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La fine della Repubblica Romana: Giulio Cesare e i suoi oppositori, Appunti di Storia Romana

BiografiaStoria romanaStoria antica greca e romana

Una analisi dettagliata delle esperienze di Giulio Cesare, Pompeo, Clodio, Marco Antonio e altri personaggi importanti alla fine della Repubblica Romana. Le fonti principali sono i Commentarii di Giulio Cesare e le Vite Parallele di Plutarco. la differenza nel modo in cui Giulio Cesare e Augusto hanno trattato gli oppositori, l'analisi di Plutarco su Cesare e la relazione tra Cleopatra e Giulio Cesare. Inoltre, vengono discusse le differenze tra le biografie di Cesare e Bruto e la sequenza cronologica dei personaggi.

Cosa imparerai

  • Come Giulio Cesare e Augusto hanno trattato gli oppositori?
  • Quali fonti sono state utilizzate per la ricerca del documento?
  • In quali ordine cronologico i personaggi sono stati presentati nel documento?
  • Che personaggi si riferisce il documento alla fine della Repubblica Romana?
  • Che relazione aveva Cleopatra con Giulio Cesare?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 10/09/2022

francywolfie
francywolfie 🇮🇹

4.4

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Scarica La fine della Repubblica Romana: Giulio Cesare e i suoi oppositori e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! 1 STORIA ROMANA B Lezione 1: 21/04/2022 Cesare: commentarii, historiae, vitae (openedition.org) Alessandro Magno segna un prima e un dopo nella storia antica. Cesare era tormentato dal confronto con Alessandro Magno. Le fonti antiche riportano due tipi di narrazione di questo confronto: davanti a un testo o davanti a una statua tra i 30 e 40 anni di Giulio Cesare in Spagna. Giulio Cesare si pone il problema di come può lui confrontarsi con Alessandro Magno che alla sua età aveva già fatto tutto. Cesare si sentiva perdente già in partenza. Questo è un aneddoto. Plutarco nelle Vite parallele mette a confronto un grande personaggio della storia greca, uno della storia romana e alla fine fa una comparazione. Nel caso di Alessandro Magno e Giulio Cesare la comparazione non c’è ma non sappiamo se non è stata proprio fatta o se non ci è arrivata. Plutarco scriveva alla fine del I secolo d.C. in greco, quando l’impero di Roma aveva conquistato il grande spazio Mediterraneo, il Mediterraneo maggiore secondo Fernand Braudel, uno dei grandi storici del ‘900 del mondo moderno e non tanto dell’antichità e in qualche modo del futuro. In un’opera degli anni ’60 intitolata Il mondo attuale Braudel ha cercato di interpretare la contemporaneità e prefigurarsi gli sviluppi futuri. Nella visione di Braudel ci sono due aspetti interessanti: la distinzione tra Mediterraneo minore e maggiore e poi la visione del processo storico articolato su tre velocità legate all’immagine del mare. Mette a confronto la successione degli avvenimenti (la storia evenemenziale) per cui una cosa succede un certo giorno, un’altra un altro, …. Questa successione dei fatti per lui non è tanto importante, sono come le increspature sulla superficie del mare. Per lui è più importante la storia delle correnti ideologiche, degli orientamenti politici, delle economie, … che è una storia che assimila alle correnti marine, sono più profonde e durature. Hanno dei tempi e degli indirizzi che richiedono uno studio accurato. Ancora più importante è la storia dei fondali marini, quello che resta permanente attraverso secoli o millenni. Questo è messo in rapporto con i grandi cambiamenti sociali profondi e antropologici profondi. È la storia della lunga durata (della storia). La superficie con l’onda, la storia delle correnti e la storia profonda. Questa è una delle infinite teorie del processo storico. Braudel ha distinto il Mediterraneo minore da quello maggiore: quello minore è il Mediterraneo fisico del mare, delle coste, dei confini mentre quello maggiore è un concetto storico e culturale, è la parte del mondo che nel tempo antico è stata influenzata e ha influenzato, ha coinvolto lo spazio fisico del Mediterraneo anche se non affacciava sul Mediterraneo (ad esempio il Cristianesimo nasce in ambito Mediterraneo ma nel corso del tempo arriva fino ad esempio all’Irlanda che non è sul Mediterraneo. Il Portogallo attuale non affaccia sul Mediterraneo ma la sua lingua è neolatina). Alessandro Magno è considerato un formidabile esportatore del Mediterraneo: è arrivato fino all’Indo esportando la sua tradizione mediterranea che si è incontrata con le tradizioni locali indiane, buddiste, …. Per questo Plutarco autore greco è così importante per capire un personaggio come Cesare. Plutarco ha sviluppato un progetto grandioso che l’occidente moderno ha recepito grazie alla fortuna delle sue Vite Parallele basate sul confronto, ogni vita è in rapporto con la sua parallela ma anche con il resto delle altre vite che vanno tutte poi confrontate con l’altra opera, quella morale (Moralia). Queste non sono che una parte della sua grande attività perché ci sono anche i Moralia, una successione di trattati più o meno ampi di carattere variamente religioso, filosofico, geografico, …. Plutarco crea un laboratorio di rimandi. Il confronto è un fenomeno importante per la cultura classica antica che forse derivava dalla cultura greca. Plutarco è il campione del mettere a confronto le esperienze per capire cosa è caratterizzante, particolarmente importante, …. Lezione 2: 26/04/2022 LE FONTI LETTERARIE Punto di snodo è Ottaviano Augusto e la sua istituzione del principato (27 a.C.). L’esperienza di Giulio Cesare con quella di Pompeo, Clodio, Marco Antonio va inscritta nella fine della repubblica romana. Non c’è dubbio che sia una visione legittima e accettabile. 2 In una prospettiva diversa e altamente culturale bisogna tenere presente che l’esperienza cesariana è stata vista da altri non come la fine del vecchio ma l’inizio del nuovo. Svetonio scrisse Vite dei dodici Cesari, gli imperatori che per Svetonio cominciano con Cesare. L’inizio per Svetonio è Cesare che non è la fine del vecchio ma l’inizio del nuovo. Personaggio storico come l’imperatore romano assiso sul trono di Costantinopoli nuova Roma quando l’impero romano d’occidente era caduto (l’impero bizantino), Giustiniano, nel suo Corpus Iuris Civilis disse che Cesare gli era carissimo e fu lui a dar via alla monarchia. L’iniziatore della forma di governo dell’impero romano che aveva avuto in Giustiniano un momento importante nel VI secolo d.C. vedeva in Cesare l’inizio dell’impero. Nella Divina Commedia Giustiniano ha una grande importanza, perché nel VI canto del Paradiso Giustiniano parla di sé, dell’impero, … e si definisce Cesare fui e sono Giustiniano. La mia identità fisica. Abbiamo fonti descrittive e fonti più interpretative. Il periodo della vita di Giulio Cesare è uno dei periodi per i quali abbiamo la maggior diponibilità di fonti letterarie. Queste fonti non sono tutte coeve, alcune sono posteriori ma tutte importanti. Non sono tutte scritte in latino ma anche in greco come nell’opera di Plutarco. La fonte più importante sono i Commentarii scritti dallo stesso Giulio Cesare. Sono dei commentari molto belli, contengono tantissime informazioni e quindi utili per la rappresentazione dei fatti. Essendo fonti letterariamente e politicamente importanti sono soggette al campo della critica e dell’interpretazione, bisogna chiedersi fino a che punto siano opere tendenziose. La fonte latina coeva più importante per il periodo di Giulio Cesare (dall’epoca della congiura di Catilina 63 a.C. quando è pontefice massimo alla sua morte) è Cicerone sia con le sue Orazioni che potevano essere puramente funzionali, di carattere politico, … con i suoi Trattati e soprattutto con le sue lettere (Epistolario enorme) che ci consentono di rappresentarci gli avvenimenti quasi giorno per giorno. Altro elemento importante latino intorno a Cesare è l’opera dello storiografo Sallustio che è vicino a Cesare dal punto di vista politico perché appartiene all’orientamento delle élite politiche romane che noi chiamiamo populares. A Sallustio dobbiamo i resoconti delle guerre civili, guerra Giugurtina, congiura di Catilina che avevano trasformato il panorama politico, sociale e il tessuto urbano della città, consentendo arricchimenti sproporzionati (come quello di Crasso il quale speculava sull’edilizia). A lui dobbiamo anche le Historiae, un’opera di ambito e intento maggiori rispetto alle due monografie. A lui fanno riferimento delle lettere chiamate Lettere a Cesare anziano sullo stato. Nel corpus della letteratura latina giunte a noi questi sono i due punti più importanti: l’opera di Cicerone e l’opera di Sallustio. Il periodo cesariano sarà stato trattato anche da Tito Livio di cui abbiamo dei cenni sintetici in merito in quella sorta di riassunti dei suoi libri che consociamo con il nome di Periochae (resa latina del termine greco periochai che vuol dire riassunto, contenuto). Tito Livio però non era molto favorevole a Cesare perché sappiamo che Augusto lo definiva un po’ pompeiano (scherzando). Altra fonte latina molto importante è Asinio Pollione con le sue Storiae che fu al fianco di Cesare anche durante lo scontro finale contro Pompeo nel 49 a.C. Lo potremmo definire un cesariano molto indipendente nel suo giudizio, legatissimo a Cesare ma non appiattito dal culto dell’imperatore. Queste storie influenzarono molto la storiografia successiva e in particolare degli storiografi greci. Oltre che autore fu anche grande personaggio della vita culturale romana, mise a disposizione una biblioteca privata, scrisse opere teatrali, fu in corrispondenza con Virgilio e Orazio, i maggiori poeti del momento. Orazio lo menziona nella prima ode del secondo libro delle Odi, ode di carattere storico politico. Virgilio invece gli dedica la quarta egloga delle Bucoliche dove la nascita del fanciullo è vista come la nascita del nuovo ordine mondiale, un nuovo assetto dei tempi e del mondo (nel Medioevo venne intrepretata come la nascita di Gesù). Per quanto riguarda il periodo dal 63 al 44 a.C. se togliamo le lettere di Cicerone troviamo una sorta di vuoto, una reticenza delle fonti che ci sono arrivate. Voce autorevole di cent’anni più giovane è Lucano, autore del periodo neroniano, autore della Pharsalia dedicato allo scontro tra Cesare e Pompeo. Quest’opera vede Cesare come personaggio negativo e Pompeo positivo, vede Cesare come fondatore del principato in termini negativi. Lucano scrive un’antica epica utilizzando i mezzi dell’epica. Faceva parte della famiglia di Seneca ed entrambi morirono suicidi per volere di Nerone. 5 Cicerone nel Brutus scrive che i Commentarii sono nudi, scarni, spogliati di qualsiasi ornamento oratorio come un corpo dalla sua veste; ma mentre lui volle offrire agli altri materiali per costruirci un’intera narrazione fece una cosa grata agli sciocchi che vogliono abbellire le pagine distogliendo i sani di mente da riscrivere, da imbellettare quella storia. Da un lato dice che sono opere meravigliose e dall’altro dice che è una bellezza pericolosa. Ci dice che i Commentarii sono meravigliosi all’ascolto ma pericolosi perché se qualcuno prova a costruirci sopra una narrazione storica ha perduto. Sono come delle sirene. Cicerone aveva ben colto il fatto che queste opere sono tendenziose. Il modo in cui Cesare esprime le cose è deformante e tendenzioso. È nelle lettere che noi possiamo cogliere alcuni aspetti dell’operato e dell’intento politico di Cesare, il quale scrive i Commnetarii come una sorta di difesa (con il De bello gallico cerca di spiegare il perché di una campagna così lunga e spietata mentre nel De bello civili il perché delle sue azioni nei confronti del Senato e di Pompeo. Sono scritti manipolati per ottenere un certo risultato). La storia è diversa con le sue lettere che apprendiamo a Cicerone: Cicerone scrisse le Lettere ad Attico dove scrive che Cesare si avvarrà volentieri del suo consiglio e dice di aver già deciso di apparire il più moderato possibile per la riconciliazione con Pompeo. La nuova ratio vincendi di cui parla Cesare è basata su due elementi, due virtù morali: la misericordia (non cristiana ma definita come atteggiamento del cuore capace di essere ben disposto nei confronti del miser, l’infelice) e la liberalitas. Questo ricorso alla clementia è notevole ma non corrispondeva esattamente al sentimento politico del tempo che diceva che nei confronti degli avversari politici bisognasse essere estremi e chi non seguiva questa prassi avrebbe avuto un atteggiamento simile a quello di un tiranno che di un vero civis romanus. Questo ricorso a queste virtù è visto non sempre bene nell’ambito delle élite romane, viene vista come superiorità. LA DIGNITAS La dignitas è la dignità. Cesare aveva un senso altissimo, quasi paranoico della dignitas del cittadino romano oltre che della propria dignità personale. In occasione della congiura di Catilina aveva dato prova di dignitas quando si era opposto alla sentenza dei traditori non permettendo loro di rivolgersi al popolo. Questo era stato un punto sul quale si era mosso anche Clodio, grande agitatore politico durante gli anni 50. Il civis romanus (non la persona umana e fisica) è intrinsecamente degno e non può essere messo a morte in modo malevole e lo dice quando era pontefice massimo a 37 anni. Cesare vittima dei congiurati era il dittatore perpetuo ma anche il pontifex maximus, era il massimo esponente del sacerdotio romano. In lui l’aspetto sacrale e politico-militare erano fusi nella stessa persona. Esiste una dignitas connaturata al cittadino romano in quanto tale, se gode della complessa struttura di diritti e doveri che rendono il civis romanus una sorta di primo tra tutti, Cesare da particolari motivi per rendere quella dignitas particolarmente forte per lui, perché lui faceva parte della gens Iulia e lui stesso aveva teorizzato l’origine divina di questa gens che veniva direttamente da Venere. Tutti i cives romani sono degni ma la gens Iulia lo è ancora di più. questo varrà in particolare per colui che ha conquistato tutto quello che ha conquistato Giulio Cesare che è il degno tra i degni. Questo non vuol dire che qualcuno come Pompeo Magno che ottenne grandi successi non sia degno ma quando si arriva intorno al 50 a.C. ai ferri corti tra Cesare e il Senato sul quale agisce Pompeo e c’è la complicata situazione della durata del comando di Cesare nelle Galliae tutti i nodi vengono al pettine. Cesare aveva avuto due comandi nelle Galliae, entrambi di durata quinquennale. Il primo gli era stato confermato ma quando scadeva il secondo? Secondo gli anni cesariani, i cinque anni del secondo non dovevano essere sommati ai precedenti. Cesare li conteggiava a partire dalla scadenza del primo mentre gli altri a partire da un anno prima. A Roma e nel Senato si speculava su questi aspetti cercando di negare a Cesare ciò che aveva conquistato. C’era un grande dibattito sulla dignitas, la dignitatis contentio: è il dibattito sulla reciproca dignità di Cesare e Pompeo con il Senato o del Senato con Pompeo; riguarda lo scontro tra Cesare e Pompeo. Altro aspetto da considerare è che gli anni 50 a.C. furono caratterizzati da delle elaborazioni politiche significative nel senso delle opposizioni polari. Negli anni 50 Cicerone elaborava la sua visione della politica e si poneva in una via mediana nelle accelerazioni di un senso individuale. Dopo aver soppresso Cesare la situazione a Roma non è favorevole ai congiurati: spazio per tornare indietro non c’era ma nemmeno per una tale accelerazione. Rispetto alla visione cesariana della dignitas intrinseca Cicerone la pensa diversamente: per lui conta il vir bonus, l’uomo dotato di qualità morali e non l’esponente di una nobilitas. Questo concetto ingloba una tranche di cittadinanza nuova che prima non c’era (i ceti medi-alti che dopo la guerra sociale erano stati inglobati nella cittadinanza romana, i socii). Cicerone aveva sviluppato una sua idea che è una via di mezzo. È importante che nell’ambito di questo boni, ben pensanti e ragionevoli, siano capaci di esprimere una sorta di nuova figura che Cicerone tratteggia, una sorta di moderator rei publicae. Non è un governatore ma una sorta di reggitore capace di tenere una giusta via 6 mediana tra le varie spinte. Questo è qualcuno che ha ben chiaro come la forza dello stato dipende non già dalla fusione di apparato militare e legislativo ma dall’incontro fra l’elemento religioso (auspicia) e le istituzioni, in particolare il Senato. Questa bipartizione assomiglia al segreto che lo sviluppo di Roma è relativo all’incontro tra pax deorum e il mos maiorum. Sallustio pochi anni dopo parlando di Roma vede anche lui un binomio, una coppia che gli appare non già capace di una sintesi e una composizione ma destinata allo scontro e alla contrapposizione: questa coppia è data dal confronto tra i patres (i senatori) e la plebs che chiede ascolto e riconoscimenti. Per Cesare la contrapposizione vincente è quella tra l’auctoritas senatus (l’autorevolezza) e l’auctoritas dell’Italia. È un modo diverso di leggere la dicotomia ciceroniana dove il consensus bonorum a cui lui pensava è vicino al concetto di Italia che aveva Cesare ma Cicerone non voleva contrapporlo al Senato, Cesare sì. DE BELLO CIVILI All’inizio del De bello civili, nel capitolo 7 e 22. Agli esordi abbiamo Cesare che parla ai soldati e parla di Pompeo Magno dicendo che questo era invidioso della sua gloria mentre Cesare lo aveva sempre aiutato e sostenuto. In latino però non c’è scritto questo. Dice che ha sempre favorito ed è sempre stato sostenitore della carriera. Parla di honor e dignitas. Non è che non riconosce la dignitas a Pompeo. Inoltre esorta i soldati a difendere dagli avversari la reputazione e l’onore del comandante sotto la cui guida per 9 anni hanno servito fedelmente lo stato. Ma il testo dice che i soldati devono difendere dai nemici l’onore e la dignitas. Nel giro di poche righe si parla della dignitas di Pompeo e quella di Cesare. Cesare poi in realtà dice che per 9 anni i soldati hanno gestito con il favore divino lo stato, hanno gestito la cosa pubblica. L’esercito di Cesare ha quindi fatto le funzioni di stato. L’esercito è stato lo Stato. In un altro passo memorabile, siamo a Corphilium, la città epicentro dei rivoltosi durante la guerra sociale dove il grande vincitore delle Galliae viene chiesto a colloquio da Lentulo Spintere, un pompeiano che si arrende. Cesare gli ricorda che è uscito dalla sua provincia e varcato il Rubicone non per fare del male ma difendersi dalle ingiurie degli avversari, per vendicare sé stesso, ristabilire il potere dei tribuni della plebe e il popolo romano. In verità non dice proprio questo e parla di voler restituire la dignitas a tutti. Lezione 4: 28/04/2022 Cesare era invidioso di sé stesso, ciò che faceva e scriveva non gli bastava mai. Questo secondo Plutarco. Per Cesare era importante l’onore personale cioè la dignitas. Nel mondo greco la dignitas esisteva con altre parole (nella teatralità greca è asserita come in Antigone). Il tema della dignitas era possibile solo in questo momento del mondo romano, nel tempo di Dante affermazioni sula stirpe divina o sulla dignitas non sarebbero accettate. Anche nella Grecia antica delle polis non sarebbe possibile. L’accento sulla dignitas è un tratto distintivo del mondo romano classico. Poniamo Cesare nella scala tipica del mondo romano tardo repubblicano legato all’individualità ma diverso dalla Grecia classica per le connotazioni territoriali e anche da quella ellenistica/monarchica di Alessandro magno per il fatto monarchico. Cesare rimane fino alla fine non un monarca ma un dittatore (non era un re). Il tema del regnum è uno dei temi forti della politica romana del 45 a.C. che porterà alle idi di marzo. MARISA RANIERI PANETTA Marisa Ranieri Panetta, oltre che un’opera sulle idi di marzo ha anche scritto riguardo le grandi donne dell’impero romano. Le donne che fecero l’impero sono: Cleopatra (la regina dei re, che ebbe relazioni con Giulio Cesare (da cui ebbe il figlio Cesarione) e Marco Antonio con cui si tolse la vita), Livia (la consorte di Augusto detta l’esempio inimitabile, la prima Augusta. Non tutte le spose furono Auguste), Agrippina Minore (figlia di Germanico, sorella di Caligola, nipote e moglie di Claudio, madre di Nerone), Agrippina Maggiore, Plotina (sposa di Traiano, ebbe un ruolo fondamentale nella cessione al potere di Adriano), Giulia Domna (definita “una filosofa per l’imperatore”, di origini siriache, sposa di Settimio Severo. Con lei si vide il cambiamento del ruolo delle 7 Auguste che cominciano ad avere una spiccata importanza dal punto di vista dinastico ma soprattutto religioso e culturale e non solo del potere politico). L’importanza di Cleopatra è fondamentale e pervade anche il libro Indagine sulle idi di marzo, che è un’immersione sulla congiura. De gustibus non est disputandum  da questa famosa frase deriva un aneddoto riguardo Cesare. Cesare e i suoi ufficiali nella Gallia cisalpina vennero invitati a un banchetto in cui vennero serviti asparagi con del burro versato e del formaggio. Questo sapore era considerato ributtante per le abitudini alimentare della buona società romana. cesare fece finta di niente e mangiò gli asparagi, poi si appartò e ritornò come se nulla fossa successo. Tutti gli chiesero come aveva fatto a mangiare e lui rispose con la famosa frase. Per i personaggi antichi sono importanti gli aneddoti, se non c’è un aneddoto che si trasmette forse questo personaggio non è così importante. Un aneddoto può anche essere falso ma serve per dare un timbro a un personaggio. Il campione di cercare di vedere ogni volta le cose da un punto di vista diverso (il punto di vista è importantissimo) è Plutarco. Lo storiografo per chi scrive, con quale intento e per che pubblico? Di solito scriveva per un pubblico elitario perché non c’era l’alfabetizzazione di massa, ma quale? Un pubblico senatorio? Classi emergenti? Un termine tecnico del punto di vista che nasce dalla tradizione tedesca è Gesichtpunkt: è un elemento di controllo importantissimo per la storiografia. Lo storiografo da che punto di vista si pone? Sallustio da un punto di vista cesariano ma altri no. Il campione di questo è Plutarco che a distanza di un secolo da Cesare si occupa di tanti personaggi diversi che vivono tutti nello stesso periodo e sviluppano una loro linea politica in quel periodo (Cesare, Marco Antonio, Bruto, Cicerone, Pompeo, Catone Minore o l’Uticense) la base fattuale sulla quale lavora Plutarco è la stessa. In ogni biografia si vedrà un punto di vista diverso la trama è la stessa ma la visione no. Nel caso di Bruto si sottolinea il fatto che Cesare usciva dai limiti consueti della tradizione rimane mentre lui Bruto, lungi dall’essere un uomo agito dall’invia e dal rancore e rimorso, voleva realizzare qualcosa che nella sua ottica era giusto. I punti di vista diversi dei personaggi devono essere immersi in un contesto visivo, fisico, materiale, …. Se non si sta attenti ai dati fisici di tipo umanistico e archeologico non riusciamo ad immergere completamente l’esperienza di Cesare con i loro punti di vista, abiti, abitudini in uno spazio. Per provare ad immergere questi personaggi abbiamo bisogno di informazioni che arrivano dall’archeologia e la storia dell’arte antica. Per trasformare una ricostruzione storica che si voglia presentare come indagine, quindi una ricerca, un’inchiesta, un qualcosa che non contiene un verdetto dobbiamo vedere il contesto ricostruito che è problematico. Uno dei grandi principi della tradizione storiografica classica è vedere le cose con gli occhi. Già da Erodoto, padre della storiografia (historia) scriveva che sono tre le fonti della conoscenza storica (V secolo a.C.): ciò che si vede con i propri occhi (il più importante), ciò che si ascolta e ciò che deriva dalla rappresentazione interiore che ci si dà. Non basta vedere ma serve anche udire (meno importante ma necessario) e fare una rappresentazione interiore con il filtro della mente e della ragione. I tre elementi sono complementari. Cesare apportò molte trasformazioni a Roma. Dove abitava Cesare? Cesare aveva un’abitazione privata ma per il periodo in cui fu pontefice massimo (era una carica a vita) la sua residenza era la domus publica sulla via sacra del Foro (dal 63 a.C.). Era una residenza creata come una villa romana con tutte le comodità e con due orti (ortus = giardino, parco secolare) privati. In uno dei due orti (uno su una riva del Tevere e l’altro sull’altra) viveva Cleopatra quando era a Roma (da cui ebbe un figlio), nella dimora privata di Giulio Cesare e non nella villa del pontefice massimo. Cesare aveva tre residenze possibili: una ufficiale e due private. In una di quelle private ci stava Cleopatra, l’altra a Porta Collina era quella ancora più privata (in cui incontrava ad esempio gli amici o i sostenitori). 10 pagato il debito, non può essere ridotto in schiavitù. Quella libertas, dignitas del cittadino romano viene applicata nei fatti. La dignitas personale non è conseguenza della disponibilità economica Il passaggio di Tapso venne ripetuto l’anno dopo nel passaggio 46-45 a.C. e Cesare punta sulla Spagna che nel I secolo a.C. è un epicentro militare molto interessante: in Spagna si era rifugiato il populare Sertorio che aveva dato molto filo da torcere a Roma soprattutto a Metello e Pompeo, … le forze ordinarie della res publica fanno una grande fatica a scovare i nemici in spagna. Anche con Cesare accadde un evento simile. Nella battaglia di Munda, marzo del 45 a.C. per la prima volta rischia la sconfitta rovinosa contro pompeiani molto ben organizzati. Cesare deve ricorrere ai maggiori espedienti per resistere e il caso o la fortuna vuole che sia un ex cesariano quello che compie il gesto fatale. Si tratta di Tito Labieno, il miglior ufficiale di Cesare in Gallia che nel 49 a.C. lo aveva tradito. Nel corso della battaglia di Munda (nei pressi di Osuna e Malaga) Tito Labieno compie una manovra che viene interpretata dai Pompeiani come una fuga anche se non lo voleva essere. L’intento di Tito era un altro ma il risultato è la vittoria di Cesare. Con la battaglia di Munda siamo alla fine sul campo di battaglia dell’opposizione a Cesare. La lunga vicenda iniziata nel 49 a.C. giunge a compimento nel 45 a.C. Sono morti nel frattempo una serie di grandissimi personaggi: Pompeo, il figlio Gneo, Catone, …. Dopo Munda Cesare scrive una sua opera polemica intitolata Anticato (anti Catone) considerata un’opera non riuscitissima ma interpretata come una risposta alla Laus Catonis di Cicerone. Cesare torna a Roma nell’autunno del 45 a.C. e trionfa ma in modo controverso: la sua vittoria in spagna che lui interpreta come contro dei ribelli non vien eletta nella stessa maniera dai circoli politici di Roma (alcuni vedono un trionfo nei confronti di cittadini romani e non contro nemici). Il Senato gli riconosce il titolo di imperator e cominciano due se non tre passi che vanno in direzioni pericolose: cominciano da parte di cerchie piuttosto tiepide nei suoi confronti e da parte di suoi ammiratori dei passi che portano sempre più verso la divinizzazione del personaggio. Ad alcuni di questi si inserisce la tentazione monarchica, soprattutto da parte del suo “fedelissimo” Marco Antonio il quale lo tenta con la corona monarchica (il regno era tabù a Roma). quello che sicuramente accade è la trasformazione nuova della dittatura: la dittatura nasceva come limitata e affidata a un solo personaggio. Con Silla abbiamo la prima evoluzione a tempo del cursus. Con Cesare abbiamo l’estensione della dittatura a vita (era già pontefice massimo a vita, imperator, padre della patria e aveva anche l’intoccabilità del tribuno della plebe). Il fatto che l’imperator assuma anche tutte e altre cariche spiana la strada al passaggio della carica del pontifex maximus al vescovo cristiano di Roma (nel IV secolo). Questi mesi non sono così soddisfacenti per Cesare tanto che inizia a pensare ad un nuovo progetto: lasciare Roma e fare un progetto militare che lo porti prima in Oriente contro i Parti (per vendicare la morte di Crasso nel 53) e poi passare attraverso il Caucaso, costeggiare il Mar Nero da nord e da lì attaccare i Germani, passare nelle Gallie e tornare a Roma. era un progetto titanico. Avrebbe voluto iniziare intorno al 18 marzo del 44 a.C. SALLUSTIO – DE CONIURATIONE CATILINAE Opera La congiura di Catilina di Sallustio (cesariano). Il passo di Sallustio ci porta al 63 a.C., a dicembre. Ha parlato Cesare come pontifex maximus, ha parlato anche Catone e il Senato decide in base alla proposta di Catone opponendosi alla linea più attendista e incisiva nel rimarcare la dignitas del cittadino che Cesare ha asserito nella sua carica di pontifex maximus e futuro grande politico. Sallustio scrive quest’opera poco dopo la morte di Cesare, tra il 43 e il 40 a.C. Sallustio dice che ha molto letto e ascoltato le gloriose gesta del popolo romano in pace e in guerra, nel mare e sulla terra. Per avventura ha ricercato le cause che hanno sostenuto tali imprese. Sallustio ci dice di voler cercare le cause della grandezza del popolo romano. Mette insieme due elementi della grande ricerca della storiografia: la ricerca delle cause che proviene dalla scuola di Tucidide e il grande tema erodoteo dell’ascolto. La lettura è equiparata all’ascolto già da Polibio ma è Erodoto che ci dice che ascolto, visione diretta e rappresentazione interiore sono fondamentali. Sallustio scrive queste cose dopo le gesta di Cesare e gioca con il lettore che sa gli eventi. Per tutto il testo troviamo omaggi ad Erodoto. Grazie alla sua riflessione Sallustio capisce che grazie a pochi cittadini Roma è diventata grande ma il lusso e l’inerzia ben presto avevano corrotto la città. Marco Porcio Catone e Gaio Giulio Cesare sono morti quando Sallustio scrive ma sono importanti e interessanti per lo scrittore. I due si erano scontrati in occasione della congiura di Catilina. Sallustio mette a confronto i due 11 personaggi (Plutarco a distanza di secoli lo farà con Alessandro Magno e Cesare, ma lo fa a voce perché nell’opera troviamo solo le descrizioni). Alla fine Catone si toglie la vita e Cesare trionfa. Sallustio dice che essi furono quasi uguali in tutto, anche nella gloria sebbene differente. Cesare era stimato per liberalità ed elargizione mentre Catone per integrità di vita. Catone è stabilizzato nelle sue virtù mentre Cesare si espande più si scioglie. Catone non concedeva nulla, nemmeno a sé stesso, Cesare era il contrario, si espande agli altri. Catone ambiva alla severità. Avevano anche due glorie diverse, una ottenuta attraverso la spartizione e la condivisione (Cesare, il quale aveva solo tre schiavi) mentre l’altra una severità di sottrazione (Catone). Altro autore del confronto è Lucano con la Pharsalia con una connotazione negativa di Cesare, come vincitore da cui partirà la dittatura alla quale Lucano si opporrà (viveva sotto Nerone). Nella sua opera Cesare il cattivo vince e Pompeo il buono perde e muore. Lezione 6: 04/05/2022 Cleopatra è alla base della dinastia Giulio-Claudia, quella che ha dato il via all’impero. Cleopatra è stata boicottata dalla stampa successiva perché aveva contrastato Ottaviano, alleandosi con Marco Antonio e prima con Giulio Cesare aveva avuto una relazione e il figlio maschio Cesarione, l’unico che Cesare riconobbe e che ebbe (ebbe altre figlie femmine). Cleopatra ha avuto una cattiva propaganda ma è stata una grande regina che ha segnato il suo tempo in tutti i sensi (anche con la moda che portò a Roma nel 46 a.C. invitata da Cesare insieme al figlio a una corte lussuosissima che cesare aveva insediato nel suo ortus sulla riva destra del Tevere). Questo aveva suscitato grande disappunto. Cesare aveva sfidato l’opinione pubblica anche perché nel tempio di Venere genitrice aveva messo la corte. Cleopatra regnava lo stato più ricco e bello di tutto il mediterraneo. Il porto di Alessandria non aveva eguali, aveva la biblioteca più grande del mondo e il museo della scienza dove si studiava. Ad Alessandria Cesare poté vedere queste grandi ricchezze. Questa visita lo portò anche a decidere l’adozione di un calendario solare già esistente nel mondo egizio. Cleopatra era una donna (una ragazza) intelligentissima che parlava tantissime lingue. Il modello della città, della monarchia ellenistica, … tutto questo ammaliò Cesare (ma anche Ottaviano) anche il famoso Faro, una delle ricchezze del mondo antico. Senza Cleopatra alle spalle, Ottaviano non avrebbe potuto dare il via ad una vera e propria dinastia. Giulio Cesare e Cleopatra parlavano greco tra di loro. Lezione 7: 05/05/2022 Tito Livio trovava difficoltà a legare avvenimenti che riguardano la sfera interna della vita politica romana e la sfera militare interna ed esterna dall’urbe. Un autore come Plutarco, biografo e storico, è stato criticato per il fatto che non segue l’ordine cronologico ma a Plutarco non importava molto. Egli propone un montaggio funzionale per il suo obiettivo. Questo ha fatto si che molti scrittori lo criticassero, soprattutto tra ‘800 e ‘900. Nel campo della storiografia antica si distinguono tante tendenze in particolare quella degli autori che si liberano dal giogo della cronologia stretta, della sequenza diacronica e preferiscono comporre in base ad altri criteri, magari più narrativi o che vogliono infondere una delineazione morale del personaggio. L’elemento assiologico, il giudizio di valore di Plutarco è un criterio; oppure il criterio ideografico della Gesthalt o molto altro. L’Eichos è il verosimile nella biografia di Plutarco. Quale lingua parlavano Cesare e Cleopatra tra di loro? Sicuramente il greco. In base alle fonti la famosa frase detta da Giulio Cesare in punto di morte sarebbe stata detta certamente in greco ma è Shakespeare con la sua opera che la riporta in latino, forse per dare autorevolezza al personaggio e all’opera. Eleva la comunicazione e si rivolge a un pubblico che lo riconosce. Una cosa del genere accadde nel 12 gennaio del 45 a.C. quando Cesare pensava se superare il Rubicone. In occasione del passaggio del fiume, quindi il confine della Gallia cisalpina che era provincia ed entrare nel pomerium (armato, cosa gravissima) sembra che Cesare avesse detto la famosa frase Il dado è tratto, ma lo disse prima o dopo aver attraversato il fiume? Disse veramente queste parole? Oggi dobbiamo basarci sulle fonti ma non possiamo essere certi. Coup de dés (tiro di dadi) è il titolo di una poesia visiva di Mallarmè a fine ‘800. Svetonio, biografo e storico del II secolo, autore delle Vite dei dodici Cesari, nei capitoli 21 e 22 della sua biografia, a distanza di due secoli dai fatti ci dice che quando fu riferito che i tribuni si erano opposti e abbandonato Roma, Cesare fece andare avanti segretamente delle corti per non dare il sospetto che voleva sorpassare il Rubicone. Poi con lo scopo di tratte in inganno si fece vedere in pubblico e pranzò in compagnia. Dopo il tramonto del sole partì in gran segreto con pochi quando le fiaccole si spensero smarrì la strada e vagò a lungo. All’alba trovò una guida e raggiunse a piedi la meta. Si riunisce alle corti presso il Rubicone e si fermò un attimo. Si rivolse ai suoi vicini dicendo che erano ancora in tempo per tornare indietro ma che se sorpassassero il ponticello allora poi dovrebbero sistemare ogni cosa con le armi. Cesare esitava e si mostrò un segno prodigioso (altro espediente classico della storiografia). Era un pontifex maximus ma credeva molto nell’epicureismo che vede la vita come un agglomerato di atomi e che non prevede l’immortalità. Gli apparve un uomo che cantava con la zampogna. Per ascoltarlo erano accorse tantissime persone. Il cantore strappa a un trombettiere il suo strumento e si lancia nel fiume suonando una marcia di guerra. Quindi Cesare disse la famosa frase il dado è tratto. Plutarco racconta l’episodio in maniera simile. Plutarco nomina anche Asinio Pollone, grande politico vicinissimo a Cesare (scrisse anche un’opera storica). Asinio secondo Plutarco sarebbe stato uno di quelli che partecipò ai pensieri di Cesare sul Rubicone. Alla fine con impulso Cesare decise di sorpassare il fiume, senza la visione prodigiosa e pronunciò si getti il dado. Non il dado è tratto. Era un detto comune per chi voleva intraprendere un’impresa difficile. Dicono poi che la notte prima del passaggio Cesare ebbe un incubo in cui faceva atti incestuosi con la madre. Plutarco non racconta mai nello stesso modo le cose. nelle Vite parallele scrive ogni vita da un punto di vista diverso per scoprire il carattere. Ogni fatto può essere raccontato in modi diversi perché ogni personaggio reagisce in modo diverso. L’omicidio di Cesare è descritto in maniera diversa nella vita di Bruto perché Bruto era un personaggio diverso da Cesare. Il passaggio del Rubicone è anche raccontato nella vita di Pompeo. Nella vita di Pompeo Plutarco ci dice che la frase si getti il dado era stata detta in greco. Plutarco ci dice che non era solo e che parlò in greco. Elaborazione diversa rispetto a prima. Si tratta poi di un imperativo. Questa frase è stata detta prima in qualsiasi caso e in qualsiasi lingua. C’è da considerare anche la versione di Appiano, di Alessandria d’Egitto (II secolo d.C.)., uno di quelli che costruiscono le proprie opere in modo monografico. Compone la sua storia in base non a un disegno universale ma per tematismi. Nel secondo libro delle guerre civili parla anche del Rubicone. La sua versione è molto vicina a quella di Svetonio ma propone un’altra ancora versione delle parole di Cesare. Appaino dice che Cesare pronunciò la frase che il dado sia lanciato in greco. Le parole sono le stesse di Plutarco ma in maniera invertita. Questa era un detto di uso comune. Gli autori greci danno una connotazione specifica alla frase. Alea in latino non vuol dire il dado ma è stato apparecchiato il tavolo da gioco, giochiamo, le carte sono date o qualcosa del genere. Questa espressione (sia gettato il dado) la troviamo uguale in un autore greco che Cesare conosceva, Menandro (esponente della tradizione comica greca molto diverso da Aristofane. Aristofane è uno dei più grandi generi teatrali ed è colui che ottiene effetti cominci attraverso l’impossibile (come il mondo degli uccelli che si lega a quello degli uomini). Menandro è posteriore e la usa è una commedia borghese perché più legata al tratteggio dei caratteri (l’avaro, il misantropo, l’uomo difficile, …); è considerata come un esempio formale per l’utilizzo della lingua. L’espressione che lega il verbo anariptor e il soggetto cubos si trova sia in Aristofane che Menandro. In Aristofane nel frammento 60083 nella raccolta dei frammenti comici attici dell’erudito Koch e pubblicata a Lipsia a fine ‘800. Questo Koch ha cercato tutti i frammenti riconducibili ai commediografi attici dai più antichi a quelli più recenti che sono testimoniati nella tradizione indiretta di autori, di lessici, di dizionari, …. C’è un passo di Aristofane che viene citato da un dizionario tardo pubblicato dal Becker nell’800 dove troviamo l’espressione il dado vengo gettato, vengo gettato come un dado. Per il frammento 65 di 15 La Gestaltung è qualcosa che porta alla forma, è il progetto, è il design, il disegno inteso come progettazione. Plutarco non è un incapace di progettazione ma costruisce secondo il suo Kunstwollen, la sua volontà artistica (termine coniato da Alois Riegl). Secondo Riegl per la tardo antichità aveva una determinata importanza l’intento artistico, l’intento dell’autore o del committente, doveva colpire un certo punto. La Penna passa poi a un’ampia parafrasi dello sviluppo della biografia plutarchea. Segnala il rapporto di Cesare con Cornelia, la figlia di Cinna, capo mariano (la zia paterna Giulia aveva sposato Mario, il numero uno assoluto dei populares). Mentre esistono generei letterari antichi con una precisa caratterizzazione e con una descrizione di come si scrive un genere. Per la biografia non esiste. Quando parla del rapporto con la zia Giulia, La Penna non mette a confronto il passo con l’aspetto menzionato da Svetonio, cioè che Cesare avrebbe detto che la zia Giulia deriva da una famiglia di re (anco Marzio) e che il padre discende dagli dei (Venere). Si attribuisce un destino e una vita divini. Importante è l’elezione a pontefice massimo che gli ha permesso di fare tutto ciò che ha fatto. Questa carica è a vita ed è attribuito a un discendente di re e dei, personaggio pesante sulla scena romana. A Plutarco poi interessa pochissimo il meccanismo istituzionale, le procedure, le norme, gli escamotage di carattere istituzionale, le alterazioni del mos maiorum, …. Infatti Plutarco non ci dice come divenne pontefice, dice solo che era in gara con un altro grande romano (comunque per diventare pontefice massimo al tempo di Cesare si veniva votati da 17 delle 35 tribù romane che venivano sorteggiate, prima era stato per cooptazione). In occasione della votazione in merito alla congiura di Catilina vediamo scontrarsi Plutarco e Cicerone. La congiura è raccontata da Plutarco 4 volte, nelle vite di Cicerone, Cesare, Catone Minore e Crasso e in ogni vita aggiunge qualche particolare. Importante è il tema della propretura in Spagna di Cesare dove compare il tema dell’imitazione di Alessandro davanti alla sua statua. Altro tema importante è quello dell’amicizia e del triumvirato del 60 a.C. tra Cesare, Pompeo e Crasso. Dice poi che l’amicizia tra Pompeo e Cesare ha portato alla guerra civile. Il tema delle amicizie dei potenti come azioni delle contese civili lo troviamo anche in Orazio nella lode prima del libro secondo dedicato ad Asinio Pollione. Orazio da inizio a questa lode dicendo che la guerra fratricida sorta al tempo del console Metello (60 a.C.) è stata causata dagli errori, dalle tattiche e dalle amicizie gravide di conseguenze dei potenti. La pubblicazione dell’opera di Asinio sulle guerre civili era stata uno spartiacque per la vita del tempo. C’è una sorta di koinè interpretativa tra i grandi personaggi della civiltà romana. Cesare secondo Plutarco. La Penna sottolinea facendo da interprete di Plutarco, come l’elemento che muove Cesare all’azione (Cesare è azione) è l’ardore di gloria. Il termine greco è la philotimia, ardore di gloria, di ambizione che a volte sfocia nella ubris, la tracotanza nel senso di superamento di ciò che è umano, è l’eccesso che trasforma la misura (metrom) in tracotanza. Fino a che punto la misura di Cesare diventa tracotanza quindi un tiranno. La Penna vuole sottolineare che è decisivo superare le fonti e vedere il risultato espressivo che si vuole raggiungere. C’è un passo in La Penna difficile da leggere in relazione al rapporto tra Catone l’Uticense suicida nel 47, Cicerone e Cesare. La clemenza di Cesare verso Cicerone e molti altri, sarebbe stata uguale anche per Catone se non si fosse ucciso. Ma uccidendosi Catone aveva tolto la possibilità a Cesare di dar prova della sua magnanimità, era quindi arrabbiato. L’encomio ciceroniano di Catone era un’accusa contro Cesare vincitore. Dopo Farsalo Cesare corse verso Utica per prendere vivo Catone, ma quando scoprì che era morto si arrabbiò perché gli aveva tolto il potere di salvarlo. Questo angustiava Cesare e quindi pubblicò un libro contro Catone. L’amante storica di Cesare, Servilia, era la sorella di Catone. La donna alla quale lui fu più lungamente legato era sorella di Catone. Lezione 9: 12/05/2022 16 Per la storia romana l’11 maggio 330 a.C. è una data importantissima perché venne inaugurata Costantinopoli (il 29 maggio 1453 invece ci fu la capitolazione). Dopo Antonio La Penna gli studi si spostarono in una scuola che lo vedeva come esempio ma che era più sensibile alla caratterizzazione letteraria dei testi. Non i testi come canali che aiutano la ricostruzione di un contesto storico, sociale e politico quindi come fonti ma l’accento cambiò per influsso della corrente che viene chiamata strutturalismo e che al suo interno coincise con l’arrivo nella cultura italiana del formalismo russo. Gli studi di La Penna apparvero sempre validi ma lontani dallo spirito del tempo. Si giocò con altre cose. Nella vita di Cesare ci sono come dei cliché che ogni tanto si ripetono e che oltre a rispecchiarsi nel testo hanno anche dei paralleli in testi collegati. Quando uno pensa a Cesare pensa anche ad esempio a Pompeo. Il tema del rapporto tra armi e leggi è come un filo rosso che lega le due vite ancora più strettamente. Ci sono almeno tre scene da tenere presenti: una prima scena la troviamo nel capitolo 29 dove La Penna dice che questo aneddoto rivela la convinzione di Plutarco su Cesare. Un centurione di Cesare a Roma, saputo che i senatori hanno negato a Cesare il prolungamento del proconsolato, batte sulla spada e dice Glielo darà questa (la spada). Questo episodio sarà accaduto prima del Rubicone. Cesare aveva un rapporto strettissimo con i suoi soldati e i suoi centurioni. È un gesto carico di significati. Qualcosa di simile accadrà poco dopo nel 49 a.C. quando Cesare sarà giunto a Roma (ci starà pochissimo tempo perché ha molto da fare e deve seguire Pompeo). Nel capitolo 35 dopo delle scene di grandissima efficacia, di massa, di movimento (i cittadini che abbandonano la città, arriva Cesare, poi rientrano e Pompeo fugge verso Brindisi) Plutarco dice che Cesare non poté mettersi subito all’inseguimento perché non aveva navi. Era diventato comunque padrone di tutta Italia ma senza spargimento di sangue. Trovò la città molto ordinata e diversi senatori a cui fece un discorso e inviò degli inviati a Pompeo. Nessuno però lo prese sul serio quindi Cesare per finanziare la sua operazione attinse denaro dal tesoro pubblico (l’erario) custodito nel tempio di Saturno. Il tribuno della plebe Metello, di famiglia legata a Pompeo tramite matrimoni (tre delle cinque mogli di Pompeo venivano dalla stirpe di Metello) gli dice che non si può attingere all’erario pubblico anche perché per tradizione serviva per proteggere dal pericolo gallico. Cesare ribatte che il tempo delle armi non coincide con quello delle leggi, se non piace quanto avviene se ne deve andare. Plutarco usa il termine parresìa, la libertà di parola in assoluto che deriva dal greco pan tutto e da rhema che è pronunciazione verbale. In tempo di guerra non serve la libertà di parola. Cesare dovette gran parte della sua fortuna al rapporto con i tribuni della plebe (ma anche Pompeo). Cesare dice a Metello che tornerà a fare il demagogo quando lui Cesare avrà fatto l’accordo e deposto le armi. Dopo di che Cesare fa sfondare la porta dell’erario, il tribuno si oppone quindi Cesare alza la voce e minaccia di ucciderlo (Metello). Nella vita di Pompeo (capitolo 10) siamo in una fase anteriore, negli anni ’70 a.C. quando Pompeo è molto giovane ed è agli albori della sua rapinosa carriera militare e politica che nasce nel segno di Silla. Pompeo si reca in Sicilia, a Messina e quando i Mamertini revocano i suoi poteri giurisdizionali, Pompeo dice quando cesserete di citare delle leggi a noi che portiamo la spada al fianco. È la stessa situazione tra il centurione di Cesare e il senato. È come se la debolezza delle leggi di fronte alle armi debba essere un tratto pervasivo della lotta romana del I secolo a.C., la tendenza ormai è quella. Scavalcare un’impalcatura legislativa con la forza delle armi. Da questo punto di vista Cesare e Pompeo si assomigliano molto. Cicerone invece è sempre sulla soglia, non coglie l’importanza del fattore militare, l’importanza dell’esercito. Cesare invece sì e ritiene che il suo esercito non solo abbia combattuto ma abbia anche gestito la cosa pubblica. Dal ritorno dalle campagne militari in oriente Pompeo sciolse il suo esercito quando tutti pensavano che sarebbe marciato su Roma come Silla, questo fu un passo politico irreversibile (sbagliato). Dopo di questo il Senato non fece altro che fermarlo e ad esempio per l’assegnazione delle terre ai suoi militari; ci volle il primo triumvirato e il potere di Cesare per ottenere le terre per i suoi. Pompeo non era stato molto accorto da questo punto di vista. Armi e potere sono fondamentali e vanno di pari passo. Conquistare terre e gestirle con la forza della legge. In questo caso questo binomio non è equilibrato. Per Cicerone le armi devono cedere invece con Cesare e Pompeo cadono le leggi e salgono le armi. Per Cicerone la gloria di Roma doveva costituirsi non sull’esercito ma sulla forza e sull’evoluzione del Senato e l’elemento religioso. 17 Quelli che vollero seguire Pompeo lo seguirono e morirono in battaglia. Non fu Cesare ad ucciderli. Morirono in battaglia. Contrapposizione tra Europa e Persia: impero romano d’Oriente (Bizantino) vs persia dei sovrani sassanidi. Tema che nasce già nel III secolo ma nel VI e VII secolo arriva all’apice dell’incandescenza. All’epoca di sovrani come Giustiniano e di Eraclio il rapporto tra impero romano bizantino e Persia è particolarmente caldo e contrappositivo. Invece nella seconda metà del VI secolo vi fu maggior intesa. Intorno al 629/630 sembrava che il mondo fosse destinato ad una nuova fine della storia perché l’impero Bizantino era caduto, i Persiani avevano preso potere e si pensava che si sarebbe arrivati alla pace. Pochi anni prima però l’impero mussulmano aveva trovato unità e ben presto era andato ad occupare i territori rimasti vuoti (questo è il terzo tempo fra Europa e Persia). Altro tempo è quello di Cesare, Pompeo e Crasso. Crasso morì cercando la grande gloria contro i Parti. Era un grande manovratore del denaro ma mai un grande condottiero come Pompeo o Cesare. La sconfitta di Crasso è comunque importante per Cesare che vuol vendicare la sconfitta. Il primo grande momento è quello delle guerre persiane del V secolo. I greci rispondono alle due grandi di spedizioni, la prima di Dario nel 490 e la seconda di Serse nel 480. Da questi due attacchi persiani fanno riferimento tante pagine della letteratura. Questi sono momenti fondamentali perché l’unione contro il nemico persiano cementa non tanto da un punto di vista politico ma cementa l’unita ideale, culturale e religiosa del mondo greco. Questi sono i tre grandi momenti. L’intento cesariano era quello di (nel marzo del 44 a.C.) partire intorno al 18 marzo per un’enorme impresa, la guerra contro i Parti e poi chiudere in una sorte di tenaglia indistruttibile il mondo che già era sotto il dominio romano: passare il Caucaso, attraverso le grandi pianure ucraine, passare attraverso la Germania e poi arrivare in Italia. Impresa titanica per un uomo di 55/56 anni che aveva il doppio degli anni di Alessandro Magno quando aveva conquistato l’oriente. Alcuni osservatori ritengono che questa impresa non fosse necessaria perché molto difficilmente avrebbe realizzato l’impresa e difficilmente sarebbe uscito indenne. La storiografia degli antichi ha una particolare attenzione per tutta una serie di aspetti che la storiografia moderna considera poco. Geografia e storiografia nel mondo antico sono molto più strettamente compenetrate di quanto sembri a noi. La geografia è assolutamente un elemento formativo nella tradizione culturale europea. Nel mondo antico abbiamo molti esempi di autori che sono stati sia di geografia che storiografia, Strabone il più grande geografo antico è stato anche uno storiografo. Strabone è sempre stato letto come una fonte di informazioni e quindi non è stato del tutto capito. Il padre della storia Erodoto, presenta nei sui 9 libri una serie di riflessioni di carattere geografico, etnografico e antropologico che sono fondamentali per capire le dinamiche storiche. Quali sono i grandi fatti da tramandare ai posteri? Dove si svolgono? Come sono fatti questi popoli lontani dove accadono i fatti? Tutti questi aspetti sono ben presenti o comunque riecheggiano nella cultura di Plutarco e anche nella cultura e nell’orizzonte dei suoi lettori. Quando parlano della patria automaticamente scatta una serie di riflessioni che sono implicite nell’orizzonte del lettore dell’epoca mentre per noi non è così. La vita di Antonio cronologicamente è l’ultima vita romana scritta da Plutarco ma non è né la migliore né la peggiore. Aspetti simili riguardano la figura di Bruto. Nella vita di Bruto troviamo un Cesare ancora diverso rispetto a quello di Cesare stesso. La vita di Bruto è più statica, di un uomo di pensiero e non di un condottiero, attivo anche nella vita politica. Cesare quado viene attaccato dagli assalitori è tratteggiato come una belva che si dibatte tra le mani degli uccisori. Questa immagine è presente anche in Appiano nelle guerre civili, nel secondo libro che La Penna ritiene che la fonte per entrambi sia stata la stessa ma questo non significa che l’idea che Cesare si dibatta come una belva ci faccia pensare che Cesare sia connotato come una belva tirannica. L’aspetto dell’essere umano ucciso a tradimento prevale rispetto alla connotazione negativa del tiranno. Nella vita di Cesare non troviamo il famoso discorso di Antonio relativo al funerale di Cesare. 20 molto importante al committente e protettore di Plutarco Quinto Sosio Senecione, politico e militare romano (65-110 a.C.). Fu console sotto Traiano e con lui partecipò alla campagna per la conquista della Dacia. Potremmo considerarlo per certi versi accostabile ad Asinio Pollione (personaggi a fianco di un grande imperatore ed ebbe onori di tipo trionfale e furono in contatto oltre che con l’élite, con grandi personaggi della cultura). A queste 22 (x 2) vite, 22 blocchi unitari, ciascuno dei quali risponde agli altri. Certi avvenimenti li troviamo in più vite osservati da punti di vista diverse. ci sono poi 4 vite separate. Se noi ci mettiamo davanti all’edizione delle vite di Plutarco abbiamo a che fare con migliaia di pagine. Thomas Hagg, grecista norvegese, scrisse L’arte della biografia dell’antichità. L’autore sviluppa il suo discorso attraverso dei capitoli nei quali sottolinea che sarebbe utile leggere le biografie antiche come fonti informative di carattere storica. Prima ancora bisogna ricordarci che nel mondo antico la biografia è un’arte a cui si chiede una resa artistica e qualitativa. Hagg dice che la biografia è un genere meticcio che attinge da tanti altri generi e gli ha permesso di durare fino all’epoca contemporanea conoscendo peripezie. Anche i Vangeli secondo lui sono delle biografie, genere mai teorizzato. Questo libro inizia con Senofonte, uno dei grandi tre (Erodoto, Tucidide e Senofonte) che scrive l’educazione di Ciro, la prima biografia della storia. Nascono poi delle formalizzazioni della biografia. Al centro del libro troviamo i vangeli. Analizza poi vari tipi di biografia come quella storica, quella etica, quella antica, …. Ovviamente parla anche di Plutarco. Alla fine parla dell’agiografia, la vita dei santi. Hagg punta tutte le sue carte sulla biografia etica e morale. L’idea di mettere a confronto personaggi romani con greci non è originale di Plutarco prima di lui ci aveva provato Cornelio Nepote nella sua opera De viris illustribus. Questa è una raccolta di biografie in 16 libri ripartite in varie sezioni. La struttura dell’opera riguarda prima gli stranieri e poi romani, per vari nuclei precisi (ad esempio i grammatici, gli imperatori, …). I Greci avevano 8 secoli di cultura mentre i Romani forse 2. Inserisce poi anche altri stranieri come Annibale. Noi possiamo leggere solo quello dedicato ai condottieri stranieri, gli altri libri sono andati persi. C’è una grande differenza in Nepote rispetto a Plutarco. In Nepote i personaggi non dialogano, ogni vita è staccata dall’altra, costituisce un nucleo a sé. Sono come dei contenitori riempiti con eventi. In Plutarco invece l’aspetto determinante è quello dell’accostamento significativo dove è fondamentale cogliere l’unità dell’intento blocco per blocco. Sono 22 unità compositiva costruite con uno schema fisso (con qualche variazione). Per Plutarco, Hagg scrive che i blocchi narrativi sono in una struttura condivisa ma sono 22 blocchi diversi che porta Plutarco ad essere identificato come il grande maestro della variabilità. Tre brani incipitari, estrapolati dai proemi che si legano alla vita successiva. Uno degli estratti viene da Alessandro. Dopo questo incomincia il blocco di Alessandro e Casare. Altro inizio è quello di Emilio Paolo. L’ultimo è l’incipit della vita di Pericle. Biografia etica: Tucidide conoscere le cause degli effetti per l’utilità delle città future, Erodoto i fatti degni di nota di greci e barbari. Questa elevazione spirituale individuale è possibile grazie a un elemento intermedio. È un’elevazione finalizzata a un qualcosa che non ci viene detto. A Plutarco interessa un’evoluzione individuale in quanto tale. Da soli potremmo non farcela, abbiamo bisogno di accogliere qualcosa al di fuori di noi, cioè la storia. La storia è il grande oceano a cui lui guarda ma non per scrivere storia ma l’esperienza una che deriva dalle vite di certi personaggi che insegnano qualcosa a lui e che servirà per la comunità. È un dialogo tra Plutarco e le grandi vite. A noi interessa il carattere. Plutarco cerca questo meccanismo che innesta il suo innalzamento personale non nel campo dei filosofi o poeti ma nel campo dei politici, comandanti, personaggi storici che si sono macchiati le mani anche con il sangue. Evidentemente l’orizzonte collettivo che Plutarco aveva rimosso dal suo sguardo personale lo cercava nel passato. Ha offerto uno sguardo collettivo del passato di quelle grandi figure che hanno contribuito alla storia. Plutarco cita Omero, Sofocle, …. Plutarco dice che la sua opera assomiglia a quella del pittore che cerca il carattere (ad esempio il volto) e lascia perdere il resto, cerca lo sguardo e non lo sfondo. Ha una speciale attenzione per la vista (la mente contempla). 21 La parte dedicata agli artisti ha scaturito molte idee. Per elevarsi spiritualmente non si deve per forza vivere di spirito. Trae materia di elevazione spirituale dalle vite di grandi personaggi che si sono macchiati del sangue di migliaia di persone. Lui non nega questo, non edulcora la pillola e come potrebbe farlo. Però anche attraverso questo prova ad adornare la sua vita alle virtù dei grandi personaggi. Molti eruditi hanno cercato di scorgere tracce platoniche; lui era tendenzialmente eclettico ed articolato secondo una base platonica piuttosto che aristotelica. È un eclettico con una forte sensibilità religiosa. Il numinoso, l’aspetto del divino nella vita quotidiana, lo aveva teorizzato ed esplorato. Montaigne ma anche Leopardi fanno riferimento a Plutarco ad esempio con le Operette morali. In relazione a Plutarco Leopardi dice che se anche non è un filosofo in senso stretto, pochi autori sono più filosofi di lui perché filosofia è anche incarnazioni di principi morali nella vita quotidiana. Lezione 11: 17/05/2022 15 MARZO 44 A.C. Opera famosa degli anni 30 del ‘900 recentemente ripubblicata dello storico neozelandese ma anche britannico Ronald Syme. A lui si deve La rivoluzione romana tradotta negli anni ’30 e presentata in Italia a fine anni ’50 con un’introduzione di Arnaldo Momigliano di origine ebraiche che si era stabilito in Gran Bretagna (in Italia c’era la guerra). L’opera è stata ripubblicata di recente con una nuova premessa. L’opera in questione è stata una grande analisi della trasformazione della repubblica romana in impero. L’opera aveva anche caratteristiche che andavano al di là del campo puramente accademico; si interrogava sul rapporto tra la sorte degli stati europei negli anni 20 e 30 quando tante democrazie liberali stavano tramontando sotto la spinta di nuovi assetti politici e la fine della res publica romana in qualcosa di diverso. Fu una sorta di garbato e velato parallelismo tra ciò che accadeva in Italia, Spagna, Germania e Russia che dava al Syme lo sguardo inqueto per quanto era accaduto nella repubblica romana, per la rivoluzione che era accaduta. Va nel senso del potere e dell’arbitrio di uno, non toglie la sua caratteristica rivoluzionaria. La rivoluzione porta le cose più avanti. L’esito di una rivoluzione non per forza porta a un incremento dei diritti, a un incremento delle libertà ma semmai a delle limitazioni di libertà che prima erano date per scontate. Un grande ruolo di questa rivoluzione è dato a Cesare (ma anche a Pompeo), quello di preparare le condizioni per la grande e definitiva trasformazione che avverrà con Ottaviano Augusto. Syme aveva un grande talento letterario con cui sbozzava certi personaggi quasi evocandoli e cercando di tratteggiarne gli eventi politici e individuali. Nel capitolo 8 di Marisa Ranieri Panetta troviamo una descrizione del 15 marzo 44 a.C. mista alla descrizione di Plutarco nella vita di Bruto della giornata. L’episodio delle idi di marzo nel totale della vita di Cesare raccontata da Plutarco, dal punto di vista quantitativo occupa relativamente poco (5/6 capitoli). In modo particolare quello che accade a Cesare il 15 marzo si sviluppa in 5 capitoli di media lunghezza. Plutarco fa sempre finire le sue opere e nella vita di Alessandro non abbiamo la chiusa, che è andata persa. Da un punto di vista storiografico e di analisi del testo interessano i capitoli che vanno dal 63 al 69 con il loro contesto immediatamente precedente. Se noi volessimo pesare tutto questo, questo peserebbe meno di un decimo dell’opera ma se lo leghiamo ad una serie di anticipazioni, vediamo che la situazione cambia decisamente. Non dobbiamo quindi solo considerare quei capitoli ma cominciare dal capitolo 56, dove vediamo i primi segnali che poi portano allo sviluppo degli eventi. Questa serie di artefatti non è completa se non si considerano anche alcune fonti di Plutarco che evoca nel corso della narrazione e alcuni commenti con i quali interviene per connotare la piega che hanno preso i fatti (osservazioni extradiegetiche, osservazioni che Plutarco commenta). Abbiamo il blocco dei fatti con gli artefatti, delle fonti e dei commenti. Siamo nel periodo degli antefatti. Al capitolo 56 succede per la prima volta qualcosa di cui non si era mai parlato in precedenza. Si parla della grande battaglia tra i cesariani e i figli di Pompeo, battaglia di Munda e qui Cesare ne uccise più di 30 mila ma perse i suoi migliori soldati. Vengono nominati gli amici (forse anche Asinio) e a loro dice che per la prima volta aveva avuto paura di perdere e per la prima volta aveva lottato per la vita (e non per la vittoria). Anche nella vittoria c’è stato un pericolo per Cesare. Questo ha un rintocco un po’ sinistro insieme al fatto che la paragrafo successivo ci viene detto che questa fu l’ultima guerra che Cesare 22 combatté. Sta per accadere qualcosa. Il trionfo che ne derivò turbò molto i romani perché Cesare non aveva distrutto dei barbari ma la stirpe di Pompeo, quindi celebrava sulla morte di cittadini romani. Questo quinto trionfo di Cesare è quindi particolare. Cesare rischiò la vita e combatté per l’ultima volta. C’è una screziatura corrosiva nei confronti del personaggio che ha fatto qualcosa che sarebbe stato meglio non facesse. Nel capitolo successivo i Romani cominciano ad eleggere Cesare a dittatore a vita, quindi una tirannide e rende Cesare odioso anche alle persone moderate. In questo modo si accumularono tantissimi pretesti contrari a lui, tantissime accuse. C’è un consenso tra oppositori e adulatori che per motivi diversi concorrevano a un unico fine. Alla fine del capitolo ritorna il tema della morte quando gli amici lo esortano a prendere una guardia del corpo e Cesare dice: meglio morire una volta per tutte che aspettare sempre di morire. Al capitolo 58 si segmenta ancor di più il corpo sociale intorno a Cesare e si parla degli ottimati, la classe dirigente romana. poi di tutti e poi di molti. Al 58 e 59 si sviluppano i progetti e le idee di Cesare in particolare il calendario, i suoi studi, le sue passioni, …. Capitolo 60. Ritorna il tema della morte legata all’aspirazione al regno. Qui si parla di popolo, di cui Cesare era stato il dominatore, il conoscitore più sicuro. La causa di questo odio è l’aspirazione al potere assoluto, a una sorta di regno. Qualcuno lo acclama ma molti no, non solo nel Senato ma anche nel popolo. Cesare si avvede di un momento di difficoltà nel suo seguito e dice che è pronto a lasciarsi colpire da chi vuole. Il tema della morte diventa sempre più pervasivo e frequente. Nel capitolo 61 vediamo il famoso episodio dei Lupercali. Questo tema di tensione e frizione che si comincia a percepire tra Cesare e il popolo cresce. Il popolo applaude dei personaggi chiamandoli bruti perché era stato Bruto che aveva posto fine alla monarchia e dato il via al potere del popolo. Bruto discendeva da uno dei grandi personaggi del passaggio da monarchia a repubblica. La fine della monarchia è allusa in questo capitolo 61. Il capito 62 va sempre più vicino alle idi. Abbiamo lo sguardo di Cesare nei confronti di Bruto e di Cassio. Bruto impedito dal prendere l’iniziativa di dissolvere il potere monarchico dai favori di Cesare che gli aveva salvato la vita dopo Farsalo. Bruto e Cassio sono visti attraverso gli occhi di Cesare. Cesare che comunque nutre qualche sospetto sui due in un passo famoso ci dice la differenza tra i due e i suoi fedeli Antonio e Dolabella. I pallidi e magri sono Bruto e Cassio (Cassio era il più anticesariano di tutti). Questi antefatti sono preparati in modo tale da inserire il tema della morte di Cesare attraverso tutta una serie di elementi che si dispongono nella molteplicità dei punti di vista, creando un’oscillazione nella narrazione che ha comunque ben chiaro il tema della morte di Cesare. Al capitolo 63 è introdotta la giornata della morte con la tecnica che da una copertura numinosa ancor prima di religiosa a ciò che deve venire. Il capitolo presenta una serie di episodi numinosi e li commenta e li lega con delle fonti. Inserisce anche il suo commento. In apertura Plutarco scrive Ma sembra davvero …. Questi prodigi non son qualcosa di straordinario che è accaduto, c’è un destino inevitabile. Il giorno prima Cesare era stato invitato a pranzo. Come al solito firmava delle lettere seduto a mensa. A mensa gli uomini parlavano di morte e parlano di quale sia la morte migliore, Cesare dice che la migliore è quella inattesa. Poi si corica accanto alla moglie Calpurnia che nel sonno emette lamenti inarticolati, le sembrava di piangere il marito morto. Altri dicono che le parve di piangere perché aveva visto crollare un fastigio sulla casa di Cesare come racconta Livio. Era una notte piuttosto agitata. Cesare vede la moglie sconvolta e si preoccupa un po’. Connotazione duplice dell’inevitabile nel destino ma anche nel desiderio di Cesare che vuole una morte inattesa. L’universo femminile in base a tutta una tradizione da ricondurre a figure della mitologia greca, della tragedia, … l’universo femminile sensibile fa da cassa di risonanza particolare, da veicolo che agisce sul singolo riportandolo all’attenzione specifica nei confronti dei segni che giungono da un'altra dimensione. Il numinoso con cui Cesare di confronta è riattualizzato e personalizzato grazie alla presenza di Calpurnia. Questo espediente non è isolato e Plutarco vi ricorre spesso. Cesare compie diversi sacrifici che vanno male quindi manda Marco Antonio ad annullare la seduta del Senato. Nel capitolo 64 Decimo Bruto, che godeva della fiducia di Cesare, aveva una magistratura importante (pretore) partecipa alla congiura con Bruto e Cassio e temeva che se Cesare avesse lasciato il giorno la congiura sarebbe stata scoperta. Esorta quindi Cesare a non annullare la seduta presentandosi come adulatore. Così facendo Decimo Bruto lo prende per mano e da casa sua lo porta fuori (dalla domus publica, la dimora del pontifex 25 destinata ad accadere. Se Plutarco vuole è capace di individuare i gruppi che sono motori dell’azione perché questa forma impersonale che agisce è presente. Anche nella scena della morte di Cinna troviamo la folla che non è identificata, è un segmento della popolazione (uno fra i molti). A Plutarco non interessa particolarmente insistere su questi aspetti. LA VITA DI BRUTO La vita di bruto è in stretta correlazione con quella di Cesare e lo dice lo stesso Plutarco che nomina la vita di Bruto in quella di Cesare. Plutarco ha il solito sguardo e controllo su ciò che fa, ciò che sviluppa. Gli studiosi, tra cui Pelling, che hanno analizzato il suo modo di stesura hanno ritenuto che Plutarco scrivesse una serie di vite in simultanea e che quindi avesse preparato un blocco di vite per una pubblicazione simultanea. Agli occhi del lettore anche se escono in tempi diversi fanno tutte parte di un medesimo intento. È inutile interrogarsi quale sia venuta prima e dopo ma è meglio cercare la differenza nei tempi di divulgazione presso il pubblico all’interno di un disegno collettivo, Plutarco era impegnato soprattutto nella stesura delle ultime vite a una certa distanza rispetto alle altre (Cicerone e Lucullo sono anteriori rispetto a Cesare, Pompeo, Catone, Antonio e Bruto, scritte dopo rispetto alle altre). La vita di Bruto è piuttosto lunga, non come quella di Cesare e Alessandro. I fatti del 15 marzo, dalla notte fino alla morte violenta in Cesare si sviluppa in 6 capitoli mentre in Bruto in 7. Molto più ampio è il discorso relativo all’antefatto, in Cesare occupa 7 capitoli con accenti staccati (in due capitoli non ci sono ma serve per ricalcare la sorta di Cesare). Il discorso relativo alla preparazione sviluppa ben 9 capitolo in Bruto. Vediamo la cospirazione non con gli occhi di Cesare ma nel suo farsi e nelle prospettive di Bruto a cui si collega anche Cassio, l’altro protagonista. Questi due protagonisti preparano la congiura e poi vediamo la loro caratterizzazione dei protagonisti. La vita di Bruto ha degli aspetti politici più forti di quella di cesare nel senso di caratterizzazione politica e morale dei protagonisti. C’è minore attenzione per il giudizio del fato ma non manca il demone. C’è un blocco di testi ai quali Plutarco ha fatti riferimento. Bruto era egli stesso un autore (Ciceorne lodava le sue qualità di oratore e autore). Le lettere di Bruto sono considerate all’interno del testo. Nei capitoli 21 e 22 troviamo riferimenti alle sue lettere che Plutarco aveva a disposizione. Due fonti sono molto importante: l’amico di Bruto, che frequentava la sua dimora, Artemidoro ed Empilo (la sua cronaca dell’omicidio di Cesare era breve ma molto apprezzata). Il personaggio viene calato in un contesto che non è generalmente filo-ellenico ma è qualcosa che aderisce alla scuola platonica. Bruto attiene alla tradizione del platonismo romano, alla tradizione originaria. Il platonismo è il filone principale della formazione principale di Plutarco. Plutarco dista da Platone e Socrate di circa mezzo millennio. La vita di Bruto è accostata alla vita di Dione, col quale Platone stesso era stato in rapporto epistolare. A Plutarco interessa il quarto secolo greco e il primo romano. È come se Plutarco avesse inclinazione per i personaggi che preparano le grandi trasformazioni. Sia Dione che Bruto sono entrambi frutti del grande albero platonico, all’ombra del quale stava anche Plutarco. Abbiamo nei confronti di Empilo e della scuola platonica una particolare attenzione. Altro personaggio importante è Porcia, la sposa di Bruto. Porcia sposò Bruto in seconde mozze, dal primo matrimonio aveva avuto un figlio autore di un libricino sui fatti più memorabili di Bruto, favorevole a lui. Il libro è menzionato anche da Plutarco. In questo tessuto ampio e articolato spiccano i caratteri dei due maggiori congiurati. Due sono gli elementi che meritano di essere sottolineati. Nel capitolo 6, quando Bruto si è già presentato, si è parlato delle origini della madre (Servilia era la sorella di Catone Minore l’Uticense, lo zio di Bruto, nonché la mistress costante di Cesare, la sua famosa amante tanto che Bruto potrebbe essere figlio biologico di cesare stesso. Questo giustificherebbe le ultime parole di cesare che leggiamo in Svetonio al capitolo 68. Ci dice che gli avrebbe parlato in greco). La parola chiave che caratterizza Bruto sin dall’inizio è la parola greca embrithès, inflessibilità del suo carattere. Bruto non dava mai ascolto a chi implorava un suo favore e la usa condotta era sempre condizionata dai suoi nobili propositi. In questo è molto vicino a Catone l’Uticense. Cesare che si da agli altri mentre catone (e Bruto) che negano a sé stessi. Bruto non è un altro Catone: è austero e severo ma gravitas, grave, profondo, pensoso, 26 cogitabondo che sempre cerca di farsi guidare dalla ragione verso intenti nobili e significativi. È una caratterizzazione positiva anche se si sarebbe apprezzata maggiore diponibilità bruto incarna la figura del pensatore e filosofo grave. Cesare non era per niente così, aveva altre caratteristiche. Il figlio della donna prediletta da Cesare, il nipote di Catone il più severo degli uomini trova un genero che è la sua antitesi. La sorella di Bruto, Tertulla, è un personaggio che è l’antitesi di Bruto come Cassio, un uomo impulsivo. La caratteristica di bruto è la gravitas, quella di Cassio è l’impulsività, un uomo collerico, non stabile, agitato dalla passione. Bruto non apprezza la monarchia di Cesare mentre Cassio aveva un rancore di carattere personale, odiava Cesare. Bruto e Cassio erano cognati ma erano stati dalla stessa parte all’epoca della guerra civile tra Cesare e Pompeo ed erano stati dalla parte di Pompeo. Il padre di Bruto venne ucciso ignobilmente da Pompeo quindi Bruto aveva ragioni personali di risentimento verso Pompeo, si schiera comunque con lui. Dopo Farsalo Cesare lo perdona (clemenza) e si avvale del suo consiglio, aveva tutto ma c’era Cassio. Nel capitolo 16 della vita di Pompeo siamo in un momento compulso della storia della repubblica che fa seguito al tirarsi fuori di Silla dalla contesa politica. Abbiamo Lepido che aveva portato avanti una ribellione e grazie alle milizie di Bruto padre controllava la Gallia cisalpina. Pompeo si impadronisce delle città italiane tranne Modena dove rimane accampato contro Bruto. A un certo punto Bruto si mise nelle mani di Pompeo ritirandosi vicino al po’ e il giorno del suo arrivo venne ucciso da un sicario di Pompeo che venne accusato. Il Bruto che con Cassio uccise Cesare era figlio di questo Bruto. Bruto figlio era completamente diverso dal padre. Il figlio era un grande studioso e comandante militare. Bruto muore da eroe mentre il padre morì da pezzente. Questo rapporto figliale tra Cesare e Bruto è formidabile. È lo sfondo su cui viene costruita la biografia. Il principale campione dei congiurati era colui che era più vicino a Cesare e destinato a succedergli per primo. È un piccolo gruppo quello della congiura. Cassio molto seccato nei confronti di Cesare perché aveva affidato la procura che voleva a lui ad altri. L’impresa di Cassio consisteva nell’uccisione di Cesare ma non calcolò tutte le conseguenze. Per questa impresa aveva bisogno di un uomo come Bruto che desse il via all’opera, consacrandola come un sacrificio di cui Bruto è il sacerdote. Se non ci fosse stato Bruto sarebbero stati meno ispirati tutti i congiurati. Cassio fa leva sull’aspirazione di Bruto di essere il campione delle rivendicazioni non del populino ma dell’élite a cui apparteneva per virtù familiare. Viene esortato al cesaricidio in nome della sua stessa gravitas. Tutti i congiurati furono attratti dalla reputazione di Bruto che diventa il garante dell’operazione. Oltre alla morte di Cesare però non c’è un fine per la congiura. Tutti portarono avanti la cosa silenziosamente. Bruto non pensa al proprio rischio ma a quello dei suoi compagni, pensa che se venissero scoperti i suoi compagnia sarebbero morti e questo lo tiene sveglio la notte. Arriva la moglie (Porcia, figlia di Catone) che si accorge del fatto che Bruto è preoccupato (come nella vita di Cesare ma invertito). Plutarco ha simpatia per Porcia. Porcia non interrogò il marito prima di aver messo alla prova sé stessa. Prese una lametta, fece uscire le ancelle dalla camera e si taglio la coscia in modo profondo. Bruto ne fu smarrito e soffriva per lei. Al culmine della sofferenza Porcia gli chiese cosa succedeva. La transizione del numinoso femminile è constante. Tutto questo è la preparazione del 15 marzo del 44 a.C. I congiurati decidono di agire il giorno in cui si sarebbe riuniti senza destar sospetto, giorno in cui si riunivano i cittadini più importanti che una volta morto Cesare pensavano si sarebbero uniti al loro progetto di libertà. Torna il numinoso. Bruto esce di casa (come fece Cesare), cinge sotto la veste un pugnale senza che nessuno veda tranne la moglie che lo confronta (quindi le ha detto il piano dei congiurati). Gli altri congiurati si riuniscono da Cassio e vanno verso la stanza di Pompeo. Nel frattempo la moglie svalvola e tutti credono sia morta quindi mandano un messaggero a Bruto che nonostante ciò rimane e non abbandona i compagni. Arriva Cesare e gli si precipita incontro uno dei senatori con cui chiacchiera. I cospiratori pensano che quel senatore sappia tutto e gli stia rivelando la congiura. Quindi non aspettano e appena Cesare si avvicina sfonderanno i pugnali e lo attaccano. Rispetto alla vita di Cesare manca Artemidoro con il papiro ma i congiurati non potevano saperlo. 27 La resistenza di Cesare è prima dell’attacco violento. Nella sua vita invece resiste all’attacco. Casca sfodera il primo attacco da dietro e poi il racconto è come nella vita di Cesare. Qui però Cesare non combatte e vede Bruto che sta per colpirlo e quindi si abbandona ai colpi degli assalitori. Comincia il tempo nuovo: Cesare non c’è più. Lezione 13: 19/05/2022 Il giudizio di Plutarco su Cassio è completamente diverso da quello su Bruto, Cassio è nemico di Cesare e non della tirannide, è un uomo impulsivo, è misokaisar più che misotyrannos. Completamente diverso Bruto, moralmente significativo e caratterizzato dall’embritheia (in latino gravitas). Catone Uticense è soprattutto austero e severo mentre Bruto è soprattutto grave. Lo spazio interiore di Catone è quello della rinuncia, del togliere il superfluo, ridursi all’essenziale, al quasi niente in opposizione al Casare di Sallustio che ha un’ispirazione a tutto. Lo spazio di Bruto non è quello della rinuncia ma quello dell’approfondimento, della continua veglia, del continuo ruminare i temi che gli stanno a cuore. Lo spazio di Bruto è della gravitas, della meditazione. Plutarco cerca l’aneddoto significativo che gli permetta di caratterizzare un personaggio ancor più delle battaglie, delle vittorie, …. L’aspetto di bruto che più si impone è il fatto che è sempre sveglio, non dorme mai, non si rilassa mai, non si lascia andare mai. Anche altri congiurati possono esprimere questa aderenza alla propria missione e lo si vede nel passo in cui c’è il momento di suspense nel quale tutti i congiurati sono in attesa del momento fatale ma non deflettono dai loro doveri. Stava per arrivare il momento fatale ed erano comune li centrati sul loro obbligo lavorativo. Hanno però intenti diversi: quello che trattiene Cesare, quello che gli strappa un favore, quelli che si mescolano ai congiurati cesaricidi come se anch’essi avessero preso parte all’omicidio. Nei confronti di Bruto Plutarco ha uno sguardo simpatetico perché provengono dagli stessi studi. Bruto alla fine tradisce quel Cesare che lo aveva sempre tenuto in gran conto e che probabilmente sarebbe diventato suo erede. Nella scena della morte di Cesare anche Bruto riceve un colpo. Il tema del corpo segnato è un tema forte. Nell’epoca romana del I secolo a.C. l’idea di segnare il corpo ed esporlo come un testo è qualcosa di molto interessante Sallustio nel Bellum Iugurtinium scrive che Mario (populares) espone il suo corpo davanti ai suoi soldati. Lui espone ed esprime la sua differenza rispetto ad altri, gli esponenti degli ottimati che sono persone di studio, che leggono e scrivono ma il suo corpo segnato di cicatrici è come se fosse un libro. Questo tema del corpo parlante è frequente. Cesare è morto e Bruto vuole parlare, trattenere i senatori con frasi d’incoraggiamento (non a continuare nel cesaricidio) ad affrontare il tempo nuovo, a non lasciarsi andare. Il tiranno non c’è più. Si sarà ispirato alla tradizione degli antichi (io sono Bruto e così come un bruto mezzo millennio fa fece questo, fidatevi, in me parla la voce di quel Bruto e di quel pubblico). Ci sarà anche il volere divino perché noi abbiamo liberato la res publica da un pontifex maximus che era diventato un tiranno e se la nostra impresa è riuscita è perché gli dei sono con noi, quindi sono nel giusto e non bisogna aver paura di loro. Bruto avrà incoraggiato a riottenere i frutti della libertas. Nella vita di Cesare invece Bruto si fa avanti per dire qualcosa sull’accaduto. Il tema della libertà ritrovata è importantissimo ed è anche rappresentato in alcune monete auree di cui si sono pochissimi esempi. I simboli della congiura sono due pugnali e tra di essi una sorta di elmetto che si chiama tecnicamente il berretto frigio che era il dono che veniva fatto dai padroni agli schiavi quando venivano liberati, era il simbolo del liberto con la scritta eid mars, idi di marzo. Rappresenta quindi il giorno in cui è stata riconquistata la libertà. La ricezione dei cesaricidi nella storia della cultura occidentale è importante il berretto delle idi diventa ad esempio il berretto dei rivoluzionari in Francia nella rivoluzione francese, è il berretto a Firenze quando nelle monete della Firenze rinascimentale battute da Lorenzino de’ Medici che uccise uccide un cugino e si ispira a Bruto dopo le idi di marzo, presentandosi come un nuovo Bruto. 30 perché in città stanno affluendo i soldati di Cesare (che hanno ottenuto case e terre come premio per il loro servizio). Il rapporto tra soldati, comandanti militari e terre è molto forte. Nel maggio del 44 a.C. arriva sulla scena Ottaviano destinato a cambiare la scena (è il nipote adottato da Cesare). Ottaviano arriva a Roma (nonostante avesse già incassato il testamento decide comunque di tornare a Roma), occupa la scena e stringe in torno a sé i soldati di Cesare. Capisce subito cosa deve fare (Ottaviano aveva combattuto con Cesare una volta contro i figli di Pompeo in Spagna). Nella politica romana non si parla più di cesaricidi e cesariani ma si creano due fazioni nel partito cesariano: quello di Cesare Ottaviano e quello di Antonio. Cicerone abbraccia la causa di Ottaviano perché odiava Antonio. Bruto sperava che Cicerone potesse essere in suo favore invece diventa in favore del figlioccio di Cesare. Nel frattempo continuano ad affluire a Roma soldati che vengono a riempire le fila o di Cesare o di Marco Antonio. Non c’è posto per i congiurati che decidono di abbandonare l’Italia. C’è poi la scena dell’ultimo incontro tra Porcia e Bruto. Porcia poi scompare dalla narrazione per ricomparire alla fine quando si suicida in modo memorabile. Catone, il padre morì in modo atroce, così la figlia. Un altro dei grandi segreti degli storiografi classici è il ricorso a Omero (oltre che al contrasto, al confronto e all’aneddoto). Nella storiografia antica uno dei temi ricorrenti è marcare le scene madri con il ricorso a Omero. Per esempio Polibio che detestava la storiografia classica e preferiva quella tecnica, davanti a una scena madre come Scipione l’Emiliano che dà fuoco a Cartagine cita un passo memorabile dell’Iliade in cui si fa riferimento al giorno in cui anche la sacra rocca di Troia cadrà, e prevede una sorta di fine anche per Roma. quando Porcia e Bruto si salutano Plutarco fa riferimento al saluto tra Ettore e Andromaca. Questo è riferito dal figlio Bibulo. Bruto a Filippi la sua battaglia l’aveva anche vinta e chissà cosa sarebbe successo se non ci fossero state incomprensioni tra Bruto e Cassio. La vittoria di Bruto non fu sufficiente. L’elemento sociale che finora non si è mai visto è quello dei soldati. Bruto e i congiurati volevano tenere il cesaricidio come una sorta di dramma interno nella sala del Senato, parlare davanti e al popolo e poi tornare alla vita di prima. Antonio però spettacolarizza il funerale (Antonio che Bruto aveva tenuto in vita nonostante tutti lo volessero far fuori). LA VITA DI MARCO ANTONIO La vita di Maroc Antonio è una delle più belle biografie del mondo antico perché è costruita come una tragedia (è entrambe le cose). in questo schema tragico vediamo come il personaggio è sia vizi che virtù, dove passa da momenti di estrema rovina a estrema gloria è iterato, succede più volte. È una sorta di iterazione dello schema tragico, è ripetuto. Nel capitolo 11 troviamo il legame tra Antonio e Dolabella, che compare sempre in relazione ad Antonio (prima sempre Antonio poi Dolabella). In questo capitolo troviamo ancora il fatto di Cesare che dice di tenere di più i pallidi e sottili (Bruto e Cassio) piuttosto che i grossi. Troviamo poi la scena della corona d’alloro che Cesare rifiuta. Troviamo uno dei commenti di Plutarco, è la prima volta che commenta questa scena. Plutarco dice che già il popolo era suddito di un “re” quindi che senso ha prendersela per questo gesto. Sembrerebbe un commento indiretto critico come l’avrebbe fatta Cassio, perché prendersela tanto quando il popolo orami viveva come suddito di un re, era solo una finzione troviamo poi la scena in cui Cesare offre la gola. Abbiamo la ricostruzione della congiura vista nella prospettiva di Antonio. Plutarco ci dice che i congiurati pensavano di prendere Antonio con loro ma Trebonio si rifiutò (Trebonio era colui che aveva trattenuto Antonio). Trebonio si rifiuta perché al rientro da una guerra in Spagna aveva viaggiato, mangiato e dormito nella stessa tenda di Antonio. Trebonio aveva sondato il suo pensiero con clama. Antonio capì dove Trebonio voleva arrivare ma fece finta di nulla e non disse niente a Cesare. I congiurati quindi decidono di ucciderlo dopo Cesare ma Bruto si oppone. Trebonio trattiene Antonio e la stessa scena è raccontata anche in Appiano nel libro delle guerre civili. Nella vita di Cesare a trattenere Antonio fuori dall’aula è Decimo Bruto, quello che aveva portato fuori casa Cesare. Tutto viene fatto poi come concordato ma non viene descritto il cesaricidio perché Antonio non l’aveva vista. Antonio indossata una veste da schiavo si nascose subito dopo l’omicidio perché forse qualcosa sapeva ma appena scopre che i congiurati non lo stavano cercando e stavano sul Campidoglio, li persuase a scendere e consegnò come ostaggio il figlio. Ci sono poi gli inviti a cena (lui invita Cassio mentre Lepido (che diverrà pontifex maximus fino a che non verrà sostituito da Augusto) che quel giorno non era 31 presente invita Bruto). Antonio convoca il Senato in quanto console e parla in favore di un’amnistia e parla in favore dell’assegnazione di un governo popolare ai congiurati. L’iniziativa politica l’ha presa Antonio e il Senato approva senza cambiare nulla di quello che fece Cesare. Antonio ne esce come eroe, come coli che ha evitato una guerra civile. Antonio è un cesariano un po’ ambiguo. Le cose cambiano perché Antonio dissipa gli apprezzamenti dopo aver guadagnato una grande popolarità. Se Antonio avesse rovesciato Bruto sarebbe stato lui il primo (o almeno così troviamo scritto). Nel giorno dei funerali di Cesare pronunciò l’elogio di Cesare nel foro poi succede che quando si accorse che il popolo era trascinato e ammaliato dalle sue parole, mescola alle lodi espressioni di pietà e orrore per Cesare. Al momento di chiudere l’orazione mostra il copro del defunto definendo i cesaricidi scellerati assassini. Antonio è l’uomo che non è capace di misura sia in positivo che negativo. Vede che le sue parole hanno effetto e va al di là. Non sappiamo se avesse calcolato l’effetto di tutto questo. Il risultato è che i cesaricidi fuggono e gli amici di Cesare si coalizzano con Antonio. La moglie di Cesare si fida di lui, gli affida tutte le carte di Cesare e aggiunge ciò che gli piace, libera persone, fa tornare uomini dall’esercito, …. Antonio si fa profeta di Cesare. Ma tutto ciò che fece lo fece arbitrariamente. Arriva poi Ottaviano che nella vita di Cesare non è stato nominato, in quella di Bruto è nominato e qui è ancora meglio analizzato. Per prima cosa saluta Antonio poi chiede il denaro di Cesare che Antonio aveva in deposito. Antonio si oppone un po’ quindi Ottaviano si appoggia a Cicerone che gli fornisce altri appoggi influenti. Ottaviano poi lega a sé il popolo perché è l’erede di Cesare e distribuisce le ricchezze al popolo. Ottaviano agisce sul consenso popolare, la forza militare e l’influsso dell’élite (grazie a Cicerone che Bruto sperava di avere per sé). Per marcare eventi significativi arriva l’elemento numinose, una visione strana durante il sonno. Un fulmine che colpisce la mano destra, quindi significa che qualcuno sta complottando contro Antonio. Il conflitto tra i due diventa più forte tanto che Antonio patì anche la fame. Antonio non si lasciò andare nonostante fosse abituato al lusso (che non sarà nulla in confronto a quello che vivrà con Cleopatra) e mangia cibo marcio, beve acqua schifosa, … dimostra di essere un esempio per i soldati ma anche per Plutarco (Plutarco scrive le vite degli altri per trovare l’impronta, il volto della propria anima). È una delle riflessioni morali. Discutono poi delle liste di proscrizione che Cesare non aveva mai utilizzato. Ciascuno pretende di far morire i propri nemici e salvare gli aderenti. Si arriva però poi a dimenticarsi gli affetti e gli amici (ad esempio a Lepido viene lasciato uccidere il fratello, ad Antonio lo zio). Plutarco scrive che non è mai esistito un modo più brutale di questo in cui amici e parenti venivano uccisi. Plutarco usa parole forti, parla in modo diretto (atto culmine della barbarie). Arriva la scena atroce della morte di Cicerone. Antonio ordina che la testa e la mano destra con cui aveva scritto le Filippiche contro Antonio vengano mozzate quando questo avvenne Antonio rise molto forte. Antonio manca di misura ma anche di hubris, la tracotanza. Dopo la morte di Cesare Antonio ebbe un ruolo enorme. Questa sua mancanza di misura, incapacità di controllare gli effetti della sua azione, fu l’elemento che scatenò una serie di eventi che avrebbero potuto prendere una piega diversa se Bruto avesse ceduto alla ragione politica e di stato che gli altri congiurati volevano. Se noi volessimo considerare i congiurati veri o presunti che sono menzionati nella vita di Antonio (che non descrive la scena del cesaricidio) ne troveremmo ben pochi. Troviamo nominati Antonio e Dolabella (pseudo congiurato), Bruto e Cassio (congiurati) e poi Trebonio (congiurato che è cesariano e non filo pompeiano). Tutti gli altri non hanno nome. Non troviamo molto nella vita di Antonio. Cambia la situazione nella vita di Cesare in cui sono nominati nel capitolo 62 in ordine Bruto e Cassio, poi Antonio e Dolabella (che vengono accusati davanti a Cesare di essere dei traditori, ma colui che lo dice non viene mai nominato), al 64 Decimo Bruto che esorta Cesare a uscire dalla domus pubblica. Poi altri due nomi Tillio Cimbro (che da il là all’azione tirando giù il mantello a Cesare) e Casca (che lo colpisce per primo e lo fa anche male perché Cesare gli blocca la mano e gli parla in latino mentre l’altro in greco). C’è poi il riferimento ad altri ma senza nomi. La vera analisi dei congiurati la troviamo solo nella vita di Bruto che è una sorta di lungo arco narrativo che va dal capitolo 8 al capitolo 17. Prima di trovare altri personaggi identificati, al capitolo 10 troviamo un riferimento agli amici di Cassio coinvolti nella congiura: la ricerca di una cerchia, di un consenso. Nella vita di Bruto attraverso Cassio 32 troviamo per la prima volta la ricerca di un consenso. Il primo attore dell’azione è Cassi oche cerca il consenso e non Decimo Bruto. Il primo congiurato che da un’adesione ideale è Gaio Ligario, amico di Pompeo ancora ostile a Cesare e amico intimo di Bruto. Il tema della ricerca della cerchia continua. Non ne parlano a Cicerone e lo tengono all’oscuro perché ha la bocca troppo larga. Bruto, tra i suoi compagni, lascia da parte Favonio e Statilio. All’interno della cerchia anti cesariana c’erano una notevole varietà di atteggiamenti. Favonio pensava che piuttosto della tirannide c’era di peggio la guerra civile. Quindi Cesare andava bene purché non scoppiasse una guerra civile (anche Ottaviano, nonostante avesse approvato le liste di proscrizione, evitò a tutti i costi la guerra civile, cercò di riportare la pax nel mondo romano a tutti i costi). Statilio ritiene che il saggio non deve turbarsi perché qualche sciocco si agita troppo per questioni politiche, segue un’ideale epicureista. Labeone replica a entrambi mentre Bruto sta zitto. Mentre Favonio e Statilio restano estranei, Labeone prende parte alla congiura. Nella vita di Bruto entriamo nel meccanismo narrativo. Nella vita di Antonio la congiura non è analizzata, in quella di Cesare vediamo lo sviluppo narrativo dell’omicidio, in Bruto entriamo nel meccanismo della fabbricazione della congiura nei modi che interessano a Plutarco. A un certo punto vi fu un personaggio interessante della cultura italiana, Umberto Silvagni (biografo) che disse che il Bruto al quale Cesare si riferì in punto di morte sarebbe stato Decimo Bruto e non Bruto. Plutarco nella vita di Bruto non fa nessun riferimento alla famosa frase quindi potrebbe essere vero. Decimo Bruto era filo cesariano quindi potrebbe essere. Lezione 15: 25/05/2022 Chi trattenne Antonio fuori dall’aula intrattenendolo? La critica è propensa a credere che nel capitolo 66 della vita di Cesare Plutarco abbai avuto una sorta di lapsus e abbia inserito il suo nome al posto di quello di Trebonio. Questo è confermato dal fatto che in Appiano nel libro II capitolo 117 della guerra civile è ancora Trebonio che tiene Antonio fuori dall’aula. Abbiamo quindi due fonti importanti che la critica ritiene che potrebbero derivare dalla fonte comune Asinio Pollione (forse). In un caso abbiamo espressamente Trebonio (in Bruto e Appiano), poi Decimo Bruto (Cesare) e un qualcuno non nominato ma poi espresso qualche linea dopo Trebonio (in Antonio). Nella vita di Antonio è dato pochissimo risalto ai congiurati: abbiamo Antonio e Dolabella, Bruto e Cassio e Trebonio. Nella vita di Cesare troviamo riferimenti ai congiurati ma sono riferimenti staccati, non è ricostruito il progetto della congiura; tornano i nomi di prima più Decimo Bruto, Cimbro, Casca e gli “altri”. Nella vita a lui dedicata Cesare combatte per la propria vita mentre nella vita di Bruto abbiamo la ricostruzione della congiura, con Bruto, Cassio, Antonio, Dolabella, e gli altri personaggi come Ligario (capitolo 11), Statilio e Favonio (capitolo 12. Si tengono fuori dalla congiura), Decimo Bruto (capitolo 12). Decimo Bruto viene caratterizzato come persona non particolarmente attiva e audace ma forte perché aveva un numero ingente di gladiatori che allenava. Quando Cassio e Labeone cercano di cooptare Decimo Bruto questo resta prudente ma quando viene a sapere che la congiura trova in Bruto il suo referente ecco che Decimo Bruto accetta di collaborare. L’ago della bilancia è Marco Giunio Bruto. Decimo Bruto Albino aveva una forza notevole. È la prima volta in cui troviamo un riferimento a una forza fisica e militare da parte dei congiurati. A cosa serviva questa presenza dei gladiatori che erano a disposizione di Decimo Bruto? La forza militare viene evocata in riferimento all’azione di Ottaviano e di Marco Antonio quando arruolano soldati veterani di Cesare. Troviamo qui un primo riferimento ai congiurati e alla loro forza. Il primo gruppo comprende di congiurati era un malcapitato. Gli altri congiurati migliori furono attratti dalla reputazione di Bruto. Il fatto che lui stia con la congiura è ciò che fa prendere la decisione agli altri. Non fanno giuramenti ma procedono nel loro progetto. Poi vediamo che accade progressivamente che uno dei cospiratori, Casca viene cooptato nel capitolo 15. Compare poi Popilio Lenate che si unisce e sarà lui a trattenere Cesare nel momento in cui entra nella sala (i congiurati pensavano che stesse per rivelare qualcosa, invece era di interesse personale). Abbiamo poi la narrazione con Tilio Cimbro che tira via la veste a Cesare, Casca che lo colpisce e Cesare reagisce in latino mentre Casca rivolgendosi al fratello in greco. Abbiamo qualche nome in più e delle
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