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Eleonora Duse: La Grande Attore e la Sua Carriera - Prof. Simoncini, Appunti di Storia

Questa lezione racconta la vita e la carriera di eleonora duse, una delle più grandi attrici teatrali italiane. Dal suo successo iniziale fino alla sua ritirata dalle scene, la duse ha sperimentato nuove forme di recitazione e collaborato con importanti figure come hugo von hofmannsthal, luigi pirandello e gabriele d'annunzio. Questo documento include biografie, testimonianze e critiche su eleonora duse e la sua relazione con i suoi collaboratori.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 28/01/2024

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Scarica Eleonora Duse: La Grande Attore e la Sua Carriera - Prof. Simoncini e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Storia degli attori e della recitazione Eleonora Duse e il teatro del grande attore LEZIONE 1 La Duse non scrive memorie, a differenza di quelli che saranno poi i nuovi registi. La Ristori è tra i pochi che ha lasciato memorie dei suoi viaggi e di come interpretava i propri ruoli. La Duse, ormai vecchia a 60anni, incontra il giovane Papini che le dice che deve scrivere; scritti e abbozzi sono conservati alla Fondazione Cinema di Venezia. Lei non parlerà mai di se, neanche quando abbandonerà le scene. L’arte del grande attore è misteriosa, la sua è sfuggente perché molto ha fatto ma poco di se ha raccontato. Quando ci viene raccontato di lei c’è sempre il filtro di chi la guarda. Si avverte della sofferenza in lei quindi la sua recitazione non è pacificante. Lei cambia stile nel tempo, gioventù e vecchiaia sono diversi. La Duse alla fine della vita arriva a cercare una relazione con la moderna e nuova regia. Lei arriverà a commissionare e pagare Gordon Craig la scenografia, ma lui con le sue scene, faceva un po anche da regista. Lui è un uomo di teatro completo che con la gestione della scenografia cerca delle modalità coercitive per non mettere in scena gli attori (Rosmersholm di Ibsen). Messa in scena una sola volta nel 1905 alla Pergola. All’epoca non si parla quasi per nulla delle scene. Isadora Duncun parla della scena e dell’emozione della Duse. I due mondi entrano in contatto ma i due litigano per problemi di tipo MATERIALE, lei va in tour e mette in scena le scenografie di Craig che scopre che il trovarobe gli aveva tagliato le scene. Lei chiama Craig, vedendo le scene decide di andarsene. La Duse è figlia d’arte, era abituata ad adattarsi alle situazioni, lui invece non sopportava che la sua perfezione venisse compromessa. L’arte dell’attore 800esco sa adattarsi alla materialità del teatro, necessità di adattamento e degli spazi. Il teorico non si adatta a un teatro di questo tipo. Cambia il modo di fare teatro. I due non possono collaborare perché fanno parte di due meccanismi teatri differenti. In Europa la regia nasce alla fine dell’800 anni 80 ma più 90. La regia entra con prepotenza nel mondo del teatro. In Italia, dal punto di vista linguistico, arriva negli anni ’30 del 900. Ma entra definitivamente nel secondo dopoguerra. Nel ’47 Strehler e Paolo Grassi fondano a Milano il teatro Piccolo. La figura arriva in ritardo perché c’erano attori straordinariamente importanti e c’era un conflitto. Perché il regista voleva dire all’attore cosa fare e il Grande Attore voleva fare di testa sua. Le due figure sono nemiche. Ecco perché il caso della Duse e Craig è straordinario. Il fenomeno del grande attore riguarda tutta Europa ma è più forte in Italia perché c’era un eccellenza maggiore. Per la maggior parte sono figli d’arte e sono capocomici. Il capocomico fa letteralmente tutto: finanzia e paga, è un’imprenditore con i dipendenti che sono gli attori, di fatti è lui a scritturarli con l’aiuto degli agenti teatrali. Erano loro a scegliere gli attori, il capocomico chiedeva il tipo di ruolo che cercava e le agenzie facevano la magia. Gli attori venivano reclutati a seconda dei ruoli. Si scritturavano gli attori non per fare un personaggio ma per il ruolo, questo perché si recitava una 30ina di testi a stagione teatrale. Quando la compagnia arrivava in una grande piazza si fermava circa un mese e ogni giorno faceva uno spettacolo diverso. Il ruolo è un contenitore di personaggi simili tra loro. La produzione di copioni teatrali si prestava a questo gioco, infatti gli scritti prevedevano questa divisione. La bravura dell’attore doveva riempire le carenze della scena come la scenografia che era discutibile (se non sbaglio fatta di carta attaccata su quinte posticce). Il teatro ottocentesco del grande attore, non è finanziato dallo stato e le compagnie rischiano spesso il fallimento. Per quando riguarda i costumi, ogni attore portava i suoi nel suo baule. Il capocomico pagava per tutti solo costumi per messe in scena di tipo storico. Il capocomico doveva compensare bene e scegliere bene i 30 testi da mettere in scena. Il cavallo di battaglia della Duse era La signora delle camelie. 1 Il teatro italiano di prosa del secondo '800 Abbiamo 3 meccanismi fondamentali: 1-l’impresario, figura più importante per il teatro musicale, che di prosa, perché in quel periodo aveva sicuramente più piede il teatro lirico rispetto che quello di prosa. Svolge un compito di intermediazione tra la compagni e il teatro, di cui ha la gestione in appalto. Spetta a lui fissare le date degli spettacoli e predisporre il cartellone della stagione teatrale. Di solito a essere l’impresario, nel teatro del Grande Attore è il capocomico stesso che, si serve dell’impresario per organizzare le tournée all’estero nei singoli stati. 2-L’agenzia teatrale hanno importanza di mediazione. Già attive dalla fine del ‘700 le agenzie teatri acquistano sempre più potere nell’800, copritetto nel teatro di prosa. Svolgono una centrale intermediazione tra l’impresa e l’artista (nel teatro d’opera) e tra compagnia e attori (nel teatro di prosa). L’agente provvede alle scritture degli attori in compagni e gestisce e stipula dei contratti trattenendo delle “provvigioni” in ragione del 5/6% sulla paga dello scritturato. Il capocomico quando non sapeva chi reclutare si rivolgeva all’agenzia, che aveva i suoi protetti e li sponsorizzava. Re Riccardi si occupava del teatro francese mentre Enrico Polese Santarlecchi esportava i testi di Ibsen, facendo attenzione a fargli rispettare la prassi del teatro dei ruoli; si trovava quindi a smontare e lavorare i testa per fare in modo che questi potessero essere messi in scena. L’agenzia teatrale ha anche una fondamentale funzione di mercato dei copioni che importa dall’estero (in particolare dalla Francia) fornendo le traduzioni dei testi alle compagne che decidono di inserirli nel repertorio. Le traduzioni erano discutibili Alle agenzie sono spesso collegati giornali e riviste specializzate che forniscono puntuali informazioni sull’attività teatrale nazionale condizionandone l’andamento. Le più importanti erano “L’arte drammatica” (Milano) e il “Piccolo Faust” (Bologna) 3-La compagnia è la principale struttura organizzata della realtà teatrale ed è caratterizzata da nomadismo, si tratta cioè di compagnie di giro. Poche e dialettali quelle stanziali. Le compagnie si dividono in: 1- compagnie primarie delle grandi piazze 2- secondarie che sono nelle provincie 3- terz’ordine vanno dei buchi di culo. Il sistema consente una capillare diffusione dello spettacolo su tutto il territorio. Tutti i tipi di compagnia avevano una stessa rigida organizzazione interna che si basava sul sistema dei ruoli. Il ruolo era una sorta di griglia precostituita, a cui corrispondevano rigorose norme contrattuali, che, individuate le caratteristiche essenziali di interpretazioni a loro affini, le codificava entro formule gerarchiche, valide per qualsiasi testo da mettere in scena, ricondotto così entro categorie fisse e riconoscibili. I tuoi si dividevano in 3 grandi categorie gerarchiche: 1- ruoli maggiori o assoluti, sono i più prestigiosi e costituiscono il punto d’arrivo della carriera di un attore 2- ruoli minori, subordinati ai precedenti erano appannaggio di attori giovani in cerca di affermazione o di attori ormai a fine carriera 3- ruoli generici, i più bassi nel gradino gerarchico del sistema, venivano utilizzati per le parti di contorno, drammaturgicamente appena abbozzate. Ai ruoli corrispondevano determinate caratteristiche stilistiche e fisiche (le physique du role) degli attori. I ruoli maggiori del teatro ‘800esco sono: -La prima attrice (o prima donna), si esercitava soprattutto nelle parti amorose, di qualunque genere (dramma, tragedia, commedia) e forma (prosa, versi) del repertorio antico e moderno. Componente indispensabile era l’arma della seduzione che l’attrice esercitava sul pubblico con ogni mezzo espressivo (mimica, dizione, modulazione della voce, portamento) e fisico (avvenenza, bella voce, ricco abbigliamento, curata acconciatura). La prima attrice era il vero fulcro della compagnia e le attrici che ricoprivano questo ruolo erano le più pagate. Solitamente aveva diritto 2 LEZIONE 2 Nel 1985 viene scritto il primo libro su Eleonora Duse, intitolato L’attrice divina. Il fatto che i libri che la riguardano sono stati realizzati in diversi stati ci fa capire lei era un’artista a livello internazionale. In quegli anni si apre uno studio proprio su questi tipi di artisti. Per quanto riguarda gli studi italiani, abbiamo il libro della Molinari sopraccitato a cui si interseca il libro Il teatro di Eleonora Duse di Mirella Schino, pubblicato prima nel 1992 e di nuovo nel 2008. Il libro di Molinari è più di tipo storiografico mentre quello della Schino è più “problematico” e cerca di cogliere tutti gli aspetti dell’attrice; sostanzialmente problematizza l’arte della Duse. Eleonora Duse nasce nel 1858 a Vigevano, per puro caso. I genitori erano attori di scarso livello di una compagnia di terz’ordine. Lei è quindi figlia d’arte, punta di diamante della sua famiglia. La Duse non poteva fare altro che diventare attrice visto che già a 4 anni veniva buttata in scena. Nipote di Luigi Duse, che inventò la maschera di Giacomo Spasemi a Padova, butta tutti e 4 i figli nel teatro e il peggiore era proprio il papà di Eleonora. Eleonora Duse si lamenta spesso di essere una figlia d’arte obbligata a recitare, odia esporsi tutte le sere davanti al pubblico. Di fatti abbandona il teatro per 10 anni dal 1909 al 1921. Nasce a Vigevano in una camera d’albergo e muore in una camera d’albergo in tournée a Pittsburgh. Nasce e muore in un albergo per caso.. recitando. Nel contesto del teatro del grande attore e nella sua prassi teatrali sembrano esserci delle griglie ben precise. I grandi attori queste griglie le fanno saltare. Intorno agli anni ’50 dell’800 si configurano attori eccezionali, deviazione e anomalie numerose. Adelaide Ristori decide di fare una cosa rivoluzionaria, lei recitava dopo essere saltata di compagni in compagnia, arriva in una compagnia stabile “Compagnia Reale Sarda” finanziata dai Savoia. Già la compagnia stabile è un’anomalia perché era per l’appunto stabile e finanziata cosa che solitamente non c’era perché le compagnie non erano finanziate. Questa compagnia è l’eccellenza della penisola italiana, compagnia numerosa che si esibisce principalmente a Torino e fa piccole e rare trasferte. Compagnia che ha delle radici in una città. Doppia anomalia di teatro finanziato e radicato. La compagnia nasce nel 1822 e muore nel 1855 quando Adelaide Ristori decide di portarla in tournée all’estero. Lei era la prima attrice, molto intraprendente, anche perché sposata con un marchese impresario teatrale, Giuliano Capranica del Grillo. Questa coppia è potentissima e sradica da Torino una compagnia nata come stabile che in quel momento aveva visto togliersi i finanziamenti statali. Si ha un cambio della prassi anche dal punto di vista politico. Nel 1855 la Ristori conquista Parigi, conquista simbolica perché Parigi era la capitale del teatro. Il teatro del grande attore si fa nascere nei ’50 proprio per questo motivo per via della Ristori che riesce ad arrivare all’estero e divenire simbolo del tetro italiano. Lei fa addirittura il giro del mondo in tournée ripristinando i giri delle tournée dei comici dell’arte che, negli anni che vanno dal 1580 al 1620 avevano i loro tour. La Ristori ripristina questa idea. Dopo di lei la seguono Tommaso Salvini ed Ernesto Rossi. Questi 3 vengono considerati i fondatori del teatro del grande attore. I nati negli anni ’20, ripristinano le prassi teatrali con una vocazione alla tournée estera. Segue la generazione di mezzo nata negli anni ’40. Cosa analoga tra le 2 generazione è il sottostare alla prassi teatrale di un teatro nomade e itinerante e il concetto dei ruoli teatrali; sostanzialmente hanno la stessa prassi teatrale. Cambia però lo stile: -La prima triade ha uno stile romanticismo nel pieno del risorgimento, stile tra romantico e classico recita il vero e il bello, senza un’esagerata enfasi con momenti di realismo teatrale, principalmente fanno attenzione al bello e alle emozioni. -La generazione successiva è quella del naturalismo e del perbenismo, cruda attenzione alla realtà. Differenze di tipo stilistico ma le prassi teatrali rimangono invariate. L’ultima generazione dove si colloca la Duse è quella dei mattatori, nati nei ’50. Viene considerata l’ultima generazione nonostante ce ne siano altre successive (che però sono sfregiate e non meritano di essere considerate tali). Il teatro della Duse affonda le radici in questo tipo di teatro, è figlia d’arte, capocomica, è tutta dentro questa prassi teatrali. L’incertezza di collocarla qui è il fatto che lei è molto moderna rispetto ai suoi colleghi. Attraversa stili diversi nella sua vita: fase giovanile è più naturalista, fase poi più simbolista in cui approccia il teatro d’annunziano, ci sta poi la fase di ritorno al teatro di vecchiaia, periodo secondo la Schino più luminoso. Lei è pero moderna. 5 Che si intende per modernità in Eleonora Duse? (cerchiamo di capirci qualcosa) Leggiamo brani libro della Schino, introduzione: «L’arte del grande attore è quella di creare sorpresa in luoghi noti, non da trattare frontalmente, ma va vista lateralmente, è un arte costruita come una serie di momenti di frattura nel mondo dello spettacolo.» Creare sorpresa in luoghi noti, inteso creare sorpresa nell’uomo, lo spettatore va a teatro aspettandosi qualcosa (aspettandosi le classiche convenzioni per il pubblico tipo nei ruoli). La sorpresa sta nella fuoriuscita da questo sistema. Pensando alla Duse si parla del fisico e delle prestazioni fisiche tipiche della prima attrice che lei non ha, aveva pure la voce rovinata, perché aveva un polmone rotto. Enfatizzava i suoi difetti con dei movimenti diversi uscendo dai canoni della prima attrice. La Duse sovverte le regole costruite dalla prima fondatrice Adelaide Ristori. La Duse si rifiutava di andare dietro a quella che era stata la più grande, non voleva essere la sua epigone. C’è una voglia di fare al contrario, in questa voglia la Duse nella prima fase assorbe il sentimento del suo tempo, la sua sensibilità la porta a penetrare la società del suo tempo, la capta e incarna facendosene portavoce, ma non come se recitasse, come se vivesse. Non lo fa tramite una singola rappresentazione ma la incarna in tutte le sue eroine. Per luoghi noti si parla anche dei testi. Il rapporto con i testi era disinvolto, cioè tutti gli attori non esitavano a modificare i loro copioni, tagliando, ricucendo ma riescono a ricostruire i personaggi con modalità proprie che non sono necessariamente quelle indicate dall’autore (Es. la Lady Macbeth di Adelaide Ristori. Gli attori della prima generazione hanno un problema quando fanno entrare i testi shakespiriani in questo tipo di teatro. Per gli uomini era buono perché erano tantissimi i ruoli maschili e importanti, talmente importante il personaggio spesso dava il nome all’opera -Otello, Amleto, Macbeth- . Naturalmente facevano molti tagli, fregandosene del grande autore dietro l’opera, perché erano lunghe le storie, spesso ce ne erano anche 2 parallele. La Ristori ha il problema che deve portare in scena i ruoli femminili che nel tratto elisabettiano erano secondari e limitrofi, non erano grandi ruoli. Quindi questa già doveva modificare i testi intrecciati, più il ruolo femminile era terribile. Ci sono solo 2 storie che hanno una donna come co- protagonista: Romeo e Giulietta e Antonio e Cleopatra. Lei taglia le battute di Macbeth, perché doveva essere lei la protagonista dello spettacolo, non uno che gli stava sotto. Ma al suo personaggio aggiunge una gestualità tale da far capire che è lei la burattinaia della storia, rendendola ancora più cattiva di quello che è nel testo shakespeariano.) Quindi gli attori mettevano mano ai testi e costruivano una nuova linea di recitazione autonoma rispetto quella del testo e dell’autore. Per drammaturgia d’attore si intende proprio questo: drammaturgia improntata sulla gestualità e sulle controscene catturando l’attenzione dello spettatore. Si parla poi di dettagli imprevedibili, l’arte del grande attore è un arte di dettagli. (Es. urlo di Salvini al Bolshoj per l’Otello, l’urlo era un ricamo complicatissimo e fittissimo di dettagli.) Gli attori creavano una preparazione emotiva a quella che poi sarà la scena madre. Lo spettatore aveva già poi dentro il seguito della scena. Difficile da trattare frontalmente esige squarci laterali, questo tipo di teatro può diventare monotono e banale se lo guardiamo frontalmente si rischia di banalizzarlo. Gli attori vanno studiati in “contropiede”, cercando il punto di rottura di un racconto lineare, vanno studiati tutti i fronti e bisogna incamerare una varietà di fonti cercando di intersecarle fra di loro. Lo spettacolo dell’800 è essenzialmente narrativo e lineare, il teatro dell’800 non è di ricerca ma narrativo perché si c’è disinvoltura nei confronti dei testi ma c’è la volontà di raccontare una storia, senza intellettualismi. Per lo spettatore il teatro è anche luogo d’incontro oltre che luogo d’arte. 3 sono le condizioni per fare teatro: un attore, uno spazio e il pubblico. Il pubblico è essenziale. Il pubblico andava a teatro perché era questo il suo luogo d’incontro della società, differenziata a seconda della propria posizione in sala. Ci si andava con maggiore frivolezza. Lo spettatore veniva catturato dalla Duse, il suo era un teatro commerciale ma non di circostanza. C’era un turbamento e una sofferenza in chi la guardava, non cercava compiacimento. Questo determinava un ripensamento in quello che si vedeva. Arte dello sconcerto, non pacificante. L’arte del grande attore è della frattura e dello sconcerto, lo spettatore viene spiazzato, flusso narrativo lineare che esplode e c’è un disorientamento anche dello studioso. 6 L’arte del grande attore è uno dei grandi misteri della storia del teatro. Fenomeno durato quasi un secolo, da metà 800 fino inizio del 900. L’inizio è segnato dalla tournée della Ristori e inaugura una prassi di questo teatro. Il successo degli attori all’estero ci fa capire che trovano un linguaggio teatrale universale, attraversando lingue e culture diverse. La Duse a un certo punto della sua vita recita principalmente all’estero. Il teatro del grande attore è un fenomeno internazionale come la commedia dell’arte. Il vero fenomeno della cultura italiana internazionale sono proprio questi attori. I drammaturghi 800eschi. Ci sta qualche autore che nella sua carriera viene prestato al teatro: -Alessandro Manzoni con il conte di Carmagnola. La mette in scena la Compagnia Reale Sarda una volta e poi esce dal repertorio perché insostenibile dal punto di vista teatrale. Perché c’è una bella differenza tra teatro scritto e quello che poi viene fatto. -Goldoni è vincente perché scrive per quegli attori e per il pubblico veneziano che lui conosce bene. Goldoni è nel mondo e gli piacciono le persone, è curioso. Per il teatro lui scrive non per il luogo ma per gli attori e per la società veneziana. Scrive cose teatralmente funzionali. -Verga: cavalleria rusticana la novella di cui fa l’adattamento teatrale in un atto unico. La prima attrice a mettere in scena cavalleria rusticana (nessuno la voleva mettere in scena perché è un atto unico quindi dovevi mettere in scena anche qualcos’altro, cosa scomoda per un capocomico) è la compagnia di Cesare Rossi (caratterista) che non vuole metterla in scena per motivi sopracitati lui era affezionato al repertorio dove lui poteva spiccare (Goldoni e Moliere). La prima attrice è Giacinta Pezzana che lascia la compagnia dopo un anno, senza dare spiegazioni. Rossi si trova senza prima attrice e fa salire la seconda donna, Eleonora Duse, passaggio da seconda a prima donna quando lei ha più di 30anni. Come tocca quel ruolo se ne impadronisce e ribalta il meccanismo della compagnia portando a galla il moderno repertorio francese (romanticismo, borghese). La compagnia ne guadagna. I due (primo attore e attrice con Flavio Andò) sono così travolgenti a portare questo nuovo repertorio che Rossi ne rimane escluso, ma fa un sacco di incassi. La Duse è sposata con il generico primario, che tenta di fare il promotore e organizzatore. Rossi si trova accerchiato, sia dal punto di vista recitativo che “lavorativo”. La compagnia diventerà poi Rossi, Cecchi, Duse. Lei vuole recitare cavalleria rusticana e vuole portare il a teatro. La Duse è l’unica a dare credito al testo di Verga che sarà un successo e verrà mantenuto nel repertorio dal ’84 fino al ’97 anno in cui fa la prima tournée parigina dove lo cambierà con un testo scritto per lei da D’Annunzio. Mette in scena cavalleria rusticana insieme a un testo che rappresenta l’italianità all’estero, la locandiera. La Duse ha un grande successo, da prima attrice diviene comproprietaria della compagnia e appena può sperimenta sotto più versanti. I veri esponenti della cultura nazionale o internazionali sono gli attori molto più importanti degli autori in questo momento storico. I registi e nuovi attori ce l’hanno con il teatro del grande attore perché non è fedele al testo. Si cerca fino allo sfinimento di far nascere un autore drammatico italiano. Il modo per comunicare italianità agli italiani dopo l’unità è proprio tramite il teatro, ma questo comunque non viene finanziato. Si prova a finanziare i concorsi per far nascere un autore. I corsi non daranno frutto perché non nasce un pezzo di autore da sta storia. Ci sono discreti autori ma non uno forte. Ma continuano a esserci attori straordinari che girano il mondo e conquistano il pubblico. La storia della cultura italiana ne tiene e ne rende conto. Fino agli anni 50 del ‘900continua il fenomeno del grande attore continua ma il fulcro sta a fine ‘800 inizio ‘900. Bisogna chiarire che per studiare questo fenomeno si usa scorrettamente òa memoria storica, perché si guarda a questo teatro con il gusto e la critica di quello che è il teatro di regia, cosa che non va affatto bene perché è un momento diverso e un tipo di teatro diverso. Non va guardato con gli occhi del teatro di regia. Questo crea dei fraintendimenti che hanno pesato sulla ricostruzione storica di questo teatro. La memoria del grande attore e del suo teatro è stata lesionata perché non se n’è tramandata una corretta memoria, anzi se n’è fatto danno. Non c’era cura dell’arredo scenico ma questo non vuol dire che non ci fosse l’uso dello spazio (infatti c’era), ci sono movimenti di scena, con il partner in scena. La capacità dell’attore di procedere in diversi testi si è trasformata nella memoria bombardata con la banalità dello studio di un singolo testo. 7 ELEONORA DUSE: TESTIMONIANZE Eleonora Duse era già una stella, tarda però nell’ambiente parigino. Il rapporto tra la Duse e la Ristori non era discepolare. Adelaide Ristori scrive una lettera a Giuseppe Primoli, amico della Duse che la aiuta ad entrare sulle scene di Parigi nel 1897, quando la Duse lavorava con D’Annunzio. -Lettera di Adelaide Ristori a Giuseppe Primoli, in “Le Gaulois”, Parigi 26 maggio 1897. (pp.439): «soggetto molto delicato, nutro molta simpatia per lei, talento analitico che sviluppava in lei (preambolo); inizia la critica, individualità estetica che non assomigliava a nessun’altra, effetti nuovi che fanno sul pubblico una profonda impressione, ha dei difetti (la Ristori aveva tutte le caratteristiche), stile unico e originale, effetti nuovi, voce sottile talvolta stridente ha saputo formarsi una recitazione sua propria, meccanismo anticonvenzionale, recitava velocissimo oppure lentissimo, ritmo disarmonico, energia contenuta, fisionomia di grande mobilità, l’attrice si impone allo spettatore e lo costringe a concentrare su di lei l’attenzione, magnetismo, non rispetta la tradizione di chi l’aveva preceduta, falsa magra ma ciò le consente nelle scene di seduzione uno smarrimento dei sensi che in lei sembra slancio di passione, conquista subito la simpatia del pubblico, si impone, si è creata da sé la propria maniera, non ha maestri, convenzionalismo tutto suo, è la donna moderna con tutte le malattie da nevrosi, anemia e tutte le sue conseguenze, debolezze, scarti, la sua voce è un poco nasale, colorito del suo repertorio, lei recita sé stessa, espone la sua anima.» Nevrosi, spiazzamento, inquietudine esistenziale, erotismo e turbamento erano le caratteristiche dell’attrice. La Duse inquina, mescola i ruoli. Il ruolo della seduzione è quella della seconda donna, lei è una prima attrice, fuoriesce dal ruolo e lo inquina. Dato esistenziale di inquietudine che la Duse sa comunicare allo spettatore. -Lee Stransberg docente dell’Actor’s Studio scrive di lei: «La Duse realizzò una fusione dell’aspetto interiore con quello esteriore che nel nostro teatro non abbiamo ancora raggiunto. Ci vorrà un secolo prima che il teatro affronti ciò che la Duse ha rappresentato in questo campo.»(New York, Viking Press, 1965, p.368) «Ero seduto in fondo all’orchestra ma la voce della Duse galleggiava facilmente attraverso il teatro. Era piuttosto acuta. Dato che aveva avuto problemi con la voce durante la giovinezza, si era allenata a usarla in un modo particolare. La cosa straordinaria era che la voce non sembrava proiettarsi verso di te, ma sembrava galleggiare verso il pubblico […] Ecco qui una persona che pensa e che parla [l’attrice interpreta in questo caso la signora Alving di Spettri], e pur non essendo io in grado di seguire il testo della commedia, è evidente che le parole risuonano dentro di lei. La Duse era capace di trovare gesti che non solo erano semplicemente naturali, ma riuscivano a esprimere cose difficili da suggerire in qualsiasi altro modo […] Coi suoi gesti la Duse non era soltanto autentica, rivelava anche il tema di ogni commedia, o di ogni scena. Tra tutti gli attori che ho visto, la Duse era quella più percettiva nel cercare di incorporare il tema della commedia. I suoi gesti divenivano spesso una espressività illuminata […].» (Lee Strasberg, Il sogno di una passione. Lo sviluppo del metodo, Ubulibri, Milano 1990 [Boston 1987], pp. 26-27.) -Chaplin due mesi prima della morte della Duse scrive: «Quando la Duse venne a Los Angeles, nemmeno l’età e la fine incombente poterono oscurare il fulgore del suo genio. L’accompagnava un’eccellente compagnia italiana. Prima della sua entrata in scena un giovane e bell’attore fornì una prestazione superba, tenendo magnificamente il palcoscenico. Poi dal fondo del palcoscenico la Duse entrò in scena. La mia attenzione lasciò immediatamente il giovane attore per concentrarsi su di lei. Non c’era traccia di istrionismo, la sua voce veniva dalle cenerei di una tragica passione. Non compresi una parola, ma mi resi conto di essere alla presenza della più grande attrice che avessi mai visto.» (Ipnosi attraverso i suoi gesti lenti). Charles Chaplin, La mia autobiografia, Milano, Mondadori, 1964, p.308. 10 Charles Chaplin, “Los Angeles Daily Times” 20 febbraio 1924: «La Duse è sprofondata in una poltrona e ha contorto il proprio corpo quasi come un bambino sofferente. Non se ne vedeva il volto; nessun sussulto alle spalle. Se ne stava in silenzio, quasi senza muoversi. Solo una volta il suo corpo è stato scosso da un brivido di dolore simile a un parossismo, e questo, e l'istintivo raggrinzirsi del suo corpo di fronte alla mano tesa del figlio, ecco quasi l'unico movimento visibile.
 Pure, così grande è la sua forza drammatica, di tale entità è la conoscenza che ha della tecnica teatrale, che questa scena letteralmente ti strazia il cuore. Confesso che mi ha strappato lacrime. Quando alla fine la Duse si è girata, le mani abbandonate in un gesto di assoluta disperazione, rassegnazione, resa, è stata la miglior cosa che ho mai visto sul palcoscenico. Il suo dolore, il suo avvilimento, la sua contrizione, erano percorsi da una terribile ironia, e tutto questo stava in quell'unico gesto. Se solo sapessimo dirigere i film com'è stata diretta questa piéce! Alcuni dei più notevoli effetti sono stati ottenuti con modi che infrangono ogni regola» -Hugo von Hofmannsthal su Eleonora Duse «Vi è una tale forza magica in questa donna: essa sembra capace di far affondare la barca, sulla quale naviga, di posare il piede sulle nude onde e procedere verso di noi. In questa attrice vive una tale anima che ogni lavoro da lei recitato si sfascia per la sublimità dei suoi gesti e rimane soltanto lei, la sua natura, che è incapace di celarsi, le sue grandi emozioni, che in maniera inaudita sono diventate forme corporee, il suo camminare, il suo stare ferma, l’ergersi della sua nuca, la magia delle sue mani, la meravigliosa maschera tragica intessuta di raggi e di ombre, la quale cela in sé la sua anima e la tradisce». «La Duse non recita se stessa: interpreta il personaggio recitato dal poeta. E dove il poeta vien meno e la abbandona, essa interpreta la sua marionetta come un essere vivente, nello spirito che egli non ha raggiunto, con la estrema chiarezza dell’espressione che egli non ha potuto trovare, con una unitaria potenza di creazione ed il dono della psicologia intuitiva. Essa interpreta ciò che sta tra le righe del copione. Interpreta i personaggi, colma le lacune della motivazione, ricostruisce il dramma psicologico. Con un fremito delle labbra, con un movimento delle spalle, con una modulazione della voce, essa dipinge il maturarsi di una decisione, il velocissimo snodarsi di una catena di pensieri, l’intero avvenimento psico-fisiologico che precede la formazione di una parola. Sulle sue labbra si leggono le parole non pronunciate, sulla sua fronte passano via come ombre i pensieri repressi. […] Rende consistente l’inafferrabile. Molte cose nel carattere nella sua interpretazione non sono subito comprese dal nostro spirito cosciente; esse agiscono solo sulle nostre oscure masse immaginative e provocano stati d’animo che ci colgono con la potenza di una suggestione». H. von Hofmannsthal, Gabriele D’Annunzio e Eleonora Duse, Shakespeare & Company, Brescia 1984, pp. 87-106) -Luigi Pirandello su Eleonora Duse interprete della drammaturgia francese del secondo Ottocento «In questo teatro Eleonora Duse portò tutta la ricchezza del suo temperamento […]; un’espressione libera da ogni convenzionalismo e un immediato legame con gli immediati stati d’animo interiori; mani, mani divine che sembravano parlare, e una voce quale mai sarà udita sulla scena. Una voce, che non era tanto mirabile per la sua musicalità , quanto piuttosto per la sua plastica corposità, per la sua spontanea intuizione di ogni sfumatura del pensiero o del sentimento. La recitazione della Duse era ad ogni istante come la superficie di un’acqua profonda e calma, che rispecchia anche la minima variazione di luce e di ombra». (Luigi Pirandello, Più che un attrice, in Vito Pandolfi, Antologia del grande attore, Bari, Editori Laterza, 1954, p. 377). 11 Lezione 4 Eleonora Duse (Vigevano 1858- Pittsburgh 1924) BIOGRAFIA Nasce da una famiglia d’arte. Luigi Duse (1792-1854) è il nonno aveva intentato la maschera di Giacometto. Vero capostipite della famiglia visto che i genitori erano attori di terza categoria e il padre non voleva neanche fare l’attore, Luigi costringe tutti i figli—> non avevano ne una vita ne una formazione scolastica, erano condannati a fare l’attore. Cosa che alla Duse pesa tantissimo, si lamenta molto. Gordon Craig sostiene che lei aveva una vocazione e che sia stata la più grande della sua epoca. Il primo spettacolo di cui si ha notizia è del 1862 ed è i miserabili. L’ultimo sono gli spettri di Ibsen del 1924. Alessandro Vincenzo Duse (padre- non voleva fare l’attore fa per sempre il generico). Quando la Duse inizia a diventare importante è lei che si porta dietro il padre, infatti all’inizio venivano scritturati insieme tramite un unico contratto. Angelica Cappelletto, madre, recitava come prima attrice ma comunque era di 3 ordine la categoria. La Duse in tutta la sua vita non era mai stata più di un mese nella stessa città. Quando passava più tempo in un posto sentiva la necessità di cambiare arredamento; era una persona dinamica che ha bisogno di costante cambiamento. La madre partorisce il 3 ottobre del 1858 nell’albergo del Cannon d’oro, muore quando la figlia aveva 14 anni ma leggenda vuole che in ospedale mangiava solo metà del pasto per lasciare l’altra metà alla figlia. All’inizio la Duse gravita in compagnie scarse a conduzione familiare. Lei non recita in modo tradizionale ma è particolare, traspare la sua voglia di non recitare e non ha il fisico per fare l’attrice. Fa il salto di qualità nel 1878 nella compagnia di Ciotti che è di un livello più alto rispetto alle precedenti. Lui aveva la caratteristica di svecchiare il repertorio (commedie e adattamenti da romanzi, comincia a inserirsi anche la drammaturgia francese con cui la Duse trova similitudini). Migliora il suo profilo d’attrice e a un certo punto a Napoli recita come Prima attrice perché la prima si era ammalata. Fortuna vuole che c’era Giovanni Emanuel, che la nota e lui che era attore e innovatore poco condizionato dallo schema dei ruoli, riconosce in lei un talento e la fa scritturare come prima attrice giovane nella compagnia del teatro dei fiorentini di Napoli (papà come generico). Nella compagnia come prima attrice c’era Giacinta Pezzana. La Duse compie un salto nella carriera perché lavora con attori con cui si può confrontare e crescere ma gode di una stanzialità di un anno a Napoli città importante a livello teatrale. ( Periodo in cui interpreta Desdemona nell’Otello). La Pezzana un giorno cede il ruolo da prima attrice alla Duse ( spettacolo Teresa Raquin 1879) e questo è il boom per la sua carriera. Spopola la Duse e si inizia a notare il suo talento non convenzionale. A Napoli cresce sul piano culturale, intellettuale, come attrice e fa conoscenze importanti con intellettuali: Matilde Serao giornalista e scrittrice scrive il ventre di Napoli (bassifondi napoletani); Edoardo Scarfoglio fondatore de “Il Mattino”; Martino Cafiero (altro fondatore de “Il Mattino”) da lui sedotta e abbandonata, rimane incinta da giovanissima; va a partorire in segreto assistita da Matilde Serao e il figlio muore pochi giorni dopo. Nel 1880 entra nella compagnia di Cesare Rossi a Torino. Lui era un caratterista e il suo repertorio era sbilanciato su questa figura. Lei entra in compagnia come seconda donna e ci entra grazie alla Pezzana che ne è prima attrice e insiste con il capocomico che venga scritturata anche la Duse. Lei nonostante faceva la prima donna giovane, venne scritturata come seconda donna, perché in compagnia il ruolo della seconda donna giovane era già coperto. Rossi aveva una buona compagnia con buoni attori: Leigheb Claudio come brillante e la moglie Teresa come prima attrice giovane, Tebaldo Checchi junior fa il generico primario. Non si sa se è una vera storia d’amore ma di fatto lei rimane incinta e i due si sposano, lei darà alla luce Enrichetta, la sua unica figlia. 12 Nel 1882 arriva in tournée a Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Bologna Sarah Bernhardt che porta il repertorio francese che la Duse d’ora in avanti riprende e guarda con ammirazione. La Duse la guarda immobile, pallida, fremente. Lei cerca di imparare da lei e guarda anche le reazioni del pubblico. Non per imitarla ma per fare diverso. La Duse non vuole seguire, studia le attrici per fare altro, qualcosa di diverso. «Questa giovane attrice l’ho veduta io al Carignano nelle quattro sere della Bernhardt, immobile, con gli occhi dilatati, pallida, fremente convulsivamente, col capo chinato verso il proscenio, bevendo, per così dire, l’attrice francese. E il pubblico – sì proprio il pubblico –, ella lo guardava con ansia per sorprenderlo, spiarlo, notomizzarne i sentimenti». (Ostico, Theatralia torinese, in «Scaramuccia», 21 novembre 1882) «[…] questo rumore – un fruscio incessante che ha lasciato Sarah dietro di sé – ha invaso tutti – e mi si è messo attorno – e mi si stringe fatalmente addosso tanto che finirebbe col soffocarmi – Questo riflesso di Sarah […] su me, mi turba – e non lo sento giusto. […] Ho bisogno di studio – di liberarmi da questo turbamento. – Amo troppo l’Arte – e ne sono altrettanto gelosa – per volere che essa sia mia – ma mia di sentimento, d’animo, d’espressione, e di concetto». (E. Duse, Lettera a D’ Arcais, Roma, 13 settembre 1882) 15 LEZIONE 5 1886-1887 La compagnia Rossi-Duse si scioglie. La compagnia non funziona perché la tournée estera ha bisogno attenzioni che loro ancora non avevano. Il capocomico non aveva esperienza estera. 1855- NASCITA TEATRO DEL GRANDE ATTORI- quando la Ristori sradica la compagnia Reale Sarda- sbarbicata da Torino e proiettata verso una realtà Parigina conquistano la città. Dopo questo momento si riapre l’abitudine di tournée estere. La Ristori per prima inaugura un nuovo modo di gestire il teatro quello delle tournée estere. Duse sposa Tebaldo Checchi e i due hanno una figlia. Questa coppia potrebbe porsi come una coppia imbattibile sul lato dell’efficenza collaborativa. Ma la tournée non va nel modo sperato, non nel senso economico ma diciamo che non sono stati fortunati. La compagnia se ne torna lasciando il marito della Duse in Argentina. La Duse era contro la stampa e questo collide con la progettazione di un programma artistico che era quella che voleva Tebaldo Checchi. Lei vita privata la teneva privata eccezione per d’annunzio (ma era lui che ne parlava). Comunque la compagnia torna a Torino, senza attore giovane e senza generico primario. Rientra a Torino senza Checchi. Rimangono la potente coppia artistica Andò-Duse. La compagnia diventa Rossi-Duse ma l’anno dopo si scioglie perché la Duse ha maturato la convinzione di voler condurre una propria compagnia a suo nome. Il critico Boutet nota che la Duse è superiore rispetto agli altri elementi della compagia e sottolinea la sua capacità concertatrice. Confrontando la testimonianza di Chaplin con questa (una è degli anni 80, l’altra negli anni 20 del 900), capiamo che era già nella natura della duse. Questo la porta a diventare capocomica, rinuncia a contratti con altre compagnie di punta e fa una compagnia nuova con Andò: una compagnia che durerà: 1887 al 1896, la compagnia di chiama Drammatica Compagnia della Città di Roma. «Francamente mi piace che questa compagnia si sciolga: a poco a poco, insensibilmente, era diventata una di quelle compagnie curiose delle quali Salvini e Ernesto Rossi hanno dato il malo esempio… Le recite della Compagnia Rossi erano di due specie: quelle con la Duse, e quelle senza la Duse. Quando non recitava la Duse, la trascuraggine, la fiacchezza, l’errore dell’allestimento scenico passavano per l’insieme e giungevano all’interpretazione. Quando recitava la Duse, c’era una distanza enorme tra lei e gli altri attori; ma si notava qualche cosa di diverso: un certo miglioramento dalle sedie al concerto, alla divelazione dei caratteri. La differenza evidente non sta nel gran valore della Duse e nel minor valore degli altri; ma sta nel difetto della direzione» (E. Boutet, «Corriere di Roma», 19 dicembre 1886) Con la sua compagni la Duse fa molte tournée. Andò conteneva il carattere della Duse, erano bilanciati; funziona tutto finché la Duse si stanca di recitare il repertorio francese (anche se continua per sempre perché il suo cavallo di battaglia era la signora delle camelie che apriva ogni tappa di una tournée). Comincia a guardare con interesse a Renan e al teatro Ibseniano. Nel 1891 mette in scena Casa di Bambole di Ibsen. Il problema era che Andò era il migliore nei ruoli sentimentali, ma non aveva altre corde al suo arco, eccelleva nei drammi borghesi in parti sentimentali che funzionava benissimo commercialmente, ma non seguì la Duse in questo cambio di passo, motivo per cui la compagnia drammatica della città di Roma si scioglie, è il segno di un cambio di stile della Duse: dove lei passa dall’essere sfacciatamente verista, si raffina molto sul piano non realistico della verità sfacciata, ma si affina sul piano simbolico; è un cambio di stile che inizia a maturare nella Duse, pur non eliminando i segni della sua esperienza precedente. Andò non va più bene per questa drammaturgia, e quindi la compagnia si scioglie. È negli anni della compagnia con Andò la Duse piano piano acquista la volontà di ricercare altrove. 16 Nel frattempo la Duse inizia un rapporto formativo con Arrigo Boito che durerà dal 1887 finche non si inserisce D’Annunzio. Il rapporto cn Boito è sempre stato privato, venne scoperto solo negli anni ’70 del 900. Boito è 10 anni più vecchio di lei ed è librettista di Verdi. Boito commenta Ibsen dicendosi stupito che alla Duse piacesse quel tipo di drammaturgia che lui non condivideva. Questo per lei sarà un rapporto importante anche dal punto di vista formativo, impara il francese. Il rapporto con figlia Enrichetta era difficile, perché viveva nel terrore che Checchi tornasse a prenderla. La fa studiare tenendola lontana dal teatro le fa frequentare i migliori collegi. Fa di tutto cosi che la figlia non ha contatti con il teatro. Rapporto di incomprensione totale. Anche la figlia eredita la malattia polmonare. Dal punto di vista economico la cura molto ma solo economicamente per l’appunto. Lei alla fine si sposa un professore di oxford e diventa una borghese (cosa che la duse non era mai stata). Rapporto con Boito. La Duse spesso si lamenta della sua vita e di dover esporre sempre se stessa, vagheggia il sogno di abbandonare il teatro. Alla fine lei recita questa sofferenza del recitare e sarà un valore aggiunto nell’attrattiva di chi la guarda. La Duse riesce a recitare un senso universale dell’anima attraverso una esposizione dell’anima. Unico modo per recitare e fare arte era denudarsi e gli permetteva di non recitare la falsità il che la porterà a una nuova sperimentazione artistica. Repertorio francese della Duse: la grande entrata in questo repertorio è la principessa di bagdad pezzo scelto da lei nel 1881 nella sua serata d’onore (serata in cui gli incassi vanno tutti a lei). In quell’anno entrano nel repertorio testi che lei terrà per sempre: la signora delle camelie e la moglie di Claudio (rimarranno nel repertorio 4ever and ever). Denise è un pezzo scritto da Dumas proprio pensando a lei. Lei è spinta a fare questo repertorio nella compagnia di Rossi in cui i pezzi spingevano sulla figura del caratterista. La nuova moda parigina aveva forti ruoli femminili e convincendo Rossi si trova a poter primeggiare in scena e si trova un partner (Flavio Andò) perfetto per recitare queste parti erotico sentimentali. Oltretutto si sta passando da un epoca di stile classico romantico (rossi-salvini-ristori), a un’attenzione virata su drammi naturalisti (Zola). La Duse la mette in scena perché era la drammaturgia in voga e oltretutto le “nuove eroine” erano più moderne, il ruolo rimaneva sentimentale ma erano eroine che soffrivano e anche loro avevano la propensione verso un altrove; queste eroine nervose si agganciano bene allo stile recitativo e al temperamento della Duse. Fino a quando lei inizia a guardare altrove. Tra l’80 e 85 ci sta questo massiccio inserimento della drammaturgia francese; già entrati nei repertori italiani prima che arriva la Bernhard in Italia (1882) quindi non è vero che è la Bernhard a spingere la Duse a recitare questo tipo di drammaturgia. Sicuramente la sua tournée è da “esempio” e “ispirazione” per la Duse; infatti mette in scena signora della camelie e frou frou. Osserva per fare altro perché? Perché vuole che l’arte che fa sia sua e di nient’altro. Lei non abbandona il teatro perché è un’artista e ciò in un attore si pone anche in forte rischio di critica perché si mette in contrasto anche con gli autori dei testi: però la Duse ricrea i personaggi in modo diverso a come facevano lo stesso sia la ristori che la Bernardo. Anche Craig riconobbe che lei era talmente tanta arte che se non fosse stata attrice, sarebbe stata artista. La necessità di trovare dentro di sé la sua arte era così forte che non si doma. La Bernard era la Diva, la Duse era l’antidiva, il fuoco di d’annunzio era una pubblicizzazinone del rapporto d’amore tra D’annunzio e lei, ma l’ha scritto lui. Lei non può essere diretta da qualcuno, si deve autodirigere. Un’attrice così può solo autodirigersi, e quando succederà, sarà l’attrice a soffrire: quando arretra la capocomica che è in lei, l’attrice si spegne e ciò accade nell’esperienza dannunziana. 17 (L. Rasi, La Duse, Roma, Bulzoni, 1986, p. 62) Nel quinto atto, della morte del personaggio. I due si sono lasciati, c’è stato l’affronto di Armando dopo la lettera. Si rincontrano al ricevimento e la Duse sceglie di far recitare la scena non violentemente, lei pronuncia la parola Armando per 8 volte e ogni volta la pronuncia con una coloritura diversa. La Duse esprime i sentimenti con una sola parola e Verdi, dopo averla vista commenta: “peccato non averla vista prima perché avrei scritto diversamente la scena” (intende la traviata). In scena la Duse mette trasversalmente un letto. Lei sul letto con il corpo rannicchiato (postura esteticamente non raffinata ma vera e realistica), sotto le coperte con solo la testa fuori. Le mani diafane e affilate ogni tanto escono e vanno al viso. Torna un pò la giovane Duse che si metteva le mani ai fianchi. Immobilità del corpo ma nervosismo scomposto delle mani. «All’alzarsi della tela, ella è in letto, con tutto il corpo rannicchiato sotto le lenzuola… non v’ha che la testa di scoperto… la macchia nera dei capelli scomposti che le incornician la fronte e le tempie, il viso cereo, e le mani diafane, debolmente illuminato da due grandi occhi neri e smorti, le braccia, lunghe e scarne, e le mani diafane affilate, che ogni tanto escon di sotto a le coltri, e vanno alla faccia, alla testa, al petto, inquiete, secondate da moti del capo ancor più inquieti e da grossi e lunghi sospiri, ne’ quali è l’anima, il picciol resto della grande anima, metton subito nell’ascoltatore un senso di tristezza ineffabile. Dopo una pausa ella s’alza, e si trascina a stento, appoggiandosi ai mobili che incontra nel cammino breve, e siede estenuata, e si rialza, e con levar fastidioso e frequente delle spalle riadatta le vesti che le cascan di dosso». (L. Rasi, La Duse, Roma, Bulzoni, 1986, p. 64) Il papà di armando si sente in perché lei si sta consumando, non solo della malattia, ma anche dell’amore e confessa al figlio la verità. La lettera del padre instilla in Margherita una speranza, il Armando aveva riacceso l’amore che il padre aveva soffocato. Questa lettera la spiega e la accarezza (lavoro sugli oggetti). La Duse assume una nuova grandezza. A metà lettura lei alza il viso e gli occhi e li tiene immobili; in quel raccoglimento continua la lettura a memoria con uno smorzamento della voce e l’abbandono della testa sul guanciale. Questo ci fa capire che questa lettera l’aveva letta mille volte e fa capire quanto quel briciolo di sopravvivenza e speranza della donna sia legata a questa lettera. La posa scenica non è convenzionale; non è la posa di una prima attrice dell’800. Lei è veramente una popolana che assume una posa quotidiana. «Rimasta sola si lascia andar nuovamente sul letto, poi ne trae di sotto al cuscino la lettera dolcissima di Giorgio Duval, e la spiega e l’accarezza e, leggendola, i suoi occhi han talvolta bagliori dell’antica luce. A questo punto la Duse assurge a una grandezza nuova, inattesa con una magnifica volata, che troppo colorita potrebbe diventare artificio grottesco. A mezzo della lettura, essa leva la faccia, leva gli occhi luminosi e li ritiene immoti; e in quel raccoglimento continua la lettura a memoria, terminandola con uno smorzamento musicale della voce, e un rapimento soave dei sensi, e con l’abbandono della testa sul guanciale». (L. Rasi, La Duse, Roma, Bulzoni, 1986, p. 64) Differnze tra le due attrici La diversità della Duse la contrassegna perché la caratteristica del grande attore è quella di riscrivere il personaggio inserendoci la loro arte e la loro interpretazione. Il potere dell’attore in questo periodo sul testo drammatico sta qui: le due vedono lo stesso testo, la stessa protagonista, ma creano due personaggi completamente diversi. Questi attori riscrivono la scena a tal punto da divaricare un’interpretazione, perché la Gautier della Duse non è quella della B, nemmeno quella di Fanny Sadwsky, nemmeno quella della Pezzana. Questi attori non sono interpreti, ma ricostruiscono, servendosi del testo (che non era imprescindibile per i comici dell’arte) ma se ne servono per andare oltre, per tradurre quanto scritto su carta in un altro linguaggio, perché quello della recitazione è non è una lettura di un testo, è un’altra cosa ancora. «Le due creazioni sono diverse; assolutamente: sono due Margherite. Quella della Duse è più dolorosa e oggi, forse, più accademica. Ma in certe scene, la Duse ci prende il cuore, il cervello, ci 20 dà lo spasimo. Verrebbe la volontà di gridar basta […]. Gli effetti […] sono spostati. L’altezza massima della Duse è al IV atto, [quella della] Bernhardt è al III. La Bernhardt dice meravigliosamente la scena col Conte de Giray al secondo atto, è grandissima quando scrive la lettera al terzo, la Duse trascura le due scene. […] Dove la Bernhardt colorisce, la Duse scolora: una è più patetica, l’altra più tragica. Insomma c’è tra le due artiste nella interpretazione, la massima diversità, eppure certi segni di somiglianza che non ingannano; come nei parenti che per nulla, quasi, si assomigliano e che un segno, quasi impercettibile, rivela congiunti per sangue». (S. Lopez, La Bernhardt ne La dame aux camélias, «Il Secolo XIX», 12-13 dicembre 1898) Sabatino Lopez dice che le rappresentazioni sono tanto diverse tra loro, ma parenti tra loro: entrambe le attrici prendono il testo di Dumas, c’è una riscrittura scenica che è comune a entrambe anche se portano due recitazioni completamente diverse. É questa diversità che contrassegna il grande attore, la sua capacità di riscrivere i testi per la scena, e ci mettono il loro pensiero, la loro arte, i loro virtuosismi scenici. La margherita della Duse del 1897- anno della tournée parigini e del sodalizio con d’annunzio- torna a Milano a Novembre di quell’anno e Giovanni Pozza ( corriere della sera, giornalista attento), tutti felici di rivederla ma è irriconoscibile; ha “perso” il suo pubblico, erano abituati alla Duse accompagnata da Flavio Andò ma trovano una nuova attrice, non meno grande ma diversa. È passata da una recitazione ispirata a quella meditata, recitazione meno passionale. La recitazione ha perduto di spontaneità ma ha acquistato intensità. «La Duse ieri sera, in quello stesso teatro che nel novembre del ‘91 rigurgitava di ammiratori plaudenti ad ogni sua parola non ha più ritrovato il suo pubblico. […] La folla compatta del pubblico […] ha trovata una Duse che non era più la sua, né quale l’aveva immaginata. Meno grande? Meno perfetta? No, diversa. […] La Duse, che fu già la più semplice, la più appassionata e la più vera delle Margherite Gautier […] è passata dalla recitazione ispirata a quella meditata. […] Anziché rendere del suo personaggio la verità umana apparente, ella oggi si studia di renderne la verità estetica. […] Da ciò la ricerca di una certa intonazione generale, di una certa linea della figura, di certe parole significative del discorso, anziché quella dell’accento appassionato, dell’effetto impreveduto, della commozione imposta col gesto, col pianto o col grido. La sua recitazione ha perduto di spontaneità, siamo d’accordo, ma ha acquistato di intensità». (Giovanni Pozza, La signora dalle camelie, «Corriere della sera», 8-9 novembre 1897) Cercava un attore che l’assecondasse nella composizione scenica di uno stile recitativo più simbolico. Flavio Andò continua a recitare il repertorio francese mentre la Duse si avvicina al nuovo repertorio. La Duse incarnerà sempre la donna moderna nei suoi cambiamenti. Il percorso verso il teatro concettuale e simbolico lei lo insegue da sempre: nel 1901 mette in scena Ibsen nonostante il parere di Boito. Lei è al passo con i tempi e non le sta dietro ne Boito come intellettuale ne Andò come attore (rimane bravo attore ma sconfinato a questa drammaturgia). La duse viaggia e ha rapporti con intellettuali, autori, capta i segni e cambiamenti del tempo. Come la fa morire la Duse la Margherita Gautier? La Margherita Gautier della Duse inizia a morire dal primo atto, è una lenta consunzione del personaggio, invece la Gautier della Bernhardt no. A un certo punto c’è il cambio di passo nella recitazione della Bernhardt, ma all’inizio è una giovane florida cortigiana che si trova perfettamente a suo agio nell’ambiente, poi stravolta dall’amore e dalla malattia. Questo segno apatico la Duse l’aveva recitato fin dall’inizio. Arriva Armando e c’è appena un moto di rivitalizzazione del personaggio e poi la morte di cui il pubblico non si accorge. I due parlano, si trascinano sul letto, lei lo abbraccia seduta e in questo abbraccio lei muore senza che nessuno se ne accorga, e quando lui la lascia dall’abbraccio, lei cade a peso morto sul letto, perché è morta già nell’abbraccio. È molto evidente la morte della Bernhardt che invece fa l’enorme piroetta e cade riversa, e questa differenza di inscenare la morte è diversa, ma la morte interiore la Duse l’aveva già recitata in un personaggio che si spegneva a iniziare dal primo atto. 21 Repertorio D’annunziano: 1897 Il repertorio della Duse nella tournée parigina è un repertorio fatto dalla signora dalle camelie, ma porta in scena la drammaturgia francese e tedesca e ci voleva un testo italiano. Componeva un repertorio internazionale fatto di drammaturgie varie che abbia delle costanti, ma fino al 1897 la Duse aveva portato drammaturgia italiana fatta dalla Locandiera di Goldoni e la Cavalleria Rusticana di Verga. L’italianità del repertorio della Duse era per lei quasi un respiro di riposo mentre recitava, ossia la recitazione della locandiera in questo caso. C’è molta autobiografia nella composizione del repertorio, l’unità di misura per questi attori non è la singola rappresentazione ma il repertorio che si portavano dietro. La Locandiera apparteneva alla tradizione della Duse per la sua famiglia (il nonno, i fratelli portavano in scena Goldoni). Frequenta più che volentieri il repertorio goldoniano e si riposava perché tornava all’infanzia quando recitava il repertorio goldoniano. Nella Duse l’italianità è la famiglia da un lato (con Goldoni) e il repertorio nuovo di Verga. Quando va a Parigi sostituisce l’atto unico della cavalleria rusticana con un altro atto unico: Sogno di un mattino di primavera, 15 giugno a Parigi del 1897. Rimane la Locandiera nel suo repertorio. Il primo approccio vero dell’introduzione di un testo di D’annunzio avvenne nel ’97, anno spartiacque. Il sogno di D’Annunzio non piacque in Francia, ma piacque alla Duse. Ciononostante i due ormai uniti sentimentalmente a spese del povero Boito, hanno un progetto teatrale di grande interesse. Guardano all’europa, e cosa c’era in Europa? La nascita della regia alla fine degli anni ’90 (Russia, Francia, Inghilterra, Germania) 
 C’è un enorme personaggio che è Richard Wagner che nutre il progetto a Beuroit che è quello del teatro totale. Da qui Wagner vuole ripristinare il teatro collettivo rituale così come era rituale il teatro dell’antica Grecia. Questo lo vogliono anche la Duse e Dannunzio. 
 Nel fuoco di D’Annunzio, che parla della storia d’amore tra la Duse e D’annunzo, c’è molto Wagner e la sua idea di teatro totale. I due concepiscono un progetto che vuole riproporre la tragedia greca in chiave moderna, l’eroe tragico moderno delle tragedie di D’Annunzio, anche influenzate dalla filosofia di Nietzsche, guardano alla tragedia greca. Secondo loro ciò poteva accadere in un nuovo luogo, non i soliti: ma in un teatro all’aperto collocato alle rive di un lago di Albano dove il pubblico avrebbe dovuto assistere alle tragedie in maniera partecipata, come un rito. Del progetto non se ne fa nulla, ma l’idea vorrebbe dare un respiro europeo al teatro nazionale, fatto soprattutto di questi attori e di una drammaturgia poco forte. Tentano un movimento molto ambizioso che contrasta la prassi teatrale dell’epoca che è difficile in primis anche per la Duse perché dovrebbe riformarsi anche lei. Il cambiamento incide nelle attività di lei capocomica, rivoluziona una prassi scenica e quindi anche lei. Ci vogliono dei finanziamenti per costruire un teatro dal nulla all’aperto e per questo progetto che di fatto non riesce. 22 Davanti a questo problema però non ci si trova l’autore, D’Annunzio, ma la Duse, che gli farà notare che non può avvenire una cosa del genere. La Duse capisce che, se è vero che il problema del teatro italiano è che gli attori siano anche capocomici, lei rinuncia al ruolo di capocomica - ma che era indissolubile per il suo modo di fare teatro-. La capocomica sparisce nella speranza che la prima attrice possa risultarne esaltata e rinnovata. Ma chi può fare da concertatore se la Duse rinuncia al ruolo? Si fa talmente lei condizionare da Boutet, che a lui vorrebbero affidare questo ruolo da concertatore. Non se ne fa nulla, la compagnia non la si può formare e di fatto la città morta non può essere recitata con queste pretese. Per la prima volta sarà inscenata nel 1898 (fu scritta solo due anni prima) in Francia, in francese da Sarah Bernardt. Nel marzo del 1897 la Duse le aveva sottratto il teatro: la rivalità tra le due prosegue sottobraccio. Il tour per promuovere la drammaturgia dannunziana. Quindi il tentativo di D’annunzio sfuma, va nelle mani della rivale della Duse, ma quest’ultima continua le sue tournée nel mondo e continua a incassare. Ripartono i due con questa idea nel 1899 questa volta l’idea è ripresa con vigore e si tenta di portare in una tournée che va da Palermo a Torino (che coinvolge tutta la penisola), un giro artistico volto a promuovere la drammaturgia d’annunziana. Per fare questo la Duse rompe la sua compagnia, rinuncia ancora al ruolo di capocomica e, ironia della sorte, Boutet non esiste più, e il posto di Boutet lo prende Zacconi, quindi Zacconi diventa capocomico quando la Duse si era sottratta al ruolo proprio per vedere se potesse esserci un evoluzione come aveva suggerito anni prima Boutet. Però Zacconi, come la Duse era figlio d’arte, ed era il più grande del suo tempo, qual è il paradosso di questa situazione? 1896: D’Annunzio scrive la città morta e si scrive del progetto un po’ wagneriano del rito collettivo di massa in un nuovo teatro all’aperto, che richiama gli esperimenti intorno al teatro greco fatti già in Francia, ma non funziona perché la Duse non poteva di certo trovare la compagnia pretesa da d’annunzio e stare alle condizioni scritte da lui. 1897: La Duse va a Parigi, espugna il teatro di Sarah Bernhardt e questa se ne va perché non sopporta il successo della Duse. Nello stesso anno mette in scena Sogno di un mattino di primavera. 1898: si vendica in quest’anno la Bernardo, quando l’esitazione della Duse nel trovare la compagnia per annunzio per la città morta (testo che lui ha scritto per la Duse), lo mette in scena la Bernhardt. Come ha fatto Sarah a ottenere il testo? Glielo ha dato D’Annunzio. 
 1899: Il fatto che la Bernhardt abbia portato in scena il testo di D’Annunzio non significa la fine del rapporto Duse-D’Annunzio, ma significa comunque qualcosa: il rapporto inizia a diventare sul piano artistico più debole perché comunque il testo era pensato su misura per la Duse e il fatto che lei non l’abbia inscenato cambia qualcosa. Nel 1899, sparito Boutet che poteva davvero essere l’occhio esterno colto, riemergere il vecchio teatro: perché Zacconi è il vecchio Teatro, tanto quanto lo era la Duse quando si incarna il capocomico: l’attore che incarna l’arrivo dello scalo generazionale e allora dov’è la novità? È vero che a fare il capocomico non è la Duse ma Zacconi, ma il risultato è lo stesso. 
 Ciò che voleva essere il rinnovamento del teatro italiano, casca nelle mani del capocomico a vecchio stile. La Duse da una parte fa eclissare la capocomica per riscoprire, la sé stessa come nuova attrice, ma infondo forse poi non ci credeva così tanto, di fatto Duse e Zacconi si uniscono in una compagnia, ma secondo la Duse c’era qualcosa che non andava nelle prove, e lo scrive deresponsabilizzandosi. 
 Lei si accorge che le prove non funzionano e lo scrive (p.102 di Eleonora Duse Capocomica), lei si rende conto delle difficoltà però rinuncia in modo totale ora a fare la capocomica, e quindi pensa che Zacconi dovrebbe risolvere la situazione. Lei si tira fuori in modo coerente, perché se è vero che l’attore non può fare il capocomico per come diceva Boutet, allora si sottrae, ma si accorge che qualcosa non funziona, ma deve essere Zacconi a dirlo in quanto capocomico. Volevano qualcuno che fosse un concertatore fuori, e colto: questo pensava Boutet. 
 Per i critici italiani l’autore doveva essere sacro, ma il modo di fare del teatro capocomicale era un teatro commerciale che funzionava e stava alle leggi di mercato. La Duse segue un sogno artistico, ma se lo paga da sé, mentre d’annunzio si faceva pagare da tutti, lei si autofinanziava. Lui chiedeva alla Duse una maggiorazione rispetto alla media del diritto di paga di un autore normale. Lei come capocomica, paga. 
 25 Perché D’amico scrive il tramonto del grande attore? 
 Perché c’è un glorioso sistema teatrale segnato un po’ dai tempi, e qualcuno che cerca di scrostarlo: gli esponenti di questo teatro, coma Zacconi, reagiscono polemicamente, la Duse fa diversamente, riesce a diventare la musa ispiratrice del nuovo teatro. Lei quando si concluse la storia con D’Annunzio, non smette. Perché Boutet ce l’aveva con questo tipo di teatro? Perché rappresentavano un tipo di teatro commerciale, poco rispettoso dello scrittore e dell’autore, e la cultura italiana è imbevuta della valutazione stretta della parola scritta ciò non ci sorprende perché ha le sue radici nella religione, una religione rivelata in un libro dove c’è scritto che in principio era il verbo, c’era la parola. E gli attori però si esprimevano attraverso il corpo. Il verbo non può essere profanato. 
 L’ostracismo contro il corpo nasce nel Medioevo quando la cultura cristiana diventa egemone e la chiesa ce l’ha con il giullare perché distorce il corpo e ne fa uso commerciale. Questo compone un fil Rouge che rimane. La Duse modificava la linea interpretativa del personaggio, basta vedere alla Margherita Gautier, questi attori che sono artisti e poeti del loro corpo, loro facevano questo. Ciò, dalla cultura alta e accademica, quella ufficiale, non era molto sopportabile, perché l’autore era sacro e ciò che era scritto non poteva essere certo distorto dall’attore. Perché ? Perché lo scrittore ha studiato di più, ergo è più colto secondo la cultura accademica. Il preconcetto è questo. Questa riflessione critica italiana non è però al passo con i tempi, ove l’Europa vede invece Stanislavskij, Gordon Craig, la regia e non l’autore. In questo i nostri attori, per quanto autodidatti, erano più avanti dei nostri intellettuali, perché erano loro a stare sui palchi ed erano loro a vedere il contesto europeo, quindi più avanti di un Boutet che scriveva su un giornale tutto il tempo. La Duse sapeva essere anche molto umile, e con Boito ne parlava, ma lei era avanti. Quindi lei sparisce come capocomica e si rinnova come attrice, ma nella sua umiltà commette un errore: dà credito alle parole di Boutet, dà credito a un dilettante del teatro, come lo era anche D’Annunzio nel teatro. Sposa però la causa, e cosa fa? Si unisce a Zacconi, non trovando Boutet, lavora a due testi dannunziani con Zacconi: la Gloria (scritto per Zacconi) e la Gioconda (scritto per la Duse) La compagnia: Zacconi come attore 
 Duse come prima attrice 
 Alcuni componenti della compagnia Zacconi, tra cui la moglie Ines 
 Due fedelissimi della Duse: Ettore Mazzani (il caratterista suo più fedele) e la seconda donna Guglielmina Gagliani. 
 Ancora una volta, la Duse non dirige la compagnia, ma si fa dirigere. La Gioconda e La Gloria vengono messe in scena nel 1899 con Zacconi capocomico e con D’Annunzio che voleva un po’ dirigere, in un quadro in cui la Duse era indiscutibilmente la star attrice, ma si ritira dalle vesti di capocomica. Rispetta così tanto i confini dei ruoli in campo, che si accorge di cose che non funzionano, ma non le dice per non scavalcare il ruolo di Zacconi. Questo tour si farà, si compie nella primavera con un progetto ambiziosissimo: mettere in scena due testi dannunziani. Affianco ai due testi italiani si pongono due testi di drammaturgia francese.
 Il tour vede tutta Italia, tappa per tappa fino a Torino, e fu cosa nuova per l’Italia perché non era la stessa cosa dei viaggi delle compagnie nomadi, ma era praticamente un viaggio alla promozione del repertorio dannunziano. 
 La Gioconda, a quanto si dice, ebbe un successo normale, nulla di eccezionale, ma la Gloria fu un totale fiasco. Si procede nel giro nazionale, e alla fine il giro artistico non fu né un successo né un insuccesso. Ma ciononostante Duse e D’annunzio non demordono. La Gloria fu esibita a Napoli ma la ritirarono perché fu un totale fiasco. 
 Comunque la Duse ovviamente pensava che D’Annunzio avesse amanti, lei lo sapeva benissimo, ma ciò non cambiava la sua ricerca artistica. Dopo l’incidente di percorso della Bernhardt che inscena la Città morta e il fiasco della Gloria (sicuramente, in questa fase, d’annunzio pure era 
 stato con la Bernhardt). Cosa non funziona in questo gioco? Bisogna passare dalla Città morta e dalla Francesca da Rimini. C’è in corso un progetto serio sul teatro italiano, ma la collaborazione Duse e D’Annunzio comunque non funziona, e non funziona per qualcosa di artisticamente profondo e non per Gossip. 26 Il 1899/1900 Città morta Nel 1899/1900 le cose non vanno come devono, e si rilancia la Città morta. In questo caso però è D’Annunzio a sottrarsi (la volta scorsa era stata lei a sottrarsi, non era pronta, non aveva gli attori né la compagnia). Si cercavano finanziamenti per una messa in scena importante della Città morta che prevedeva modalità assai dispendiose. Si doveva inscenare una città antica greca e la fedeltà scenica costava. (Una fedeltà a cui la regia europea era molto attenta, tra i Meininger e Stanislavskij). La Duse cercava uno sponsor per questo spettacolo, anche perché non doveva inscenare solo la città morta, ma un’intera trilogia che prevedeva: 1)Città morta 2) Antigone
 3) Agamennone La Duse cerca uno sponsor e lo trova nell’estate del 1899 (dopo l’insuccesso della Gloria) nel Duca di Baviera, che si dichiara disposto a patrocinare l’iniziativa della messa in scena della trilogia che riguardava la tragedia greca, nell’ottica di stringere l’occhio alla tragedia moderna che avrebbe dovuto andare in scena nel teatro di corte del Duca. Questa volta è invece D’Annunzio che tentenna, perché lui era intento alla scrittura del romanzo Il fuoco e Le Laudi. La Duse trova lo sponsor, ma i tempi sono stretti, scrive a D’Annunzio nel febbraio/marzo del 1900. Lei dà scansioni di lavoro molto precise a D’Annunzio, ma lui ritarda con le varie composizioni e la trilogia non esce e si perde la possibilità del finanziamento. Ciononostante si riparte con l’idea di allestire la sola Città morta con un programma di lavoro antitetico rispetto alla prassi di lavoro delle compagnie teatrali italiani. Torna qui Ermete Zacconi con l’idea di allestire la Città morta, senza trilogia. D’Annunzio entra in gioco come concertatore scenico, non bada a spese perché tanto era la Duse a finanziare, il risultato era migliore ma ancora non era il successo sperato. La Duse comunque lavora molto sulla sua recitazione, la stilizza molto e di questa messa in scena si ha un repertorio fotografico. Il vero investimento si ha l’anno successivo con la Francesca Da Rimini. L’investimento qui è più alto, si chiama la compagnia di Luigi Rasi, il giro che fa in questo periodo la compagnia della Duse ci viene raccontato da Rasi.
 Rasi era un attore colto, figlio d’arte e il quale fu direttore della scuola di recitazione drammatica a Firenze. È la prima scuola per attori, Rasi quindi era un professore di attori che raccomandava ai suoi studenti il filone di Boutet: di imparare bene la parte, in 3 anni insegnavano storia del teatro. C’era il tentativo di creare degli attori colti, pronti a rispondere ai reclami del nuovo teatro riformato. Creare un attore che rispettasse il testo. 1902, anno della Francesca da Rimini Qui Luigi Rasi viene reclutato per dirigere le masse, la Duse prosegue con l’assentarsi dal suo ruolo di capocomica. Rasi rimane impressionato dalla Duse e ci lascia testimonianza. Nel caso di Francesca da Rimini che doveva tenersi a Firenze, addirittura erano previsti 2 mesi di prove, e la Duse all’inizio si presentò docile, attenta, puntuale, fino a che inizia a sparire, non si presenta più alle prove. Qualcosa smetteva di funzionare in lei, ed era tanto forte il suo disagio che rompe il rapporto con D’Annunzio, e così come fece con la Città morta, avverte che qualcosa non funziona, e soprattutto è lei che non si riconosce nella parte. Nella tragedia scritta per lei, lei non si riconosce. Scatta così uno straniamento, una dissociazione nei confronti del personaggio che deve interpretare. Prima si impegna di più, fa finta di nulla, ma qualcosa poi le rende impossibile continuare a presentarsi alle prove con la stessa forza. 
 
 Quando rompe il rapporto artistico con D’annunzio gli scrive una lettera. Qui la Duse aveva circa 40 anni, e la Francesca da Rimini doveva essere una giovinetta, c’è un importante tentativo di sottrarsi a questa interpretazione, e dice a D’Annunzio: «Gabri, Ti scrivo perché ho bisogno di snodare l’anima mia, e perché non so dirti ciò che sento, proverò, a tentoni dirlo per scritto […]. Per entrare in Francesca, io non ho per me né l’esteriore di giovinezza – forza suprema, e giustamente così tenuta al di sopra di tutto in te né, forse, neppure la forza fisica di sostenere trasmettere fedelmente, volando – cinque atti di forza. Questo, io sento, con dolore grande … più vedo sorgere, e sorgere, e andar verso cieli lei, 27 grande scenografo italiano dell’epoca, scenografo della Scala di Milano. Passa da un regista all’altro e commissiona le nuove scene a Gordon Craig. L’anno dopo smantella tutto il primo apparato scenografico; rifonde tutta la sua recitazione per renderla omogenea alla riformulazione di Gordon Craig e va in scena con la scenografia di Craig. Il tutto sempre a spese della Duse. Salto in avanti: 20 anni dopo la Duse, dopo aver abbandonato il teatro, vi torna per inscenare la Città morta, interviene sul testo, moltissimo, tanto che è costretta a chiedere l’autorizzazione all’autore, ma non gliela vorrebbe chiedere. D’Annunzio, disciplinato, va dalla Duse (e ciò ce lo racconta lei), lei legge tutta la tragedia con le sue modifiche: lui le accetta tutte. Quando, 2 anni dopo, la Duse muore, D’Annunzio chiama Enrichetta, la figlia che ebbe con Tebaldo, perché voleva darle le cose della madre, e lei si accorge che quest’uomo nello studio dove scriveva tutto il giorno aveva la foto di due donne: la foto della madre di D’Annunzio e la foto della Duse. Lei modifica il testo di D’Annunzio lo mette in scena eppure non se ne parla tanto nelle cronache dell’epoca. Lei lo inscena avendolo modificato tanto: ha fatto il lavoro della capocomica di chi scrive e si adatta la parte. C’è più feedback su Spettri di Ibsen, ma sul ritorno sulla Città morta bisognerebbe fare ricerca. Lei torna in scena con la donna del mare dopo i 20 anni e lascia tutti sbalorditi, soprattutto Silvio D’Amico. 30 LEZIONE 7 Quando si ricostruisce una storia anche privata, il metodo è quello di guardare alle fonti. Per quanto riguarda il rapporto Duse-D’Annunzio è una via che ha distorto la ricostruzione fedele delle cose, sopratutto per la Duse (visto che d’annunzio ci ha pure scritto un romanzo). Partenza rapporto D’Annunzio Duse è del 96, anche si si conoscono nel 94. Il primo meccanismo artistico è in sordina. La Duse ha aspettato tanto per andare a Parigi, è già affermata anche nelle altre capitali europee. La Bernhard vs la Duse (già spiegato) D’annunzio per Parigi se ne spunta con un atto unico sogno di un mattino di primavera, e la Duse la mette in scena a Parigi insieme alla Locandiera. La città morta—> la Duse aveva problemi come capocomica il che non gli permette di mettere in scena questo pezzo. La Duse e D’Annunzio volevano rompere il meccanismo dei “contratti e delle compagnie”, Volevano mettere in scena la città morta con una compagnia di “star”, i grandi attori avevano tutti la loro compagnia che la coppia voleva rompere. La Duse non aveva attori adatti per la messa in scena; la Pezzana, Flavio Andò ecc… non avevano intenzione di rompere il meccanismo del teatro del Grande Attore. La Duse è riluttante a mettere in scena questo pezzo per via del problema produttivo di un organizzazione creativa che voleva solo i big ma non si poteva. La metterà poi in scena la Bernhard ma non è un grande successo e il testo di D’Annunzio non viene percepito bene perché non ha un ritmo teatrale perfetto come ad esempio la signora delle camelie. D’annunzio ha il suo carisma letterario e vuole fare la tragedia moderna guardando ai classici greci ma trasportarli nel contesto moderno; lo fa guardando a Nietzsche e vuole creare il nuovo eroe moderno. La coppia anche dopo la messa in scena della Bernhard non demorde e continuano a pensare a questa compagnia. Nel 99 ci sta un passaggio di mezzo ( La gioconda e La gloria), in cui la Duse rinuncia ad essere capocomica e manda avanti Zacconi. Nella compagnia di Zacconi, la Duse è come una Guest star e si porta dietro un paio di attori della sua compagnia e li fa scritturare dalla compagnia di Zacconi. Mettono in scena solo 4 pezzi del repertorio—> due di Dumas e due di D’Annunzio perché i testi di D’Annunzio erano rischiosi. Mentre succede questo la Duse cerca un finanziatore perché per le messe in scena della città morta che si svolge in degli scavi archeologici a Micene —> D’Annunzio guarda alla regia europea e voleva oggettistica originale greca. C’era da spendere soldi che lei non aveva e trova come finanziatore il Duca di Baviera. Mentre nel 99 c’è l’esperimento con Zacconi lei cerca i finanziamenti per mettere in scena La città morta. Il Duca avrebbe ospitato volentieri una trilogia sull’antica Grecia (come giornate dionisiache dell’antica Grecia: 3 tragedia e una satira—> insieme a città morta fanno Antigone e Agamennone ma D’Annunzio non li scrive). Lei da a D’Annunzio 3 mesi per finire il fuoco, 2 mesi per la riduzione dell’antigone. Dopo che trova il finanziamento detta a D’Annunzio il piano di marcia. La Schino sostiene che per i contemporanei era chiaro che era la Duse ad abbassarsi a D’Annunzio, era lei che aveva già conquistato il mondo e un’internazionalità che D’Annunzio non avrà mai. D’annunzio non gli scrive queste cose perché distratto dal romanzo e dalle laudi e lei perde finanziamenti. La città morta viene messa in scena nel 1901 da D’Annunzio-Duse. La città morta prende vita per via dell’unione Duse Zacconi e quindi di nuovo la Duse arretra come capocomica. Lei rinuncia a essere capocomica perché in italia c’era un movimento di cui faceva parte anche Silvio D’Amico che auspicava una riforma del teatro italiano—> in europa infatti era nata la regia che in italia si incarta mentre sono molto forti gli attori che gestiscono questo tipo di teatro. C’è un testa a testa tra teatro del grande attore e di regia, i due sono inconciliabili. Derogare al regista significa per l’attore derogare, gli attori non si volevano mettere nelle mani di qualcun altro. Si vuole attori più colti (devono essere più rispettosi del testo) e questi di ora non lo erano perché lo ricreavano il testo. 31 D’annunzio guarda alla regia ma non tiene conto delle questioni pratiche di questo tipo di teatro. La città morta va in scena non con il sistema di 2 anni prima che poneva i 4 testi ma va in scena solo esclusivamente quello. Recensione contrastata chi dice bene e chi male; comunque non sfonda. D’annunzio si vuole mettere come autore e “scenografo” cosa che non era possibile per il calendario teatrale e per la composizione della compagni. I ruoli nei testi di d’annunzio saltano per questo la Duse diceva di non avere attori. La Duse inizia a distaccarsi dall’esperimento d’annunziano—> loro volevano ripristinare la tragedia moderna secondo gli stilemi della Grecia antica, vagheggiavano di costruire un teatro all’aperto dove richiamare una massa (come stava succedendo con Wagner a Bayruth). Ma loro ci credevano perché c’era il discorso del rinnovamento del teatro e lei era piena di interpretare le eroine francesi. Questi costruiscono un meccanismo complesso all’interno di un sistema teatrale che aveva già le sue regole. D’annunzio era dilettante del teatro e la Duse glie lo dice ma a lui non interessa. FRANCESCA DA RIMINI (messa in scena a dicembre 1901). La compagnia si tiene ferma due mesi per le prove (cosa che manda in perdita la compagnia). Rasi e la moglielasciano una testimonianza di queste prove: lui all’inizio è sconvolto da come la Duse sia ligia e ordinata, sempre puntuale e precisa accetta le indicazioni di D’Annunzio anche se non si riconosce in quello che D’Annunzio fa, era abituata ad autodirigersi. Ad un certo punto si rompe qualcosa, non aderisce più al personaggio e al dilettantismo D’Annunziano. Lei cercava l’autore e pensava di averlo trovato ma a un certo punto la spina si stacca: in una lettera chiede a d’annunzio di svincolarla dalla promessa. Lei sente di non essere adatta a portare avanti questa battaglia e capisce che è meglio per lui che si tira indietro perché il nome di lei è troppo forte. Lei dice che è troppo famosa e la celebrità fa danno alla sua drammaturgia. Lo scollamento tra attrice e personaggio è fortissimo. «Gabri, Ti scrivo perché ho bisogno di snodare l’anima mia, e perché non so dirti ciò che sento, proverò, a tentoni dirlo per scritto […]. Per entrare in Francesca, io non ho per me né l’esteriore di giovinezza – forza suprema, e giustamente così tenuta al di sopra di tutto in te né, forse, neppure la forza fisica di sostenere trasmettere fedelmente, volando – cinque atti di forza. Questo, io sento, con dolore grande … più vedo sorgere, e sorgere, e andar verso cieli lei, Francesca. Ora, se questo vedo io con gli occhi dell’anima mia; questo non vorrei mi fosse buttato in viso da altri – […] è perciò che finché siamo a tempo ti scrivo e dico la verità. […] Desistiamo, ti prego. L’ora tua non è lontana. Appena tolto l’intervento mio, e svincolato da questa “combinazione” tu troverai, in Italia, preghiera d’ogni parte (=oggi=) di prendere parte. E forse, esistono nomi più facili a vincere, che non è il mio, reso men facile dal solo fatto d’aver vinto. […] Allora … perché non aiutarmi? È bene il farlo. Lasciami il diritto di decidere di quest’ultimo passo. Nulla perde la vita tua nel trasportare di qualche giorno l’esecuzione del lavoro – ma io non posso tenere, me stessa, l’anima mia a mezz’asta. La mia anima è l’arte mia, l’arte mia è ciò che l’anima detta dentro, ma questa non si muove a bacchetta. = fa da sé – Lei». Lettera di E. Duse a G. D’Annunzio, [estate 1901] , in Laura Granatella, «Arrestate l’autore!» D’Annunzio in scena, .,pp. 361-364. Succede che comunque vanno in scena e ci si accorge della sofferenza della Duse, uno è Pirandello che vedendo lo spettacolo: lui si ricorda della sofferenza della Duse a interpretare questo ruolo e gli dispiace che la Duse non ha trovato un drammaturgo in grado di mettere in luce la sua arte. Vede in questa attrice la ricerca di un autore. Anche Pirandello cerca di scrivergli un testo che lei rifiuta di interpretare. C’è la ricerca di un autore che deve essere anche concertatore, questo autore non si concretizza. «Credo di non aver mai sofferto tanto a teatro come alla “prima” della Francesca da Rimini al Costanzi di Roma. L’arte della grande attrice pareva paralizzata, anzi addirittura frantumata dal personaggio disegnato a tratti pesanti dal poeta, allo stesso modo che l’azione della tragedia è ostacolata, compresa [sic!] e frantumata dall’immenso fiume della retorica dannunziana. Povera Francesca! Per me, e penso per molti altri, l’impressione di allora suscitò una profonda e triste nostalgia per la Marguerite di Gauthier [sic!] che la Duse aveva richiamato in vita poco tempo 32 «- O il rimanente? - Che rimanente? - Ma non mi dice la sua parte? - Ma che…! - E che cosa fa lei a questo punto? - Vedrà - O io? - Ma si cheti brontolone.» Marito e moglie si ritrovano uniti in un sentimento profondo. Durante le prove, proprio durante questa scena di pathos, all’apice, la Duse non da a Rasi la battuta e lo lascia li e lui gli chiede “e il rimanente?” E lei gli dice “vedrà in scena cosa farò” e la seconda parte della scena non fu provata mai. «E quella seconda parte della scena non fu provata mai… Anzi, come avevo terminato la gran frase di pianto, ella dalla prima volta in poi, comicamente si alzava, e mi piantavi lì tuttavia inginocchiato davanti alla sedia vuota, paga di accrescer la mia trepidazione». (L. Rasi, La Duse, a cura di M. Schino, Roma, Bulzoni, p. 93) Questo provare non provare è PALESE strategia, perché quando vanno in scena: lui viene trascinato da lei e scoppia seriamente a piangere e gli parve di agir naturalmente come se quella scena fosse stata provata tantissime volte. Lei non provava scene cosi arrivava a stupire l’attore che si trovava ad agire naturalmente in scena. «Ed eccoci soli alla fine del primo atto. Già ella mi aveva vinto con la dolcezza dello sguardo con cui mi dava a odorar le rose che teneva tra le mani […]. In quell’istante mi sentii Lucio veramente, e un nodo improvviso mi troncò nella gola il respiro affannoso… Un attimo ancora, ancora una parola sospirata dalla magica donna, e il pianto mi sarebbe uscito dagli occhi sincero e copioso. E così fu. Ma eccoci alla volta di lei. Un pensiero mi afferrò subitamente: che avrebbe ella fatto in quella parte di scena non mai provata? E sopr’a tutto, che avrei potuto fare io? […] Dove ero io allora? Che facevo io al cospetto di quella donna? Non sapevo nulla, e pure agivo, e mi parve di agir naturalmente e sicuramente, come se quella scena fosse stata provata non so dir quanto». (L. Rasi, La Duse, a cura di M. Schino, Roma, Bulzoni, pp. 102-103) Aldo Palazzeschi racconta della Duse in Attore Mancato parla di se stesso, lui era studente della scuola di Rasi. Palazzeschi assiste alle prove della Duse e dice che aveva una forza scenica e una volta nella sua orbita gli attori agivano e la seguivano senza accorgersene e senza bisogno di provare. Come viveva lei sulla scena l’altro veniva trascinato a vivere di conseguenza. «Era tale la forza scenica di questa attrice che gli attori una volta nella sua orbita eccitati dalla persona e dal suo movimento, agivano e la seguivano senza accorgersene, e senza bisogno di provare: come viveva lei sulla scena; l’altro veniva trascinato a viver di conseguenza». 35 Lezione 8 Nel 1899 la Duse si trova alla fine della propria tournée e si trova priva di compagnia. Questi giri artistici d’annunziani comportano un problema organizzativo per la compagnia di prosa italiana. Per metà anno comico la Duse si rivolge a Luigi Rasi che aveva a Firenze una scuola di recitazione e stava tentando una sua sperimentazione con Teresa Franchini, allieva con cui voleva costruire una compagnia da lanciare nel mondo professionistico. La Duse scrittura in blocco la compagnia e ciò le permette di non essere in perdita. (scena di pathos di cui abbiamo parlato lezione scorsa). Luigi Rasi voleva lanciare Teresa Franchini direttamente come prima attrice; lui nutriva una forte speranza in questa dilettante. La prima attrice poi nella compagnia è la Duse e si entra in una collisione. La Duse dopo la tournée rimane appesa. Ha una promessa fatta a d’annunzio che è quella di lanciare La Gioconda all’estero—> lancio drammaturgia d’annunziana. Il lancio doveva avvenire a Berlino. Da una parte c’è Rasi che vuole lanciare la sua allieva e dall’altra la Duse che DEVE obbligatoriamente lanciare la gioconda. Rasi e la Duse avevano intenzioni diverse, Rasi stava sotto alla Duse, lei aveva mano libera su tutto (testi, attori, piazze), il margine d’azione di Rasi era ridotto. Nel primo semestre dove la Duse stava con Zacconi lui dimostra di essere un capocomico poco pratico e accorto—> ce ne da notizia la moglie (dice che era bravo professore e attore ma nutre dei dubbi come capocomico, preoccupata del fiasco economico), il suo diario e il libro di Rasi, le lettere della Duse a D’annunzio (lettere durissime) e poi altre lettere degli attori della Duse. Una tourne carica di tante cose e attese da parte di D’Annunzio e Rasi (per i proprio corrispettivi lanci). Piazza delle pedine nella compagnia di Rasi, la Duse ne prende possesso, mettendo Rasi come protagonista della Gioconda (avrebbe scandito bene le parole di d’annunzio), Rasi vedeva buona parte per la Franchini perché nella Gioconda ci sono 3 parti importanti (moglie,marito,modella)—> ruolo che Rasi ritiene adatto per lei. Il 7 agosto, prima della partenza, si doveva mettere in scena la Gioconda, succede che lei fa scrivere da Mazzanti a Rasi: in cui scrive che lei aveva deciso di rimanere in italia fino a novembre e decide di inserire la Gioconda nel repertorio—> Shourman aveva organizzato la tournée per fine agosto e quindi il repertorio deve essere diverso dicendo che all’estero andavano fatte produzioni conosciute (quindi non la gioconda) . La gioconda non è probabile essendo un lavoro poco adatto per l’estero: no gioconda, no teresa franchini visto che sperava solo in quella parte e D’Annunzio diciamo che poteva non essere molto happy. Altra lettera in cui sono già in tournée: Rasi sapeva già che non si faceva la Gioconda ma D’annunzio ancora no… Arrivati a Berlino la Duse deve rendere nota la verità (la moglie di Rasi dice che tutti aspettavano sto specchio di testo, pure l’impresario se lo aspettava). Vanno in scena con altri testi ma la platea non è cosi calorosa. Intanto la Gioconda viene messa in prova. Tutto sembra funzionare in compagnia. Quando decide di non mettere in scena la Gioconda dice di rimandare a casa la Franchini che è inutile. D’annunzio diventa pazzo quando riceve la notizia e questo porterà dei problemi in compagnia. La moglie di Rasi quando sa ufficialmente che non si fa la gioconda scrive che si sono tutti trovato in teatro a provare, non si sapeva cosa visto che non si faceva la gioconda—> non si sa perché si fa questa scelta. La Duse scrive rammaricata che gli dispiace di non fa la gioconda (FALSA SIMONA SEI FALSA) D’Annunzio sicuramente arrabbiato rilascia un’intervista al giornale “la stampa”: parla degli attori della compagna della Duse, vorrebbe dei dilettanti per sostituirli ai tromboni sfiancati degli attori moderni visto che li ritiene incapaci di fare roba nuova. Lei è una stronza e lui reagisce così (male ma non ha tutti i torti). Lei dopo ste fantastiche parole scrive a lui chiedendogli scusa non per non aver messo in scena La Gioconda ma solo per non averglielo detto lei stessa. Dice che non l’ha messa in scena per preservarlo. D’annunzio alla lettera è ancora più arrabbiato ma non ci è arrivato. Poi risponde lei con “freddezza telegrafica”—> in cui si capisce che lui è stato duro con lei. Lei continua a dire che scene e esecuzioni non erano degni e dice di metterlo in scena poi, quando tornerà a Berlino. Problema nuovo: gli attori si rifiutano di recitare D’Annunzio perché non aveva detto proprio belle parole su di loro, gli chiedono quindi se era vero ciò che aveva detto o se il giornalista aveva storpiato le parole. Dopo sta lettera firmata compagnia Duse-Rasi, lei manda a D’Annunzio un 36 telegramma in cui gli dice che mette la gioconda in scena a Bucarest, che la stessa Duse dice che è una piazza di ignoranti. Lei dice “prima di testarla a Berlino facciamola in una piazza meno risonante”. Strategia di lei: a Berlino non la fa perché l’atmosfera non era giusta, la testa a Bucarest, poi tanto il contratto a Berlino era prolungato quindi eventualmente la metteva in scena anche li. Lei scrive a D’Annunzio e dice che gli attori l’hanno fermata per sta questione di mettere o non mettere in scena La Gioconda perché lui aveva detto parole brutte e da qui parte la lettera in “comune” per capire se le parole erano vere o no. Lei sostanzialmente gli dice “o ritratti o non si va in scena”, lui fa GHOSTING. Lei continua a scrivergli, a informarlo delle prove ecc.. alla fine di tutto lui continua a non risponderle mentre lei continua a rimproverarlo. La Gioconda va in scena a Bucarest ed è un successo almeno, cosi dice la moglie di Rasi: gli studenti dopo lo spettacolo festeggiano la Duse (usanza era mettersi al posto dei cavalli delle carrozza). Con questa strategia la Duse porta al successo la Gioconda. Viene poi rimessa in scena a Vienna dove lei aveva un pubblico adorante. Le compagnie DUSIANE (1895-1906) Primo attore—> Carlo Rosaspina Caratterista Ettore—> Mazzanti Brillante—> Antonio Galliani Seconda Donna—> Guglielmina Magazzari Galliani Generico primario—> Ciro Galvani Generico —>Alfredo Geri Queste sono le persone con cui la Duse vive e con loro riesce a creare un importante gioco scenico. Un punto fermo nella recitazione della Duse—> prevedeva dei punti di appoggio (es. Flavio Andò) Il problema con Flavio nasce quando lei si stufa di fare il repertorio, fino al ’94 anno in cui questo sodalizio ritenuto perfetto si rompe. Il motivo non è personale (non avevano litigato senno lei non lo richiamava per andare a Parigi). La Duse cambia Andò per Carlo Rosaspina; cosa aveva lui di diverso? Perché gli funziona più questo nuovo? Vediamo le caratteristiche: La Duse si fa principio generatore della ripartita dello spettacolo. Lei variava da spettacolo a spettacolo. La Duse non poteva recitare con attori casuali perché non gli serviva tanto la loro bravura ma la forza d’animo. Giovanni Pozza cosa dice di questi attori: gli attori che circondano la Duse recitano il dramma con verità, sono attori di valore, validi. I grandi attori di solito per risaltarsi si circondavano di attori mediocri per esaltarsi. Lei li sceglie validi perché erano funzionali al tipo di teatro che lei intendeva fare. Lei si appoggiava a questi attori e poi sapeva trarli a se. Quindi questi sono attori che funzionano: Flavio Andò—> dopo la duse cosa fa lui? L’attore che era stato il più affascinate seduttore, il più elegante era il più lontano dai moderni: attore romantico aveva colto gli allori nel dramma romantico meglio che nella nuova drammaturgia (fine 800 inizio 900). Il problema era che la Duse voleva cambiare repertorio e Flavio Andò non funzionava più. Si rompe il sodalizio perché lei cresce e cambia e lui rimane stabile; bravissimo a fare il suo ma non in grado di fare il nuovo. Lei va a cercare attori che assecondano la sua linea di rinnovamento. All’inizio prende Alfredo De Santis: buon primo attore ma lei ne è scontenta. DI lui se ne libera velocemente. Arriva quindi Rosaspina—> inizialmente non si fida di lui è una sua vecchia conoscenza (compagnia Duse-Rosaspina) quando lei aveva 15 anni e ci recita la famosa Giulietta di cui D’Annunzio scrive “nel fuoco”. Lui faceva Romeo. Vecchia conoscenza a cui lei non aveva più pensato. Non si fida per le parti sentimentali che Rosaspina non era adatto a recitare perché più adatto alle piece di pensiero. È un attore meno adatto per le corde sentimentali (problema perché la drammaturgia francese rimaneva nelle tournée). Questo era il negativo di Flavio Andò. Quindi lei che fa? Scrittura due primi attori: Rosaspina per i testi nuovi e Enrico Magnac? Ragnac? Per le parti più sentimentali. 37 L’incontro con Ibsen (incontro artistico non umano), si fonda anche sul fatto che in lui, la Duse, trova realismo e simbolismo mischiati insieme. Incontro che parla di una sintonia particolare e questo momento coincide con la fine del rapporto con D’Annunzio. Date tappe di avvicinamento verso Ibsen: 1891- casa di bambole: Boito le scrive di ibsen molto male e non crede sia possibile che alla Duse piaccia una cosa del genere. La Duse ovviamente lo mette in scena; non è il primo casa di bambola messa in scena ( già messo in scena dalla Pieri; 15 febbraio 1889 nel teatro di Torino), non è mai la prima a mettere in scena ibsen ma quando lo fa spacca di brutto. 1898- mette in scena Hedda Gabler 1905- immediatamente post d’annunzio mette in scena Rosmersholm ma rivisita anche Hedda Gabler e pensa anche a altre messe in scena. 1906- messa in scena con Creig. 1905 - abbandona casa di bambole in modo veramente sintomatico: lei sta a Parigi vede recitare la moglie di Lugnè-poe; Susanne Desprès. Recitare casa di bambole e le dona il suo vestito di scena, svestendosi dei panni del personaggio. Nel frattempo riprende Hedda Gabler, la rivisita completamente facendone un altro personaggio. Rosmersholm nasce dopo un bagno di studio di Ibsen insieme al regista Lugnè-poe che aveva messo in scena ibsen in chiave simbolista e aveva fatto del suo teatro la casa di Ibsen. Eleonora Duse nel 1905 va in tournée a Parigi (nel 1897 aveva fatto la prima tournée parigina- sconfitta della Bernhardt) non va nel teatro della Bernhardt ma in quello di Lugnè-poe che aveva un teatrino d’avanguardia; lo cerca facendo finta di voler mettere in scena Meterlik, lo approccia con un pretesto che non è ibsen ma che diventa sempre più argomento di conversazione; viene letteralmente messo a tavolino per studiare tutto Ibsen. La Duse vuole studiare Ibsen insieme a Lungnè-poe per scoprirne il sottotettso; la drammaturgia ibseniana non sarebbe così grande se non fosse anche criptica; le cose più importanti accadono tra le righe. I personaggi nascondono tra le righe una verità cui si arriva lentamente e retrospettivamente. Quella di Ibsen viene chiamata tecnica analitica. C’è sempre un fatto passato che piano piano riemerge nella drammaturgia Ibseniana. Il passato riemerge e sconvolge il presente. Drammaturgia criptica e nascosta, la Duse lo avverte e per capirlo meglio in quella chiave simbolista cerca Lugnè-poe; lo cerca, recita nel suo teatro, riempie le sue casse, lui è estasiato nel veder recitare la Duse ma poi gli tocca essere messo a tavolino per studiare insieme alla Duse tutto Ibsen. Queste sono praticamente già delle prove di regia a tavolino. “Prove” imposte dall’attrice. Lei poi non lavorerà mai con lui come regista ma quando lavorerà ai testi di ibsen terrà sempre conto di queste “prove” a tavolino; D’Annunzio era un dilettante e chiusa la storia con lui lei va a cercare i VERI registi ossia Lugné-poe e Creig. Non parla di questo corpo a corpo avuto con Poe dei testi ibseniani. L’anno dopo aver messo in scena Rosmersholm va a cercare Creig che è il più intransigente teorico del teatro di quel momento, molto più giovane di lei. Poi nel 1921 si ha il ritorno alle scene della Duse e di Ibsen. Lei decide di tornare alle scene con La donna del mare di Ibsen; questo non è un segnale qualsiasi, anche perché lei le sue tournée le apriva con la signora delle camelie. Ritorno alle scene in segno di Ibsen non è casuale. L’abbandono del progetto d’annunziano proietta la Duse verso Ibsen; la fine con d’annunzio è una fine sentimentale e artistica di un progetto che lei coltivava. La Duse è un attrice in cerca di autore, Pirandello scrive un saggio sulla Duse dove sostiene che la sua sciagura è quella che non ha mai trovato un autore; un po una baggianata perché lei trova l’autore in Ibsen (Pirandello ci prova a scriverle un testo ma lei non lo mette mai in scena). 40 Fin dal primo momento la Duse avverte istintivamente e poi razionalmente che i testi di ibsen tradotti in italiano perdono.( Casa di bambola viene tradotta da Capuana massimo esponente del verismo italiano). Tutti i testi ibseniani hanno bisogno di una maggiore attenzione e rifiuta le traduzioni correnti di Ibsen in italia; lei sente di non aderire a quelle traduzioni infatti queste sono molto manipolate. Lei intuisce che la drammaturgia ibseniana va soldata nel profondo; lei rifiuta le traduzioni di mercato tanto che il primo approccio con casa di bambola (che è immaturo) lo fa tradurre da Capuana non accettando quelle che si trovava in giro. Stessa cosa fa con Hedda Gabler; se lo fa tradurre da “Teresà”- teresa Foulin; per la donna del mare fa la traduzione di De Gosis. Ciro Galvani nella tourne del 1905/7 in un appunto scrive che c’è una signorina svedese per aiutare con le traduzioni dei testi di Ibsen. La Duse non si fida delle traduzioni perché stanno in mano a un potente impresario teatrale Enrico Polese Santarnecchi che è anche direttore del giornale “l’arte drammatica” ed è agente teatrale di qualche attore. (lui era agente teatrale a lui si rivolgevano i capocomici per le tournée e per scritturare gli attori). Santarnecchi guarda alla drammaturgia nordica, tedesca, russa e scandinava di cui gestisce tutte le traduzioni. La regia nasce in questo periodo perché c’è una drammaturgia che richiede atteggiamenti diversi di messa in scena (Ibsen- Streinbergh- Checov)—> drammaturgia forte e importante che mette in crisi il meccanismo del teatro dei ruoli su cui si basava il teatro del grande attore. La Duse avverte questa cosa è per questo che va a cercare i registi—> lei è figlia del teatro dell’800 ma ne avverte le inadeguatezze. In questo periodo sta nascendo una drammaturgia innovativa. Se quella francese permetteva e funzionava bene secondo il sistema dei ruoli del teatro italiano; quella “nuova” fa esplodere questo meccanismo. Santarnecchi capisce che se mantiene questi testi come li scrive Ibsen ha difficoltà a collocarla perché fa saltare il meccanismo dei ruoli. Le trame ibseniane non sono inseribili in quello schema che aveva funzionato bene per la drammaturgia francese. Quindi decide di italianizzare e addomesticare Ibsen non solo nei contenuti ma lo aggiusta per renderlo plasmabile al fine del teatro dei ruoli. Questo avverte la Duse nelle traduzioni. Anche a lei sarebbe convenuto fare questo visto che era la regina del teatro del grande autore. Inizialmente legge Ibsen in francese (edizione autorizzata quindi abbastanza fedele) e si rende conto che quelle italiana mistificano il testo ibseniano. Per questo si fa tradurre i testi di Ibsen da altri o traducendosele da sola (comparando diverse traduzioni insieme alla signorina svedese cosi da avere riscontri sull’originale). C’è un corpo a corpo tra la Duse e Ibsen che passa attraverso i testi. Da una parte abbiamo le letture con Poe; un rapporto diretto con il testo e con il regista capace di leggere il sottotesto. La Duse fa una dichiarazione importante sulle traduzioni; scrive nel 1921 al critico del corriere della sera—> le traduzioni francesi le sole che ho in questo momento non le bastano, si sente legata alle parole scritte ma lei vuole scavare nelle parole. Tutto questo si incastra con lo scioglimento della compagnia; anche gli attori, non solo il pubblico. Ibsen era ostico, gli attori hanno difficoltà a metterlo in scena e non seguono più la Duse su questo fronte. La Duse aveva mollato Andò perché non sapeva fare robe psicologiche e lo rimpiazza. Ora lei vuole fare Ibsen e gli attori mostrano ostilità: abbiamo una lettera della Duse a Adolfo Orvieto (?) Anno 1906 anche se non è datato—> scrive sto sfogo in cui dice che Mazzanti ha dato le dimissioni, non da le dimissioni come attore ma come amministratore; dimissioni misteriose. Quindi lei si trova da sola a gestire la compagnia: intanto è malata, l’amministratore che sbrigava tanti affari se ne va. La troppa confidenza fa vacillare il modo in cui vedono la Duse. Dice che c’è un ostilità nascosta e latente nei confronti di Rosmersholm. Lei vuole lavorare come padrona di se stessa. Mazzanti accusa Geli, Geli accusa Mazzanti; entrambi amano lei come una cosa che gli appartiene, ma lei appartiene a se stessa. I due gli ronzano intorno e quella che meno comanda è lei e sta storia gli ha rotto. Lei vuole la sua pace e si stanca. È un problema di non condivisione sul tipo di lavoro che lei voleva fare. Lei ha dei progetti davanti ai quali avverte che i suoi attori non la seguono. A un certo punto diventa drastica e taglia i cordoni ombelicali sciogliendo la compagnia. Una donna che ha mollato Andò e D’annunzio molla anche tutti gli attori che non la seguono. In tutta la sua vita lei non si è fatta zavorrare sui suoi progetti artistici, 41 se si sentiva frenata lei tagliava i ponti. Quando ha un progetto artistico lo persegue e infatti scioglie la compagnia. Comunica ufficialmente che scioglie la compagnia a Enrico Polese Santarlecchi, lo comunica al suo giornale.. gli attori comunicavano così una sorta di Instagram di quel tempo. (articolo esce 19 maggio 1907) Galvani è disperato e manda una lettera alla Duse perché depresso che lei ha sciolto la compagnia( 18 maggio 1907). Si chiude una fase importantissima del teatro dusiano. Cerchiamo di ricostruire il percorso che fa la Duse con i personaggi Ibseniani. Sono 3 fasi da considerare nel rapporto Ibsen Duse. Dal 1891 al 1898 (d’annunzio interrompe il rapporto con ibsen che viene ripreso nel 1905) Primo approccio a casa di bambola fece scalpore e scandalo perché raccontava la storia di una donna sposata con direttore di banca, con 3 figli piccoli, che si rende conto che tutto quello che aveva vissuto era basato su un presupposto di falsità. Quindi lei molla, rompe, abbandona marito e figli (testo del 1879). Donna che abbandona marito e figli, il problema è forte; già era spregiudicato abbandonare il marito figurati i figli. Nel primo atto Nora gioca con i bambini essendo pure lei bambina—> casa di bambole vuol dire che lei è una bambola. All’inizio del dramma lei viene presentata come una persona che bamboleggia, infantile con il marito che la tratta come una bambina quindi giocosa, ingenua, speranzosa; questa donna piano piano tira fuori la verità del suo passato. Il passato segna irreversibilmente la vita di queste persone—> tragicità ibseniana. (c’è chi vede la tragedia greca portata nella tragedia moderna; cosa che D’Annunzio prova a fare ma non riesce, Ibsen ci riesce scrivendo drammi della vita di tutti i giorni) In questa donna che accetta di essere trattata come una figlia emerge piano piano un passato banale, che si rivela però devastante. Per non turbare il padre morente e agonizzante si fa carico di firmare un documento a suo nome, falsifica una firma; questo è un reato che lei porta con se con tranquillità e serenità, lei fa questa cosa proprio perché il padre è morente, non rendendosi conto che in realtà commette un gesto di gravità. Se ne accorge un dipendente del marito (marito meschino) che decide di ricattare Nora. Questa donna bambina che vive in un’atmosfera superficiale; per pagare questo ricatto di nascosto lavora. Le cose precipitano perché il marito si rifiuta di dare una promozione meritata a sto dipendente che sapeva la verità su Nora; anche se anche lui in passato aveva commesso qualcosa. Questo ricattatore scrive una lettera in cui rivela al marito la verità. Tornano da una festa, il marito fa per prendere le lettere e lei sa che questa è la sua fine, tenta di distrarlo ballando la tarantella ballo che piaceva al marito. Questa è una dilazione ma anche un passaggio disperato, è lo snodo del dramma; lui prende coscienza di quello che ha fatto dalla moglie e lui reagisce in modo duro dandole della persona corrotta. Lei rimane sorpresa dalla reazione del marito che ha paura che questo danno infanghi la sua reputazione. Lei non vuole rimanere in una dimensione di falsità e in un mondo in cui le leggi sono fatte dagli uomini, leggi che non capisce e deve capire da sola. Nella notte di natale se ne esce abbandonando tutti. Gli viene chiesto a Ibsen di scrivere un nuovo finale—> Nora non ce la fa ad andare via per i bambini. La Nora ibseniana invece se ne va e questo apre discussioni su cosa cazzo fa lei nella neve da sola ma sti cazzi Ibsen lo vuole far finire cosi. La Duse ha un atteggiamento attento nei confronti dei testi ibseniani. Il testo lei se lo fa ritradurre e cerca un rapporto diretto con il testo perché questa drammaturgia non è banale. La linea che lei tiene del personaggio è quella di un allegria giovanile ma non le da mai un tratto infantile e abbandona subito questo tratto. Il disincanto di Nora è infatti anticipato da un gioco mimico. Lei non crede che il marito prende le sue difese, lo anticipa con un gioco di sguardi, da come lei guarda il marito. Motivo per cui non avrebbe senso recitare quella disperazione che la Duse ha già spalmato prima e rendendo più sensata la dipartita del personaggio (non recita il nuovo finale). La Duse fa una Nora che finge con il marito questa allegrezza, ma fa vedere agli spettatori che c’è un disincanto quindi, al terzo atto non può renderla cosi disperata (oltretutto la tarantella la Duse non la sa ballare, trova la soluzione di presentarsi vestita da arlecchino in questa scena- in alcuni 42 Ibsen rappresenta l’avvio di un’impossibilità a scrivere drammi, i successivi drammi di Ibsen anticipano questo problema, ma la drammaturgia resta ben composta perché lo scrittore era molto abile in questo. 1879 è la data in cui Ibsen scrive Casa di Bambola, e lo scrive ispirandosi alla realtà, leggendo una notizia di un trafiletto su un giornale. La Duse lo approccia nel 1891, abbastanza tardi e lo lascerà nel 1905, per poi averlo inscenato nel 1904.
 
 La Duse poi rivisiterà alcuni drammi di Ibsen come Hedda Gabler nel corso di questi anni, rivista nel 1904 e 05 che erano stati congelati nel loro studio per via dell’ingresso del progetto di D’Annunzio. La Duse aveva già avviato questo studio sui personaggi, laddove Hedda Gabler era un personaggio ancora più scomodo che Nora. Hedda Gabler 
 Un personaggio rischiosissimo di una donna aristocratica, figlia di un generale che porta in dote due pistole. L’aggressività non è latente, lei non si riconosce mai nel suo matrimonio e davanti al senso di aristocrazia e nobiltà, un anelito di un gesto di bellezza di questa donna che nutre nel profondo, ha per contrasto un marito mediocre. Lei, incapace di vivere la routine, è un personaggio molto rischioso. Riemerge un rivale del marito, amico d’infanzia di lei, che non sa disciplinarsi. Il ritorno da lui fa sperare in lei un gesto di bellezza, le fa sperare che avvenga qualcosa di bello. Se non che quest’uomo si ubriaca e perde un importante manoscritto. Emerge così una natura quasi satanica di Hedda, che ritrova il manoscritto, lo distrugge, istiga al suicidio in circostanze grottesche. 
 Il marito mediocre ritrova il manoscritto e insieme alla compagna del suo rivale, trova il manoscritto e cerca di ricostruirlo. Di fronte a questi gesti, Hedda si suicida. Hedda è un personaggio sulfureo e indecifrabile, una donna nobile che non riesce a trarre il positivo dalla vita e quindi devia verso una tendenza disastrosa. Questo complesso personaggio la Duse sembra attenuare i tratti malefici del personaggio, anche per renderlo meno indigesto al pubblico italiano nel 1898.
 Ma quando lo riprende nel 1905 modifica i personaggi e abbiamo alcuni segnali, uno è una lettera della Duse del 16 maggio del 1905 di cui non conosciamo il destinatario. 
 Lei si stava avvicinando a Ibsen insieme a Lugné-Poe in quel periodo, quindi non è un caso che torni ad Hedda Gabler, e lei in questa lettera scrive che l’anno precedente in Germania aveva ritrovato il personaggio di Hedda Gabler. Disse che gli anni prima l’aveva recitata in Italia di fretta perché c’era in ballo il progetto Gioconda, è evidente che questo ritorno quindi è più significativo. 
 Cercava le figure femminili di Ibsen perché nessuna delle eroine francesi recitate finora sarebbero state in grado di recitare le parole di Ibsen. Lei quindi l’aveva recitata in maniera fugace qualche anno prima, ma con la spinta del lavoro di Lugné-Poe riparte da Ibsen rivisitando ciò che già aveva affrontato: vuole fare di Hedda Gabler un figura forte e di pensiero. La Duse voleva incarnare una Gabler come: 1)  Qualcosa di regale e prigioniero, anche attraverso il costume di scena 
 2)  Una nobile Hedda rinchiusa in cattività, con una grande treccia attorcigliata con un diadema. Una treccia che è nobile ma strettamente raccoglie i capelli e li rinchiudono in cattività. L’acconciatura non è secondaria, ma è molto simile all’acconciatura di Rebecca West. 
 La Duse coglie queste caratteristiche e vuole farle confluire nel costume di scena. Fin dal costume di scena la Duse ci fa vedere il contrasto: regale ma intrappolata anche da uno strascico.
 
 Nella prassi teatrale ottocentesca c’era un ruolo che prevedeva lo strascico: la seconda donna. 
 La seconda donna di per sé è invitante, è l’amante nel triangolo amoroso di moglie-marito- amante, e come tale, è la diretta rivale della prima attrice che è invece figura che incarna una donna dolce e morale. Questo schema non è un compartimento stagno con la Duse; tutt’altro. Hedda è intrigante, è diabolica, e ciò si riflette nell’abito, cioè il costume convenzionale della seconda donna. La Duse si serve del linguaggio convenzionale della seconda donna per lanciare dei messaggi, ed eliminarne allo stesso modo. Non solo è seconda donna, ma è seconda donna che sta sopra, è nobile e se dopo degenera, ciò avviene perché va incontro a una mediocrità che 45 crea una crepa e la crepa trasforma il positivo della sua nobiltà in negativo, proprio perché Hedda è in cattività. Il tratto più evidente è il costume da seconda donna della Duse per Hedda, ma anche l’acconciatura ci fa riflettere perché la Duse stessa ce la descrive come qualcosa di regale e prigioniero: anche Rebecca West ha questa acconciatura quindi evidentemente la Duse crea un Fil Rouge. Rebecca West
 Perché la Duse la incarna in questo modo? Dopo l’abbandono con D’annunzio fa una tournée a Parigi, non a caso cerca Lugné-Poe, colui che era regista che aveva già studiato il simbolismo di Ibsen. La Duse aveva già fatto un bagno nel simbolismo d’annunziano, esplorando un nuovo modo di approcciarsi recitativamente al simbolismo, ma l’esperimento fallisce. C’è da dire che la Duse anche prima di D’Annunzio aveva già sperimentato il simbolismo attraverso Renan.
 Si libererà del bravissimo primo attore Flavio Andò per cercarsi Rosaspina con cui sperimentare il simbolismo. Approda così a Ibsen insieme a Lugné Poe, lo rivisita tutto e ce lo racconta anche lui che fu preso quasi di forza in questo studio approfondito duseniano di Ibsen. Un tuffo in tutta la drammaturgia Ibseniana e emerse un Rosmersholm tradotto interamente dalla Duse. 
 
 È evidente che con Rebecca West c’era una sintonia particolare, nuova, e non è un caso che nel 1905 abbandona Nora regalando l’abito alla moglie di Lugné-Poe che la interpretava. Il congedo da Nora coincide con l’acquisizione del personaggio di Rebecca, che viene connotata con la stessa capigliatura che evidenza i tratti di nobiltà e prigionia. Rebecca West è una donna oramai sulla trentina, consapevole che sta invecchiando, e avviene una fondamentale scoperta del passato che cambia il presente: si scopre che è figlia adottiva del dottor West, un libero pensatore: una donna selvaggia proveniente dall’estremo nord che incarna un forte paganesimo, contrasto e inconciliabilità tra paganesimo e cristianesimo. Laddove il paganesimo è simbolo dell’energia e della forza vitale: Dioniso. Mentre invece il cristianesimo (inizialmente pensato come il cristianesimo protestante) apollineo. 
 
 A fronte di un paganesimo sfrenato, un modo vitale di pensare che Rebecca aveva preso dal Dr. West. È una donna sfrenata, piena di energia. Esiste un po’ la conciliazione di apollineo e dionisiaco in Ibsen, ma la libera e ribelle Rebecca finisce a fare la governante nella casa di un pastore, Rosmersholm (cioè casa Rosmer).
 
 La storia di Rosmersholm si porta il peso di una storia protestante, si porta il peso di quella cristianità raggelata e moralizzatrice che contrasta fortemente con la furia selvaggia di una libertà pagana e indomita della libera pensatrice Rebecca. Rosmer è monolitico in confronto a lei, che si trova in un ambiente soffocante per la sua furia. In questo caso quindi l’antagonista è l’ambiente, dove Rosmer è anima nobile che non appena arriva Rebecca si ritrova a confrontarsi con il suo opposto. Ci sono tanti problemi nella storia, uno di questi è che Rosmer ha una moglie, ma Rebecca non diventa l’amante: l’unione di Rosmer e Rebecca è molto forte ma succede prima, non lo vediamo in scena. Ancora una volta il passato come un personaggio attivatore di cambiamenti. La moglie di Rosmer è morta, ma il come è morta si scopre dopo: muore dopo poco che Rebecca è arrivata a casa Rosmer, e muore suicidandosi. Quindi c’è un pastore preso anche dai sensi di colpa per la morte della moglie e una Rebecca West che da furia selvaggia e indomita entrando in casa dei nobili Rosmer, si trasforma. La sua irruenza selvaggia e libera di Rebecca è mutata dalla nobiltà dei Rosmer: lei è un personaggio in trasformazione, e traspare qualche tratto della sua indomabile indole. Come fa trasparire la Duse questi palpiti indomabili ancora vivi in Rebecca? Qualche tratto di indole libertaria e selvaggia traspare da qualche sguardo, da qualche movimento. Ha sia l’acconciatura che lo strascico e vuole far sì che lo spettatore visualizzi un personaggio che è in trasformazioni, ma che mantiene ancora dei tratti dell’antica indole, ancora visualizzabili nello strascico e nella treccia. Rebecca quindi è davvero particolare: 1-Lei è in trasformazione 46 
 2-Si insedia nella casa come qualcosa di più che una semplice governante 
 3-Ha instaurato con Rosmer un rapporto molto intellettuale: non solo lei si è modificata, ma anche lui si è modificato, al punto che sta per sposare l’idea libera di Rebecca. 
 4-Rebecca West perde uno slancio vitale e sposa gli ideali etici del pastore, ma nel frattempo il rapporto di comunione tra i due c’è perché Rosmer il pastore sposa gli ideali libertari di Rebecca: sono anime in trasformazione ma che non ce la fanno a compiere la metamorfosi. 
 5- Non riescono a compiere la metamorfosi perché c’è uno sfondo di natura politica —> il cognato di Rosmer, Kroll, fratello della moglie morta è esponente del partito reazionario conservatore e vede in Rosmer l’elemento migliore per far vincere quel partito. A fronte di questo c’è un forte movimento del partito. Vorrebbe portare alla sua causa il pastore, e allora il povero Rosmer è messo davanti a un bivio: da un lato onorare il suo passato, dall’altro Rebecca. Lui non solo non fa nessuna delle due scelte, ma dice al cognato che non sposa più quegli ideali e che non vuole più fare il pastore. 6- Kroll, il cognato, si interroga su questo strano mutamento. Kroll si chiede come mai questo cambiamento, come mai la morte della sorella, e allora inizia a pensare che l’origine di questi mutamenti siano in Rebecca West, colei che potrebbe aver influenzato Rosmer. 
 Diventa quindi il principale antagonista di Rebecca. Avverrà un dialogo massacrante tra Kroll e Rebecca: un dialogo distruttivo per lei, ma nessuno se ne accorge, o meglio se ne accorge Sigmund Freud nel 1916 scrivendo un saggio, ma la Duse inscena Rosmersholm nel 1905: non può aver letto il saggio del 1916.
 Emerge con una certa evidenza che lo scopo di Rebecca era quello di sposare il pastore non appena arrivata, ma poi entra in gioco una comunanza intellettuale nel corso del tempo: ove paradossalmente per due volte Rosmer rifiuta Rebecca. Messe insieme queste cose, siamo circa al terzo atto, Freud si interroga, si insinua che Rebecca donna da ideali affascinanti e ribelli, aveva affascinato Rosmer come anche sua moglie. Si insinua che Rebecca sia la figlia legittima di Rosmer unendo i puntini. 
 
 Viene fuori dallo scoccare degli anni che lei è figlia di Rosmer, ma ne è stata anche amante, Freud intuisce l’incesto. 
 Freud lo intuisce dal comportamento di Rebecca. Kroll insinua che il Dr. West con cui Rebecca ha vissuto prima di giungere a Rosmersholm possa essere stato il padre naturale, ma questo non dovrebbe provocare reazioni di nervosismo acuto, ma dalle didascalie notiamo che ci sono delle pulsioni esagerate nella protagonista. Lo stesso Kroll rimane stupito dalle reazioni di Rebecca, e infatti c’è una battuta di Kroll che dice: “Ma Santo cielo! Perché se la prende tanto mia cara! Lei mi spaventa sul serio”. Intuisce che la reazione di Rebecca è esagerata, e genera ragionamenti. 
 
 Kroll se ne stupisce perché Rebecca era donna controllatissima nei modi e Ibsen ce la mostra sempre controllata, ma ha una reazione che lui stesso considera esagerata: una donna libera pensatrice come lei, non poteva essere sconvolta dalla scoperta di essere figlia del Dr. West. La reazione è esagerata, Kroll si turba e Freud ci ragiona. Entra in campo Freud che ci dice: «L’enigma del comportamento di Rebecca consente una sola spiegazione: la notizia che il Dr. West può essere suo padre è il colpo più grave che le potesse essere inferto poiché non era stata soltanto la figlia adottiva di quest’uomo, ma anche la sua amante. Quando Kroll aveva cominciato a parlare, ella aveva creduto che volesse alludere a questi rapporti e molto probabilmente li avrebbe giustificati […]» Lei pensava che Kroll le andasse a dire che aveva scoperto che erano stati amanti, ma invece lui le diceva che era il suo vero padre. 47 “La Duse non recita Ibsen, ma sé stessa, e a sé stessa adegua tutti gli elementi tragici rinnovandoli a seconda dell’intensità del suo movimento spirituale, la sua sensibilità di ogni istante decide della diversa impostazione e sviluppo dell’opera. Ogni replica è in sostanza un’opera nuova”. 
 Allora come faceva Craig ad accettare questo quando voleva arrivare alla perfezione e fissarla per sempre? Lei cambiava in continuazione. Lei manifestava non lo stato delle emozioni, ma il mutamento, e Gobetti lo coglie. Lei nell’età giovanile rompeva le regole, turbando e recitando in modo sguainato. Ma nella fase di maturità e vecchiaia, stravolge lo spettatore in un modo molto guardato, con una compostezza della recitazione descritta come intangibile: lo fa cambiando se stessa. 
 
 Sta qui la differenza tra il teatro di regia e il teatro di questi attori. La più grande critica fatta ai Grandi Attori Il tipo di teatro del grande attore è antitetico rispetto alla regia perché cambia continuamente. È interessante da capire anche perché tutto questo si innesta su una forte critica che viene fatta a questi attori, ergo anche alla Duse. La critica è che questi attori non provano abbastanza. Ciò è vero fino a un certo punto. Erano additati come coloro che non prestavano attenzione al testo. 
 La Duse non viene scalfita da tutto questo, perché era superlativa, era lei che trainava le tendenze casomai, era lei la capocomica che comandava la scena. La Duse provava o non provava? Come provava? Il suo modo di provare o non provare non è iscritto in questo tipo di teatro anti-fissità? Provare tanto significa congelare, quindi capiamo che le scelte non sono casuali. È stato Chaplin a dire che vorrebbe saper dirigere come lei. Vuol dire che quindi le cose funzionano, nonostante tutte queste critiche alle sue modalità. I più grandi effetti sono stati creati con modi che distruggevano le regole. “Se solo sapessi dirigere i film com’è stata diretta questa pièce” ci dice Charlie Chaplin, che addirittura si sente inferiore alla Duse come regista. Si pone lui in discussione con regole che peraltro non sono le sue, perché le regole di Chaplin erano ben diverse dalle regole della Duse. Le testimonianze di Rasi Tutti scrivevano di lei, tranne lei. Anche questo può essere letto all’interno del suo contesto, del suo modo di rapportarsi con la sua anima e la sua arte.
 
 Rasi ci parlerà della Duse, ed è prezioso perché il suo libro è il resoconto del rapporto con l’esperimento della Gioconda nel 1899. Anno in cui lei era in giro con Zacconi, Duse e Rasi per la Gioconda e la Gloria. Certo che la Duse si dedica a D’Annunzio, ma poi va anche in tournée, e lo sappiamo proprio all’insegna delle esigenze economiche che erano in capo alla capocomica. 
 Ci racconta qualcosa di come provava la Duse quando provava. Nel repertorio di questa tournée, oltre a D’Annunzio, che non verrà inscenato a Berlino con tutte le conseguenze che ci saranno, ci sarà anche un repertorio con Shakespeare con la collaborazione sul testo anche dell’amico Arrigo Boito. Rasi, il professore di attore cui insegnava agli allievi di essere colti e a studiare bene la parte, è chiamato a sostituire un attore indisciplinato, Ferruccio Garavaglia che si rifiuta di fare da comparsa. La Duse dice a Rasi che l’altro fa i capricci e chiede quindi di ricoprire lui quelle parti. Lui allora ci racconta cosa fa la Duse in scena: gli scatti tanto imprevedibili della Duse, fecero dimenticare al professore le battute e si ritrovò senza battute. La Duse-Cleopatra reagisce in modo violento: non è solo una scena di rabbia o gelosia, ma prende il messaggero e lo sbatte per terra, lo aggredisce. Lei ha una reazione violenta che ricorda quella furiosa recitazione giovanile: siccome lei si porta dietro tutto, non ci stupisce.
 
 Rasi viene preso in contropiede, non si aspettava un passo così felino, veloce e violento e si dimentica la battuta e ci racconta di come fu sopraffatto e spiazzato. Ella gli suggerì poi le parole dimenticate con voce sommessa. Ove quel suo essersi dimenticato la battuta non fece scemare la sua energia indiavolata. Se questa scena fosse stata più e più volte si sarebbe percorso il rischio di non far sorprendere Rasi in questo modo = si sorprende e si ha quell’effetto sorpresa proprio perché non era stato provato. È così che si porta in scena quel 50 momento di verità che il povero Stanislavskij cercava di ottenere in modo contorto con la reviviscenza, i diari degli attori e via discorrendo. Rasi è così spiazzato da questa reazione violenta della Duse che si dimentica, e si instilla un momento di verità reale. Lei conosceva i suoi attori, sapeva che Rasi sarebbe rimasto spiazzato e sapeva poi come ricondurlo sulla giusta via: è qui che allora si capisce il rapporto della Duse con le prove per esempio, nonché la ragione del circondarsi dei fedelissimi. Se questa scena fosse stata provata, questo effetto in scena non ci sarebbe stato. Infatti lei era prontissima a restituirgli la battuta. La Duse lo sapeva fare, la regia no in quanto era tutto il contrario. Nella Gioconda invece il povero Rasi doveva recitare nel ruolo principale, racconta lui stesso che la notte non dormiva dalla preoccupazione che questo ruolo le provocava. Quando lei gli scrisse “conto su di lei” per la parte del protagonista nella Gioconda, lui ci racconta che perde la pace. Lui si mette a studiare a tavolino la sua parte, ma comunque è preoccupato e si fa una prova. D’annunzio aveva scritto perfino le didascalie di come doveva tenere la bocca Rasi, e lei doveva guardare Rasi in un certo modo: marito e moglie che si ritrovano riunendosi in un sentimento profondo: scena di estremo pathos. 
 
 Il povero Rasi viene chiamato alle prove a recitare queste scene con la Duse; non ci dorme e a un certo punto, proprio quando questo Pathos nel dialogo dei due amanti ritrovati raggiunge l’apice, la Duse non dà a Rasi la battuta del personaggio. Allora il povero Rasi le chiede: -  “e il rimanente?” -  E lei risponde: “che rimanente?” Il tutto alle prove: lui non sa come lei reagisce, 
 -  “ma non mi dice la sua parte?” 
 -  “Macché!” 
 -  “E che cosa fa lei a questo punto?” Lui non sa cosa fare perché non sa come lei reagisce davanti alla sua battuta 
 -  “Vedrà” 
 - “E io?” - “E si cheti brontolone!” E quella seconda parte della scena non fu terminata mai, anzi, così come lui terminava di interpretare la sua scena, cui doveva susseguire la reazione di lei, lei lo mollava lì, lo abbandonava ogni volta, facendo crescere in lui la trepidazione: lei ogni volta comicamente si alzava e lo piantava lì davanti alla sedia vuota. Questo provare e non provare, non ci appare per nulla casuale, né cialtroneria o svogliatezza: era strategia. Il povero Rasi ogni volta restava lì, come preso in giro da lei. E così vanno in scena, e sempre Rasi ci racconta cosa succede quando vanno in scena. “Eccoci soli alla fine del primo atto, arrivati a quel punto lì che non avevano mai provato -perché lei lo abbandonava sul più bello- già ella mi aveva vinto con la dolcezza dello sguardo, con cui mi dava -lei lo ipnotizzava- a odorare le rose che teneva tra le sue mani. C’è una forma di ipnosi anche olfattiva, non solo il movimento ma anche di odori- In quell’istante mi sentii Lucio (il protagonista maschile) veramente, e un nodo improvviso mi bloccò la Gola, ancora una parola sospirata dalla magica donna e il pianto mi sarebbe uscito dagli occhi, sincero e copioso, e così fu.” 
 È qui allora che si colloca quella reazione che lei doveva fare e da cui era andata via ogni volta alle prove, lui si chiedeva trepidante ormai chissà quale sarebbe stata la sua fatidica battuta, reazione che non aveva mai recitato. E soprattutto si chiese cosa avrebbe potuto fare lui. “Non sapevo nulla, eppure agivo, e mi parve di agire naturalmente e sicuramente come se quella scena fosse stata provata non so dire quanto”. Boutet, D’Amico imputavano questo a questi attori; il non provare disciplinatamente. Forse allora è anche per questo che la Duse non si trova nella Francesca da Rimini perché era stretta nell’essere diretta da qualcun altro e, non potendo ottenere in scena quegli effetti, si eclissa. È solo da questi episodi che si capisce il suo modo di recitare. 51 Lei non voleva provare perché sapeva che sarebbe stata lei in scena a dirigere, a seconda dei suoi moti dell’anima come ci accennava Gobetti. Non è un teatro fisso, ma anche per la Duse sul palco pubblico e attori erano importanti, ovviamente, insieme alla sua anima. Lo fa perché è brava, magnetica, conosce gli attori in scena e sa come sorprenderli. Con il segretario Mazzanti, a volte litigava la sera prima, apposta, perché così poi quando recitavano in scena: anche in Rosmersholm c’è un’importante scena di conflitto tra il caratterista Mazzanti (che fa la parte di Kroll) e lei. 
 
 La scena prima la Duse ci litigò anche perché così la scena veniva meglio e Rasi ce lo descrive benissimo. Sapeva gestire l’emotività degli altri che aveva provocato. È quello che Mirella Schino chiama “attore capo” cioè un attore che in scena è anche regista in quanto dirige, e la Duse lo faceva benissimo. È infatti capocomica più che soltanto capo. Ci sono anche altri episodi di questo tipo, ove anche la Ristori faceva così, ma in modi diversi. Ci sono altre testimonianze: 1) Una di Lugné Poe: della Duse alle prove lui ce la descrive: “A poco a poco cominciava a venire avanti e buttava là qualche battuta, addirittura sembrava trascurarle finché non arrivava la parte più importante: alzava il tono e con gli occhiali sul naso anche nei momenti più dolorosi penetrava nel testo e si piantava sull’interlocutore, la folgore scoppiava, la voce di elevava di tono e l’anima era terribile. Scagliata come da una forza sovrumana nella vita del protagonista; cioè contro l’altro attore (Così come si vede scagliato sul pavimento il povero Rasi in Antonio e Cleopatra). Essa sapeva sconvolgere la sensibilità della vita dell’interlocutore con una frase precisa che annientava anche il più calmo dei suoi compagni. In quei momenti era davvero quasi sovrumana, geniale. Grondanti di sudore, gli attori usciti dalle prove non avevano nemmeno la coscienza su quale punto d’appoggio avevano offerto al meccanismo del suo genio”. Questo ci dice uno dei primi registi. 2) Una di un’importante autore: Aldo Palazzeschi, che scrive “l’attore mancato” testo che parla di sé stesso. Si parla di attore mancato perché lui era allievo della scuola di Rasi e la Duse andava spesso da Rasi a Firenze a raccattare qualche comparsa che potesse servirle. Palazzeschi racconta che quindi lei era presente in queste prove, e racconta che ogni attore qualora si trovasse nell’orbita della Duse, tanto era eccitato dalla forza scenica di questa attrice e dalla sua persona e movimento, agiva e la seguivano senza accorgersene. Questo ci racconta Palazzeschi, che va molto vicino a quello che ci dice Rasi quando dice che non sapeva nulla, eppure agiva. L’altro veniva trascinato a vivere di conseguenza a come la Duse si comportava. Quindi capiamo alcune cose: - O non provava, alzandosi e andandosene
 - O provava, ma con questa intensità travolgente e solo in determinati momenti Era un teatro che funzionava a meraviglia e aveva regole diverse dalla regia. Alcuni effetti erano stati raggiunti in modi che seguivano le regole di quel teatro: quindi sì che c’erano regole, non c’era nulla di improvvisato. 
 
 Se la Duse si alzava e non voleva provare una scena, c’era l’intenzione dietro e non la svogliatezza e c’è un teatro che non vuole essere perfetto.
 Craig accusa questo teatro di non essere concluso, ma è un teatro che si vuole aperto, che si fa in scena a seconda dei sentimenti. 52 po’ utopistica, è quella di creare uomini gioiosi, felici, onesti. Conciliare questi due opposti: paganesimo e cristianesimo, apollo e Dioniso. Indubbiamente Rebecca incarna l’aspetto del dionisiaco, ma la sua volontà alla fine si affianca. Ibsen scrive basandosi sul vero, cioè per Casa di Bambola per esempio si è ispirato a una notizia sul giornale. Lo stesso accade per il ritratto dei due protagonisti di Rosmersholm. Negli appunti di Ibsen infatti Rosmer è descritto come una figura nobile, un vedovo, infelicemente sposato con una donna malinconica che finì per annegare. Rebecca è, nei primissimi appunti descritta come emancipata, calda, senza scrupoli ma raffinatamente, considerata come lo spirito maligno della casa, oggetto di malintesi e di scandalo. Ibsen, nei suoi appunti continua a descriverla come donna intrigante che lo ama, vuole essere sua moglie e persegue questo scopo con determinazione: lui lo scopre e lei lo ammette con franchezza. Rebecca e Rosmer sono i due poli, incarnano qualcosa. 
 Il gioco che fa Ibsen dei ruoli che alla fine si vedono nell’opera dove c’è lui, lei, e la seconda donna, Ibsen colloca i drammi loro, che erano tipici anche della drammaturgia borghese, ma fa una cosa diversa: mette questi darmi nel passato, rende i personaggi stratificati. Ibsen dà per scontato il passato dei personaggi, e lo fa riemergere attraverso una sua tecnica tipica: Shaw la definisce tecnica analitica che è un lento, progressivo, sofferente, recupero di un passato. Tutta la drammaturgia ibseniana è costruita così. 
 Probabilmente la Duse si accorge di questo meccanismo della tecnica di Ibsen, la tecnica presto viene vista presente in tutte le opere di Ibsen, in casa di bambole, spettri, è il passato che viene vissuto, ma quel vissuto si ribalta in modo violento e devastante sul presente dei personaggi, che però non possono farci più niente perché hanno già un vissuto incancellabile. È un passato che torna a galla e impedisce la vita dei personaggi. Accade ciò anche a Rebecca e Rosmer: da una parte il suicidio e il senso di colpa verso la moglie che divora Rosmer. Ciò che divora Rebecca è il suo ripensare al passato perché Kroll va per dire una cosa, ma per Rebecca è molto di più. I sensi di colpa impediscono ai due personaggi di vivere una vita gioiosa e di passione. Li confina nella non vita che si concretizza nel duplice suicidio. Il fil rouge delle opere di Ibsen è l’impossibilità di unire l’etica alla felicità, in modalità diverse è un po’ la sottotraccia dei suoi testi. Quando la Duse legge Polese si accorge che questa stratificazione non viene resa dal traduttore, quindi è lei che ricostruisce la figura di Rebecca, e come la descrive? Quando lei manda a Boito la versione, appare in scena questa Rebecca West. • Scandisce perfettamente i suoi movimenti, che rappresentano per Freud il sottotesto e sono fondamentali per Ibsen. 
 • Appare alta, larghe spalle, aspetto di una donna di forte costituzione e di carattere energico. La fatta aperta dai lineamenti ben segnati, occhi illuminati da un fuoco interno, è in linea con il costume, è ancora in metamorfosi. Risoluta, energica, calma, con occhi che ogni tanto mainano bagliori e che rivelano il fuoco interiore ma che abitualmente erano quasi mesti: c’è una doppiezza nella donna fermezza e risolutezza accanto alla malinconia. 
 • Fin dall’inizio si comprende che Rosmer è dominato da Rebecca, era in grado la Duse di far passare questo al pubblico, che percepisce subito che Rosmer è un po’ succube della personalità energica di Rebecca. La sicurezza di sé, il tono fermo rivelava subito il potere che esercitava. Rebecca è seduttiva, con Rosmer, con Kroll. 
 • Il rapporto è di forza tra i due protagonisti, che in scena emergeva per quanto Rebecca tentasse di coprirlo. Un rapporto di massima fascinazione e la sua capacità di attrarlo. Le caratteristiche da ammaliatrice e falciatrice proprie di Rebecca, si sposano perfettamente con le capacità della Duse. Lei riesce a far passare questo difficile messaggio di capacità attrattiva e di conduzione nella direzione dei movimenti dell’altro personaggio, che subito stabilisce agli occhi dello spettatore una superiorità psicologica di Rebecca nei confronti di Rosmer. 
 55 • Chi recita Rosmer? I primi attori erano due fedelissimi della Duse, il primo attore era Rosaspina, che era molto abile nelle parti depressive, e quando lui era giù arrivava Rebecca a risollevare la situazione. Situazione perfettamente traslabile del meccanismo tra Duse e Rosaspina. Mettere la Duse come Rebecca e Rosaspina come Rosmer diventava un modo per contraddistinguere i due personaggi in maniera fedele. Rosaspina aveva questa indole che perfettamente si sposava con Rosmer e Rebecca. Forse per una malattia, qualcuno lo sostituì (ogni tanto il Rosaspina si assentava dalle prove e dalle scene proprio per via di questa indole depressiva che portava in scena) il più affezionato della Duse, Ciro Galvani. Ma Galvani somigliava straordinariamente a Mazzanti, anche Galvani tutto a un tratto non c’era più e lei doveva ricatturarlo per portare di nuovo l’attore all’esecuzione della scena. Era infine il lavoro di capocomica, e al di là delle arrabbiature, questo tipo di attori con lei infondo cozzavano bene. Tutte le figure femminili ibseniane sono straordinarie e stratificate, e nulla hanno a che vedere con la Margherita Gautier di Dumas. 
 Galvani e Rosaspina, seppur diversi hanno delle caratteristiche perfette per interpretare Rosmer, perché perfettamente trascinabili nella tela di Rebecca/Duse. Kroll rappresenta l’antagonista di Rebecca nel dramma perché è quello che gli svela il passato da un lato e dall’altro è colui che istiga lui al suicidio. La spinge a confessare, ma una confessione che non è vera perché Rebecca non rivela niente di più di quanto non abbia ascoltato nella conversazione Rosmer-Kroll. Lei non aggiunge niente di più, anzi rivela solo una tensione, una paura descritta nelle didascalie di Ibsen, quando Kroll la incalza e istiga alla sua confessione, lei ha un momento di smarrimento e ciò rappresenta la firma che mette Ibsen per dirci che non è vero che Rebecca ha portato la moglie di Rosmer al suicidio. 
 Lei confessa di averlo fatto semplicemente ripetendo le parole ascoltate dette da Kroll a Rosmer. Qui Ibsen è diabolico, e i lettori capiscono perché stupiti dalla descrizione dei movimenti e delle pulsioni di Rebecca. Kroll mette in scacco Rebecca alla fine, inconsapevolmente, non sapendo di farlo, rivela a lei l’incesto. Il caratterista Mazzanti fa Kroll, il naturale sostituto del primo attore era 
 Ciro Galvani, benché fosse un generico primario, ma non c’è solo questo. Rosaspina e Galvani si prestavano nel mostrarsi in scena come trainati da Rebecca e Kroll, Ettore Mazzanti è in un momento di forte incomprensione nel rapporto con la Duse. Tutto questo diventa perfetto per la rappresentazione. Più che legata alla religione, Rebecca viene presa più dall’aspetto di nobiltà di Rosmer. All’incesto non c’è religione che tenga. Scenografie per Rosmersholm: Rovescalli e Craig. Dopo aver inscenato Rosmersholm con la scenografia curata con un impianto naturalista e verista di Rovescalli, la Duse si sente di dover fare ancora un altro step con questo personaggio. Va a pescare il più intransigente teorico del teatro che proprio nel 1905 pubblica il suo primo testo teorico sul teatro, che probabilmente la Duse conosceva. La tensione di lei verso un auto- rinnovamento è fortissima, e infatti, soltanto un anno dopo la prima messa in scena per Rosmersholm, lei va e cerca Gordon Craig.
 Anche la scenografia diventa strumento di decodifica del testo, e la Duse non ignora questo passaggio, anzi. La scenografia di Rovescalli era il meglio che si poteva trovare, molto costoso ma comunque era tradizionale e non faceva risaltare l’aspetto simbolista dell’opera. Era sì verista ma non simbolista, ed è per questo che la Duse approda a Craig. Il doppio passo di Ibsen di realismo e simbolismo si sposa bene con l’arte della Duse perché anche lei, già da prima dell’incontro con D’Annunzio, modifica la sua recitazione verso il simbolismo, già da quando iniziava a recitare in modo sguaiato al punto che la verità che emergeva sulla scena turbava gli spettatori, ed era anche la prima a voler mettere in scena La Cavalleria Rusticana. Lei spese molto di sua tasca per commissionare al ribelle Craig, dal carattere impossibile, la scenografia di Rosmersholm. Anche Stanislavskij ci litigò per la scenografia dell’Amleto del 1911. Craig è giovane, poco più di Trent’anni e la Duse era la committente, quasi anziana, capocomica. Anche se non si conoscevano, avevano già un rapporto perché Craig era figlio di una grande attrice inglese amica della Duse: Ellen Terry. Anche Craig era affascinato dal carisma scenico della Duse, e si incontrarono a Berlino nel 1904, ma il loro rapporto ha un passo lento. Si basa all’inizio 56 sulla collaborazione sull’Elettra di Hoffmanstraat. Di fatto l'Elettra non verrà mai portata in scena con le scene di Caraig. Quando la Duse cercava Lugné-Poe lo faceva cercando un pretesto: Monna Vanna di Maeterlink. Era un testo comune a entrambi i repertori e così il rapporto si avvia. La Duse in questo era molto strategica e fa lo stesso percorso con Craig. Inizia così a sondare il modo di lavorare di Craig. Nel 1904 c’è il primo approccio ma l’incontro vero si ha nell’autunno del 1906, andranno in scena a Firenze al Teatro della Pergola pochi mesi dopo nello stesso anno. Isadora Duncan, riformatrice rivoluzionaria della danza, lei stava con Gordon Craig all’epoca, ed era fervida ammiratrice della Duse. C’è questo incontro, si incontrano a Berlino, ma si erano già incontrati nel segno di Hoffmannstraat. Lei stava mettendo i passi in un territorio a lei sconosciuto, rischioso per lei perché potrebbe rappresentare il tramonto della vecchia arte a fronte invece dei rappresentanti della regia. Nel 1906 lei parte per una tournée in Scandinavia anche per incontrare Ibsen, che non incontrerà mai perché a causa di un Ictus il cervello gli fu compromesso e morì nel 1906. La Duse non lo incontrerà mai. 
 
 Quando la Duse poi commissiona a Craig la scenografia di Rosmersholm. Il terzetto Duncan, Duse e Craig si trovano a Firenze contemporaneamente, Craig costruisce le sue scenografie impedendo alla Duse di avvicinarsi. La Duse lo lasciò fare e mandò solo due indicazioni: 1) la finestra non doveva apparire troppo grande, era utile alle scene di Rebecca, e ciò lo scrive in un biglietto 2) In un secondo biglietto gli raccomanda di prestare attenzione ai giochi di luce dell’opera, l’illuminotecnica deve essere rispettata. Craig ritiene geniali questi indizi della Duse. Craig fu intervistato nel 1928, quattro anni dopo la morte della Duse. Si tratta di on signora Eleonora, pubblicato in Life and Letters, n.4 settembre 1928. “ ... mi ricordo che la Duse mi domandò di aiutarla in qualche lavoro di teatro. Io dovevo disegnare alcune scene, quello era tutto. Ella scrisse dettagliatamente tutti i punti essenziali che pensava mi sarebbero stati utili. Io ho ancora questi appunti, e sono molto interessanti. Non li voglio ricopiare qui perché sono così tecnici che il pubblico sarebbe incapace di comprendere quello che significano. Essi non sono per il pubblico, ma sono solamente scritti per gli occhi di coloro che lavorano in teatro. Le lettere che ho ricevuto da Eleonora Duse saranno solo per me e non saranno pubblicate, neppure una parola; 5 diagrammi, i disegni e tutte le altre cose rimarranno con me - perché per il pubblico sarebbero solamente una prova di più della sua “triste, triste, vita”, invece io vedo in ogni parla una squisita quantità di gioia”. Una donna che da sempre è nel teatro dialoga in modo geniale con il più grande teorico scenografo regista dell’epoca. Craig la tenne lontana dalla Pergola, e la Duncan racconta delle straordinarie passeggiate con la Duse, la Duncan si affannava per tenere lontana la Duse dal lavoro di Craig. La scena è infine antitetica al realismo scenico della scenografia verista. Craig aveva creato un’ampia scena unica, tinta indaco uniforme, alta, con 2 sole quinte laterali, e i mobili erano dipinti. P. 135 di Rosmersholm di Ibsen. Era completamente diverso da ciò che aveva fatto Rovescalli. Straordinariamente troviamo la prima descrizione solo nel 1908, ossia due anni dopo alla prima volta in cui si vide la scenografia di Craig e perché la cronaca non ne parlava? Perchè nessuno la capiva. Tutto si può dire di questa scena, fuori che non saltasse all’occhio. Enrico Corradini, L’arte della scena: E. Gordon Craig, in “Vita d’arte”, 1, n.3, 1908:
 
 “Era una scena unica per i quattro atti di Ibsen. Un salotto e niente più. Ma il palcoscenico appariva trasformato, veramente trasfigurato, altissimo, con un’architettura nuova, senza più quinte, di un solo colore tra il verde e il cilestrino, misterioso e affascinante, degno insomma di 57
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