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APPUNTI D MANAGEMENT D'IMPRESA/ GESTIONE D'IMPRESA, Appunti di Gestione Delle Operations

miei appunti personali presi interamente a lezione di management d'impresa; assolutamente sufficienti al superamento dell'esame e coerenti con il programma di quest'anno (il prof cambia spesso gli elementi del programma andando avanti con gli anni).

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 02/07/2024

dumbrunett3
dumbrunett3 🇮🇹

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Scarica APPUNTI D MANAGEMENT D'IMPRESA/ GESTIONE D'IMPRESA e più Appunti in PDF di Gestione Delle Operations solo su Docsity! APPUNTI DI MANAGEMENT D’IMPRESA E’ di fondamentale importanza differenziare il concetto di IMPRESA dal concetto di AZIENDA: la variabile che ci consente di differenziare i concetti è il termine “ECONOMICO”, ossia lo scopo di lucro; le aziende non è sempre detto che perseguano uno scopo di lucro mentre le imprese hanno sempre scopo di lucro e quindi valenza economica. All’interno delle imprese possiamo distinguerne di due tipologie: 1- IMPRESE DI PRODUZIONE: imprese che dopo aver acquisito le materie prime (input) le trasformano in prodotti finiti(output) con fase produttive ben separate e definite. 2- IMPRESE DI SERVIZI: come dice il nome stesso, si tratta di imprese che eroga dei servizi; si tratta di un’impresa caratterizzata dalla CONTESTUALITA’ dell’erogazione del servizio rispetto alla fruizione di tale servizio (questa tipologia di impresa infatti non può immagazzinare/produrre alcun prodotto, l’unica cosa che può fare è cercare di migliorare/aumentare l’andamento della domanda). Essendo l’impresa un COMPLESSO DI BENI specializzato organizzato per lo svolgimento di processi produttivi, essa è dotata di una STRUTTURA PATRIMONIALE. L’impresa è un’ORGANIZZAZZIONE ECONOMICA→ ciò significa che lo scopo primario dell’impresa è il soddisfacimento dei bisogni mediante l’utilizzo di risorse rinvenute in natura in misura limitata; l’impresa intesa come organizzazione genera delle UTILITA’ (concetto che viene percepito soprattutto dal mercato/ dalla collettività, è in base a come il mercato risponde alla proposta di prodotti/servizi di un’impresa che questi si possono definire utili o meno) per la collettività e per l’impresa stessa. Lo SCAMBIO è il momento in cui l’impresa interagisce con il mercato (in cui ci si rende conto della validità dell’attività aziendale svolta) nel momento in cui vi è una DOMANDA “NON DROGATA” (il prezzo viene proposto in maniera equa, se il prezzo fosse esageratamente basso allora parleremo di domanda drogata poiché ovviamente i clienti sarebbero più spinti ad acquistare quel prodotto visto il prezzo) nei confronti di un determinato prodotto. Possiamo definire l’impresa come un SISTEMA SOCIALE DI TIPO APERTO→per sistema si intende l’insieme/complesso di organi interdipendenti tra loro in cui ognuno ha una determinata funzione rispetto ad un obbiettivo comune; il termine “sociale” fa riferimento alle relazioni con tutti i soggetti portatori di interessi che l’impresa ha interesse ad avere per tutti i meccanismi di funzionamento dell’impresa: l’impresa è un vero e proprio centro di coagulazione degli interessi manifestati da diversi gruppi di soggetti. Per soggetti portatori di interessi si intendono gli STAKEHOLDERS: non si tratta solamente di soggetti che operano all’interno dell’impresa (dalla proprietà ai managers ai lavoratori) ma anche soggetti esterni all’impresa (fornitori, distributori, in generale soggetti che hanno rapporti contrattuali con l’impresa). L’impresa è un sistema aperto (ma anche chiuso poiché l’impresa ha ben delineati i propri confini sia fisici sia intesi come limite delle proprie attività aziendali) perché opera in relazione direttamente con gli SCAMBI (non solo dei prodotti ma anche scambi di informazioni/ conoscenze) con l’AMBIENTE ESTERNO (macroambiente) da cui acquisisce tutta una serie di input determinanti per il raggiungimento dei propri obbiettivi: esso è vitale per il funzionamento dell’impresa, infatti a seconda delle caratteristiche dell’ambiente esterno cambia tutto per l’impresa, dalle strategie adottate ai processi di funzionamento aziendale) e DINAMICO. Nonostante l’impresa sia un sistema aperto è però necessario per questa, demarcare i propri limiti; è importante quindi definire il così detto “CONFINE” ovvero quella linea immaginaria di demarcazione fra l’impresa e il mondo esterno: non si tratta di una linea che distanzia l’impresa dal mondo esterno (altrimenti verrebbe meno l’accezione di impresa come sistema aperto e dinamico) ma piuttosto rappresenta un confine oltre il quale si verificano situazioni che non dipendono dalle scelte dell’impresa. Il RISULTATO (è dato in funzione delle tre variabili: contesto interno/ esterno e decisioni) esprime l’esito di un’attività imprenditoriale in un determinato arco temporale: esso è un elemento determinate per quelle che sono le condizioni di esistenza e di sviluppo dell’impresa (poiché ci riferiamo alla capacità dell’impresa di operare in un contesto di equilibrio); questi sono anche determinati dalle decisioni derivanti dal contesto sia interno che esterno. I risultati possono essere espressi sia in termini ECONOMICI (si collegano alla condizione di equilibrio economico: capacità dell’impresa di remunerare in maniera congrua/ sostenibile i costi legati alla produzione attraverso i ricavi che vengono conseguiti) sia in termini FINANZIARI (si collegano alla condizione di equilibrio finanziario: capacità dell’impresa a far fronte alle uscite finanziarie attraverso le fonti finanziarie aziendali disponibili). I PROCESSI DI PRODUZIONE E DI CONSUMO→ si tratta di due processi imprescindibili: non può esistere impresa se non esiste sia un processo di produzione che un processo di consumo. 1- PROCESSO DI PRODUZIONE→ si tratta di un processo di trasformazione di un input (materia prima) in un output (prodotto finito)→ “core business”; se però si parla di un’impresa di servizi, utilizzeremo il termine “erogazione”. 2- PROCESSO DI CONSUMO→ si tratta del momento rappresentato dallo scambio/ vendita/ commercializzazione (se l’impresa producesse solamente senza scambiare niente, non potrebbe neanche chiamarsi impresa) attraverso il quale si concretizza la relazione con l’ambiente esterno. Affinché questi due processi possano attuarsi, per l’impresa è necessario prima di tutto individuare quelle che sono i BISOGNI e i DESIDERI che la collettività manifesta: prima ancora di produrre (soprattutto se si tratta di un’impresa che entra da poco all’interno di un mercato), l’impresa deve conoscere il mercato all’interno del quale ha intenzione di entrare ovvero quelli che sono i propri futuri interlocutori (clienti) e quelle che sono le necessità/bisogni/desideri di questi. I bisogni e i desideri sono dei veri e propri STATI DI MANCANZA: si manifestano poiché si sente la mancanza, si ha necessità di questi; Questi due elementi sono spesso in relazione tra loro: può infatti capitare di desiderare qualcosa di cui non si ha bisogno (situazione che si presenta soprattutto nelle società consumistiche) oppure si può avere bisogno di qualcosa che non si desidera (es un farmaco). I bisogni sono una SENSAZIONE PIACEVOLE PRESENTE che si vuole conservare o provocare: si tratta di una situazione piacevole poiché fa venire in mente quel determinato prodotto che permetterà di poter soddisfare tale bisogno; Il bisogno però può anche essere considerato come un qualcosa di negativo per qualcosa che non si possiede rispetto alla quale bisogna necessariamente far fronte. Abbiamo diverse tipologie di bisogni: 1- BISOGNI DIRETTI→ si tratta di un bisogno che un soggetto manifesta autonomamente. 2- BISOGNI INDIRETTI→ si tratta di un bisogno che un soggetto manifesta spinto da altri soggetti. 3- BISOGNI LIMITATI E ILLIMITATI→ questa tipologia di bisogni dipende dalla tipologia di beni con cui possono essere soddisfatti (possono essere beni presenti in natura in forma limitata come il bene economico o illimitata come ad esempio l’aria che respiriamo). 4- BISOGNI COMPLEMENTARI E SOSTITUTIVI→ anche questa tipologia di bisogni dipende dalla tipologia di beni con cui possono essere soddisfatti: i beni complementari sono dei beni che devono necessariamente essere utilizzati insieme (come ad esempio il dentifricio e lo spazzolino) mentre i beni sostitutivi sono dei beni che soddisfano un medesimo bisogno e che possono essere sostituiti (come ad esempio la pizza e il sushi che, anche essendo beni differenti, soddisfano entrambi il medesimo bisogno, ovvero la fame). 5- BISOGNI ELASTICI/ANELASTICI→ i bisogni elastici sono dei bisogni che vengono soddisfatti in relazione a quelli che sono i MEZZI DISPONIBILI (le disponibilità finanziarie di un soggetto); i bisogni anelastici invece sono quei bisogni che l’individuo cerca in ogni modo di soddisfare indipendentemente dalle proprie disponibilità finanziarie. 6- INDIVIDUALI E COLLETTIVI→ i bisogni individuali appartengono al singolo soggetto (lo caratterizzano), si tratta di bisogni diretti e personali; i bisogni collettivi invece sono quelli che derivano all’appartenenza ad una collettività. Possiamo classificare in maniera gerarchica i bisogni degli individui partendo da quelli di base sino a quelli di carattere più elevato come indicato dalla PIRAMIDE DI MASLOW: Il GRADO DI APPAGAMENTO di un bisogno indica quanto un determinato bene riesce a soddisfare il bisogno di un soggetto e ad appagare la mancanza. Per poter porre in essere questi determinati bisogni (per poterli soddisfare), vi sono delle azioni che gli individui possono compiere e queste sono: 1- MOTIVAZIONE→ essa indirizza le decisioni e il comportamento di un individuo verso il conseguimento di un determinato obbiettivo (soddisfare un bisogno); il grado di motivazione ovviamente cambia in base alla tipologia di bisogno. 2- COGNIZIONE→ essa comprende quelle che sono le aspettative individuali: determinate aspettative che spingono un soggetto al raggiungimento di un determinato obbiettivo (soddisfacimento di un determinato bisogno). 3- VINCOLO→ esso definisce le opportunità accessibili per ciascun individuo: per poter accedere ad una determinata categoria di prodotti necessari per poter soddisfare un determinato bisogno, è necessario considerarne i vincoli (esempio fattori economici o finanziari). Un BENE rappresenta l’atto e l’oggetto del processo di produzione e di consumo di qualsiasi tipologia di impresa; un BENE MATERIALE ECONOMICO deve essere coerente con le motivazioni individuali: affinché un bene possa soddisfare un determinato bisogno deve essere congruente con le motivazioni dell’individuo e quindi percepito come esistente e qualificato in maniera disponibile. Inoltre un bene economico può avere sia natura PRIVATA (quando questo può essere escluso dall’utilizzo di determinati soggetti a meno che questi non paghino un prezzo) sia natura CONTENDIBILE (quando può essere utilizzato solo da un soggetto e di conseguenza automaticamente gli altri non possono utilizzarlo). Un bene economico deve essere ACCESSIBILE in condizioni normali: non vi devono essere dei vincoli che impediscano di poter acquisire un determinato bene (ad esempio i prezzi troppo alti, beni non facilmente reperibili o beni che per essere reperiti necessitano di troppo tempo); inoltre un bene economico deve anche essere SCARSO: ovvero disponibile in misura inferiore rispetto al totale delle esigenze che possono essere manifestate dai soggetti interessati. Il concetto di bene economico si collega a quello di ATTO ECONOMICO→ ovvero le scelte che un soggetto liberamente (senza alcun tipo di costrizioni e in maniera consapevole) può porre in essere per soddisfare i propri bisogni con il minimo mezzo/ sforzo; l’atto economico si divide in 2 tipologie: 1- ATTI DI PRODUZIONE→ è un processo di trasformazione attraverso dei beni combinati tra loro (materie prime o semi lavorati) che subiscono delle trasformazioni (di stato, luogo o di tempo) sino alla produzione del bene finito da poter vendere; ovviamente l’attività di produzione viene attentamente pianificata da un soggetto imprenditore (non si improvvisa). a- TRASFORMAZIONI DI STATO→ si parte da un insieme di beni economici da cui, attraverso una serie di trasformazioni, si ottengono altri beni economici in determinate qualità/ quantità (dagli input produttivi si raggiungono degli output ovvero i prodotti finiti); è necessario però che il valore del prodotto finale (output) sia superiore rispetto alla somma di valore dei singoli materiali utilizzati (input). b- TRASFORMAZIONI DI LUOGO→ un bene economico originariamente disponibile in un luogo (a livello di materia prima) viene reso disponibile in un altro luogo dove verrà distribuito/ trasformato e venduto (ad esempio il petrolio che viene estratto in determinate parti del mondo e viene poi trasformato/raffinato in prodotti derivati in altre parti del mondo). c- TRASFORMAZIONI DI TEMPO→ un bene disponibile in periodo di tempo viene reso disponibile in un tempo successivo (ad esempio quando si ha una produzione in magazzino: si ha la possibilità di immagazzinare un bene per un determinato periodo di tempo per poi renderlo disponibile). Quando parliamo di OUTPUT (risultato finale di un processo di trasformazione) possiamo distinguere questa tipologia di beni in due tipologie: a- PRODOTTI FINALI→ si tratta di beni finiti, destinati direttamente al consumo: può essere collocato sul mercato. b- PRODOTIT INTERMEDI→ si tratta di beni che non sono direttamente disponibili per il consumo e che sono destinati ad essere ulteriormente trasformati in altri prodotti. I beni economici impiegati per l’attività di produzione, ovvero quei fattori produttivi elementari utili per la produzione, sono: lavoro (include la manodopera, l’impiego dell’attività umana e quindi le capacità, l’esperienza e le relazioni che un individuo possiede), capitale (macchinari, impianti, “know how” ovvero l’insieme delle conoscenze e di capacità) e terra (il luogo materiale utilizzabile a fini produttivi). I fattori della produzione possono assumere diverse classificazioni: La MONETA rappresenta il momento CONCLUSIVO di uno scambio; rispetto al baratto (prestazione e controprestazione di beni da un soggetto ad un altro), l’utilizzo della moneta ha ridotto la quantità di beni che un individuo doveva detenere affinché lo scambio potesse avere buon esito. Tra le caratteristiche principali della moneta ritroviamo: a- Il fatto che la moneta NON ABBIA UN VALORE INTRINSECO poiché ha sempre bisogno di un riferimento (ad esempio non potremmo mai dare un valore all’euro se non lo mettiamo prima in relazione rispetto al suo potere di acquisto). b- L’accettazione della moneta avviene su base FIDUCIARIA: ci deve essere un rapporto di fiducia tra colui che vende e colui che acquista (ciò facilita il compimento del processo di scambio). L’introduzione della moneta ha generato diversi EFFETTI tra cui la formazione di TRANSIZIONI REALI creando in capo ad un soggetto dei cicli di acquisti e di vendite ovvero costi (sacrifici) e ricavi (benefici) che nella loro differenza danno origine ad un reddito che ovviamente può essere positivo (quando i ricavi sono maggiori dei costi) oppure negativo (quando i costi sono maggiori dei ricavi). Nell’ambito degli scambi, che hanno come intermediario la moneta, questi cicli generano delle USCITE e delle ENTRATE di denaro (TRANSAZIONI FINANZIARIE): se l’individuo è un’acquirente allora andrà a corrispondere un quantitativo di moneta necessario per l’acquisto dei fattori della produzione al venditore/ fornitore; se invece l’individuo è un venditore allora avrà il diritto di ottenere un quantitativo di moneta per avere venduto dei beni all’acquirente. Grazie all’introduzione della moneta quindi questi cicli possono anche generare (sempre nell’ambito degli scambi) delle CONTROPARTITE: tra i soggetti CREDITORI e i soggetti DEBITORI (che si “impegnano/promettono” nel tempo ad adempiere al pagamento). Il processo di scambio consente a ciascun individuo di specializzarsi nella realizzazione di determinati prodotti/ combinazioni produttive che gli consentono di mettere a frutto le proprie competenze disponendo di altri beni anche se non sono prodotti da egli stesso: ogni soggetto è quindi in grado di acquisire dei beni economici che non sono creati da sé stesso. Infine è opportuno dire che i processi di scambio hanno favorito la SPECIALIZZAZIONE delle produzioni (si produce un bene piuttosto che un altro che magari sarà prodotto da qualcun altro) e la DIVISIONE DEL LAVORO; conseguentemente a ciò, si sono però inevitabilmente andati a creare dei problemi di cooperazione (poiché la produzione di un bene richiede la collaborazione anche di altri soggetti i cui bisogni/ desideri collettivi non sempre coincidono con quelli individuali per cui spesso si vende ciò che non è utile per la collettività) e di coordinamento (si tratta della creazione di barriere alla creazione di spazi di collaborazione interpersonali tra soggetti rendendo difficile lo svolgimento di determinate fasi produttive). Vediamo quindi come nessun soggetto basta per sé stesso, al contrario ognuno ha la necessità di altri soggetti sia per produrre i propri beni economici sia per scambiarne altri: è chiaro quindi che queste problematiche, anche se inevitabili, devono necessariamente essere gestite e soppresse. Ciò (il problema di raccordare le differenti esigenze e decisioni degli individui) ha portato a delle difficoltà nel rapportare questa tipologia di problemi nelle diverse società: si sono per questo creati dei sistemi economici differenti, delle modalità di collocazione delle produzioni/ dei mezzi produttivi differenti creando i presupposti degli ambiti istituzionali differenti (da un lato i sistemi socialistici in cui la proprietà delle attività economiche è accentrata nelle mani di un solo soggetto cioè lo stato e dall’altro i sistemi capitalistici caratterizzati dalla proprietà privata sui beni economici al fine di un proprio guadagno individuale). Possiamo poi definire: a- VALORE PERCEPITO→ si tratta di un valore soggettivo (ciascun soggetto lo decide) e non è altro che il valore che ciascuno di noi conferisce in relazione alla capacità di un determinato bene di soddisfare bisogni/ desideri che un soggetto manifesta; questo valore può dipendere dalla priorità che ciascun soggetto conferisce alla manifestazione di bisogni e di desideri. b- VALORE DI SCAMBIO→ nell’epoca del baratto esso era considerato come la quantità di beni che le parti consideravano sufficienti al fine di ottenere in cambio un altro bene (si creava quindi una sorta di OMOGENITA’ tra dei beni); ad oggi, con l’introduzione della moneta, il valore di scambio viene determinato dal prezzo che viene richiesto come corrispettivo del bene che si intende acquistare (prezzo). Dal punto di vista dell’acquirente, lo scambio può avvenire nel momento in cui il valore percepito di un bene (livello di utilità che quel bene potrà conferire) è ritenuto superiore rispetto al valore di scambio (prezzo); dal punto di vista del venditore invece, lo scambio avviene nel momento in cui il valore di scambio di un bene viene ritenuto superiore rispetto al valore percepito. Il MERCATO ad oggi, secondo un punto di vista AZIENDALE, è inteso come un insieme di negoziazioni (danno vita ai processi di scambio) che avvengono secondo delle precise modalità svolte dai diversi operatori, mentre dal punto di vista ECONOMICO esso può essere definito come il punto di incontro tra domanda e offerta. Il mercato si definisce in relazione al LUOGO (non si tratta di un luogo fisico ma si tratta della relazione di scambio che si instaura tra soggetti) e in relazione alla MERCE scambiata (ovvero l’oggetto dello scambio); nei moderni sistemi capitalistici, il mercato è rappresentato da un gruppo di soggetti in intime relazioni di negoziazione per qualsiasi tipologia di merce. I mercati possono essere LOCALI, NAZIONALI e INTERNAZIONALI: la classificazione si riferisce a seconda del luogo in cui vengono localizzati gli acquirenti e i venditori. A seconda della merce scambiata possiamo parlare di: a- MERCATI DI CAPITALI→ si tratta di mercati all’interno dei quali si svolgono attività di negoziazioni finanziarie. b- MERCATI DEI PRODOTTI→ mercati all’interno dei quali vi è l’incontro tra la domanda e l’offerta dei beni tangibili/ non tangibili. c- MERCATI DEL LAVORO→ incontro tra coloro che offrono la propria disponibilità di mettere in atto prestazioni lavorative a conto di qualcun altro. d- MERCATI DELLE MATERIE PRIME→ si tratta di un mercato di approvvigionamenti (abbiamo l’impresa che necessita di approvvigionarsi di una determinata materia prima e l’impresa fornitrice). Quando si parla di scambi di mercato, bisogna definire le diverse STRUTTURE di mercato date da un numero di soggetti in grado di vendere determinati beni e da un numero di soggetti interessati all’acquisizione di tali beni: a- MONOPOLIO→ si parla di monopolio quando vi è un solo soggetto in grado di offrire un determinato prezzo (esempio il monopolio di stato anche se ad oggi non si parla più di ciò): ciò, in termini di prezzo, comporta il fatto che questo può essere stabilito in maniera autonoma non essendovi alcuna concorrenza. Parlando di monopolio a livello di un soggetto privato (che per esempio è esperto nella produzione di una determinata materia prima) esso avrà un potere contrattuale sul mercato molto forte e potrà quindi scegliere autonomamente il prezzo dei beni che intende vendere. b- CONCORRENZA PERFETTA→ si tratta di una situazione, sicuramente più diffusa rispetto al monopolio, dove vi è un numero di soggetti che propone un determinato prodotto e dall’altro lato un altrettanto numero di soggetti interessati ad acquistare tale prodotto; il prezzo non viene deciso dagli imprenditori ma è fisso (ed è determinato dall’incontro da domanda e offerta). c- CONCORRENZA MONOPOLISTICA→ si tratta di una situazione in cui le imprese competono (c’è concorrenza) ma hanno anche potere di mercato (monopolio); per un certo periodo di tempo un soggetto è in grado di dare ad un prodotto delle determinate caratteristiche di differenziazione rispetto ad altri prodotti di altre imprese (che appunto saranno facilmente imitabili dai competitor). d- OLIGOPOLIO→ si tratta di una situazione in cui poche imprese propongono un bene sul mercato (esempio le imprese di petrolio/ benzina); spesso quindi si creano degli “accordi di cartello” in modo che si stabiliscano dei prezzi e in modo che ci sia spazio per tutti sul mercato senza che si creino delle situazioni di predominio. L’andamento delle negoziazioni e della legge di domanda e di offerta determina le varie tipologie di prezzi che si comportano in maniera diversa in base alla tipologia di mercato a cui ci si riferisce; il PREZZO viene considerato come l’espressione della quantità di moneta attraverso la quale un determinato bene si confronta nell’ambito dello scambio (nel baratto invece il bene si confrontava con un altro bene). Nei mercati concorrenziali i prezzi svolgono diversi ruoli: a- INFORMATIVO→ i prezzi assumono ruolo informativo poiché forniscono informazioni inerenti alle caratteristiche del prodotto e alle capacità che il bene ha nel soddisfare un determinato bisogno/ desiderio; per i beni di consumo e per i beni nei confronti dei quali vi è un alto livello di fidelizzazione, gli aspetti informativi assumono un ruolo secondario (visto che si acquistano quasi quotidianamente); il contrario avviene per i beni durevoli e di lusso. b- COORDINAMENTO→ il meccanismo dei prezzi all’interno dei mercati concorrenziali esercita un’influenza decisiva riguardo la configurazione delle combinazioni produttive per creare una sorta di allineamento tra domanda e offerta (si decide quindi quanto e cosa produrre). c- SELEZIONE COMPETITIVA→ i mercati concorrenziali inducono la crescita della dotazione dei fattori della produzione i cui costi unitari di produzione sono inferiori rispetto al prezzo (di vendita) di equilibrio fra l’andamento della domanda e dell’offerta (questo genererà redditi positivi); i soggetti proprietari dei fattori della produzione i cui costi invece sono superiori rispetto al prezzo di equilibrio genereranno redditi negativi. Attraverso la selezione competitiva quindi è possibile definire gli operatori che possono continuare l’attività di produzione e di consumo e quelli che invece non possono farlo. Nei sistemi capitalistici all’interno dei mercati concorrenziali, l’impresa assume un ruolo fondamentale per il meccanismo di ALLOCAZIONE DELLE RISORSE; l’impresa è costituita dal SINGOLO IMPRENDITORE ovvero colui che ha l’idea del business e che è attivo in un contesto di perfetta conoscenza e informazione. Ogni imprenditore/impresa ha l’obbiettivo della MASSIMIZZAZIONE del profitto (della differenza tra costi e ricavi: maggiore è la differenza, maggiori saranno i ricavi) dato un determinato costo degli input e dato un determinato prezzo di vendita finale degli output e dato il costo delle tecnologie di produzione utilizzate→ si tratta della TEORIA MARGINALISTA elaborata da Marshall. I ricavi possono essere aumentati sia attraverso una riduzione dei costi oppure attraverso un aumento delle quantità vendute o dei prezzi di vendita. può decidere di abbassare i prezzi di un determinato prodotto non per guadagnarci ma per far conoscere tale prodotto a più soggetti possibili). Sicuramente quindi il reddito rappresenta una sorta di principio ispiratore per le decisioni che vengono assunte all’interno dell’impresa ma, come abbiamo visto, non sempre le decisioni prese hanno come obbiettivo il guadagno. Il reddito può essere oggetto di DISTRIBUZIONE: se l’impresa produce un reddito positivo, ciò incrementerà il capitale dell’impresa e quindi si distribuirà tra i soggetti investitori/ soci/ interlocutori sociali (es premio ai dipendenti) o comunque reinvestito all’interno dell’azienda. Visto che l’impresa gioca quindi un ruolo di carattere sociale (non è attua solo a produrre guadagno ma ha anche la capacità di creare un bene comune, dei benefici/ benessere collettivo per tutti i soggetti che interagiscono con essa), anche nella sua capacità di produrre risultati positivi con il reddito, questi risultati riguardano (come abbiamo visto) una pluralità di soggetti. IMPRESA ARTIGIANA (si tratta di una delle prime forme di impresa nata ben prima della rivoluzione industriale): l’artigiano è il proprietario e, assieme alla sua famiglia intraprende le funzioni di assunzione del rischio, organizzazione dei fattori produttivi e di fornitura delle risorse finanziarie per lo svolgimento dell’attività (le ricava da sé). Questo tipo di impresa è basato sul LAVORO MANUALE dell’uomo (i beni non saranno standardizzati ma trattandosi di beni fatti a mano, avranno tutti delle differenze), non troviamo difatti macchinari/ dispositivi elettronici avanzati: si basa semplicemente sull’abilità e sulle competenze dell’artigiano nel produrre beni che vengono COMMISSIONATI (non si opera in funzione dell’andamento del mercato: si produce solo ciò che viene ordinato) dalla clientela. In assenza di commesse, l’impresa artigianale produce dei beni che si ipotizza possano poi incrementare un certo livello di domanda nel mercato. Possiamo associare l’impresa artigianale alla ditta individuale dal punto vista della comunanza tra il patrimonio personale e quello dell’azienda: AUTONOMIA PATRIMONIALE IMPERFETA. Non esistono rapporti di lavoro dipendente poiché il tutto avviene in maniera molto semplice e spesso vi sono componenti del nucleo famigliare che lavorano all’interno dell’impresa (non sono quindi soggetti dipendenti). Le botteghe (es falegnami, ceramisti) che lavorano seguendo tradizioni e forme di produzione che ormai non esistono più sono un perfetto esempio di imprese artigianali; che conservano quindi una certa modalità di svolgere la produzione. LE IMPRESE MERCANTILI: ad oggi non possiamo più parlare di “imprese mercantili” poiché ad oggi ci riferiamo a tale impresa con il nome di “intermediari/grossisti/trasporti/import export”: l’impresa mercantile nasce nel 13 secolo quando i grandi stati iniziano a creare dei rapporti negoziali→ queste aziende nascono da questa necessità di scambio di beni: queste contribuiscono così allo sviluppo dei traffici/scambi e delle imprese stesse. Grazie a questa tipologia di impresa abbiamo l’instaurazione di concrete ed effettive relazioni fra stati diversi in relazione allo scambio di beni/servizi; nel corso del 13 secolo, lo sviluppo di tali aziende, ha portato al cambiamento delle esigenze finanziarie (il singolo imprenditore con la sua piccola azienda dotata di pochi mezzi non poteva far fronte al cospicuo numero di scambi)→ queste imprese quindi hanno iniziato ad ampliarsi che vedono protagonisti nuovi attori economici: 1- Intermediari finanziari. 2- Capitalisti. 3- Imprese di assicurazione (è in questo contesto che nascono): garantivano la buona riuscita del rapporto commerciale e del trasporto delle merci (si accollano quindi il fattore di rischio) dietro il pagamento di un determinato prezzo. Con il cambiare degli anni questa tipologia d’impresa ha iniziato a strutturarsi sempre meglio: assume infatti una PERSONALITA’ GIURIDICA AUTONOMA→ non vi è più l’iniziativa di un singolo soggetto ma vi è la partecipazione di diversi soggetti per la creazione di capitali (come soci di maggioranza che hanno possibilità di controllo maggiore e i soci di minoranza che fanno solamente investimenti). In forma “primordiale” si tratta di quello che accade oggi nelle società di capitali. IMPRESA INDUSTRIALE: nasce nel 18 secolo (si tratta della tipologia di impresa moderna) con la PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (caratterizzata dalla nascita dei primi macchinari automatici: non è più determinante il lavoro dell’uomo)→ da ciò deriva il miglioramento dell’organizzazione dei processi di produzione, affinché la macchina venga messa nella migliore/ più efficacie condizione possibile per essere utilizzata. Possiamo parlare infatti di SPECIALIZZAZZIONE del lavoro (ognuno ha un proprio compito rispetto al quale aumenta le proprie abilità, ciò non vuol dire quindi che l’operaio lavora di meno: semplicemente non ci si basa più solamente sulle sole abilità manuali) e di standardizzazione dei prodotti/ produzioni di massa (l’utilizzo delle macchine mi porta alla produzione di prodotti di massa e cioè che hanno le medesime caratteristiche tra loro, differentemente da quanto accade per le imprese artigiane). La standardizzazione della produzione costante una CONTINUITA’ della produzione→ un flusso continuo della produzione (non ha soste, il ciclo di produzione termina solo quando si completa la lavorazione) dato un determinato lasso di tempo; ciò è tipico delle imprese di base come l’impresa siderurgica, quella tessile, quella elettrica oppure quella petrolifera. Ovviamente, per dar vita ad un a produzione standardizzata, anche i fattori produttivi devono essere standard (devono quindi aver le stesse caratteristiche tecniche); con le produzioni standardizzate nasce il concetto di ECONOMIE DI SCALA (all’aumentare della produzione si riducono in maniera proporzionata i costi unitari medi dei fattori produttivi). Da tutte queste caratteristiche si afferma il concetto di FABBRICA→ si producono degli effetti riguardo i rapporti dell’impresa: 1- Rapporto dell’impresa con i consumatori (il mercato)→ l’impresa si nutre del rapporto con il mercato/ consumatori (che assumono dimensioni sempre più ampie); si osservano anche fenomeni di internalizzazione (rivolgersi a mercati oltre i confini nazionali). Affinché questa tipologia di produzione avvenga nella migliore maniera possibile è necessario che anche i mercati diventino sempre più grandi e strutturati: l’aumento dei quantitativi delle produzioni, come abbiamo detto, porta ad un aumento della domanda di mercato e del magazzino: si producono dei beni per poter avere delle scorte rispetto alle quali ci si aspetta che, una volta che il prodotto già presente sul mercato viene venduto, vengano a loro volta vendute: si tratta quindi di prodotti non destinati direttamente alla vendita→ AZIONE ANTICIPATRICE rispetto alla domanda del mercato (che quindi bisogna “intercettare”). A differenza della produzione su commessa, con le produzioni standardizzate (che sono per il mercato), l’impresa prima produce e solo successivamente si occupa di collocare il bene prodotto sul mercato con PROCESSI DI COMMERCIALIZZAZIONE; in realtà ad oggi ciò non avviene: la relazione con il mercato avviene ancora prima di produrre il prodotto, bisogna per lo meno avere una legittima aspettativa (attraverso specifici studi e analisi svolte) che il bene prodotto venga acquistato poi dal mercato. 2- Rapporto dell’impresa con il management (lavoratori)→ con le imprese industriali vi è una SEPARAZIONE tra l’investitore capitalista (colui che investe i capitali, immobilizzazioni, detiene i mezzi e le risorse) e il lavoratore (colui che conferisce le prestazioni di lavoro, la propria capacità in cambio di benefici come lo stipendio): questi due elementi sono l’uno la condizione necessaria dell’altro/ nessuno è più importante dell’altro→ il capitalista non potrebbe far fruttare i propri investimenti senza l’abilità del lavoratore così come il lavoratore non potrebbe conferire la propria utilità senza l’idea imprenditoriale/ conferimenti del soggetto capitalista (che tra l’altro gli conferisce anche un sostentamento per vivere). Per questa motivazione nasce la prima forma di RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE: si assiste ad una dissociazione tra quelli che sono gli obbiettivi dell’impresa e del capitalista rispetto a quelli del lavoratore (conseguimento del compito che gli è stato assegnato)→ da qui nascono le prime forme dei CONFLITTI DI CLASSE tra capitalista e lavoratore (come presente negli scritti di Marx ed Hengels: si riteneva che vi era una sorta di ESPROPIAZIONE del valore del singolo lavoratore che si trova sottoposto non solo al controllo del capitalista ma soprattutto al controllo delle macchine). IMPRESE CAPITALI→ si tratta di grandi imprese che si caratterizzano dagli ELEVATI INVESTIMENTI specifici soprattutto nelle attività di produzione e nella creazione di aree funzionali che permettono di raggiungere specifici obbiettivi di copertura del mercato. Il ruolo del governo di questa tipologia di impresa è definito da diversi soggetti i quali conferiscono il così detto “capitale di rischio” che gli dà la prerogativa di poter assumere il potere di governo. Vi è AUTONOMIA PATRIMONIALE PERFETTA: capitale di funzionamento che viene utilizzato per tutte le attività dell’impresa per il raggiungimento degli obbiettivi di quest’ultima (varia in base ai risultati di periodo/ in base agli investimenti dei soggetti terzi, non è un capitale immutabile nel tempo). L’impresa è dotata di PERSONALITA’ GIURIDICA e cioè INTESTATARIA di beni e di tutte le tipologie di rapporti che fanno capo all’impresa stessa: l’investitore risponderà LIMITATAMENTE (diversamente da quanto accade per le società di persone, i cui soggetti rispondono illimitatamente: il patrimonio dell’impresa è quello dell’imprenditore non sono distinti) rispetto ai mezzi finanziari che fanno parte del patrimonio dell’impresa stessa (il soggetto che ha investito rischia limitatamente rispetto ai mezzi che ha conferito per l’impresa, non viene intaccato il suo patrimonio personale), distinti quindi da quelli del patrimonio dal singolo investitore. Le azioni acquistate dai soci/ azionisti gli conferiscono dei DIRITTI amministrativi (di partecipare alle assemblee, diritto di opzione o di recesso) e patrimoniali di ricevere degli utili derivanti da tali investimenti); l’esercizio di tali diritti si basa sulla logica di maggioranza (della percentuale del capitale azionario posseduto rispetto agli altri soggetti)→ coloro che avranno una percentuale maggiore di azioni possedute avranno poteri maggiori di controllo. SOCIETA’ QUOTATE (esempio principale sono le public companies che hanno come fonte di finanziamento principale il mercato borsistico)→ tali società sono presenti all’interno di MERCATI DIRETTI (all’interno dei quali avvengono degli scambi diretti tra soggetti che necessitano di accedere a forme di finanziamento e soggetti i quali erogano tali somme) e MERCATI INDIRETTI (non vi è un contatto diretto tra le parti ma vi sono dei soggetti intermediari che aiutano i soggetti nella scelta della modalità di finanziamento). permetteranno di diventare proprietari arrivando così ad ottenere potere di comando dell’impresa (diversamente da quanto accade nel modello renano dove difficilmente vengono cedute delle quote a soggetti esterni); nella maggior parte dei casi quando vi sono questi nuovi soggetti proprietari parleremo di un’impresa fortemente indebitata (poiché l’acquisizione ha determinato un ingente esborso di denaro). Nelle imprese che si ispirano alle public companies trova a pieno piede il tema della CORPORATE GOVERNANCE→completa separazione tra proprietà (ovvero tutta la miriade dei soggetti azionisti sia di maggioranza che di minoranza che hanno potere di governo ma non decidono nulla) e controllo (parliamo della moltitudine dei soggetti manager che si occupano delle attività di gestione/amministrazione e decisionali operative ad esempio come andare ad utilizzare le risorse di cui l’azienda dispone; a volte accade che i soggetti proprietari neanche conoscono i soggetti manager). All’interno della compagine azionaria possiamo distinguere: gli AZIONISTI DI MAGGIORANZA→ soggetti detentori di un potere di responsabilità e comando maggiore (nei confronti delle dinamiche evolutive dell’impresa) rispetto agli altri poiché detengono il “capitale di comando”; troviamo poi gli AZIONISTI DI MINORANZA→ anche loro investono dei capitali a titolo di rischio per l’impresa ma non dispongono di capitale di comando (ma dispongono solo di quello di controllo): non possono quindi esercitare forme di potere dell’impresa (pur essendo ugualmente esposti al rischio delle iniziative imprenditoriali); Nell’ambito degli azionisti di minoranza troviamo 2 categorie diverse: i soggetti interessati (ma di fatto esclusi) al governo dell’impresa e i soggetti che non sono interessati al governo dell’impresa, sono solo “speculatori” (come ad esempio i piccoli acquisitori di azioni all’interno del mercato azionario). La FUNZIONE CREATIVA E SOCIALE del capitale è riservata quindi solamente ai soggetti che possiedono il capitale di comando mentre per i soggetti i quali non detengono tale capitale è riservata la “sola” FUNZIONE SPECULATIVA del capitale. Dalla separazione tra proprietà e controllo derivano altre tipologie di POTENZIALI CONFLITTI (tali conflittualità possono sorgere sia nelle public companies ma anche nelle imprese con modello renano, anche se più raramente): a- Conflitti tra management e azionisti→ poiché il management assume una posizione ed un ruolo CENTRALI, determinanti per il funzionamento dell’impresa; i manager (il cui rapporto temporale con l’azienda è più lungo, non solo per scopo di conseguire utile), essendo il loro compito, vengono premiati e remunerati in maniera REFERENZIALE per la loro attività decisionali mentre gli azionisti (che hanno un ruolo temporale più breve all’interno dell’azienda: il loro obbiettivo principalmente è il conseguimento di un utile dopo aver investito), che rischiano con il capitale che conferiscono, vengono remunerati in maniera RESIDUALE (vengono remunerati alla fine rispetto a tutti i rapporti che l’azienda stringe). Vi è una sorta di perdita di controllo per i soggetti azionisti; se dovessero sorgere dei problemi causati da decisioni prese dai manager, i soggetti che ci vanno di mezzo sono proprio gli azionisti (poiché conferiscono delle quote). b- Conflitti tra azionisti di maggioranza e di minoranza→ ai soggetti titolari del capitale di comando (azionisti di maggioranza) il conflitto rispetto ai soggetti manager è ancora più accentuato poiché dato che i primi rischiano, vogliono avere il diritto di dire la loro; il ruolo degli azionisti di minoranza a volte viene definito come ruolo di mero finanziatore dell’azienda. All’interno delle public companies possiamo parlare del COSTI DI AGENZIA che l’azienda deve affrontare e che derivano dai conflitti tra azionisti di maggioranza (soggetto detto “principale”) e di minoranza (soggetto agente)e tra azionisti e managers (e quindi tra proprietà e controllo); questi costi concorrono NEGATIVAMENTE nella formazione del reddito dell’azienda (poiché si tratta di costi che sono delle vere e proprie “perdite di tempo” che potrebbero invece derivare da investimenti utili per attività dell’azienda); se l’impresa fosse più attenta alla regolazione/ focalizzazione dei rapporti concorrenziali concentrandosi sugli obbiettivi, questi costi potrebbero essere evitati. Vi sono delle modalità attraverso le quali tali CONFLITTI DI INTERESSI (tra azionisti e manager) possono essere contenuti al fine di ridurre i costi di agenzia: 1- Escludendo l’idea che il PRORPIETARIO/AZIONISTA svolga la funzione tipica dell’imprenditore→ questi soggetti spesso si ritrovano a non svolgere tale attività (infatti spesso viene svolta dal management ad es. quando il proprietario/azionista di maggioranza si identifica meno all’interno dell’azienda assumendo un atteggiamento disinteressato): così facendo si esclude la natura conflittuale di tale rapporto. 2- L’impresa è sottoposta alla DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA, dove vi è forte competitività (vi sono moltissimi competitor che possono ridurre i risultati d’impresa operando sul mio stesso mercato): il manager dovrebbe quindi, in virtù di ciò, operare soprattutto nell’interesse di tutti i soggetti dell’impresa (degli azionisti, riducendo così i conflitti con questi soggetti) e non solo per i propri interessi, in modo che siano tutti ugualmente soddisfatti. 3- I manager sono sottoposti al CONTROLLO→ ciò si riferisce al fatto che tali soggetti non possono prendere decisioni completamente in autonomia (nonostante la loro discrezionalità), ma devono comunque dare conto ai contesti interni ed esterni all’azienda o alle opportunità offerte dal mercato; scelte particolarmente avventate potrebbero anche far loro perdere la posizione di cui godono all’interno dell’azienda a favore di altri soggetti (come ad es. i riders). All’interno delle public companies possiamo parlare della DISCREZIONALITA’ del manager per via della polverizzazione del capitale: accade così infatti che spesso soggetti che hanno ricevuto poteri di amministrazione e di controllo (es. i soggetti CEO) sfruttino la loro posizione di controllo quasi assoluto per rafforzare la propria posizione all’interno dell’azienda (dato che appunto il controllo è molto frammentato, non vi è un singolo soggetto che ha potere di controllo). 2- MODELLO ITALIANO (piccola-media impresa) / RENANO/ TEDESCO/ GIAPPONESE→ questo modello nasce in Germania, le imprese che si ispirano a tale modello presentano un NOCCIOLO DURO (solitamente legati da vincoli di parentela anche se ad oggi ciò è più raro), ovvero un piccolo numero di soci che presentano nelle loro mani quote del capitale sociale che garantiscono loro la piena proprietà e il pieno controllo. Le imprese giapponesi sono caratterizzate dal così detto “KEIRETSU” ovvero la capacità di creare network, degli agglomerati di imprese. Tali imprese non si prestano facilmente a forme di investimento/ finanziamento da parte di soggetti terzi (se un terzo volesse sottoscrivere una percentuale del capitale azionario, dovrebbe rivolgersi direttamente ai soggetti del nocciolo duro e difficilmente ciò accade); Tuttavia, quote del capitale azionario possono comunque trovarsi sul mercato (difatti parliamo comunque di società di capitali), ma il controllo rimane nelle mani dei soggetti del nocciolo duro. In questa tipologia di azienda vi è un forte RAPPORTO FIDUCIARIO tra il proprietario e il MANAGER (spesso è uno dei proprietari; si tratta di soggetti che hanno responsabilità di gestione)→ è chiaro come quindi per le imprese che si ispirano al modello renano il concetto di corporate governance, non può essere del tutto applicato (non sempre infatti troviamo una differenziazione tra proprietà e gestione). Assetti STRUTTURALI della proprietà: 1- Impresa a CONTROLLO PROPRIETATRIO FORTE→ imprese che si ispirano al modello renano (imprese dove il capitale azionario si trova saldamente nelle mani del nocciolo duro di soggetti); l'assetto proprietario è STABILE e DURATURO. 2- Impresa a CONTROLLO PROPRIETARIO DEBOLE→ imprese che hanno un capitale azionario estremamente frazionato in cui il ruolo di comando/ controllo/ gestione viene svolto dai manager (parliamo di corporate governance); dividiamo tale controllo in 2 fattispecie: a- La prima contraddistinta dall’ASSENZA del capitale di comando in relazione all’estremo frazionamento del capitale azionario di rischio. b- La seconda contraddistinta dalla presenza, nella compagine proprietaria, di altri interlocutori (investitori istituzionali/ lavoratori) che esercitano una certa influenza nella dinamica imprenditoriale. LO SVILUPPO DEL CONTESTO→ per un’impresa è fondamentale ed imprescindibile l’ANALISI del contest/ambiente circostante dell’azienda (poiché ne determina tutte le azioni di operabilità); è opportuno per questo fotografare i vari sviluppi di tale contesto, in quali modalità è possibile espletare l’andamento del contesto della attività dell’impresa: 1- GLOBALIZZAZIONE→ si intende l’abbattimento delle frontiere/confini, non è altro che la capacità dell’impresa di RELAZIONARSI continuamente; la globalizzazione ha creato delle enormi INTERDIPENDENZE in termini di relazioni/spazi tra i soggetti economici e tra gli individui in ambito politico, economici, sociale e legislativo; questa è stata favorita soprattutto da contesti di pace, che hanno consentito la relazione tra i vari stati. Un effetto pratico della globalizzazione è la LIBERA CIRCOLAZIONE di persone/merci tra i vari paesi economici (es. le imprese che vendono un proprio prodotto in diversi paesi anche esteri) favorendo gli SCAMBI. 2- FINANZIARIZZAZIONE dell’economia→ si tratta di un fenomeno che ha accresciuto la rilevanza delle attività finanziare (dette transazioni finanziarie); queste negli anni sono state favorite dalla SMATERIALIZZAZIONE della moneta: ciò ovviamente ha favorito delle movimentazioni finanziarie. La crescita dei MERCATI REGOLAMENTATI rappresenta una fonte di finanziamento dalla quale l’impresa non può prescindere (si mettono a disposizione delle percentuali di capitale azionario per l’impresa). 3- ECONOMIE DELLE RETI→ si tratta della capacità dell’impresa di fare SISTEMA, di formare delle sinergie/ reti: ciò è favorito dallo sviluppo delle moderne tecnologie, che vanno ad incidere sulla capacità da parte delle imprese di RACCOGLIERE I DATI (ormai anche le piccole imprese possiedono tale capacità) attraverso sistemi di intelligenze artificiali che le imprese poi utilizzano per le importanti scelte aziendali che devono essere prese. 4- ECONOMIA DELLA CONOSCENZA→ parliamo soprattutto dell’evoluzione dell’economia DIGITALE, che prevede l’utilizzo di modelli innovativi che modificano ed incidono sui modelli di business (possibilità di utilizzare dispositivi e sistemi che sono sempre più adattati alle esigenze dei singoli consumatori, che diventano sempre più in grado di interagire con le idee e le capacità delle persone); parliamo quindi della capacità dell’economia di relazionarsi direttamente con i consumatori. DIMENSIONI DELL’IMPRESA→ si tratta di un’altra chiave di lettura per l’osservazione dell’impresa: la dimensione dell’impresa è un valore assolutamente INCERTO (poiché varia nel tempo cambiando in base alla fase di vita dell’azienda e poiché dipende dal mercato/contesto a cui si fa riferimento) disponiamo di due tipologie di approcci: a- VINCOLI POSTI DAGLI STAKEHOLDERS: l’azione di governo d’impresa deve necessariamente tener conto dell’importanza della presenza degli stakeholders; un esempio potrebbe essere la garanzia patrimoniale che bisogna possedere per poter svolgere determinate attività aziendali. Nel governo dell’impresa bisogna quindi tener conto del coinvolgimento di tutti i soggetti che provengono da contesti diversi ma che ugualmente si relazionano con l’impresa. b- VINCOLI POSTI DAL SISTEMA GIURIDICO-FORMALE i vincoli sono rappresentati dai soggetti che esercitano un ruolo giuridico/ di istituzione (come gli amministratori delegati, l’assemblea dei soci oppure il consiglio di amministrazione) e che vincolano l’impresa nel rispetto delle eventuali leggi e decisioni che vengono prese. Troviamo diverse tipologie di soggetti stakeholders (in base alla rilevanza dell’interesse che rappresentano, cambia il loro ruolo e la relazioni dell’impresa con questi): 1. PROPRIETA’ e DIPENDENTI (soggetti interni poiché svolgono un’attività interna all’impresa)→ la PROPRIETA’ la detiene colui che è intestatario del capitale azionario; essa può essere concentrata oppure frammentata (in base alla tipologia d’impresa): questi stakeholders possono essere di maggioranza o di minoranza e possono avere natura industriale/ finanziaria/ pubblica. I DIPENDENTI vengono divisi in base al loro livello di rappresentanza (una delle caratteristiche delle imprese che seguono il modello tedesco) o di partecipazione ai processi decisionali; il MANAGER è uno stakeholder interno delegato dalla proprietà che svolge attività di gestione (spesso in condizioni di piena autonomia) e l’importanza del ruolo che assume è DIRETTAMENTE PROPORZIONALE alla tipologia di complessità aziendale; su di questi soggetti funzionano i meccanismi di incentivo (delle retribuzioni extra che vengono conferite in base ai risultati conseguiti). 2. PRIMARI e SECONDARI (soggetti esterni poiché operano all’esterno dell’impresa all’interno dell’ambiente COMPETITITVO)→ gli stakeholders PRIMARI sono soggetti determinanti ed estremamente utili alla riuscita della filiera produttiva (insieme di fasi che permettono alla materia prima di essere trasformata in un prodotto finito e collocato poi sul mercato) come: I fornitori e clienti (all’interno del mercato di fornitura e di sbocco), i concorrenti attuali mercato (l’impresa si relaziona con questi ad esempio prendendo decisioni di differenziazione del prodotto per sottrarsi al grado di sostituibilità dei prodotti di tali competitors) e potenziali i quali, a seconda del grado di concorrenza, si relazionano in maniera differente con l’impresa in base al grado di concorrenza→ maggiore è il livello di competitività del mercato, maggiori saranno le attenzioni che l’impresa darà alle azioni di tali soggetti. Gli stakeholders SECONDARI sono il sistema finanziario: si tratta del grado di indebitamento dell’impresa (questo assume un potere contrattuale forte, soprattutto se l’impresa è fortemente indebitata); per le imprese di grandi dimensioni questo elemento assume dei valori meno rilevanti. Un’altra tipologia di stakeholders secondari sono i gruppi di interesse ovvero delle associazioni sindacali che possono coinvolgere l’impresa nella propria causa perseguita andando ad influenzare determinate decisioni che l’impresa prenderà; gli effetti della loro azione si espletano in un arco temporale più ampio. L’ultima tipologia di stakeholders secondari è quella del sistema pubblico (macroambiente): si tratta di organismi di emanazione dello stato che hanno il compito di verificare la regolamentazione della relazione tra l’impresa e i concorrenti (ad esempio la tutela della concorrenza, le politiche del macroambiente). Possiamo poi classificare gli stakeholder in base alla RILEVANZA dell’interesse rappresentato da questi; i fattori che determinano tale rilevanza sono: 1- POTERE→ si tratta del potere dell’interesse rappresentato da tutti gli stakeholders e può essere di tre tipi: a. COERCITIVO→ si tratta di un potere che ha un’azione di costrizione ad assumere determinate tipologie di comportamenti (ad esempio il manager che definisce i ruoli dei dipendenti). b. UTILITARISTICO→ si tratta di un potere che può avere una posizione di forza che porta ad un’utilità (ad esempio la banca che concede dei finanziamenti oppure un fornitore in posizione di monopolio che concede ad un’impresa di potersi approvvigionare). c. SIMBOLICO→ si tratta di un potere che ha valore simbolico (ad esempio una piccola impresa all’interno di un consorzio). 2- LEGITTIMITA’→ si tratta di un POTERE derivante da una legittimazione di carattere SOCIALE: quando vi è una percezione che l’azione di uno stakeholder possa essere giusta e legittima (ad esempio l’autoritarismo). 3- URGENZA→ essa è data da una richiesta pressante da parte di uno stakeholder (ad esempio un’emergenza legittimata di tipo sociale) e che può presentare una certa rilevanza per l’interesse rappresentato. Vediamo quindi le categorie degli stakeholders classificandoli in base alla rilevanza dell’interesse rappresentato: 1- LATENTI→ sono degli stakeholders il cui interesse è rappresentato solo dal fattore del potere: hanno quindi un basso grado di rilevanza ed hanno una limitata interazione con l’impresa esercitando quindi il potere senza legittimità ed urgenza. 2- CON ASPETTATIVE→ in questo caso si tratta di stakeholders che possiedono 2 fattori di rilevanza: a. stakeholders il cui interesse è rappresentato dal fattore del potere e di legittimità ma non di urgenza: gli chiamiamo DOMINANTI. b. Stakeholders il cui interesse è rappresentato dal fattore legittimità e urgenza ma non di potere: gli chiamiamo DIPENDENTI. c. Stakeholders il cui interesse è rappresentato dal fattore potere e urgenza ma non di legittimità: gli chiamiamo PERICOLOSI. 3. ASSOLUTI→si tratta di stakeholders che possiedono tutti e 3 i fattori e che quindi hanno un MASSIMO LIVELLO DI RILEVANZA dell’interesse rappresentato: saranno dei soggetti che hanno molte interazioni con l’impresa (tra le azioni che questi soggetti possono compiere vi è ad esempio la rimozione di un manager, ciò può farlo appunto la proprietà e nello specifico gli azionisti di maggioranza). Troviamo delle diverse STRATEGIE (che devono teneri in conto del POTENZIELE RISCHIO del comportamento degli stakeholders e della POTENZIALE COOPERAZIONE che invece definisce l’intensità della relazione che si può andare ad originare) che l’impresa può attuare in base alla tipologia di stakeholders: 1- REAZIONE→ l’impresa, nel momento in cui vi è un’azione degli stakeholders compromettente per gli obbiettivi dell’impresa, deve necessariamente “contrattaccare” andando a modificare e a giustificare le proprie scelte (si vanno ad intraprendere delle azioni che possano comunque garantire il raggiungimento degli obbiettivi). 2- DIFESA→l’impresa non ha alcun tipo di reazione, ha come obbiettivo semplicemente il minimo soddisfacimento degli interessi dei soggetti stakeholders. 3- ADATTAMENTO→ l’impresa cerca di adattarsi a quelle che possono essere le varie considerazioni/ richieste che vengono mosse dagli stakeholders. 4- PROATTIVITA’→ l’impresa cerca di ANTICIPARE quelli che potrebbero essere gli eventuali interessi dei soggetti (esempio aziende che producono prodotti a basso impatto ambientali: si producono prodotti prima ancora che il mercato li richiede); si idea quindi un comportamento che sarà gradito dal sistema. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA è costituita da: 1- DIREZIONE AZIENDALE (organo di gestione)→ si occupa di definire e di organizzare le risorse e le competenze dell’impresa: fare in modo che tali risorse possano essere OTTIMIZZATE nella migliore maniera possibile per poter raggiungere gli obbiettivi aziendali (efficienza); parliamo quindi di GESTIONE STRATEGICA. Ovviamente parliamo di risorse finanziare, materiali, immateriali e umane, tutte le tipologie di risorse possibili. Si occupa di definire tutta una gamma di strategie (percorso che viene definito per consentire all’impresa di raggiungere i propri obbiettivi in base alle risorse disponibili) complessive e competitive che mi consentono di ottenere del vantaggio competitivo (capacità dell’impresa di creare un maggiore reddito rispetto alle imprese concorrenti)/ di crescita (come le strategie di diversificazione): è importante stabilire quindi quali siano le strategie più ottimali per poter utilizzare al meglio le risorse aziendali evitando situazioni di scarso utilizzo o di sovrautilizzazione delle risorse (ad esempio ritenere di poter raggiungere degli obbiettivi che non sono alla portata dell’impresa). Per definire una strategia quindi bisogna tenere conto sia della disponibilità delle risorse dell’impresa sia dell’andamento del contesto esterno (livello di competitività del mercato/ modalità di accesso alle risorse/ modalità di copertura del mercato); per definire le strategie si utilizza l’ANALISI SWAP andando a definire sia i punti di forza sia dei punti di debolezza (ad esempio il livello dimensionale) dell’impresa quindi le minacce (possibili entranti nel mercato, fattori che l’impresa non può controllare) e le opportunità che l’impresa può incontrare. ORGANIZZAZZIONE→ l’insieme degli aspetti tecnici, di gestione del capitale umano, dei flussi informativi, della divisione del lavoro, dei compiti/ poteri/ responsabilità (tutti aspetti che rientrano nei meccanismi di funzionamento dell’impresa, aspetti di cui l’impresa necessita per il raggiungimento dei propri obbiettivi). I modelli organizzativi dell’impresa variano in base alla dimensione di quest’ultima, in base al grado di accentramento/ decentramento dell’impresa, in base ai confini dell’attività aziendale (forma di esternalizzazione dell’impresa ovvero quando l’impresa decide di esternalizzare determinate fasi del ciclo produttivo diminuendo i costi fissi da sostenere: outsourcing) oppure in base all’andamento del contesto esterno. La STRUTTURA ORGANIZZATIVA è costituita da organi, in cui è suddiviso il lavoro, che si occupano ognuno di svolgere determinate attività (direttive oppure esecutive) che vengono assegnate tra questi organi si creano inevitabilmente delle relazioni GERARCHICHE (verticale) e FUNZIONALI (orizzontale). Tra i diversi MODELLI ORGANIZZATIVI (all’interno dei quali cambia tutto: dalle scelte direzionali alle relazioni che si vengono a formare tra i vari soggetti); questi ovviamente non vengono scelti casualmente ma dipendono dal livello dimensionale, dalla tipologia di contesto nel quale si trova l’impresa e dalle tipologie di risorse di cui l’impresa dispone (anche in base ai beni che produce) troviamo: L’INFORMATION TECHNOLOGY (si tratta di una vera e propria risorsa dell’impresa) ha un ruolo chiave all’interno della gestione delle imprese (ad oggi nessuna impresa può prescindere da quello che è il rapporto con la tecnologia); si tratta quindi di un insieme di meccanismi (supporti tecnici ed informatici) utili per la diffusione e di creazione delle informazioni: a- Elaborazione automatica dei dati→ insieme delle attività che si occupano della gestione delle procedure per il trattamento dei dati. b- Supporti decisionali→ attività di circolamento dei dati volte al miglioramento della qualità dei processi decisionali (quando deve essere presa una decisione, è necessario un adeguato supporto di dati che permettano all’impresa di prendere tali decisioni nella migliore maniera possibile); tale elemento incide sul livello di competitività dell’impresa (poiché da questo dipendono le decisioni). Ogni impresa deve far precedere alla FASE OPERATIVA, il proprio orientamento di strategico fondo chiamato VISION DELL’IMPRESA ovvero l’individuazione di un obbiettivo dell’impresa sulla base di quelle che sono le disponibilità aziendali e sulla base del contesto all’interno del quale l’impresa si trova. La STRATEGIA D’IMPRESA è un processo di RICERCA DI ARMONIA (equilibrio migliore possibile) tra gli obbiettivi imprenditoriali che si vuole raggiungere e le risorse aziendali di cui si dispone (risorse interne e ambiente esterno in cui l’impresa opera). Le risorse SCARSE attribuiscono all’impresa dei tratti distintivi rispetto alle altre imprese (ad esempio le risorse immateriali che difficilmente sono imitabili dalle altre imprese come ad esempio la fiducia e la reputazione che l’impresa si guadagna dei confronti del mercato). La strategia d’impresa è quindi basata sulla FORMULAZIONE DI STRATEGIE attraverso un processo di ricerca delle opportunità del mercato che valorizza le risorse distintive aziendali, per l’impresa è possibile formulare i propri obbiettivi: 1- Successo di mercato→ attraverso la valorizzazione delle risorse disponibili è possibile per l’impresa individuare il MERCATO ATTRATTIVO che consenta all’impresa di fare business (l’attrattività è data dal tasso di crescita dell’impresa). 2- Generare valore di mercato. 3- Accrescere il patrimonio tangibile e intangibile. 4- Modificare il portafoglio di risorse disponibili→ significa che il patrimonio delle risorse deve essere in continuo mutamento. 5- Attivare nuovi contesti ambientali→ è necessario espandere le proprie idee in contesti ambientali differenti. La strategia d’impresa prende avvio da un ORIENTAMENTO STRATEGICO che si divide in 4 fasi: 1. PIANIFICAZIONE STRATEGICA→ metodo di lavoro che consente all’impresa di definire la strategia aziendale più adatta al contesto in cui si opera sulla base di un PROCESSO DI DECISIONE; il risultato della pianificazione è medio lungo (va dai 3 ai 5 anni). 2. PROGRAMMAZIONE→ si tratta della realizzazione concreta delle strategie precedentemente individuate attraverso programmi, allocazione delle risorse finanziarie e parametri di performance (come ad esempio il ritorno degli investimenti o sulle vendite). 3. BUDGETING→ si tratta del processo che permette all’impresa di allocare le varie risorse finanziarie alle singole unità (aree) aziendali: ciò mi permette di conoscere quali potrebbero essere i costi per raggiungere un certo numero di ricavi. 4. CONTROLLO DIREZIONALE E OPERATIVO→ si tratta di un’attività di monitoraggio che avviene in corso d’opera che mi permette di capire qual è l’andamento della performance aziendale (sulla base del tempo trascorso e dei parametri di performance) e che mi permette quindi di prendere importanti decisioni che mi permettono di cambiare la situazione aziendale in meglio nel caso in cui i risultati fossero negativi. La fase di pianificazione strategica può essere divisa, in base alle DIMENSIONI, in: PIANIFICAZIONE ANALITICA→ si tratta di attività di pianificazione che coinvolge tutte le aree aziendali andando maggiormente nel dettaglio (è particolarmente costosa e richiede delle tempistiche elevate): ciò mi permette di avere un grado di prevedibilità delle future performance aziendali molto elevato. PIANIFICAZIONE INTERATTIVA→ essa tiene molto conto del CONTESTO all’interno del quale l’impresa opera (intensità della concorrenza): di per sé essa è particolarmente utile nel caso in cui l’ambiente esterno risulta essere particolarmente “aggressivo” (molta concorrenza oppure relazioni conflittuali con gli stakeholders). Le FUNZIONI svolte dalla pianificazione strategica quindi, riassumendo, sono: a. Funzione decisionale→ essa ovviamente è mirata a quelli che sono gli obbiettivi aziendali. b. Funzione di gestione del cambiamento→ si tratta di attività che l’impresa svolge continuamente (è ovvio infatti che l’ambiente con cui l’impresa opera è mutevole e di conseguenza anche le strategie/ gli obbiettivi dell’impresa cambiano con esso). c. Funzione di comunicazione d. Funzione di motivazione All’interno della strategia d’impresa possiamo definire quelle che sono le STRATEGIE COMPETITIVE ovvero quelle che mi permettono di ottenere del vantaggio competitivo (non è altro che un differenziale positivo, ovvero il conseguimento di una maggiore redditività/ valore sia economico che sociale) rispetto alle imprese concorrenti: l’impresa è leader di mercato quando riesce a fare ciò. Riconosciamo un’impresa leader attraverso la QUOTA DI MERCATO che essa possiede: tale quota non è altro che il rapporto tra il livello dei ricavi dell’impresa rispetto al livello dei ricavi totali del mercato specifico all’interno del quale essa opera. Le fonti che permettono di ottenere del vantaggio competitivo sono: a- Il valore competitivo del CAPITALE INTANGIBILE→ ad oggi questa è la fonte BASE del processo per poter conseguire un vantaggio competitivo; essa mi consente di CREARE VALORE nonostante i cambiamenti e le innovazioni dell’ambiente (risorse immateriali, competenze, ricerca e sviluppo sono tutti fattori che mettono l’impresa nella giusta condizione per affrontare tali cambiamenti). Ricordiamo che l’INTANGIBILITA’ e l’IMMATERIABILITA’ rendono le risorse DIFFICILMENTE IMITABILE: se si è in grado di gestire efficacemente ciò, si ottiene vantaggio competitivo. Quando parliamo del processo di generazione delle risorse intangibili non possiamo prescindere dai concetti di SOSTENIBILITA’ e della CENTRALITA’ DEL RAPPOORTO CON GLI STAKEHOLDERS (con il rapporto con gli stakeholders l’impresa potrà affermare ancor più la propria posizione). b- Strategie di posizione→ si tratta delle strategie che permettono all’impresa di raggiungere un certo tipo di posizione all’interno delle forze competitive. c- Risorse e competenze→ si tratta di tutte quelle forze che determinano il livello di competitività di un determinato settore/ mercato/ sistema/ territorio ovvero la REPUTAZIONE dell’impresa e tutti i FATTORI INTERNI (capacità di innovare, qualità del prodotto e brand); esempio Rayanair che propone gli stessi servizi ad un prezzo minore (competitivo). Possiamo quindi parlare delle CATENA DEL VALORE DI PORTER, strumento di analisi che rappresenta in maniera grafica quelle che sono le attività PRIMARIE (sono imprescindibili: senza di queste l’impresa non potrebbe svolgere le proprie attività) e di SUPPORTO dell’impresa: la combinazione di queste attività mi permette di ottenere il differenziale (le imprese si auspicano ovviamente che esso sia positivo) tra ricavi e costi permettendomi quindi di ottenere il vantaggio competitivo. 1- Si parte dalle attività primarie→ è importante nominarle in ordine: si parte dalla logistica in entrata, processi produttivi, logistica in uscita, vendite e servizi. 2- Si passa poi alle attività di supporto che integrano quelle principali (sono necessarie affinché quelle principali vengano svolte nella migliore maniera possibile)→ per queste non serve dirle seguendo un particolare ordine: abbiamo le infrastrutture, i sistemi informatici, la gestione delle risorse umane e la ricerca e sviluppo, Tra le principali strategie competitive troviamo (esse possono anche essere strategie che l’impresa attua insieme, non devono per forza essere attuate separatamente): 1. LEADERSHIP DI COSTO (ad esempio le imprese fast fashion/ le compagnie aeree low cost)→ si tratta della modalità attraverso la quale l’impresa raggiunge i propri obbiettivi (realizzazione di un prodotto standard/ indifferenziato con un massimo grado di efficienza) attraverso il contenimento dei costi e delle spese; il reale valore lo ottengo attraverso la razionalizzazione e l’efficientamento dei costi sostenuti. Quali sono i fattori (legati direttamente a questa attività) che permettono all’impresa di attuare tale strategia? a. Attraverso il concetto di ECONOMIE DI SCALA E DI ESTENSIONE→ maggiore è la quantità prodotta di beni/ di servizi erogati, minori saranno i costi unitari medi. b. ECONOMIE DI APPRENDIMENTO→ maggiore è il periodo di tempo rispetto al quale l’impresa è presente all’interno del mercato, maggiore sarà la possibilità di contenere i costi (dovuta ad una maggiore conoscenza del contesto). c. GARADO DI UTILIZZAZIONE E CAPACITA’ PRODUTTIVA. GESTIONE STRATEGICA NEI CONTESTI DINAMICI: Si tratta dell’ANALISI teorica del CICLO DI VITA di un’impresa (ma può essere anche di un prodotto eccetera): essa segue delle fasi che corrispondono a quelle del ciclo di vita di un essere umano→ CONTESTO DINAMICO in continua evoluzione; la fase di “morte” può essere ritardata in base alle competenze e alla capacità di reinventarsi e di innovarsi in seguito di cambiamenti dell’ambiente esterno di cui l’impresa dispone. Il ciclo di vita di un’impresa o di un prodotto non è altro che il risultato del rapporto dell’ANDAMENTO DELLA DOMANDA e del TEMPO (durante l’esame prima deve essere detta questa premessa, una volta detto ciò, si può passare ad esaminare il grafico elencando tutte le fasi di vita) vediamo quindi come varia la domanda al variare del tempo. 1- Durante la fase di RICERCA E SVILUPPO la domanda non si manifesta ancora; parliamo della fase di NASCITA. Durante questa fase, è necessario per l’impresa SFRUTTARE tutte le OPPORTUNITA’ che vengono offerte dal mercato e deve cercare di RIFINNIRE al massimo l’IDEA del prodotto proteggendosi dalla possibile imitazione dei competitors. 2- Abbiamo poi il momento del lancio del prodotto all’interno del mercato efficacemente individuato (target) utilizzando gli strumenti di comunicazione e di distribuzione più adatti: bisogna fare attenzione a tutte le tipologie di problematiche che potrebbero sorgere a partire dalla risposta del mercato sino ai competitors; a questo momento consegue la fase di CRESCITA. Per un certo periodo di tempo, l’impresa può utilizzare il PREZZO DI LANCIO (tendenzialmente basso che ha lo scopo di rendere il prodotto maggiormente conosciuto): parliamo di MERCATO DROGATO; successivamente questo prezzo di lancio viene sostituito con un prezzo per cui il prodotto vale effettivamente (e che consenta all’impresa di remunerare tutti i costi sostenuti): parliamo di MERCATO NON DROGATO. Durante la fase di crescita troviamo l’INNOVAZIONE DEL PROCESSO per poter appunto stare al passo con il prodotto innovativo stesso; durante la fase di crescita, conseguentemente all’aumento della domanda, inizia a concretizzarsi l’ipotesi di IMITAZIONE del prodotto da parte dei concorrenti (il livello di vantaggio competitivo di cui si gode nel momento di nascita del prodotto inizia pian piano a ridursi ed inizia invece ad aumentare la competitività)→ sistema concorrenziale fortemente competitivo. Questo processo comporta l’uscita dal mercato dei competitors i quali non sono stati in grado di essere al passo del grado di competitività di quel determinato mercato. 3- La fase di MATURITA’ coincide con la fase più florida del prodotto/ impresa con il massimo livello di domanda (si avrà difficoltà a superare tale livello). Si tratta di una fase in cui, grazie al prodotto ormai da tempo lanciato, si raggiunge una maggiore STABILITA’ e abbiamo maggiori posizioni competitive CONSOLIDATE; durante questa fase però possono verificarsi delle GUERRE DI PREZZI poiché i competitors (vista la posizione di stabilità dell’impresa che ha lanciato il prodotto) che sono riusciti ad imitare il prodotto si trovano anche loro in una posizione di stabilità→ di fronte a prodotti differenziati, l’unica possibilità per cercare di smuovere questa situazione è la RIDUZIONE dei prezzi di vendita. Durante questa fase si assiste ad una RIDUZIONE DEI COSTI UNITARI data da diversi elementi quali: a. Curva di esperienza→ essendo il prodotto presente sul mercato ormai da diverso tempo, l’impresa è in grado di formulare delle strategie che gli consentiranno in qualche modo di ridurre i costi unitari. b. Economie di scala e di esperienza→ all’aumentare della produzione/ esperienza, diminuiscono i costi unitari. c. Ottenimento di risorse produttive a basso costo. d. Livelli elevati di efficienza operativa. 4- Abbiamo poi l’ultima fase ovvero quella di DECLINO, che coincide appunto con la fine del ciclo di vita del prodotto/ impresa in cui il livello della domanda è pari a zero poiché le esigenze/ desideri del mercato (consumatori) cambiano e quindi tale bene non viene più considerato utile oppure perché vengono lanciati all’interno del mercato prodotti che risultano essere più utili. Vi sono però delle STRATEGIE che permettono di RITARDARE tale fase di cessazione di un prodotto, quali: a. STARTEGIE DI QUOTA→ l’impresa decide di consolidare la propria quota di mercato (e cioè si concentra sui soggetti che fino ad allora hanno consentito di raggiungere tale quota acquistando il prodotto, decide di restringere il proprio campo d’azione). b. STRATEGIE DI NICCHIA→ l’impresa riduce il proprio campo d’azione/ si focalizza solamente su quella tipologia di soggetti fedeli che hanno sempre acquistato (si tratta di un approccio molto simile a quello appena visto, l’impresa restringe il proprio raggio d’azione ancora di più). c. STRATEGIE DI MIETITURA→ situazione in cui abbiamo un prodotto che viene “tenuto in vita” riducendo al minimo i costi “inutili” (ad esempio quando l’impresa lancia una versione nuova di un determinato prodotto: per la versione precedente del prodotto, questo viene comunque prodotto ma non si sosterranno più i costi per cercare di rilanciare tale prodotto come costi per il marketing o per le comunicazioni). d. STRATEGIE DI DISINVESTIMENTO→ si tratta di una situazione in cui l’impresa cerca di dismettere il prodotto dal mercato (ad esempio attraverso campagne di svendita) oppure lo va direttamente a ritirare dal mercato. Nella fase di declino possiamo parlare quindi di una vera e propria situazione di CRISI D’IMPRESA: ciò non vuol dire necessariamente che l’impresa debba per forza cessare la propria attività, prima di tutto è importante infatti: 1- INDIVIDUARE LE CAUSE PRIMARIE→ possibili elementi negativi che “remano” contro l’impresa e danneggiano l’equilibrio tra gli obbiettivi che l’impresa vuole porre in essere (l’impresa quindi non sfrutta al meglio le risorse e le opportunità di cui dispone) e l’ambiente come i fattori ambientali dell’ambiente circostante che l’impresa non può prevedere oppure fattori interri come l’organizzazione aziendale (che magari viene meno). Queste cause primarie vengono individuate tramite PARAMETRI DI EFFICIENZA quali: a- I costi fissi che superano il totale delle vendite: ci troviamo quindi in una situazione di perdita. b- Vendite per dipendente. c- Utile per dipendente. d- Personale di staff su personale complessivo. e- Valore aggiunto per l’addetto. Tra le cause primarie possiamo individuare anche dei fattori di natura ACCIDENTALE che per un determinato periodo possono compromettere le azioni aziendali→ il RISCHIO è SEMPRE presente, l’imprenditore deve essere sempre predisposto ad affrontare e a superare la situazione di rischio. 2- INDIVIDUARE LE CAUSE SECONDARIE→ si tratta di cause che intervengono solo dopo l’intervento delle cause primarie (quelle secondarie quindi amplificano ancor più gli effetti patologici causati da quelle primarie). Come può fronteggiare tali situazioni? L’impresa per fronteggiare queste situazioni di crisi, l’impresa può utilizzare delle STARTEGIE TURNAROUND→ si tratta di strategie estremamente rapide che permettono all’impresa di fronteggiare tali situazioni di crisi in poco tempo; queste strategie permettono all’impresa di ricostituire quella che era la condizione aziendale prima delle cause negative (questa strategia quindi agisce andando a rimuovere le cause che hanno generato tali situazioni sfavorevoli di crisi). Dopo aver cercato di eliminare le cause della situazione di crisi, l’impresa può attuare un’azione RIFOCALIZZAZIONE E RISTRUTTURAZIONE sul proprio core business→ essa permette di eliminare delle attività aziendali accessorie che non sono necessarie/utili all’attività aziendale e che non sono ritenute utili al raggiungimento degli obbiettivi aziendali. LE STRATEGIE DI CRESCITA→ queste strategie portano l’impresa ad una situazione di ESPANSIONE (di organizzazione, di risorse, di ricavi, di fatturato e di quota di mercato) tra le strategie di crescita abbiamo: 1- CRESCITA INTERNA→ si tratta della capacità dell’impresa di intraprendere un percorso di crescita attraverso interventi di RAZIONALIZZAZIONE delle PROPRIE risorse aziendali (ad esempio andando ad agire nei confronti di determinate attività inutili ai fini del raggiungimento degli obbiettivi): l’azienda attuerà quindi dei processi che permettono di valorizzare ed ottimizzare le proprie competenze (come le risorse umane) eventualmente modificando le strutture organizzative. 2- CRESCITA ESTERNA→ si tratta della capacità dell’impresa di intraprendere un percorso di crescita attraverso l’INTEGRAZIONE (che può essere occasionale oppure continuativa sino a diventare Le JOINT VENTURES sono un’altra forma di cooperazione forse di poche imprese (normalmente formata da solo 2 imprese) che condividono il capitale per il raggiungimento di un determinato obbiettivo: la presenza di ciascuna impresa, dato ridotto numero, è particolarmente significativo. Quali sono le MOTIVAZIONI per cui si decide di dare vita a forme di collaborazione? a. Ottenimento di risorse. b. Difesa di risorse e di competenze da approcci di imitazione da parte di imitazione competitors (con le quali non si possono avere delle forme di cooperazione). c. Vantaggio competitivo basato sulla relazione e ottenuto grazie all’acquisizione di nuovi meccanismi (di apprendimento e di governance idoneo e adatto alla relazione) e all’acquisizione di nuove risorse→ questo elemento è in realtà l’obbiettivo principale rispetto al quale le imprese decidono di attuare queste strategie di collaborazione. Spesso una cattiva gestione/ governance del rapporto cooperativo porte le imprese a non raggiungere i propri obbiettivi prefissati e porta a tali relazioni ad essere sciolte. 4- ESPANSIONE/ CONCENTRAZIONE NEI BUSINESS ESISTENTI→ si decide di aumentare il proprio livello di presenza rimanendo nella propria area di affare (o con una strategia di integrazione verticale oppure orizzontale); l’impresa quindi cerca di sfruttare al massimo le proprie potenzialità (patrimonio esistente) 5- DIVERSIFICAZIONE→ (da non confondere con la differenziazione) si tratta di una strategia che all’impresa di diversificare e di ALLARGARE la propria attività entrando all’interno di aree di affari/business differenti sfruttando le proprie competenze, il proprio know-how): l’azienda decide quindi di aggiungere al proprio core business tutta una serie di nuove attività che possono anche appartenere a aree differenti. A differenza delle strategie di integrazione verticale/ orizzontale, la strategia di diversificazione può agire nei confronti di qualsiasi tipologia di mercato. Le strategie di diversificazione possono essere: a. CORRELATE→ strategia di diversificazione e penetrazione in nuovi mercati (attraverso lo sviluppo del prodotto o del mercato) che sfrutta le medesime risorse dell’impresa, il know-how che viene utilizzato è quello proprio dell’impresa; la tipologia di clientela pertanto rimane INALTERATA; ad esempio Zara che pur essendo presente su mercati differenti (si di vestiti e sia di arredamento con Zara home), presenta per lo più la medesima tipologia di clientela. b. CONGLOMERATE→si attua una strategia di diversificazione che riguarda sia il prodotto che il mercato (l’impresa entra in nuove attività completamente diverse) attraverso l’utilizzo di risorse/competenze/tecnologie del tutto nuove rivolgendosi a mercati completamente diversi in base alla tipologia dei prodotti; ad esempio la Samsung che produce sia prodotti tecnologici sia ad esempio i motori per le barche. Le strategie di diversificazione permettono di ottenere diversi RISULTATI: - SINERGIE→ l’utilizzo di tale strategia permette di raggiungere dei risultati finali superiori rispetto ai risultati che si raggiungerebbero se tali attività venissero svolte separatamente. - ECONOMIE DI CAMPO→ si tratta del contenimento dei costi che appunto è possibile ottenere essendo presente in diversi settori di attività. -ECONOMIE FINANZIARIE→ l’integrazione con le altre imprese crea un mercato finanziario interno che permette di risparmiare numerosi costi (come ad esempio la condivisione dei costi di trasporto eccetera). RIDUZIONE DEL RISCHIO→ si tratta del motivo principale per cui le imprese decidono di attuare una strategia di diversificazione: grazie alla diversificazione si va a ridurre il rischio poiché si è presenti in aree strategiche di mercato differenti (l’impresa è quindi in grado ii compensare eventuali situazioni negative derivanti da un business con risultati positivi derivanti da un altro business all’interno del quale l’impresa si è inserita); ciò ovviamente non può accadere nelle imprese MONO business. 6- ESPANSIONE INTERNAZIONALE→ si tratta della capacità dell’impresa di porre in essere attività rivolte ai mercati internazionali/stranieri e che le permettano quindi di espandersi in mercati differenti oltre il proprio confine di riferimento (internazionalizzazione può essere intesa sia al livello di internazionalizzazione del mercato sia come internazionalizzazione di alcune fasi della produzione, cioè decido di spostare fisicamente determinate fasi della produzione all’estero riducendo i costi). Ciò permette all’impresa di cogliere tutte quelle opportunità che non sono più presenti all’interno del proprio mercato: l’impresa può quindi diversificare le proprie attività INTERNAZIONALIZZANDOSI (lo stesso prodotto che magari nel mercato locale si trova nella fase di declino, all’interno di mercati esteri può venire invece percepito come nuovo oppure la domanda presente in questo mercato può non essere satura come invece potrebbe essere nel mercato di origine). Il livello di SCARSO DINAMISMO del livello della domanda del mercato di origine può essere COMPENSATO attraverso vendite in mercati stranieri mantenendo la propria presenza sul mercato originario (l’impresa non riesce però ad aumentare la propria quota di mercato, questo avviene appunto quando l’impresa si rivolge a mercati internazionali). In base alla tipologia di impresa cambia la modalità con la quale essa si pone nei confronti del mercato estero attraverso il quale questa utilizza questa strategia: a. IMPRESA INTERNAZIONALE→ impresa che si propone su mercati stranieri attraverso delle forme di ESPORTAZIONE in cui il bene esportato è il medesimo che l’impresa propone al mercato di origine locale; non vi sono investimenti diretti all’estero (perché l’impresa possa essere definita come internazionale saranno sufficienti delle semplici attività di esportazione). b. IMPRESA MULTINAZIONALE/ MULTIDOMESTICA→ impresa che nella sua strategia di internazionalizzazione, sul mercato straniero, propone un bene diverso rispetto a quello che propone nel proprio mercato locale (il know-how con cui viene realizzato sarà il medesimo dei prodotti venduti sul mercato locale ma il prodotto proposto sarà ADATTATO alle abitudini e agli stili di vita del mercato straniero); vi sono operazioni produttive rivolte all’estero solo nell’ambito produttivo (modifico il prodotto in base al mercato a cui l’impresa si propone) ma non in quello commerciale. c. IMPRESA GLOBALE→ impresa che sono riconoscibili a livello mondiale: la filosofia imprenditoriale e di vendita è la MEDESIMA su tutto il pianeta (il prodotto è riconoscibile a livello planetario, non è necessario che venga adattato alle esigenze dei diversi mercati) dove abbiamo degli investimenti diretti all’estero sia nell’ambito produttivo che commerciale; esempio di questa tipologia di impresa è la CocaCola. 7- STRATEGIE DI FOCALIZZAZIONE SUL CORE BUSINESS→ si tratta di strategie che permettono all’impresa di CONSOLIDARE la propria attività esistente attraverso, ad esempio, politiche di rafforzamento. In realtà questo elenco potrebbe anche essere interpretato come uno “step-by-step”→ inizialmente le imprese sono di tipo internazionali e, andando avanti di solito diventano poi multinazionali; difficilmente avviene che le imprese diventino globali: ciò è dato dal fatto che spesso le imprese, in base alle proprie dimensioni e risorse, si fermano ad una di queste fasi piuttosto che svilupparsi attraverso queste. 8- OUTSOURCING (esternalizzazione)→ l’impresa decide di affidare le proprie attività della produzione, quelle che l’impresa non ritiene facciano parte del proprio core-business e quindi all’attività tipica, (ad esempio la gestione dei servizi informatici oppure le attività di trasporto delle merci) a soggetti terzi parzialmente (si affidano solo determinate fasi della produzione che, pur essendo core-business, viene ritenuto che sia utile affidarle ad altri) o totalmente (si affidano attività aziendali che non fanno parte del core-business). Ciò avviene soprattutto quando l’impresa vuole ridurre i costi oppure quando l’impresa stessa non possiede le risorse/capacità per poter realizzare quella determinata tipologia di attività (per l’impresa è quindi più conveniente rivolgersi direttamente a soggetti specializzati in tali attività). La TENDENZA è quella di creare NETWORK (istituire rapporti di collaborazione) con imprese sia fornitrci che con le imprese che acquisiscono prodotti finiti. L’outsourcing è utilissimo nei momenti di CRISI all’interno dei quali l’impresa potrebbe trovarsi poiché con questa strategia di crescita è possibile DIVIDERSI i RISCHI con le altre imprese a cui si ha affidato determinate attività/ fasi della produzione. A differenza delle strategie competitive (che determinano un consolidamento di una posizione in un determinato settore con l’obbiettivo di ottenere vantaggio competitivo), quelle di crescita permettono invece all’impresa di espandersi e di crescere; un’altra differenza sta nel fatto che le strategie competitive tendenzialmente vengono poste in essere in situazioni di nascita dell’impresa mentre quelle di crescita vengono tendenzialmente utilizzate quando l’impresa è già avviata (ha già quindi esperienza, possiede conoscenza delle situazioni dei mercati eccetera), ha già una certa posizione in determinati mercati (ma appunto vuole comunque crescere). LA GESTIONE DELLE OPERATIONS Una volta stabilita la fase strategica, e quindi di individuazione di determinati obbiettivi e percorsi da seguire in base alle competenze e alle risorse proprie dell’impresa, si passa alle attività di GESTIONE OPERATIVA che sono innumerevoli: 1. PRODUZIONE→ l’attività produttiva in quanto tale riguarda diverse fasi di acquisizione, combinazione ed infine di trasformazione fisico-tecnica di un input in output per le imprese INDUSTRIALI/ MANIFATTURIERE (parliamo quindi di un prodotto finito tangibile). L’attività di produzione “vale” anche per le imprese EROGATRICI che si occupano dell’erogazione del servizio (prodotto immateriale e intangibile ma che molte volte avviene anche attraverso l’utilizzo di beni materiali ad esempio le imprese di trasporto). L’impresa, nell’ambito delle attività produttive, INVESTE sia per le ATTIVITA’ ARDAWARE (e quindi investe su tutti i fattori a fecondità ripetuta e quindi gli impianti e macchinari dediti alla produzione) sia per le ATTIVITA’ SOFTWARE (e quindi investe nella gestione/ management della produzione e quindi in tutte quelle attività che interagiscono con la gestione commerciale). b. Bisogna poi sviluppare una CAPACITA’ DI ASCOLTO nei confronti di quelle che sono le esigenze e le lamentele del cliente: ciò è importantissimo per poter pensare ad attività volte a rimediare al disservizio. c. Infine vengono poste in essere le attività che permettono di rimediare al disservizio. A differenza di un disservizio della produzione vera e propria (ad esempio dei prodotti difettati) in cui vi è la semplice sostituzione del prodotto, nel caso di un disservizio nell’erogazione di servizio è necessario porre molta più attenzione soprattutto in modo DIRETTO con il cliente (per evitare che il cliente diventi non soddisfatto del servizio). 2. LOGISTICA (presente all’interno della catena di valore)→ una volta terminata la parte relativa alle attività di gestione produttiva, si può iniziare a parlare della logistica: processo di pianificazione, esecuzione e controllo per gestire in modo efficiente un flusso (per flusso non si intende solo movimentazione fisica dei materiali ma si intendono anche attività di immagazzinamento, stoccaggio e di deposito) dei materiali ovvero materie prime/ semi-lavorati/ prodotti finiti. Nulla di questa attività è casuale: tutto deve essere in linea con le esigenze di produzione/ di consegna delle materie evitando situazioni estreme (di sovra-utilizzo o di sotto-utilizzo); l’attività di logistica è un’attività di CUSCINETTO poiché permette la relazione tra tutte le aree dell’impresa. La RETE LOGISTICA: Si parte dall’AZIENDA (con i fornitori) che, trasformando i fattori produttivi acquistati dai fornitori, produce dei prodotti finiti che vengono inviati presso i CENTRI DI DISTRIBUZIONE e solo successivamente nei centri di vendita al dettaglio. Tra le principali attività logistiche abbiamo: a. Servizio al cliente→ si tratta delle attività di trasporto che permettono al cliente di entrare in possesso del bene: è importante garantire disponibilità (ovvero garantire una facilità di comunicazione con l’impresa, soprattutto in caso di problemi), tempestività, affidabilità (nei tempi di consegna “LEAD TIME” e ciò è garantito dal vettore) e flessibilità (in termini di quantità e prezzo dei prodotti). b. Sistema informativo e elaborazione degli ordini. c. Acquisiti. d. Trasporti. e. Magazzino. f. Scorte. g. Logistica di ristorno (ad esempio i resi di determinati acquisti/ quando viene riportato indietro l’invenduto). h. Scelta localizzazione dei siti aziendali. Dato che, come abbiamo detto, l’attività di logistica non riguarda solamente la movimentazione dei materiali, è importante parlare anche della GESTIONE DEI MAGAZZINI e della GEZIONE DELLE SCORTE: a. GESTIONE DEI MAGAZZINI→l’immagazzinamento dei prodotti permette una RIDUZIONE DEI COSTI DI PRODUZIONE; la capacità di stoccaggio deve consentire una corretta movimentazione della merce e quindi l’utilizzo del mezzo di trasporto che verrà utilizzato. b. GESTIONE DELLE SCORTE→ essa dialoga costantemente con la gestione COMMERCIALE poiché deve essere in grado di utilizzare le scorte in base all’andamento della domanda (si deve evitare di avere un “sopra-stock” in situazioni di una bassa domanda e un “sotto-stock” in situazioni di alta domanda). 3. APPROVIGIONAMENTO→ All’interno dell’approvvigionamento possiamo anche introdurre il concetto di “marketing” con il Marketing d’acquisto→ l’impresa utilizza le tecniche di marketing mix all’interno delle relazioni con i fornitori (concetto di potere contrattuale del fornitore) nelle fasi di approvvigionamento: si individuano le FONTI DI APPROVIGIONAMENTO (materie prime/ semilavorati) più adatte all’attività dell’impresa anche in relazione al PREZZO (si sceglierà il fornitore che offrirà il prezzo più conveniente) e alla COMUNICAZIONE. Nel caso in cui si instaura un tipo di forte INTEGRAZIONE VERTICALE con l’impresa fornitrice (ciò significa che l’impresa ha “acquistato” l’impresa fornitrice ed è in grado di comandarla), le tecniche di MARKETING D’ACQUISTO non vengono del tutto utilizzate: se si è proprietari dell’impresa fornitrice (e l’approvvigionamento deriva solamente da quell’unica azienda fornitrice) non serve applicare tali tecniche; se invece ci si approvvigiona sia da un’impresa fornitrice che si possiede sia da altre imprese fornitrici (quella che si possiede quindi non è l’unica impresa da cui ci si approvvigiona), allora si utilizzeranno le tecniche di marketing d’acquisto. 4. DISTRIBUZIONE DELL’OUTPUT (del prodotto finito) La GESTIONE COMMERCIALE è una delle attività primarie dell’impresa e può essere intesa anche come un’attività di MARKETING: processo atto ad individuare e a soddisfare i bisogni e i desideri dei clienti mediante la realizzazione di prodotti/ servizi IDONEI che, attraverso scambi, generano VALORE e SODDISFAZIONE per tutti gli operatori; il marketing quindi permette all’impresa di cogliere tutte le opportunità del mercato e di fare business. Ad oggi le attività di marketing attraversano TUTTE le fasi dell’impresa sin dall’ideazione del prodotto: difatti prima ancora di ideare un prodotto bisogna capire quelli che sono i bisogni e i desideri del mercato→ si svolge quindi un tipo di ATTIVITA’ PROATTIVA ovvero si sviluppano dei prodotti che soddisfano i bisogni/ desideri latenti che il mercato ancora non ha ancora manifestato. Nel corso degli anni, nella gestione del marketing, si è visto il susseguirsi di diverse fasi: a. ORIENTAMENTO AL PRODOTTO→ in passato le imprese avevano un livello di OFFERTA omogeneo e una concorrenza quasi del tutto assente; le imprese, per garantirsi l’abbattimento dei costi e una produzione efficiente, si orientavano in base al prodotto. b. ORIENTAMENTO ALLE VENDITE→ nella fase successiva (parliamo di un altro contesto storico ancora) troviamo invece un ECCESSO DI OFFERTA e quindi di produzione: le imprese facevano quindi leva su tutte quelle attività che consentivano lo “smaltimento” dei prodotti (evitando situazioni di sovra-stock). c. ORIENTAMENTO AL MERCATO→ in questa ulteriore fase (anni 80), ci avviciniamo sempre più alla realtà di oggi; le imprese si trovavano in un sistema fortemente COMPETITIVO: si deve quindi organizzare quella che è la propria offerta in modo che questa sia coerente con le condizioni del mercato (prima si analizza il mercato e le sue esigenze e poi si decide cosa produrre). d. ORIENTAMENTO AL CLIENTE→ ultima fase (anni 90) in cui le attività dell’impresa si concentrano sulle esigenze del cliente: nasce una relazione diretta e continua con il cliente; si tratta di un sistema fortemente competitivo e per questo le imprese devono necessariamente diversificarsi rispetto alle imprese competitors. e. Ad OGGI le imprese conducono sempre un orientamento con il cliente e con le nuove tecnologie queste forme di orientamento diventano sempre più SOFISTICATE ed IPERCONNESSE: si è quindi in grado di entrare in contatto con il SINGOLO consumatore oppure è il consumatore che riesce ad entrare in contatto con l’impresa. Ad oggi quindi l’attività di marketing non è più solo un’attività di TRANSAZIONE (creazione di valore solo economico) ma si basa sulla creazione di valore non solo economico (transazione) ma soprattutto valore di RELAZIONE con il cliente: i sistemi digitali di oggi permettono di instaurare una relazione CONTINUA con il cliente→ parliamo quindi di MARKETING RELAZIONALE. Il cliente può avere un livello di SODDISFAZIONE non solo con l’acquisto del prodotto ma ed esempio anche solamente grazie al fatto che può prendere parte/ essere partecipe alle campagne social dell’impresa (parliamo quindi di forme di COMUNICAZIONE); per misurare la soddisfazione, il livello del servizio deve essere ALMENO PARI al livello delle aspettative: la “costumer satisfaction” rafforza quindi la percezione di affidabilità dell’impresa. Il concetto di AFFIDABILITA’ è importante per l’impresa poiché aumenta il livello di FIDELIZZAZIONE (il vero e proprio obbiettivo dell’impresa) e quindi di vendere i prodotti in modo continuativo nel tempo. Tra le attività del marketing ricordiamo: 1. MARKETING MANAGEMENT→ si tratta dell’attività di gestione del marketing che si articola secondo tre diversi processi differenti (che vengono adoperati da tutte le tipologie di impresa): a. Processi analitici che permettono di svolgere attività di analisi della domanda POTENZIALE ovvero la domanda che non è ancora stata intercettata dai competitors (diversamente dalla domanda ATTUALE ovvero la domanda che è già intercettata dai competitors e dove quindi già ci sono delle vendite/ domanda PREVISIONALE ovvero la domanda che si presuppone possa manifestarsi in futuro) e della concorrenza per capire se conveniente o meno proporsi all’interno di quel determinato mercato. Da ciò ovviamente dipende il tipo di strategia che l’impresa può adottare (ci troviamo quindi ben prima della gestione operativa): si può decidere ad esempio se internazionalizzarsi o meno; l’analisi della CONCORRENZA si basa sulla misurazione del grado di sostituibilità dei prodotti (che soddisfano i medesimi bisogni) già presenti sul mercato: l’impresa ovviamente cercherà di differenziarsi. I rischi tuttavia non è detto che danneggino per forza il patrimonio dell’impresa ad esempio i RISCHI SPECULATIVI (parliamo di rischi di mercato/produzione/investimento: tutti connessi all’attività imprenditoriale e al fatto che l’impresa interagisce con l’ambiente circostante a d esempio i rischi finanziari oppure i rischi relativi alle politiche di un paese) potrebbero portare l’impresa anche in una situazione di vantaggio e parliamo quindi di RISCHIO STRATEGICO. I RISCHI PURI (e che quindi determinano solamente effetti negativi nei confronti dell’impresa): essi non derivano direttamente da attività dell’impresa ma si generano in seguito ad eventi esterni all’impresa (ad esempio furti/insicurezza dell’attività/responsabilità civile). Quali sono gli EFFETTI della gestione dei rischi: a. DMIMINUZIONE DEL PATRIMONIO AZIENDALE→ parliamo quindi della perdita delle disponibilità/esclusività (accessibilità privilegiata a determinate risorse) dell’impresa oppure di una modifica indesiderata delle risorse. b. EFFETTI DIRETTI→ si tratta di danni che non permettono la continuazione dell’attività aziendale per un determinato periodo di tempo (ad esempio se accade un incendio, non si può più produrre perché non si possono utilizzare i macchinari). c. EFFETTI INDIRETTI→ si tratta di danni che non danneggiano direttamente la possibilità di continuare l’attività aziendale ma che possono alterarla (ad esempio ritardi nei tempi di consegna dovuti ad un furto). d. DANNI CONSEQUENZIALI→ si tratta di danni i cui effetti si protraggono in periodi di tempo più lunghi e che sono molto difficili da colmare (ad esempio i danni di immagine o di reputazione). Che cosa può fare l’impresa per TUTELARE i propri ASSET? Riconosciamo diverse tipologie di interventi: a. PREVENTIVI→ questi interventi agiscono “a monte” e hanno come obbiettivo l’eliminazione delle cause dirette dell’evento dannoso. b. CONTESTUALI→ questi interventi vengono messi in atto per fronteggiare tempestivamente l’evento dannoso nel momento stesso in cui tale incidente si verifica: capacità dell’impresa di REAGIRE e di essere preparata agli eventi dannosi. c. SUCCESSIVI→ si tratta di interventi atti a ripristinare la situazione precedente al causarsi dell’evento dannoso (ad esempio quegli interventi atti al recupero dei rapporti con gli stakeholders). Sempre nell’ambito dei rischi possiamo parlare del concetto di SECURITY→ protezione dell’impresa da atti illeciti: parliamo della protezione fisica (ad esempio i sistemi di allarme) di tutte le tipologie di patrimonio: tangibile/intangibile/immateriale. La security è articolata in tre diverse forme: 1. WHITE COLLAR CRIME→ si tratta di una serie di comportamenti illeciti/dannosi che vengono attuati dai dipendenti (derivano quindi da fattori INTERNI all’impresa); spesso tale forma di crimine si manifesta tramite i furti (azioni di sottrazione delle risorse) e questi dipendono dal ruolo che questi soggetti hanno all’interno dell’impresa (ad esempio l’alterazione dei registri di pagamento che possono essere fatti da soggetti appunti adibiti alla redazione di tali registri). Una delle operazioni che l’impresa può mettere in atto per cercare di ridurre tali atti è quella di ricorrere al RPINCIPIO DI RESPONSABILITA’. 2. CYBERG SECURITY→ si tratta della criminalità INFORMATICA che ha come oggetto i sistemi hardware e software (si tratta quindi di attacchi alle componenti informatiche dell’impresa come le banche dati oppure i dati delle comunicazioni); parliamo quindi dei soggetti di “pirati informatici” ovvero gli hacker. Negli anni la cybergsecurity è cresciuta di molto dato lo sviluppo di tutte le tecnologie delle imprese e soprattutto dato il basso costo attraverso cui tali atti di hackeraggio possono essere espletati (anche grazie al fatto che questi crimini sono difficilmente individuabili dalle imprese). Tra i sistemi che l’impresa può attuare per cercare di proteggere le proprie componenti informatiche è la SICUREZZA ORGANIZZATIVA. 3. SPIONAGGIO INDUSTRIALE→ parliamo di crimini che vengono attuati attraverso SISTEMI DI INTELLIGENCE di raccolta di dati (di tutte le tipologie): le imprese stesse sono attratte da questa tipologia di “crimine” data la facilità con cui è possibile raccogliere i dati (che quindi potrebbero essere utilizzati dalle imprese per un proprio vantaggio). Un'altra forma di gestione dei rischi è quella della gestione della SALUTE e della SICUREZZA relativamente all’ambiente di lavoro: si tratta di quell’insieme di attività che vengono attuate per garantire igiene e sicurezza all’interno del luogo di lavoro; l’OBBIETTIVO di tale gestione è quelle di proteggere il lavoratore da eventuali infortuni (causa accidentale che si verifica al momento)/malattie professionali (causa che si manifesta nel tempo; ad esempio l’esposizione prolungata nel tempo a fattori nocivi) così da garantirne il BENESSERE (fisico e psicologico) così da non compromettere le prestazioni lavorative del soggetto. Ad oggi la NORMATIVA VIGENTE prevede prima di tutto la redazione di documenti che mettono in evidenza gli eventuali rischi che si potrebbero incorrere nello svolgimento di una determinata mansione e la necessità del diretto coinvolgimento del lavoratore riguardo ai temi della sicurezza sul lavoro. Vi sono delle specifiche mansioni che sono proprio atte alla valutazione e alla gestione della sicurezza sul lavoro. I metodi di gestione di tutte le tipologie di rischi si basa sull’individuazione dell’obbiettivo perseguito e sulla logica d’azione (secondo cui tutte le decisioni finali di trattamento dei rischi devono discendere da un’attività di analisi dei rischi stessi); è ovvio poi che durante la gestione dei rischi per l’impresa non è possibile attuare le proprie attività tipiche (parliamo di inapplicabilità di routine di comportamento). Quindi in SINTESI l’impresa, nell’ambito della gestione dei rischi, attua queste fasi: 1. IDENTIFICAZIONE DEL RISCHIO. 2. VALUTAZIONE DEL RISCHIO (si identificano e classificano i rischi e i loro effetti secondo criteri di rilevanza per dare priorità ad azioni di intervento rispetto ad altre). 3. DETERMINAZIONE PRIORITA’ D’INTERVENTO. 4. TRATTAMENTO DEL RISCHIO. Ad oggi per le imprese anche l’AMBIENTE è considerato come un bene dal valore ECONOMICO (perché ad oggi si può dire che ha una forma limitata). La gestione della variabile ambientale può essere: 1. EX POST→ obbligo dell’impresa di mettere in atto una serie di attività che permettono di ripristinare l’ambiente che potrebbe essere stato danneggiato dalle attività dell’impresa. 2. EX ANTE→ attività che permettono all’impresa di prevenire il verificarsi di tali danni ambientali. L’impresa deve avere ECOEFFICIENZA durante lo svolgimento delle proprie attività; essa si divide in 4 parti: a. Ottimizzazione del consumo delle materie prime b. Minimizzazione degli scarti. c. Riutilizzo e riciclaggio degli scarti. d. Massimizzazione della compatibilità ambientale dei prodotti/servizi.
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