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Appunti corso monografico letteratura italiana I (2023/24) - Prof. Canova, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti completi del corso monografico di letteratura italiana I (2023/24) del Prof. Canova, con integrazioni dall'edizione Gresti - Premi delle Rime di Dante.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 02/07/2024

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samantha.pagotto 🇮🇹

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Scarica Appunti corso monografico letteratura italiana I (2023/24) - Prof. Canova e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Appunti corso monografico letteratura italiana I (2023/24) – Prof. Canova Le Rime di Dante Lezioni prima settimana 26/02/24 L’attività lirica dantesca è centrale e non occasionale: Dante imposta le sue opere, in particolare il De Vulgari, alla ricerca di una lingua con finalità poetica. Dante sceglie alcune delle sue poesie e le commenta all’interno della Vita Nova e del Convivio, ma per le sue liriche non sceglie l’impostazione di un canzoniere: la poesia dantesca è sparsa (per questo, se ne parla come “rime stravaganti”, perché “vagano extra” e rimangono disarticolate, prive di un ordinamento d’autore). La definizione stessa del corpus delle Rime non è univoca: si ha un corpo centrale, il più esteso, attribuito sicuramente a Dante; poi, si ha un’appendice di rime di dubbia paternità. È opportuno mantenere un certo scetticismo in merito all’attribuzione, poiché la trasmissione delle opere da parte dei copisti non si poneva problematiche filologiche. Dante non si preoccupa di ordinare un proprio libro poetico e non è stato questo lo strumento più importante per la diffusione dei suoi testi. Normalmente, prima di Petrarca, l’ordinamento conferito avveniva per generi metrici, accostando la produzione di diversi autori (distinzione tipologica più che autoriale). Diversamente dalle altre opere dantesche, le poesie non contengono elementi che consentono di datare il testo con precisione: la poesia lirica tende a sganciarsi dalla quotidianità della storia. Il problema della biografia poetica si pone per quanto riguarda l’ordine in cui leggere le liriche: riordinare le poesie significa conferire un’interpretazione della biografia artistica del poeta. L’ipotesi prevalente per la datazione delle Rime è la giovinezza fiorentina fino all’esilio, momento da cui Dante si dedicherà prevalentemente alla Commedia. I dati sicuri sulle Rime non sono moltissimi: per ricostruire la cronologia è possibile basarsi sulle date di nascita e di morte di coloro che Dante cita o con cui scambia componimenti (ad es. tenzone con Forese Donati). Poi, si ha il gruppo delle petrose: una di queste poesie contiene una perifrasi astronomica, in cui si fa riferimento a due momenti della vita di Dante e, dunque, si può ascrivere l’esperienza poetica delle petrose a questo periodo. La biografia stessa di Dante dopo l’esilio presenta divergenze consistenti, dovute all’assenza di informazioni certe. Il criterio che si può adoperare è quello di una valutazione di tipo stilistico, per cui si riscontra un’evoluzione ed un miglioramento dello stile poetico. In gioventù, il poeta è ancora influenzato dalle mode letterarie del suo tempo; progressivamente, si ha uno sviluppo dovuto alle esperienze personali dantesche, che lo portano ad uno stile indipendente dai modelli precedentemente seguiti. Ordinamento per generi metrici: alcuni manoscritti che riportano le Rime di Dante sono dovuti all’opera di Boccaccio ed essi seguono un raggruppate per genere metrico. Quello che emerge è l’impressione, nel sistema che Boccaccio crea, che quest’ultimo avesse accesso a materiali danteschi o vicini al poeta (ad es. trasmessi dai figli), per via di elementi di coerenza che inducono alla formulazione di questa ipotesi. L’edizione fondamentale delle Rime è quella del 1921, a cura di Barbi (figura fondamentale per la filologia italiana): la Società Dantesca Italiana pubblica tutte le opere di Dante in edizione critica, in occasione dal centenario della morte del poeta; edizione che tiene conto di tutti i testimoni che trasmettono una determinata opera. Contini pubblica un’altra edizione delle Rime dantesche (1939): egli considera il testo di Barbi, aggiungendo l’introduzione a ciascun testo ed il commento. Edizione di Maggini e Pernicone (1956-1969): i due allievi di Barbi portano avanti il lavoro del maestro; ipotesi di ordinamento delle Rime, accreditato anche nelle edizioni successive. Edizione di De Robertis (2002): il lavoro perseguito da Barbi viene ricominciato da zero; si scoprono ulteriori manoscritti recanti le liriche dantesche. Si arriva all’edizione critica in cinque volumi, contenenti il solo testo: il primo è di introduzione, due volumi sono dedicati al testo e all’apparato, due volumi sono dedicati alla descrizione dei manoscritti. De Robertis rinuncia alla linea seguita da Barbi, scegliendo l’ordine arcaico dei testi (si ritrova anche nell’edizione Gresti-Premi); l’ipotesi è esposta al lettore, ma sono presenti anche le idee alternative: la tavola di concordanza permette di capire le ipotesi ricostruttive biografiche studiate in precedenza. Nuova edizione di De Robertis (2005): si hanno il testo ed il commento. Alcune poesie circolanti indipendentemente dalle altre opere presentano delle varianti d’autore: intervento diretto di Dante sui suoi testi (ad es. sonetto dal doppio cominciamento nella Vita Nova). Non si ha una norma che obblighi l’editore a comprendere anche le varianti in strutture autonome; tuttavia, esse servono per verificare l’attribuzione e la cronologia dei componimenti e stabilire collegamenti e relazioni comparative per collocare i testi. Come leggere le Rime e che cosa dicono di Dante Le Rime comprendono più di cinquanta testi: le linee interpretative offerte sono molteplici e talvolta divergenti; nessuna linea esaurisce il problema, ma tutte offrono un’idea per costruire una struttura interpretativa solida. Grande varietà di stili, generi metrici, registri e singoli exploit sperimentali, che denotano la disponibilità ad innovare la propria produzione; in Dante si ha la consapevolezza della produzione dei poeti precedenti, ma egli è sempre stimolato a trovare nuove soluzioni. La poesia dantesca è un fatto sociale e di comunicazione: non si ha mai l’impressione che Dante scriva solo per sé stesso; fin dalla produzione giovanile fiorentina, si ha sempre la ricerca di un pubblico e di una cerchia con cui condividere la propria esperienza poetica. La poesia è intesa come fatto socializzante, per cui sono fondamentali l’esercizio stilistico e la compartecipazione con altri poeti. Il Dante-poeta non si separa mai dal Dante-teorico: nonostante la capacità di sperimentare, si ha la costante riflessione su quanto è stato prodotto e sull’opera stessa a cui Dante sta lavorando. Si ha un rapporto tra le Rime e la Commedia: dalla produzione lirica al capolavoro, si ha una sorta di laboratorio poetico che dà sostanza alla Commedia; viceversa, se si osserva la Commedia, essa appare come il collettore complessivo di tutte le esperienze precedenti. Anche l’esperienza stilistica più raffinata viene giudicata, successivamente nella produzione dantesca, secondo criteri morali. Nella Vita Nova, Dante presenta i suoi primi componimenti giovanili, inerziali ed influenzati dalla produzione siculo-toscana. Le prime prove liriche dantesche appartengono alla produzione media del periodo, ma anche questa fase è utile per capire il poeta. Si hanno difficoltà di attribuzione dei componimenti giovanili, a causa della presenza di un omonimo Dante a Firenze, negli anni in cui scrive il poeta. Nel De Vulgari, Dante definisce la poesia guittoniana come linguisticamente limitata e municipale: in realtà, Dante fa i conti anche con il proprio passato poetico; egli stesso si era lasciato sedurre da quel tipo di poesia. La Vita Nova stessa non è il ritratto statico di un poeta, bensì la narrazione di una carriera: Dante si mette in gioco come poeta in evoluzione. In modo apparentemente scandaloso, il sonetto parla di una ragazza svestita, da interpretare in senso metaforico, per cui ella rappresenta la stanza di canzone Lo meo servente core: il sonetto di accompagnamento presenta questa strofa al destinatario, Lippo, e gli parla in prima persona. Pulzella è un termine cortese per riferirsi ad una ragazza, in italiano antico; in origine, il termine si riferisce ad un piccolo pollo. La nudità della stanza di canzone, secondo l’interpretazione più antica, sostanzialmente scartata, sarebbe da attribuire alla mancanza di un testo in prosa esplicativo, come avviene, invece, nella Vita Nova; in realtà, non era pratica abituale accompagnare i componimenti con un commento in prosa. Dal Quattrocento, si parla di “ballate vestite” quando queste avevano più stanze, ma in questo caso non è opportuno pensare ad una richiesta di aggiunta di altre stanze da parte di un altro poeta, come avverrà invece nella Firenze medicea. L’ipotesi più consistente è che questa stanza fosse destinata ad essere eseguita in pubblico con un accompagnamento musicale; per questo, Dante si rivolge ad un musico, chiamato Lippo. Sonetto XXVI Dal punto di vista dello schema metrico, si tratta di un sonetto rinterzato o doppio, per cui, dato lo schema tradizionale, si interviene rafforzando, aumentando di volume il componimento, e potenziandolo; rispetto ad uno schema di soli endecasillabi, nelle quartine si inserisce un settenario a rima baciata dopo i versi dispari, mentre nelle terzine si inserisce un settenario dopo il secondo verso. Lo schema del sonetto rinterzato risponde ad un gusto barocco ed artificioso, per cui si pensa che esso sia stato inventato da Guittone d’Arezzo ed utilizzato dai poeti siculo-toscani; dopo Petrarca, questo schema metrico si andrà perdendo e si utilizzerà sporadicamente in alcune raccolte del Cinquecento; il Dante maturo non condivide più lo schema di questi componimenti giovanili. Per quanto riguarda l’aspetto musicale, si ha l’episodio significativo del Purgatorio II, in cui Casella intona una delle canzoni incluse nel Convivio; emerge, pertanto, la destinazione musicale dei testi danteschi. Sempre riguardo al problema di attribuzione dei testi, si ha un sonetto rinterzato, ovvero la messa in versi di una nota favola esopiana: l’attribuzione di questo testo a Dante è molto discussa e controversa; è probabile che si tratti un componimento successivo, ascrivibile alla produzione gnomica del tardo Trecento e del Quattrocento. Il sonetto parla in prima persona e ha una forma epistolare, per cui comincia con i convenevoli e poi presenta la sua richiesta; l’aspetto fondamentale della poesia del tempo è quello della condivisione dei testi. L’andamento del sonetto, per via di un ostinato ricorso alle perifrasi, non lo rende immediatamente comprensibile. Il sonetto si rivolge a Lippo, amico di Dante, gli porta innanzitutto i saluti dell’autore e, molto cortesemente, si mette a disposizione del destinatario; si ha il tema della salute e dei saluti, per cui Dante augura al destinatario la realizzazione di tutto ciò che spera. Il sonetto prega poi il destinatario di ascoltarlo, affinché non vi sia l’inclinazione all’indifferenza; molto semplicemente, il significato guittonianamente espresso è quello di richiamare l’attenzione del destinatario. Il sonetto reca una fanciulla vergognosa, cioè la stanza di canzone, poiché non ha un vestito da indossare: si ha la preghiera al destinatario, per rivestire la stanza. Si hanno molte forme perifrastiche; il verbo ausiliare deggi è pleonastico e rende più ampollosa, ricca ed ornata la formula della richiesta; mediazione francese delle espressioni; il sintagma cor gentil è già stato assimilato da Guinizzelli e si tratta di una locuzione fissa; drudo ha valore sostanzialmente positivo ed indica l’amico fidato o l’amante, in questo caso indica l’importanza con cui considerare la canzone. 07/03/24 Lo mio servente core Per quanto riguarda la stanza di canzone, non si ha univocità tra testimoni antichi per quanto riguarda la trascrizione e la lettura del testo. Si ha il tema diffuso in ambito lirico della lontananza dalla donna amata: si ha la privazione dell’oggetto del desiderio, espediente drammaticamente efficace per i testi poetici. La forma è quella di una sorta di lettera, inviata dal poeta alla donna. La speranza determinata dall’amore è forte ed il poeta è certo che il tempo della lontananza passerà alla svelta. Si risente ancora delle formule della poesia provenzale, a partire dal titolo stesso, per cui il servizio amoroso è concepito secondo schemi feudali; da un lato si ha l’amore, dall’altro la pietà. Mente: indica, in modo più specifico, la memoria, significato sovente nell’italiano antico. Si ha il verbo-chiave recomando, con cui si affida il proprio essere alla donna amata, che compare nel secondo e nell’ultimo verso della stanza. Si ha una notevole presenza di gallicismi e provenzalismi, che poi spariranno in seguito all’opera di Petrarca, poiché non sono percepite come parole prettamente italiane. Nella stanza di canzone, non c’è traccia dell’ampollosità del sonetto introduttivo, anche a causa della destinazione musicale del componimento, per cui esso è più lineare e immediato. La dispietata mente che pur mira Anche questa canzone è un testo di lontananza (amor de lohn), eredità dei poeti provenzali. Probabilmente, il testo fu composto da Dante durate la sua permanenza a Bologna, prima dell’esilio, anche se non ci sono documenti che la accertano; più sensatamente, si tratta di un tema letterario messo in pratica, senza che ci sia stata una corrispondenza biografica effettiva con la vita di Dante. Si ha l’insistenza su alcuni topoi arcaici e si trovano analogie con altri componimenti giovanili. La canzone è chiusa da un congedo, di inusuale brevità (tre versi): il poeta si rivolge al testo, affermando la necessità della brevità, poiché per poco tempo sarà possibile raggiungere la salvezza del poeta, coincidente con il beneficio del saluto della donna; la brevità del congedo è stilisticamente commisurata all’urgenza della richiesta. Il tema del saluto e della salute, dagli esiti innovativi nella Vita Nova, subisce una lunga elaborazione nella giovinezza. Lezioni terza settimana 11/03/24 La dispietata mente che pur mira - continuo Si tratta di un testo stilisticamente più affinato, ma comunque ascrivibile al periodo giovanile; dal punto di vita contenutistico, si ha il tema della lontananza dalla donna amata, molto frequente in poesia all’epoca; si ha l’eco di modelli poetici contemporanei a Dante, non si ha ancora un’originalità spiccata. Si ha il tema insistito del saluto, unico modo per garantire la sopravvivenza del poeta; si ha una regolarità nel rivolgersi continuamente alla donna. Lo schema metrico non è particolarmente innovativo; si ha una fronte con due piedi identici ed una sirma indivisa. Dal punto di vista metrico, si tratta di una canzone dal metro misto, endecasillabi e settenari. Si ha, nella struttura della stanza, la presenza di stessa rima nella fronte e nella sirma nella canzone (in questo caso, la rima C), secondo l’espediente della concatenatio, che appunto unisce le due porzioni della strofa; la combinatio, invece, identifica il distico in rima baciata che si trova alla fine della sirma. Nei testi poetici giovanili, accade che il poeta si rivolga direttamente alla donna amata; questo, invece, non accade nei componimenti maturi. Inoltre, si ha un largo ricorso al lessico bellico, tratto specifico e caratteristico a partire da Cavalcanti; questo dato è coerente con l’esperienza giovanile dantesca, che si muove ancora in subordine rispetto al modello cavalcantiano. In merito alla qualità stilistica, si ha un attacco estremamente musicale, ma intorno alla metà della stanza l’espressione poetica diviene più arrancante; peraltro, la presenza di allitterazioni è voluta, ma fa perdere di fluidità alla stanza, per cui si tratta di un fatto accessorio ed accidentale, più che necessario. Anche la rima derivativa, tra i vv. 10-11, costituisce un ostacolo al prosieguo armonioso della stanza. Pur ha valore intensivo, linguisticamente importante. Si ha già l’introduzione del lessico bellico. Il disio amoroso si trova nel cuore, pronto a dare inizio al combattimento. I commentatori del primo Novecento si concentrano sull’identificazione biografica del viaggio compiuto dal poeta: non si può parlare, per via dello stile poco maturo, di una canzone composta dopo l’esilio. Però ha il significato, tipico nell’italiano antico, di “perciò”. Vi sono numerose formule di cortesia, di matrice gallicheggiante. Si ha un forte collegamento tra la prima e la seconda stanza, attraverso riprese lessicali ben studiate; inoltre, si hanno espressioni che si riflettono da una strofa all’altra con variatio. Inoltre, si ha l’espediente della coblas capfinidas, per collegare la fine della strofa precedente e l’inizio della strofa successiva. Poi = “poiché”, con valore causale. Si ha una motivazione metaforica, di senso fortemente feudale, per spiegare la fedeltà del cuore alla donna e il saluto che la donna deve inviare all’amante: si tratta di un espediente vicino ai siculo-toscani, per cui il servo è l’innamorato e la posizione dominante è detenuta dalla donna amata; la connotazione fortemente gerarchica della poesia amorosa deriva dai suoi esordi medievali. Chiamare assume il senso più intenso di “invocare”. L’accumularsi di proposizioni causali è indice di una disinvoltura poetica ancora non pienamente matura. Sua si riferisce al dolore del cuore. Si ha il tema della donna dipinta dentro al cuore, ricorrente già dalla poesia siciliana. E rafforza il significato del pronome. L’immagine della donna viene paragonata a quella divina: si tratta di un accostamento abituale nell’immaginario medievale, anche se si tratta di un contesto erotico e totalmente laico. Convenire significa “essere necessario”. La terza stanza è quella più debole della canzone: il poeta trova qualche impaccio nell’espressione. Si hanno altre espressioni convenzionali, per rivolgersi alla donna attraverso apostrofi dirette. Si ribadisce l’idea di una resistenza vitale, quella del poeta, ormai allo stremo. Possanza = “potenza”. Quando = “dal momento che”, con valore più causale che temporale. Facendo appello a forme di saggezza proverbiale, Dante afferma che l’uomo può sopportare ogni cosa prima di mettere alla prova il migliore dei suoi amici, poiché non sa se quest’ultimo risponderà positivamente o negativamente; se l’amico non soccorre nel momento del bisogno, si prova il peggior dolore possibile; dunque, il tradimento dell’amico più caro è la sofferenza più amara che possa intercorrere in vita. Il senso non è proprio perspicuo, per cui occorre cautela nell’interpretazione. Si ha la ripresa dell’immagine del dono in assonanza con il discorso proverbiale della stanza precedente. Il verbo servir si connota, anche in questo caso, di significati feudali. Domando e voglio: si ha una dietologia sinonimica. Noioso = “doloroso”, con significato più intenso rispetto un’altra possibilità consentita dalla sintassi dell’italiano antico, per cui per + infinito non ha solo funzione finale, ma anche causale; dunque, per crescer disire può essere inteso che la forza accresciuta della passione sarà tale che la donna verrà incoronata da Amore. Coronata d’Amore: si può intendere che Amore incoronerà la donna amata, a segnalarne l’eccellenza, oppure si può intendere la corona come omaggio profondo offerto alla donna, oppure ancora l’atto di incoronare può indicare la presa di possesso della donna da parte di Amore. Di fiori: si può intendere come complemento di argomento, oppure in senso pratico, per cui la ballata viene presentata come intessuta di fiori. Veste: si tratta, probabilmente, della musica, originariamente pensata per essere di accompagnamento ad un altro testo poetico; questa prassi del trasferimento dell’accompagnamento musicale da un testo all’altro, molto diffusa nella poesia antica, prende il nome di contrafactum. Leggiadria: si ha un significato più profondo rispetto a quello odierno, per cui rappresenta una condizione di gioiosa felicità. Qual: significa “qualunque”. Facciate onore: “accogliere benevolmente”; colui che deve essere accolto può essere colui che intona la ballata, oppure la ballata stessa; è più opportuno che si tratti della ballata, intonata dal poeta innamorato, poiché si tratta di un comportamento più diffuso nell’ambito lirico del tempo, per ottenere la benevolenza della donna amata. Lezioni quarta settimana 18/03/24 Deh, Violetta, che ’n ombra d’Amore Si tratta di una ballata rivolta ad una donna amata, probabilmente l’ennesimo omaggio alla convenzione letteraria. Il nome in questione, Violetta, denota una vicinanza d’ispirazione alla ballata precedente, per cui si ha un riferimento alla stagione primaverile. La ballata è metricamente grande e monostrofica; la dimensione non dipende dalla lunghezza comprensiva, bensì dalla quantità dei versi e dalla consistenza della ripresa. Si ha un forte rapporto di corrispondenza con Cavalcanti, in particolare nel primo verso del componimento, che rimanda alla ballata cavalcantiana Fresca rosa novella. Si ha la ricorrenza di un lessico e di espressioni che richiamano la Sacra Scrittura e la liturgia (cfr. verso 12, in cui si ha una movenza biblica; cfr. vv. 3-4, in cui il poeta invoca pietà per il proprio cuore ferito dall’amore, rifacendosi ai Salmi penitenziali; cfr. verso 12, che richiama l’invocazione alla Vergine). L'apertura presenta un’apostrofe molto diretta. Nelli occhi: si ha una connotazione molto più concreta rispetto ad “agli occhi”; si ha un’intrusione quasi fisica dell’immagine della donna. Si ha il topos della morte causata dalla lontananza della donna amata, già ricorrente nella poesia provenzale. L'evocazione di questo personaggio femminile rimanda da vicino la comparsa di Matelda, in Purgatorio XXVIII, che permane nella creatività dantesca per rappresentare una figura evanescente ed ineffabile nel Paradiso terrestre. La ferita al cuore, oltre ad essere tipica della poesia amorosa, ricorda molto da vicino vulnerasti cor meum, un verso del Cantico dei cantici. La prima stanza, come la ripresa iniziale, si apre con il nome della donna amata, riprendendo anche la corrispondenza della struttura sintattica. Si ha il tema molto forte dell’amore che passa attraverso la visione. Per quanto riguarda la parafrasi, piacer significa “bellezza fisica”. Ridi = “sorridi”. Là dove: più che un luogo, si tratta di una dimensione temporale che designa un luogo. Gli spiriti sono le operazioni svolte dalle varie facoltà interne al nostro organismo; in questo caso, lo spirito cocente riprende la concezione della Fisica aristotelica, secondo cui si tratta, nello specifico, dello spirito deputato alla trasmissione delle immagini dall’esterno all’interno del soggetto; in senso più immediato, si può intendere che lo spirito è incandescente proprio perché animato dal fuoco amoroso. La seconda stanza riprende l’esclamazione iniziale. L'ambito tematico è sempre quello della passione e del desiderio, su cui si insiste con eloquenza e frequenza. Si ha una sollecitazione della donna ad affrettarsi a dimostrare compassione e disponibilità nei confronti dell’uomo che la ama; di fatto, la sofferenza delle donne colpevoli di avere indugiato potrebbe essere trasposta sul piano trascendente e trasformata in pena infernale (cfr. Novella di Nastagio degli Onesti, Boccaccio). Sonar bracchetti e cacciatori aizzare, Dante; Biltà di donna, Cavalcanti Si crea un legame tra due sonetti, uno dantesco ed uno cavalcantiano, per delle analogie riscontrabili nei due testi. In virtù del rapporto tra i due, è più probabile che sia stato Dante ad ispirarsi ai componimenti di Cavalcanti; è interessante come uno stesso tema, sviluppato poi in maniera differente, coinvolga entrambi questi autori. L'argomento che unisce questi due testi è l’esaltazione della qualità straordinaria della donna amata (Cavalcanti) e delle occupazioni amorose (Dante); i termini con cui viene espresso il paragone è analogo, per cui si dice che molte cose belle della vita non sono sufficienti ad eguagliare l’esperienza amorosa in sé. Per illustrare le cose belle, si segue la tecnica enumerativa del genere del plazer provenzale; si ha l’elenco di ciò che è piacevole, in modo descrittivo o beneaugurale; tra gli esponenti massimi di questo genere, nella lirica italiana del Duecento, è Folgòre di San Gimignano. Nel sonetto di Cavalcanti, si ha una componente enumerativa molto forte. Saccente: nell’italiano antico, ha connotazione positiva ed è sinonimo di “sapiente”. Si ha un costrutto chiastico: biltà e core, di donna e di saccente. Genti: gallicismo, significa “gentili”, “nobili”. Legni: metonimia per “navi”. Ciò, al verso 9, è un complemento oggetto, che riassume quanto precedentemente elencato; il soggetto è la beltà e la valenza della donna amata. Coraggio: gallicismo, significa “cuore”, non la virtù del cuore, nell'Italiano antico; si riteneva che l’ardimento avesse la sua sede fisica proprio nel cuore. Canoscenza: si tratta della conoscenza di tutte le prerogative necessarie ad essere virtuosi; in questo caso, tutte le qualità sono detenute dalla donna. Epifonema: figura retorica che si ha qualora vi sia la chiusa sentenziosa di un discorso articolato, come avviene in questo componimento. Nel sonetto dantesco, il componimento si articola in maniera più dinamica rispetto a quello cavalcantiano; Dante non è un imitatore passivo, ma interpreta il modello in maniera piuttosto libera e disinvolta. Sonar: il verbo significa “abbaiare”, poiché l’ambientazione è quella di una scena di caccia; in alternativa, potrebbe trattarsi dei sonagli attaccati ai collari dei cani. Piaggia: vale, in generale, come “luoghi”, “sentieri”. Non è un caso che la caccia sia collocata agli antipodi rispetto alle preoccupazioni amorose: fin dai tempi di Ovidio, la caccia è vista come un rimedio ideale per allontanare le preoccupazioni amorose; inoltre, si tratta di un’occupazione nobiliare, di grande prestigio sociale, caratterizzata da un cerimoniale ben codificato. Il tono del pensiero amoroso, che si rivolge al poeta, è piuttosto irridente e brusco; la caccia è definita una dilettanza selvaggia e rustica, con connotazione negativa. Non curarsi delle donne e dedicarsi alla caccia è considerato un comportamento villano; il rimprovero del pensiero amoroso prevale e Dante si sente in colpa. Temendo non: costruzione latina (timeo ne) per esprimere l’auspicio che qualcosa non accada. Il poeta teme che Amore, il suo signore assoluto, possa coglierlo in fallo, a causa del rimprovero mosso del pensiero amoroso; per questa eventualità, Dante prova dolore, disagio ed imbarazzo. Gli infiniti risultano dominanti in questo sonetto, i quali esprimono tutto il plazer. Nelle terzine, si ha un solo infinito di valore negativo, poiché si parla dell’allontanamento dalle donne per dedicarsi alla caccia; è come se ci fosse un uso dello stesso modo verbale, nelle quartine e nelle terzine, con valori diametralmente opposti. Retoricamente, si hanno numerosi chiasmi, che si ripetono seguendo un modulo; la costruzione compensa i chiasmi, svolgendosi prevalentemente secondo un parallelismo. Dante drammatizza la scena, instaurando una sorta di dialogo tra se stesso ed il pensiero amoroso: anche questa è una caratteristica che il poeta adopera spesso, trovando il modo di far esprimere direttamente le componenti del testo lirico. Questa caratteristica lo contraddistingue anche nella prosa della Vita Nova, quando si è in presenza di passaggi importanti dal punto di vista filosofico e teorico; pertanto, la creazione di un dialogo (sermocinatio), mediante l’intervento di diversi parlanti, è molto funzionale nei componimenti danteschi. 21/03/24 Degli occhi della mia donna si move Si tratta del sonetto sicuramente dantesco, il più attestato nella tradizione manoscritta; inoltre, questo conferma l’impatto e l’influenza notevole che questo testo è riuscito ad esercitare sulla poesia successiva. Questo sonetto di alta qualità, tuttavia, non entra nella Vita Nova; valutando comparativamente quanto viene incluso in questa opera e quanto, invece, ne viene escluso, si può comprendere l’esperienza totale della sua crescita poetica; oltre alla poesia inclusa nella Vita Nova, Dante non si preclude esperienze che mantengono una vicinanza poetica con Cavalcanti. Linguisticamente, il sonetto è molto armonioso, calibrato su un registro elegiaco e con una punta drammatica, su ispirazione cavalcantiana; vi sono temi caratteristici e topici della lirica di questo periodo, ma sviluppati su influenza struggente, secondo l’impronta di Cavalcanti, per cui, nonostante la sofferenza del poeta, è impossibile per lui rinunciare all’oggetto dell’amore; un altro tema caratteristico è quello della paura e del timore dell’innamorato, ogni volta che egli si trova in presenza della donna, per timore della sconfitta. L’ipotesi di Contini, a causa della presenza della rima siciliana tra paurosi e chiusi, tende a non attribuire il sonetto ad un Dante maturo, che rifinisce attentamente tutti i componimenti; in realtà, non necessariamente il poeta aveva escluso questo componimento dalla Vita Nova per questo motivo, poiché la rima siciliana era aspetto noto ed integrante della lirica del tempo. L’effetto dello sguardo della donna è miracoloso; questo tema è già presente in Guinizzelli, ripreso anche da Cavalcanti. Razzi: significa “raggi” ed è una forma linguisticamente settentrionale; tuttavia, non è sorprendente che questo termine si trovi in Dante, poiché alcune caratteristiche fonetiche settentrionali iniziano ad entrare nel fiorentino già nel Trecento. Si ha il tema del tremore dell’amante, fortemente stilnovistico e, soprattutto, cavalcantiano. In questa fase cronologica, si intende che il poeta sta parlando di Beatrice, la ha ormai assunto il valore centrale che deterrà anche nella Vita Nova. E’ = ei = essi, cioè “gli occhi”. Paraipotassi: si tratta di una possibilità dell’italiano antico, in cui paratassi ed ipotassi coesistono; dunque, in italiano antico si mette una congiunzione che, nell’italiano moderno, non sussisterebbe; si tratta di una struttura rafforzativa, percepita poi come superflua nell’elaborazione linguistica del Cinquecento. Gli occhi chiusi possono essere quelli dell’innamorato, che non riesce a contemplare il poeta si rivolge, in qualità di pubblico ideale per la comunicazione dei testi lirici che parlano d’amore; si ha una vicinanza stringente con la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, poiché c’è il riferimento alle donne dotate di nobile animo. Questa canzone non viene inserita nella Vita Nova: la ragione è che qui si ha la morte dello spirito intellettivo, mentre nella Vita Nova la ragione del poeta non abbandona mai l’esperienza amorosa per Beatrice; l’innamoramento è un’esperienza forte, ma non irrazionale (tratto, invece, fortemente cavalcantiano). Per la consapevolezza raggiunta sull’amore come lode dell’amata, la visione dell’amore come morte non è compatibile: l’idea che l’amore possa essere diviso dal desiderio e dalla passione comporta una neutralizzazione dell’aspetto mortale del sentimento; pertanto, Dante conserva le sue facoltà razionali nel suo amore per Beatrice, la quale deve essere lodata e non concupita. Questa canzone, invece, continua ad insistere sulla sofferenza soggettiva del poeta, determinata dall’azione della donna amata, e per questo si stanzia prima della svolta che la poetica della lode comporta. Tenzone tra Dante e Forese Donati Si tratta di un tipo di componimenti derivante dal provenzale, mentre in poesia italiana gli scambi di sonetti rimangono casi isolati; si hanno, talvolta, scambi di opinioni, che però non degenerano mai in componimenti salaci come quelli dei poeti fiorentini. Non è possibile stabilire con certezza se si tratti di uno scherzo poetico o meno: nella volontà di offendersi, si riscontrano anche battute velenose. Inoltre, Dante incontra Forese anche in Purgatorio XXIII; il colloquio tra i due vede un certo imbarazzo, senza che però Dante dia altre indicazioni al riguardo; l’ipotesi più verosimile è che ci fosse stata della tensione tra i due in vita, dato che alcune battute che si scambiano sono anche provate dai documenti del tempo. Le correzioni che Dante opera nella Commedia rispetto alla tenzone confermano che le accuse scambiate erano almeno in parte vere. Il meccanismo della tenzone prevedeva una provocazione a climax, senza che i due poeti si difendessero, bensì che continuassero ad attaccarsi reciprocamente; questo ostacola la ricostruzione del contesto in cui questo tipo di componimenti veniva realizzato; molto spesso si hanno allusioni a persone del tempo, attraverso i loro soprannomi, che oggigiorno non sono più identificabili. 11/04/24 Rime spurie/dubbie L’attribuzione dei componimenti è una questione spinosa: oltre alla mancata organizzazione da parte dell’autore, si ha l’ambiguità dei manoscritti, che riferiscono determinate liriche ad autori diversi oppure le riportano adespote. Rispetto alle edizioni precedenti, De Robertis effettua un recupero di due sonetti, mantenendosi in una dimensione probabilistica. In precedenza, Barbi aveva invece definito queste rime come decisamente dubbie; pertanto, con l’edizione De Robertis si ha avuto un recupero, anche se con una dicitura probabile. Tuttavia, nell’edizione successiva di Grimaldi, queste rime sono tornate nella sezione dubbia. Un altro testo molto importante è la cosiddetta canzone trilingue: si tratta di un componimento sempre posto tra le rime dubbie, mentre De Robertis definisce la canzone come sicuramente di Dante. Ci sono poi due sonetti, considerati dubbi da Barbi, che sono stati eliminati da De Robertis: è quasi certo che non si tratti di testi danteschi, ma è opportuno inserirli in un’edizione, per poterli avere ancora a disposizione dei lettori. La tradizione manoscritta di un autore famoso è molto intricata, poiché il suo nome polarizza l’attenzione dei copisti, che appongono rubriche attributive errate. È opportuno chiedersi se si debba definire una qualità poetica, puramente stilistica per un autore medievale; inoltre, non è detto che ci si debba basare soltanto su questo fattore per delineare l’attribuzione. Di fatto, non si riesce a delineare in modo così definito il modo di poetare di un autore da essere dirimente per l’attribuzione, soprattutto a fronte di copisti discordi nella tradizione. Contini afferma che l’edizione critica è un’ipotesi di lavoro: per tale ragione, si tratta di qualcosa di sempre migliorabile. Questione – Sonetto 26 bis, Lo mio servente core Si è tentato di spostare l’attribuzione di questo testo da Dante Alighieri a Dante da Maiano: questo sonetto è stato trasmesso da un solo manoscritto, in cui l’attribuzione cita solo il nome di Dante, senza specificare. Lo spostamento attributivo era stato giustificato da un ragionamento di tipo metrico, per cui si sostiene come l’Alighieri non cominci mai un testo con un settenario; la seconda argomentazione vede un rapporto di endecasillabi e settenari troppo proporzionato per un testo di Dante Alighieri, dato che nella sua poesia gli endecasillabi solitamente prevalgono sugli altri metri. Nei testi di Dante da Maiano, di fatto, si riscontrano più testi che incominciano con un settenario, molto più spesso di quelli dell’Alighieri, ma di fatto questo non è sufficiente per dirimere la questione, soprattutto perché Dante ama lo sperimentalismo poetico. Questione – Sonetto 45, Degli occhi di quella gentil mia dama I due manoscritti che trasmettono questo sonetto lo attribuiscono a Dante Alighieri, per cui De Robertis lo attribuisce sicuramente a questo poeta; altri editori, invece, pongono questo testo tra le rime dubbie. Di fatto, la qualità poetica di questo sonetto non è eccelsa; Contini lo definisce “goffo”, ma la tradizione lo avrebbe poi attribuito a Dante. Nelle terzine, il componimento è definito sciatto e stolto, rispettivamente da Giunta e da Contini. A livello lessicale, vi sono parole mai utilizzate da Dante, soprattutto in sede di rima; si sconfina anche in un’altra opera di dubbia attribuzione, il Fiore. Queste argomentazioni stilistiche, tuttavia, non permettono di eliminare con certezza questo testo tra i componimenti di Dante. Questione – Canzone trilingue Si tratta di un testo inserito tra le dubbie di tutte le edizioni basate su Barbi; viene recuperata come autenticamente dantesca soltanto da De Robertis. La tradizione manoscritta si divide: si hanno alcune attribuzioni a Dante, mentre altri testimoni lo recano adespoto, per cui non si hanno contrapposizioni di altri autori; questo vuoto attributivo è per De Robertis significativo, poiché non si ha la divisione della tradizione tra vari autori, bensì l’anonimato consente di mantenere aperta la possibile attribuzione a Dante, in quanto non si hanno nomi alternativi in opposizione. Un altro motivo è l’argomento costruttivo della canzone, per cui si ha l’alternanza di italiano, latino e lingua d’oil: questo consente di affermare che poeti mediocri non potessero cimentarsi in una tale prova poetica; inoltre, l’alternanza delle lingue non è casuale, bensì si ha uno schema preciso, che permette sempre le rime all’interno della stessa lingua. Questa struttura che regola l’alternanza delle lingue, insieme all’idea primigenia di scrivere un testo trilingue, rientra perfettamente nella mentalità sperimentalista di Dante Alighieri. Lezioni sesta settimana 18/04/24 Oltre all’attribuzione delle singole rime, si ha un grande problema attributivo riguardo al Fiore, una traduzione in sonetti del Roman de la Rose francese. L’opinione di Contini è che il Fiore sia attribuibile a Dante, anche se questa interpretazione non è convincente; l’idea di tradurre in sonetti un romanzo dall’antico francese è geniale nella sua concezione e ben si addice allo sperimentalismo dantesco, ma ci sono anche elementi a sfavore. Nell’unico manoscritto che trasmette il Fiore, l’autore è segnalato come Ser Durante, anche se il nome di battesimo era molto diffuso a Firenze (cfr. Contini, “Un’idea di Dante”). Tra gli argomenti contro l’attribuzione a Dante Alighieri, i componimenti non sono esteticamente entusiasmanti, la qualità media dei testi e la capacità creativa sono basse; inoltre, nelle opere dantesche si ha molto spesso allusioni alle opere giovanili, ma il Fiore non viene mai citato. È stato osservato che, in alcuni sonetti del Fiore, si ha la messa in rima della parola “Cristo” con termini irriverenti, mentre nella Commedia questa parola rima solo con se stessa, in segno di rispetto: è stato segnalato come potrebbe trattarsi di un’ammenda del poeta, per cui il Fiore sarebbe attribuibile a Dante, ma questa interpretazione non convince. Anche delineando la biografia poetica dantesca, il Fiore non è mai attestato dall’autore, neppure per quanto riguarda i punti di contatto con la sua poesia. Tenzone tra Dante e Forese Donati - continuo Si tratta di una serie di testi, composti entro il 1296, data della morte di Forese, che si innesta sulla tradizione della poesia comica comunale e fiorentina, in cui oggigiorno è difficile cogliere tutti i riferimenti, ma che invece erano perfettamente comprensibili per gli abitanti di Firenze del tempo. inoltre, quelli della tenzone sono gli unici tre sonetti di Forese Donati che sono pervenuti; egli dimostra di avere una buona tecnica, con una dimestichezza originale. Chi udisse tossir la mal fatata (Dante), sonetto pag 352 Nel 1283 morì il padre di Dante, per cui questa data è un termine post quem il sonetto deve essere stato scritto, poiché Forese menziona il fatto. Qui, è Dante che attacca l’avversario. Chi + congiuntivo imperfetto: si tratta di una forma sintattica molto diffusa nell’italiano antico, che significa “se qualcuno”. Bicci: si tratta di un soprannome vezzeggiativo, che di solito era usato per i bambini. Si aveva la convinzione pseudo-scientifica che il cristallo fosse acqua congelata a temperatura bassissima, tale che non si scioglieva più. Calzata: potrebbe indicare “con le calze” o “con le coperte rincalzate”, per proteggere dal freddo. La coperta troppo corta indica, con ambiguità, l’insufficienza del marito. Cortonese: indica “proveniente da Cortona” ed indicava la scarsa lunghezza, con doppio senso. Malavoglia: indica il malessere fisico. Nella medicina medievale, si pensava che ci fossero vari umori che avevano effetti diversi sull’organismo e, per restare in equilibrio, dovevano essere rinnovati; dunque, gli umori vecchi possono provocare malessere, ma la moglie di Forese sta male per altri motivi. La madre della sposa è addolorata, poiché per una dote irrisoria avrebbe potuto maritarla con un conte; la famiglia dei Guidi era molto in vista nell’Italia centrale. Alla fine, si ha un complemento di specificazione su modello della lingua d’oil. L’altra notte mi venne una gran tosse (Forese) aspetti metrici e compositivi. Inoltre, tre canzoni si collocano con chiarezza in un contesto invernale, in contrasto con il topos tradizionale dell’innamoramento. Questi componimenti sono incentrati su una figura femminile molto ritrosa, identificata con il senhal di Petra; inoltre, si ha un forte ritorno di Dante alla poesia dell’amore-passione e del desiderio fisico; si ha un superamento della stagione della Vita Nova e della concezione filosofica della poesia della loda. Dante dimostra di aver letto la poesia provenzale rientrante nel trobar clus, una poesia più difficile nella forma e nel contenuto. In Purgatorio XV, Arnaut Daniel si rivolge a Dante in provenzale; inoltre, Arnaut Daniel era stato l’inventore dello schema metrico della sestina. Lezioni ottava settimana 29/04/24 Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra (sestina pag. 85) Si tratta di un testo che punta maggiormente alla forma, rispetto al contenuto; si ha un ritorno ai temi della passione amorosa e dell’impossibilità di raggiungere l’obiettivo del proprio desiderio. Le rime “petrose” sono uno dei punti più alti dello sperimentalismo dantesco e della capacità di sovraccaricare il proprio sistema poetico. Nel Novecento, Contini riconobbe in Dante e in Petrarca due polarità opposte, due principi: Dante è definito espressionistico e sperimentale, mentre Petrarca rappresenta il classicismo e il rispetto della norma letteraria; tuttavia, non è opportuno leggere in questa chiave tutta la letteratura italiana successiva, su cui questi due autori avrebbero agito. La sestina Al poco giorno è il testo esemplare dell’esperienza petrosa di Dante. Il poeta segue un meccanismo di continua ricomposizione dell’ordine delle parole-rima, per sei stanze consecutive ed un congedo. Alcuni definiscono la sestina come una canzone; già Arnaut Daniel aveva proposto questo schema metrico, in ambito provenzale, mentre Dante pone la sua attenzione su connessioni numerologiche, per cui ricorre ossessivamente il numero sei, anche nella struttura stessa del componimento. Un elemento che non è presente nella struttura metrica della sestina è la rima nella singola strofa, mentre questo meccanismo affida alla rima le connessioni tra le varie strofe; nel congedo sono presenti tutte e sei le parole-rima, tre delle quali sono presenti all’interno del verso. Una delle maggiori difficoltà della sestina è il mantenimento del significato nonostante la limitazione delle parole e il serrato formalismo; la costrizione della norma della sestina riguarda anche la scelta delle parole-rima. Dal punto di vista quantitativo, si tratta di parole tutte bisillabe, piane; inoltre, rispetto al significato, è opportuno che si tratti di parole polisemiche, poiché si tratta di elementi molto ripetitivi. Nelle dottrine medievali, il numero sei poteva detenere un significato simbolico e religioso, con connotazioni sia negative che positive. Per quanto riguarda lo schema metrico, si tratta della retrogradatio cruciata, ovvero di un procedimento all’indietro, incrociando le parole finali; per costruire l’ordine, si comincia dal fondo dello schema della prima stanza, passando poi all’inizio per il secondo verso della seconda stanza, per poi tornare alla fine e poi nuovamente all’inizio, fino alla fine delle parole (prima: ABCDEF; seconda: FAEBDC; terza: CFDABE); la combinazione della retrogradatio si esaurisce dopo sei strofe, ritornando allo schema di partenza. Lo schema di composizione del congedo è stato interpretato in vari modi; Gorni osserva come Dante segua sempre la retrogradatio, considerando le prime parole-rima delle stanze della sestina, applicando poi lo schema della retrogradatio cruciata a queste parole, utilizzando l’intero componimento come se si trattasse di un’unica strofa ((B)E(D)C(F)A, con le parole in posizione interna tra parentesi). E = “invece”, coordinazione avversativa. La situazione primaverile non muta la condizione di svantaggio dell’innamorato nei confronti della donna, che continua a dimostrarsi refrattaria. La ghirlanda rientra nella simbologia primaverile e si tratta di una dimostrazione d’amore, la donna con la ghirlanda è talmente bella che Amore si rifugia presso di lei. Si ha un’immagine molto concreta, dal gergo edilizio, che non fa parte delle situazioni topiche della poesia lirica; Dante è in un momento di forte contaminazione della sua produzione stilistica. La parola pietra, in questo caso, è una pietra preziosa, dotata di un potere magico derivante dall’influenza del pianeta corrispondente. Si ha una struttura oppositiva, che implica la totalità di quanto considerato; per piani e per colli, dunque, significa “in ogni luogo”. Il colore verde della veste della donna allude, simbolicamente, alla sua giovinezza. Si ha l’allusione topica al locus amoenus, protetto da montagne altissime. La donna viene definita come legno molle e tenero, che brucia e si infiamma più lentamente. Il ritorno del fiume alla sorgente è un adynaton, figura retorica che indica qualcosa di impossibile. Alla fine, sono descritte due situazioni fortemente anomale; il fatto di mangiare l’erba è concepito come animalesco, poiché sono i contadini, appartenenti allo strato sociale più basso, a nutrirsi di vegetali. Il fatto di essere disposto a comportarsi in modo bestiale per ottenere il favore della donna denota una disponibilità a degradarsi fino all’infimo; si ha una notevole dismisura tra quanto il poeta è disposto a fare e quanto poco sia richiesto in concessione da parte della donna. Il “luogo dove i panni della donna fanno ombra” potrebbe essere, in modo generico, il posto dove la donna si trova; un’altra interpretazione, derivante dai componimenti provenzali più licenziosi, potrebbe alludere all’organo genitale femminile. Nel congedo, la donna riesce a far sparire l’ombra grazie alla propria luminosità intrinseca, così come si fa sparire una pietra sotto l’erba; si hanno due ambiti, uno lirico e uno fortemente concreto, uniti in un’immagine molto efficace. 02/05/24 Rime dell’esilio Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi (pag 235) Si tratta di un sonetto politico, insolito nella produzione lirica dantesca, prevalentemente dedicata ai componimenti amorosi; un’altra eccezione è la canzone Tre donne intorno al cor mi son venute, testo morale più che politico, che si riferisce a verità universali e lamenta la decadenza dei costumi e della tenuta morale di chi governa il mondo, senza però fare riferimento a fatti specifici della biografia del poeta. In questo sonetto, si comprende che la situazione politica è quella degli anni dell’esilio di Dante. Arrigo VII, imperatore dal 1308 e speranza della parte ghibellina e dei guelfi bianchi, scende in Italia nel 1310 e ottiene alcune vittorie nel Settentrione; il papa del momento, Clemente V, riconosce il sovrano soltanto tramite un legato, senza opporsi apertamente all’imperatore e tuttavia non appoggiandolo in modo ufficiale; tuttavia, la discesa dell’imperatore non sortisce gli effetti sperati ed egli si ferma presso Pisa, dove si ammala e muore nel 1313. Dopo questa data, Dante, che aveva pubblicamente sostenuto la causa imperiale, perde ogni speranza di poter rientrare in Firenze. Questo sonetto si colloca prima della morte dell’imperatore e del fallimento dell’impresa, poiché Dante invoca un signore, probabilmente Arrigo stesso, affinché riporti giustizia in un’Italia straziata da un tiranno (probabilmente il re di Francia, Filippo il Bello, oppure la parte dei guelfi neri) e da chi che minaccia la giustizia, probabilmente papa Clemente V; è meno probabile che ci si possa rifare ad una visione universale, per cui si avrebbe l’opposizione tra Dio e il demonio. Questo sonetto è caratterizzato da una certa tensione, che appare come involuta in sé, e la sintassi sembra quasi faticare ad adeguarsi alle cesure di fine verso; anche questi elementi conferiscono difficoltà e si ha identità tra l’ardua comprensione del testo e la durezza della materia, che rimanda ad una situazione politica drammatica per il poeta. Vago: in questo caso, significa “desideroso”. Novo: ha il significato di “straordinario”, un dolore senza precedenti. Lei: riferito alla giustizia. Signore: identificato dai più con Arrigo VII, mentre alcuni lo interpretano come riferito a Dio. Svagare: la s ha valore privativo, affinché il poeta non abbia più voglia di piangere. Dritta: significa “giusta”. I seguaci del giusto signore sono terrorizzati dal gran tiranno e dall’uccisore della giustizia; per questo motivo, anch’essi sono lenti nell’azione. Tua: si tratta di un plurale, “tuoi”; si tratta di un fenomeno della stagione linguistica tardo- trecentesca, anche se esso si manifesta precocemente anche in Dante. Il velo potrebbe essere la bandiera imperiale. L’epiteto luce del cielo appare come una definizione riduttiva ed inadeguata, se il signore di cui parla il poeta viene identificato con Dio; è più probabile che si tratti di un personaggio storico. Si ha il topos della richiesta, invocazione d’aiuto, rivolta ad una persona potente. La figura tirannica potrebbe essere Filippo il Bello: si ha un collegamento con Purgatorio XX, in cui Ugo Capeto lamenta la viltà e la cupidigia di potere degli eredi della casa di Francia; tuttavia, la monarchia francese non è l’unica ad essersi macchiata di questo tipo di colpa. Amor, da che convien pur ch’io mi doglia Si tratta di una canzone amorosa, che entra in sistema con altri testi di Dante, alcuni di incerta attribuzione; il poeta scrive dopo l’esilio, mentre si trova in Lunigiana, alla corte di Moroello Malaspina. Questo testo si collega con il precedente per via di una coincidenza biografica: si tratta della prima fase dell’esilio. Si tratta della canzone cosiddetta “montanina”, denominata così proprio dal poeta nel congedo. Questo componimento si colloca in un contesto montano generico, in cui Dante afferma di essersi innamorato in maniera differente rispetto a quanto gli era finora avvenuto. Si è discusso se si tratti di un fatto biografico oppure allegorico: in realtà, entrambe le interpretazioni possono convivere. In Purgatorio II, Dante fa citare da Casella una propria canzone, Amor che ne la mente mi ragiona, presentata come testo di intrattenimento perché eseguito con accompagnamento musicale; tuttavia, si tratta anche di una canzone interpretabile in maniera allegorica, spiegata nel Convivio. Allo stesso modo, la canzone in questione potrebbe essere stata composta da una situazione concreta e poi interpretata allegoricamente; si hanno anche legami con la petrosa Amor, tu vedi ben che questa donna (sestina doppia). L’Epistola IV di Dante, indirizzata a Moroello Malaspina, vede un contenuto affine a quello della canzone “montanina”, per cui Amore avrebbe distratto Dante dalle sue meditazioni filosofiche, riguardanti le cose terrestri e quelle celesti (argomento del Convivio); inoltre, Dante riferisce come la lettera sia accompagnata da un testo poetico, che potrebbe essere proprio la canzone “montanina”. Inoltre, secondo alcuni la canzone Amore finge di sferrare l’ultimo colpo contro l’amante e lo tiene disteso a terra, incapace di difendersi. Perverso e diverso: rima derivativa, con la medesima radice etimologica dal verbo vertere. Il cuore pulsante, nella fisiologia medievale, si trovava al centro della distribuzione delle forze nel corpo; in momenti di emergenza, accadeva che il sangue si racchiudesse verso il cuore, parte più protetta dell’organismo. La morte del poeta è determinata dall’angoscia del colpo prima ancora del colpo stesso. Dalla quinta stanza, si ha un cambiamento di visione, per cui si ha l’auspicio del soddisfacimento violento del desiderio. Si ha una sorta di secondo incipit, che riprende proprio l’inizio della canzone; si ha anche un richiamo alla situazione che il poeta ha presentato nelle strofe precedenti, che il poeta rovescia sulla donna, per esprimere la violenza di una passione che si vorrebbe ricambiata. Atra: latinismo, significa “dura”. La consistenza sonora delle parole in rima è sovraccarica e prosegue lungo tutto il testo. La donna è definita scherana micidiale, cioè assassina omicida. Latra: significato generale di “malvagia”. Da: significato di “colpire”. L’espressione di termini polari indica che una certa condizione si protrae e si ripete continuamente. Latrare: si ha una componente animalesca, quasi degradante; l’amore induce ad una perdita delle condizioni tipicamente umane. Borro: indica l’abisso infuocato della passione. Fare’l: enclisi, “lo farei”. Piacere’le: altra enclisi. Il gesto del poeta è fuori dai canoni poetici e cortesi, ma in linea con quanto scritto finora; si tratta di una forma di vendetta e di rivalsa contro l’innamoramento. Gli occhi e i capelli sono i principali mezzi di cui Amore si serve per scatenare il sentimento. Latra: rima equivoca; nel primo caso è aggettivo, nel secondo caso è verbo. Se: indica la condizione puramente virtuale della scena. Il tema dei capelli come punto d’aggressione del corpo della donna è presente anche in questa stanza. Vespero e squille: indicano le ore canoniche che suddividevano la giornata, in base alle preghiere delle varie parti del giorno; qui, si indica il tempo dal mattino alla sera. Si ha una deliberata espressione di intenti aggressivi. L’orso è un animale che nel Medioevo era sentito come prevalentemente negativo, per goffaggine ed aggressività. Il poeta intende vendicarsi per tutte le volte che la donna si è sottratta al suo amore; la pace che il poeta intende rendere alla donna avviene per mezzo di un impetuoso amplesso. Il congedo vede la spedizione diretta della canzone alla donna, tramite un’apostrofe al testo stesso; la richiesta del poeta è l’innamoramento auspicato della donna nei suoi confronti. Dalle: il verbo indica ancora l’idea di colpire. La vendetta è, in questo caso, amorosa. Nella canzone Tre donne intorno al cor mi son venute si ha il ritorno del tema della vendetta, intesa in senso politico e non amoroso. Lezioni nona settimana 06/05/24 Amor, da che convien pur ch’io mi doglia – continuo (pag 181) I testi con cui questa canzone entra in risonanza sono due lettere in latino e uno scambio di sonetti con Cino da Pistoia (pag 386 ss.). Dante è in ottimi rapporti con Cino da Pistoia e scambia delle rime con lui in più occasioni; per i suoi contemporanei, Cino era innanzitutto un illustre giurista, che insegna a Napoli proprio quando Boccaccio, da giovane, sta compiendo il proprio apprendistato mercantile; i due autori si avvicinano tra loro e, da qui, nasce in Boccaccio una reverenza per Dante e per Cino. Anche Cino subisce l’esperienza dell’esilio, condanna revocata nel 1306; egli era un guelfo nero. Nell’Epistola III, Dante afferma esplicitamente che lui e Cino sono esuli, cronologicamente prima del 1306. Nello scambio di sonetti, Cino chiede a Dante se sia possibile innamorarsi di una donna diversa, una volta esaurito l’amore per la prima. Nel primo sonetto, la chiusa presenta delle cruces desperationis, che delimitano la parte che l’editore non riesce ad emendare, neppure con congetture. Nella risposta, Dante espone l’opinione che Amore sia in grado di far innamorare nuovamente. Con la seconda tenzone, ci si avvicina al contesto della canzone “montanina”, poiché viene citato il marchese Moroello Malaspina; si ha un gioco etimologico, in cui si parla di una donna appartenente al casato dei Malaspina, per cui Cino soffre pene amorose e, pertanto, egli scrive al marchese per informarlo. In questo caso, Moroello non risponde in prima persona, bensì è Dante a scrivere il sonetto di risposta. Dante rinfaccia a Cino un’eccessiva propensione all’innamoramento, non solo poeticamente, ma proprio riguardo alle sue vicende biografiche. Le questioni d’amore, con temi formulari ricorrenti, presenta un rilievo diverso attribuito da Dante in questa canzone; Dante insiste fortemente su questo nuovo amore e sulla condizione di straniamento che questo provoca. Si ha una situazione di impossibilità di comunicare, in un ambiente in cui i sentimenti amorosi non possono essere compresi da un pubblico di lettori, come invece avveniva a Firenze, dove il poeta aveva trovato in giovinezza una comunanza di intenti. Questa canzone presenta il tema della morte per amore, che aleggia per tutto il componimento. Il fatto che gli argomenti razionali non riescano a contrastare il pensiero d’amore ossessivo; anche l’immagine della donna che perseguita il poeta in modo invadente è un tema già presente nelle petrose. Si hanno immagini molto evocative, come il duol che si snoda, per cui il dolore amoroso sembra sciogliersi e dipanarsi intorno al poeta. Rispetto a Così nel mio parlar, questa canzone non comincia in medias res, bensì si ha la più tradizionale invocazione ad Amore. Si ha un altro tema tipicamente dantesco, quello dell’ineffabilità dell’esperienza amorosa e dell’inadeguatezza del poeta a descriverlo; rispetto alle canzoni stilnovistiche, questa insufficienza viene risolta in modo molto più tragico. Si ha una sproporzione assurda, per cui non è tanto grave il fatto che l’innamorato muoia, quanto il possibile turbamento che tale avvenimento potrebbe suscitare nella donna. I verbi come dire e parlare hanno sempre forti implicazioni poetiche. Colto: significa “colpito”. Ascolto: significa “soffro”. La donna viene definita rea, malvagia: questo induce a scartare l’ipotesi che si tratti di un testo della fase giovanile, appartenente alla stagione della Vita Nova, poiché qui la donna è connotata con una crudeltà che male si accorda con quel periodo poetico. Imagine: indica l’immaginazione; Dante esplicita il meccanismo amoroso, che si manifesta attraverso il pensiero ossessivo della donna, così come accade nelle rime petrose. Sua pena: l’anima folle insiste nel rappresentarsi l’immagine della donna; così facendo, essa provoca a se stessa della sofferenza. Riguardare: significato intensivo di “guardare fissamente”. L’anima è consapevole del male che si fa, ma continua a riempirsi di desiderio e si adira contro se stessa, seguendo un comportamento contraddittorio e irrazionale. La donna è raffigurata in modo fortemente negativo, come nimica figura. Si ha una forte ricorrenza del verbo morir; inoltre, si ha l’immagine dell’esecuzione dell’innamorato. Virtù che vole: indica la capacità di volere, la volontà. Fane: si ha il fenomeno dell’epitesi; nel fiorentino antico, la sensibilità del parlante non tollera le forme tronche, per cui al monosillabo “fa” viene aggiunta una sillaba finale, in modo che la parola tronca diventi piana. Morto: usato nel senso transitivo di “uccidere”. Sòle, sole: si tratta di una rima equivoca. Dante si rivolge ancora ad Amore, come aveva fatto nell’incipit; vi si rivolgerà ancora nella quinta stanza. Feruto: variante di “ferita” dell’italiano antico. Nel tempo che il poeta ha perso coscienza di sé, l’anima è rimasta completamente inerte e il poeta non si ricorda più nulla. Dante allude all’uscita da una condizione di svenimento. La faccia scolorita è soggetto ed indica l’impallidimento. Trono: indica il tuono; in antico, questo termine indicava sia il rombo sonoro sia il lampo, manifestazione luminosa; in questo caso, è probabile che si tratti della manifestazione visiva. Se: valore concessivo. Fiata: indica un lungo intervallo di tempo. La figurazione della donna, rispetto alla sua asprezza e crudeltà, è accostabile alla donna di Così nel mio parlar. Conciare: verbo dalla connotazione fortemente negativa, significa “distruggere”. Palpi: l’uso di questo verbo vede una forte carica espressiva, tipica del Dante maturo e delle rime petrose, che poi si ritroverà anche nella Commedia; questo verbo ha una consistenza fisica, tattile; l’attenzione lessicale è molto peculiare e caratterizzante, per trasferire il significato in modo sinestetico al lettore. Sfolgorando: rilasciando una luce amorosa pari a quella del fulmine. Accorte: significa “intelligenti”, con caratteristiche di nobiltà tali da poter comprendere l’esperienza dell’innamoramento; questa corrispondenza non è trovata da Dante nel luogo impervio dove si trova. Cale: significa “importa”, “stare a cuore”. La donna è presentata come insensibile e refrattaria all’amore; si tratta di una connotazione quasi giuridica di questo fatto, poiché la donna è bandita e allontanata dalla corte di Amore. Orgoglio: termine tipico della lirica amorosa, con origine provenzale; si tratta di un sentimento forte in italiano antico e indica protervia, insensibilità deliberata, alterigia. Per che: significa “per cui”, in senso causale. Il tema dell’efficienza bellica della donna, smisuratamente protetta dall’aggressione d’Amore, si ritrova anche in Così nel mio parlar. Nel congedo, si ha un evidente riferimento all’esilio del poeta. La spedizione del testo poetico è l’espediente dell’envoi, ricorrente anche nella lirica provenzale. Vai dicendo: forma perifrastica con un verbo di movimento, che esprime una protrazione dell’azione. Piega: da intendere “si piega”, in senso riflessivo. 09/05/24 Tenzone 58 – Cino a Moroello Malaspina (in realtà risponde Dante) Cercando di trovar minera in oro (Cino) Minera e oro sono parole polisemiche nell’italiano antico; minera è da intendere come minerale, ancor più prezioso dell’oro stesso, mentre oro sta ad indicare la vena aurifera. Si ha il gioco di parole mala spina, che fa riferimento al casato dei Malaspina. Cino da Pistoia è un poeta molto tragico e lacrimoso nelle sue liriche amorose. Ploro: latinismo, significa “piangere”. Non si comprende perché Moroello debba provare gioia davanti alle sofferenze amorose di Cino: la gioia è probabilmente di carattere familiare e riguarda il grande valore della donna del casato, in grado di fare innamorare; tutti i manoscritti che trasmettono il testo presentano questa versione, per cui non è opportuno ritenere che le parole gioia e noia siano invertite, poiché bisognerebbe supporre la presenza di un archetipo oggi perduto, e questa è ipotesi poco economica. Poria: condizionale Nella settima strofa, con una sorta di chiusura, che denota nella canzone un andamento circolare, Dante torna a rivolgersi alle donne, usando il tempo passato, che implica un’idea di fine e di chiusura del testo. Infine, nel congedo, Dante si rivolge alla canzone stessa, con il consueto meccanismo di envoi. Si ha la menzione del personaggio di Bianca Giovanna Contessa, a cui è attribuita la responsabilità di decidere in merito al destino di questo testo poetico. 16/05/24 Per quella via che lla Bellezza corre Si tratta di un componimento attestato in diversi manoscritti; De Robertis riconosce che ne circolino due versioni, anche se si è in dubbio che possa trattarsi di due testi entrambi redatti da Dante. La differenza più eclatante riguarda il nome diverso della donna che viene citata: Licenza/Lisetta. L’ipotesi più diffusa è che si tratti della semplificazione del nome, non operata da Dante, ma dai copisti successivi. Si è pensato potesse trattarsi di un sonetto dell’esilio, anche se le caratteristiche del componimento sono stilnovistiche, dato che si parla della figura femminile di Lisetta anche in alcuni componimenti del poeta padovano Aldobrandino Mezzabati; si è pensato, pertanto, che Dante possa aver avuto contatti con i suoi ammiratori veneti e aver scritto un sonetto riecheggiante i suoi vecchi modi di poetare per compiacerli. In realtà, si è scoperto che Aldobrandino Mezzabati fu capitano del popolo a Firenze negli anni 1291-1292; quindi, egli avrebbe potuto incontrare Dante prima dell’esilio. Inoltre, Dante cita il poeta padovano nel De Vulgari Eloquentia, quando ancora non aveva dimestichezza diretta con l’ambiente veneto, per cui si può escludere l’ipotesi del soggiorno in questi luoghi. L’ipotesi più economica è che Dante abbia incontrato Aldobrandino a Firenze e che quest’ultimo, leggendo il sonetto dantesco, ne abbia poi scritto un altro in risposta, per difendere Lisetta. Dato che anche il poeta veneto scrive questo nome nel suo testo, si è pensato che Licenza sia un nome entrato successivamente nella tradizione del testo. 17/05/24 (lezione di recupero) Tre donne intorno al cor mi son venute Si tratta della canzone allegorica più famosa di Dante; nella sua interpretazione letterale, il testo appare abbastanza chiaro. Originariamente, il testo doveva essere collocato nel quattordicesimo trattato del Convivio. De Sanctis era un grande estimatore di questo testo. Si tratta di una canzone appartenente al periodo dell’esilio, come Dante afferma esplicitamente, soprattutto nella parte finale del componimento; si hanno difficoltà nella precisa collocazione cronologica, per via dell’atteggiamento conciliante del poeta. Dante non esclude, nella fase iniziale dell’esilio, un possibile ritorno in patria; per raggiungere questo scopo, una parte dei Bianchi arriva ad allearsi con i ghibellini. L’atteggiamento conciliante verso i guelfi neri, nell’ultima parte di questa canzone, non sembra corrispondere alla prima fase dell’esilio, ancora piuttosto bellicosa. Giunta ritiene che la cronologia debba essere abbassata (tra 1304, battaglia della Lastra, e 1308, inizio della Commedia e prima della discesa di Arrigo VII in Italia). In questa canzone, Dante ha superato la fase della Vita Nova e l’atteggiamento espressionistico delle petrose; si ha un atteggiamento più pacato e discorsivo, anche se il tono è sicuramente sostenuto e dolente. La tematica portante è segnata dalla poesia lirica, poiché si ha la presentazione di questo testo come canzone d’amore; il sentimento di cui Dante parla in questo caso è da intendere in senso etico, come caritas; si ha una parentela tra il sentimento d’amore e la giustizia, entrambi presentati come figli di Venere. Le personificazioni allegoriche mirano a trasmettere la decadenza dei costumi e delle virtù morali. La giustizia divina, per partenogenesi (parto virginale), produce la giustizia umana, che a sua volta genera la legge. Dante soffre l’esilio proprio perché la giustizia, in tutte le sue manifestazioni, è bandita dalla comunità degli esseri umani; al contempo, però, Dante afferma che questo appannamento della giustizia non è destinato a durare per sempre. La struttura strofica è tradizionale, mista di endecasillabi e settenari, secondo le regole enunciate nel De Vulgari Eloquentia. Una delle caratteristiche è la presenza di due congedi: il raddoppiamento è probabilmente dovuto al fatto che il poeta ha pensato il componimento con due congedi; successivamente, nella tradizione manoscritta, il secondo dei due congedi è più soggetto alla caduta; un’altra ipotesi è che il secondo congedo sia stato scritto in un tempo successivo. Già nella lirica provenzale, si attestano canzoni con più congedi. In questo caso, il secondo congedo pare essere una palinodia del congedo precedente. Nel primo congedo, si torna ad un impianto metaforico fortemente segnato in senso amoroso e fisicamente esplicito. Metaforicamente, si afferma che la canzone detiene un senso nascosto. Fatti…novi: verso dall’interpretazione discussa; il senso è quello di allettare e attirare i cuori virtuosi. Fiore e frutto sono vocaboli usati nella poesia lirica e amorosa per alludere all’organo sessuale femminile. Il primo congedo parla esclusivamente del testo e del pubblico ideale a riceverlo. Il secondo congedo è di tenore diverso: si passa ad un piano più biografico-politico. Uccella: significa “falcone” usato al femminile; metaforicamente, si è in ambito venatorio. Poterian: condizionale siciliano, in -ia. L’ultimo verso si oppone alla chiusa di Così nel mio parlar, dove viene esaltata la vendetta come modalità adatta a vincere una guerra; in ogni caso, si tratta di contesti completamente diversi, uno fisico-passionale, l’altro politico-morale. Dante cerca una linea di avvicinamento all’avversario. Circa la struttura della canzone, si ha la distinzione in due momenti di forte cesura, in corrispondenza della quinta stanza. E io: segna una disgiunzione forte, un cambio di prospettiva. Dante ritiene l’esilio come una prova della sua salda moralità, dato che, in mancanza di giustizia, i buoni sono stati banditi. Rispetto alla prima parte del componimento, dove parlano le personificazioni della giustizia, uno dei punti più interessanti della Vita Nova riguardava una polemica dantesca, sostenuta con Cavalcanti a favore della poesia in volgare, circa l’uso della prosopopea come espediente retorico nella poesia volgare. Alcune modalità della rappresentazione, soprattutto i dialoghi, sembrano già anticipare, per certi versi, l’introduzione dei dialoghi della Commedia, che vedono un certo dinamismo e drammatizzazione. Le tre donne ormai cadute in disgrazia si mostrano lacere e dimesse, ma non nascondono una grande bellezza, in grado di suscitare Amore. S’aita: può voler dire “si capacita” oppure “riesce a parlare di loro”; sintatticamente, l’ipotesi più probabile è la seconda, mentre dal punto di vista della coerenza della scena è la prima; in effetti, le due interpretazioni coesistono. Il comportamento di Amore nella seconda stanza allude ad un significato nascosto e metaforico; si tratta, comunque, di una rifunzionalizzazione di tematiche amorose all’interno di un testo morale. La cintura era, tra gli accessori, quello più idoneo a dimostrare la ricchezza e la dignità della dama. Il riferimento al Nilo indica biblicamente uno dei quattro fiumi del Paradiso terrestre; altri interpreti fanno riferimento alla zona equatoriale del pianeta, dove, secondo alcuni geografi del Medioevo, si credeva fosse nata la giustizia, poiché le popolazioni che risiedevano in questi luoghi erano particolarmente giuste. Turbate: indica il colore torbido. Per: valore causale. Pur: anafora del rafforzativo molto intenso, che esprime tutta la fiducia di Dante nel ritorno della giustizia. Nella quinta stanza, si hanno due punti molto discussi: il bel segno, cioè il bersaglio verso cui Dante tende, e la presunta colpa di cui parla il poeta. Il bel segno potrebbe essere il senhal, ovvero il nome utilizzato per celare la donna amata, che non si riesce ad identificare con sicurezza; secondo altri, il bel segno potrebbe essere la patria, Firenze, in cui Dante spera di rientrare; la menzione della lontananza e di un fuoco amoroso si sposa bene con una figura femminile, che potrebbe assurgere, secondo un compromesso, ad una personificazione della città; in ogni caso, si ha l’allusione al rientro dall’esilio. La colpa potrebbe essere di carattere politico, che alluda a un’azione intrapresa da Dante; si potrebbe riferire, a distanza dall’inizio dell’esilio, all’errore commesso dal poeta nell’allearsi ai ghibellini contro i Neri, per poter rientrare a Firenze manu militari. Nel secondo congedo, il riferimento ai colori bianco e nero allude alla divisione politica interna a Firenze, che Dante ha pagato con l’esilio. Nel congedo, la canzone è inserita in un ambito venatorio, molto presente nell’immaginario cortese, per innalzare il tono del componimento. Per la datazione, questo componimento sicuramente non può essere fatto risalire agli anni della discesa dell’imperatore Arrigo VII, quando il poeta assume una posizione favorevole alla fazione imperiale, che gli preclude definitivamente il rientro in patria, controllata dai Neri.
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