione influenza in modo significativo la produzione e la commercializzazione di beni (es. industria dell’automobile). Ci sono anche processi combinati di espansione e rilocalizzazione. È dimostrato che per molti fenomeni la diffusione spaziale è data da un misto di diverse tipologie. Il caso delle diffusioni epidemiche, ad esempio, inizia per contagio, per espansione, ma può anche estendersi tramite i processi di rilocalizzazione (il contagiato prende l’aereo). Introducendo la variabile tempo oltre che quella spaziale, possiamo dire che la distanza incide sull’intensità e la direzione del processo diffusivo anche nella sua dimensione temporale: tanto maggiore è la lontananza dal momento di avvio del processo, tanto più diminuiscono le probabilità del contatto. Sul piano temporale, i processi di diffusione tendono a strutturarsi come successive ondate. In linea generale possiamo individuare uno stadio primario, che precede l’innescarsi del processo diffusivo ed è caratterizzato da forti contrasti regionali nella distribuzione di ciò che si diffonde. Lo stadio successivo è quello di diffusione vera e propria: il processo si avvia con l’emergere di nuovi centri di diffusione, in ragione dei quali i contrasti regionali si attenuano. Terzo step quello del consolidamento: i centri emittenti sono localizzati in tutta l’area e meno rilevante è il peso della distanza. Si ha una forte riduzione dei contrasti regionali. Ultimo stadio, e siamo qui nella curva del processo di diffusione, è 30 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 quello della saturazione: la prima ondata si esaurisce e si ha una perfetta omogeneità regionale. I livelli di accettazione calano, fino all’eventuale emissione di un nuovo messaggio innovativi. Rispetto all’idea di prevedere l’avanzamento del processo diffusivo, la scuola di Hagerstrand elaborò negli anni ’60, nell’ambito della geografia quantitativa, dei modelli statistici e matematici attraverso i quali si è tentato di normalizzare e di ricostruire i processi diffusivi. Tuttavia, il tentativo risulta abbastanza foriera di limiti. Questi modelli hanno sicuramente il fascino teorico che sta nella previsione, ma tanti sono i limiti di fondo che ne riducono la portata predittiva. In particolare, l’elemento debole che ne riduce la predittività é la premessa ovvero la considerazione dello spazio astratto. Come già detto la geografia quantitativa, nell’elaborazione dei modelli teorici, prevede sempre uno spazio astratto e geometrico come punto di partenza che elimina le caratteristiche contingenti di quello spazio, fatte di economia, cultura e società. Ma le specificità eliminate sono quelle stesse caratteristiche che influenzano le modalità di diffusione e che a loro volta possono essere influenzate dal modello di diffusione stesso. Il concetto di sistema Occorre soffermarsi sulla definizione scientifica del concetto di sistema. Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 del ‘900, prima in campo biologico poi anche in altri campi, si impone prepotentemente l’analisi dell’insieme di relazioni reciproche, con azioni e retroazioni, tra ambienti e diversi organismi. A loro volta uniti in una rete di relazioni pluridirezionali. I geografi ritengono che il concetto di sistema sia utile per spiegare i rapporti uomo- ambiente nella loro complessità. Secondo Hegt chiedersi se sia l’uomo ad avere più influenza sull’ambiente o viceversa è un po’ come interrogarsi se venga prima l’uovo o la gallina. Il concetto nasce all’interno della teoria generale dei sistemi messa a punto nel 1968 da Von Bertalanffy, attraverso la ripresa di sollecitazioni maturate nelle riflessioni condotte da decenni in diversi settori disciplinari (fisica, ecologia, cibernetica). Queste riflessioni nascevano in rapporto alla crescente insoddisfazione verso gli approcci tradizionali, fondati su procedure di ricerca tendenti alla scomposizione analitica delle 31 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 componenti dei fenomeni osservati, e studiate poi isolatamente prima di procedere alla fase della sintesi. Questa teoria parte dal presupposto che il mondo non sia un complesso caotico o un insieme di elementi contraddistinto da leggi di causalità lineare, ma sia invece un organismo dotato di principi e leggi che coinvolgono la totalità delle sue componenti costitutive. Si mette l’accento sulla complessità strutturale del tutto, sulle interazioni esistenti tra i vari fenomeni. Dal punto di vista geografico, la realtà geografica è concepita come un insieme di elementi che vanno incontro a trasformazioni nel tempo secondo la teoria della complessità. A differenza delle teorie precedenti, qui il punto di partenza è studiare il sistema nella sua interezza, e non per le parti che lo compongono. Si cerca di affrontare la complessità dei fenomeni reali nella sua globalità, riconoscendo l’azione di causalità non lineare e non meccanicistica. Es. Spiaggia: se io considero la spiaggia e voglio studiarla, in una concezione non sistemica scompongo le varie parti, i ciottoli, la ghiaia, e analizzo ciascuna di quelle componenti; se noi consideriamo la spiaggia un sistema, studiamo le parti non singolarmente ma collegandole, attraverso una serie di relazioni che implicano anche la considerazione dell’energia delle onde, dei tempi, delle maree. Sono elementi che fanno parte del sistema spiaggia anche se non sono strettamente connessi alla defezione di spiaggia. Devo prendere in esame anche altri elementi che sono strettamente collegati al sistema. Ne deriva che, nella totalità dell’organismo strutturato, il singolo elemento va esaminato in riferimento alla condotta di tutti gli altri; la variazione introdotta in una componente si ripercuote tanto nel funzionamento di tutto il sistema quanto nel funzionamento delle singole componenti dello stesso. Nasce così la necessità di far uso di categorie logiche che siano più adeguate a studiare la complessità crescente del reale. Gli strumenti offerti dalla teoria generale dei sistemi appaiono ricchi di potenzialità anche per la geografia, che si occupa proprio di fenomeni complessi fondati su interazioni non deterministiche, fenomeni che vanno affrontati secondo un’ottica integrata, olistica. Già Henkel, fondatore dell’ecologia, aveva introdotto il concetto di ecosistema, con riferimento a quel complesso di relazioni tra un certo ambiente e gli esseri viventi ad esso collegati; la prateria, la macchia mediterranea, un lago sono ecosistemi identificabili. 32 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 seconde sono quelle risorse che si rigenerano in tempi utili all’uomo, sia in maniera naturale e spontanea sia attraverso l’intervento umano (es. riforestazione). Una risorsa rinnovabile diventa non rinnovabile quando viene utilizzata ad una velocità maggiore di quella che viene ripristinata. Es. La foresta è una risorsa rinnovabile, ma può diventare non rinnovabile. Tra le risorse energetiche rinnovabili vi sono l’energia solare, eolica, geotermica. Gli interventi antropici possono cambiare la tempistica della rinnovabilità delle risorse (es. fertilità del suolo). In maniera naturale, il suolo ripristina la propria fertilità se lasciato a riposo, se lavorato in maniera naturale (senza l’apporto di fertilizzanti) il suolo ritorna fertile in un certo lasso di tempo, se il suolo viene lavorato e in più viene apportato l’uso di fertilizzanti allora viene ripristinata la sua naturale fertilità in tempi ancora più brevi. Nel linguaggio comune, il termine ambiente è inteso in riferimento al contesto naturale: è ambiente ciò che è naturale. I geografi, invece, si riferiscono ad un concetto più ampio: l’ambiente e’ ciò che circonda un oggetto, sono tutti quei fattori biotici (viventi) e abiotici con i quali persone, animali e altri organismi coesistono e interagiscono. L’ambiente non è necessariamente riferito all’ambiente naturale. È ambiente anche quella componente che circonda il soggetto, l’uomo, e che è stata modificata dalla sua azione. L’ambiente non è solo quello incontaminato, non modificato dall’uomo. L’ottica della geografia fisica è integrata: si indica l’attenzione per la dimensione spaziale dei fenomeni naturali e delle loro interazioni. È proprio alla luce di questa prospettiva integrata che appare utile riprendere gli strumenti della teoria generale dei sistemi, in particolare di una delle più importanti applicazioni della nozione di sistema: il concetto di ecosistema. L’ ecosistema L’ecosistema é l’insieme delle relazioni che connettono gli elementi biotici (vegetali e animali) organizzati in una data comunità (biocenosi) entro una data area (biotopo) mediante scambi di energia e materia. Sulla terra, il mondo animato e quello inanimato, la sfera biotica e abiotica, danno luogo a molteplici combinazioni più o meno complesse. Per questo tipo di combinazioni, gli studiosi usano il concetto di ecosistema: la terra è un ecosistema, e come tale può essere studiata si scale diverse. 35 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 • Gli elementi biotici sono tutti gli organismi viventi, animali e vegetali. Gli elementi biotici sono collocati nella biosfera, che é il sottile involucro del pianeta in cui si manifesta ed é possibile la vita: è presente nella parte più bassa dell’atmosfera, nelle masse dell’idrosfera e negli strati superficiali della crosta terrestre. • Gli elementi abiotici sono tutti gli elementi inorganici collocati nell’atmosfera, nella litosfera e nella idrosfera. Ad animare il funzionamento dell’ecosistema, permettendone la sussistenza, sono gli scambi di energia. Si configurano secondo un flusso unidirezionale di input e output. Tutti gli ecosistemi sono quindi definibili sistemi aperti, in quanto dipendenti dal sole per il loro approvvigionamento energetico e per la conversione di energia solare in materia vivente. Gli scambi di materia assumono una forma ciclica. Non c’è una fonte di materia che procura ininterrottamente materia, come il sole. La materia è finita, è limitata, e quindi deve essere riciclata attraverso un flusso continuo tra sostanza organica e sostanza inorganica. Gli atomi degli elementi che formano le complesse molecole biologiche rimangono sempre gli stessi; non si creano e non si distruggono. I costituenti chimici della materia sono soggetti a trasformazioni cicliche: i cosiddetti biogeochimici, che li fanno passare continuamente dal mondo vivente (bio) a quello non vivente (geo). Questi cicli sono indispensabili, perché non tutti gli organismi viventi sono in grado di elaborare autonomamente i vari elementi organici per farne sostanza vivente. I I più importanti cicli bio-geo-chimici sono quelli del carbonio, dell’azoto, dell’ossigeno e del fosforo. Tutti questi cicli si intrecciano con il fondamentale ciclo dell’acqua. L’input è dato dall’acqua, dal cibo, dall’ossigeno, indispensabili per il rinnovamento dei tessuti umani, in quanto forniscono energia necessaria alla respirazione, alla circolazione del sangue e al movimento umano. L’output è dato dalle sostanze prodotte dal processo metabolico ed espulse in forma solida o liquida. L’energia consumata viene trasformata in calore e riciclata nell’atmosfera sotto forma di gas. La circolarità degli scambi di materia è scomponibile in grandi quantità di input, a cui corrispondono grandi quantità di output. Nulla si crea e nulla si distrugge. La materia è limitata e deve essere riciclata da un flusso continuo tra sostanza organica e inorganica tra input e output. Il trasferimento di energia e materia tra le varie specie è alla base del funzionamento dell’ecosistema. In ogni ecosistema vi è un flusso di 36 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 energia, che parte dal sole, passa alle piante,le quali attraverso la fotosintesi trasformano l’energia solare in energia chimica che viene trasmessa agli altri organismi viventi. Le piante sono organismi autotrofi, ovvero sono produttori autonomi. Gli altri organismi, gli animali, sono eterotrofi, ovvero sono consumatori. Ma ciò non basta per completare il ciclo; importante è anche il ruolo dei decompositori – batteri e funghi - che trasformano I resti di animali e piante in sostanze inorganiche. Il ciclo del carbonio Il ciclo del carbonio converte l’energia solare in materia vivente. Il carbonio è un gas presente nell’atmosfera ed è uno dei componenti essenziali della materia vivente e parte essenziale della vita sulla terra. Buona parte della massa solida degli organismi vegetali e animali è costituita da carbonio; è lo scheletro di tutte le biomolecole. Il ciclo del carbonio converte l’energia solare in materia vivente: attraverso la fotosintesi, il carbonio inorganico presente nell’atmosfera, in combinazione con l’ossigeno (sotto forma di anidride carbonica), viene trasformato in carbonio organico. Costituisce un ruolo importante nella nutrizione di tutte le cellule viventi, oltre a essere essenziale all’interno della catena alimentare. L’unica fonte di carbonio utilizzata dai vegetali è l’anidride carbonica. Le piante assorbono anidride carbonica dall’atmosfera e, con l’intervento dell’energia luminosa che viene combinata con gli atomi di idrogeno provenienti dall’acqua, rilasciano ossigeno nell’atmosfera. I vegetali sono gli unici esseri viventi capaci di trarre vantaggio dall’irradiamento solare per accumulare energia, sotto forma chimica, grazie alla fotosintesi. Dotati del pigmento della clorofilla, utilizzano la luce solare e la compongono in un processo attraverso il quale l’anidride carbonica e acqua producono ossigeno e composti organici a base di carbonio (elemento base). Il fine è produrre tutte le sostanze alimentari indispensabili per la vita. Se ci concentriamo sulle sole relazioni interne alla biosfera, alla componente biogena, si può osservare come queste relazioni si strutturino secondo rapporti di scambio alimentare, dando luogo alle cosiddette catene o reti alimentari. La definizione reti alimentari rappresenta meglio la complessità rispetto alla definizione catene alimentari; si preferisce il termine reti. Il funzionamento di un ecosistema si basa su un flusso di 37 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 La storia dell’uomo è in continua evoluzione e se inizialmente è stata molto lenta, essa ha avuto un’accelerazione eccezionale negli ultimi due secoli. Questa più recente e improvvisa trasformazione del comportamento umano ha modificato il rapporto tra uomo e ambiente naturale. Questo continuo e massiccio intervento dell’uomo sulla natura ha finito con il rendere impossibile il mantenimento degli equilibri degli ecosistemi e ha creato un nuovo problema: l’uomo non è più un elemento qualsiasi del quadro ambientale, che subisce al pari di tutti gli altri gli impulsi che provengono dall’ecosistema, ma è diventato sempre più un elemento che si pone al centro dell’ecosistema e che detta le leggi a tutti gli altri componenti. La distruzione o la riduzione massiccia di un gran numero di specie ha compromesso, in alcuni casi, quell’insieme di interazioni che rendono possibile il recupero delle condizioni iniziali. Recentemente l’uomo si sta accorgendo che sono necessari dei limiti alla sua invasività. Lo schema di funzionamento degli ecosistemi ha un valore generale a qualsiasi scala, ma le componenti degli ecosistemi assumono configurazioni diverse a seconda dei diversi areali della superficie terrestre. Tale differenziazione spaziale è riconducibile all’azione di differenti fattori di varietà ambientali. Partiamo dall’osservazione della scala globale. A questa scala appaiono rilevanti le influenze relative ai caratteri zonali del clima. • Il clima è definibile come l’abituale successione dei tipi di tempo propri di una località o di una regione, non esclusi gli eventi eccezionali. Il tempo atmosferico è una momentanea combinazione locale di vari elementi metereologici. Per tempo intendiamo una condizione momentanea (oggi ci sono un tot di gradi di temperatura, un tot di percentuale di umidità, ci sono o non ci sono precipitazioni). Per quanto riguarda il clima, l’abituale successione dei tipi di tempo nei determinati ambiti (es. nella regione mediterranea) prevede che le estati abbiano una determinata temperatura: il fatto che ci sia un’estate particolarmente torrida o particolarmente fresca non deve farci parlare di cambiamento climatico. Gli eventi eccezionali sono compresi nella definizione di clima. Quindi, secondo questa accezione, il clima il clima è un concetto astratto; non esistono strumenti per misurare il clima. Il clima é una sorta di convenzione che deriva dall’osservazione di un lungo periodo di fenomeni elementari che lo compongono: • temperatura, umidità e pressione. Il periodo di tempo di osservazione per definire un certo clima è di solito intorno ai 2/3 decenni. 40 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 • Il tempo atmosferico è definito dallo stato momentaneo delle variabili climatiche nelle loro oscillazioni. I fattori principali che influenzano il clima sono la latitudine, la distanza dal mare, le catene montuose, le correnti marine, la vegetazione e anche l’uomo. Agiscono sul clima, influenzando gli elementi che costituiscono il tempo, in maniera diversa a seconda delle scale di osservazione. In che misura la latitudine agisce su valori di temperatura e di precipitazioni? La latitudine è un fattore molto importante, in ragione del quale più ci spostiamo verso l’equatore, tanto maggiore è la quantità di calore che la terra riceve dal sole, Questo implica che la latitudine incide sulla temperatura dell’aria in ragione delle variazioni. Man mano che si va verso il polo sarà maggiore la dispersione per unità di superficie. Il punto dove i raggi del sole sono perpendicolari alla superficie varia con le stagioni. Con l’aumentare della latitudine viene intercettata meno luce solare. Man mano che aumenta il grado di latitudine le differenze stagionali nel periodo di insolazione sono più marcate (maggio, giungo, luglio). Il gradiente termico decresce dall’equatore verso i poli e si verifica un parallelo incremento dell’escursione termica annua. Distribuiti in base alle latitudini, si classificano i climi e le regioni climatiche: clima equatoriale, il clima tropicale, il clima arido, il clima temperato e il clima freddo. Geografia fisica: parte III I contrasti termici in ragion dei quali il livello di irraggiamento del sole determinerebbe temperature più alte all’equatore e più basse al polo, sono attenuati dall’azione di alcuni meccanismi nel funzionamento dell’atmosfera. Che cos’ l’atmosfera? È l’involucro gassoso trattenuto intorno alla terra dalla forza di gravità, che si estende per alcune centinaia di km in altezza. Questo involucro rimane a contatto con la superficie terrestre grazie all’attrazione gravitazionale, la quale lo rende più denso alla base e più rarefatto man mano che si sale verso più elevate altitudini. L’atmosfera contiene elementi indispensabili alla vita del nostro pianeta ed è interessata da fenomeni fisico-chimici che influiscono sull’ambiente naturale terrestre. In particolare, l’atmosfera è composta da tre strati gassosi sovrapposti: • la troposfera, lo strato più vicino alla superficie terrestre, ha un’estensione che va fino ai 16/18 km in altitudine e la sua temperatura diminuisce dal suolo di circa 6 41 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 gradi centigradi ogni km. È uno strato sottile che contiene soprattutto ossigeno, biossido di carbonio e vapore acqueo. È in questo strato che è concentrato il 90% della massa atmosferica e il 75% del vapore acqueo. • La tropopausa e poi la stratosfera. L’atmosfera svolge un ruolo fondamentale al fine di attenuare alcuni contrasti termici. Ha come funzione quello di filtrare le radiazioni solari in entrata; il 35% delle radiazioni solari in entrata è assorbita dalle nubi e il 65% è assorbita da atmosfera e terra ed è poi restituita. L’atmosfera funziona da filtro, per cui non tutte le radiazioni solari raggiungono la terra; quelle che raggiungono la terra sono assorbite in parte dall’atmosfera e in parte dalla terra, e dalla terra vengono restituite. L’atmosfera funge da riequilibrio termico attraverso il cosiddetto effetto serra: è un effetto naturale dovuto alla presenza nella troposfera di anidride carbonica, vapore acqueo e pulviscolo che ha l’effetto di lasciar entrare le radiazioni ad onde corte, mentre le radiazioni ad onde lunghe trasformate dal sole non riescono ad uscire. I contrasti termici risultano attenuati dall’azione di alcuni meccanismi nel funzionamento dell’atmosfera, che svolge ruolo di filtro delle radiazioni in entrata e di riequilibrio termico attraverso l’effetto serra. L’atmosfera, come tutti i corpi, subisce l’azione della gravità terrestre e possiede di conseguenza un proprio peso. Il peso esercitato su un’unità di superficie terrestre da una colonna d’aria viene definito pressione atmosferica. La pressione atmosferica è costantemente influenzata da alcuni fattori: altitudine: dimunuisce con l’aumento dell’altitudine, dapprima velocemente, in ragione dell’abbassamento della densità atmosferica, poi più lentamente. Questa variazione ha vari effetti sia sul corpo umano (es. mal di montagna) sia per esempio sui punti di ebollizione dell’acqua e altri aspetti. temperatura: influisce sulla pressione atmosferica, poiché quando l’aria si riscalda e si dilata diventa meno densa e più leggera. Al contrario, l’aria fredda è più densa e più pesante. Ne consegue che l’aria calda tende a salire e quella fredda tende a scendere. Questo ragionamento porta a definire aree a bassa pressione e aree ad alta pressione. Le prime vengono definite aree cicloniche: al loro interno si possono creare condizioni di tempo perturbato con possibilità di precipitazioni, poiché l’aria calda e umida si sposta verso l’alto dando origine a formazioni nuvolose. Le seconde sono invece chiamate anticicloniche e ad esse sono solitamente associate condizioni di tempo bello e stabile, poiché l’aria fredda e secca tende a scendere verso il basso. 42 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Queste considerazioni ci portano a parlare di regionalizzazioni. L’azione combinata dei fattori di varietà ambientale individuati alle diverse scale spaziali e l’influenza da essi esercitata sulle biocenosi dà luogo adun variegato mosaico ambientale. Geografia fisica: parte IV Analizzando le relazioni che intercorrono tra clima, suolo e vegetazione, la geografia fisica ne fa emergere combinazioni ricorrenti e generalizzabili, sulla base delle quali definisce delle classificazioni tipologiche. La complessità e la varietà delle combinazioni tra i vari elementi dell’ecosistema e la molteplicità dei fattori che li influenzano prevedono una molteplicità di soluzioni possibili. Tra queste riconosciamo l’identificazione delle fasce di produttività vegetale, identificate sulla base dell’applicazione dell’indice di Patterson. L’indice di Patterson Patterson ha elaborato un indice di produttività potenziale delle piante in una data superficie a partire dai dati climatici. L’ indice é dato dalla osservazione dei diversi dati climatici: la produttività delle piante é direttamente correlata alla temperatura media del mese più caldo, alle precipitazioni annuali e alla quantità di radiazione solare; diminuisce in correlazione all’escursione annuale delle temperature di una data area. Quindi, sulla base di questo indice la Terra può essere suddivisa in 6 zone convenzionali: - Una zona equatoriale, in cui l’indice di produttività ha un valore molto elevato; - Delle zone dei tropici, con un indice di produttività compreso entro 10 e 50; - Delle zone intermedie; - Delle zone a climi freddi e temperati; - Delle zone deserti e delle zone fredde. Tuttavia è soltanto uno dei possibili sistemi di classificazione, sulla base del quale sono possibili delle operazioni di regionalizzazione. Infatti, sulla base della considerazione integrata di fattori climatici e botanici, possiamo individuare 9 grandi tipi di bioma presenti sulla superficie terrestre. 45 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 I biomi sono raggruppamenti di ecosistemi situati in una determinata zona geografica di vasta estensione, con condizioni climatiche simili, popolati in prevalenza da specifiche specie di piante e animali.L Le 9 grandi tipologie sono identificate secondo uno schema che ha validità generale: - biomi di foresta (foresta equatoriale, periferica delle medie latitudini e boreale) - biomi intermedi (savana, mediterraneo, e le praterie di medie latitudini; - biomi sterili (suddivisi in sterili, aridi e semiaridi, tundra, e polare). E’ uno schema che pone però dei problemi in relazione con il grado di dettaglio della scala di osservazione. Possiamo definire i biomi una delle forme di regionalizzazione utilizzate in geografia fisica; ma man mano che il dettaglio della scala di osservazione si raffina, vi sono alcuni problemi di delimitazione regionale. A livello locale osserviamo che la transizione da un bioma all’altro ha gradualità che rendono difficil la netta demarcazione tra un bioma e l’altro. Il passaggio, per esempio, tra la tundra e la foresta boreale è un passaggio che ha dei margini di gradualità; vi sono delle aree che definiamo ecotomi e che sono delle fasce di transizione. Vi possono essere inoltre aree di discontinuità all’interno del bioma. Sono aree di discontinuità interna determinate dall’azione di fattori di varietà ambientale specifici. Ulteriore elelento di differenziazione é quello relativo alla instabilità ambientale del tempo, che muta le condizioni tipiche dei biomi in rapporto tanto a dinamiche naturali quanto a dinamiche introdotte dall’azione umana. La suddivisione e le caratteristiche dei 9 biomi I biomi di foresta si suddividono in: foresta equatoriale. È un’area localizzata nella fascia equatoriale della terra, che riguarda il bacino del Congo, il Madagascar, il bacino dell’Amazzonia nell’America centrale e parte dell’area indiana e della Nuova Guinea, e l’Asia sud orientale, oltre a parte dell’Australia. È una fascia che occupa il 7% della superficie terrestre, una fascia relativamente modesta in termini quantitativi di superficie, ma particolarmente significativa perché rappresenta il 50% della biocenosi per numero di specie. È il bioma terrestre con la massima biodiversità. Ha una elevata produttività vegetale e una 46 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 elevata biodiversità. È anche definita foresta pluviale e, per darne una semplificazione estrema, possiamo identificarla con quella fascia compresa tra i due tropici. Dal punto di vista climatico presenta precipitazioni abbondanti, che vanno tra i 2000 e i 4000 mm annui. E’ una fascia caratterizzata da temperatura media costante intorno ai 25 gradi. L’escursione termina annuale si mantiene a livelli minimi, entro i 2/3 gradi. Il grado di umidità è elevato; alta umidità e alta temperatura media portano a elevate precipitazioni. È un clima caratterizzato da condizioni stabili tutto l’anno e dall’assenza di variazioni stagionali. È l’insieme di questi fattori a favorire lo sviluppo della vegetazione rigogliosa, nella quale è presente un’attività biologica intensa, nella quale anche le specie animali presenti sono varie e numerose. Tra le tipologie botaniche presenti sono le latifoglie sempreverdi, le foglie dominanti. Sono delle forme dominanti e molto elevate, le cui fronde si innalzano fino a 50 m dal suolo, e proprio per questa ragione le foreste pluviali hanno uno scarso sottobosco; questo perché la luce del sole difficilmente riesce a raggiungere il livello del suolo. Il sottobosco è composto prevalentemente di felci, in grado di vivere anche alla semioscurità, oppure di specie in grado di arrampicarsi sugli alberi. Le foreste pluviali sono quelle soggette ad un taglio intensivo e quindi alla conseguente deforestazione. Nel XX secolo la superficie delle foreste si è ridotta di quasi la metà. • foresta decidua o periferica delle medie latitudini è distribuita nella fascia temperata degli Usa, dell’Europa edell’Asia. E’ una fascia che intercorre tra i 40 e i 45 gradi di latitudine nord, è una fascia nella quale la temperatura media annua è intorno ai 10 gradi con delle oscillazioni che vedono la temperatura invernale scendere fino a - 5 gradi. Le 4 stagioni sono ben evidenti e distinte le une dalle altre, con un inverno fresco e umido e un’estate calda. È quel bioma che vede variare notevolmente il proprio aspetto in ragione del mutare delle stagioni. La flora è costituita principalmente da alberi decidui (che perdono le foglie) durante la stagione fredda, per il forte gelo. È una foresta di latifoglie e nelle zone montane mista di latifoglie e conifere. È collocata nelle aree nelle quali sono anche più diffuse le coltivazioni agricole e quindi anche in questo caso, in ragione della continua espansione delle aree destinate a coltivazione avvenuta nel corso del XIX e XX secolo, è un tipo di foresta che è andata contraendosi in termini di superficie. • foresta boreale o taiga, distribuita nella fascia latitudinale compresa tra i 50 e i 65 gradi di latitudine nord, le aree sono caratterizzate da inverni molto freddi e nevosi ed estati brevi, tiepide e umide. La stagione vegetativa, durante tutto l’arco dell’anno, 47 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Trattandosi di fonti non nate con una finalità specificatamente demografica, il rilevamento é parziale, i dati spesso non sono completamente attendibili, sono disomogenei e irregolari nel tempo. Ricorrono con una cadenza occasionale. Questa categoria delle fonti pre-censuarie si distingue da una seconda grande categoria: quella dei censimenti moderni. Sono i censimenti della popolazione che vengono realizzati a scopo statistico a partire dalla fine del ‘700, con modalità e tempi diversi a seconda dei paesi. Hanno un carattere globale, i dati sono raccolti in maniera simultanea (avendo la possibilità di confrontare questi dati), e hanno una periodicità fissa. In Italia il primo censimento ufficiale viene realizzato dalla Direzione Generale di Statistica, organo confluito nell’Istat attuale, nel 1861 e da lì poi con cadenza decennale (ad eccezione del 1941 e 1991). Nel 2029 questa scansione regolare ogni 10 anni è stata cambiata: la rilevazione é effettuata con cadenza annuale, basato su una una scelta a campione: ogni anno anno viene fatta una selezione a campione della popolazione che consente di avere un aggiornamento costante. Il censimento é permanente e non coinvolge più tutte le famiglie simultameneamente. Così, ogni anno, circa 1 milione 400 mila famiglie selezionate a campione partecipano al censimento. E’ una modalità scelta perché in grado di contenere i costi, di ridurre il fastidio a carico delle famiglie e di permettere un aggiornamento più costante. Gli esiti sono in corso. È obbligatorio per legge partecipare ai censimenti. È un rilevamento che consente un immagazzinamento di quantità di dati enorme, che devono essere letti e interpretati. La statistica costituisce uno dei molteplici linguaggi di cui si avvale la geografia. La geografia usa nella propria condivisione e nel proprio fare ricerca diversi linguaggi. Usa quello descrittivo delle parole, ma anche quello statistico dei numeri e quello cartografico delle immagini. Il linguaggio statistico consente di rendere quantificabili dei complessi e a volte variabili quali quelli territoriali. Il linguaggio statistico si basa su numeri e individua categorie: un dato non è di per sé vero e affidabile solo perché espresso in forma numerica; qualsiasi dato sta all’interno di categorie di classificazione statistica. Il numero di abitanti di un comune è la categoria statistica che stabilisce “abitanti di un comune”. Ma non è una realtà, è una categoria. È fondamentale che prima di maneggiare dei dati venga controllato il significato delle categorie statistiche secondo cui sono raccolti e organizzati i dati. Es. Zona altimetrica: possiamo dividere l’Italia in zone altimetriche di montagna, collina e pianura. La definizione dell’Istat di zona altimetrica è “Ripartizione del territorio nazionale in zone omogenee derivanti dall’aggregazione di comuni contigui costituita di 50 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 norma sulla base di soglia altimetrici”. Noi diciamo che le zone altimetriche sono la montagna, la collina e la pianura. Sulla base di questo diciamo che in Italia ci sono tot comuni in zona di montagna, collina e pianura. Noi diremmo che è oggettivo, ma bisogna controllare il significato delle categorie statistiche. Se io vado a vedere che cosa vuol dire montagna, collina e pianura, e quindi se vado ad analizzare il significato delle categorie statistiche, allora leggo così. Zona altimetrica di pianura: “Il territorio basso e pianeggiante caratterizzato dall’assenza di masse rilevate. Si considerano di pianura anche le propaggini di territorio che nei punti più discorsi dal mare si elevino ad altitudine, di regola, non superiore ai 300 m (..)”. Abbiamo una prima indicazione di altimetria. Zona di collina: “Il territorio caratterizzato dalla presenza di diffuse masse rilevate aventi altitudini, di regola, inferiori ai 600 m. nell’Italia settentrionale e 700 m nell’Italia meridionale e insulare”. Un comune a 550 m sul livello del mare, dunque, è un comune di collina nell’Italia settentrionale, ma se ho un comune di 650 m è un comune ch e nell’Italia settentrionale è di montagna, nell’Italia meridionale è di collina. Altri esempi della necessità di controllare e analizzare il significato specifico: • Popolazione attiva che é la somma delle persone occupate, di quelle disoccupate alla ricerca di una nuova occupazione e delle persone in cerca di prima occupazione”. La popolazione attiva è quella che è potenzialmente alla ricerca di un lavoro. • Popolazione non attiva che é la popolazione in condizione non professionale. È la popolazione che non è occupata, non è in cerca di lavoro o che è in pensione. Le informazioni statistiche derivano da enti produttori che sono attivi a diversi livelli territoriali e che raccolgono informazioni statistiche. A livello internazionale vi sono organizzazioni che fungono da centri di raccolta di informazioni statistiche. Abbiamo degli enti produttori a livello statale e a livello regionale e locale. A seconda del livello territoriale rispetto al quale ho raccolto il dato, la paragonabilità dei dati può essere diversa. Se io paragono il censimento della popolazione fatto in Italia da quello fatto dalla Francia, devo avere la consapevolezza che possono essere dato non rilevati nella stessa modalità. Il problema della paragonabilità dei dati ha reso necessario, in qualche caso, l’intervento di alcune organizzazioni internazionali, che effettuano ad hoc rilevamenti di dati in modo tale che siano resi paragonabili gli uni dagli altri. I dati statistici, come vediamo nella tabella, possono essere aggregati, letti e interpretati in maniera diversa. 51 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Es. Popolazione rilevata nel primo gennaio 2019, suddivisa tra maschi e femmine, in Italia. Questo elenco di numeri, un dato statistico, comunica un fenomeno (della popolazione) in maniera quantitativa, ma non così facilmente interpretabile. Se io trasferisco questa tabella sotto forma di grafico ecco che quel dato numerico viene elaborato e reso più parlante, più efficacemente comunicabile. I grafici, però, NON sono intercambiabili. Ciascun grafico va utilizzato a ragion veduta. • Il diagramma cartesiano rappresenta fenomeni che variano nel tempo. • L’istogrammaper confronta lo stesso dato riferito a località diverse • L’aerogramma rappresentare la suddivisione in parti di un determinato fenomeno. Questi valori possono essere espressi anche nella cartografia tematica che ha lo scopo di visualizzare le informazioni statistiche relative ad uno o più fenomeni consentendo la loro percezione visiva immediata e d’insieme su di una base geografica o topografica opportunamente semplificate. I Quello importante da capire e controllare è il tema dell’interpretazione critica di quei dati. Anche la carta tematica, così come il dato statistico oggettivo, va letta criticamente e interpretata. Le modalità attraverso cui possono visualizzare il fenomeno sono diverse: attraverso il cartogramma a reale o per simboli proporzionali, con simbolo che aumenta di dimensione man mano che aumenta il fenomeno. Cartogramma a curve isometriche; cartogramma a nastro, in cui ho delle linee che hanno spessore maggiore a seconda della intensità del fenomeno; un cartogramma a mosaico. Quello che bisogna sottolineare è che qualsiasi rappresentazione grafica scegliamo, avrà alla base un procedimento che è quello di aggregare dei dati per classi di valore. Ogni carta tematica ha alla base una legenda, dove abbiamo quantitativi numerici aggregati per classi di valori. 52 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Per affrontare il tema della geografia della popolazione occorre padroneggiare alcune definizioni-chiave: - Densità: si tratta del rapporto aritmetico tra il numero di abitanti di un’area e la superficie della stessa in km quadrati. Con superficie totale si fa riferimento ad una regione politico-amministrativa (Regione, Stato, provincia, città). Quindi la raccolta dei dati relativi alla densità avviene sulla base di unità politico- amministrative che possono essere a diverse scale (statale, regionale, provinciale). Es. Censimento del 2011 in Italia: la densità media era di 199 abitanti per kmq. La densità media ha però dei valori molto differenti a seconda delle regioni. Se io analizzo questo dato a livello regionale osservo che la Valle d’Aosta ha una densità media di 38 abitanti per kmq, mentre la Campania ha una densità media di 423 abitanti per kmq. Se scorporassi ancora a livello comunale, osserverei di nuovo delle grandi differenze tra aree urbane e aree non urbane. A livello globale, la concentrazione della popolazione é così definita:, l e l’Europa: l’Asia meridionale ospita il 25%, l’estremo Oriente il 23% e l’Europa l’11% della popolazione complessiva della terra. Questi dati possono ulteriormente essere raffinati con ragionamenti più analitici. Ciò che dobbiamo mettere in campo è la relazione tra la densità della popolazione e la superficie agraria utilizzata, ovvero il rapporto tra la superficie agraria utilizzata e il numero dei suoi abitanti che ci porta al concetto di • densità fisiologica. A densità aritmetiche possono corrispondere densità fisiologiche molto differenti. Nel caso dell’Egitto abbiamo una popolazione complessiva di 89 milioni di persone che si distribuiscono su una superficie di 995 mila kmq, il che ci dà una densità aritmetica di 90 abitanti per kmq. Se si considera la superficie coltivabile di quello stato, scopriamo è estremamente ridotta. Ciiò implica che se rapportiamo il numero dei suoi abitanti con la superficie agraria coltivabile, ne deduciamo una pressione della popolazione sulle terre utilizzabili molto elevata. La popolazione del Bangladesh rispetto a quella dell’Egitto è quasi il doppio. Ma insiste su un territorio che é doppio in kmq di quello dell’Egitto. Se prendiamo il Giappone, questo ha una densità fisiologica molto elevata ed è molto soggetto all’importazione. In termini economici ha una risposta positiva. Nel caso del Bangladesh questa densità fisiologica non può essere affiancata da un alto tasso di importazione, perché il Paese non se lo può permettere. 55 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 In Giappone l’uomo ha creato spazi coltivabili e sfruttato ogni spazio coltivabile possibile. Le pendenze vengono sfruttate grazie a dei terrazzamenti che risolvono il problema della scarsità di terreno coltivato. Geografia della popolazione (parte II): tasso di natalità, mortalità, incremento naturale La dinamica demografica di una popolazione si compone del movimento naturale, del numero di nati e di morti, e del movimento migratorio, ovvero del numero di immigrati ed emigrati. Per poter svolgere l’analisi di questi aspetti occorre familiarizzare con alcuni concetti identificabili nei cosiddetti tassi demografici. • Tasso di natalità è il rapporto tra il numero di nati vivi nell’anno e il totale della popolazione per 1000. È un tasso denominato generico perché al denominatore confluiscono anche coloro che non hanno alcuna possibilità di procreare (maschi, femmine troppo giovani o femmine troppo anziane). Nel mondo varia da 7 nati per 1000 abitanti nel Principato di Monaco a 53 nati per 1000 abitanti nel Niger, con una media globale di circa 20 nati per 1000 abitanti. Il tasso di natalità e quelli che vedremo sono valutabili in termini di valori assoluti o di percentuali, o per 1000. I tassi valutabili in termini di valori assoluti ci dicono poco, perché ci danno un numero assoluto che in assenza di un valore percentuale è poco identificativo, mentre il valore percentuale è più utile ai fini di una comparazione tra popolazioni diverse (a cui la geografia tende sovente). • Tasso di fecondità: numero medio annuo dei nati vivi per donna in età feconda, tra i 15 e i 50 anni. Esprime la capacità riproduttiva delle donne in età feconda, ma non ci dice nulla rispetto all’incremento della popolazione. Es. In Iran tra il 1950 e il 1955 la donna aveva in media un tasso di fecondità di 7 figli, ma questo dato non ci dice nulla rispetto all’incremento o meno della popolazione tra il ’50 e il ’55. Per comprendere l’incremento della popolazione dobbiamo rapportarla anche al tasso di mortalità. Il tasso di fecondità può anche essere controllato dai governi inserendo politiche nataliste o antinataliste, mirate ad incentivare o limitare la crescita della popolazione. In Francia il tasso di fecondità del 2 per 1000 è in linea con la media mondiale, ma è più elevato rispetto a quello di altri paesi europei. La media dei paesi europei è al di sotto del 2. Questo dato è anche ottenuto in ragione delle politiche 56 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 nataliste a sostegno della famiglia; uguaglianza di genere, lavoro alle giovani coppie di genitori, sgravi fiscali, sostegno agli asili, ecc. A politiche nataliste di questo genere corrispondono invece stati che attuano politiche antinataliste. L’esempio più noto è quello della Cina con la cosiddetta politica del figlio unico (introdotta nel 1980): vietava per legge alle donne di avere più di un figlio. La legge venne poi modificata negli anni ’90 quando si passò dal divieto assoluto a forti sanzioni pecuniarie. La corte suprema cinese abolì questa legge, anche quella relativa alle sole sanzioni pecuniarie, nel 2013. Rimane comunque un Paese che, per quanto in maniera più allentata, promulga politiche antinataliste. Possiamo dire che il tasso di fecondità globale è in costante riduzione. In alcuni paesi del mondo, il tasso di fecondità è al di sotto del 2 per 1000, ovvero non viene raggiunto il livello di sostituzione delle generazioni: perché ogni coppia di genitori venga sostituita nella generazione successiva occorrerebbe che questa coppia avesse due figli. Alcuni stati, l’Iran in particolare, hanno subito un crollo del tasso di fecondità. A partire dagli anni ’80 si è passati dai quasi 7 figli per donna fino ad arrivare, nel 2010, ad essere al di sotto del 2. In generale l’Europa è una delle aree del mondo che, con un tasso di fecondità di 1,5 per donna, ha i più bassi tassi di fertilità. • Tasso di mortalità è invece il rapporto tra il numero di morti nell’anno e il totale della popolazione per 1000. I tassi più bassi nel mondo sono registrati in Qatar, con meno di 2 decessi l’anno per 1000 abitanti, mentre tra i più elevati vi sono stati come il Lesotho, con 23 morti per 1000 abitanti. Anche la mortalità ha una grande varietà di ragioni che dipendono da fattori tanto naturali quanto sociali. Possono esserci disastri naturali, uragani o epidemie ad esempio, che se particolarmente gravi possono far alzare il tasso di mortalità non solo in conseguenza dei decessi immediati, ma anche in conseguenza di decessi successivi ancora connessi a quel disastro (difficoltà finanziare, difficoltà psicologiche). Sono incluse anche le guerre. Non necessariamente l’aumento del tasso di mortalità è indice di fattori e di eventi naturali e non sempre è correlato con il grado di povertà di una nazione. Anche se spesso i tassi di mortalità di riscontrano nei paesi più poveri, è anche ver che il tasso di mortalità elevato non è necessariamente una caratteristica unicamente collegata con i livelli di sviluppo economico di un Paese. Può essere collegata ad altri fattori, come la presenza o l’assenza di politiche sociali (es. un Paese ha un PIL molto elevato, ricco per un solo aspetto economico come i paesi produttori di petrolio, ma con politiche sociali totalmente assenti). Altre ragioni connesse al tasso di mortalità più elevato possono essere legate anche all’età media della popolazione. In Danimarca il 57 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Il ritmo della crescita dell’incremento naturale della popolazione è divenuto più rapido all’inizio del XIX secolo e XX secolo, grazie allo sviluppo economico e sanitario. Nella seconda metà del ‘900 c’è stata una vera esplosione demografica. La popolazione mondiale superava di poco i 2,5 miliardi di individui nel 1950, quando i tassi di mortalità hanno iniziato a diminuire anche nei paesi tropicali. Questo ha determinato l’avanzata demografica anche nel sud del mondo, dove oggi si concentra circa l’80% della popolazione mondiale, mentre nel 1950 vi si concentrava il 67%. Il ritmo vorticoso assunto dalla crescita demografica nell’ultimo mezzo secolo ha alimentato diffuse preoccupazioni sulla sostenibilità di quel ritmo, sia in termini economici sia ambientali. In particolare il rapido incremento della popolazione in Africa, America latina e in Asia è stato spesso considerato come uno dei fattori cruciali del mancato sviluppo, o come si soleva dire con un termine ormai considerato obsoleto, del “sottosviluppo”: la crescita economica in vaste aree ha stentato a mantenere il passo di una popolazione sempre più giovane e numerosa, ostacolando l’aumento del reddito per abitante e la formazione di risorse per l’investimento. Lo straordinario aumento della popolazione verificato nell’ultimo secolo tuttavia è fortunatamente coinciso con un diffuso miglioramento delle condizioni di vita e con il più grande sviluppo produttivo mai verificato nella storia. Certo è vero che il sud del mondo è stato a lungo emarginato dallo sviluppo economico, anche se il reddito per abitante, a partire dal 1970, è crescita più rapidamente nei paesi in via di sviluppo rispetto a quelli avanzati. L’esplosione demografica a cui abbiamo assistito nel secondo dopoguerra è stata assorbita a livello globale sotto il livello economico, sostenibile economicamente. Resta di fatto che la popolazione non può continuare a crescere all’infinito. Quali sono le tendenze attuali? L’esplosione demografica sembra in fase di esaurimento. La popolazione mondiale continua ad aumentare a ritmo di 75 milioni di persone annue. È un incremento che resta preoccupante in termini assoluti, ma, in termini relativi, è una progressione che va attenuandosi da circa 30 anni. Nell’intervallo di 16 anni, dal 1995 al 2010/11, la popolazione è cresciuta in media di 62 milioni di individui l’anno, tuttavia, su scala globale, il tasso di incremento annuo ha segnato una tendenza decrescente. Attualemnte le nascite superano i decessi e quindi la popolazione continua ad aumentare; ma se osserviamo le varie differenze regionali, questo incremento demografico complessivo riguarda ormai solo i paesi considerati in via di sviluppo. 60 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 In questo momento, il tasso di incremento demografico annuo (rapporto tra saldo demografico e la popolazione totale) è dell’1,2% annuo ed è in fase di lenta discesa già dal 1965/70. Il tasso di incremento annuo è quasi dimezzato nel corso dell’ultimo trentennio. La popolazione ha continuato ad aumentare ma con ritmi meno sostenuti rispetto ai decenni precedenti. Oggi il tasso di incremento della popolazione rimane molto alto solo in Africa e nei paesi arabi, dove supera il 2% annuo. Su scala globale, la tendenza demografica generale segue un’unica direttrice. Il numero delle nascite supera quello dei decessi ma con un tasso di crescita della popolazione che vede via via una diminuzione. La Cina ha visto una diminuzione consistente, ma anche l’India. Nei paesi africani, soprattutto in Nigeria, c’è stato invece un aumento. Abbiamo stime oggettive relative ad un rallentamento dell’incremento della popolazione globale. Il rallentamento dell’incremento è dovuto certamente ad un miglioramento del tasso di mortalità, ma anche ad un crollo della fertilità. Il tasso di fecondità globale è in costante riduzione, con ritmi particolarmente accentuati in alcune aree: oggi sono quasi 80 gli stati nel mondo dove non viene raggiunto il livello di sostituzione delle generazioni. Il tasso di fertilità è indotto non tanto da politiche di pianificazione familiare, che hanno risultati di portata relativamente limitata, ma piuttosto dal modificarsi delle condizioni sociali, soprattutto dalla condizione femminile. Il tasso di fertilità tende ad essere inversamente proporzionale al grado di sviluppo umano e al tasso di urbanizzazione, mentre non è significativamente correlato alle differenze culturali, religiose e giuridiche. Le differenze geografiche sono rilevanti, ma in fase di attenuazione. Solo l’Africa si distanzia dagli altri continenti, con un tasso di fertilità di 5 figli per donna. La media nei paesi in via di sviluppo è di circa 3 figli per donna, anche se questa media non è molto al di sopra del minimo necessario per il ricambio generazionale (1,5). È la prima volta nella storia umana che la fertilità scende a livelli così bassi. In passato le fasi di stallo demografico erano causate dall’aumento della mortalità, ma MAI alla rinuncia volontaria alla riproduzione. Secondo la previsione delle Nazioni Unite, nel 2050 la popolazione mondiale si stabilizzerà intorno agli 8,5 miliardi di persone, e a quel punto smetterà di crescere. Quali sono le cause dell’espansione demografica? Le cause sembrano ricondurre alla rottura di un equilibrio dei valori di natalità e mortalità, per cui si è avuta l’espansione demografica nel momento in cui è scesa la mortalità, e quindi qui stiamo ragionando sul piano strettamente demografico. Ma su questo hanno agito anche altri fattori, 61 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 poiché la mortalità tende a ridursi per un miglioramento delle cure mediche,ma anche in rapporto alle trasformazioni produttive che investono i settori primario e secondario. Sembra sussistere una relazione tra crescita demografica e sviluppo economico. La variazione dei livelli di fecondità e mortalità sembrano essere associati ai fenomeni dell’industrializzazione e urbanizzazione. Sulla base di questi concetti è stato elaborato il modello della transizione demografica. Geografia della popolazione (parte IV): teoria transizione demografica Vediamo più nello specifico quali sono da considerarsi le cause di quello straordinario period di espansione demografica. Sul piano strettamente demografico, le cause sono riconducibili tendenzialmente alla rottura di un plurisecolare equilibrio tra valori di natalità e di mortalità, determinato da una riduzione progressiva dei secondi. Si abbassano i valori di mortalità che rendono in linea generale possibile un’espansone demografica. Sulla base dell’analisi storica delle dinamiche demografiche delle diverse popolazioni è stato messo a punto un modello evolutivo di valore generale: Il modello della transizione demografica Prevede per ogni popolazione una dinamica demografica in 4 fasi, ciascuna caratterizzata da un diverso combinarsi dei valori di natalità e mortalità, quindi da un diverso tasso di incremento naturale. 1. La prima fase: alto stazionaria. Il tasso di natalità è molto elevato ed è altrettanto elevato quello di mortalità. A tanti nati corrispondono tanti morti. ++ nati - - morti. È la fase storicamente più lunga, con una popolazione che ha una bassa speranza di vita. Fino a che il livello delle nascite è lievemente superiore a quello dei decessi, la popolazione sì aumenterà, ma molto lentamente. Questo stadio, il primo, è quello che ha caratterizzato all’incirca l’intera popolazione mondiale fino al 1750 circa. Attualmente non è più rinvenibile in alcun Paese. 62 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Scuola demografica francese), per descrivere l’esperienza dei paesi europei nord- occidentali nel momento di passaggio da una società rurale e agricola ad una urbana e industriale. In quella fase storica il modello venne utilizzato ipotizzando che tutti I Paesi – anche quindi quelli in via di sviluppo - avrebbero attraversato le diverse fasi. Tuttavia: nel caso europeo il declino della mortalità è un fenomeno complesso in cui le innovazioni mediche giocano un ruolo determinante solo al termine dell’intero processo,mentre nel caso di paesi che l’hanno sperimentata successivamente e che hanno potuto beneficiare dei processi della medicina tutti in una volta, ecco che allora nel caso di Cina, India e Iran la diminuzione del tasso di mortalità ha prodotto forti sconvolgimenti della struttura sociale. Il modello non era in grado di prevedere che non tutti i paesi in via di sviluppo effettivamente compirono il percorso demografico tracciato dalla popolazione europea. Molte società in via di sviluppo si sono fermate al secondo stadio del modello, non riuscendo a concretizzare quei cambiamenti economici necessari per passare al terzio stadio; viceversa, altre società sono riuscite a far aumentare rapidamente la speranza di vita, anche grazie all’introduzione di innovazioni tecnologiche, e in questo modo hanno quasi evitato la seconda fase (Sry Lanka grazie al grande impiego del ddt per combattere la malaria, riuscì a far salire la speranza di vita da 44 anni nel 1946 a 60 solo 8 anni dopo). Demografia della popolazione (parte V): movimenti migratori Ancora all’interno del tema delle dinamiche demografiche e a completarlo affrontiamo il fenomeno delle migrazioni. La variazione demografica, oltre a essere determinata dal saldo naturale, dipende anche dal saldo migratorio legato alla mobilità della popolazione. Occorre innanzitutto distinguere tra migrazione e circolazione. • migrazione fa riferimento ad uno spostamento permanente, o di lungo termine, di un individuo o gruppo di persone dal proprio luogo di origine ad altri luoghi. • circolazione riguarda invece lo spostamento temporaneo, spesso ciclico (es. per lavoro), di un individuo o di un gruppo di persone dal proprio luogo di origine a un altro luogo. Se ragioniamo in termini di migrazioni temporanee, facciamo riferimento alla circolazione e ai movimenti dei pendolari. 65 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 A spiegare scientificamente questo concetto interviene la definizione di saldo migratorio netto, costituito dal numero di immigrati – il numero di emigrati . Positivo: n. immigrati >emigrati; negativo, viceversa. Il cambiamento demografico di un territorio può essere calcolato secondo l’equazione demografica, che considera sia la crescita demografica della popolazione ma anche il suo saldo migratorio in un determinato periodo di tempo. La maggior parte di migrazioni può essere attribuita a due categorie: - migrazioni forzate: indotte per forza da persone , gruppi sociali o governi costringono un altro individuo o gruppo di persone a cambiare residenza, senza che gli interessati abbiano voce in capitolo relativamente né alla destinazione, né ai tempi di migrazione, né a qualsiasi altra caratteristica (la Germania alla fine degli anni ’90 rimpatriò forzatamente migliaia di rifugiati emigrati dall’ex Jugoslavia e dalla Bosnia in occasione della guerra dei Balcani). L’esempio più noto di migrazione forzata è quello della tratta degli schiavi africani. Attraverso l’Atlantico 12 milioni di africani furono portati a forza nel continente americano tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500; - migrazioni volontarie: sono trasferimenti di lunga durata o permanenti effettuati in seguito ad una scelta, spesso necessaria in relazione a situazioni che rendono difficile la permanenza in patria. In generale, quando parliamo di migrazione dobbiamo distinguere all’interno delle migrazioni volontarie quelle nelle quali la scelta è necessitata da condizioni di estrema povertà e insicurezze da quelle nelle quali la scelta dipende dal desiderio o dalle opportunità di migliorare condizioni di vita normale.Es.: il trasferimento e la migrazione, di un laureato italiano per andare definitivamente a lavorare come ricercatore in un’università americana è una migrazione volontaria con caratteri ben diversi dalla migrazione volontaria dei migranti che dall’Africa si muovono verso l’Europa. Le cause delle nuove e più recenti migrazioni (le migrazioni sono un fenomeno storico di lunghissima durata) sono varie e complesse, ma possiamo sinteticamente distinguerle in due categorie: • fattori di spinta, i push factors, cioè i fattori di espulsione nei paesi di esodo, che derivano da un complesso insieme di situazioni demografiche, culturali, economiche, politiche strettamente intrecciate: carestie, avvento di governi militari o dispostici 66 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 • fattori attrattivi, i pull factors. Tra questi ha giocato un ruolo decisivo il fascino dell’Occidente e, a processo avviato, quello di riunirsi ai familiari espatriati. Oltre a questo motivo va evidenziato anche il fattore economico, all’interno del quale l’aspetto principale è costituito dalla grande differenza retributiva tra paesi sviluppati e sottosviluppati. Es. Brasile: è l’ottava potenza industriale al mondo, si colloca ai livelli più alti, ma il salario minimo legale è di circa 50 dollari al mese. Negli Usa il salario minimo legale è di 5 dollari l’ora; una disparità di trattamento retributivo che quindi costituisce un fattore di attrazione verso certi paesi, salvo poi, visto dall’altro punto di vista, costituire un fattore attrattivo di delocalizzazione industriale proprio in quegli stati in cui il salario minimo è basso. Le migrazioni sono ancora distinguibili in ragione della loro direzione: migrazioni interne e migrazioni internazionali. - le migrazioni interne consistono nel movimento di persone tra regioni di uno stesso Paese. Quando una popolazione si muove da una regione all’altra all’interno dello stesso Stato (da sud a nord, da montagna a collina, ecc.) È un fenomeno di cui si sente parlare di meno, ma è un fenomeno che comunque conosce il coinvolgimento di un gran numero di individui e spesso, di interi nuclei familiari. il coinvolgimento di un numero elevatissimo di individui: si tratta di spostamenti di interi nuclei familiari. In termini numerici é un fenomeno che coinvolge circa 750 milioni di persone, il che è numericamente un dato molto più consistente rispetto a quello dei migranti internazionali. Tra le migrazioni interne ci può essere la migrazione da campagna a campagna (da Cina a India), ma anche migrazioni interne da campagna a città. Questo tipo di trasferimento che contempla il fenomeno dell’urbanizzazione, è un fenomeno che in alcuni paesi in via di sviluppo (es. Cina) è piuttosto recente. In Cina, tra il 1990 e il 2015 la percentuale di popolazione che vive in città è passata, dal 26% al 56%, dando forma alla più grande migrazione della storia. Le migrazioni internazionali avvengono quando un individuo o un gruppo di individui si sposta da uno Stato o un continente diverso da quello di origine. Nel 2000 i migranti erano 175 milioni, pari a meno del 3% della popolazione mondiale. Nel 2017 I migranti internazionali sono stati 258 milioni, ma rimangono sostanzialmente il 3% della popolazione complessiva del pianeta. Il valore percentuale del 3% di tutta la popolazione è all’incirca costante negli ultimi 50 anni. È un dato percentuale che fà riflettere. Il valore assoluto dei migranti continua a crescere, ma quel valore va paragonato con il numero degli abitanti della popolazione mondiale. 67 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Una popolazione in declino è segnata da una sorte di piramide a botte; la popolazione stabile è identificata ad una piramide più simile ad un quadrato. Quando si verifica un istogramma molto più corto è accaduto qualche cosa: periodo di guerra, epidemia, situazione di migrazione. È il cosiddetto sviluppo interrotto. Nella slides vediamo piramidi demografiche che uniscono dati relativi non a uno Stato ma a degli ambiti territoriali: Europa occidentale e Africa sub-sahariana e Botswana. I primi due casi, al 2004, indicano i forti contrasti nella struttura demografica nella popolazione tra due contesti differenti. Nel caso dell’Europa occidentale I tassi totali di natalità e fecondità poco elevati, nel caso dell’Africa sub-sahariana con percentuale di popolazione molto più elevata nelle fasce più giovani, ma con una speranza di vita molto bassa. Quest’ultimo caso è il caso di una piramide dell’età disegnata con una previsione. La piramide è disegnata nel 2004 prevedendo due possibili scenari: un Botswana con mortalità di Aids e un Botswana in assenza di mortalità causata da Aids. Negli ultimi decenni, la spinta riproduttiva dell’umanità di è affievolita e alla sovrappopolazione che era stata una preoccupazione tipicamente novecentesca si è ora sostituita una inquietudine del nuovo millennio legata all’invecchiamento della popolazione. Nel 2005 l’età media della popolazione ha superato I 27 anni e si prevede che nel 2050 arrivi a sfiorare i 37 anni. Questa età media ha delle caratteristiche molto diverse a seconda dei paesi. In Africa l’età media è di 18 anni, mentre nei paesi ricchi è di 39 anni. L’Italia ha un’età media della popolazione di 42 anni. Nel 1950 era di 29 anni (derivata certamente dal periodo postbellico). L’Italia, insieme al Giappone, è uno dei paesi con età media più elevata al mondo. Le conseguenze sociali dell’invecchiamento sono di ampia portata problematica: oltre a ad un aumento del tasso di dipendenza, cioè del rapporto tra giovani e anziani, l’invecchiamento della popolazione comporta una perdita complessiva di vitalità sociale, una tendenza alla conservazione e una flessione della capacità di innovazione. Oltre a questi parametri più sociologici ci sono anche dei parametri di tipo sanitario, come è ben stato dimostrato durante il periodo pandemico, in cui la mortalità in Italia è stata tra le più elevate anche in ragione del fatto che l’età media è più elevata. In campo più specificamente economico, una età media elevata si traduce in un calo della propensione ai costumi, un calo della propensione agli investimenti e in sostanza ad una diminuzione del dinamismo produttivo. Possiamo suddividere e classificare la popolazione secondo un altro criterio, quello legato alla struttura occupazionale 70 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 La popolazione attiva è la popolazione in condizione professionale, che è in una fascia di età nella quale può accedere al lavoro. La popolazione non attiva riguarda fasce di età al di sopra e al di sotto dell’età lavorativa, o persone che hanno dichiaratamente espresso di non mettersi in ambito lavorativo (es. Le casalinghe, non conteggiate all’interno della popolazione attiva). - L’indice di dipendenza strutturale è il rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65+) e la popolazione attiva (15-64 anni). Più la popolazione è anziana e più questo indice diventa elevato; è la popolazione attiva che deve sostenere la popolazione non attiva, sia essa quella al di sotto dei 14 anni sia essa quella al di sopra dei 65 anni. - Il tasso di attività è il rapporto tra la popolazione attiva (15-64 anni) e la popolazione residente per 1000. La popolazione occupata può essere poi ripartita rispetto ai valori percentuali tra i principali settori di attività: - Settore primario: si occupa della produzione dei beni senza la loro trasformazione (agricoltura); - Settore secondario: si occupa della produzione dei beni con la loro trasformazione; - Settore terziario: si occupa della produzione di beni immateriali e dei servizi (per imprese, famiglie, collettività)b. per le famiglie; c. per le collettività; - Quaternario (recente): fanno parte le attività di comando, gestione o orientamento politico, economico e culturale (anche definito terziario avanzato). Queste categorie furono individuate per classificare l’universo professionale dei paesi ad economia avanzata tra gli anni ’30 e ’50. La loro applicazione ha contesti diversi. Es. La concezione di terziario nei paesi in via di sviluppo può essere forviante: il venditore ambulante sarebbe da classificare all’interno del settore terziario, perché il commercio fa parte del terziario. Ma si tratta di una situazione non paragonabile all’attività commerciale nei paesi ad economica avanzata. È dunque una suddivisione che rispecchia le categorie della società occidentale ed è più difficilmente applicabile nei paesi del Terzo Mondo. In alcuni paesi del Terzo Mondo si è soliti parlare di terziario ipertrofico (popolazione occupata nel terziario, ma che in realtà si tratta di una sotto- settore). In sostanza, nei paesi in via di sviluppo un’elevata percentuale di popolazione attribuita al settore terziario non é quasi mai da riferirsi ad un livello elevato di sviluppo. 71 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Rispetto a queste categorie, una linea costante porta a quella che viene definita la terziarizzazione dell’economia: possiamo osservare una linea costante verso una diminuzione del settore dell’agricoltura relativamente al numero di occupati e un aumento del numero di occupati nel settore dei servizi. Confermano un declino degli addetti del settore primario e secondario, in ragione della meccanizzazione e dell’automazione, a fronte di una grande espansione del settore dei servizi. Questo trend che vediamo nel caso dell’Italia interessa sicuramente tutti i paesi sviluppati, ma anche parte dei paesi in via di sviluppo. L’occupazione del settore agricolo, suddivisa per aree (e non per continenti), ci dice che l’Africa subsahariana è la regione del mondo con la maggior quantità di impiegati nel settore agricolo. In paesi come la Tanzania e la Ruanda questa popolazione è dell’80%, a fronte di una media europea del 4%. Per l’Italia il settore agricolo vedeva nel 1861 una percentuale di occupati del 70%, poi crollata al 4% all’inizio del XXI secolo, in coincidenza con un aumento del settore dell’industria e un aumento degli impiegati in questo settore intorno al 1970, percentuale che poi è andata a decrescere. Origini dell’agricoltura Nel trattare di geografia dell’agricoltura affronteremo il discorso dividendolo in tre parti: le origini dell’agricoltura; i diversi sistemi agrari e le forme di utilizzo del suolo; organizzazione degli spazi agrari. Premessa a queste partizioni è la definizione di agroecosistema. • - Agroecosistema Ogni attività agricola si fonda su un insieme di elementi e relazioni (propri dell’ecosistema), sui quali esercita forme di alterazione e di controllo. Questa definizione porta come conseguenza il definire ogni sistema agrario un ecosistema troncato o esportatore: ovvero un ecosistema nel quale la naturale successione di dei cicli biogeochimici viene interrotta al fine di ottenere una produzione di materia vegetale e animale che viene esportata al di fuori del sistema stesso. Qui é utile sottolineare il ritorno del concetto di sistema applicato quindi non solo all’ecosistema nella modalità in cui abbiamo già visto, ma anche alle attività agricole. Per questa ragione, ogni agroecosistema può sussistere nel tempo e mantenersi produttivo 72 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 necessaria la presenza di acqua, ma è anche necessario che il luogo non sia immediatamente a ridosso di grandi fiumi che esondano (il rischio di esondazione renderebbe complessa la semina). L’esondazione di un fiume renderebbe complessa quell’attività di semina iniziale; - elevata varietà di specie vegetali e animali, perché solo questa consente una miglior possibilità di successo ai processi di domesticazione. Solo così si possono scegliere I semi da piantare; - sedentarietà del gruppo, necessaria per sviluppare il punto successivo; - base economica adeguata, costituita da attività di caccia e raccolta. Un gruppo costretto a muoversi non avrà il tempo di attendere il risultato delle sperimentazioni. - gruppo sedentario con una base economica adeguata. Sulla base di queste caratteristiche, Sauer ritiene di individuare i nuclei primari a partire da quali si è poi diffusa l’agricoltura (diffusione a nuclei secondari e poi a livello globale). Questa teoria spiegherebbe anche perché si sarebbero svolte le attività di addomesticazione in maniera simultanea. Sistemi agrari: agricolture primitive e tradizionali A partire da quei nuclei originari, il quadro delle forme assunte dall’agricoltura nelle varie parti del mondo è un quadro ampio e variegato. Di fronte a tale multiformità si pone un problema di classificazione e di regionalizzazione che è suscettibile di soluzioni diverse. Possono esserci classificazioni che privilegiano la base ecologica dell’agroecosistema, oppure classificazioni che privilegiano le tipologie culturali prevalenti (es. coltivazione del riso). Data la natura complessa degli agroecosistemi è bene far riferimento a schemi di classificazione integrata di più fattori. Il principale è quello messo a punto da Kostrowicki. Il suo modello mette prevede la suddivisione dei sistemi agrari in quattro macro- tipologie in cui é prevalente la prospettiva dell’orientamento della produzione: mercato o sussitenza: 1. agricolture primitive; 2. agricolture tradizionali; sussistenza 3. agricolture di mercato; di mercato 75 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 4. agricolture collettive. Condizionate da alcuni fattori: - condizioni sociali della produzione e specialmente il regime della proprietà; - tecnologie (diverse a seconda delle 4 tipologie individuate); - orientamento economico della produzione NB: Queste 4 tipologie sono individuate sul manuale in maniera leggermente diversa. Le agricolture primitive e tradizionali rientrano nelle agricolture di sussistenza, le agricolture di mercato sono volte alla commercializzazione di prodotti mentre le ultime (collettive non sono considerate). • Le agricolture primitive: Sono caratterizzate dalla proprietà comune della terra. Le tecnologie contemlano un uso discontinuo del suolo. L’orientamento economico è basato sull’autoconsumo. Rispetto a questo tipo di agricoltura, il manuale fa l’esempio dell’agricoltura itinerante a incendio di foresta o di savana, ancora oggi utilizzato in alcune parti del mondo. La tecnica prevede che il terreno venga ripulito mediante la taglia e brucia portandolo alle condizioni ottimali per la sua coltivazione. Alla base di tale pratica vi é una conoscenza empirica che deriva dall’esperienza: può essere piantata una sola specie o più specie e, attraverso uno sfruttamento continuo per 3 anni o uno per rotazione, il raccolto cresce e si passa alla raccolta. Dopo la raccolta è indispensabile un period di riposo: i terreni vengono messi a riposo, necessario affinché che venga restituito al suolo il livello di fertilità originario. L’”abbandono” può essere lungo dai 20 ai 25 anni. In altre condizioni ambientali, definite a livello locale e che variano a seconda delle aree del pianeta, questo periodo può anche scendere a 10 o addirittura a 5 anni. In questo genere di sistemi agricoli è dunque necessario che una famiglia coltivi più campi contemporaneamente. È importante sottolineare il fatto che lo sfruttamento discontinuo prevede un insediamento stabile, normalmente circondato da una fascia orticola. Sono ancora pratiche attive ,anche se in modo residuale, in una percentuale minima della superficie terrestre (aree intertropicali, sia in Africa sia in Asia sia in America latina). • Le agricolture tradizionali (nel manualesono ricomprese nelleagricolture di sussistenza). Per Kostrowicki sono le agricolture caratterizzate da una proprietà individuale ma anche da una proprietà comune; vi é l’autoconsumo; vi é saturazione dello spazio 76 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 agrario, che si fronteggia con strategie di conservazione del suolo, di diversificazione e intensificazione della produzione e controllo della polverizzazione fondiaria. È un’agricoltura che dà basse rese, dunque è necessario che tutto lo spazio disponibile a essere coltivato sia reso coltivabile attraverso una rotazione di prodotti utile a conservare la fertilità del suolo (sistemi di rotazione agraria, o maggese e di integrazione con l’allevamento) Il controllo della polverizzazione fondiaria si riferisce, ad esempio, al fatto che la proprietà fondiaria non venga frammentata tra eredi, ma che passi solo al primogenito. I Riposo e maggese non sono la stessa cosa: nell’agricoltura primitiva il periodo di riposo del terreno era di 20-25 anni, il maggese indica una lavorazione senza raccogliere frutti, è un tipo di lavorazione finalizzato a rendere quel terreno produttivo in tempi più ragionevoli. In questi sistemi è fondamentale l’apporto di concime animale. Grazie alla rotazione agraria, il terreno è sfruttato in maniera differente a seconda della tipologia di pianta che in quel terreno è coltivata. Questo rende possibile una differenziazione del prodotto. Tra le moltissime varietà di sistemi tradizionali si può citare, a titolo di esempio, il sistema dell’open-field system, sistema agricolo oggi non più praticato ma diffuso tra Medioevo ed età moderna nell’Europa settentrionale e centroorientale. Un sistema caratterizzato da un regime della proprietà fondiaria che affianca e alterna proprietà e usi comuni; un orientamento economico di sussistenza ma con una minima possibile apertura verso il mercato ed una rotazione biennale e triennale obbligatoria regolata a livello comunitario. Ogni famiglia possiede parcelle differenti di campi; il proprietario le possiederà all’interno di un’area denominata gruppo 1, un’altra unità gruppo 2, un’altra gruppo 3. Il villaggio è accentrato, è sede della comunità ed è polo organizzativo del territorio circostante. La parte arativa del territorio è divisa in due o tre grandi campi, o unità di rotazione. All’interno di queste unità di rotazione sussistono delle parcelle di proprietà individuale. Su ognuno di questi campi, in successione, si alternano cereali vernini e/o cereali primaverili, e poi maggese. Negli anni di coltura produttiva (in cui l’unità 1 è destinata a cereali vernini) le parcelle vengono curate dai singoli proprietari, che ne traggono il raccolto. L’anno successivo quell’unità non sarà più destinata a cereali vernini ma sarà lasciata a maggese, ovvero per quell’anno tutte le proprietà che insistono su quell’unità di rotazione vengono lavorate senza avere un raccolto. Questo rende necessario che non ci sia un proprietario che ha solo appezzamenti nell’unità di 77 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 L’agricoltura di mercato assume forme specifiche a seconda dei contesti. Nel caso dell’Europa, in questo contesto storico l’agricoltura di mercato assume le forme delle agricolture commerciali contadine. Le attuali agricolture contadine, in Europa, sono agricolture commerciali, ma sono commerciali anche le agricolture di piantagione nei paesi del Terzo Mondo e anche le agricolture capitalistiche dei grandi spazi. Si tratta di agricolture che hanno come destinazione ultima dei prodotti agricoli nel mercato. Della prima tipologia fanno parte le aree dedicate all’orticoltura commerciale che un tempo si sviluppavano intorno alle aree urbanizzate, rifornendo di prodotti freschi gli abitanti della città, e le agricolture mediterranee, dove vige l’integrazione con l’allevamento del bestiame. Ma le agricolture commerciali sono anche quelle relative alla coltivazione di un solo cereale, o quelle degli alberi da frutto (es. mele nell’area di Saluzzo, viti nelle Langhe, ulivi in Liguria). Le agricolture di piantagione dei paesi del Terzo Mondo sono spesso riferite ai paesi tropicali. È il caso di estese aziende a monocoltura commerciale, dirette da pochi uomini che gestiscono l’azienda agricola con l’impiego di massiccia manodopera locale a basso prezzo. Le produzioni sono destinate all’esportazione sui mercati internazionali e le piantagioni sono di proprietà delle grandi mutazionali europee e nordamericane, spesso collegate alla filiera della produzione industriale di inscatolamento. Per molto tempo, le piantagioni sono state associate alla produzione di colture commerciali destinate unicamente all’esportazione sui mercati internazionali. Es. Canna da zucchero: molti paesi sono diventati fortemente dipendenti dall’esportazione di materie prime, su cui si basa la loro economica nazionale. Le agricolture capitalistiche dei grandi spazi (canadesi e americane) hanno avuto inizio con la Seconda guerra mondiale e sono caratterizzate da grandi aziende agricole, solitamente specializzate in un solo prodotto, e fanno grande affidamento sulla manodopera stagionale. Le risaie sono un tipico esempio di agricoltura co mmerciale in Europa, così come la vite, il frumento e i cereali nella Pianura Padana. Abbiamo accennato prima alla Rivoluzione Verde, a proposito dell’agricoltura commerciale. Abbiamo detto che le pratiche di intensificazione della produzione dei terreni sono resi possibili anche dalle innovazioni da essa derivate, cioè quei miglioramenti che si ebbero in seguito agli sforzi mondiali per combattere la fame nei paesi poveri. Negli anni ’50 del ‘900 alcuni scienziati messicani svilupparono una varietà di grano particolarmente reattiva all’irrigazione e ai fertilizzanti che aveva delle rese superiori alla media. Questa specie negli anni ’60 viene esportata in India e in Pakistan, raddoppiando in pochi anni la produzione cerealicola in entrambi i paesi. 80 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 La definizione di Rivoluzione Verde cela una specificità, perché è nota quest’ultima come terza rivoluzione verde, che segue la prima rivoluzione verde, cioè la nascita dell’agricoltura, e la seconda rivoluzione agricola, quella corrispondente alle nuove tecniche agricole introdotte a far corso del Medioevo (aratri, sostituzione dei buoi con i cavalli, rotazione delle colture). La terza rivoluzione verde ha come caratteristica quella di innovazione nelle sementi, il cui miglioramento genetico rende possibile il resistere alle malattie e quindi avere delle rese superiori alla media. Tuttavia, l’altro lato della medaglia è che la Rivoluzione Verde ha creato un nuovo sistema agricolo fortemente dipendente dall’irrigazione e da massicce dosi di fertilizzanti chimici, oltre che evidentemente dalla meccanizzazione, con ricadute in termini ambientali riguardanti le falde acquifere. - Le agricolture collettive: tipologia di sistema agrario che il manuale non cita. Hanno storicamente sperimentate nei paesi socialisti e sono caratterizzate dalla proprietà collettiva della terra e dei mezzi di lavoro, dall’orientamento della produzione in base alla pianificazione statale dell’economia e dall’organizzazione collettiva del lavoro. Relativamente alle dimensioni dell’azienda possiamo dire che nell’agricoltura di sussistenza la dimensione dell’azienda è piccola mentre in quella del mercato è grande, possiamo dire che l’attività agricola è diversificata nel caso dell’agricoltura di sussistenza (deve offrire un ventaglio di prodotti) ed è fortemente specializzata in quella di mercato. La definizione di integrazione verticale fa riferimento al fatto che l’agricoltura di mercato è una delle componenti di un sistema produzione del cibo che comporta una filiera: agricoltori, trasformatori, distributori, venditori. Occorre che l’agricoltura si integri fortemente all’interno di questo ciclo produttivo. Nell’agricoltura di mercato tutta la quantità di prodotto è destinata alla vendita, nel caso dell’agricoltura di sussistenza solo una parte, ovvero quel minimo surplus che è possibile produrre dal minimo avanzo rispetto al fabbisogno della famiglia contadina. 81 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Il modello di Von Thunen: modello della distribuzione degli usi agricoli del suolo Un aspetto che interessa molto il geografo quando ragiona intorno alle questioni di geografia agraria è quello relativo alle decisioni che concernono le destinazioni d’uso del suolo. Per comprendere questi concetti occorre rifarsi al cosiddetto modello di Von Thunen, ovvero il primo modello di localizzazione agraria. Von Thunen è un economista tedesco, ma anche un possidente terriero, pioniere della localizzazione dei fatti economici. Egli ragiona intorno al tema di qual è la logica sottesa alla destinazione d’uso dei terreni che circondano un’azienda agricola e di conseguenza al concetto di valore economico del territorio. Si tratta di un modello elaborato alla fine del ‘700 e l’inizio ‘800, periodo in cui in Europa si assiste al passaggio dall’agricoltura tradizionale a quella di mercato. Elabora il cosiddetto modello della distribuzione degli usi agricoli del suolo intorno ad un centro di mercato. Von Thunen ritiene che la rendita del terreno dipende sia dalla sua fertilità, sia dalla sua posizione rispetto al centro di mercato. Nelle società pre-industriale, il valore del territorio dipendeva principalmente dalla sua capacità di produrre, dalla sua fertilità (economia di sussistenza): ovvero il terreno ha un valore strettamente correlato alla quantità della produzione. (Es. Terreno esposto sul versante solatio di montagna: ha un valore economico maggiore rispetto ad un terreno disposto all’ombra e non fertile, perché caratterizzato da un suolo pietroso). Nella società capitalistica, il territorio é invece un “valore di scambio” con un preciso valore economico, non è connesso solo alla sua capacità di produrre, parliamo infatti di “territorio” e non più soltanto di “terreno”. In questo senso, assume importanza l’organizzazione territoriale, per ottenere da un territorio la maggior resa economica possibile. A fronte di un territorio, la sua organizzazione (ad es. come sono distribuite le destinazioni colturali rispetto ad un centro di mercato) è strategica per ottenere da quel territorio la maggior resa economica possibile. In un’economia di mercato, é dunque fondamentale il concetto di resa economica che, appunto, n 82 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Ma lo spazio, organizzato in un certo modo, dà esiti economicamente più vantaggiosi di altri. Evidentemente, nella situazione attuale il modello è superato, grazie al progresso agricolo: i mezzi di trasporto non hanno più lo stesso peso e i sistemi di conservazione, trasformazione e refrigerazione impongono ragionamenti completamente diversi rispetto a quello di Von Thunen, secondo il quale bisognava organizzare la produzione orticola o l’allevamento da latte nei pressi della città. Tutte queste condizioni son venute meno ma il modello ha ancora una forte valenza in quanto ha introdotto il concetto di valore d’uso del suolo correlato alla sua posizione e non tanto alla sua fertilità. Geografia urbana: il fenomeno dell’urbanizzazione La città, da sempre oggetto di attenzione da parte della geografia, è divenuta per la sua complessità e per la sua crescente rilevanza nell’organizzazione territoriale contemporanea oggetto di uno specifico settore di studi, quello appunto della geografia urbana. Occorre innanzitutto definire la città, definendo alcuni criteri utili a distinguerla da altre forme insediative: • criterio quantitativo la città si distingue da altre forme insediative innanzitutto perché concentra al suo interno un maggior numero di edifici, attività e persone. All’interno del criterio quantitativo della dimensione possiamo distinguere: Criterio della dimensione fisica: superficie. Non utile per la comparazione; Criterio demografico. La considerazione del dato demografico non appare tuttavia altrettanto risolutivo. Questo perché, anche in questo caso, non permette di identificare discriminanti di valore universale. Criterio funzionale. La disparità delle soglie adottate nei vari contesti rende difficilmente comparabili i dati relativi a insediamenti che sono definiti città a partire dall’adozione di soglie molto differenti. Es. Australia: un insediamento è considerato città se ha almeno 1000 abitanti; Italia: una città deve avere almeno 10.000 abitanti; Islanda: una città deve avere almeno 200 abitanti; Giappone: una città deve avere almeno 50.000 abitanti. C’è una disparità di soglie. Inoltre, a parità di dimensione demografica avremmo ancora il problema di definire se il contenuto qualitativo dell’insediamento possa avere un’influenza. In Russia, per esempio, la definizione di 85 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 città é un combinato tra la dimensione demografica assoluta e la percentuale di addetti ad attività non agricole. Ecco che introduciamo un criterio funzionale: non solo la dimensione demografica, ma anche la funzione e la tipologia di attività svolta. Quindi, ciò che distingue l’insediamento urbano non é solo la mera concentrazione demografica, ma la complessità delle attività e delle funzioni che si svolgono al suo interno per rispondere alle esigenze della popolazione interna, ma soprattutto, alla domanda proveniente da territori esterni (es. Un ufficio di pubblica amministrazione non svolge un servizio destinato solo alla popolazione interna, ma anche a cittadini che provengono da altri insediamenti). Nella logica del criterio funzionale, la città quindi si caratterizza per: - funzioni economiche non agricole - funzioni diversificate e rivolte non solo alla popolazione interna, ma anche verso l’esterno. Per quanto attiene specificamente alle funzioni economiche, viene espressa la contrapposizione tra le attività di base, o city forming (rivolte verso l’esterno), e le attività non di base, city serving (rivolte verso l’interno). I lavoratori del settore di base sono dediti ad attività rivolte non solo verso l’interno, ma anche verso l’esterno. I lavoratori dei settori non di base si occupano di produrre servizi per i residenti nell’unità urbana. Un panettiere non è un’attività di base, perché esercita una funzione rivolta esclusivamente a coloro che abitano in quell’insediamento. Le attività di base hanno la capacità di influenzare e organizzare il territorio circostante su scale più o meno estese, ma comunque su scale sovralocali. Sono la base dell’attività della città, che si definisce tale solo se ha attività rivolte verso l’esterno. Es. Liceo classico di Torino: attira anche studenti non residenti in Torino città, ma che giungono dalle aree immediatamente limitrofe (difficilmente ci sarà un’attrazione a scala regionale). In sintesi, tanto più è consistente la mole di beni e servizi che la città rivolge all’esterno, tanto più elevato è il livello funzionale della città. Importante: la definizione di attività di base e non di base non è sovrapponibile alla distinzione tra settore secondario e settore terziario; lo stesso settore può contenere attività di base e attività non di base (es. i lavoratori di una scuola elementare svolgono un’attività non di base). 86 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Applicando questi criteri di distinzione tra città e altri tipi di insediamento è possibile esaminare la distribuzione della popolazione tra i vari centri, rilevando un processo di progressiva concentrazione demografica a favore delle città e quindi definibile come urbanizzazione. Si tratta di un processo di progressiva concentrazione demografica caratterizzato da un mutamento qualitativo dei modelli di vita (urbanesimo), dall’emergere di nuove relazioni complesse e articolate in rapporto al processo di concentrazione funzionale con conseguente formazione di reti o sistemi urbani. Il processo di urbanizzazione è, dal punto di vista storico, il risultato di tendenze contrastanti, con l’alternanza di fasi di crescita, di stasi e addirittura di regressione. Al di là delle contingenze storiche e/o territoriali, possiamo dire che negli ultimi due secoli l’urbanizzazione ha conosciuto una fase propulsiva, massiccia e generalizzata. Se all’inizio dell’800 la popolazione urbana si attestava al 3% della popolazione totale, negli ultimi decenni siamo arrivati a percentuali che si attestano al 50/70% della popolazione totale. Nel 2005, il tasso di urbanizzazione globale ha sfiorato il 50%. Utilizzando delle cifre arrotondate, la popolazione urbana complessiva ammontava nel 2005 a circa 3 miliardi di persone, circa la metà della popolazione mondiale. C’è una grossa disparità tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Pur a fronte di una diversità, possiamo dire che dal 2009 la popolazione residente in città a livello globale ha superato quella che vive nelle campagne; (oggi è superiore al 50% del totale). A fronte del fatto che i paesi sviluppati hanno un tasso di percentuale più elevato rispetto a quelli economicamente meno sviluppati, questo gap sembra destinato a colmarsi per lo meno a giudicare dal fatto che la percentuale di popolazione urbana nelle aree meno sviluppate sta continuando a salire, in maniera importante. Per cui, si può dire che l’attuale divario andrà esaurendosi. È tuttavia vero che la popolazione urbana nei paesi non sviluppati è una popolazione urbana che ha delle caratteristiche molto differenti. La popolazione urbana che vive nelle bidonvilles è una percentuale che nei paesi in via di sviluppo è comunque molto elevata, fino ad essere nel caso dell’Africa subsahariana oltre la metà abbondante, circa i 2/3 della popolazione urbana. A fronte di questa tendenza diffusa dell’urbanizzazione e di fronte al fatto che il tasso di crescita urbana della popolazione sta aumentando, possiamo ragionare in termini di nel tentativo di dare una cronologia al fenomeno che abbiamo definito di recente urbanizzazione (recente perché è chiaro che le città sono esistite fin dall’epoca classica, ma qui stiamo ragionando di un fenomeno che è quello della costante crescita di 87 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Dieci lavoratori nel settore di base porteranno ad un incremento della popolazione complessiva pari non solo al numero di lavoratori dell’attività di base e non di base, ma anche ai relativi familiari. A fronte del fatto che è assunto un nuovo operaio all’interno di un’industria che è un’attività di base, la presenza di quell’operaio farà sì che si renderà necessario anche un aumento del servizio offerto nelle attività non di base; quell’operaio avrà necessità del panettiere e i suoi figli avranno necessità della scuola elementare o dell’asilo, e la moglie avrà necessità del medico. È un meccanismo di crescita cumulativa per il quale l’aumento di occupati nel settore di base provoca un aumento della domanda di beni e servizi negli altri settori di base: é il meccanismo su cui si fonda il processo di industrializzazione strettamente connesso con la crescita demografica della città. Questo avviene solo quando l’industria è collocata in città. Nei paesi in via di sviluppo, ad eccezione dei paesi di nuova industrializzazione, i cosiddetti N.I.C, (che dagli anni ’70 sono stati investiti dai processi di urbanizzazione) la crescita urbana non è sostenuta da quella industriale e chiama in causa fattori attrattivi diversi e più deboli: - sperequazioni territoriali nella distribuzione delle infrastrutture sociali (soprattutto a favore delle città capitali) (ospedali, scuole, ecc.); - possibilità di sussistenza seppur precaria offerte dal terziario ipertrofico; - impatto dei modelli di vita occidentali a fronte della disgregazione delle culture locali tradizionali. Reti e sistemi urbani I processi di urbanizzazione che abbiamo descritto hanno prodotto, dal punto di vista territoriale, un’enorme dilatazione fisica delle città, definita anche esplosione urbana, cioè un ampiamento dei confini fisici e amministrativi tradizionali, che ha portato a problemi di: - definizione fisica della città (fusione di città/campagna). Il limite amministrativo non corrisponde ad un limite territoriale visibile; - gestione amministrativa. 90 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Questa dilatazione ha portato all’emergere di nuove forme insediative: - conurbazioni che sono la fusione di due centri. Si tratta di due o più città vicine che dilatano i propri confini fino a fondersi (es. Budapest: nasce dall’unione di Buda e Pest, originariamente divise dal Danubio, che poi hanno costituito un’unica conurbazione. - agglomerazioni: si fa riferimento al risultato dell’espansione a macchia d’olio di un centro urbano (es. Shangai: ha inglobato i distretti che la circondavano. Lo è anche Parigi) - megalopoli - termine coniato da Godman negli anni ’60 per designare una formazione urbana che si sussegue in modo pressoché ininterrottamente lungo la costa nordorientale degli Usa, da Washington a Boston. E’ una definizione nata in ambito statunitense ma si è poi estesa ad altre realtà. Possiamo usare la definizione di città-regione facendo riferimento ad una vasta area urbanizzata segnata da una fitta rete di relazioni funzionali tra più città. (cfr Tabella con le prime 15 megalopoli nel mondo nel 2016. Anche attualmente la graduatoria è stabile. È significativa la proiezione al 2030 perché porta in alcuni casi una leggera flessione nella posizione, nella graduatoria. Il che non vuol dire che la città vada diminuendo per numero di abitanti, cosa che sarebbe tale solo nel caso di Osaka, ma vuol dire che ci sono altre città che in proiezione aumenteranno esponenzialmente il numero di abitanti tanto da farle salire nella graduatoria). Se a scala globale il processo di crescita urbana appare tuttora attivo, tuttavia si registrano segnali di controtendenza nei paesi ad economia avanzata, interessati negli ultimi decenni dal fenomeno della controurbanizzazione, caratterizzato da: - decremento dei grandi centri; - crescita delle aree rurali e dei centri piccoli e medi. Questa definizione non indica l’inizio di una fase di declino urbano, ma invece una forma di assestamento di un’urbanizzazione sempre più pervasiva. Il geografo Berry, agli inizi degli anni ’80, iniziò per primo a descrivere questo fenomeno, un fenomeno che già negli anni ’70 negli Usa segnava l’inversione di tendenza da una concentrazione urbana che aveva agito ininterrottamente a partire dalla Rivoluzione industriale. Controtendenza che non voleva dire un ritorno alla campagna, ma un riassestarsi di quel fenomeno urbano, ovvero un decremento dei grandi centri a favore dell’aumento della popolazione nei centri piccoli e medi. 91 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Le cause di questo fenomeno (al di là di quelle demografiche) possono essere identificate nella rottura del tradizionale rapporto città-industria. Abbiamo visto che lungo il corso del ‘900 la crescita urbana, soprattutto in Europa, era legata all’espansione delle attività industriali nella città. Ma tale rapporto è andato modificandosi negli ultimi decenni del ‘900. Innanzitutto a causa di una ristrutturazione del settore industriale. L’automazione e il decentramento del settore industriale fa sì che alcune grandi città industriali comincino a registrare, dagli anni ’70 del ‘900, fenomeni di delocalizzazione. Le industrie vanno a collocarsi laddove è più vantaggioso collocarsi. Agli inizi degli anni ’70, però, la ristrutturazione del settore industriale è stata causata da diseconomie di agglomerazione, quindi tutti I vantaggi che avevano portato le industrie a collocarsi nelle città diventano svantaggi: congestione, elevato costo del suolo, rigidità del mercato del lavoro; limitata capacità di assorbimento occupazionale da parte del terziario; crisi ambientale, sociale e fiscale delle grandi città. Si rompe il tradizionale rapporto città-industria: al di fuori delle grandi città industriali si vanno diffondendo quelle infrastrutture che erano state motivo di vantaggio localizzativo; le nuove tecnologie danno una nuova possibilità di scelte alternative; politiche di sviluppo regionale a favore di aree periferiche create dagli Stati per attirare capitali esteri. Il fatto che le città medie e piccole continuino a crescere e che le grandi città, pur perdendo abitanti,continuino a mantenere funzioni di comando induce a interpretare la controurbanizzazione come un salto di scala nell’organizzazione territoriale urbana: la città non scompare ma si diffonde con una urbanizzazione territorialmente diffusa e pervasiva: la cosiddetta città diffusa. La città diffusa è presente nel caso dell’Italia nell’alta pianura veneta. È un processo definito anche di urban sprawl, o di dispersione edilizia, caratteristico dei paesi a economia avanzata che si verifica quando il tasso di consumo di suolo dovuto all’espansione dell’area urbanizzata (per scopi residenziali, commerciali o industriali) supera quello della crescita della popolazione. Si forma allora un tipo di popolazione dispersa, detto appunto città diffusa, caratterizzato da bassa densità di popolazione e dalla presenza di capannoni, allineamenti commerciali, villette unifamiliari, intervallati da spazi liberi destinati all’agricoltura o alla ricreazione. La città diffusa soddisfa esigenze individuali, ma ne scarica i costi sulla collettività: sottraendo risorse suolo all’agricoltura e richiedendo ingenti investimenti per infrastrutture (reti elettriche, telefonuche stradali, idriche e fognarie), che devono necessariamente seguire la dispersione urbana. 92 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Secondo questo approccio, le città possono essere strutturate all’interno di una gerarchia urbana secondo la cosiddetta legge rango - dimensione. Si tratta di una legge elaborata alla fine degli anni ’40 del ‘900 che è ormai considerata relativamente superata, poiché é un approccio che fornisce risultati grossolani e approssimativi. Per quanto sia vero che la dimensione demografica di un centro è correlata in molti casi anche alla sua dotazione funzionale, questa connessione non è univoca. Possono esistere centri con uguale dimensione demografica ma con differente dotazione funzionale. Per questo motivo, le indagini condotte con metodologie demografiche possono fornire solo indizi preliminari, che comunque vanno approfonditi con le metodologie funzionali. Nel caso delle metodologie funzionali l’importanza gerarchica (rango o ordine) di un centro urbano è individuato in ragione della quantità e della qualità di funzioni che in esso vengono esercitate misurabili in base al loro raggio di azione e al loro impatto sulla vita sociale a diversi livelli territoriali. Sono metodologie assai più complesse rispetto alle precedenti, data la molteplicità e la variabilità nel tempo delle funzioni urbane. Il raggio di azione di tali funzioni può avere una diversa ampiezza territoriale; di conseguenza, le diverse funzioni della città possono interessare un numero maggiore o minore di persone. La funzione politico- amministrativa di tipo comunale è presente in tutte le città, ma interessa solo i suoi abitanti. Se invece la città è anche la capitale di uno Stato, allora questa funzione interesserà una platea più ampia di persone e un raggio territoriale più ampio. In questo ambito si è proceduto selettivamente cercando di identificare modelli di distribuzione spaziale di funzioni specifiche e cercando di comprendere come si distribuivano le funzioni tra le città. Tra questi modelli, il più noto è il modello di Christaller (o modello delle località centrali). È stato elaborato da Walter Christaller negli anni ’30 del ‘900 e poi riscoperto dalla geografia quantitativa negli anni ‘50/’60. Si fonda innanzitutto su una selezione di funzioni urbane. Considera solo le funzioni terziarie, e si propone di analizzare come si distribuiscono tra le varie città i servizi per le famiglie (es. attività commerciali). Il modello si chiede qual è il ruolo svolto dalle città nell’organizzazione dei flussi di consumo, come si svolge l’organizzazione dei flussi di consumo, come le persone si muovono nello spazio dovendo soddisfare certe esigenze. 95 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Alla base del modello vi sono una serie di concetti postulati a priori, proprio perché si tratta di astrazioni: - territorio uniforme: il territorio è uniformemente pianeggiante e la distribuzione della popolazione è omogenea; la facilità di trasporto è identica in ogni direzione e il costo di quel trasporto è proporzionale alla distanza. Uno spazio isotropico dunque, astratto; - massima riduzione dei costi di trasporto. La logica che governa la scelta di dirigersi verso un luogo, al fine di soddisfare un certo bisogno, è basata sulla massima riduzione dei costi di trasporto: vado nel punto più vicino, perché il costo di trasporto è proporzionale alla distanza. La logica è in parte ancora attuale; - I consumatori cercano di ridurre il più possibile le spese di trasporto, acquistando i propri beni nel punto più vicino; - I fornitori cercano di massimizzare i profitti localizzandosi sul territorio in modo tale da disporre del mercato più vasto possibile, cioè distanziandosi reciprocamente . Christaller definisce il suo modello attraverso alcuni concetti base. • località centrale E’ la città in quanto fornitore di beni e servizi per una regione complementare. La località centrale è quella città che eroga beni e servizi sia per la popolazione interna ad essa ma anche per la popolazione che gravita intorno alla • regione complementare, cioè l’area servita dalla località centrale. • rango: ogni bene e servizio erogato è valutabile in ragione di un determinato rango, che è valutabile attraverso due concetti fondamentali: • soglia del bene e servizio, ovvero la quantità minima di domanda perché sia conveniente erogare quel bene e quel servizio (è fatta dal mercato di chi compra e ha bisogno di certi beni; l’offerta è fatta da chi produce e da chi offre quei beni); • portata del bene e del servizio che è il raggio, la distanza al di là della quale per I potenziali clienti I costi di trasporto per l’acquisto del bene/servzio diventeno troppo onerosi. Si individua così un cono di domanda che é l’incrocio tra la quantità minima di bene/servizio conveniente e la distanza massima che il consumatore è disposto a percorrere (incrocio tra soglia e portata). 96 Geografia - Appunti lezioni Paola Pressenda A.A.2021-2022 Applicando questo insieme di concetti, è possibile individuare meccanismi secondo i quali si organizzano le relazioni di dipendenza gerarchica. I centri minori erogheranno un numero minore di beni e servizi, beni e servizi di tipo banale, che hanno soglia e portata basse. Es. Per un negozio che vende il latte, qual è la domanda minima affinché sia conveniente erogare quel bene e servizio? Il negozio di latte ha bisogno di una soglia bassa ed è sufficiente che abbia 10 acquirenti. Questo perché quel numero basso di acquirenti si recherà a comprare il latte, o il pane, tutti i giorni. Dunque, la portata (la distanza che quell’acquirente è disposto a percorrere) sarà bassa. Dall’altra parte, i centri maggiori erogheranno beni e servizi in quantità superiore e di tipo raro. Affinché beni e servizi più rari convenga che siano erogati dovranno contare su un bacino di potenziali compratori più ampio, e quel bacino dovrà necessariamente essere individuato in una regione complementare più estesa. Es. Negozio di tappeti persiani: dovrà contare necessariamente su un pubblico di potenziali utenti molto ampio, perché tra quei potenziali utenti ce ne saranno alcuni che non compreranno mai tappeti persiani e altri che lo compreranno una volta sola. Inoltre, dovrà avere soglia e portata alte: tanti e potenziali utenti (soglia) e una distanza da quel centro elevata (portata), perché quel potenziale utente, se si deve muovere una volta percorrendo una lunga distanza per andare a comprare un bene raro, lo farà. A beni e servizi rari, con soglia e portata alte, corrisponderanno regioni complementari estese: (es. concerto rock: se devo andare a questo concerto sono disposto a compiere un tragitto più ampio). Secondo questi postulati, le aree di mercato ottimale su cui si fonda il modello sono costituite da esagoni. Con una forma esagonale, le varie regioni complementari, che gravitano intorno alla località centrale, si congiungono perfettamente in modo tale da non lasciare degli spazi vuoti, o spazi che possono essere serviti da due centri. La configurazione spaziale che assume la rete urbana per soddisfare questo insieme di condizioni prevede una distribuzione perfettamente regolare delle località centrali, all'interno di una maglia di regioni complementari di forma esagonale, risultante dall’intersezione delle basi di più coni di domanda. Le località centrali si distribuiscono così in modo perfettamente razionale. Abbiamo quindi le città di rango elevato, che erogano beni e servizi di tipo più elevato per una regione complementare più ampia, all’interno della quale ci saranno altre città di livello inferiore (rango inferiore) che erogheranno beni e servizi per regioni complementari più piccole. La città più piccola, il villagio, è al centro di una regione complementare più piccola. Il villaggio erogherà beni e servizi meno rari rispetto a quelli della città grande. 97
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