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Appunti corso monografico storia medievale (2023/24) - Prof. D'Acunto, Appunti di Storia Medievale

Appunti completi del corso monografico di storia medievale (2023/24) del Prof. D'Acunto, con integrazioni dai libri del docente "Lotta per le investiture: una rivoluzione medievale (998-1122)" e "Sillabario medievale"

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 24/06/2024

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samantha.pagotto 🇮🇹

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Scarica Appunti corso monografico storia medievale (2023/24) - Prof. D'Acunto e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Appunti corso monografico storia medievale (2023/24) – Prof. D’Acunto La lotta per le investiture, secolo XI Lezioni prima settimana 26/02/24 La lotta per le investiture è un movimento rivoluzionario rispetto agli assetti del potere, laico ed ecclesiastico, precedente: è opportuno chiarire innanzitutto il sistema che viene sovvertito. Il significato fondamentale delle lotte per le investiture sta nel passaggio dall’indistinzione tra sfera secolare politica e sfera religiosa alla netta separazione tra quella che è politica e quella che è dimensione sacrale. Si passa da un sistema in cui l’imperatore detiene un potere carico di implicazioni religiose ad un sistema in cui, invece, queste implicazioni religiose vengono sottratte alla concezione del potere imperiale e vengono riferite alla gerarchia ecclesiastica; gli imperatori dal 951 al 1056 nominano i vescovi ed i grandi abati: essi si definiscono “servi degli Apostoli”, cominciando i loro documenti solenni in nome della santa ed unica Trinità. Fino alla lotta per le investiture, i detentori del sommo potere politico sono anche i difensori, i garanti ed i controllori dell’apparato ecclesiastico: il loro potere è concepito come universale e derivante direttamente da Dio. Nel secolo X, il papa aveva una supremazia riconosciuta dalle altre chiese, ma che stentava ad avere contenuti effettivi di governo; la Chiesa romana era riconosciuta come istituzione ecclesiastica superiore, ma si aveva il controllo imperiale. Il passaggio alla distinzione tra potere politico e potere sacrale si ha nel secolo XI, distinzione decisiva per la storia dell’Occidente europeo. Rispetto all’Oriente, fino alla lotta per le investiture non si ha l’identificazione tra legge religiosa e legge politica dello Stato; non si ha la distinzione tra reato e peccato; all’interno della societas cristiana, si ha il potere politico che si concepisce con funzione salvifica; nella Monarchia dantesca, invece, si ha la distinzione tra la funzione religiosa e politica. L'effetto più significativo della lotta per le investiture è il processo di laicizzazione e desacralizzazione del potere politico. L’investitura è la nomina di vescovi ed abati: in realtà, si passa dall’imperatore quale vertice della Chiesa ad un sistema in cui questa posizione di preminenza è detenuta dal papa. La civiltà occidentale incomincia a concepire la distinzione tra potere politico e dimensione sacrale proprio in questo periodo. Gli imperatori della dinastia degli ottoni e della dinastia salica si definivano “servi degli Apostoli”. In una cronaca, in forma di pamphlet, ad opera di Benzone di Alba, si ha la spiegazione della concezione del potere da parte dell’imperatore: la Trinità non è presente sulla Terra se non nei vescovi, i quali sono i tramiti della presenza di Dio; tuttavia, i vescovi sono la dulcissima membra dell’imperatore, mere articolazioni del potere politico, che è insieme anche religioso. L’unzione del vescovo non spetta all’imperatore, ma la designazione sì; dunque, vescovi e grandi abati sono parte integrante dell’istituto imperiale prima e durante la lotta per le investiture. Nel 1111, si ha un dibattito tra emissari papali ed emissari imperiali per risolvere la lotta per le investiture, che nel frattempo si era tramutata nel significato da conferire al potere dei vescovi: si decide di assegnare al papa il controllo su vescovi ed abati; l’imperatore Enrico V replica che, senza queste prerogative di controllo di vescovi ed abati, non si riesce a riscontrare un motivo di esistenza all’istituzione imperiale, poiché l’imperatore concepisce se stesso come mediatore tra gli uomini e Dio, in una missione eminentemente religiosa. Gli imperatori, inoltre, convocano i concili: presiedendo la seduta, convocano vescovi ed abati e vengono prese decisioni afferenti alla sfera religiosa. L’autorità imperiale trova consistenza in questo ruolo di difensore della Chiesa: si hanno ampi margini di intervento nelle questioni ecclesiastiche da parte dell’imperatore. In questo, gli imperatori della dinastia salica sono molto simili agli imperatori bizantini: il basileus ha il controllo totale della Chiesa, egli si autoconcepisce come vicarius Christi, una sorta di incarnazione terrena della divinità. La concezione sacrale del potere imperiale, derivante dai romani, sopravvive alla lotta per le investiture e si avrà lo scisma tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente: l’imperatore bizantino non vuole perdere il controllo della dimensione sacrale, sebbene il papato lo rivendichi; il papato sottrae sacralità al potere politico. La lotta per le investiture è la rivoluzione attraverso la quale l’Occidente assume caratteristiche proprie ed assolutamente peculiari rispetto all’Oriente. La generazione di un potere politico desacralizzato ha conseguenze importanti sull’istituzione imperiale: la gerarchia ecclesiastica rivendicherà addirittura il controllo sull’autorità politica, fino agli inizi del secolo XIV (situazione contraria rispetto a quanto avveniva sotto la dinastia degli ottoni). Cesaropapismo: in Oriente, il basileus si concepisce come l’autorità sacra in Terra; in realtà, quando si conia questo termine, si ha un’incomprensione da parte del sistema occidentale, in quanto il papa non esisteva nel sistema dell’Impero d’Oriente. Il papato come istituzione si affermerà solo dal secolo XI: prima tappa importante delle rivoluzioni occidentali. Il termine “rivoluzione” non viene mai impiegato nel Medioevo: essa è interpretata in senso moderno, come momento costitutivo dell’identità, per enfatizzare il cambiamento. Le rivoluzioni della modernità sono rivoluzioni sistemiche: il sistema precedente viene sostituito da un nuovo ordine. La rivoluzione gregoriana è stata interpretata come scontro per la supremazia tra papa ed imperatore: in realtà, si tratta di una rivoluzione sistemica, poiché al papa si riconosce un primato di giurisdizione e di controllo gradualmente, con grande fatica. La Chiesa alto-medievale era policentrica, caratteristica ereditata dall’antichità: in ogni regno romano-barbarico, il metropolita esercitava il controllo sui vescovi e, a sua volta, doveva sottostare all’autorità regia; il papa era il metropolita dell’Italia centro-meridionale. La Chiesa che nasce dal secolo XI svuota progressivamente di valore il ruolo di questi intermediari ed inizia a legare direttamente i vescovi al papa; il papato sostiene di essere il detentore esclusivo della responsabilità della sfera del sacro. Papa Gregorio VII arriverà a scrivere che il potere politico è diabolico, mentre il potere del papa deriva direttamente da Cristo: rovesciamento completo del sistema precedente, per cui il papato rivendica il controllo totale sull’umanità. Gregorio VII non concorda sul fatto che il potere imperiale derivi direttamente da Dio. L’espressione “Lotta per l’investitura” deriva dalla storiografia tedesca (Investiturstreit), perché nella Germania unificata del secolo XIX lo studio di questi argomenti viene svolto lungo una prospettiva eminentemente politica: il Kaiser si considera un erede degli imperatori medievali tedeschi (clima di rivendicazione di assoluta autonomia del potere politico della Germania unificata). Dalla prospettiva italiana, invece, l’imperatore è un nemico straniero che si oppone alla libertà dei comuni centro-settentrionali. In Francia, si ha l’espressione “Riforma gregoriana”, coniata nell’opera omonima di Fliche (Parigi, 1924-37): l’espressione si riferisce a papa Gregorio VII; si ha una fase pre-gregoriana, una fase in cui agisce il papa e termina con l’opposizione anti- gregoriana. Per Fliche, all’interno della cultura ecclesiastica maturano le idee costitutive di un contrattualismo moderno. Il concetto di “sacrilegio” incomincia ad applicarsi a partire dal secolo XI, mentre nel diritto romano il sacrilegio riguarda solo la persona dell’imperatore, per cui egli non poteva essere contestato senza offendere anche Dio. Una delle problematiche è se Gregorio VII sia effettivamente riuscito a coinvolgere le masse delle proprie opinioni: le azioni rivoluzionarie avvengono solo quando è avvenuto un cambiamento nelle posizioni delle elites; inoltre, deve esserci la capacità di mobilitare le masse, per mettere in atto le idee. A Milano, a metà del secolo XI, i patarini combattono contro il clero legato all’arcivescovo e all’impero, ed essi sono parte del popolo; dunque, per la prima volta nell’Occidente, sono le masse a muoversi; i patarini agiscono perché ritengono che i simoniaci non siano in grado di amministrare sacramenti validi; c’era la consapevolezza di voler cambiare le cose, soltanto che non era opportuno chiamarla “rivoluzione”, a causa del misoneismo medievale, per cui si aveva un disprezzo di tutto ciò che è percepito come innovativo. Nel Medioevo, non si ha l’idea di progresso: al contrario, si pensa che il modo stia invecchiando e che si stia andando verso la sua fine; la creazione di una cosa nuova, pertanto, è intesa come negativa. “Riformare” significava ritornare ad un modello più antico, migliore rispetto a quanto esiste in un tempo successivo; la rivoluzione, pertanto, è intesa come una restaurazione del passato. Si ha un diverso modo di raccontare le rivoluzioni, ma questo non significa che non fossero avvenuti dei cambiamenti effettivi; il cambiamento avviene, ma è sentito come inenarrabile. La rivoluzione medievale è denunciata da chi la subisce, non da chi la fa, poiché essa è intesa negativamente. Lezioni seconda settimana 04/03/24 La lotta per le investiture non è soltanto un fenomeno riguardante la struttura ecclesiastica, bensì relativo anche all’assetto del potere politico; si ha il cambiamento della concezione della Chiesa nell’impero. Si tratta di un cambiamento sistemico generale, in cui la Chiesa è protagonista del rinnovamento dell’assetto occidentale. La rivoluzione del secolo XI è assolutamente eterogenea, priva di un programma univoco: a cambiare è quello che Tellenbach (1935) definiva la Weltordnung, l’ordinamento del mondo, nel libro “Libertas”. L’ordinamento del mondo cambia poiché cambia la concezione della libertà: fino al secolo XI, si tratta della libertà che i singoli o le istituzioni potevano ottenere dall’imperatore, attraverso i diplomi; pertanto, si tratta della libertà di rientrare in una gerarchia, poiché nel Medioevo la vera libertà si aveva quando si era inseriti in una rete di legami. L’ordinamento del mondo medievale ha una struttura gerarchica, tanto sulla Terra quanto in cielo; si ha la preminenza della gerarchia celeste, di cui scrisse lo pseudo-Dionigi Areopagita, in modo fortunatissimo, poiché si ha l’introduzione dell’idea che il mondo creato da Dio è ordinato e gerarchico. Nell’ideologia trifunzionale, il vero libero è il bellator, colui che combatte; si ha la tradizione germanica, per cui il valore fondamentale associato al comando è quello dell’uso delle armi. Il mondo medievale, privo di Stato, necessita di legami di dipendenza formalizzati (rapporti feudali); il garante di questo sistema è l’imperatore, che rappresenta il culmine dell’ordine gerarchico. esistono delle libertates, diritti parziali che l’imperatore concede attraverso documenti ufficiali, che differiscono rispetto alle norme delle gerarchie. Dal secolo XI, si ha la libertas Ecclesiae da questo sistema e la creazione di una gerarchia nuova e ridefinita; rispetto alla tesi di Fliche, in cui si ha una visione negativa del sistema precedente (moralismo storiografico: giudizio del passato, alla luce di criteri attuali), Tellenbach afferma che vi è un sistema di equilibrio diverso tra chierici e laici e, nel controllo della Chiesa, il vertice è l’imperatore. La Chiesa del primo millennio è egemonizzata dai laici, ma questo non implica che sia necessariamente corrotta e priva di spiritualità; dal secolo XI, la Chiesa si emancipa dal controllo dell’impero, soprattutto nella gestione delle risorse. La gerarchia non ha più come vertice l’imperatore, ma nella visione gregoriana il potere supremo spetta al pontefice; l’ordine politico del mondo e della sovranità viene sottomesso al papa. Nonostante l’accusa dell’immoralità della Chiesa del primo millennio, presente nelle fonti dei vincitori, non si ha una mancanza di moralità nel sistema precedente, con a capo l’imperatore; si hanno degli indizi indiretti nelle fonti sopravvissute dell’ordinamento precedente, soprattutto circa il matrimonio dei chierici. Si ha una forte resistenza del sistema antico al cambiamento, ma questo sarà poi imposto dall’avanguardia rivoluzionaria; a Tellenbach si deve il superamento della visione moralistica elaborata da Fliche. La visione di Fliche è funzionale ad una ricostruzione della storia della Chiesa molto efficace dal punto di vista narrativo, poiché il sistema precedente è giudicato negativamente; in Italia, si ha l’anatomia con il volume “Il Medioevo cristiano” di Morghen, per cui la Chiesa “feudale” risulta inquinata dai laici e le istituzioni ecclesiastiche non sono in grado di trasmettere il Vangelo (schema di origine modernista, derivato da Bonaiuti); l’idea è che le istituzioni siano piegate ad intenti politici. Miccoli ritiene che, durante la rivoluzione del secolo XI, ci furono momenti in cui sarebbe stato possibile rovesciare il legame profondo tra Chiesa ed istituzioni e realizzare, ma alla fine del secolo prevalgono le forze reazionarie: questa è la tesi di fondo della Chiesa gregoriana, considerata negli anni ’70 la visione ufficiale della storia religiosa italiana. Negli anni ’50, si ha Violante, per il quale invece non esiste questo contrasto accentuato tra la spiritualità e le istituzioni: per Violante, la spiritualità, per diventare una forza storica, deve essere inquadrata nell’istituzione; per Morghen, invece, l’istituzionalizzazione della spiritualità ne soffoca l’autenticità (cfr. “La straordinaria storia dell’Italia” su YouTube). Violante, in un convegno sui secoli XI e XII, si concentra sulla vita in comune del clero e sulle istituzioni della societas cristiana: soltanto conoscendo le istituzioni ed il loro funzionamento, si può superare il moralismo storiografico di Morghen e di Fliche; la distinzione fondamentale, rispetto all’impostazione precedente, è la capacità di cogliere i riflessi effettivi dei progetti di riforma. Lo studio concreto delle istituzioni ecclesiasti dei secoli XI e XII consente di comprendere il funzionamento dell’intera società del tempo e come concretamente queste istituzioni garantivano il controllo delle risorse e la diffusione del messaggio evangelico. Convegni storici della Mendola: guardando il funzionamento effettivo delle istituzioni ecclesiastiche del secolo XI, è più importante un papa come Urbano II, rispetto a Gregorio VII, una personalità dalle idee di trasformazione della cristianità, alla fine finisce prigioniero a Salerno, mentre l’imperatore Enrico IV comanda saldamente a Roma, insediandovi l’antipapa Clemente III. Papa Urbano II, invece, considerato come normalizzatore avverso alla riforma, si fonda sulla ridefinizione del potere dei vescovi e rilancia il funzionamento effettivo della gerarchia ecclesiastica e la sua capacità di presa sulla società; si ha una capacità di incisione effettiva sugli episcopati e di collegamento con i sovrani stessi, tanto da organizzare la prima crociata. 05/03/24 Per Violante, nel suo approccio storiografico, era opportuno abbandonare i grandi principi che avevano animato il dibattito circa la riforma gregoriana, per andare invece a verificare nella documentazione corrente, relativa alle chiese, che cosa significasse questo cambio sistemico. Dalla storiografia del secolo XIX, le fonti privilegiate erano quelle narrative e quelle di riflessione politica; Violante affiancò queste fonti allo studio della documentazione conservata nelle varie chiese e relativa a quelle istituzioni ecclesiastiche; in tal modo, si poté integrare il punto di vista tradizionale della storiografia con una documentazione attenta ai funzionamenti quotidiani delle istituzioni, per constatare come si intromettessero i laici nella gestione delle chiese, ad esempio attraverso il conferimento delle varie pievi. Gli archivi delle diocesi periferiche hanno consentito di comprendere come effettivamente avvenisse l’intrusione dei laici nelle questioni ecclesiastiche. Ruolo fondamentale avuto dalle pievi nel Medioevo: si tratta di istituzioni ecclesiastiche di base, necessarie ad amministrare il battesimo, il censimento dei fedeli ed il pagamento delle decime; inoltre, si occupavano della cura delle anime; le pievi, rurali ed urbane, diventano indizio degli insediamenti che si sono avuti nei vari territori e delle divisioni delle diocesi. Conoscere le pievi, dunque, consente di conoscere il funzionamento effettivo delle chiese locali, poste al di sotto dell’autorità vescovile. Nella storiografia, vi sono papi privilegiati poiché protagonisti di eventi drammatici, come Gregorio VII; hanno invece minore importanza altri papi, come Urbano II, non coinvolti in lotte contro gli imperatori; dunque, dal punto di vista storiografico si ha un diverso tipo di approccio, più attento ai risvolti locali ed effettivi. L'impostazione del problema deve sottrarsi dal punto di vista esclusivamente ecclesiastico, ma anzi deve considerare i riverberi effettivi di questa riforma sulle istituzioni e sulla società. A differenza dalle enunciazioni teoriche, ad esempio, la maggior parte dei vescovi era schierata con l’imperatore, durante la lotta per le investiture; di fatto, rafforzando le prerogative del papa, i vescovi, nominati dagli imperatori, avrebbero visto una riduzione delle proprie prerogative ed autonomie. Lo studio effettivo delle diocesi durante la riforma mostra la solidità dell’edificio antico e le velleità di chi lo voleva abbattere: si trattava di una progettualità rischiosa dal punto di vista politico, senza alcun risultato che fosse garantito; la constatazione del ruolo dei vescovi, schierati con l’imperatore e non con il papa, fa comprendere come lo studio “dal basso” di questa rivoluzione porti a novità storiografiche notevoli ed inaspettate. Gli ultimi trent’anni di studi storiografici hanno coniugato le fonti più narrative e più ideologicamente connotate con l’attenzione per le fonti locali ed i contesti in cui la riforma si svolse; un’altra linea di tendenza è la decostruzione del concetto di riforma ecclesiastica del secolo XI (1046-1122), per cui, con il cambio generazionale, si ha un profondo ripensamento degli obiettivi di questo processo; con le generazioni, cambia il contesto circostante ed il modo di vedere il mondo. Nel secolo XI, avviene una rivoluzione nell’ambito delle fonti, in primo luogo dal punto di vista quantitativo; nei secoli precedenti, anche le città più importanti producono e trasmettono poche testimonianze. Con il secolo XI, il numero delle fonti documentarie aumenta, a causa dell’imposizione dell’uso della scrittura, all’interno di una società sempre più complessa e con esigenze diversificate. Le diverse città vedono l’accelerazione di processi che conducono ad una figura del re. Questo cambiamento di prospettiva, dunque, modifica la capacità stessa di azione politica del re all’interno del territorio italico. È opportuno leggere la politica regia come il prodotto di orizzonti ed aspettative che nascono dal basso, dalla società politica del regno, da quanto i sudditi si aspettano dall’azione del sovrano; si hanno momenti di aspettativa significativa, mentre in altri momenti l’autorità regia è ridimensionata. Il gruppo vescovile investe sull’autorità regia, ma non soltanto come sudditanza: di fatto, si ha l’aspettativa di una reciprocità dei poteri. Quando poi il sistema regio viene meno, in effetti diminuisce anche il potere effettivo dei vescovi. 12/03/24 L'unico modo per detenere l’effettivo controllo delle regioni imperiali era l’investitura vescovile, che ammantava di autorità politica, oltre che religiosa. Enrico III (1039-56) è un imperatore importante, poiché alla sua curia si ha come obiettivo l’instaurazione di un potere papale rafforzato. Sinodo di Sutri (1046): l’imperatore elegge il proprio papa, deponendo gli altri contendenti alla sede di Roma; il risultato è l’elezione di un papa tedesco, dopo che per secoli la carica era stata appannaggio dell’aristocrazia romana. Il nuovo papa, Clemente II, era inizialmente vescovo di Bamberga; egli rimane in carica molto poco, ma l’intervento di Enrico III a Sutri viene considerato, dalla storiografia del secolo XIX, come massimo atto di corruzione a cui era stata soggetta la Chiesa feudale, per cui il papato veniva completamente soggiogato all’istituzione imperiale. Di fatto, le fonti contemporanee all’atto di Enrico III, anche appartenenti allo schieramento riformatore di Gregorio VII, giudicano questo avvenimento in chiave completamente diversa; si ha una discrasia tra quanto afferma la storiografia moderna e quanto invece attestano coloro che hanno testimoniato gli avvenimenti del secolo XI. Con l’intervento imperiale, Enrico III rende possibile il rafforzamento dell’istituzione papale, sottraendolo all’influenza delle famiglie aristocratiche romane; non si tratta affatto del punto più basso della storia del papato nel Medioevo, bensì l’inizio della rinascita dell’istituzione pontificia, perché il programma di Enrico III prevede il rafforzamento della sede romana, a scapito dell’aristocrazia locale, per la creazione di un papato universale. Dunque, l’intervento di Enrico III permette di accelerare la riforma della seconda metà del secolo XI; paradossalmente, il processo che porterà alla lotta per le investiture ed alla crisi della Chiesa regia ha inizio proprio dal cuore dell’impero; il papa non è ancora avversario dell’imperatore, bensì ricopre una funzione all’interno dell’organismo imperiale. Il progetto di rafforzamento del papato passa attraverso l’insediamento nella sede pontificia di papi tedeschi, che vengono scelti tra i vescovi nominati proprio dall’imperatore, dalla struttura della Hofkapelle (Cappella Regia), per cui i consiglieri dell’imperatore sono in massima parte ecclesiastici. Dopo la morte di Clemente II, si ha Poppone di Bressanone, uno dei più importanti vescovi dell’Italia settentrionale per la sua funzione di raccordo tra il regno italico e la Germania; tuttavia, anche questo secondo papa tedesco non sopravvive a lungo. Il successore è papa Leone IX, proveniente da Toul, in Lorena. I papi di questo periodo adottano i nomi provenienti da una raccolta di lettere pontificie, circolanti tra IX e XI secolo (Decretales pseudo-Isidorianae); si tratta di falsi, attribuiti ai papi delle origini cristiane, ma questi testi divengono la giustificazione del sistema ecclesiastico a partire dal IX secolo. Queste Decretali sono gradite ai riformatori romani, poiché vi si afferma che il papa è il vertice della Chiesa e, in quanto tale, è ingiudicabile; inoltre, vescovi e metropoliti sono inseriti nello stesso sistema, con al vertice il papa, e anche loro sono protetti da un’immunità giurisdizionale; l’unico caso in cui è possibile processare il papa è qualora egli si allontani dalla retta fede. Dunque, i papi del secolo XI acquisiscono i nomi dei presunti autori delle Decretali per rifarsi all’idea stessa di un papato forte, al vertice della Chiesa e centro propulsore di uniformità, rispetto alle differenze territoriali altomedievali che sussistevano tra le diverse chiese. In questa raccolta di false Decretali è compresa anche la Donazione di Costantino, smentita filologicamente da Valla (1440); già alla fine del secolo X se ne mette in dubbio l’autenticità, ai tempi di Ottone III, ma nonostante ciò essa rimane a fondamento del potere temporale dei papi. Uno dei cardini della riforma, il recupero dei patrimoni di chiese e monasteri, viene elaborato già ai tempi di Ottone III, il quale affida questo compito a Silvestro II. Questo progetto nasce da un desiderio di ritorno al passato, ma che in realtà punta a dare nuova efficienza al papato, facendolo diventare un’istituzione universale al pari dell’impero. Il primo papa che riesce nell’intento di universalizzazione del papato è Leone IX; egli era già giunto in Italia, come vescovo tedesco, al seguito dell’imperatore Corrado II nel 1036; egli stesso aveva poi molti vassalli armati, con i quali si impegnava ad accompagnare l’imperatore. Di fatto, Leone IX realizzerà il progetto di Enrico III di rendere universale l’istituzione pontificia; si tratta di un progetto innovativo, sotto le mentite spoglie di un ritorno al passato. Leone IX si rifiuta di considerarsi pienamente papa prima di avere ricevuto l’approvazione del clero e del popolo romano. Leone IX viene nominato da Enrico III attraverso la solita procedura imperiale, ma desidera l’approvazione formale da parte del clero e del popolo romano: in questo, rispetto al passato, si ha una rottura nel processo che aveva visto i papi essere legittimati unicamente dall’imperatore. In realtà, Leone IX è il prototipo del vescovo imperiale e nel suo papato si ha una forte carica di universalizzazione; inoltre, l’azione di questo papa non è contro l’impero, come riteneva Fliche, bensì è ben integrata all’interno del disegno imperiale. Con Leone IX, comincia un processo di imperializzazione del papato, per cui l’istituzione pontificia incomincia a configurarsi come il potere universale già esistente, appunto l’impero. Il papa costituisce un gruppo di ecclesiastici, la curia papale, che lo aiutino a gestire gli affari ecclesiastici, così come l’imperatore aveva la propria cappella regia; tutti coloro chiamati alla curia pontificia sono anche parte integrante della corte imperiale. Il papa incomincia anche ad essere itinerante, a differenza dei papi fino a quel momento; si tratta di una caratteristica del potere simile a quello imperiale, nel tentativo di imitare l’imperatore stesso. Inoltre, il papa cerca di reimpostare il funzionamento della cancelleria della curia, per emettere i documenti ufficiali della Chiesa. Fliche, nella sua ricostruzione, utilizza una cronaca del secolo XI, scritta da Bonizone di Sutri, il quale afferma che con Leone IX incomincia una nuova fase della storia della Chiesa, in quanto viene nominato arcidiacono Ildebrando di Soana, futuro papa Gregorio VII. La riforma, pertanto, non comincia contro l’impero, ma comincia dentro l’impero. Leone IX ha un’idea molto forte del primato della Chiesa romana rispetto a tutte le altre chiese d’Europa: per questa ragione, si disgrega l’unità della cristianità; infatti, nel 1054 si consuma lo Scisma con la Chiesa ortodossa. A Costantinopoli, si ha il basileus, affiancato dal patriarca, il quale mantiene comunque un ruolo di subalternità rispetto al ruolo imperiale. Leone IX invia Umberto di Silva Candida a Costantinopoli e, come conseguenza, si ha la scomunica ai danni del patriarca Michele Cerulario, interrompendo la comunione tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli. Il motivo della contesa, ufficialmente, è una questione teologica; la ragione profonda, invece, è l’impossibilità, da parte della Chiesa di Costantinopoli, di accettare il primato romano, ovvero la subalternità del patriarca orientale e del basileus al papa. Leone IX parte dal presupposto di una fortissima consapevolezza del primato della Chiesa romana rispetto alle altre chiese, e questa è una grande discontinuità rispetto al passato. Il papato, successivamente, rimane convinto delle proprie posizioni di supremazia: per questo motivo, non sarà mai possibile ricucire la frattura tra Oriente ed Occidente. Paradossalmente, il ruolo del papato si rafforza in senso monarchico ed universale proprio su imitazione dell’istituzione imperiale. Nella curia di Leone IX iniziano i dibattiti sulla simonia, sul nicolaismo e sull’investitura laica. I contorni reali della simonia e sulla sua incisività sulla Chiesa emergono due posizioni: - Umberto di Silva Candida scrive il trattato Adversus Simoniacos (1057-60), dopo la morte di Leone IX, sostenendo che la compravendita dello Spirito Santo è un’eresia; inoltre, i sacramenti amministrati dai chierici simoniaci o da quelli ordinati da simoniaci non conducono i fedeli alla salvezza, bensì alla dannazione. - Pier Damiani sostiene, invece, che l’auctor del sacramento amministrato non sia il sacerdote in questione, ma Cristo; pertanto, la validità dell’ordinazione sacerdotale e del sacramento non è messa in dubbio dal minister, ovvero il chierico, per quanto quest’ultimo sia manchevole; come il raggio di Sole che passa attraverso un vetro sporco non viene frenato, allo stesso modo la sacralità dei sacramenti e delle cariche non è inficiata dall’indegnità del minister. Porre la moralità come valore supremo nella gerarchia ecclesiastica, basandosi sulla dignità del singolo ministro, è molto pericoloso; pertanto, si stabilisce che la dignità o l’indegnità personale dei sacerdoti non intacca la capacità o la validità di amministrare i sacramenti. Per i cattolici, non deve esserci legame tra i meriti del ministro ed il ruolo sacrale del ruolo. La diffusione delle tesi di Umberto di Silva Candida, al contrario, vede lo scatenarsi della pratica dello sciopero liturgico. Pier Damiani scrive il Liber Gomorrianus, accusando apertamente i chierici e monaci che si dedicano a pratiche omosessuali per colpire gli avversari, proprio nello stesso momento in cui Umberto di Silva Candida punta a screditare i chierici simoniaci. Riguardo alla pratica del nicolaismo, sotto il pontificato di Leone IX viene stabilito come i chierici debbano ripudiare le proprie mogli; di fatto, la pratica di convivere con donne era stata vista come usuale fino a quel momento. Gli scontri sono molto violenti tra chi sostiene i costumi antichi della Chiesa e chi, invece, desideri riformarla secondo nuovi principi. Accade che le idee, dall’ambito di cerchie ristrette, si diffondono anche tra le masse popolari. L'imperatore Enrico III muore improvvisamente nel 1056; anche il successore del papa Leone IX, Vittore II, muore: grazie ad una successione immediata, il papato si rafforza, mentre l’impero entra in crisi, a causa dell’assenza di un successore immediato. I membri della curia pontificia eleggono Niccolò II, papa italiano, il quale dà avvio ad una fase fortemente riformatrice, in cui il papato come istituzione di rafforza. In questo diverso destino tra papato ed impero, la lotta per le investiture assume una nuova dimensione: il papato assumerà una posizione preminente, mentre l’impero si indebolisce. Ildebrando di Soana ha già una posizione egemone all’interno della curia riformatrice romana; di fatto, dopo la morte di Stefano IX, è grazie al suo consenso che viene eletto papa Niccolò II. su tutte le altre. Alcune cronache milanesi raccontano giornalmente quello che accade nella Chiesa milanese in quel periodo: in questi scritti, si ha il punto di vista del clero ammogliato, che si oppone alla pataria. Il punto di vista dei patarini è riscontrabile grazie a Bonizone di Sutri. Il papato teme la patria, in quanto essa è condizionata dalla violenta pressione popolare. Sotto il pontificato di Alessandro II, la pataria diviene un movimento inquadrato dal papato; il vescovo di Milano Guido da Velate, nonostante ciò, continua a nominare vescovi simoniaci e viene scomunicato nel 1066; egli si appella ai milanesi contro le ingerenze romane, con successo. Guido da Velate, pertanto, riesce ad isolare i capi della pataria, resi poi martiri dai fautori del movimento. Dopo il 1068, il papato sostiene definitivamente la causa dei patarini; Alessandro II sceglie un altro arcivescovo per la città di Milano. Di fatto, il movimento della pataria ha perso; gli ideali che l’avevano animata si spengono lentamente, poiché si hanno dei problemi diversi da affrontare all’interno dell’istituzione ecclesiastica. Lezioni quinta settimana 08/04/24 La pataria fiorentina Il termine “pataria” può riferirsi solo ad alcune città dell’Italia padana, in cui il termine ricorre nelle fonti, in riferimento alla lotta contro il clero considerato indegno perché concubinario; inoltre, si tratta di un movimento che aveva condizionato le masse cittadine per la prima volta nella storia. La disciplina matrimoniale del clero era molto complessa, poiché i criteri in merito venivano spesso distorti; tuttavia, dal secolo XI si inizia ad affermare la concezione che gli uomini sposati non possano diventare sacerdoti nell’Occidente europeo, mentre nella Chiesa d’Oriente ciò era possibile. Nella realtà fiorentina, nelle fonti, si ha una contestazione del vescovo Pietro Mezzabarba, definita come certament monacorum, ovvero una lotta condotta dai monaci contro il vescovo di Firenze. In una fonte agiografica (anni ’70, secolo XI), si ha un aneddoto di cui era protagonista il padre del vescovo di Firenze: Teuzone Mezzabarba, padre di Pietro, afferma davanti ai vallombrosani di aver pagato per rendere il proprio figlio vescovo; di fatto, era normale che si versasse una somma di denaro all’imperatore, per via della concessione del beneficio ecclesiastico, per cui non si compra l’ordinazione, bensì la possibilità di sfruttare i benefici economici. Si hanno anche la Vita di Arialdo e la Vita di Giovanni Gualberto; quest’ultimo è il fondatore dell’abbazia di Vallombrosa, da cui provengono i monaci che contestano il vescovo Pietro Mezzabarba. Sia i patarini sia i vallombrosani hanno idee molto radicali circa la simonia: secondo costoro, i sacramenti amministrati dai sacerdoti simoniaci non erano validi; senza una ritualità pura, i fedeli sarebbero stati dannati anziché salvati. L’acquisizione della carica vescovile attraverso denaro era un sistema usuale nel secolo XI, mentre i vallombrosani ritengono che non si possa acquisire la carica spirituale con un pagamento. Le fonti agiografiche sono imprescindibile per ricostruire la storia religiosa del secolo XI, anche se è opportuna una cura metodologica, dato che chi compone le agiografie non si cura delle esattezze biografiche, ma anzi vuole trasmettere l’idea che il protagonista sia un Santo (agiografia = storia dei Santi). Si hanno dei criteri, da parte degli autori di agiografie, attraverso cui si vuole fare apparire un uomo come Santo (lettura obliqua delle fonti agiografiche): tali caratteristiche non sempre sono veritiere, ma sono considerate importanti nel sistema valoriale della società religiosa dell’epoca. Nel secolo XI, anche le fonti agiografiche vengono piegate in funzione della propaganda religiosa riformatrice; le agiografie presentano un’intertestualità di genere, per cui si hanno, nelle Vite dei Santi, riferimenti alle Sacre Scritture, oppure miracoli ed azioni ricorrenti, che appartenevano all’immaginario religioso del tempo. Nella Vita di Anselmo da Mantova, l’anonimo autore afferma, in modo eclatante, che il protagonista era stato canonizzato perché egli aveva obbedito al papa, in opposizione agli eretici e agli scismatici; dunque, la virtù per eccellenza in questo periodo storico era l’obbedienza e si ha una torsione fortissima dei presupposti tradizionali della santità. Inoltre, queste agiografie distorte sono necessarie anche per invogliare i fedeli cristiani ad obbedire alle direttive religiose del papa contro l’imperatore, per cui si tratta di un’obbedienza tutta politica; attraverso l’obbedienza, sia nella propaganda imperiale sia in quella pontificia, si ha la ricostruzione delle gerarchie e si stabilisce un nuovo ordine nel mondo. Nella Vita di Giovanni Gualberto, il suo ruolo nella contestazione del vescovo Mezzabarba non viene menzionato: anche se egli era un Santo, nella sua agiografia questa avversione non viene mai menzionata. L’abate di Vallombrosa, appunto Gualberto, venne a conoscenza del fatto che Teuzone Mezzabarba aveva pagato per rendere vescovo il figlio, secondo l’antico sistema valoriale; tuttavia, i vallombrosani iniziano a predicare contro il vescovo, perché considerato simoniaco. Per via dei vallombrosani, i cittadini smettono di farsi amministrare i sacramenti da sacerdoti ordinati dal vescovo Mezzabarba. In realtà, il vescovo di Firenze non fa nulla di diverso rispetto ai suoi predecessori, i quali avevano a loro volta pagato una somma alla corte del re per ottenere la carica; inoltre, Pietro Mezzabarba fonda anche un monastero femminile, per cui egli adempie ai suoi doveri pastorali: a cambiare sono state le idee dei fedeli fiorentini, a causa della predicazione dei vallombrosani, anche su influenza delle opinioni di Umberto di Silva Candida. La causa fiorentina viene portata davanti al papa Alessandro II, intorno al 1067: il pontefice ordina ai vallombrosani di cessare le ostilità nei confronti del vescovo. I monaci vallombrosani sono contestati da parte di Pier Damiani, riformatore a sua volta: egli, infatti, parte da presupposti teologici diversi, per cui i sacramenti, a prescindere da chi li amministra, sono sempre validi; diversamente, il sistema religioso dei sacramenti crollerebbe. Pier Damiani incontra un eremita cittadino, Teuzone, il quale viene considerato un simulatore: dietro questo contrasto, si hanno due visioni diverse della vita eremitica, per cui Teuzone ritiene che sia opportuno predicare in città, mentre Pier Damiani predica l’allontanamento dai centri abitati. Si delinea, pertanto, una frattura tra un monachesimo impegnato nella riforma religiosa ed un monachesimo fondato sulla preghiera e l’ascesi, mentre il compito di rigenerare la Chiesa spetta alle gerarchie ecclesiastiche. In questo scontro confluiscono due interpretazioni teologiche e dottrinarie circa la partecipazione dei monaci nelle nuove istanze riformatrici della Chiesa. A Roma, i monaci di Gualberto si scontrano con Pier Damiani, mentre il papa intima loro di ritornare in monastero. Ildebrando di Soana, invece, difende i vallombrosani e li sostiene nella depurazione di una Chiesa corrotta. I monaci organizzano un’ordalia, ovvero una prova del fuoco (1068): uno dei monaci effettua il passaggio attraverso le fiamme, per dimostrare l’indegnità del vescovo e verificare da che parte stia Dio. Un monaco, Pietro Igneo, passa attraverso le fiamme e ne esce indenne: da questo momento, di fronte a questa prova, il vescovo di Firenze inizia a venire considerato indegno unanimemente. In realtà, Pietro Igneo non passò tra le fiamme, bensì sui carboni ardenti. In quel momento storico, attraverso questo tipo di prova, si ha la dimostrazione che i nemici del vescovo di Firenze sono più numerosi dei suoi sostenitori. L’obiettivo storiografico non è il fatto in sé, bensì la sua interpretazione sociale. Per altri tre mesi, nonostante tutto, Pietro Mezzabarba rimane in carica, poiché egli è ancora sostenuto da Goffredo il Barbuto, marchese di Toscana; dunque, si profila proprio un contrasto tra i vallombrosani e l’autorità politica del luogo, mentre il papato mantiene ancora una posizione ambigua. Alla fine, si ha la deposizione del vescovo Pietro Mezzabarba e con la vittoria momentanea dei vallombrosani; tuttavia, solo dal momento in cui essi smettono di essere rivoluzionari, comincia la loro diffusione fuori dalla Toscana. A differenza del popolo milanese, quello fiorentino è più passivo nella lotta contro la simonia. Durante il secolo XI, dopo che si stabilisce che i preti non debbano essere sposati, si costituiscono le canoniche dei preti, cioè comunità in cui si conduceva una vita comune. La figura del chierico inizia a trasformarsi: dalla vicinanza ai laici, si passa ad una vita comunitaria che ricorda quella dei monaci. 09/04/24 Cencio/Cinzio di Giovanni Tignoso è un personaggio poco noto, che tuttavia riesce a far comprendere le problematiche di un’intera epoca, sintetizzate nella vita di una persona. La famiglia di Cencio è molto importante nell’aristocrazia del secolo XI; il padre gli passa la professione del prefetto urbano di Roma, preposto alla città. Tra le sue competenze, al prefetto spetta il controllo militare della città ed il mantenimento dell’ordine pubblico, poiché si avevano anche schieramenti e bande armate che concorrono per il controllo della città. Per quanto riguarda il potere giudiziario, a Roma si avevano i giudici dativi, che emanavano le condanne; si trattava in massima parte di chierici, ma occorreva che ci fossero anche dei laici, dato che i chierici non potevano comminare condanne a morte; l’incarico di giudice dativo laico viene attribuito proprio al prefetto urbano. La scelta di Cencio per la prefettura si ha poiché il padre di lui si era dimostrato fedele al papato riformatore, mentre il suo concorrente non era amato a causa della ferocia del suo animo; quando non verrà eletto prefetto, il concorrente alla prefettura attenterà al papa Gregorio VII; inoltre, egli aveva appoggiato Cadalo II, sostenuto dalla corte imperiale. Papa Alessandro II, superata la minaccia dell’antipapa, elegge Cencio come prefetto. La sua figura si ha anche nella documentazione notarile del tempo, riguardante fatti privati. La fonte che più ne parla è Bonizone di Sutri, nel Liber ad amicum, che presenta Cencio come protagonista delle vicende dell’epoca, accanto al papa Gregorio VII; di Cencio si hanno notizie anche nelle lettere di Pier Damiani; quest’ultimo afferma di aver sentito il prefetto che predicava, il giorno dell’Epifania: il discorso non fu adatto ad un uomo del secolo, ma anzi assomigliò di più ad una predicazione degna di un papa. Pier Damiani, dopo questo fatto, rimane indignato, dato che un prefetto aveva parlato di argomenti di natura religiosa; dunque, l’officium predicationis è prerogativa propria degli ecclesiastici, mentre i laici possono parlare pubblicamente soltanto di argomenti morali, non di teologia. L’ambiguità della figura di Cencio emerge ancor più nelle lettere successive di Pier Damiani; inoltre, in una biografia di Gregorio VII viene affermato come il prefetto conduca una vita simile a quella monastica; egli non rientrava pienamente nello stato sociale di laico, anzi assumeva prerogative proprie dei religiosi. Per il pensiero politico antico e per quello patristico, il rapporto tra durata e forme di potere viene avvertito come qualcosa di fondamentale; lo stesso concetto si riscontra nelle fonti medievali, nonostante le opere sopra citate non siano state lette. Ci sono delle istituzioni che intendono gli strumenti atti a governare i gruppi umani come avveniva nella classicità e li applicano al sistema vigente nel Medioevo: l’unica istituzione che passa indenne dalla classicità al Medioevo è proprio la Chiesa. Si ha l’idea che un’istituzione possa applicarsi territorialmente ad un certo gruppo umano nell’età romana, mentre nel Medioevo l’autorità si esercita sulle determinate persone, anche sparpagliate rispetto all’organizzazione spaziale; nel mondo romano, l’organizzazione in pievi (circoscrizioni ecclesiastiche di base) prescinde dalla coerenza territoriale. La concreta prassi di governo della popolazione consente ai chierici di trasferire nel loro mondo attuale una concezione proveniente dall’antichità classica, anche se essa non è suffragata da alcun riferimento testuale; il cambiamento delle istituzioni viene considerato un disvalore e, per converso, si ha la valorizzazione della stabilità e della permanenza, anche sulla scorta della cultura biblica. Nell’Alto Medioevo è ben chiaro il rapporto tra il potere politico e la salvezza del popolo. Il re può evitare la caduta del regno e garantire la stabilità mostrandosi docile verso la legge divina e garantendo la giustizia; il re è chiamato a rispondere della salvezza dei suoi sudditi. Fino all’età gregoriana, la stabilità del regno è assicurata dall’obbedienza del re ai vescovi, rappresentanti del potere spirituale; tuttavia, il potere spirituale è comunque giustificato nell’ottica della salvezza. La capacità del re di obbedire alle leggi divine è l’unico modo per mettere al sicuro il regno dall’incertezza del futuro; la gerarchia ecclesiastica costituisce l’ineliminabile elemento di mediazione con Dio. Nel secolo X, nei diplomi regi ed imperiali, si ha sempre un riferimento alla stabilitas regni, garantita dalla benevolenza del re verso le istituzioni ecclesiastiche e monastiche. L’equilibrio delle certezze viene turbato a partire dalla diffusione della pataria milanese, poiché si diffonde l’idea che i vescovi nominati dall’imperatore facciano parte della synagoga diaboli, poiché simoniaci. Inoltre, nel secolo XI comincia ad essere chiaro il problema della coscienza individuale, poiché si inizia ad affermare l’esigenza di decidere per la propria salvezza o per la propria perdizione eterna; non viene meno l’idea dell’obbedienza a Dio, ma si ha la necessità di stabilire se il sacerdote che amministra i sacramenti sia o meno integerrimo; dunque, la responsabilità riguarda l’individuo in rapporto con le istituzioni ecclesiastiche. Rispetto all’età carolingia, si ha il problema che una parte della gerarchia ecclesiastica sia incapace di conferire salvezza ai fedeli. Pier Damiani afferma che un re che non rispetta la legge divina è a buon diritto disprezzabile dai suoi sudditi; dalla disobbedienza, il passo alla deposizione è breve. Nel secolo XI, si assiste alla commistione tra lo scontro quotidiano tra papato e impero e la contrapposizione escatologica tra il bene e il male; nel momento in cui l’imperatore si ribella al papa, egli si allontana da Cristo, insieme a tutti i suoi seguaci. la stabilitas regni non è più un valore, in quanto non è detto che chi regge il regno sia in grazia di Dio; dunque, oltre alla stabilità politica, si ha la questione della salvezza stessa dell’umanità, in base alle scelte dell’imperatore. Nelle fonti imperiali, si reagisce mostrando consapevolezza del cambiamento in atto; i presupposti teorici che garantivano al regno l’inserimento acritico ed aproblematico sono venuti meno. La desacralizzazione del potere regio viene approfondita nella Lettera a Ermanno, vescovo di Metz (pag. 156), dopo la seconda scomunica di Enrico IV; il papa detiene la potestas legandi et solvendi e, pertanto, l’imperatore è a lui soggetto; inoltre, si afferma che il potere politico ha un’origine diabolica, in opposizione rispetto ai secoli precedenti, per cui non è più possibile mescolare il regnum e il sacerdotium; il papa assorbe tutte le istanze di universalità che sono proprie del potere imperiale. Nelle fonti duecentesche, si arriverà ad affermare che, paradossalmente, l’unico vero imperatore è il papa. Negli scritti dei polemisti di parte imperiale, si ha una declinazione opposta del concetto di antico e moderno rispetto ai polemisti di parte gregoriana. In Benzone di Alba (fonte imperiale), si ha un’insistenza sulla continuità tra impero romano e impero cristiana; la modernità viene percepita come negativa, mentre si predilige la tradizione, poiché il passato viene percepito come legittimante. Nelle fonti gregoriane, invece, si ha un’esaltazione della modernità, poiché si ha una verità eterna che prescinde dalla tradizione antica; la consuetudine può anche essere malvagia. In Bonizone di Sutri (fonte gregoriana), la storia della Chiesa è separata dall’impero, il quale viene percepito come un corpo estraneo. L’unico potere legittimo secondo Gregorio VII, all’interno della storia delle istituzioni, è quello del papa; il vicarius Christi non è più l’imperatore, ma il pontefice. Si ha un’unità inscindibile tra potere politico e peccato; pertanto, gli imperatori possono salvarsi soltanto sottomettendosi alla Chiesa e facendosi garanti della sua libertas. Gregorio VII rompe l’equilibrio tra il potere politico e l’identità cristiana, che per secoli aveva retto la società medievale; il papa detiene il monopolio del sacro e la sua aspirazione è porsi al centro della relazione tra l’uomo e Dio, in maniera esclusiva. Il contesto conflittuale rende molto difficile ai fedeli comprendere quale sia la parte giusta, a cui si debba ubbidire. Nel secolo XI, il concetto stesso di profanazione viene ridefinito, poiché si ridisegna il sistema dei simboli, che dipende dall’ordinamento sociale. Nella ritualità cristiana, gli oggetti liturgici divengono res sacrae, poiché hanno a che fare con l’Eucarestia; quello che non rientra nell’Eucarestia, ma che detiene un valore sacrale, rientra tra le res sanctae. Nel Decretum Gratiani, testo fondamentale del diritto canonico dopo il 1140, sistemazione del diritto dopo la lotta per le investiture, viene definito sacrilego chi toglie il sacro da qualcosa di sacro. Nel secolo XI, si inizia ad affermare l’idea che i beni ecclesiastici sottratti portino direttamente alla dannazione del colpevole; questa categoria di sacrilegio si estende anche al patrimonio ecclesiastico, a differenza dei secoli altomedievali. Si punta ad ampliare lo spazio di realtà su cui la Chiesa ha un controllo legittimo, con un’inevitabile estromissione dei poteri laici rispetto alla gestione del patrimonio ecclesiastico; pertanto, la riforma del secolo XI ha tra i suoi effetti la clericalizzazione della ricchezza. Lezioni settima settimana 29/04/24 Antipapi Il primo antipapa era stato il vescovo di Parma, eletto dopo la morte di Niccolò II, con il nome di Onorio II dalla corte imperiale; nel giro di pochi anni, però, prevale Alessandro II, eletto dal gruppo dei riformatori ecclesiastici. Nessuno dei due eletti al soglio pontificio credeva di essere l’antipapa. Nella tarda antichità, si hanno antipapi definiti tali per ragioni legate all’ortodossia; nei secoli IX-X, gli antipapi sono tali per ragioni politiche; nel secolo XI, gli antipapi sono coloro che sono eletti dalla fazione imperiale, in opposizione ai candidati della parte dei religiosi riformisti, all’interno del conflitto accesosi durante la lotta per le investiture. Si ha, nel secolo XI, una modifica nell’idea di papato e del legame che questa carica debba detenere con l’impero; i papi legittimi sono i rivoluzionari, mentre i tradizionali antipapi sono i conservatori, coloro che vogliono ancorare la sede apostolica all’impero. Si hanno posizioni diverse dal punto di vista ecclesiologico, ovvero di come deve essere articolata la Chiesa e quale ruolo debba detenere il papa; per i riformatori, il papa è il diretto vicarius Christi, mentre per i sostenitori dell’imperatore la Chiesa si impernia sul potere politico. Il riconoscimento della legittimità di un pontefice avviene a posteriori, in base alla tradizione ecclesiastica, e riguarda anche l’aspetto politico poiché svolta all’interno della curia romana, successivamente alla contrapposizione avvenuta tra i due contendenti. La differenza tra gli scismi dell’antichità e quelli del secolo XI risiede nel fatto che i primi toccano aspetti dottrinali, ma non coinvolgono il sistema ecclesiastico e i poteri che il pontefice deve detenere, come invece accade nei secondi; non si ha né dialogo né confronto possibile tra i due schieramenti opposti, al più si hanno tentativi di mediazione da parte della corte imperiale, così come avviene nel 1064, per scegliere tra Onorio II e Alessandro II; tuttavia, i riformatori si rifiutano di riconoscere l’avversario, per non conferirgli legittimità. Nel 1130, pochi anni dopo il Concordato di Worms, si ha un altro scisma, completamente diverso rispetto a quelli del secolo precedente, poiché i due candidati sono espressione di due partiti all’interno del collegio cardinalizio; tra Innocenzo II ed Anacleto II non si hanno differenze dottrinali, entrambi vogliono conferire al papato un ruolo centrale. Anacleto II, definito antipapa a posteriori, ha in realtà un seguito maggiore del papa legittimato dalla tradizione. Il contesto è mutato, poiché non si ha più lo scontro tra due visioni e il papato è ormai emancipato rispetto all’istituzione imperiale e si ha un clima pacificato dopo il gregorianesimo. Osservando gli appoggi di cui Gregorio VII gode in territorio italico, si constata che Clemente III, arcivescovo di Ravenna, è considerato il papa legittimo nel secolo XI; Clemente III è uno dei più importanti rappresentati della Chiesa imperiale in Italia, per cui l’imperatore Enrico III lo sceglie come papa. Clemente III è eletto dalla corte imperiale, secondo l’antica procedura decretata nel 1059, mentre Gregorio VII è eletto con una procedura irregolare, dato che viene eletto per acclamazione. A papa Alessandro II manca l’approvazione della corte imperiale, mentre Gregorio VII diviene papa senza neppure un’elezione. La propaganda imperiale, pertanto, dichiara deposto Gregorio VII, fino a quando, nel 1080, l’impero nomina il proprio papa. Gregorio VII non viene sostenuto dai vescovi, poiché il papa ridimensiona il loro potere e le loro prerogative ecclesiologiche; anticamente, il papa aveva un primato simbolico tra i vescovi, ma questi ultimi erano la colonna portante della Chiesa ed erano espressione del sistema religioso imperiale. I gregoriani, pertanto, sono percepiti come gli eversori del sistema antico, per la loro volontà di porre il papato al centro della cristianità. Nel 1080, si ha il Sinodo di Bressanone; questa città, nel Medioevo, era l’importante passaggio per l’imperatore tra Germania e Italia; l’arcivescovo di Bressanone, pertanto, controlla un enorme patrimonio e anche le milizie imperiali per la discesa in Italia. Un’altra città molto importante per la Chiesa imperiale è Luni, dotata di una diocesi molto grande; il vescovo aveva il compito di controllare questa zona, poiché si tratta dell’unico passo che unisce la pianura padana alla costa forte influenza delle famiglie romane; invece, Pasquale II riesce a stabilire un rapporto diverso con l’aristocrazia locale. Riguardo alla questione della simonia, la situazione cambia con Urbano II: essendo il papa la fonte del diritto, qualsiasi legge da lui emanata è valida, anche se in contrasto con la preesistente legge ecclesiastica; pertanto, questo pontefice si spinge oltre le posizioni di Gregorio VII, ordinando il clero in modo regolare. Urbano II è il grande normalizzatore della “rivoluzione” religiosa; egli proviene dal Cluny, una “Chiesa nella Chiesa”, dove apprende la gestione del potere. L’abbazia di Cluny si definisce Ecclesia Cluniacensi: ha abbazie alle sue dipendenze in tutta Europa, e ha centinaia di monaci in preghiera. Urbano II porta la saggezza dell’istituzione monastica alla sede pontificia e ciò gli consente di cambiare la riforma e i rapporti con i suoi protagonisti. I punti saldi del pontificato di Urbano II sono: 1. Un’ecclesiologia episcopalista, per cui egli costruisce una rete di vescovi che, all’interno delle diocesi, controllano gli enti religiosi (compresi i monaci), eliminando il fenomeno delle chiese private. 2. I monaci possono partecipare al disegno di riforma, ma sotto il controllo della sede apostolica. Urbano II scrive una lettera ai vallombrosani, imponendo loro di rimanere nei monasteri, senza ingerenze nelle vicende religiose cittadine. Da questo momento, inizia l’espansione vallombrosana al di fuori della Toscana. Urbano II sottopone i monaci al suo controllo, depotenziandone l’eversività, ed essi divengono un avamposto della sede apostolica in zone di forte influenza imperiale, per esempio a Piacenza e, in generale, in Lombardia. 3. Si ha il rilancio della vita comunitaria del clero, per cui il papa favorisce la fondazione di canoniche regolari, ovvero case in cui i preti vivono vita comune; l’intento è quello di non permettere ai religiosi di avere famiglie proprie, sconfiggendo così il nicolaismo. I preti, che prima somigliavano a laici, iniziano a somigliare a monaci; essi non sono più interni alla comunità, ma sovraordinati alla comunità, sotto un ideale di castità che Urbano II deriva dalla sua formazione a Cluny. Nel XII secolo, questo sarà il modello del religioso per eccellenza, e anche i papi del XII secolo proverranno molto frequentemente da canoniche regolari. Il ritorno all’ordine per Urbano II passava da una ristrutturazione del sistema ecclesiastico, e da una revisione del ruolo del papa all’interno di questa rinnovata struttura: l’unico valore riconosciuto diventa la giusta misura. Laddove Gregorio VII drammatizza la lotta, Urbano II cerca di spegnere la conflittualità e cerca compromessi per ottenere l’appoggio di quanti più vescovi possibile. L’obiettivo ricercato da Urbano II è il medesimo di Gregorio VII, ma cambiano profondamente gli strumenti e i toni usati, poiché si tratta di una nuova generazione di riformatori: non è un caso che il pontificato di Urbano II duri a lungo. Nonostante la continuazione della conflittualità, Urbano II si allea a Matilde di Canossa, in modo da garantire una copertura militare al papato. Al concilio di Clairemont del 1096, Urbano II esorta i cavalieri presenti, invitandoli ad andare in aiuto dell’imperatore bizantino, oggetto dell’assalto turco: da questo momento, si diffonde l’ideale della Crociata. Gregorio VII, ma già Alessandro II, avevano già riconosciuto il ruolo dei milites Christi, ma non erano arrivati ad incitare una spedizione armata. Sotto il pontificato di Urbano II si realizza la conquista di Gerusalemme (1099). Il papa è fonte del diritto, e la necessità che lo spinge a decidere lo autorizza a un tale livello di discrezionalità; il "moderato” Urbano II si concentra sulla discrezionalità del papa nel confrontarsi con la legge ecclesiastica. Contemporaneamente, Urbano II trasferisce la lotta per le investiture in Francia e in Inghilterra, mentre fino a quel momento era stata un fenomeno soltanto italiano e tedesco. Questo accade attraverso l’istituzione dei legati, già esistente, che viene rafforzata in quegli anni: si tratta di ambasciatori, solitamente cardinali, che il papa manda come plenipotenziari/diplomatici. La sede apostolica, attraverso questo strumento, si proietta verso le periferie della cristianità. Enrico IV organizza una spedizione militare (1091) per sconfiggere Matilde di Canossa, che aveva dato copertura politica e militare a Urbano II. L’impresa riesce, e Clemente III torna vittorioso a Roma, mentre Urbano II è costretto a rifugiarsi nel Mezzogiorno, alla corte normanna. I normanni sono protagonisti intermittenti della storia della riforma, ma costituiscono un apporto non trascurabile. Nella battaglia di Civitate (1053), Leone IX, portatore di un’ideologia imperiale, prova a sconfiggerli, ma esce perdente dallo scontro; da quel momento, il papato deve accordarsi con i normanni. In parallelo alla loro avanzata, il papato inizia a stilare dei trattati con i nuovi padroni del Mezzogiorno. Nel 1085 Roberto il Guiscardo mette in salvo Gregorio VII; Urbano II celebra un concilio riformatore a Melfi (1059). Di fatto, i normanni costituiscono un contrappeso all’autorità imperiale. Con Pasquale II, anche dal punto di vista militare il controllo pontificio di Roma sarà continuativo; si arriverà alla fine della lotta tra papato e impero con il Concordato di Worms (1122). Urbano II è il pontefice che traghetta la riforma dalla fase oppositiva di Gregorio VII alla fase di compromesso di Pasquale II. Lezioni ottava settimana 06/05/24 Fonte – Urbano II di Vallombrosa Si hanno raccolte frammentarie, il più delle volte ottocentesche, riguardo ai documenti pontifici manoscritti, poiché si ha una dispersione territoriale notevolissima. Migne, per pubblicare questi documenti, fa affidamento su edizioni molto antiche, per cui la sua pubblicazione non è oggigiorno accettabile dal punto di vista ecdotico. Nell’Ottocento, si ha un Bullarium, che tenta di reperire le edizioni allora disponibili, per metterle a disposizione del pubblico; tuttavia, si rischia di leggere testi poco affidabili. La fonte parla del contributo di Urbano II alla costituzione di una vera e propria congregazione intorno al monastero di Vallombrosa, fondato nella prima metà del secolo XI, che negli anni ’60 dello stesso secolo divenne il centro propulsore di riforma contro la simonia in area toscana. Urbano II ha un approccio più pragmatico alla riforma religiosa, rispetto a Gregorio VII. Questo pragmatismo riguarda il fatto che Urbano II ridimensiona il ruolo dei monaci nella lotta per la riforma. Nella Vita Sancti Iohanni Gualberti, di Andrea di Strumi, la riforma è vista come un certamen monacorum, cioè una lotta gestita dai monaci; invece, per Urbano II, i vescovi devono ritornare ad essere i protagonisti della riforma. A proposito dei vallombrosani, unico movimento monastico del secolo XI intervenuto nella lotta riformista contro il nicolaismo e la simonia, si ha l’ostilità del papato, già dai tempi di Alessandro II; si ha un tentativo di riportare la riforma nell’alveo della riforma ecclesiastica, affidando al papato il compito di gestire la situazione. Urbano II cerca di far rientrare i vallombrosani in monastero, secondo la regola della stabilitas loci, senza che i monaci intervengano nelle città. Urbano II cerca consenso all’interno del movimento di Giovanni Gualberto e lo trova nella persona di Bernardo degli Uberti, vescovo di Parma (cfr. dizionario biografico degli italiani); Urbano II lo rende vescovo di quel territorio conteso tra riformatori e imperatore e, contemporaneamente, lo fa abate della congregazione di Vallombrosa. Nella loro fase iniziale, i vallombrosani erano un congregato di comunità, con legami abbastanza deboli tra loro, anche se si riconoscono nel movimento di Giovanni Gualberto; tuttavia, vi sono dei conflitti che non riescono a compattare la congregazione intorno ad un abate, ancora agli inizi del secolo XII. Questi conflitti non sembrano essere presenti nella fonte in questione, in cui sembra che ci sia un unico capo dell’ordine monastico, alle cui decisioni tutti si adattano senza discussione. Dal punto di vista dell’esegesi delle fonti, si evince che i documenti emanati dalle autorità universali potevano avere un valore proiettivo e progettuale, e non puramente costitutivo; capitava che i monaci si facessero riconoscere il possesso di un territorio, anche se ancora non lo possedevano, perché ambivano a controllarlo. Per emanare tale documento, l’imperatore si consultava con i monaci ed eventualmente aggiungeva delle ulteriori proprietà, per legittimare un progetto che non necessariamente è già avvenuto. Il documento in questione è un privilegium, termine che in diplomatica indica i documenti solenni, emanati dai papi; invece, quelli emanati dall’imperatore sono detti diplomi. Questo documento è realizzato in forme solenni, con il massimo della formalizzazione: la prima linea presenta litterae longatae, la rota, il bene valete (formula di saluto rituale) e la sottoscrizione del papa. Nel privilegium, era possibile trattare di più argomenti. In questo documento, Urbano II tenta di allineare i vallombrosani agli ordini dell’abate generale; si ha una componente di riconoscimento della congregazione in quel momento, ma si ha anche la componente progettuale. Si tratta di uno dei primi esempi in cui il papato tenti di orientare un’istituzione ecclesiastica nella vita religiosa. Il papa si definisce univocamente come “vescovo” di Roma; l’intitulatio indica il nome e il titolo di colui che produce il documento, mentre successivamente si ha l’inscriptio, ovvero coloro a cui è destinata l’azione giuridica del documento. Il papa si pone all’inizio del documento, poiché l’istituzione pontificia è la più importante; invece, nei documenti degli ordini mendicanti, ad essere posti all’inizio sono sempre i destinatari, in segno di umiltà. Si ha la mentalità che la redazione del documento debba riflettere la gerarchia esistente; per gli storici, questo ordine è garanzia dell’autenticità del documento. La parte superiore del documento è il protocollo; alla fine del testo, si ha l’escatocollo; il testo propriamente detto ha inizio con un esordio/arenga/prologo, in cui si enuncia un principio che anticipa il testo del documento e si definisce l’orizzonte problematico in modo generale; in questo caso, si afferma che è opportuno agire a favore di chi è vicino alla Chiesa romana. Successivamente, si ha l’esenzione, in cui si afferma che il monastero di Vallombrosa sarà sottoposto alla diretta autorità del papa, il quale è le città hanno cronologie, istituzioni e modalità di gestione concreta peculiari e profondamente diversi. In realtà, si ha un certo livello di relazione tra nascita dei comuni e lotta per le investiture; i comuni vivono una fase di forte sviluppo e di radicamento della propria coscienza. Keller studia il rapporto tra la pataria milanese e l’evoluzione del comune di Milano: egli ritiene che nelle interazioni pubbliche si possano riconoscere manifestazioni rudimentali del comportamento comunale; le riunioni e le conciones, i discorsi pubblici tenuti dai patarini inizino a riflettere modi di pensare tipicamente comunali; soprattutto, Keller ritiene che questa trasformazione in senso comunale sia inserita nello specifico momento religioso della lotta per le investiture. Secondo Lucioni, si sarebbe avuta una “seconda pataria”, poiché non esiste più come movimento organizzato di riforma, dato che nell’età di Urbano II viene a mancare l’appoggio dell’istituzione pontifica riformatrice. L’accordo tra un membro della Chiesa milanese ed il vescovo di Cremona si inserisce all’interno del tentativo di stemperare le tensioni tra le città lombarde; le città, spinte da Matilde di Canossa, siglano un accordo contro Enrico IV. In questo clima, segnato dal tentativo di compattare attorno al fronte papale le città italiane, si ha Arialdo di Melegnano: si ha un tentativo di ricucitura religiosa tra impero e papato, con un’accentuazione dell’autonomia cittadina. Anselmo IV promuove la festa di commemorazione della conquista del Santo Sepolcro: si ha la riedificazione della Chiesa di Gerusalemme, per fare in modo che si ritrovi l’unità cittadina. La riforma è vista come un elemento strutturale nella nascita dell’autonomia cittadina, per cui la dimensione universale della crociata diviene il mezzo di ricomposizione sociale dei centri comunali. Anselmo IV guiderà la sciagurata crociata dei lombardi. Lezioni nona settimana 14/05/24 Concordato di Worms (1122) Si tratta di un documento che sintetizza un nuovo equilibrio tra papato ed impero, che però non tiene conto della globalità dei temi che sono stati trattati nei precedenti settant’anni. L’imperatore Enrico V rinuncia a controllare le investiture; inoltre, restituisce i regalia alla Chiesa romana. Callisto II dichiara che le elezioni dei vescovi devono avvenire senza simonia e senza forme di costrizione; si tratta dell’unico riferimento a questo tema, che aveva agitato le parti nel secolo XI. Nella versione imperiale, si ha un cedimento, mentre il papa specifica la salvaguardia di alcune prerogative dell’imperatore; Gregorio VII non avrebbe mai ceduto all’imperatore. Il Concordato di Worms è il risultato di una via d’uscita dalla lotta tra le parti; questo porta ad un ventennio di tentativi di trovare una soluzione, combattendo la resistenza di coloro che appartenevano alla generazione gregoriana. Papato ed impero concludono un accordo, ciascuno cedendo rispetto alle posizioni di partenza. Il trascorrere delle generazioni affievolisce il conflitto che era stato sentito nell’epoca di Gregorio VII. Si ha un compromesso, che differenzia la situazione del regno teutonico rispetto al resto della Chiesa. Già con Urbano II, si ha l’estensione della problematica ad aree che fino a quel momento non ne erano state toccate (Inghilterra, penisola iberica, Francia), dove si stavano affermando le monarchie europee, che si ponevano il problema su basi nuove. Ognuno di questi regni si sente dotato di una legittimità trascendente del tutto simile all’impero, nonostante il processo di desacralizzazione che aveva colpito l’istituzione imperiale e il suo potere politico. La rivoluzione gregoriana ha molti limiti e dà origine a processi diversi, a seconda delle zone in cui si applica. Riguardo all’impero, il risultato più evidente è la legittimazione del potere imperiale attraverso il diritto romano, mentre gli imperatori del secolo XI facevano ancora riferimento alla tradizione orientale, per cui l’imperatore era sacro e aveva prerogative prevalentemente religiose. Quando Federico Barbarossa scende in Italia, nella Dieta di Roncaglia, vengono evocati i diritti spettanti all’imperatore, come erede dell’istituzione romana. L’impero inizia ad avere funzionamenti e processi di legittimazione che dipendono dal diritto romano. In Francia ed in Inghilterra, il processo di rivoluzione e trasformazione religiosa avviene nel secolo XII; si hanno dibattiti simili a quelli avvenuti in Germania nel secolo passato. La trasformazione si osserva nei funzionamenti ordinari delle istituzioni e consiste nella progressiva esclusione dei laici dalla gestione della ricchezza ecclesiastica. Fino al secolo XI, la gestione della Chiesa era stata ampiamente riservata alle elites laiche aristocratiche; qui, si assiste un fenomeno di distacco e di autonomizzazione rispetto agli equilibri territoriali locali. Il tutto è complicato dal diritto, rivendicato dai papi, di controllare i detentori del potere politico. Si ha il consolidamento del primato petrino, che non è più meramente simbolico. La sede apostolica esce molto rafforzata da questo lungo processo di trasformazione, che consiste soprattutto nella raggiunta consapevolezza di essere un potere indipendente, che non è subordinato a nessuna autorità politica secolare. L’imperatore e i sovrani cercheranno sempre di controllare le istituzioni ecclesiastiche dei loro regni, ma la sede apostolica si sente legittimata ad intervenire nelle controversie religiose universali. Il papa costituisce un potere autonomo, non è più espressione delle famiglie aristocratiche romane. Si tenterà di ridurre gli imperatori a servitori del papa; il ruolo dell’imperatore verrà letto in tale ottica anche attraverso le opere pittoriche e architettoniche. Il passato romano e cristiano dell’Urbe viene usato come fonte di legittimazione del potere pontificio; il papa è visto come l’unico vero imperatore, poiché egli comanda su Roma. Il processo della centralizzazione pontificia non è lineare; a Milano, si ha il rito ambrosiano, diverso da quello celebrato dal vescovo di Roma. Il tentativo di imporre una liturgia unica in tutte le diocesi incontra numerose resistenze, poiché si aveva una forte differenziazione liturgica a livello territoriale. Nelle città, un altro ostacolo è la creazione di poteri comunali autonomi sempre più definiti, con la dissoluzione dell’ordinamento regio. I comuni cercano di allargare la loro influenza sulle istituzioni ecclesiastiche, ridefinendo gli equilibri politici e patrimoniali; i rapporti con le chiese locali sono complicate dai necessari finanziamenti forniti alle città. Per affermarsi giuridicamente, le autonomie cittadine utilizzano le chiese come riserve patrimoniali. Si passa al concetto di scontro per la libertas ecclesiastica, con la rivendicazione del possesso di proprietà e benefici, mentre nel secolo XI il problema era l’emancipazione della Chiesa dall’autorità imperiale. Si hanno lotte che assomigliano solo lontanamente a quelle dell’età gregoriana; si tratta di problematiche concrete, per il controllo dei benefici. Nel contesto del secolo XII, caratterizzato da una crescente affermazione delle autonomie cittadine, riesce difficile accettare un vescovo estraneo; pertanto, i vescovi diventano espressione della società cittadina. Si ha un tentativo da parte del papa di influire sulle situazioni locali, ma si ha una resistenza altrettanto tenace da parte delle istituzioni civili, per il controllo dei beni ecclesiastici. Nelle istituzioni cittadine, si ha un certo livello di compenetrazione tra politica e istituzioni ecclesiastiche, anche se queste ultime tendono a porsi in posizione superiore rispetto alla comunità. Nella questione matrimoniale, si assiste ad un allineamento abbastanza rapido ai dettami della riforma ecclesiastica; è sempre più difficile che si verifichino le condizioni della simonia, poiché si trattava della vendita di episcopati per il finanziamento dell’istituzione imperiale. L’impossibilità di scindere la funzione spirituale e la gestione patrimoniale favorisce il processo di espunzione dai laici dagli affari ecclesiastici; le chiese locale sono sempre più subordinate alla funzione del vescovo. I laici, in quanto cristiani, possono prendere parte alla militia Christi, non più al servizio dell’imperatore, ma del papa. Si ha una diversa concezione, per quanto riguarda i laici, del modo di intendere la partecipazione al cristianesimo.
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