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La critica del testo e la tradizione manoscritta: ricostruzione e analisi, Appunti di Filologia italiana

Il ruolo della critica testuale nella ricostruzione del testo originale e nella identificazione delle varianti e degli errori presenti nelle tradizioni manoscritte. Vengono presentate le differenze tra testi di origine siciliana e settentrionale, il metodo del Lachmann e la distinzione tra testo e apparato critico. Il documento illustra anche il processo di copia e la importanza di considerare il contesto storico e culturale di un testo.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 13/07/2022

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Scarica La critica del testo e la tradizione manoscritta: ricostruzione e analisi e più Appunti in PDF di Filologia italiana solo su Docsity! APPUNTI FILOLOGIA ITALIANA Dopo 70 anni dalla morte dell’autore cadono i diritti sulle proprie opere, quindi non ci sono costi da sostenere per le pubblicazioni. “Quest’estate ho letto un libro” → una frase tanto comune nasconde un gran numero di problemi. Dei classici italiani esistono versioni molto diverse, anche sul piano strutturale, eppure dobbiamo farvi riferimento come opere unitarie. Fare riferimento ad un’unica versione dell’opera è importante per la relativa diffusione editoriale (edizioni economiche, traduzioni, antologie ecc.). Opere di lunga e complessa gestazione: il romanzo forse più famoso al mondo “À la recherche du temps perdu” di Marcel Proust ha avuto una storia molto travagliata. Per volere di André Gide la prima delle sue sette parti fu rifiutata dall’editore Gallimard e pubblicata a spese di Proust, mentre le ultime tre parti apparvero postume con manipolazioni operate dagli eredi. Solo la moderna edizione critica riporta sui manoscritti d’autore le varie parti dell’opera. Esempi italiani: Ex. 1: “Il Giorno” di Giuseppe Parini non è mai stata pubblicata in maniera completata dal suo autore. Le prime due parti sono pubblicate dall’autore nel 1763 e 1765, alle altre il poeta lavora fino alla morte, lasciandole incompiute, tanto che solo la moderna edizione critica può offrirne un’immagine generale, seppur non completa. Ex. 2: una famosa raccolta di novelle come “Vita dei Campi” di Giovanni Verga è circolata in due versioni molto distanti, per lingua e per sostanza: il relativo testo critico è basato per i “Novellieri italiani” della Salerno sull’ultima volontà espressa dall’autore nell’edizione milanese, e per l’Edizione nazionale sulla più fortunata editio princeps del 1880. Mutevolezza della “volontà d’autore”: Ex. 1: “I Canti” di Giacomo Leopardi sono il lavoro di una breve vita, ma hanno subito diverse modifiche: L’Infinito: Fra questa immensitade il mio pensiero s’annega > tra questa infinità s’annega il pensiero mio A Silvia: Silvia sovvieni ancor > Silvia rammenti ancora > Silvia rimembri ancora; Leopardi è un esempio significativo perché fra scelte alternative lascia spesso sospesa o “aperta” la scelta. Fattori di disturbo (per l’autore): anche quando è documentata direttamente da autografo, la volontà agisce sotto la pressione di svariati fattori, editoriali o di mercato. La necessità di ottenere il visto della censura, politica o religiosa (ne è un esempio efficace l’Adelchi, Manzoni). Manzoni agisce in un’epoca dove vigeva la censura austriaca e dunque era difficile convogliare determinati messaggi, soprattutto di ordine patriottico; ecco perché finge che I Promessi Sposi siano un manoscritto trovato da lui (e non scritto da lui). Se prendiamo l’Adelchi, capiamo che il manoscritto che è stato inviato per la censura, ha una serie di varianti che manifestano, da parte di Manzoni, la preoccupazione di non ottenere il visto della censura. D’altra parte, gli abbozzi autografi rimasti nel cassetto dell’autore non hanno lo stesso valore di un’edizione autorizzata di ampia diffusione. Fattori esterni di condizionamento: anche se la volontà dell’autore resta il principale parametro, molte volte essa non è affatto “libera” ma rispecchia una serie di fattori esterni, morali non meno che materiali. Torquato Tasso non pubblicò la sua “Gerusalemme liberata” fino a quando non ne vide apparire edizione non autorizzate. Anche questo non lo distolse da una radicale revisione dell’opera, che, privata di molte scene amorose e rafforzata nell’impianto sacro, uscì a Roma nel 1593 col titolo definitivo “Gerusalemme conquistata”, profondamente diversa dalla prima. Ripensamenti (anche radicali) d’autore: questa mobilità del percorso autoriale porta a ripensamenti molto vistosi, che, qualora presi alla lettera dalla ricezione moderna, indurrebbero a cancellare intere opere dal panorama della nostra letteratura. Franco Sacchetti non avrebbe voluto che il suo novelliere, oggi ritenuto il più importante epigono del “Decameron” nel XIV secolo, potesse circolare al di fuori di una ristretta cerchia di amici e familiari. Quando un corrispondente, Giovanni d’Amerigo, gli chiese di leggere le sue “novelle”, Franco gli rispose di pensare invece alle “stelle”, data la sua professione di astronomo, e l’opera rimase sconosciuta fino al suo fortunoso ritrovamento due secoli dopo. L’importanza della ricezione: da questo si può intendere che un’opera letteraria non è solo determinata dalla volontà del suo autore, ma da un complesso insieme di fattori legati alla sua accoglienza e alla sua ricezione nei secoli. La stessa sopravvivenza di un’antica opera scritta è legata alla continuità dell’interesse che ha suscitato intorno a sé, e quindi al quantitativo di copie manoscritte e/o edizioni a stampa che ne sono state tratte. Talvolta anche la voracità dei lettori può essere una minaccia: di opere cavalleresche rinascimentali, titolari di un vario e numero pubblico, ci mancano talvolta le prime edizioni: per esempio della prima edizione del “Morgante” (1478) di Luigi Pulci non ci rimane niente, se non testimonianze indirette di chi già all’epoca ne lamentava la rarità. Autore e contesto editoriale: natura “dialettica” e origine “collaborativa” dell’opera letteraria → già nel Rinascimento, gli autori si affidavano a collaboratori che conoscevano bene i gusti del pubblico e avevano maggiore familiarità con le regole di una lingua letteraria ancora non stabilmente codificata (Pietro Aretino/Lodovico Dolce). Nel Novecento, gli autori più importanti sono anche editori di altri autori (Bassani, Calvino, Sereni): profondi conoscitori del mercato editoriale, erano spesso in grado di influenzarlo e gli autori esordienti si affidavano a loro. Pasolini affidò a Garzanti la scrittura della sua opera “Ragazzi di vita”, ma si vide costretto, pur di pubblicare con lui, a togliere alcune parti scabrose. Spesso, quindi, figure esterne influenzano i contenuti dell’opera dell’autore. Il metodo degli errori congiuntivi porta a relative certezze solo nel caso di un archetipo da cui discente un numero di rami uguale o superiore a 3 (recensio chiusa / automatica → va a maggioranza). Archetipo: molto spesso si dice che è l’origine comune della tradizione (giusto ma sbrigativo), per essere precisi, è la prima copia derivata dall’originale già gravato da errori (l’originale si presume non abbia errori → ma non è sempre detto, si veda l’autografo del Decameron). Quindi c’è bisogno che ci siano diversi errori comuni tra delle diverse redazioni così da poter ricondurre questi errori all’archetipo. In caso di trasmissione lineare se si trovano errori comuni si ipotizza che dipendano da un’unica fonte, l’archetipo. Spesso la filiazione di copia non è lineare, bensì prevede la mescolanza di modelli (antigrafi) diversi, come nel caso della pecia (fascicoli dei manoscritti che erano dei fogli ripiegati in quattro). Nei centri più forniti, come le università, era comune disporre di più exemplares, per soddisfare la maggiore domanda di copie. Dall’incrocio di più serie di fascicoli sciolti sorgono evidenti problemi di contaminazione dei testi, molto difficili da interpretare per i moderni filologi. 1) Originale in movimento: Nel caso degli “Amorum Libri” di Matteo Maria Boiardo alcune copie sono state tratte dall’originale prima di determinate varianti e altre copie dopo queste varianti, quindi due fasi successive (O1 e O2). Un altro caso è quello delle “Trecento Novelle” di Franco Sacchetti, che è soggetto a un progressivo deterioramento e a più copie da parte di Vincenzo Borghini (B e L). 2) Archetipo in movimento: Talvolta, l’archetipo può corrispondere a fasi successive di elaborazione di materiali primari (non necessariamente d’autore); nel senso che viene sottoposto da figure ausiliarie del processo di edizione (copisti, collaboratori ecc.) che cercano di aggiustare l’archetipo oppure cercano di rimpinguare la raccolta (se si tratta di novelle cercano di riempire, per cercare di completare il più possibile l’opera). Un caso sono i cosiddetti “Sonetti iocosi”, scambi aggressivi tra Luigi Pulci (nato 1432) e Matteo Franco (1450), in cui i sonetti erano abbastanza numerosi. Un coetaneo di Franco, Tommaso Baldinotti, si occupò di mettere insieme tutti i testi relativi alla tenzone, dato che aveva avuto piuttosto successo (Luigi Pulci era famoso perché era considerato un miscredente perché aveva scritto una sorta di parodia del vangelo di Giovanni, al contrario di Franco e Baldinotti che erano due credenti). Inizialmente la raccolta di sonetti ne contiene 83, poi 122 e infine 132 → sicuramente Baldinotti sperava di trovarne altri tramite Matteo Franco, che era un suo amico. 3) Dinamismo di copia: In altri casi il dinamismo tra le copie si vede nel modo in cui un copista cerca di adattare il testo alla propria comprensione, perché il testo volgare è diverso da quello classico (che invece aveva una norma). Testi di particolare difficoltà si prestano ad essere manipolati (tradizione attiva) → da qui nascevano i testi nosense, in cui non si capisce niente. Con Burchiello si hanno diversi esempi: - Euclide e Taccuin (era un taccuino con cose scritte per cose di infermeria) ma il copista non sapeva cosa fosse il taccuin e quindi lo trasformò in Tarquino. - Alfonso l’almagesto e il copista lo cambiò in Alfonso l’alme agreste (poesia bucolica) → grandi movimenti di contaminazione. Contini descrive questo con il termine di diffrazione (effetto ottico) → una lezione difficile del passato viene rimaneggiata in maniera più semplice dopo. Esempio: “A’ caci raviggiuoli e marzolini / de’ lor parere stran lo stare in gabbia: / come, c’hann’egli a far cogli uccellini?” > diverse interpretazioni: come i cannegli, come i cammelli, come canaglia, come che avergli ecc. A questi formaggi pare strano stare in gabbia (di vimini usate per drenare i formaggi), ma che c’entrano con gli uccellini? Un tempo tutte le parole erano scritte attaccate e i copisti scrivevano (come i cannegli cammelli, canaglia, che avergli). Poi altri versi: Nella copia il copista mantiene lo schema delle rime, ma sconvolge la sintassi. Un testo che non è capito, non solo non verrà capito da chi deve trascriverlo, ma neanche da chi lo deve leggere. Testo siciliano di Stefano Protonotaro: assai mi placeria → condizionale in -ia tipico siciliano se zo → settentrionale per il resto non c’è niente di siciliano (niente vocalismo) si ha di nuovo rimembreria (condizionale siciliano) per fiate (francesismo parfois) asavire (francesismo a savoir) Quindi non c’è niente o quasi di siciliano. Tramite Giovanni Maria Barbieri, che era in possesso di un libro siciliano, abbiamo avuto “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro, in cui si sente fortemente il vocalismo siciliano. Uno stesso testo ci può arrivare in molte forme diverse → l’edizione di un testo a tradizione plurima pone il problema della veste linguistica (testimoni di varia età e provenienza). La filologia volgare ha un approccio diverso da quella classica, che può contare su una lingua stabile: nella variazione cronologica e spaziale dei testimoni occorre evitare l’effetto patchwork (rattoppare) nella lingua dei testi. Di Dante ci arriva un sonetto (Garisenda) in due forme: uno in toscano e uno in bolognese, è probabile che fosse intenzionalmente scritto in bolognese per rendere omaggio a quella città. Testo base: testo particolarmente vicino, per epoca e localizzazione, all’autore, che possiamo sfruttare. Un esempio è la Vita Nova, la cui testimonianza è il codice Laurenziano Martelli (codice del primo decennio del ‘300), che è un codice di Gubbio. Quindi studiosi come Carrai hanno usato il canzoniere K (degli anni ’40 del ‘300), sicuramente fiorentino e quindi vicino a Dante. Marca tipografica → è il logo dell’editore. Questo è il logo di Aldo Manunzio: Fascicoli → unità fondamentale delle stampe → costituito da ogni foglio stampato ripiegato su sé stesso Diversi formati: - In folio: una piegatura per ciascun foglio, con filigrana al centro; - In quarto: due piegature, con filigrana al centro della piegatura; - In ottavo: tre piegature, con filigrana in un angolo superiore su 4 carte; - In dodicesimo: il foglio interno veniva tagliato e poi le due parti venivano piegate, una in ottavo e una in quarto. Concetti e metodologie della filologia La filologia è intesa come ricostruzione di un testo → ecdotica (sinonimo): ha come punto fondamentale la constitutio textus. La biblioteca di Alessandria è fondamentale perché lì si riunivano gli studiosi per la ricostruzione degli scritti omerici. La disciplina continua poi anche con le scritture bibliche. Edizione critica → prodotto finale del lavoro di un filologo (ha una nota introduttiva, note sul testo ecc.) Il concetto di originale è molto sfuggente perché è quello a cui il filologo punta, ma è piuttosto utopistico. Stesura: testo che nonostante le varianti che ha non cambia la struttura del testo stesso → tante modifiche ma non abbastanza. Branche della filologia: - Fenomenologia della copia → non si ha il manoscritto originale, ma si hanno tanti documenti che lo testimoniano → si usa il metodo del Lachmann; - Filologia d’autore → si ha l’originale e bisogna capire come l’autore è arrivato a scrivere l’opera finale; - Filologia dei manoscritti; - Filologia dei testi a stampa; - Filologia attributiva → attribuire un testo a un autore; - Edizione unitestimoniale → si possiede solo un testimone di un testo, può essere l’autografo (bene, ma se l’autore fa degli errori deve correggerlo ma solo se sono errori di scrittura, non di contenuto), oppure può essere una copia; - Filologia digitale → da dopo gli anni ’90 gli scrittori iniziano a usare i computer ed è difficile risalire agli step precedenti perché 1) si può cancellare la scrittura 2) è difficile trovare supporti compatibili con quelli di 30 anni fa. Poi c’è l’ambito legato ai testi digitalizzati → copie che circolano online con molti errori anche. Metodo del Lachmann (1793-1851) Quando l’originale è una copia autentica dell’autore può essere: - Autografo: scritto dall’autore; - Idiografo: scritto da un copista sotto la supervisione dell’autore (come per Petrarca e Giovanni Malpaghini); - Editio princeps: prima copia approvata dall’autore. Ma spesso si hanno solo testimoni, che sono copie dell’originale viziate da almeno un errore. L’obiettivo del filologo è ricostruire l’ultima volontà dell’autore. Lachmann è stato un filologo classico vissuto in Germania → ha lavorato per tutta la vita al “De rerum natura” di Lucrezio e ha brevettato un metodo che oggi porta il suo nome. Fasi del metodo del Lachmann: 1. Recensio: servono tutte le testimonianze di un determinato testo, è un lavoro lungo e avventuroso (perché bisogna andare in giro), ma oggi è più semplice grazie ai database delle biblioteche; e si devono dare delle sigle. Importante che la recensio avvenga sine iudicio (senza giudizio); 2. Collatio o confronto dei testimoni: scegliere un testo di base su cui si incrociano gli altri testi → la base di collazione come si sceglie? O una stampa moderna, oppure se il testo non è ancora edito si sceglie l’editio princeps, oppure si sceglie un testimone con una patina linguistica vicina all’originale e poi si fa una griglia del testo (si numerano pagine e righe e si individuano i luoghi problematici in cui differiscono i testi (loci critici) → serve per individuare gli errori guida che serviranno per istituire rapporti di parentela tra i diversi testimoni; 3. Per schematizzare i legami di parentela si fa lo stemma codicum; 4. Selectio: esaminare gli errori; 5. Constitutio textus: scegliere quali lezioni inserire nel testo 6. Edizione critica: · Nota al testo (recensio, descrizione e classificazione dei testimoni, stemma codicum) · Apparato critico (registra errori e varianti) Stemma codicum: O: originale (perduto) : archetipo che deriva direttamente dall’originale, è la prima copia non conservata viziata da almeno un errore. Se si individua un errore di archetipo significa che deve accomunare tutta la tradizione (deve essere un errore comune che nessun copista ha mai corretto) a, b, c: subarchetipi: ricostruiti per ipotesi, non corrispondono a testimoni reali e rappresentano le famiglie in cui si divide la tradizione V, L, S, P, T, K: sono i manoscritti veri e propri di cui disponiamo a è l’antigrafo (non conservato) da cui viene l’apografo (per ex. V), ma se l’antigrafo è conservato il “figlio” si chiama codex descriptus (utile se l’antigrafo ha dei danni materiali o se il testimone è di particolare pregio e se ne vuole sottolineare questo aspetto). Errori e varianti Errore (o corruttela): è un’innovazione che guasta il testo e che non può essere accettato → va corretto → ope codicum oppure ope ingenuii Variante: è un’innovazione che non altera il senso del testo, è una lezione concorrente rispetto a un’altra lezione testuale → viene scelta attraverso usus scribenti e lectio difficilior: - Varianti adiafore (indifferenti) → alternative valide, sinonimi. A priori non possiamo dire quale sia appartenuta all’originale; - Varianti d’autore → si individuano o con prossimità semantica o con distanza grafica Se due rami riportano una cosa e solo uno ne riporta un’altra, si va a maggioranza (non si parla dei testimoni fisici, ma di quelli ricostruiti). Emendatio sulla base dei criteri: - Usus scribendi (dell’autore, del genere, ecc.) - Lectio difficilior (casi di banalizzazioni) - Lectio prior (criterio eziologico → capire se una delle due parole spiega l’altra → si sceglie la prima) - Lectio brevis (casi di conflate reading) - Ex fonte (ricorso alla fonte per sanare l’errore) → se so che l’autore ha citato qualcuno prendo e metto quella parola → ma è rischioso perché non si sa se si fa riferimento alla stessa fonte Tipologie di errori: - Monogenetico: generato solo una volta nel processo di copia (tipico l’errore d’archetipo) che viene ereditato da tutta la tradizione. Può essere congiuntivo o separativo rispetto agli altri rami della tradizione. È un errore guida per la classificazione dei testimoni; - Poligenetico: errore meccanico generato più volte nel processo di copia perciò non è congiuntivo (non ci dice nulla sulla parentela tra due diversi testimoni) → fasi dell’atto di copia ed errori · 1) lettura del modello → errori paleografici, di lettura di scioglimento delle abbreviature, banalizzazioni o lectiones faciliores; · 2) memorizzazione; · 3) dettato interiore → mentre copio mi detto e ho la mia pronuncia; · 4) copia; · 5) ritorno al modello. Il testo è in movimento nel senso che c’è una perenne approssimazione al valore estetico. Con la filologia l’oggetto estetico non è unico e statico neanche nella mente dell’autore, ma se fino ad ora quello che pensava l’autore non si poteva considerare, ora grazie alla filologia d’autore si può indagare e capire qual è la gerarchia di valori di un autore (un autore classico ha al vertice della sua gerarchia la classicità per esempio). Il filologo ricostruisce il percorso della volontà d’autore. Potrebbero esserci più volontà d’autore (in tempi diversi) e questa è ricostruibile a partire da: - Varianti introdotte su manoscritti → inserimento di note - Varianti introdotte su stampe - Redazioni intermedie → per esempio Manzoni scriveva copie che erano destinate alla censura Dibattito del primo Novecento sulla filologia d’autore: - Giuseppe Lesca con un’edizione del Fermo e Lucia (titolo che emerge in una lettera perché probabilmente già all’inizio si chiamava ‘Gli sposi promessi’) del 1916 → si tratta della prima minuta (che sarebbe un foglio protocollo praticamente) scritta da Manzoni → lui la pubblica e fa un’edizione critica di questa; - Francesco Moroncini nel 1927 fa un’edizione dei Canti di Leopardi; - Santorre Debenedetti nel 1937 pubblica “I frammenti autografi dell’Orlando Furioso” perché trova una serie di autografi dell’Ariosto (ritrovamento fortuito); - Gianfranco Contini nel 1937 pubblica “Come lavorava l’Ariosto”, recensione del lavoro di Debenedetti. È quasi uno spartiacque perché prende il lavoro di Debenedetti e da lì trae delle considerazioni estetiche e non volendo arriva alle stesse conclusioni di Croce (che ci era arrivato senza la filologia) cioè che Ariosto fa un lavoro di depurazione delle sue opere in una revisione petrarchista dell’opera → non è solo una patina linguistica ma è qualcosa di più profondo; - Giuseppe de Robertis difende Lesca contro Parodi nel 1946; - Benedetto Croce nel 1947 pubblica “Illusione sulla genesi delle opere d’arte, documentata dagli scartafacci degli scrittori” su “quaderni della critica” → lui era contro la filologia, infatti le sue edizioni erano senza commento. Nel titolo chiama scartafacci tutti i materiali che usano i filologi; - Contini pubblica “La critica degli scartafacci” nel 1947, risponde a Croce e dice “sì noi facciamo la critica degli scartafacci con un atteggiamento positivo” → attribuisce un senso positivo a un termine negativo. Scartafacci = avantesto (tutto ciò che precede un testo) → grazie allo studio di esso si può dare origine a due edizioni critiche: 1. Edition génétique → presenta l’edizione integrale di tutti i tipi di avantesto senza distinzione e li pubblica, non c’è un qualcosa di argomentativo da parte del filologo; 2. Edizione critico-genetica → gerarchizzazione dei materiali dell’avantesto e distinzione tra testo e apparato Edizione di testi in divenire (in fieri): 1. Presenza di un originale: manoscritto autografo, idiografo o stampa curata dall’autore (editio princeps); 2. Attenzione del filologo → il filologo quando ricopia fa degli errori involontari (fenomenologia della copia) che vanno corretti, dopodiché si dà origine a due apparati: a. Apparato genetico: mettendo lezione base a testo b. Apparato evolutivo: mettendo ultima lezione a testo e spiegare poi come ci si è arrivati Redazioni d’autore plurime: 1. Redazioni confrontabili che possono essere rappresentate in apparato e lo si fa con apparati verticali (in colonna) o orizzontali (o lineare). L’apparato verticale è meno comune anche perché si può applicare solo con testi in poesia, quello orizzontale è più semplice; 2. Redazioni non confrontabili perché le differenze sono troppe e bisogna fare un’edizione a parte. L’ultima volontà d’autore è condizionata anche dal problema della censura → spesso gli autori sono stati costretti a modificare le proprie opere (per esempio Tasso). Tipologie di varianti: - Varianti immediate: l’autore, mentre sta scrivendo, fa una modifica, che quindi è contemporanea alla scrittura → per esempio correzione con un rigo su una parola) → può essere messo in apparato in due modi: a. Apparato simbolico: variante uno → variante due b. Apparato parlato: “corregit in …” (corretto in) - Varianti implicate: soprascritte al testo, ma implicate con il testo seguente (inserito in interlinea…); - Varianti tardive (successive alla stesura), si può avere in: a. Apparato simbolico b. Apparato parlato Spesso queste varianti non sono su quella riga (a meno che non ci sia lo spazio), ma si nota di solito la differenza di penna (ma anche di grafia, tipo un vecchio scrive tremante); - Varianti alternative: giustapposizioni (accostamenti) di lezioni concorrenti. Possono essere chiuse (se l’autore decide la lezione, decide quale delle due scegliere) o aperte (non ne viene scelta una) e questa fa sì che ci siano diffrazioni di copia. Altra classificazione delle tipologie di varianti: - Instaurative (inserite nel testo) - Destitutive quando vengono tolte delle porzioni di testo che non vengono reinserite - Sostitutive quando si leva un termine e se ne mette un altro → si menziona il caso dell’Hamilton 90 (codice di Boccaccio, ultimi anni vita) che contiene il Decameron corredato da una bella gotica e da illustrazioni grafiche, che è pieno di errori e contraddizioni, che hanno fatto addirittura dubitare dell’autenticità. Branca e Ricci dimostrano che in realtà questo codice aveva delle correzioni su rasura (il manoscritto non si leggeva più, i possessori successivi hanno inserito altre parole → ci sono castronerie assurde) → per accorgersi di questo hanno usato la lampada di Wood che è a ultravioletti e permette di vedere la lezione di substrato. PETRARCA Canzoniere → l’elaborazione dura circa 40 anni. L’Africa fu l’opera che lo portò ad essere incoronato in Campidoglio. Grazie al codice degli abbozzi si capiscono diverse cose: che è più concentrato sull’io piuttosto che sulla laude alla donna amata → c’è uno slittamento verso la dimensione interiore quindi il Canzoniere è un romanzo in versi che ha al centro il desiderio di rimescolamenti dell’anima del soggetto dell’opera, non l’amore verso Laura. L’altra novità è l’invenzione del Canzoniere come macrotesto che unisce la silloge → non bisogna analizzare le diverse parti in autonomia perché ci sono dei collegamenti intertestuali. Primi abbozzi: 1336-1337, sono rime d’amore sparse non pensate per essere unite, per lo più dedicate a Laura; 1342: viene pensata una prima silloge (unione dei componimenti); 1348: morte di Laura (per la peste) e qui nasce l’idea di un vero e proprio Canzoniere, ma ancora lontana dalla struttura di rime in vita/in morte; 1350-53: scrive il Secretum ma contemporaneamente decide di ordinare le sezioni in due parti: il giovanile errore (amore per Laura) e specola della maturità; 1358: forma Correggio (o pre-Chigi) legata al dono del Canzoniere ad Azzo da Correggio di Parma (perduta). Sezione 1: 1-142, sezione 2: 264-292 (secondo la numerazione odierna) → anche oggi il 264 è dove iniziano quelli in morte 1363: edizione Chigi, che è un’antologia autografa di Boccaccio → in cui ci sono anche altre opere di altri autori (Dante e Cavalcanti) e qui Boccaccio fa la distinzione tra prima e seconda parte del Canzoniere: lascia una pagina libera. Il Vaticano Latino 3195 è un codice idiografo-autografo del Canzoniere. Edizioni critiche basate su Vat. Lat. 3195: - 1470: editio princeps di Vindelino da Spira; - 1472: l’editore padovano Bartolomeo Valdezocco si basa sull’originale vaticano; - 1501: edizione aldina curata da Pietro Bembo (originale + postille e correzioni di Bembo); - 1899: Carducci pubblica il Canzoniere sulla base dell’autografo; - 1949 e 1964: Contini pubblica edizioni conservative, con alcune correzioni; - 1996: Santagata pubblica l’edizione per i Meridiani Mondadori, ammoderna la grafia ed elimina i segni diacritici troppo pesanti. Edizioni critiche del Codice degli Abbozzi (Vat. Lat 3196): - Angelo Romanò (1955): ultima redazione a testo, apparato critico con tutte le varianti collazionate, versi con redazione e postille di Petrarca; - Laura Paolino (2000): pubblica il codice come testo autonomo, le varianti sono sostitutive su una redazione già stabile. ALESSANDRO MANZONI I Promessi sposi sono stati iniziati a scrivere il 21 aprile del 1821. Il titolo che tutti pensano sia stato il primo dell’opera, Fermo e Lucia, in realtà non gli è stato dato da Manzoni, infatti probabilmente il titolo iniziale era già Gli sposi promessi. La scrittura di Manzoni è molto veloce, ma impiega comunque 20 anni nel lavoro. Gli autografi de I promessi sposi si trovano alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano nella Sala manzoniana con varianti: a. Strutturali: intreccio di storia universale e privata; b. Linguistiche: verso il toscano. La lingua voluta da Manzoni nell’ultima versione del romanzo è il fiorentino parlato dai fiorentini colti dell’epoca. Iter compositivo dei Promessi sposi: 1- Prima minuta: autografo del Fermo e Lucia (1821-1823), in fogli protocollo piegati a metà; 2- Seconda minuta: svolta del 1824: revisione del Fermo e Lucia e titolo Gli sposi promessi; 3- Copia censura: copia idiografa della seconda minuta per la censura su cui Manzoni fa delle correzioni; 4- Edizione Ventisettana: tre volumi stampati dal 1824 al 1827, titolo I promessi sposi; 5- Edizione Quarantana: ultima volontà d’autore, cambia la veste linguistica ma non la struttura del romanzo. Edizioni critiche de I promessi sposi: - Alberto Chiari e Fausto Ghisalberti, edizione integrale con consulenza di Michele Barbi (1959). Apparato selettivo: solo varianti genetiche significative (esclusione di alcune varianti con criterio soggettivo); - Lanfranco Caretti (1971): non ha ancora l’apparato genetico, presenta le aggiunte della Quarantana in neretto; - Dante Isella (2006). } Metafora del viaggio del testo letterario: si tratta di un testo che, elaborato in un’epoca lontana, attraversa diverse epoche (viene letto, commentato, ecc.) e quindi diverse fasi di ricezione e arriva fino a noi → l’edizione critica cerca di ricostruire, oltre al testo, anche il contesto di riferimenti storici, coordinate esecutive (dai cantastorie sappiamo che Boccaccio, per esempio, ha letto ad un pubblico la Commedia dantesca). Il lettore moderno ha difficoltà nel porsi delle domande fondamentali: 1. Cosa leggiamo noi rispetto a quello scrisse l’autore? → dipende se si è a conoscenza o meno della volontà dell’autore; 2. Come è giunta l’opera fino a noi? → per esempio, sappiamo che la prima edizione del Morgante di Pulci è stata pubblicata ma non si ha niente di quell’edizione → quindi conosciamo il modo in cui un’opera è stata letta e tramandata (storia della tradizione). [L’Orlando innamorato di Boiardo fino all’Ottocento è circolato in toscano, ma l’originale di Boiardo era scritto in una forma fortemente regionale e con elementi dialettali (cosiddetta lingua di koinè, regionalismi, latinismi e toscanismi) e quindi non era ritenuto idoneo alle norme e fu riscritto dal poeta toscano Francesco Berni → la riscoperta si deve a Tonio Panizzi (erudito emiliano)] 3. Come valutare l’intervento degli editori moderni? Come valorizzarne la metodologia ecdotica? Quindi per rispondere alla prima domanda bisogna considerare il viaggio del testo in due prospettive diverse: - Il viaggio del testo nel tempo (come per quanto succede con l’opera di Boiardo) → degrado testuale, ammodernamento linguistico. Ci sono anche interventi inconsapevoli, accidentali. Quindi c’è per forza un degrado del testo; - Il viaggio del testo nello spazio → traduzioni, compendi, adattamenti → un esempio sono i testi della scuola siciliana, che si trasmettono nel resto dell’Italia con adattamenti per seguire il gusto dei lettori. Anche con testi francesi è successo → i testi venivano sottoposti a volgarizzamenti, ma anche aggiornati (quindi abbreviati togliendo cose considerate irrilevanti o compendiati aggiungendo parti rilevanti per i lettori). Seconda risposta: - Tipologie socioculturali della copia - Testi intesi per circolazione privata (come le Trecento Novelle di Sacchetti) o grande diffusione - Vulgate e testi diffusi senza il consenso dell’autore (magari anche in modo clandestino) - Testi sfigurati da fattori esterni e seriori (compendio, censura, rifacimento) - Testi assoggettati a una vulgata moderna Terza risposta → l’edizione deve essere aperta e accessibile, il lettore deve valutare aspetti come il modo in cui l’editore ha ricostruito la lingua, lo stile e il modo in cui ha interpretato la ricezione di un’opera. Solo dopo aver valutato queste cose un lettore può dirsi soddisfatto o meno di un’edizione → se non lo è può o deve proporre una deontologia (cosa deve fare) editoriale. La lettura di un testo: 1. Deve essere proiettata su un contesto di riferimento storico spesso non facile da ricostruire; 2. Si inserisce in un sistema di conoscenze acquisite fin dall’iter scolastico che la condiziona pesantemente. Quindi c’è una costante necessità di verifica del generale e del particolare. I dialetti e i regionalismi sono una parte irrinunciabile dei testi italiani e quindi bisogna dare la giusta importanza a queste componenti nei testi, considerando anche se il dialetto sia un elemento spontaneo (come in Boiardo) o meno. Concetto di diasistema (Cesare Segre): non ci sono solo A e B, ma c’è un continuum fra le forme A e B che va interpretato e all’interno di esso si collocano le varie grafie e le varie interpretazioni. Per spiegare utilizza il diagramma con due ovali che si sovrappongono e che condividono determinati tratti. L’edizione critica deve fornire un testo accessibile, chiaro anche senza note e commenti, da cui può derivare una serie di altre forme (antologie, tascabili, …). Esempio dell’usus di Petrarca → è necessario che l’edizione critica odierna sia priva di segni solo grafici come la h di hemisper o humiltate o come la grafia di providentia. È necessario tenere in considerazione la destinazione d’uso dell’edizione. Esempi di manoscritti di elevato valore storico e culturale → era difficile che su un manufatto si trovasse un’unica opera (giusto la Commedia lo è) → prima le opere che avevano analogie tematiche, o di autori, o di metro, venivano raggruppati insieme. I canzonieri delle origini sono: - L = Laurenziano Rediano 9 (che comprende praticamente tutta l’opera di Guittone d’Arezzo) - P = Palatino 418 - V = Vaticano Latino 3793 → destinato alla lettura cortese (quindi per intenderci quello che veniva letto da Paolo e Francesca) → riccamente illustrato. È testimone unico di molti testi. “Quand’eu stava” (canzone più antica, Ravenna) → più antica lirica d’amore (prima della lirica siciliana) → è sul retro di una pergamena che conteneva un atto notarile. I Memoriali bolognesi editi da S. Orlando ci tramandano spesso testi altrimenti sconosciuti, o altri noti ma in redazione affatto diversa, con marcati connotati regionali (ad es. un brano di Inferno V in un documento datato 1307). Non sempre un’opera è fatta per essere diffusa secondo i meccanismi della diffusione manoscritta o della riproduzione tipografica. Bisogna tener conto del fatto che la conservazione può essere casuale → erano casualmente aggiunti a testi che trattavano materia differente. Molti testi si sono tramandati in maniera casuale → “Trecentonovelle” di Franco Sacchetti probabilmente è stato tramandato sottoforma di zibaldone mercantile (molto sciatto come impaginazione e allineamento, scritto in mercantesca, senza rigatura) perché anche altre sue Un Forese Donati trascrisse una copia della commedia nel 1330 (non ce l’abbiamo più), ma ci arriva indirettamente perché un filologo del ‘500 (Luca Martini) ci ha annotato delle cose → questa è un’edizione aldina chiama “Mart”. Data la circolazione di alcuni canti, Dante non poteva più apportare modifiche. Come dice Pasquini, se Dante avesse lasciato il suo manoscritto privato fino alla fine certe contraddizioni che sono presenti non sarebbero esistite. Esempio contraddizioni: Farinata (come Ciacco, Brunetto Latini e Cacciaguida) nel canto X Inferno fa una profezia (post-eventum ovviamente) sull’esilio e parla di Beatrice dicendo che lei scioglierà di dubbi sull’esilio. Nel canto XV anche Brunetto Latini fa riferimento sempre a Beatrice. Ma nel Paradiso sarà invece Cacciaguida (avo di Dante) a parlargli di Dante. Esempio di contaminazione → storicamente l’Indo era un fiume, ma chi non lo conosceva leggeva “nido”, cosa che non ha alcun senso (la riva del nido) → il problema è che dall’errore nido alcuni correggevano “Nilo” (che ci starebbe dato che è un altro fiume) → quindi variante corretta = dell’Indo, variante più diffusa ma errata = del Nilo. FILOLOGIA DANTESCA Perché la questione della filologia della Commedia è così complessa? Innanzitutto, non abbiamo nessuna testimonianza dell’ultima volontà dell’autore (a differenza di Canzoniere e Decameron) e non abbiamo nessun autografo di nessuna opera. La prima testimonianza della Commedia compare nel 1330, a distanza di 10 anni dal Paradiso e 15 da Inferno e Purgatorio (anni in cui si suppone siano stati pubblicati). La Commedia è stata un’opera estremamente letta da una grande fetta della popolazione rispetto alle altre opere. La Commedia veniva letta anche da molti lavoratori (non quelli più bassi) come i mercanti, quindi non appartiene a una tradizione colta e questo comporta che ci siano più errori → la gente imparava parti a memoria durante la copiatura. Come si sa il momento di pubblicazione delle cantiche? Boccaccio è stato uno dei primi ammiratori di Dante e anche un editore di Dante, ha scritto anche un trattato sulla sua vita, in cui viene raccontato un fatto riguardante il ritrovamento degli ultimi canti del poema → Dante sarebbe morto senza aver lasciato gli ultimi canti e Iacopo (che ha scritto le prime glosse alla Commedia) e Pietro, i figli, avrebbero scritto gli ultimi canti, ma poi Dante sarebbe apparso in sonno a Iacopo indicando dove erano nascosti gli ultimi canti, che sono stati ritrovati. Dante sarebbe morto non avendo ancora pubblicato la fine, invece sappiamo dalla prima egloga (delle due che ha scritto a un latinista Giovanni del Vergilio) che l’aveva conclusa (anche perché era stato invitato a prendere l’alloro poetico per quell’opera a Bologna) → quindi non è vero che ha lasciato le ultime cose non pubblicate → siamo quasi sicuri che il Paradiso sia stato pubblicato verso la fine 1320 / inizio 1321. Per Inferno e Purgatorio sappiamo che sono stati pubblicati prima del Paradiso ma non sappiamo quando di preciso. Per l’Inferno c’è un problema più specifico: sempre nel trattatello sulla vita di Dante di Boccaccio è riportata una testimonianza secondo cui l’Inferno fu iniziato già a Firenze prima dell’esilio (la maggior parte dei critici non ci crede) e ci sono dei motivi che lo rendono abbastanza plausibile: - i primi canti hanno strutture diverse dagli altri; - problematiche di tipo ideologico; - il canto VIII inizia con “io dico seguitando” e questo fa intendere a Boccaccio che i primi 7 canti furono scritti a Firenze e gli altri no (secondo Casadei la cesura è al quarto canto). Quindi poi probabilmente Dante si è ricongiunto con queste carte nel 1307 (Dino Frescobaldi gli portò le carte) → il 1307 è comunque considerata l’anno dell’inizio della stesura dell’opera, anche perché è il periodo in cui smette di scrivere il Convivio. Ma quando fu pubblicato l’Inferno? Fu pubblicato insieme al Purgatorio: questi sono gli elementi esterni (cioè non cose scritte nel poema) che ci fanno capire la data di pubblicazione: • Argomento “barberiniano”: Francesco da Barberino, contemporaneo di Dante, è autore dei “Documenti d’amore” in cui c’è un commento di lui in latino e a un certo punto nomina la Commedia, in particolare l’Inferno → parla dell’uso che Dante fa di Virgilio e la frase “et de infernalibus inter cetera multa tractat”. Francesco da Barberino si rende conto che Dante ha preso spunto dal viaggio dell’Eneide (quindi Francesco si chiede se Dante abbia studiato per tanto tempo Virgilio o se l’abbia imparato in poco tempo) e dice che quest’opera è detta Commedia e in essa tratta di cose infernali e di molte altre cose → potrebbe essere un riferimento generico al fatto che si parla anche di morale, politica, vari personaggi; invece, per esempio, Casadei interpreta questa “inter cetera multa” come un riferimento al Purgatorio (parla dell’Inferno e di molte altre cose perché c’è un’altra parte: il Purgatorio, poi anche il Paradiso) e interpretandola in questo modo bisogna intendere che sia Inferno che Purgatorio fossero già completati e pubblicati. Il problema è datare questa glossa di Francesco da Barberino (interesse centrale della critica), queste sono ipotesi più comuni: · Egidi (editore dei Documenti d’amore): 1313, · Vandelli (editore Commedia): inizio 1314, · Petrocchi (editore Commedia): 1314-1315 · Indizio: secondo semestre 1314 → perché nel testo Arrigo VII viene chiamato Augusto e non Imperador e questo fa capire che è già morto quando questo è scritto (Arrigo VII morto nel 1313) → questa è quella a cui facciamo affidamento e quindi consideriamo che “altre cose” significa solo Inferno; • Argomento “ugurgieriano-lanciano”: di Andrea Lancia (autore di volgarizzamenti dell’Eneide) e di Ciampolo degli Ugurgieri (prosa, integrale dell’Eneide). Ci sono diversi passaggi dei loro volgarizzamenti in cui citano parti sia dell’Inferno che del Purgatorio, ma visto che grazie all’argomento barberiniano si capisce quando è pubblicato l’Inferno, ora noi ci concentriamo sulle citazioni tratte dal Purgatorio: Lancia: (purg. II, 80-81) Ugurgieri: (purg. XXX, 48) Entrambi i passi del Purgatorio sono traduzioni in volgare di passi dell’Eneide, i due volgarizzatori usano le traduzioni di Dante perché erano quelle già diffuse. Per quanto riguarda Lancia c’è un termine massimo (ante quem) che è il 1316 nel codice Laurenziano Martelli che è una copia antigrafa di Lancia. Mentre per quando riguarda Ugurgieri si hanno testimonianze dopo il 1350, ma si sa per certo che il Lancia ha preso spunto dall’Ugurgieri e quindi si capisce che il volgarizzamento dell’Ugurgieri è più antico di quello del Lancia → quindi sembra che prima del 1316 sia Inferno che Purgatorio fossero già stati pubblicati. Non è impossibile quindi che siano stati pubblicati insieme (come sostiene Casadei); • Argomento “martiniano” (c’è qualche dubbio su questo) si tratta di scritte che troviamo sull’opera di Simone Martini, la Vergine in trono (era comune che sulle opere del medioevo ci fossero delle didascalie scritte) → c’è scritta una citazione Purgatorio XXIX e poi da 1315 volto (finito). Poi nella rappresentazione del dialogo tra la Vergine e i santi esso proviene da Purgatorio XXX, in cui Dante si trova davanti a Beatrice che lo sgrida. Quindi il termine massimo sarebbe la fine del 1315 in stile fiorentino → nel medioevo gli anni venivano contati a partire dal 25 marzo → quindi fine 1315 potrebbe voler dire fine 1315 oppure inizio 1316 (per come lo contiamo noi) → quindi più o meno riporta all’argomento ugurgiano-lanciano; Passando a quelli dell’area settentrionale, in cui la tradizione è meno vasta e meno inquinata dagli errori della tradizione popolare che ci sono in quelle toscane (quindi importante, per esempio, per l’analisi di Lachmann, che preferisce queste rispetto a quelle toscane che sono ricche di errori). A causa di questi problemi non sappiamo se Dante abbia scritto in fiorentino stretto oppure abbia fatto riferimento a dialetti settentrionali (dato che dopo l’esilio c’è stato). Importanti codici antichi di tradizione settentrionale: - Landiano di Piacenza (1336) - Codice di ‘maestro Galvano’ (1340): oggi diviso in Ricciardiano e Braidense - Parigino (1351), che fu copiato da Bettino de Pili nel Vaticano Urbinate copiato in Emilia nel 1352 Francesco di Ser Nardo probabilmente copiò più codici della Commedia: - il Laurenziano Pluteo (con ottime lezioni); - un frammento del Purgatorio conservato all’archivio di stato di Modena; - i Danti del Cento sono attribuiti a lui (e ad altri) e sono tutti uno simile all’altro, prodotti a Firenze nella metà del ‘300 in un’officina scrittoria, erano pensati per il commercio. Sono detti Danti del Cento perché si dice che ser Nardo guadagnò talmente tanto da poter pagare la dote per cento figlie. Le lezioni di queste copie non sono ad un livello eccezionale; - Sezione ‘Strozziana’: 5 esemplari Laurenziani Strozziani 149-153 è un sottosviluppo ancor più dozzinale dell’officina del cento. Dopo l’intervento di Boccaccio la tradizione diventa ancor più eterogenea. Boccaccio fu il primo a cercare di difendere la persona di Dante, che lui riteneva un grane poeta, che poteva essere messo al pari di Petrarca e anche di autori antichi → questa pubblicità è accompagnata anche da diversi scritti composti da Boccaccio, come il ‘Trattatello in laude di Dante’ (comprende la biografia, la Vita Nova e 15 canzoni distese, che sono liriche scritte tra la Vita Nova e la Commedia, e decise di commentarle e cercare cose filosofiche in esso = è il Convivio → voleva commentare in tutto 15 canzoni, ma ne fa solo 3). Per la Commedia Boccaccio è partito da un collaterale del Vaticano Latino 3199 (ce l’abbiamo questo, ma quello di Boccaccio no) ed è un esemplare di dedica inviato da Boccaccio a Petrarca. L’edizione di Boccaccio è corredata da altri tre codici (Toledano, Riccardiano e Vaticano Chigiano). Boccaccio ha contaminato il Vaticano latino 3199 con elementi della tradizione toscana (Trivulziano) e settentrionale (Urbinate) e poi comunque sceglie delle forme che preferisce in base al suo gusto e le varianti che gli sembravano migliori. Quindi l’intervento di Boccaccio comporta uno sconvolgimento nella tradizione della Commedia. Codici miniati La tradizione della Commedia è complicata perché il testo segue una tradizione, ma le glosse o i commenti non è detto che corrispondano al testo a cui si fa riferimento e talvolta anche le illustrazioni seguono un’altra tradizione indipendente → testo, commento e illustrazioni possono essere diverse e di tradizioni indipendenti. Quindi oltre che tradizione popolare anche una tradizione signorile con illustrazioni. - Strozzi 152 presenta illustrazioni sia nelle lettere iniziali delle cantiche e poi ricche illustrazioni sulla parte inferiore delle pagine ; - Holkham misc. 48 (Oxford), risalente agli anni 1350-1370, presenta circa 150 illustrazioni, con rubriche in rosso di introduzione a ciascun canto e lettere iniziali di terzina fregiate in rosso; - Codice Filippino (1355-1360), è il codice più importante per quanto riguarda la tradizione meridionale; presenta 146 miniature; - Dante Estense (fine XIV secolo) è uno dei pochi codici con illustrazioni sul margine superiore di ogni pagina; - Yates Thompson (toscano, metà XV secolo), commissionato dal re di Napoli Alfonso d’Aragona, ha oltre 100 miniature; - Urbinate Latino 365 (1474-1480) per Federico da Montefeltro. Sviluppi post-boccacciani: - Filippo Villani è stato un altro fiorentino (ovviamente queste edizioni sono sempre vincolate dalle scelte dell’editore perché non esisteva ancora il metodo di Lachmann quindi il risultato è quello di aver inquinato le diverse tradizioni) - Gli incunaboli: ­ La princeps: Giovanni Numeister di Magonza (1472) (uno dei primi stampatori in Italia), basata sul codice Lolliniano ­ Vindelino da Spira (1477) e altri Edizioni della Commedia: • Cinquecento: ­ Pietro Bembo, all’opera dà il titolo “Le terze rime”, stampato a Venezia presso Aldo Manunzio nel 1502. Edizione basata sul Vaticano Latino 3197, rivisto ortograficamente e corretto congetturalmente. Fu popolare fino alla fine del ‘700; ­ Benedetto Varchi: collazione del codice Martini e di altri ­ Vincenzo Borghini identifica i Danti del Cento ­ Edizione dell’Accademia della Crusca promossa da Leonardo Salviati (1595) • Sette–Ottocento (approcci “artigianali”, non scientifici): ­ Bartolomeo Perazzini: rivendicava la necessità di una recensio più ampia. Perazzini fu il primo ad applicare le regole più congruenti con quelle di oggi, cercando di eliminare i giudizi soggettivi degli editori. Il principio dei recensiores non deteriores significa che i testi più recenti potrebbero essere migliori di quelli antichi, ma soprattutto che un codice antico viene copiato su un antigrafo magari anche originale ha un valore incredibile, perché un codice recente potrebbe essere copiato da uno vicinissimo all’originale (e quindi ci passa un unico grado di separazione); ­ Ugo Foscolo si occupò del testo dantesco, accennando ai criteri della difficilior e dei recentiores non deteriores, ma comunque non si può considerare un’edizione lachmaniana; ­ Edizione degli accademici della Crusca (1837), che ritoccarono in vari luoghi il testo della vulgata; ­ Karl Witte (1862), prima edizione critica moderna su 400 esemplari (collazionati integralmente o saggiati in parte). Witte non fa uno stemma perché secondo lui c’erano state delle contaminazioni e quindi non si potevano identificare i vari rami. Si regge quasi esclusivamente sul criterio della lectio difficilior; ­ Carlo Tauber scrive il saggio “I Capostipiti dei Manoscritti della Divina Commedia” (1889) in cui scrive di aver individuato un centinaio di loci critici su circa 400 manoscritti e individua 17 capostipiti (edizioni da cui poi derivano le altre ramificazioni); ­ Edward Moore nel 1889 scrisse un ricco apparato per l’Inferno e fece la collazione per loci critici di 250 esemplari; • Novecento: ­ Michele Barbi, filologo e dantista eccellente, fu coinvolto attivamente nella realizzazione dell’edizione critica che era stata programmata per il seicentenario della morte di Dante. Barbi si era offerto di essere il coordinatore di questa opera e in primo luogo si era dedicato all’edizione critica della Vita Nuova (per noi alla latina Vita Nova) e delle Rime. Anche l’edizione critica delle Rime lo occupò per molto tempo perché la situazione è molto complessa, quasi come quella della Commedia, e non è riuscito a completare il commento, che poi è stato concluso dalla sua scuola (Maggini e Pernicone). In generale le opere per il 600enario sono state ritardate anche a causa del complicato contesto storico (periodo tra le due guerre). Già nel 1891, Barbi aveva scritto un importante contributo per la Commedia perché segnalava la necessità di una recensio completa, o comunque di avere uno spoglio significativo della tradizione dantesca → c’erano difficoltà sia per il numero di edizioni sia per le difficoltà pratiche, ma sottolineava l’importanza di farla utilizzando il metodo di Lachmann → quindi di superare l’approccio artigianale e farlo secondo criteri oggettivi. Inoltre, aveva individuato 396 loci critici. ­ Giuseppe Vandelli, anche lui ha lavorato a un’opera per il seicentenario dalla morte di Dante. Vandelli rinuncia alla ricerca dei vari rami e delle parentele perché la tradizione era troppo contaminata, quindi fa una ricostruzione genealogica delle singole lezioni: criterio empirico come Moore e Witte, ma ha una recensio più vasta: è riuscito effettivamente a ritoccare diversi punti e grazie alla sua esperienza ha recuperato reperti testuali: questa diventa la nuova vulgata fino a Petrocchi. ­ Mario Casella: nella sua edizione del 1944 compare il primo stemma della Commedia, ma si basava su una porzione minima della tradizione e solo sui loci critici, non su tutto il testo → è uno stemma sommario e fragile perché si basa su pochi codici e quindi risulta potenzialmente erroneo. Casella ha trovato anche un archetipo settentrionale, forse anche giusto, ma le sue idee erano basate su degli errori e quindi la sua argomentazione è fragile. Lezione Elisabetta Tonello, equipe Trovato Della Commedia si conservano 800 manoscritti, 580 completi (cioè con almeno 30 canti). Prima fase: la recensio di questi 580. Seconda fase: la collazione su questo canone di loci (600): 396 di Barbi (1891) + 200 loci di provenienza eterogenea → le diverse lezioni e i diversi codici sono intrecciati in un enorme foglio excel (che facilita di trovare le somiglianze). Con la collazione hanno distinto due rami principali (toscano e settentrionale) e di conseguenza le famiglie che derivano dai due rami principali. E poi ci sono anche le famiglie della tradizione quiescente (quella statica → settentrionale) Ipotesi geografica: cosa ci dice che la tradizione settentrionale è quiescente? Come si fa a dire che è la più probabile, la più vicina all’archetipo? Alla seconda domanda si risponde dicendo che ci sono elementi che ci danno prova del fatto che è il più affidabile: il sistema ortopuntivo dei codici settentrionali perché ci sono punti, punti interrogativi, punti e virgola. Poi ci sono aspetti linguistici: nei manoscritti settentrionali ci sono delle forme del fiorentino aureo, forme che nel manoscritto toscofiorentino sono generali italiani o addirittura settentrionali (paradosso). Queste forme che si trovano nei manoscritti sett sono secondo loro attribuibili all archetipo Un altro aspetto è la prosodia: Veniamo ora ad aspetti materiali e più tangibili di questi manoscritti Tutti sono stati fatti in Emilia e sono meno numerosi di quelli toscani. Famiglia beta: 4 manoscritti: Urbinate, Estense, Florio. Sul manoscritto U si trovano d’accordo tutti gli studiosi. Ragionando in termini geografici: da Ravenna partono le prime copie del poema, ma lì vicino non ci sono centri letterari, quindi tutto si diffonde lentamente verso i centri importanti → poche copie e molto curate (come quella per i Montefeltro). Sottofamiglia P: 21 manoscritti del ‘300 e ‘400, soprattutto ferrarese, ma anche veneta e umbra. Queste copie non toccano i grandi centri di cultura ma sono in particolare diretti verso privati. L’area di diffusione è più vasta. Sottofamiglia gamma (diviso in Bol. e altri) è molto più contaminato. Sottofamiglia Mad: è composta da 6 manoscritti La tradizione toscofiorentina è molto più difficile da ricostruire. Partiamo dal concetto di errore → le versioni poligenetiche possono mostrare punti critici. L’attribuzione di più cose, le miniature, l’utilizzo di elementi extratestuali (commento) possono accomunare diversi manoscritti. Il gruppo Parm è stato copiato da una mano principale → è un gruppo contaminato ma solo in uno specifico range. L’edizione Trovato si basa solo sulla tradizione settentrionale, dunque sul ramo beta dello stemma di Petrocchi, ramo esiguo come numero di testimoni. Petrocchi aveva deciso di limitare la sua recensio ai codici dell’antica vulgata; l’edizione di Tonello e Trovato si basa su tutta la tradizione manoscritta non frammentaria: loro hanno deciso di limitare tutto il loro lavoro di ricostruzione del testo sui codici di area settentrionale. Questo perché per una serie di fenomeni linguistici, la versificazione di Dante torna meglio. Dante è morto a Ravenna, prima di andare lì è stato per molto tempo in Veneto e questo fa pensare a livello storico-biografico che l’archetipo della Commedia potesse essere di quell’area, di area settentrionale-romagnola. Nello stemma vi erano la famiglia alfa e quella beta: secondo Petrocchi la famiglia toscana si suddivideva in tre sottofamiglie a, b, c. Sotto a, collocava le più antiche testimonianze della Commedia che ci sono pervenute, che erano glosse (Mart.); lui considerava Mart. imparentato con Triv. che ha una sottoscrizione di Francesco di Ser Nardo di Barberino e che potrebbe essere all’origine di quel sottogruppo dei Danti del Cento. Le famiglie b e c sono piuttosto complesse: nella parte bassa dello stemma ci sono un sacco di intersezioni, sia di codici che derivano da più rami della tradizione; mentre dove si hanno le linee tratteggiate Petrocchi pensava che ci fosse stata una contaminazione. La tradizione della Commedia è stata contaminata tantissimo fin dagli albori e questo rende difficile ricostruirla: è per questo che Tonello e Trovato hanno deciso di rifarsi alla tradizione settentrionale. Nella tradizione c vediamo due sottogruppi, ma la famiglia b e quella c presentano dei codici autorevoli di area toscana. L’Hamilton 203, anche se è un codice molto antico, è un codice molto contaminato; già a guardare lo stemma basandoci sui codici più importanti, vediamo come le cose si complicano molto ed è difficile separare le lezioni appartenenti a rami diversi, proprio perché tendono a convergere in un unico codice. I più importanti rami, anche per Trovato e Tonello, sono l’Urbinate e il Madrileno. Lo stemma Trovato-Tonello è molto più ristretto rispetto a quello di Petrocchi: qui l’archetipo è indicato come omega, però tutta la tradizione settentrionale è suddivisa in due aree principali. Una è la famiglia beta, che è testimoniata dall’Urbinate e da F, un codice del 1400, il codice Florio, codice escluso da Petrocchi e riaccolto poi da Sanguineti e tenuto in conto come stretto parente di Urbinate: questo potrebbe essere un esempio di recentiones non deteriores. Per Tonello e Trovato, Florio è un ultimo testimone imparentato con Urbinate e quindi se l’edizione si basa fortemente sul testo di Urbinate, anche Florio, suo collaterale, sarà un codice utile la ricostruzione del testo. L’altra famiglia è quella gamma: il ramo viene chiamato Mad. perché ospita il codice Madrileno. Uno dei contributi fondamentali dell’edizione è che allargando la recensio a tutta la tradizione manoscritta, può dare un’idea molto più precisa e articolata di una tradizione, quella settentrionale-romagnola, che è molto autorevole, però era finora conosciuta meno perché l’edizione di Petrocchi si basava sull’antica vulgata. Prima di Petrocchi ci si era solo concentrati sulla tradizione toscana, e anche quella che era stata la vulgata per secoli, era basata sulla tradizione toscana. L’edizione di Bembo, quella stampata per Manuzio, era basata su una copia del Vaticano fatta da Bembo stesso: la tradizione toscana ha dominato durante tutta la storia della diffusione del poema. All’inizio, nella più antica trasmissione, c’erano tanti codici toscani però aveva anche dei testimoni settentrionali; già qui si intravede come progressivamente la tradizione toscana prenderà il sopravvento, avendo più copie e più testimoni. Visto che lo stemma di Petrocchi è uno stemma dipartito, alfa e beta, proprio perché beta ha meno testimoni, a livello di ricostruzioni delle lezioni il ramo beta pesava di più; il problema più serio dell’edizione Petrocchi è che sebbene abbia tenuto in gran conto la tradizione settentrionale, poi ha deciso in maniera arbitraria, per dare un colorito linguistico più vicino all’originale, di utilizzare Triv. come base per decidere che forme linguistiche adottare nel testo. È questo il motivo per cui la vulgata appare molto toscaneggiante, proprio perché il colorito (faces) è rimodulato sul Trivulziano. Passando alla rappresentazione grafica di alfa dello stemma Trovato-Tonello vediamo che è molto diversa: loro hanno una tradizione più vasta da considerare e dovevano considerare tutte le connessioni multiple che ci sono sia tra codici diversi della stessa sottofamiglia, sia tra codici di famiglie diverse. Per quanto riguarda i gruppi il raggruppamento è diverso da Petrocchi, ma possiamo vedere le somiglianze: Vat. Bocc. si rifà ai codici che riguardano il Vaticano e poi Boccaccio. Trovato e Tonello dovevano fare l’edizione basandosi su tutte le testimonianze manoscritte, fino all’invenzione della stampa e dunque la tradizione Vaticana per Trovato-Tonello diventa una vera e propria famiglia. Tutto questo l’hanno fatto per cercare di dare ordine alla tradizione toscana e per rendere giustizia al fatto che ci sono tutta una serie di contaminazioni. Per capire meglio questo approccio dobbiamo fare un passo indietro riguardo l’edizione di Trovato-Tonello e un passo avanti per quanto riguarda l’edizione di Petrocchi: tra le due edizioni ci sono stati altri tentativi di edizione, come l’edizione Lanza, che si basava sul Trivulziano. Ma anche l’edizione Sanguineti: in questo caso si parla di edizione neo-lachmaniana perché convivono una parte di approccio lachmaniano e un approccio bederiano. In questa edizione abbiamo omega e abbiamo i due rami alfa e beta; alfa viene considerato bipartito a sua volta. Abbiamo una tradizione bipartita alfa e beta e il ramo beta ha un solo testimone, l’Urbinate: questo significa che davanti ad ogni tipo di indecisione, Sanguineti propende sempre per uno.
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