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Appunti del corso di Psicologia dell'arte 2020/2021, Appunti di Arte

Appunti del corso di psicologia dell'arte presi durante le lezioni

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 13/12/2021

r.lorenzin
r.lorenzin 🇮🇹

4.6

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Scarica Appunti del corso di Psicologia dell'arte 2020/2021 e più Appunti in PDF di Arte solo su Docsity! APPUNTI LEZIONI Lezione 2 e 3: definizioni e tassonomie La psicologia dell’arte, secondo Wikipedia, è un campo interdisciplinare che studia la cognizione, la percezione e le caratteristiche dell’arte e della sua produzione; spesso si confonde con la psicoterapia che fa uso di materiali artistici. È una disciplina che si occupa di indagare e spiegare i processi psicologici coinvolti nelle esperienze di produzione e di fruizione di un'opera di arte; dato il carattere multidisciplinare, è difficile delimitarne a priori settori di pertinenza e definire il suo statuto teorico e metodologico. Sono vari i suoi territori di confine, poiché ampi e molteplici. Poiché difficile da definire si possono provare a definire i termini psicologia e arte: la Treccani spiega che la psicologia studia i processi psichici, coscienti e inconsci, cognitivi e dinamici; l’arte è un insieme di attività umane nelle creazioni visuali, espresse dall'autore e dalla sua immaginazione o tecnica, con l'intenzione di apprezzare la sua bellezza e potere emotivo. L'arte comprende ogni attività umana che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivanti da studio ed esperienza. Richiede, quindi, creatività e pensiero, ma anche tecnica. È connessa alla capacità di trasmettere emozioni. Cennino Cennini da “Il libro dell’arte” nel 1300 spiega che dopo essere stato cacciato dal paradiso, Adamo deve trovarsi da lavorare e realizza che c'è un ordine nelle arti che praticava: quella più alta è la scienza e da essa si deve scendere a quelle che utilizzano le mani, ovvero il dipingere. Egli porta come seconda in graduatoria come arte più nobile quella del dipingere, spiega che bisogna avere fantasia e trovare cose non vedute, non reali, ma farle apparire tali. Così da creare l’illusione di vedere qualcosa che non c'è. L'opera d’arte si caratterizza per una certa technè, che non è solo abilità materiale ma anche cognitiva, ed è unita ad una finalità comunicativa. L'arte è sempre la rappresentazione di altro da sé. Ma quindi che cos'è che fa di un prodotto l’arte? Che cos'è l'artista? Rubin spiega che non c'è una definizione unica dell’arte, mentre Rosenblum dice che l’idea di arte è talmente remota che oggi è quasi impossibile farlo e nessuno osa. Danto spiega che non si può dire oggi cos'è arte e cosa non. Vi è una forma di nichilismo, una rassegnazione nel definire che cosa faccia di un oggetto, arte. Gli artisti continuano a produrre, ma noi che non lo siamo non riusciamo a dire cosa sia arte o meno, e non siamo più disposti a farlo. Ci hanno insegnato che l’arte è importante e non abbiamo la volontà di confrontarci con un'intuizione recente che l’arte non ha nessuna essenza. Quando tutto è detto e fatto l’arte rimane un punto significativo per l'essere umano, e l’idea che qualsiasi cosa ora posso diventare arte ci colpisce come inaccettabile. È una dissezione psicologica sulla nostra difficoltà davanti all'arte contemporanea. Prendendo come esempio i disegni nelle Grotte di Altamira, noi li definiamo arte preistorica ma non sappiamo con quale finalità siano state create quelle figure, possono sì avere finalità estetiche ma non ne siamo certi (possono anche essere collegate alla sfera religiosa). Un'altra opera è la stele di Ur-Nammu, dove viene rappresentato il sovrano con luna e sole che toccano il suo capo e da cui egli prende il potere (sole e luna rappresentano la luminosità e lo rendono un messaggero divino). Un'altra opera presa in considerazione è il Vaso di Euphronios, che ha una finalità estetica e decorativa, oltre che a quella di raccontare una storia. Un altro esempio è dato dall'opera di Giotto Resurrezione di Lazzaro, che faceva parte di un insieme di opere che servivano a narrare una storia visiva per il popolo che era principalmente analfabeta. Arriviamo a Pollock, con Number 3: Tiger, dove i colori ricordano una tigre e il tre richiama lo schizzo creato senza il suo volere. È un’opera che può essere senza senso, come le mani nelle grotte, mentre per altri può dare un senso di piacere. Passiamo a Marcel Duchamp con fontana, un’opera importantissima chiamata “ready-made” che rappresenta a pieno l'ironia del suo artista. Secondo alcune persone è molto più semplice concedere lo status di opera d'arte a produzioni come un ritratto, di cui ammiriamo la maestria tecnica della resa fotografica, che ad opere come quella di Duchamp o Warhol. Perché si fatica ad accettarle? Che cosa rende un'artista “artista”? Perché con la parola technè parliamo di un'abilità manuale, di rappresentare qualcosa che riconosciamo, ma è un'idea che già dall’Ottocento va in crisi (come già dagli impressionisti, perché sono antiaccademici). Ma che technè ha Duchamp? Una che riguarda l'abilità della manipolazione di concetti attraverso immagini. La tassonomia è una branca della biologia che studia comparativamente i diversi organismi viventi e li raggruppa in base a caratteristiche comuni, ed è quindi un metodo di descrizione e classificazione. Affinché sia efficace e abbia senso, si devono poter individuare e distinguere le caratteristiche comunie le specificità. Quali sono le caratteristiche e le specificità proprie delle diverse produzioni artistiche? Le tassonomie partono da macro-aspetti della realtà, affinando poi la classificazione tramite l'individuazione di caratteristiche distintive. Le opere d'arte le possiamo classificare in base alla classificazione classica (sette arti), , o con le caratteristiche materiali dell’opera, oppure alla fruizione estetica, cioè come li consumiamo, o con la dinamicità o evoluzione temporale dell’opera. Le sette arti della rappresentazione classica sono rappresentate da: 1. Pittura: oltre alle varie tecniche pittoriche, comprende il disegno, l'incisione. Problema: comprende anche la grafica digitale? Scultura: comprende molte delle cosiddette arti plastiche. Problema: Land art? Cioè l’arte che si esercita facendo operazioni su edifici o su ambienti esterni. 3. Architettura: tutto ciò che ha a che fare con la progettazione e costruzione di ambienti e luoghi. Problema: Land art? Teatro: tutto ciò che ha a che fare con la rappresentazione teatrale. Problema: La lirica? Letteratura: tutte le arti che si avvalgono del linguaggio scritto. Problema: il testo teatrale? Il fumetto? Musica. Problema: le colonne sonore scritte per il cinema? Lo spartito? La lirica? Cinema: tutte le produzioni cinematografiche. Si possono includere anche le produzioni televisive. Problema: esiste un'arte radiofonica? N NONA Per quanto riguarda le caratteristiche materiali dell’opera vi sono: e Supporto bidimensionale: pittura, disegno, incisioni, ma anche fotografia e arte digitale. e Sviluppo ambientale (opere tridimensionali): le cosiddette arti plastiche, tra cui architettura e scultura, land art. e Linguaggio scritto: prosa e poesia e Suoni: musica | problemi sono che ci sono diversi tipi di arte che si basano su diversi supporti, come il fumetto con supporto dimensionale e suoni, la body art con il corpo umano e supporto dimensionale, la lirica con i suoni e sviluppo ambientale, ecc. Quindi diventa difficile classificare le opere anche in questo caso. Un'altra possibilità è quella di considerare come vengono fruite le opere: ® Percezione visiva: pittura, scultura, arti grafiche e fotografia. e Lettura: e Percezione acustica: musica e arte radiofonica e Percezione multimodale (oltre all'azione combinata di vista e udito, può riguardare il sistema cinestesico, il tatto, l'olfatto e il gusto): teatro, cinema, lirica, danza, architettura e happening. Anche in questo caso ci sono situazioni in cui si mischiano le modalità di fruizione, come la video art che unisce percezione visiva e acustica. Per quanto riguarda la dinamicità o evoluzione temporale possiamo avere la simultaneità o presente fenomenico, oppure la fruizione diacronica (il cinema, poiché ci porta intempo che è altro. Lezione 4: bello e brutto C'è una classe di oggetti che ha la proprietà di indurre in chi li osserva, o si intrattiene con essi, uno stato psicologico particolare, fatto di attrazione, ammirazione, piacere, emozione, curiosità, interesse, meraviglia. Sono oggetti artificiali costruiti per gli scopi più diversi, che vengono chiamati opere d’arte. Lo scopo di un’opera d’arte non esaurisce la sua funzione; ad esempio. un edificio ha lo scopo di accogliere le persone, tale scopo fa parte della sua funzione, ma non la esaurisce, in quanto lo spazio può essere modulato in funzione simbolica, emotiva, ecc. L'estetica indica la disciplina filosofica che si occupa del bello e dell’arte e fu introdotto da Baumgarten questo termine. Non riguarda solo il mondo dell’arte, ma tutto il mondo dell'essere umano poiché egli va alla ricerca del bello in molte cose che crea. Gli oggetti di uso quotidiano hanno diverse forme, sotto le quali c'è una ricerca che fa apparire alcuni bicchieri più bello di altri. Il bello è l’unico fattor che rientra nell'esperienza estetica suscitata dalla fruizione di un'pera d’arte? Differenza tra un bel gelato/buon gelato e bel dipinto/buon dipinto: qual è la differenza tra bello e buono? Entrambi indicano esperienze positive, legate a sensazioni piacevoli, ma quando è corretto utilizzare uno e quando l’altro? A quali esperienze rimandano? Si prova a ragionare sui termini opposti, quindi si parte da brutto e cattivo. Brutto è l'opposto di bello: ciò che è brutto è decisamente non bello. Che cosa s'intende dire quando si afferma: "il film era brutto"? Che era mal diretto? Che la storia non reggeva? Che gli attori recitavano male? Si può dire che un film è cattivo? nessuna validità esplicativa della genesi dell’opera, perché essa è legata ad una commissione. È importante considerare il contesto socioculturale quando si maneggiano delle opere d'arte. L'approccio psicoanalitico all'arte ha come obiettivo quello di individuare le pulsioni sottostanti l'atto creativo, nella convinzione che siano questi il motore della creazione artistica. In sintesi, l'idea è che tramite le forme scelte o inventate l'artista condensa le proprie pulsioni e nevrosi, a livello inconscio. La creazione artistica, quindi, rappresenterebbe una risposta dell'artista a drammi interiori, perlopiù sepolti sotto la coltre della coscienza. La creazione dell’opera si costituisce come una forma di catarsi, e mediante processi empatici tale processo sarebbe esteso al fruitore che, anche a sua insaputa, soffre di drammi interiori simili. Non si vuole negare il valore empatico dell’opera, ma il fatto di entrare in empatia con l'artista, perché molta arte in passato era legata alle commissioni o al narrare situazioni che non riguardavano l'artista in privato (esempio della canzone d'amore anche se non l'ho mai provato). È un processo empatico che riguarda l’opera e il fruitore, non l'artista. Non ha senso mettere “sul lettino” l'opera d'arte perché non ha senso, è un'operazione che gioca con simboli e in cui si tira a caso ad indovinare. Perciò l'approccio psicoanalitico si è concentrato sulla forma in quanto veicolo del contenuto. La forma diventa il contenuto solidificato, nelle arti plastiche. In letteratura, invece, è il contenuto l'oggetto principale di analisi: ciò che lo scrittore ha inteso rappresentare è letta come metafora o insieme di simboli che permetterebbero di individuare pulsioni e drammi personali, perlopiù inconsci, dell'autore. Ci si scorda che affinché le cose funzionino la struttura e la scelta sonora delle parole sia efficace. La pura forma, intesa come oggettivizzazione della rappresentazione, è una chimera. Le forme scelte da un artista sono ampiamente condizionate dallo stile dell'artista, che a sua volta è condizionata dallo stile imperante che caratterizza la società in cui l'artista si trova a vivere, nonché il suo periodo storico. Lo stile è una caratteristica complessa, che contribuisce sia a modulare che a creare il contenuto, cioè il significato dell’opera. Parlando di stile, Gombrich si chiede se sia artisticamente più interessante l'originale di Bonnencontre de “Le tre grazie”, assai leziosa e stucchevole, o l’opera vista attraverso lenti deformanti, con una resa simile all’impressionismo. L’impressionismo è il primo movimento antiaccademico, che rifiuta ogni nozione acquisita in passato, poiché gli artisti ricercavano nuovi e più attuali valori della visione, in un assunto essenzialmente naturalistico. Massironi si pone delle domande: È necessaria una nevrosi per produrre un’opera d'arte? Aver constatato la nevrosi in alcuni casi consente di generalizzare il principio? In che rapporto sta la nevrosi dell'artista con quello del critico? In che rapporto stanno queste due nevrosi con quello che caratterizza i spettatori? La rappresentazione di figure umane nelle opere d’arte è spesso accompagnata da un tentativo di riprodurre stati d'animo ed emozioni. Questi sono oggetti di studio della psicologia. Tuttavia, risalire dalla rappresentazione di stati d'animo ed emozioni alla scoperta delle motivazioni profonde ed inconsce che sottostanno all'atto creativo dell'artista è un'operazione del tutto arbitraria. Il rischio di mistificazione è altissimo, come già hanno sottolineato a loro tempo i coniugi Wittkower. A meno che non abbia l'artista da “mettere sul lettino” tutte le analisi che vengono fatte a posteriori partendo dalle opere d’arte hanno poco valore se mirano a parlarci del contenuto onirico o degli stati nevrotici dell'artista. Ma la domanda è: ma questo è importante per uno studio scientifico dell’arte? Devo sapere la personalità di un'artista per poterlo studiare? O per poterlo ammirare? La psicoanalisi non è forse il metodo migliore per indagare le personalità degli artisti come approccio per spiegare l’arte. Anche se io sono riuscito a identificare le sue nevrosi, questo cosa mi dice sulla fruizione dell’arte? Pensiamo che la fruizione dell’arte è una condivisione del punto di vista dell'artista? Quando ascoltiamo una canzone, essa ci tocca corde personali e non quelle che ha toccato l'artista quando l’ha scritta. La domanda è perché certe strutture ci producono certi effetti, piuttosto che cosa provava il musicista quando aveva composto. Tuttavia, proprio la psiche malata diviene un motivo, quando non proprio un tema, analizzato dagli artisti. La follia, infatti, è un tema presente nell'arte. Il tema della follia è già stato oggetto di raffigurazione nell'arte europea prima degli scritti di Freud. Nel Primo Manifesto del surrealismo di Breton si capisce il collegamento che questi artisti sentono con Freud, cosa che quest’ultimo rinnega poiché lui è un amante dell’arte classica e antica. “Noi viviamo ancora sotto il regno della logica: ecco chiaramente dove volevo arrivare. Ma i processi logici, ai giorni nostri, s'applicano unicamente alle soluzioni di problemi di secondario interesse. Il razionalismo assoluto che rimane di moda permette di prendere in considerazione nient'altro che i fatti strettamente riferibili alla nostra esperienza. | fini logici, al contrario, ci sfuggono. Inutile aggiungere che l'esperienza stessa s'è ritrovata chiusa tra limiti assegnati. Essa s'agita in una gabbia da cui è sempre più difficile farla evadere. S'appoggia anch'essa all'utile immediato ed è sorvegliata dal buon senso. Sotto il color della civiltà, col pretesto del progresso, si è giunti a bandire dallo spirito tutto ciò che, a torto o a ragione, può essere tacciato di superstizione, di chimera, a proscrivere ogni metodo di ricerca della verità che non sia conforme quello in uso. È stato per un formidabile caso, almeno in apparenza, che recentemente si pose in luce una parte del mondo intellettuale, per me importantissima, verso cui si ostentava trascuratezza. Bisogna ringraziare le scoperte di Freud. In forza di tali scoperte si manifestafinalmente una corrente d'opinioni per cui l'indagine umana si potrà spingere più lontano nelle proprie ricerche, finalmente autorizzata a non tener più solo conto di sommarie realtà. L'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti. Se le profondità del nostro spirito racchiudono strane forze capaci d'aumentare le forze di superficie o di contrapporsi vittoriosamente a esse: v'è tutto l'interesse a captarle prima, per poi sottometterle, se appare necessario, al controllo della nostra ragione. Gli analizzatori stessi non hanno che da guadagnarvi. Ma è indispensabile osservare che nessun metodo è imposto a priori per definire tale impresa e che sino a una nuova rivelazione essa può appoggiarsi tanto sulle energie dei poeti quanto su quelle dei dotti, e che infine il suo successo non dipende dalle vie più o meno capricciose che saranno seguite.” Il primo movimento di rottura è l'impressionismo, che si concentra su aspetti veramente visivi ovvero rendere l'esperienza del momento tangibile, basata sulle emozioni e non sulla costruzione razionale. Far apparire le cose come ci appaiono realmente. Con il surrealismo è il contenuto che prende un ruolo importante, è inciso all’interno della simbologia e avremo opere completamente diverse dall’impressionismo. Anche queste antiaccademiche, ma il cui scopo è quello di liberare l'artista anche dal mondo esteriore, di portare alla luce il loro inconscio. Ma qui si innesca il problema con Freud perché egli parlerà di un preconscio, ma quello che fanno gli artisti è utilizzare l’inconscio ma inconsciamente. | surrealisti riescono a farlo in modo cosciente, che quindi non è più inconscio. Questo è uno dei motivi per cui Freud non sposa la causa dei surrealisti, inoltre non apprezzava nessuna arte a lui contemporanea. Dal termine di “surrealismo” di Breton riusciamo a capire quali dovrebbero essere i processi: “automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. Il funzionamento reale del pensiero è molto difficile da cogliere. Secondo l'enciclopedia “Il Surrealismo si fonda sull'idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d'associazione finora trascurate, sull'onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita.” È un po’ retrogrado perché ci si affidava ai sogni nelle epoche prescientifiche, con i maghi e i sacerdoti. Inoltre, raccontando il sogno noi lo integriamo per dargli un percorso lineare e temporale, a tal punto da non saper distinguere cosa abbiamo detto noi e cosa abbiamo sognato. Le idee di Freud sono state fondamentali nella produzione di opere d’arte, come ad esempio Kafka o Joyce, scritti i suoi due romanzi con il flusso della coscienza. Inoltre, vi è la psicoanalisi come soggetto letterario, come ne La coscienza di Zeno di Svevo, e il surreale nel cinema con BeingJohn Malkovich. Un'opera surrealista cade all’interno dei dettami creativi del surrealismo, per esempio la spontaneità dove non c'è un pensiero razionale dietro all'opera, ma un processo associativo. Invece un’opera surreale racconta cose non veramente possibili, ma è molto razionale nel suo proporsi. L’opera surrealista cerca di manifestare l'inconscio tramite automatismi, invece l’opera surreale si incentra su aspetti che riguardano la psiche umana, ma non si innesca all’interno del surrealismo. Lezione 6: Fechner e l'estetica sperimentale Si parte da concetti lontani, dove secondo Policleto da Argo (V sec. a.C.), la bellezza nasce dall'esatta proporzione non degli elementi, ma di tutte le parti tra di loro. Si parla di estetica, ovvero un termine che concerne il bello e il sublime in arte e in natura, riguarda l’armonia e il piacere visivo o sonoro di stimoli. Non riguarda solo l’arte, ma anche la figura umana. Egli realizzò il Doriforo (atleta portatore di lancia), secondo il canone da lui derivato empiricamente misurando i corpi e le membra di persone reali: il canone potrebbe derivare dalle medie di quelle misurazioni. Egli crea questa statua misurando le proporzioni di diversi atleti e quindi fa una media: fa un'operazione scientifica. Per l'altezza ideale dell’uomo e le proporzioni tra le sue membra si usava come riferimento le dimensioni della testa e rapporti tra le parti del volto. Secondo il canone della bellezza teorizzato da Policleto da Argo, l'altezza ideale dell’uomo (l'altezza media) era 8 volte la lunghezza della testa. Cennino Cennini parla anche delle figure umane nel suo libro dell’arte, dicendo che le misure delle femmine non vengono considerate perché non perfette. mentre per l’uomo dice “Il viso è diviso in tre parti, cioè: la testa [fronte], una; il mento, l’altra; e dal naso a mento, l’altra. [...] dalla coscia al ginocchio, due visi: dal ginocchio al tallone della gamba, due visi: [...] il piè, lungo un viso. [...] Ètutto l’uomo lungo otto visi e due delle tre misure. Notiamo che l’uomo è cresciuto in altezza, come crescerà in altezza l’uomo vitruviano di Leonardo. Secondo Vitruvio, il viso umano si divide in tre parti uguali: dal mento alla base delle narici, dal naso fino al punto d'incontro con le sopracciglia e da queste alla radice dei capelli. Il piede invece rappresenta la sesta parte dell'intera altezza dell’uomo. Secondo Fechner, S= K Log 1 Dove la sensazione è uguale al costante di Weber che moltiplica il logaritmo per l'intensità della stimolazione fisica. La differenza minima tra due stimoli che riusciamo ad avvertire (soglia differenziale), varia con l'ordine di grandezza degli stimoli, più precisamente accresce secondo il logaritmo dell'intensità della stimolazione fisica. Era una formula che mirava a far capire che come cresce la soglia differenziale così le soglie differenziali si mappano su un continuo sensoriale secondo step uguali, quindi su una scala a intervalli. La psicofisica di Fechner nasce per confutare sul proprio terreno il materialismo: Fechner voleva dimostrare la “falsità” del mondo fisico, sostenendo che l’unica realtà è quella mentale. Voleva dimostrare che viviamo in un mondo fenomenico. Uno dei suoi lavori è il Manuale di Estetica, ovvero la basa per l'estetica sperimentale. Lo scopo era controllare le relazioni quantificabili a livello dello stimolo fisico e ricavarne delle valutazioni lungo una dimensione psicologica. Tale dimensione era la gradevolezza, o la preferenza estetica. Con quel trattato, Fechner pone le basi metodologiche e teoriche dell'estetica sperimentale: una psicologia sperimentale che si voleva applicata al fenomeno artistico inteso come oggetto esprimente bellezza e armonia. Siamo in piena epoca romantica, dove le accademie sono fondamentali ed esse insegnano le belle arti, ovvero servono a riprodurre il bello e il sublime. Fechner intendeva indagare le reazioni di piacere dinanzi alle caratteristiche estetiche di stimoli, e le caratteristiche che inducono uno stimolo estetico ad essere preferito rispetto a un altro. Per Fechner, l'estetica deve fondarsi su una procedura “dal basso”: deve essere basata su una iniziale e progressiva ricerca sistematica delle componenti elementari che determinano le reazioni di piacere/dispiacere nei confronti dell’arte. In questo l'estetica sperimentale (empirica) si differenzia dall’estetica filosofica, che ha carattere cioè deduttivo. Egli vuole studiare empiricamente quegli elementi che portano a provare sensazione di piacere dinanzi, per esempio, ad un manufatto umano. In particolare, gli esperimenti descritti da Fechner hanno cercato la conferma sperimentale della superiorità della sezione aurea come proporzione che influisce positivamente sul giudizio estetico. Essa è ancora insegnata nell'accademia di belle arti come se fosse la formula che garantisce che un'opera d’arte sia BC:AB=AB:AC piacevole sul piano estetico. f \ se AB=K e AC=1 x 1xX Dato un segmento AC, si ottiene una sezione aurea 2 2 s (IVIAZAI a XPS -14X quando il suo tratto più corto BC sta a quello più q618 os8 XEKA=0 lungo AB come il tratto più lungo AB sta al segmento n 100 x= X(-1+v5) = 1,61803398875 intero AC. Quindi abbiamo che il tratto più lungo è "i media proporzionale rispetto al tratto più corto e al nei segmento intero. Essa da luogo ad un rapporto avaro aureo che è un numero irrazionale. a >. a Si ritiene che molti capolavori tramandati a noi CILESIURETIO seen attraverso i secoli siano strutturalmente basati su rapporti “aurei”. Come nel caso della facciata del Partenone. La convinzione che la seziona aurea sia la misura matematica della bellezza è talmente diffusa anche al giorno d'oggi che si moltiplicano le dimostrazioni della sua applicazione. Arrivando al mito della sezione aurea, Luca Pacioli ne decanterà le lodi. Quali sono le proprietà che rendo la proporzione divina? 1) ComeDio, è unica. 2) Come la Santa Trinità è una sostanza in tre persone, così la sezione aurea è una proporzione in tre termini facenti parte di uno stesso segmento. Cioè ABC, dove la parte più lunga è la media proporzionale tra la parte più corta e l’intero segmento. valore viene trasmesso dalla forma. Un'opera è diversa da un articolo di giornale, perché una è una rappresentazione che deve portar a qualcosa, mentre l’altro è un elenco di fatti. Hanno due scopi diversi, non porta in una dimensione altra l'articolo. In che modo possiamo misurare l'ordine? Quali sono i fattori che ci possono informare circa l'ordine che tiene insieme in una struttura logica o percettiva un gruppo di elementi? Un fattore principale nella percezione di ordine è data da regolarità sottostanti la struttura ordinata. Principi organizzativi sul piano visivo (e anche uditivo) possono essere, per esempio, le leggi di segmentazione del campo studiati dalla psicologia della Gestalt, sono evidenziatori di un certo ordine. Anche la simmetria è un fattore che introduce regolarità all’interno di strutture, ed è quindi un fattore che crea ordine. Tuttavia, è bene tenere presente che l'ordine percepito è anche una condizione contestuale, spesso determinato da schemi di riferimento. La complessità per Zanichelli è ciò risulta dall'unione di varie parti o di diversi elementi. Complicato, difficile da comprendere. Più sono gli elementi in gioco e più è complesso. Si può comprendere il termine “complessità” in relazione altermine “semplicità”. Se riuscissimo a definire la semplicità forse potremo definire in modo rigoroso il grado di complessità di un oggetto, una scena, un evento. La semplicità e complessità si richiedono l'un l’altro. Definire in che cosa consista la semplicità non è però così facile, proprio come non è facile definire il suo opposto, la complessità. La tentazione di concepire le due dimensioni contrapposte come un continuum, con semplicità a un estremo e complessità all’altro. Anche così, resta comunque da definire quali siano le caratteristiche del continuum. Molti possono essere indotti a concepire il continuum semplicità-complessità in termini numerici: meno sono gli elementi in gioco maggiore è la semplicità. Se questo fosse l’unico criterio per la definizione di semplicità dovremo pensare allo 0 come allo stato di maggiore semplicità. Tuttavia, lo zero è una creazione della psiche umana. In natura non esiste. Lo zero, se ci pensate bene, è un paradosso: lo zero preso da solo equivale al nulla. Il nostro mondo è fatto di materia, e una materia corrispondente al nulla per ora non c'è (neutrino a parte). In altri termini il nulla non esiste se non come entità cognitivamente concepita. Ma se il nulla non esiste (lo zero, 0 0), perché allora possiede un nome, perché ha una sua forma? Tralasciando gli aspetti filosofici del problema, la semplicità è in realtà una caratteristica multidimensionale, dipendente non solo dalla quantità di variabili in gioco, ma anche dalla loro strutturazione, dalla loro interazione e dalle loro qualità intrinseche. Non è semplicemente una questione numerica. Prendiamo per esempio un cellulare, molto semplice con un solo tasto: sembra semplice? Ogni volta si devono calibrare i tocchi al tasto che devono essere fatti. Il suo utilizzo non sarà semplice, mentre il suo design sì. Ridurre il concetto di semplicità al numero delle parti non è una definizione operazionale del concetto stesso. La complessità è uguale all’articolazione? Il termine “articolazione” ha molti significati. In psicologia della percezione sta ad indicare la giunzione e la relazione fra le parti di un qualche cosa che è vissuto come unità percettiva o gruppo di unità. Molti studiosi ritengono che maggiore il numero delle parti in relazione tra loro, maggiore è il grado di articolazione. Altri (in particolare la scuola italiana) ritengono che il grado di articolazione non possa prescindere da relazioni funzionali (o contestuali) a livello locale e globale tra le parti e il tutto. Prendendo per esempio la rete a invarianza di scala delle relazioni proteiche di una cellula. Non conoscendo le leggi che governano la rete delle relazioni, queste ci appaiono come un groviglio confuso. Cogliamo però una struttura sferica fatto da un complesso di nodi che sono però per noi privi di significato. La nostra incapacità di decodificare questa struttura è in qualche modo simile alle difficoltà che molti provano dinanzi a certi quadri astratti? Differenza tra l’opera di Pollock e Klee, dove nel primo riusciamo a raggruppare i colori mentre nel secondo riusciamo a comprenderla grazie al titolo, inoltre è meno dinamica e più semplice da comprendere. Ordine e complessità si innescano nelle opere, ma non stanno in un continuum perché si con penetrano. Arriviamo ad un altro personaggio che ha introdotto le misure fisiologiche dell'esperienza estetica, ovvero Berlyne. Ciò che è complesso, contraddittorio, inatteso, provoca un aumento del livello di vigilanza. Il grado di attivazione di uno stimolo (l’arousal o grado di eccitazione) dipende da diversi fattori; in particolare: 1) Novità, ovvero ciò che è inatteso, contradditorio Provoca sorpresa, il che aumenta il grado di attenzione, e quindi il grado di attivazione del fruitore. Ambiguità, ovvero situazioni che si caratterizzano per un elevato livello di incertezza lasciano aperto l’interpretazione e l’interpolazione dell’informazione da parte del fruitore. 3) Complessità, banalmente definita come numero di elementi in gioco. N Berlyne aveva osservato che la relazione tra il grado di attivazione fisiologica e la preferenza estetica è a ‘U’ rovesciata: un’attivazione troppo bassa o troppo alta non produce effetti estetici positivi. All’'aumentare del rapporto di novità, di ambiguità e di complessità, la relazione può produrre un incremento nell'esperienza estetica. In che rapporto sta l'ipotesi di Berlyne con certa arte contemporanea, creata come atto provocatorio in cui si cerca di innalzare il livello di attivazione dell'osservatore? Un modo per attivare la curiosità è stato quello di utilizzare gli effetti visivi. Vi è il caso dell’Op Art, ovvero un movimento che nasce negli anni ‘60 del secolo scorso in varie parti del mondo e tra i suoi esponenti vi sarà anche Massironi. È arte astratta il cui scopo è di sfruttare effetti visivi e illusioni ottiche in modo da rendere il fruitore attivamente partecipe dell’opera d'arte. È una corrente che si ricollega all'arte cinetica. L'opera per essere apprezzata deve indurre un qualcosa dei cambiamenti. In questo caso la poetica è che l'osservatore aiuta a creare l’opera tramite la usa osservazione. Gli artisti che aderiscono alla Op art indagano i rapporti causa effetto tra l'immagine e lo sguardo del fruitore. Protagoniste sono le texture (gradients come li chiamava Gibson) e i patterns, che concorrono a suggerire effetti tridimensionali, e/o di movimento. Vi è anche il caso di Magritte con il quadro della pipa, dove si mette in difficoltà lo spettare con un'informazione vera e falsa allo stesso tempo. Un altro artista concettuale fu Piero Manzoni, dove quest'arte è uno dei maggiori movimenti artistici del secondo novecento. | "concetti" sono la materia non materica che forma l’opera, possono essere comunicati attraverso diversi mezzi espressivi, come testi, mappe, diagrammi, film, video, fotografie o happening, esposti in gallerie o realizzati per luoghi specifici. Non è importante il contenutovisivo, quanto il concetto che l'oggetto creato riesce a trasmettere. La complessità nell'arte concettuale sta nel rapporto stesso tra pensiero e contenuto che precede l'esecuzione dell’opera stessa. In questo tipo di opere il concetto diventa meno palese, anche se è il punto di partenza. È il pensiero che diviene centrale, a discapito del prodotto stesso che è soltanto la manifestazione del pensiero, il segno che testimonia il concetto. La formula E = OeC a è in grado di spiegare la complessità dell'operazione artistica dell'epoca contemporanea? L'esito percettivo di un campo di stimolazione, quale potrebbe essere un’opera d'arte visiva, dipende dal modo in cui il sistema visivo organizza gli stimoli in entrata in configurazioni dotate di senso. La bontà degli esiti percettivi dipende da un fondamentale isomorfismo tra la macrostruttura fisica che genera la stimolazione sensoriale e la struttura della superficie fenomenica (cioè quella effettivamente percepita). Questo isomorfismo riguarda aspetti fondamentali quali per esempio la forma, la disposizione degli elementi costituenti configurazioni complesse, le dislocazioni spaziali, le articolazioni spaziali, ecc. La bontà dell'operato del sistema visivo pare essere garantito da un principio del minimo che regola non solo la modulazione e l'interazione dei principi di segmentazione del campo, ma che determina anche che la struttura visiva emergente risulti essere tanto più semplice quanto le condizioni date lo consentono. In quale relazione stanno il principio del minimo e la semplicità? Il primo governa il modo in cui viene organizzata la scena visiva, emerge la soluzione più facile da vedere, mentre la semplicità è una qualità percettiva. È considerato semplice quello che si capisce. Da ciò si potrebbe concludere che la semplicità è definibile soggettivamente. Questo modo di concepire la semplicità ha però dei limiti. Per comprendere i limiti pensiamo alla definizione intuitiva spesso data all'arte astratta (e in quanto tale non semplice, ovvero complessa): è astratta quell’arte il cui contenuto figurativo non risulta comprensibile. Si arriva al paradosso che Picasso viene definito come artista astratto e Dalì come artista figurativo. Le figure di Picasso si possono riconoscere, ma non sono proporzionate alla realtà. Ci sono criteri oggettivi in grado di definire la “semplicità”? John Maeda, artista visivo, grafico, docente al MIT ha scritto un agile libretto in cui elenca e spiega 10 leggi della semplicità che possono essere applicate alla progettazione, alla tecnologia, agli affari e alla vita. 1) Riduci: il modo migliore per ottenere la semplicità è mediante una riduzione ponderata, pensata, togliendo il superfluo. 2) Organizza: l’organizzazione semplifica l’immagine di un sistema. 3) Tempo: il risparmio di tempo appare come un guadagno in semplicità. 4) Apprendi: la conoscenza rende tutto molto più semplice. 5) Differenze: semplicità e complessità sono necessari l'uno all’altro. È probabile che un'esperienza estetico-artista è più piacevole quando questi due artisti compenetrano. 6) Contesto: ciò che sta alla periferia della semplicità non è affatto periferico. 7) Emozioni: più emozioni sono meglio di poche emozioni. 8). Trust: ci fidiamo della semplicità. 9) Fallimento: alcune cose non possono essere rese semplici. 0) Vera Legge della semplicità: sottrarre l’ovvio e aggiungere significato. | principi di segmentazione del campo visivo ed il modo in cui essi interagiscono tra loro sono in accordo con la prima legge della semplicità: una riduzione degli elementi a favore di una coesione delle parti costituenti una struttura. La semplicità non è un concetto semplice, ci sono identità che sono geometricamente identiche che possono avere un grado diverso di semplicità a livello percettivo. La semplicità di una figura non dipende tanto dal numero degli elementi costituenti, bensì dal numero delle caratteristiche strutturali, cioè del rapporto tra tutto e le sue parti in relazione al contesto entro cui sono osservate, nonché dal loro scheletro strutturale. Il sistema visivo è sintonizzato sulla terza dimensione: la soluzione tridimensionale è favorita quando tale esito semplifica la struttura dell'oggetto visivo. Gli psicologi di indirizzo gestaltista chiamano il principio di economia pregnanza e affermano che il campo visivo viene segmentato in funzione di una massima omogeneità e una minima eterogeneità. Quando consideriamo strutture più complesse, quali sono per esempio le opere d’arte, entrano in gioco dinamiche e tensioni visive, talvolta innescate dallo stile dell'artista, che possono semplificare o complicare la scena visiva. La lode alla semplicità emerge soprattutto nell'ambiente del design, della tecnologia (usabilità) e dell'economia. Ma la semplicità è una categoria fondante della ricerca artistica? Se sì, in quali termini? Le arti mirano forse ad una semplicità relativa più che ad una semplicità assoluta. Secondo Arnheim, la semplicità relativa implica economia e ordine. Il principio dell'economia nel metodo scientifico implica la scelta dell'ipotesi più semplice (di solito quello quello con meno eccezioni) alla spiegazione di un fatto. In linea generale, un'ipotesi è più semplice di un’altra in base al numero di elementi primari che la compongono. Ha forse senso parlare di un principio dell'economia anche in arte: l'artista non deve andare oltre a quanto è necessario per lo scopo che vuole raggiungere. In altre parole, un'opera d’arte non deve essere più complessa di quanto necessario a trasmettere il messaggio dell'artista (o del suo committente). Se il messaggio poi verrà interpretato non è cosa che possiamo controllare, quello prima è l'elemento che guida l'artista. Ecco, dunque, il terreno della sfida su cui si gioca l’artisticità di un'opera: una giusta compenetrazione di semplicità e complessità. Le grandi opere d’arte sono complesse, eppure sono lodate per la loro semplicità. Il dosaggio di questi aspetti avviene mediante il principio dell'ordine. Cioè il mondo ci sembra caotico quando non cogliamo un ordine all’interno, con esso riusciamo a dare un senso alle cose. Arnheim spiega che elementi semplici in se stessi possono (...) venir disposti in modo da costruire un “tutto” assai complicato, e tali scelte compositive possono a loro volta essere unificate da un ordine semplificatore. Nel dipinto di Klee, Giardino di Rose, gli elementi semplici sono rettangoli, triangoli, losanghe, ecc. L'ordine semplificatore è dato da una griglia principale di disposizioni verticali, una secondaria di disposizioni orizzontali (o approssimazioni all’orizzontale), e dalla ristretta scelta cromatica. Gli oggetti d'uso comune hanno una funzione, e la loro semplicità non si riferisce solo al loro aspetto ma alla corrispondenza tra l’immagine del sistema, come noi capiamo che funziona, e l’operabilità del sistema che ne garantiscono l’usabilità, cioè la possibilità che facendo certe operazioni noi otteniamo determinati risultati. Quando queste due cose si uniscono noi abbiamo un oggetto che trasmette semplicità. Nel linguaggio, la frase che con la sua complessa struttura verbale corrisponde esattamente alla complessa struttura del pensiero che deve esprimere è di una invidiabile semplicità, mentre qualsiasi discrepanza tra forma e significato interferisce con la semplicità. Gli oggetti artistici hanno tutti un significato: figurativo o astratto, l’opera d'arte è un’asserzione. Anche l’Op Art ha un suo senso. Il problema della semplicità si annida tra la forma e il significato dell’opera. La discrepanza tra forme semplici e significati complessi può generare opere molto complesse. Tale complessità però non è necessariamente negativo in arte. Anzi, è spesso la calamita che attira l’attenzione del fruitore. Che cosa ci ricordiamo dopo aver osservato e studiato una configurazione complessa? È probabile che il sistema cognitivo semplifichi la configurazione in modo tale da massimizzare l'omogeneità strutturale (simmetria, regolarità), oppure l’eterogeneità (asimmetria, disomogeneità). Boselie e Leeuwenberg rivedono la formula di BirkhoffEysenk: M= Um (Ue) (Cm,e Dove il grado di bellezza è uguale al grado di non ambiguità dei mezzi che moltiplica il grado di non ambiguità dell'effetto e che a sua volta moltiplica il contrasto tra effetto e mezzi. Intensità del vissuto di bellezza come funzione del rapporto tra mezzi e fini: ogni esperienza estetica secondo i due autori ha alla base un sentimento di sorpresa e sconcerto, ovviamente poi modulati. La loro definizione ha una forte assonanza con la teoria sull'arte sviluppata dallo psicologo sovietico Lev Seménoviè Vygotsky (1896-1934), basato sul rapporto dialettico tra Materiale e Forma. Analizzando quello che dice lo psicologo diventa più semplice comprendere quello che cercando di dire Boselie e Leeuwenberg. | suoi concetti sono applicati alla letteratura, ma che possono essere estesi anche all'arte. Secondo Boselie e Leeuwenberg, un oggetto produrrà un'impressione di bellezza quando è cognitivamente rappresentato come portatore di due qualità, che, in accordo con le conoscenze incorporate nel nostro sistema rappresentativo, sono fra loro incompatibili. Una tale sensazione di sorpresa si produrrà solo quando le qualità ritenute incompatibili sono rappresentate in modo chiaro e non ambiguo. Vygotskij spiega che “Non ho studiato una favola o una tragedia, tanto meno la favola e la tragedia in particolare. Ho studiato tramite queste opere le valenze universali dell’artisticità, - la natura e il meccanismo della risposta estetica. Mi sono basato sugli elementi comuni diforma e di materiale, che sono inerenti atutta l'arte (...). Il capitolo "Analisi della risposta estetica" indica che lo scopo dello studio non è un'esposizione sistematica della teoria psicologica dell'arte nella sua totalità e nella larghezza di contenuti, ma esattamente l’analisi dei processi nella loro essenza.” Ovvero i processi sottostanti la ostruzione dell’opera, ma soprattutto della sua fruizione e cioè ciò che la rende arte. “Bisogna tentare la prova di assumere a fondamento non l’autore, e non lo spettatore, ma l’opera d'arte in se stessa (ci mostra una connessione alla posizione di Arnheim e Massironi, non dobbiamo concentrarci sulla psiche dell'artista e nemmeno sul fruitore, ma sull'opera). È vero, sì, che quest’ultima, di per sé, non può essere in alcun modo oggetto della psicologia, e che la realtà psichica, come tale, in essa non è data. Tuttavia, se ci rappresentiamo la posizione dello storico, che appunto allo stesso modo studia, ad esempio, la Rivoluzione francese su materiale in cui gli obiettivi stessi della sua indagine non sono dati e non sono impliciti, oppure quella del geologo, ci accorgiamo che sono numerosissime le discipline che si trovano nella necessità di ricostruire in anticipo quel che è l'oggetto della loro indagine, facendo ricorso a metodi indiretti, vale a dire analitici”. Quello che sta dicendo è che è necessario studiare in maniera analitica le opere per capire cos'è che fa dell’arte, arte. Questa non può essere disgiunta dalla risposta di chi fruisce dell’opera d'arte, poiché essa è tale perché qualcuno ne fruisce. Materiale e forma come due componenti essenziale dell’opera d'arte. Le due componenti essenziale che ci troviamo di fronte, nell'analisi della struttura d'un qualsiasi racconto, si possono definire come materiale e forma del racconto stesso. Per materiale conviene intendere tutto ciò che il poeta ha preso già pronto: situazione della vita quotidiana, storie, casi, cornice ambientale, caratteri: tutto ciò, insomma, che esisteva già anteriormente al racconto, e che può sussistere al di fuori e indipendentemente da questo, perché lo si traduca, in modo intelligente e connesso, in parole proprie. Consideriamo il caso che dobbiamo fare il ritratto di qualcuno, dobbiamo fare delle scelte stilistiche e cogliere momenti particolari che hanno un senso. Alla disposizione, poi, di tale materiale secondo le norme della costruzione artistica, si conviene nel senso esatto del termine, il nome di forma dell’opera. “Se vorremo sapere in quale direzione si sia mossa l'attività artistica del poeta, che si è espressa nella creazione del racconto, dovremo ricercare con quale procedimento e con quali obiettivi il materiale esposto nel racconto è stato dal poeta rielaborato e informato a quel soggetto poetico”. La contraddizione tra forma artistica e materiale come caratteristica fondante della creazione artistica. “...Nell’ opera d’arte vi sia sempre riposta una certa contraddizione, una certa intima discordanza tra materiale e forma (quello che ritroviamo in Boselie e Leeuwenberg), e che l’autore scelga apposta (si direbbe) del materiale difficile, refrattario, tale che, con le sue stesse caratteristiche, opponga contrasto a tutti i tentativi che egli fa di esprimere quel che vuole esprimere. E quanto più difficile dominare, quanto più ostinato e ostile è quel materiale, tanto più sembra risultare utile per l’autore”. Siamo ancora in una visione idealistica dell’arte, come quella capacità di trasformare la materia in altro. Nell’iperrealismo, l’attenzione estetica che ne emerge non è data dalla complessità della materia poiché viene annullata. Essa risiede nella forma in relazione all’innescarsi di un vissuto psichico, affettivo nel fruitore di osservare qualcosa che non andrebbe osservato. Sempre Vygotskij dice “...Qualsiasi opera d’arte cela in se un intimo disaccordo tra contenuto e forma e che proprio con la forma l’artistica raggiunge quell’effetto, per cui il contenuto viene ad essere annullato, quasi estinto”. Non sparisce il contenuto, in questo caso è la forma stessa dell’opera poiché scaturisce la risposta nel fruitore. Il contenuto in assenza è un'idea, ma un'idea per essere espressa ha bisogno di un mezzo perché altrimenti non esiste. Per l'artista il mezzo è la forma e le forme possono, in qualche modo, determinare anche la forma che avrà il contenuto, o il contenuto stesso. Lezione 8: Neuroestetica Nasce con Semir Zeki e cerca di studiare quali sono i correlati neurali che si correlano con la presentazione di un'opera d'arte. Che cos'è l’arte? Perché è stato un aspetto così cospicuo delle società e perché le attribuiamo coì tanto valore? L'argomento è stato discusso a lungo senza giungere mai ad una conclusione soddisfacente. Questo non è sorprendente. Tali discussioni sono condotte senza riferimento al cervello, tramite cui tutta l’arte è creata, eseguita e apprezzata. L'arte è un'attività umana, e come tutte le attività dipende e obbedisce alle leggi del cervello. Siamo ancora lontani dal conoscere le basi neurali di queste leggi, ma progressi nella nostra conoscenza del cervello visivo ci permette uno studio delle basi neurali dell’arte. Quello che la neuroestetica non può spiegare è il perché sta accadendo qualcosa, la ragione, ti può spiegare il perché e dove sta accadendo. Le tesi qui presentate sono tratte dal primo capitolo del libro di Semir Zeki, La visione dall'interno. Arte e cervello. Questo primo capitolo rafforza l'affermazione sovrastante. Tesi #1 “Per comprendere il fenomeno “arte” bisogna conoscere il funzionamento del cervello, perché come qualsiasi altra attività umana, anche l’arte dipende da, e obbedisce a, le leggi del cervello”. Latesi è forte e su alcuni punti è indubbiamente inattaccabile. Peresempio, ad ogni attività umana corrisponde una serie di correlati neurali. L'arte, essendo un'attività, sia nella sua creazione, sia nella sua fruizione è governata dal modo in cui funziona il cervello. Conoscere le leggi del cervello può quindi indubbiamente aiutare a comprendere il fenomeno “arte”. Il problema però è comprendere se l’identificazione dei correlati neurali esaurisce la spiegazione di un qualsiasi fenomeno cognitivo. È il problema mente-corpo: la mente si dissolve interamente nel cervello (corpo)? Cio per comprendere come funziona la mente (la psiche) è sufficiente conoscere come funziona il cervello? Il comportamento umano modula la plasticità della rete neurale, e il comportamento è a sua volta governato dal cervello, sulla base però dell’interpretazione dei dati in ingresso che è operazione mentale, compiuto tramite il cervello. Pensare che il dove accada qualche cosa o che le interconnessioni tra le parti del cervello mi spieghi ilfenomeno non è una vera spiegazione. Tesi # “Arte e cervello hanno una funzione comune: acquisizione di conoscenza. La funzione dell'arte è dunque un'estensione della funzione del cervello”. Questa tesi pone 2 problemi su cui vale la pena riflettere: 1) La funzione dell’arte è in modo inequivocabile sempre quello di acquisire conoscenza? Tutte le arti hanno come scopo ultimo incrementare la conoscenza dell’uomo? Siamo sicuri che sia questo? Certamente un affresco che si trovava nella chiesa aveva una funzione didascalica e quindi educativa. Ma la sedia elettrica di Warhol non è la stessa cosa, in che modo incrementa la conoscenza? Rende una dimensione affettiva, ma non si riferiva a questo Zeki, egli ritiene che l'artista ricerchi delle forme prototipiche e in qualche modo li ripropone di modo che solo ciò che è importante viene esaltato nell'opera. Questo ci permette una comprensione migliore dell’opera. Ma è un discorso che non regge ed è troppo semplificatorio. Che tipo di conoscenza può essere fornita dall'arte? Cosa ha in comune e quanto è diversa questa conoscenza da quella fornita dalla ricerca scientifica? Esempio del quadro di Magritte della pipa, dove si innesca un vissuto contradditorio all’interno dell'osservatore fornendo un'informazione che va contro la sua conoscenza. Questo è un corto circuito cognitivo che non lo spieghiamo con il cervello visivo. Qui siamo posti davanti un dilemma che raggiunge la dimensione filosofica. N La funzione dell’arte è piuttosto variegata e fluida. Una delle funzioni di cui poco si parla è che l’arte “intrattiene”, dona piacere al fruitore. Andiamo al cinema per divertirci ed essere intrattenuti, anche nella partita di calcio c'è un elemento estetico ma non mi rappresenta qualcosa, a differenza del film che mi da dei contenuti. Una delle funzioni peculiari dell’arte è quello di stimolare l'intelletto, fornendo quindi un piacere ed una esperienza estetica che si estende ben oltre il semplice, ma potente, piacere fornito dal bello. Infine, attraverso la lettura di un giornale una persona indubbiamente può acquisire conoscenza. Anche attraverso la lettura di un romanzo uno può acquisire conoscenza, ma la funzione del romanzo non è quello di incrementare la nostra conoscenza del mondo, bensì quello di calarci inun mondo non nostro che però agisce sulla nostra coscienza (se il romanzo funziona). Tesi #3 “L'arte riflette la capacità di astrazione che è caratteristica di ogni sistema efficiente di acquisizione di conoscenza. Tutta l'arte è astrazione.” Secondo questa tesi l’arte vola al di sopra del particolare per mostrare l’universale, ottenuto mediante un'operazione di astrazione. L'arte rappresenta quindi forme ideali, “astratti” dalla realtà. Quello che dice Zeki è che l’arte ci mostra forme prototipiche o eventi prototipici a cui noi possiamo appiccicare un senso o un significato di senso compiuto. Questa tesi è simile a quella di Arnheim dove parla di configurazione distinto da forma. Però Zeki non cita mai Arnehim, anche se alcune cose che lui tira in ballo sono state dette da lui o altri studiosi di psicologia dell’arte, lui cita solo chi si occupa di neuroestetica. Tutta l’arte è astrazione. Tutta l’arte è rappresentazione. Noi abbiamo molta arte fiamminga che tende a rappresentare il qui e ora, dove vi è un'astrazione simbolica. Ne Matrimonio Arnolfini il testimone di nozze è l'artista, che viene mostrato dal riflesso dello specchio, inoltre vi sono molti giochi di luce per rappresentare i materiali che non sono astrazioni, ma istanze imminenti. Tesi #4 “La conseguenza del processo di astrazione è la creazione di concetti e ideali. L'arte è la traduzione su tela di questi ideali formati dal cervello.” Circa la Tesi #4, dobbiamo riflettere criticamente sulla seguente domanda: l'arte coincide con la rappresentazione di concetti ideali, ovvero universalmente riconosciuti e accettati? Ogni civiltà ha definito in modo più o meno esplicito i canoni della bellezza, tramite cui si possono fare confronti. Ma come si traduce la bruttezza “ideale”? l'estetica sperimentale si è concentrata sul bello e ci ha offerto delle proposte di leggi, secondo cui otteniamo il bello ideale e quindi una orma di astrazione. Ma ogni società produce dei modelli e il problema è che abbiamo il bello ideale, ma come si determina il grottesco perfetto? Il “brutto”, che è una deviazione dal cammino verso il bello, è comunque una categoria insistente sull'esperienza estetica. Come lo so idealizza? Esiste anche questa dimensione all’interno della fruizione artistica, ma Zeki non lo affronta. Zeki affronta il cubismo nel suo libro e dice che esso è un fallimento, perché il suo scopo è quello di rappresentare un oggetto da più punti di vista simultaneamente. Quindi si cerca di emulare quello che farebbe il cervello nel costruirsi quello di cui Arnheim parlava in termini di configurazione. Arnheim dice che vi è differenza tra la forma e la configurazione, la prima è l'istanza momentanea e quello che noi effettivamente percepiamo la configurazione è un’astrazione di una serie di forme che ci crea un concetto visivo che corrisponde ad una classe di oggetti (esempio della sedia). Zekifa un discorso analogo, senza usare questaterminologia, e richiamo Platone (quello che vediamo non sono i veri oggetti, ma essi sono ideali e posti su una sfera più elevata. Corrispondo un po' alle configurazioni poste da Arnheim, ma lui le pone nella nostra mente e le colloca ella memoria visiva). Secondo Zeki il cubismo ha fallito perché volendo rappresentare il modo in cui il cervello estrae la formazione ha creato opere d'arte che sono incomprensibili perché noi non lavoriamo così. Il cubismo nasce da Picasso e accoglie vari artisti, quelli che hanno speculato su questo movimento sono arrivati dopo. È un'arte che rifugge al bello classico, creare un'esperienza antiaccademica contro l’impressionismo. Cezan sarà un mentore, anche lui parte dell’impressionismo ma più un impressionismo che mira all’astrazione. La neuroestetica parla del brutto sempre in termini negativi. Tesi #5 “L'artista è un neuroscienziato in quanto comprende in modo istintivo il funzionamento del cervello per quanto concerne le componenti comuni dell’organizzazione visiva ed emotiva. Ne segue che il perché e il come le creazioni artistiche suscitano un'esperienza estetica può essere intesa pienamente soltanto in termini neurali.” Cosa significa comprendere? L'artista deve sapere qualcosa del cervello per fare qualcosa? Dare dell’istintivo ad un'artista significa togliergli la dignità. L’opera d’arte è pensata, può aver qualcosa di istintivo ma vi è un impianto strutturale prima, essa funziona perché ha una struttura e non è istintiva. Si parla di una percezione, non di istinto, ovvero un modo in cui noi vediamo la realtà. Ciò che il sistema visivo rileverebbe e registrerebbe sono le caratteristiche invarianti dell'oggetto fisico, le quali emergono perché la stimolazione prossimale, il flusso ottico che arriva alla luce, cambia di continuo ed è grazie ad essa che emergono quei rapporti invarianti di struttura di cui parlerebbe Gibson. Cioè per vedere che una cosa è invariante altre cose nella scena devono cambiare. Gibson giustifica l'adozione del termine “ecologico”, affermando che esso serve a far comprendere l’importanza sia dell'adesione attiva all'ambiente da parte dell'osservatore, sia della necessità di comprendere l'ecologia della luce e la struttura fisica del mondo per spiegare i fatti percettivi. Il sistema visivo diventa una specie di rilevatore di segnali (invarianti di struttura) in mezzo ad un mare necessario di rumore (le variazioni nel flusso ottico). Si noti lassonanza con la posizione di Zeki, secondo cui compito del cervello è quello di rilevare le costanze percettive. Egli prende delle idee di Gibson per giustificare la sua impostazione, ma non lo cita. Secondo questo approccio teorico, la luce che viaggia verso l'occhio possiede una struttura che le deriva dall'azione di riflessione degli oggetti fisici. È una struttura che subisce continue variazioni sia a causa del movimento di cui sono suscettibili gli oggetti stessi nella scena, sia a causa dei movimenti continui dell'osservatore. Queste variazioni sono essenziali, perché è per mezzo di esse che emergono le invarianti di struttura. Le invarianti di struttura sono senza nome e senza forma: difatti, esse sono meglio descrivibili in termini di rapporti tra gli elementi costitutivi degli stimoli. In tale ottica, il rapporto aureo, sempre identico a se stesso, sarebbe l’invariante di struttura sottostante la percezione di bellezza. Alla famosa domanda di Koffka (psicologo gestaltista) “Why do things look as they do?”, Gibson risponderebbe “Because they are what they are!”. Cioè noi vediamo la macrostruttura fisica del mondo. Rispetto al cognitivismo classico, il sistema visivo non crea una “rappresentazione” del mondo, bensì registra Il mondo così come si presenta nella sua veste macrofisica, trasmessa a noi come struttura complessa, ma non ambigua, tramite la luce. La teoria di Gibson presenta diversi problemi dal punto di vista epistemologico. Un primo problema riguarda l’esistenza di illusioni ottiche-geometriche, perché non esistono nel mondo fisico e sono un dato percettivo, se io vedo due linee che mi appaiono di uguale lunghezza magari non lo sono. Se il sistema visivo registra la macrostruttura dell'ambiente circostante, non dovrebbero esserci fenomeni illusori, in quanto le illusioni non fanno parte del mondo fisico. Di fatto, Gibson tratta le illusioni alla stregua di eccezioni, fenomeni che emergono soltanto in laboratorio dove le condizioni di stimolazioni sono particolarmente impoverite, e quindi con pochi invarianti di struttura. Gibson, infatti, ha sottolineato la necessità di condurre studi sperimentali al di fuori dai laboratori, in condizioni appunto “ecologiche”. Accadono perché l'informazione visiva di fronte alle illusioni è povera, il flusso ottico fornisce poche informazioni visive rispetto alla situazione rappresentata dall’illusioni. Visto che è così povera, risulta che il sistema non rileva abbastanza invarianti di struttura. Si possono fare due importanti obiezioni a questi argomenti: 1) Nonsi possono considerare le illusioni come fenomeni estremi dovuti alla povertà dell’informazione visiva, sono fenomeni che esistono e che secondo alcuni sostengono sono fenomeni in laboratorio che ci mostrano il sistema visivo al lavoro. “In una corretta teoria scientifica non vi deve essere posto per le eccezioni: esse devono poter essere spiegate dalla teoria o la teoria va messa in crisi. (...) Molto più produttivo mi sembra considerare questi fenomeni come preziosi indicatori del reale funzionamento del sistema, cioè come «situazioni sperimentali naturali» che possono consentire di scoprire la «logica» secondo la quale funziona quel sistema” (Kanizsa, 1980). Alan Gilchrist, psicologo americano, concepisce le illusioni con una firma del sistema visivo. Il sistema visivo funziona sempre allo stesso modo, sia dentro che fuori di un laboratorio. Il vantaggio del laboratorio è quello di permettere un maggiore controllo su variabili non pertinenti ma che nondimeno potrebbero influire sull'esito dell'esperimento stesso. N Un secondo importante problema riguarda l’esistenza di immagini pittoriche (disegni, dipinti, fotografie). Queste presentano un assetto ottico congelato, suscettibile di variazioni solo in virtù del movimento dell'osservatore, il quale però muovendosi non determina l'acquisizione di nuova informazione in forma di invarianti di struttura, in quanto la struttura di un'immagine non è suscettibile di variazioni. Se mi muovo a destra o a sinistra cambia la proiezione retinica di quella immagine, ma ci sono due fatti: uno è che quelle deformazioni che avvengono a livello retinico noi non le percepiamo a livello percettivo. L'immagine anche se ci spostiamo non appare mai distorta. La seconda è che ogni nostro spostamento non produce nuove informazioni visive, se non che l’immagine è piatta. Le varianti di struttura come fanno ad emergere se la struttura tridimensionale dell’opera è statica? Un'immagine è infatti una superficie piatta; scostamenti dal punto ideale di osservazione possono indurre effetti di distorsione nella percezione della scena raffigurata, ma non apportano necessariamente nuova informazione circa la scena raffigurata. | nostri scostamenti non producono distorsioni percettivamente rilevanti, ma le inducono come proiezioni retiniche a cui noi non abbiamo accesso diretto. Come fa Gibson a risolvere questa cosa qua? Egli parla di percezione pittorica, ovvero di vedere al posto di macchie delle scene raffigurate e quindi parla di doppia rappresentazione. Da un lato il sistema visivo ci informa che la scena è piatta, e dall'altro abbiamo una consapevolezza di una rappresentazione interna. Questa consapevolezza è un fattore top-down, dice che siamo consci che all’interno vi è rappresentato qualcosa. Gibson cercò di ovviare a quest’ultimo problema epistemologico introducendo l'ipotesi di una peculiare abilità percettiva: la percezione pittorica: “Concludo dicendo che un'immagine richiede sempre due abilità percettive che agiscono simultaneamente: una è diretta, e l’altra è indiretta (cognitiva quindi). C'è una percezione diretta della superficie pittorica insieme ad una consapevolezza indiretta della superficie virtuale”. La percezione pittorica sarebbe quindi la facoltà di vedere cose diverse dagli stimoli realmente presenti sul piano fisico. In altre parole, la percezione pittorica sarebbe quel fenomeno per cui invece di una successione disordinata di ombre, o un pasticcio di pigmenti, noi siamo in grado di vedere un film, un dipinto, una fotografia, ecc. È indubbio che la nozione di percezione pittorica ha fruttato molto dal punto di vista della ricerca (dagli anni ‘80 in poi) e della comprensione di come “funzionano” le immagini. Tuttavia, dal punto di vista epistemologico tale nozione pone più problemi che soluzioni, e sorge il forte dubbio che di fatto si postuli due modi di funzionare del sistema visivo, uno normale (o ecologico), e l’altro artificiale, da laboratorio. Gibson ha messo in luce che la percezione serve per agire, per investigare l’ambiente. La percezione pittorica riguarda un po’ tutta l’arte, perché viene rappresentato qualcosa attraverso qualcos'altro (come la danza con il movimento). Secondo Gibson, una doppia presenza conflittuale imporrebbe che si vedessero due cose simultaneamente: la materialità dura del marmo, la morbida resistenza del corpo. Le cose stanno davvero così? Quando noi vediamo la scena pittorica il piano pittorico, il supporto, sparisce ed è questa la magia dell’arte. Ma è l'opposto di quello che voleva l'arte informale, perché volevano mostrate la piattezza della materia, per come sono veramente. Quasi una ricerca estetica naturale, se non fosse un prodotto artificiale ovvero l’uomo che decide come adagiare i colori. La caratteristica delle immagini somiglianti è che mentre parti di una roccia, latrama tessiturale della corteccia di un albero, una serie di macchie casuali su un muro, ecc., possono dar luogo al riconoscimento di pattern significativi (come visi, animali, paesaggi), visi e animali non possono essere visti in altro modo da quanto essi sono. Esistono i fenomeni di mimetismo animale e di camouflage. In tali casi, tuttavia, l’animale o l'oggetto non è soltanto visto come altro da sé, ma scompare proprio dalla vista, integrandosi come componente di una struttura più ampia o come parte dello sfondo. Al contrario di una roccia somigliante, che invece può mostrare altro pur mostrando sempre di essere una roccia. Un animale che si mimetizza, si perde di vista. Arriviamo al fenomeno del mascheramento. Vicario dà la seguente definizione per l'uso del termine mascheramento nello studio dei fatti percettivi: “Si dà il nome di mascheramento ad ogni processo in cui uno stimolo, identificabile o riconoscibile (...), viene reso del tutto o parzialmente non identificabile o non riconoscibile per mezzo di un altro stimolo”. Per prima cosa, la definizione va aggiustata. Dalla definizione di Vicario, infatti, si potrebbe cadere nell'errore di pensare al mascheramento come a un particolare processo del sistema visivo. Non c'è un processo visivo che concerne il mascheramento. Le cose stanno in altri termini: il mascheramento non è un processo, bensì è una possibile conseguenza di certi processi di articolazione del campo visivo (unificazione e segmentazione secondo i principi di Wertheimer, segmentazione figura-sfondo, ecc.). Tuttavia, sempre Vicario riporta un principio rilevante enunciato da Kanizsa: può essere mascherato soltanto ciò che può essere smascherato. Ha senso parlare di smascheramento nel momento in cui noi riusciamo a recuperare la struttura originaria dell'oggetto. Considerando l’obiezione iniziale alla definizione di Vicario, e il principio di Kanizsa, possiamo giungere ad una nuova, e si spera migliore, definizione del termine mascheramento: con il termine mascheramento si suole indicare quel particolare fenomeno per cui un oggetto, che sarebbe riconosciuto come tale nella sua unità ed integrità se osservato in “isolamento”, non appare invece visibile quando è compreso in un set di stimoli (un assetto stimolatori) tali da indurre il sistema visivo a smembrare e/o inglobare l’unità originaria dell'oggetto stesso in nuove unità percettive. La nuova definizione, anche se più complessa, ha il vantaggio di delimitare il fenomeno, in quanto l'oggetto mascherato deve innanzitutto possedere una propria identità strutturale a livello percettivo, che in quanto tale deve poter essere recuperato sempre. Se l'operazione di recupero visivo è possibile solo in seguito ad un grosso sforzo cognitivo, allora non siamo di fronte ad un fenomeno di mascheramento, ma a una sorta di errore dello stimolo, in cui il fenomenologo dice che l'oggetto in questione è mascherato, quando in realtà l'oggetto in questione esiste come unità soltanto a livello cognitivo, ovvero nella ilcie tali sco > mente del fenomenologo. Un dipinto che riproduce un effetto di vedono le sagome degl animali gi aber Questo disegno non mostra un effetto di mascheramento, ma gioca con le leggi di organizzazione della Gestalt per indurre la percezione di sagome di animali. Piuttosto, mimetismo (quindi di mascheramento). La cosa interessante riguardo al mascheramento sta nell'osservare che il sistema visivo procede ad una organizzazione automatica dell’informazione visiva derivante dagli stimoli, usando in modo dinamico principi quali la buona continuazione, la somiglianza, l'avvicinamento, insomma quegli stessi principi che garantiscono una segmentazione appropriata del campo visivo in unità discrete dotate di proprie caratteristiche figurali. Lo smascheramento si basa sulle stesse leggi su cui si basa la segmentazione del campo, che ci permette di distinguere gli oggetti nella scena visiva. | casi più spettacolari di mascheramento sono il mimetismo animale e di camouflage o camuffamento militare. In entrambi i casi lo scopo è quello di nascondersi agli occhi di un potenziale predatore o nemico, per mezzo di una integrazione mimetica con l’ambiente circostante. In tal modo, infatti, vi è una certa probabilità di passare inosservati in quanto scambiati come parte dell'ambiente (sfondo) o come parte di un oggetto poco interessante sul piano alimentare (per esempio essere scambiati per una foglia, ramo 0, un sasso). Liu Bolin si fa fotografare e poi dipingere in modo da scomparire nei suoi dipinti, egli prende ispirazione dalla modella Veruschka e del fotografo Trùlzsch. Lezione 10 e 11: Verosimiglianza — Astratto/Figurativo La verosimiglianza è un problema che si coniuga con le origini dell’arte, poiché l’arte nasce con l’idea di poter rappresentare il reale e il più fedelmente possibile. Poi ci sarà l'esigenza di andare oltre la vera somiglianza reale, per correggere la natura e renderla più perfetta. La verosimiglianza è la caratteristica di ciò che è simile o conforme al vero. Tensione costante alla verosimiglianza nell'arte figurativa dai suoi albori. La funzione è quello di rappresentare nel modo più “realistico” possibile ciò che realmente esiste, ma anche ciò che è frutto soltanto dell’immaginazione. Questo avviene in tutte le espressioni artistiche nel momento in cui si riesce a portare il fruitore al di là del confine del reale, mostrando delle cose che sembrano possibili anche se sono impossibili. Tensioni alla verosimiglianza sono presenti anche nell'arte contemporanea, anche se in forme diverse da come inteso nella definizione classica. Tali tensioni caratterizzano inoltre altre forme di arte, dalla letteratura al cinema, dall'arte radiofonica al teatro. Esempio di Ron Mueck con le opere iperrealiste. Esempio di arte radiofonica da parte di Wells, dove fa partire una trasmissione radiofonica basata sul suo libro “Guerra tra mondi” che manda in scompiglio gli Stati Uniti, perché viene creata in modo così reale e se ci si sintonizza a metà ascolto sembra che la terra sia per essere invasa. Verosimiglianza nell'arte figurativa classica (pittura, arti grafiche, scultura). L’Alberti sostiene che l’arte nacque come tentativo di riprodurre il visibile. Il fine potrebbe essere di varia natura: celebrazione di eventi, religioso, racconto. In ogni caso si tratta di comunicazione. È necessario, perciò, chiedersi se vi sia uno stile migliore degli altri, che sia più fedele nel modo di rappresentare le qualità formali e materiali del mondo visibile. Vi è un incastro tra forme e stile e verosimiglianza, in che forma lo stile va a incidere nella verosimiglianza. In verità già nell'arte preistorica vi sono non pochi esempi anche di raffigurazioni geometriche. Sono decorazioni o rappresentazioni simboliche ? Qualsiasi fosse la funzione che erano chiamate ad assolvere, molti studiosi ritengono che le raffigurazioni geometriche in generale siano importanti esercizi del vedere e del ragionare miranti al controllo della superficie e dello spazio. La psicologia dell’arte e l'estetica sperimentale in Arte informale: oltre l’astrattismo con l'esempio di Emilio Vedova, esponente italiano di questa corrente. Si pensa anche a Jean Dubuffet, che ha creato la corrente nota come Art Brut, non arte brutta ma fatta da persone con dei problemi. Altro artista spesso inserito tra gli esponenti dell’arte informale è Giuseppe Capogrossi (1900-1972). La sua arte però porta in primo piano la tradizione, spesso sottovalutata, della cosiddetta arte decorativa, in cui elementi più o meno geometrici si ripetono definendo così nuove direttrici spaziali. Che cosa si intende con il termine “realtà”? Lo psicologo tedesco Wolfgang Metzger individua 5 significati per la parola realtà. Essi sono: 1) La realtà del mondo fisico, di cui si occupano appunto i fisici, che ha carattere strettamente metempirico, in quanto è al di là dell'esperienza diretta e abbiamo bisogno di strumenti per misurarla. Noi non abbiamo un accesso diretto alla realtà fisica, ma ci accediamo tramite i nostri sensi. Noi vediamo meno di quello che ci è offerto, ma vediamo anche di più perché vediamo senso e significato La realtà del mondo fenomenico. Questa è la realtà dell'ambiente comportamentale, ovvero la realtà fornita dai nostri sistemi sensoriali. È questa una realtà che in molti sensi è indipendente dal nostro io. Fanno parte di questa realtà non solo il mondo percepito, gli oggetti fenomenici, ma anche i dolori “fisici” e quelli “psicologici”, i sogni, i ricordi che ci assalgono all'improvviso, le allucinazioni dotate di vivacità sensoriale. Metzger chiama questa seconda realtà anche realtà incontrata, immediata. È questa una realtà di grande interesse per lo psicologo. 3) La realtà rappresentata. Questa realtà losi capisce meglio in contrapposizione alla precedente. Mentre la realtà incontrata resiste a qualsiasi nostro tentativo di alterarla, anche nel sogno perché lo subiamo, la realtà rappresentata si trasforma a nostro arbitrio. È la realtà creata, per esempio, dalla nostra immaginazione. Anche questa è una realtà di grande interesse per lo psicologo. Anche questa realtà è di natura fenomenica, ma è vissuta come dipendente interamente dall’io. 4) La realtà del nulla, che se vogliamo è un vero e proprio paradosso. Infatti, il nulla è dal punto di vista logico ciò che non esiste, e in quanto non esistente, non ha nessuna qualità che lo rende “reale”. Eppure, per la nostra mente il nulla ha una sua sostanzialità, dei suoi modi di essere e anche di apparire, che influiscono sia sul nostro mondo percettivo che su quello cognitivo (pensato per esempio allo zero). Va da sé che anche questa realtà è di grande interesse per lo psicologo. 5) La realtà del fenomenicamente apparente. Ci sono cose che vediamo o che proviamo, e che tuttavia non ci appaiono “veri”. Un esempiotipico è il sogno in cui siamo coscienti di sognare. Un altro esempio riguarda gli specchi. Un esempio riguardante proprio gli specchi ci fa comprendere che la realtà apparente non dipende dalla realtà fisica in sé. Per esempio, se siamo dinanzi ad uno specchio che riflette un ombrello accanto a noi, noi vediamo due ombrelli che appaiono uguali, eppure soltanto l'ombrello accanto a noi, fuori dallo specchio, ci apparirà reale, mentre l'ombrello riflesso ci apparirà irreale, immateriale. Per contro, se entriamo per esempio in un salone un poco buio con uno specchio gigantesco a muro, e vediamo delle cose riflesse, come delle poltroncine, queste ultime ci appariranno come vere e solide, e anche la stanza ci sembrerà molto più grande. La realtà sarà del tipo “incontrato”, almeno fino a quando non ci renderemo conto dell’esistenza dello specchio. N Una scena osservata al microscopio è realtà di tipo fenomenico? Sì, se rimane nel telescopio. | fenomeni visivi come le illusioni sono sicuramente fatti incontrati, anche se non sempre riconosciuti. Utilizzare un fenomeno visivo di tipo illusorio significa intrufolarsi tra le arti figurative o le arti astratte? Dipende da come vengono utilizzati ifenomeni e quali sono gli scopi. Come si evince dagli esempi riportati, il confine tra astratto e figurativo è sfumato. Ci sono, però, dei punti fermi: 1) Che sia astratta o figurativa, un’opera d’arte intende sempre rappresentare qualche cosa d'altro del semplice materiale utilizzato per creare l’opera. Anche nel caso della corrente Informale. Il senso è far acquisire a quel materiale una valenza altro di natura estetico-artistico. Il modo con cui si guarda un’opera può determinarne l'esito in termini di classificazione in astratto/figurativo. Tale classificazione è quindi mutabile e legato sia allo stile di osservazione adottato, sia alle conoscenze pregresse del fruitore. Più il fruitore conosce la storia i motivi, più è facile che identifichi l’opera come figurativa più che astratta. 3) La definizione di un'opera come astratta o figurativa poco ha a che vedere con la complessità intrinseca di un'opera. N Lezione 12: Arte e scienza Negli Stati Uniti ci si trova davanti a delle facoltà che combinano arte e scienza. È vero che le Facoltà sono molto eterogenee rispetto alle nostre ex Facoltà e che rivestono una funzione di sovrastruttura di secondaria importanza rispetto ai Dipartimenti, che sono invece strutture organizzative che raccolgono ricercatori i cui interessi convergono verso un macro-tema. L'accostamento potrebbe comunque stare ad indicare una possibilità di “dialogo” tra discipline artistiche, umanistiche e scientifiche, almeno a livello ideale se non propriamente pratico. Che ci sia un continuo dialogo tra discipline scientifiche, umanistiche e artistiche è normale grazie alla tecnologia di oggi. Però la domanda è: fino a che punto arte e scienza possono essere considerata ancelle l'una dell'altra? Si postula la separazione tra arte e scienza introno al 1600, prima di allora aveva figure miste come, ad esempio, Michelangelo e Da Vinci erano figure ingegneristiche oltre che artistiche. La separazione avviene in seguito alle pubblicazioni di Galileo Galilei e l'introduzione del metodo sperimentale, che affiancò il metodo dell’osservazione che aveva caratterizzato lo sviluppo delle scienze naturali. Si può tuttavia assegnare a Leonardo da Vinci l’idea che l'osservazione da sola non basta, e che bisogna ‘sperimentare’ per capire come funzionano certi aspetti del reale. Il metodo vinciano, tuttavia, era ancora largamente legata ad interpretazioni del reale basate sull’osservazione. | esperimenti erano infatti guidate da domande (cosa succede se? come funziona?), non da ipotesi, le quali sono alle basi della formulazione di teorie, complesso appunto di ipotesi interconnesse, che caratterizza le scienze moderne. La formulazione di ipotesi non è legata a domande generiche (tipo ‘come funziona? ), ma a domande strutturate: Perché succede una cosa? È a causa di A o di B? È Galileo, che contrapponendo il ‘dubbio’ al ‘dogma’, va oltre la semplice sperimentazione’, adoperando in modo sistematico l'osservazione sperimentale, ponendo così le basi allo sviluppo del metodo sperimentale. Perché la comparsa del metodo sperimentale ha imposto una divisione tra attività artistica e attività scientifica? In che modo il metodo sperimentale contrasta con l’arte? Perché si dice che arte e scienze hanno preso due strade diverse? In che cosa consiste questa differenza? Queste domande sono centrali, se si vuole indagare ilfenomeno arte dal punto di vista psicologico. Servono a comprendere meglio il fenomeno e a incorniciare una nuova tendenza, quella che negli ultimi 20 anni vede un certo ritorno di fiamma tra arte e scienze. Al fine di comprendere a fondo il nuovo accostamento tra fare artistico e fare scientifico, come nelle teorie di Zeki, cioè tra ricerca artistica e ricerca scientifica, conviene porre alcune domande, la risposta delle quali può aiutarci a trovare le risposte alle domande precedenti: 1) Che cosa hanno in comune arte e scienza? 2) 2) Quali sono le differenze tra ricerca scientifica e attività artistica? 3) 3) Quali potrebbero essere i vantaggi in termini culturali e gnoseologici di un nuovo accostamento tra le due discipline? Un esempio di commissione tra arte e scienza è la rivista “Art & Perception Journal”, che unisce arte e scienza per fondersi insieme e lavorare. La rivista cerca di promuovere una comprensione più profonda della relazione tra le scienze percettive e l’arte, riconoscendo che entrambi gli approcci esplorano la percezione attraverso proprietà tangibili. Lo scopo dell’arte è quello di studiare la percezione? Molti psicologi hanno cercato delle risposte nell'arte offrendo spiegazioni non interessanti per l’arte stessa. Questa rivista è stata preparata scritta da studiosi di percezione visiva, ma non è necessariamente in sintonia con lo scopo dell’arte. I punti in comune sono la passione, l'intuizione, la creatività, l'eleganza e la semplicità nelle soluzioni e il senso estetico del risultato. Quante di questi punti sono in comune con altre attività umane, oltre alla ricerca scientifica o quella artistica? Anche nella cucina si possono riscontrare le stesse caratteristiche. La scienza non può prescindere da un atto di fede realista. Dualismo necessario: vi è un mondo esterno, indipendente dall’osservatore, regolato da leggi basate su relazioni che possono essere indagate. L'arte può prescindere dal rappresentare la realtà esterna e oggettiva. Anzi, l’opera d'arte, anche quando è realista al massimo grado, è comunque il prodotto di un punto di vista. La scienza spiega che il mondo esterno è osservabile da tutti, è pubblico. L'arte dice che non è necessario che i risultati facciano riferimento ad un mondo esterno a chi osserva. La scienza dice che partendo dall’osservazione e dalla misurazione della realtà è possibile scoprire teoremi e ipotizzare leggi che spiegano il funzionamento delle cose e la loro ragione d'essere. La scienza ha lo scopo di costruire teorie e formulare ipotesi. L'arte non è necessariamente in cerca di risposte; piuttosto tende a rappresentare qualche cosa mediante materiale anche intrinsecamente estraneo da ciò che intende rappresentare. La scienza dice che le leggi ipotizzate mediante procedimenti propri a ciascuna scienza devono essere tutte, comunque, passibili di verifica (giusto/sbagliato) in relazione alla loro corrispondenza con il mondo. Mentre l’arte spiega che i risultati artistici sono al loro apparire incerti. | passaggi in base ai quali viene stabilito il livello di artisticità di un’opera non sono né stabili né definibili. Noi glorifichiamo Botticelli, ma dopo la sua scomparsa la sua fama cala perché viene visto come un pittore antico, legato allo stilema del gotico. In Italia vi era un senso di realismo con la prospettiva dello spazio; quindi, con i preraffaeliti viene riscoperta l'arte gotica nel 1’800. Nel momento in cui compare un'artista non è detto che avrà immediatamente fame, come Van Gogh. La scienza dice che sulla base di leggi e teoremi corretti vengono costruite teorie che però sono meno certi dei teoremi da cui sono formate, perché le teorie non sono mai completamente verificabili. Le teorie, per quanto incerte, tentano di spiegare il funzionamento di un qualche aspetto del mondo. Mentre l’arte, alla fine del processo di valorizzazione, in cui il tempo gioca un ruolo decisivo ma non prevedibile, si giunge alla certezza dell’arte, costituita dall'insieme composito e diversificato delle opere d’arte. Dalla massa delle proposte necessariamente incerte emergono un numero limitato di risultati certi. | risultati non spiegano il mondo, ma possono rappresentare aspetti del mondo, nonché istanze ed esperienze del tutto soggettive; eppure, in parte condivisibili mediante l’opera stessa. Massironi concepiva il mondo dell’arte come una nebulosa, con un nucleo dove stavano i capolavori assoluti dell'umanità e man mano che ci si allontanava si perdeva il fattore di capolavoro. Un risultato scientifico va compreso: la capacità di comprendere è un modo di essere dell’intelligenza. Chi non possiede gli strumenti intellettivi atti alla comprensione profonda di una scoperta scientifica può solo accettarla con un atto di fede. Noi possiamo illuderci di aver capito un po’ una teoria, ma se qualcosa non si capisce a pieno è necessario studiarne i meccanismi sottostanti. Un risultato artistico va interpretato, davanti all'opera d’arte non vi è un giusto o sbagliato. Mentre la comprensione è una dimensione che molto si avvicina al “tutto o niente”, l’interpretazione è un continuum che non possiede limite zero. Tutti possono interpretare un'opera d'arte, anche quando non conoscono la storia che sta dietro e/o dentro l’opera stessa. Non vi è alcun criterio oggettivo in grado di stabilire la falsità di un'interpretazione, in quanto chi interpreta lo fa anzi tutto per se stesso. Un risultato scientifico può essere riportato in diversi modi. Il risultato non cambia in base al modo in cui esso viene presentato. Inoltre, il risultato nuovo include quello precedente, il risultato precedente si dissolve in quello successivo. Un'opera d’arte è quella che è, e non può essere modificata di una virgola. Può dar luogo ad interpretazioni diverse, che possono essere confrontate con il testo originale, ma il testo originale non si dissolve nelle sue interpretazioni, né in opere ad esso successive, e non include al suo interno opere precedenti, benché possa fare riferimento ad opere precedenti. Il prodotto scientifico è indipendente dal modo e dallo stile con cui è presentato: un resoconto verbale, un grafico, una formula, non alterano la sostanza del prodotto scientifico. Il prodotto artistico è imprescindibile dalla sua forma. L'arte non può prescindere dalla forma con cui è espressa. Anche l’arte concettuale, che rifiuta la forma, non può prescindere da un ancoraggio materiale, senza il quale l’opera non potrebbe esistere. Nel caso de Linea di lunghezza infinita di Piero Manzoni, il contenitore cilindrico è il segno materiale che concretizza l’esistenza dell’opera, per l’altro inesistente. Quali potrebbero essere i vantaggi? Una re-unificazione di scienza e arte è funzionale soltanto all’industria culturale, non certo alle due discipline. | modi di procedere, i risultati ottenuti e ottenibili, gli scopi stessi, ed i linguaggi utilizzati sono intrinsecamente diversi. L'artista non è un neuroscienziato: il suo scopo non è quello di studiare o di spiegare il funzionamento del cervello, bensì quello di determinare in un osservatore una determinata esperienza estetica. Il neuroscienziato (e lo psicologo) non è un artista: il suo scopo non è quello di creare forme o di rappresentare istanze umane, bensì quello di comprendere i meccanismi sottostanti il comportamento umano. La scienza rincorre la verità attraverso lo studio della realtà. Mentre l’arte relativizza la verità, e nel fare ciò può anche prescindere del tutto dalla realtà. Quello che sta succedendo è una mistificazione su base L'arte è uno di quegli ambiti in cui è portata avanti la ricerca di nuove forme aventi potenzialità comunicative. È una cosa che esiste da sempre, se si pensa alle chiese medievali gli affreschi servivano per illustrare la Bibbia e non per “bellezza”. Esempio di Fortunato Depero e del Campari. Non tutta la ricerca artistica finisce col fornire nuove forme alle esigenze più diverse della comunicazione quotidiana, ma vi è un'osmosi tra i due livelli. Infatti, gli elementi della comunicazione quotidiana possono avere una importante influenza sulla ricerca artistica. Talvolta l’arte ha guardato alla pubblicità, ad esempio Lichtenstein richiamava dei fumetti. Infatti, vi è un articolo intitolato “Is Lichtenstein a great modern artist or a copy cat?” di Sooke in cui si spiega che considera la pop art della spazzatura. Passiamo a Andy Warhol con il barattolo di zuppa di pomodoro della Campbell's, che rende il prodotto di ogni giorno un'icona, e quindi è un processo che va a favore da entrambe le parti. | vissuti che ogni persona può esperire durante la propria esistenza, nonché le esperienze emotive, sono spesso molto simili tra loro, ma allo stesso tempo diversi sia per il contesto che caratterizza l’esperienza, sia in base al modo in cui sono rappresentate (o ricordate). In arte è soprattutto la forma che si carica della diversità, e quindi del processo di innovazione. Tra le forme “peggiori” e quelle più “sublimi” vi è una continuità di realizzazioni che soddisfano una richiesta generalizzata e scalare di modelli da cui attingere le forme del comunicare. Esempio di Massironi e dell'idea che l’arte è una nebulosa, con al centro l’arte iconica con i capolavori. Tutte le epoche ed i periodi storici sono caratterizzati da una certa unità di stile che non riguarda solo l'arte, ma tutte le manifestazioni dell'attività umana. Lo stile riguarda anzi tutto la scelta di forme, e non necessariamente di contenuto. Lo stile è qualcosa che caratterizza ed è essenziale nell’artista. In tal senso l'arte di un determinato periodo storico tende a fornire modelli utili alle attività in cui la componente della comunicazione è rilevante. Ovvero, l’arte nutre lo stile di un'epoca, nutrendosi a sua volta di contenuti emergenti dall'epoca in cui è nata l'opera. È sbagliato ritenere che è un'artista è troppo avanti per i suoi tempi, l'artista è emerso dai suoi tempi e nell’emergere ha dato nuove visioni, ha sconvolto le carte dando nuove esperienze. Mentre lo scienziato non può sconvolgere le carte, deve attenersi a delle regole. Ma anche in arte sono fondamentali, perché visto che ci sono le regole è possibile romperle e andarci contro. Che fine ha fatto il contenuto? A livello di opera conclusa, forma e contenuto sono elementi inseparabili. La pura forma non esiste: ogni forma veicola anche un contenuto (se non altro perché innesca un processo di interpretazione). Tuttavia, nella pratica del fare arte, queste due facce della stessa medaglia possono essere temporaneamente separate, anzi devono essere separate. Per esempio, nelle cosiddette belle arti, una volta definito il contenuto, è la forma ciò di cui l'artista deve preoccuparsi: concentrandosi sulle qualità estetiche della forma, l'artista può mettere in evidenza aspetti inediti del contenuto. Esempio della Linea di Manzoni dove il tubo dà la forma dell'idea infinita; quindi, iltubo è la forma che si adatta a quel concetto. Nell'arte si studiano le forme, non i contenuti. Secondo Massironi l’arte svolge un ruolo concreto e funzionale in termini di una ricerca attiva mediante cui vengono scoperte, sperimentate e verificate le forme che alimentano la comunicazione di tipo aperta. In arte, “la forma della comunicazione deve essere in buona misura libera anche rispetto ai contenuti”. Rappresentazione di piante ed animali nel secondo Rinascimento: e Ulisse Aldrovandi (1522-1605) e la necessità di classificare la natura: rifare l'inventario del mondo in base ai metodi dell’osservazione diretta. e | limiti della descrizione verbale possono essere superati mediante l'ausilio di immagini. lo posso descrivere una cosa, ma ognuno si farà un'immagine mentale diversa. ® Alfinedi soddisfare le esigenze di una nuova oggettività, agli artisti è richiesto di rinunciare alla propria ricerca stilistica, alla propria esplorazione nel campo delle forme. Ci si rivolge ad artisti molto bravi a rappresentare la realtà, ma per fare questo devono mettere da parte la loro ricerca stilistica. e Aderiscono alla chiamata d'armi degli scienziati naturalisti quegli artisti che, dotati di un gran virtuosismo, non sono però innovatori nel campo dell’arte. e Ciononostante, questa collaborazione produrrà anche esiti in campo dell’arte, come il fiorire di un nuovo genere pittorico, la natura morta. Lezione 13: Arte e potere Noi abbiamo una visione romantica dell'artista, ma inizia a diventare un indipendente dal 1700, anche con il nascere delle accademie. Noi pensiamo che l'artista ci mette dentro del suo, quando magari c'è dietro la richiesta dei committenti. Poi il pittore si rimette in proprio e assume successo il mercato dell’arte. Negli anni Venti iniziano a nascere gli stati totalitari che dovranno vedersela con l’arte e gli artisti. Alle immagini sono state attribuite fin da epoche arcaiche attributi magici, finalità celebrative, funzioni simboliche, e in tal senso l’arte è stato spesso al servizio del ‘potere’. Molti dipinti di sovrano sono commissionati per celebrarlo, l’importanza del sovrano nell'immagine. Il ‘potere’ (la persona o il gruppo di persone che reggono i destini di altre persone mediante scelte politiche, economiche e sociali) ha usato l’arte per illustrare e comunicare le proprie conquiste, i propri intenti, i propri valori, la propria giustificazione. L'insofferenza alla pura celebrazione e alla funzione propagandistica imposta dalle autorità comincia già a serpeggiare dalla seconda metà del 1500. -L’insofferenza diventa programmatica con le avanguardie del Novecento. Esse nascono come uno schiaffo all'accademia, ma anche uno schiaffo al mondo borghese che però era il cliente dell'artista. Più l'artista era forte e scandalizzava e più aveva successo. Lo scontro si fa frontale con l'avvento del Nazismo, che bolla le avanguardie del Novecento come “Arte degenerata”. Esempio del discorso all'apertura della “Casa dell’arte tedesca” di Hitler, dove mostrava come doveva essere l’arte del tempo. “Le opere d'arte che non si possono comprendere, ma richiedono una quantità esagerata di spiegazioni per provare il loro diritto di esistenza come tali e per giungere a quei neurotici sensibili a tali stupide e insolenti assurdità, non capiteranno più pubblicamente tra le mani dei cittadini tedeschi. Che non vi siano illusioni! Il nazionalsocialismo ha intrapreso l'epurazione del Reich tedesco e del nostro popolo da tutte quelle influenze che ne minacciano l’esistenza e il carattere. [...] Con l'apertura di questa esposizione è giunta la fine della follia artistica e della contaminazione del nostro popolo nel campo dell'arte.” Si vuole avere controllo sull’espressione artistica, quindi una dittatura, con regole fisse e senza libertà di espressione e quindi non c'è libertà di fare arte, se non nelle line espresse dal dittatore. Goebbels organizza una mostra di “arte degenerata” a illustrazione delle ragioni del Fùhrer, per dimostrare da quale arte li stavano salvando. La mostra itinerante ebbe un successo inaspettato di visitatori, la gente faceva la calca. Massironi gli dà del dadaista in tono ironico. "Vorrei quindi, oggi in questa sede, fare la seguente constatazione: fino all'ascesa al potere del Nazionalsocialismo c'era in Germania un'arte cosiddetta "moderna", cioè, come appunto è nell'essenza di questa parola, ogni anno un'arte diversa. Ma la Germania nazionalsocialista vuole di nuovo un'"arte tedesca", ed essa deve essere e sarà, come tutti i valori creativi di un popolo, un'arte eterna. Se invece fosse sprovvista di un tale valore eterno per il nostro popolo, allora già oggi sarebbe priva di un valore superiore. Quando fu posta la prima pietra di questa casa, ebbe inizio la costruzione di un tempio non alla cosiddetta arte moderna, ma una vera ed eterna arte tedesca, o meglio: si erigeva una sede per l'arte del popolo tedesco non per una qualche arte internazionale del 1937, '40, '50 0 '60. Perché l'arte non trova fondamento nel tempo, ma unicamente nei popoli. L'artista, perciò, non deve innalzare unmonumento al suo tempo, ma al suo popolo. Perché il tempo è qualcosa di mutevole, gli anni sopravvengono e passano. Ciò che vivesse solo in grazia di una determinata epoca dovrebbe decadere con essa. Questa caducità dovrebbe toccare non solo ciò che è nato prima di noi, ma anche ciò che oggi nasce davanti ai nostri occhi o che solo nel futuro troverà la sua forma. Sappiamo dalla storia del nostro popolo che esso si compone di un certo numero di razze più o meno differenziate, che nel corso dei secoli, sotto l'influsso plasmante di un nucleo razziale dominante, hanno prodotto quella mescolanza che oggi noi abbiamo dinanzi agli occhi appunto nel nostro popolo. Questa forza che un tempo plasmò il popolo, che perciò tuttora agisce, risiede nella stessa umanità ariana che noi riconosciamo non solo quale depositaria della nostra cultura propria, ma anche delle antiche culture che ci hanno preceduto. Questa formula di composizione del nostro carattere nazionale determina la poliedricità del nostro specifico sviluppo culturale, come anche la naturale parentela che ne deriva con i popoli e le culture dei nuclei razziali simili appartenenti alla famiglia dei popoli europei. Tuttavia, noi, che viviamo nel popolo tedesco il risultato finale in questo graduale sviluppo storico, auspichiamo un'arte che anche al suo interno tenga sempre più conto del processo di unificazione di questa compagine razziale e di conseguenza assuma un indirizzo organico ed unitario". Dalla lettura di brani estratti dal discorso di Hitler emergono l’idea di forma e di stile quali identificatori di una tensione nazionale incarnata nell’ideale ariano (“nucleo razziale dominante”). Forma e stile devono essere costanti nel tempo. Il sublime deve essere immobile, asservito ad un potere assoluto. Ci si augura un'arte che rimane uguale nel tempo, che non ha ricerca artistica. Arte e fascismo. Esiste un evidente duplice rapporto fra il mondo dell’arte e della cultura ed il fascismo. Cronologicamente parlando si può dire che l'arte abbia anticipato e/o preparato i temi e le concezioni storico- politiche del movimento mussoliniano subito prima, e subito dopo, la Grande Guerra. E' il caso del futurismo, avanguardia artistica di rottura sovvertitrice del mondo esistente, e per questo carica di tensioni innovative ed antiborghesi, in simbiosi con lo spirito dei Fasci da Combattimento, prima formazione politica - dalla valenza fortemente anti-sistemica e rivoluzionaria - partorita da Mussolini. Dall'altra parte, con il consolidamento del potere e la degenerazione della monarchia parlamentare italiana in dittatura, nasce un'arte filofascista, servile, funzionale ai riti autocelebrativi del regime, qualitativamente mediocre, in alcuni casi; insieme ad essa si forma una cultura necessariamente sotto determinata dagli intenti propagandistici del nuovo potere, funzionale all'indottrinamento ed alla creazione di un'ideologia di massa. Arte, rivoluzione bolscevica, comunismo. Per l’arte invece il problema primario risiede nello scoprire e verificare sempre nuovi modi del comunicare, mentre il “che cosa” comunicare, l'acquisizione consapevole di un nuovo sapere, viene dopo. Con lo scoppio della rivoluzione e con il costruirsi di uno stato socialista sovietico, quasi tutte le avanguardie artistiche europee offrirono collaborazione, avanzando la propria candidatura a sostenere la rivoluzione. Nel campo dell’arte, il significato di tale collaborazione era mettere a punto le condizioni comunicative adatte a diffondere i contenuti nuovi nati dalla rivoluzione, come se gli artisti fossero consapevoli che il lavoro dell’arte è quello di inventare, tentare e scoprire modi sempre nuovi della comunicazione. C'è lo stesso modello di quello che accade col futurismo. C'è un'adesione entusiastica delle avanguardie artistiche alla rivoluzione che stava accadendo in Russia. Un'accettazione iniziale da parte dei rivoluzionari di questi nuovi artisti, che guardano sia al cubismo sì al futurismo sia a tutte le avanguardie che andavano in scena tra Berlino e Parigi. Un rifiuto successivo in nome di un'arte populista in grado di essere immediatamente compresa. Gli artisti vennero accusati di non aver capito e non aver interpretato il senso della rivoluzione e di essere in realtà dei controrivoluzionari. Gli artisti reagirono con fuga, diaspora, isolamento e a volte suicidio. Quindi prima c'è un'accettazione di questi artisti che aiutavano a promuovere la rivoluzione attraverso le proprie opere, ma poi c'è un rifiuto da parte degli ex rivoluzionari che ormai erano al potere, in nome di un'arte che doveva essere populista. Non dissimile da quello che era il programma di Hitler. La visione utilitaristica dell’arte dà luogo ad una ricerca di forme atte a promuovere il messaggio sovietico (da soviet, che significa unione). Inizio dell’arte-propaganda. L'arte al servizio del potere è, inun modo o nell'altro, sempre portatore di un messaggio propagandistico, educativo, spesso auto-celebrativo. Se lo scopo e il senso dell’arte è la continua reinvenzione degli strumenti della comunicazione, per i poteri l’unico significato della parola comunicazione è quello di propaganda. Lezione 13: Street Art La street art, o arte urbana, sono segni lasciati dagli street artist e alcuni sono considerati talmente arte da essere staccati dal muro e messi in un museo. | graffiti sono arte, oppure no? Il graffito è sia un codice grafico non ufficiale, sia, ad eccezione di pochi casi, un'arte non ufficiale. Il graffitismo di Haring ha molti punti in comune con lo stile precolombiano, non solo per l’horror vacui che caratterizza spesso le opere, ma anche per il modo in cui le forme sono trattate: stilizzazioni che permettono giochi di incastri. In entrambi i tipi di opere c'è un forte aspetto ludico: l'osservatore è invitato a cercare parti e a ricomporre la scena. Tristan Manco dice che lo scrivere graffiti è il modo più onesto di essere artisti. non richiede soldi per farlo e non serve una educazione per capire che è libero da ammissione. L'asserzione di identità individuale è forse il tema più popolare e prevalente dei scritti di graffiti. Quello di scrivere o incidere il proprio nome o soprannome (nickname) è però una tradizione antica, che risale ai tempi dei gladiatori, i quali non solo iscrivevano i loro nomi ma li accompagnavano con simboli e disegni. Anche le tracce lasciate dagli uomini delle caverne possono rientrare in questa categoria, sono cose nuove ma che richiamano cose vecchie. Quand'è che un graffito diventa un'opera d’arte e cessa di essere un atto di vandalismo? Quand'è che un writer diviene artista? Può un writer divenire artista? Oppure è comunque artista per il solo fatto che si “esprime”? Guardiamo il caso di Daniele Nicolosi, in arte Bros. Il writer rinnova il suo connubio con Milano, la città dov'è nato nel 1981 e che, nel 2003, lo ha reso famoso, lasciandosi tappezzare dagli omini cubici colorati che sono la cifra distintiva dell'artista. Dal 2007 arrivano le mostre in sedi prestigiose, come Palazzo Reale e il Padiglione d'Arte Contemporanea. La stessa Milano, però, a un certo punto trascina Bros dagli altari alla polvere: in quello stesso 2007 viene fermato dalla polizia mentre dipinge su un muro. Rischia una multa pari a una cifra a quattro Quelle stesse affermazioni, invece non alcuno alcun senso nel dominio delle scienze, dove il furto è furto intellettuale, e chi lo compie rischia la seria e diffamante accusa di plagio. Questa è un'altra differenza tra la ricerca scientifica e quella artistica. Troppo spesso correggendo capitoli di tesi ho trovato traduzioni letterali di articoli scientifici spacciate per idee e riflessioni del tesista (plagio), oppure brani interi, quando non addirittura capitoli, ricopiati di sana pianta da libri o altre tesi di laurea (plagio). La riflessione personale del tesista si appoggia quindi su considerazioni che condivide oppure a cui si oppone, che sono chiaramente espresse ed individuate prima. Se, peresempio, l'affermazione di Zavagno (2013) non mi convince, prima esporrò il suo pensiero e poi esporrò le mie ragioni, eventualmente supportate dalle ragioni di altri autori citati nel testo in ordine alfabetico, per es. (Maravita, 2010; Stucchi, 1998). Ogni autore citato in testo va riportato in bibliografia. Infine, può risultare comodo riportare un brano di un autore. Questo lo si fa soltanto se il brano è un punto nodale e critico rispetto alle vostre argomentazioni. Non ha senso riportare un brano per descrivere quello che un autore dice. Si deve invece saper riassumere il pensiero degli autori: nonsiate intellettualmente pigri. Infine, quando si riporta un brano si fa in modo che questo sia chiaramente identificabile mediante virgolette, oppure un carattere più piccolo in un paragrafo dedicato appunto al brano. Alla fine del brano deve essere riportato tra parentesi il cognome dell'autore, la data di pubblicazione, il numero di pagina dove si può reperire il brano. Se autore e data compaiono immediatamente prima della citazione letterale del brano, allora basta il numero di pagina tra parentesi alla fine del brano. Il ritorno del Dada? Il Dada è quel movimento artistico che significa nulla, ovvero lo scagliarsi contro la concezione del mercato dell’arte e voleva smascherare le ipocrisie dei movimenti artistici, quindi proponeva l’improponibile. Duchamp con l’orinatoio fece qualcosa simile a quello che fece Magritte con la pipa. Bansky fa una cosa simile dicendo che questa è pipa, egli attraverso un linguaggio semplice fornisce letture della realtà abbastanza complesse. Facendo così recupera Duchamp, facendo il verso a Magritte e non è più l’inganno del fruitore, ma quello dell'immagine. Lezione 14: Spazio nell'arte visiva Spazio e tempo sono due vissuti fondamentali della psiche umana. La nostra vita si svolge nello spazio e nel tempo. Lo spazio è essenziale perché da esso vengono i nostri stimoli, se riduciamo i nostri spazi la nostra socialità si riduce. Basta vedere ad oggi con la pandemia e lo spazio virtuale. La nostra vita si svolge in uno spazio e occupa un tempo, che si coniuga sempre nel presente e quindi viviamo un eterno presente. Passato e Futuro sono costrutti mentali, immaginazioni. Il passato è un atto del presente che riguarda la facoltà mentale del ricordare. Ma anche rivivere nella propria mente un ricordo significa attualizzarlo, calarlo nel presente. Per fare ciò si deve poter rendere silente il presente reale, astrarsi da esso. Calarsi nel passato significa quindi immaginare, cioè abbandonarsi all'atto di creare immagini mentali. Alcuni artisti hanno bisogno di immaginarsi quello che vogliono rappresentare. Le immagini mentali si nutrono di ciò che abbiamo esperito, cioè del nostro passato codificato nei registri di memoria a lungo termine. Anche quando immaginiamo i mostri noi deformiamo la norma e creiamo delle chimere, che non esistono ma sono combinati da parti di esseri esistenti. Registri imperfetti che possono essere soggette a modifiche in funzioni di nuova informazione in entrata. Il futuro non esiste come esperienza. Esiste come proiezione, come tensione e speranza, come timore e ipotesi, come fantasia e, appunto, immaginazione. La fantascienza è frutto della nostra abilità di combinare esperienze del passato in modo da creare possibilità per il futuro. l'immaginazione del futuro è molto simile all’immaginazione del passato, ovvero al nostro modo di ricordare, che è un’interpretazione del passato. Anche il futuro si nutre del passato: per immaginare il bacio di una persona bramata ma irraggiungibile dobbiamo immaginarci la persona, il che significa utilizzare un ricordo di quella persona. l'immaginazione del futuro si nutre del nostro passato. Alcune opere si snocciolano nel tempo mentre altre nello spazio, vedi i dipinti ma anche il teatro. Lo spazio è il contenitore delle nostre esperienze, siano queste reali, ricordate o immaginate. In quanto tale si snocciola nel presente. Le nostre esperienze hanno tutte quante una connotazione spaziale, anche quelle sonore hanno degli spazi. Qualsiasi opera d'arte è quindi anche una rappresentazione di spazi. Anche la musica, che si svolge nel tempo, determina esperienze di natura spaziale. Per comprendere la natura psicologica che caratterizza un’opera d'arte è opportuno quindi comprendere il modo in cui noi viviamo lo spazio, almeno per quel che riguarda la percezione visiva. Consideriamo tre tipi di spazio: 1. Spazio peri personale: è lo spazio immediatamente intorno a noi. Questo spazio è talvolta anche definito manipolatorio in quanto gli oggetti posti che si trovano in questo spazio possono essere raggiunti direttamente dall’osservatore. Lo spazio peri personale può essere esteso oltre il limite delle nostre braccia tramite l'ausilio di utensili. È evidente che il grado di controllo che abbiamo delle nostre azioni all’interno di questo spazio diminuisce all'aumentare dell'estensione dello spazio peri personale. Lo spazio peri personale è caratterizzato da una metrica euclidea. Spazio extra personale: è lo spazio che non si può raggiungere direttamente, e in cui l'ausilio di un utensile non aiuta ad avere un controllo efficace dell'ambiente e delle cose al suo interno. Questo spazio si caratterizza per una metrica euclidea incerta, condizionata forse da due fattori: o dalla prospettiva naturale che tende a comprimere lo spazio in distanza; o da un modulo personale (biologico) che potrebbe corrispondere, ad esempio, all'estensione del braccio. 3. Spazio distante: è lo spazio extra personale che si vede in distanza, e che ha come limite l'orizzonte. Questo spazio è ipercompresso, e in tal senso a-metrico. Non è uno spazio piatto, ma appiattito: per esempio si può dire che un edificio sta davanti ad un altro edificio, ma non si riesce a quantificare la distanza tra i due edifici. N Il piano pittorico. Gibson (1966) coniò il termine percezione pittorica per indicare quella abilità di vedere oggetti e scene derivanti da condizioni di stimolazione che però non sono i corrispettivi fisici degli oggetti e delle scene osservate. Egli parlò di un rapporto conflittuale a livello percettivo tra la natura propriamente fisica di un'immagine (per es. la materiale piattezza del supporto) e ciò che dentro di essa si è in grado di vedere, definendo questa doppia presenza in termini di un vero e proprio paradosso. Da un punto di vista puramente descrittivo, l’esperienza della percezione pittorica descritta da Gibson è per certi versi simile a quella che si ha con una figura impossibile, dove si vede un oggetto tridimensionale che però non può essere sostanzialmente tridimensionale al di fuori della realtà pittorica. Abbiamo una doppia consapevolezza, che ci dice che l’immagine è piatta ma la vediamo tridimensionale. Gombrich (1956) aveva parlato di doppia presenza in riferimento ad opere pittoriche, indicandola però in termini di due vissuti percettivi alternativi. Per lui, più che di un rapporto conflittuale si tratterebbe di un'alternanza tra esiti percettivi. In questo senso l’esperienza della percezione pittorica sarebbe simile a quella innescata dalle figure ambigue, le quali mostrano appunto due esiti percettivi possibili - l'uno alternativo all’altro - come nella coppa-profili di Rubin. Wollheim (2003) parla invece della percezione pittorica in termini di twofoldness, e quindi di simultaneità per quanto riguarda l’esperienza visiva del supporto pittorico e della scena ivi raffigurata. Questa posizione trova riscontro in altri studiosi, come per esempio in Pirenne (1970) e in Kubovy (1986), secondo cui la consapevolezza percettiva del supporto pittorico è un requisito essenziale per il funzionamento d'ipotetici processi compensatori atti a correggere distorsioni percettive dovute alle discrepanze tra l'immobile geometria interna alla scena pittorica e le continue trasformazioni dovute alla mutevole geometria dell’osservazione. L'ipotesi di Wollheim richiama alla mente il vissuto di doppia presenza che si ha quando ad un unico livello di stimolazione corrisponde il vissuto di due presenze fenomeniche simultanee, come nel caso della trasparenza. Mausfeld (2003) parla di rappresentazioni congiunte ma in termini antagonistici, per cui i parametri caratterizzanti un particolare aspetto di una delle rappresentazioni costituiscono un vincolo per l’altra rappresentazione circa la stessa caratteristica, e viceversa. In altre parole, parametri specificanti medesimi aspetti nelle due rappresentazioni mentali starebbero in una relazione antagonistica tra loro. L'idea di rappresentazioni congiunte in modo antagonistico rimanda anche alla scissione fenomenica descritta da Koffka (1935), quella cioè relativa all'esperienza simultanea di un colore di superficie e dell’illuminazione della superficie. Questo fenomeno è forse quello che strutturalmente più si avvicina a quella della percezione pittorica. La proprietà di possedere un dato colore è una caratteristica di una superficie opaca, come è propria di una superficie pittorica la caratteristica di essere appunto una superficie. Allo stesso tempo però una superficie opaca può anche mostrarsi illuminata in un certo qual modo, una caratteristica questa che è molto diversa da quella di essere di un dato colore; in modo abbastanza simile, la superficie pittorica mostra altro da sé, con una estensione spaziale che non appartiene alla superficie pittorica in quanto tale. In entrambi i casi si ha quindi una doppia rappresentazione: il colore di superficie e l'illuminazione coesistono simultaneamente nello spazio-tempo fenomenico, rubandosi a vicenda la scena, così come coesistono l'aspetto superficiale-materico del supporto pittorico e la scena ivi rappresentata. Il prestare più attenzione ad un aspetto rispetto all’altro è determinato di volta in volta dal rapporto dinamico appunto tra l’attenzione e le mutevoli relazioni foto- geometriche all’interno della scena visiva globale. Spetta a noi decidere se vogliamo prestare più attenzione alla superfice pittorica o ciò che è ivi rappresentato. L'esperienza della scissione fenomenica tra colore di superficie e illuminazione è quella che più si avvicina al doppio vissuto che caratterizza la percezione pittorica, dove nella stessa esperienza spazio-temporale si danno due vissuti contrapposti ma contemporanei: quello del supporto che chiede di essere considerato per la sua materialità, e quella della scena ivi rappresentata, che quando vista tende a diluire o vanificare la materialità intrinseca del supporto. Indici pittorici di profondità. Oltre all'accomodamento, esistono diversi altri indici monoculari che sono definiti pittorici in quanto si ritrovano nelle immagini pittoriche. In letteratura sono indicati più frequentemente con il termine “indizi” (pictorial cues). Sono definiti pittorici perché si possono usare per creare uno spazio che è soltanto visivo, non corporeo. Gli indici pittorici di profondità sono i seguenti: e Interposizione (od occlusione): è un indice pittorico piuttosto comune, e consiste nel fatto che la scena visiva è costituita da superfici che occludono alla vista parti di altre superfici. Una superficie che risulta occludente è per definizione più vicina all’osservatore rispetto a quella parzialmente occlusa. L'informazione circa la profondità derivabile dalla sola interposizione è piuttosto povera: sappiamo che oggetti occlusi sono più distanti da noi, ma con la sola occlusione come informazione diventa difficile stimare tale distanza. e Prospettiva naturale e prospettiva lineare: la luce che entra nell'occhio genera un'immagine retinica in base a precise leggi ottiche. Questo tipo di proiezione viene chiamato prospettiva “naturale”. La prospettiva lineare, invece, concerne tecniche di disegno geometrico formalizzate sulla base delle stesse leggi ottiche cui obbedisce la prospettiva lineare. La prospettiva si fonda sulle leggi elementari dell'ottica, e in particolare sul fatto che gli oggetti distanti proiettano immagini retiniche più piccole e meno definite rispetto a quelli vicini. La prospettiva lineare traduce graficamente l'effetto di riduzione scalare delle superfici determinato dalla distanza. Quando si fa riferimento alle proiezioni geometriche mirate ad ottenere un effetto tridimensionale, si fa riferimento a tre tipi: lineare, isometrica e inversa o invertita, il punto di fuga è situato all’esterno del quadro. La prospettiva isometrica compare spesso nei manuali, perché ci mostra la forma solida di un oggetto e di mantenere simultaneamente costante i rapporti di grandezza fra le parti. Se io disegnassi un motore con le leggi della prospettiva lineare non sono in grado di valutare le grandezze, qui non sorge non vi è un effetto di diminuzione legato alla distanza, riesco a comprendere le relazioni. La prospettiva inversa o bizantina, ha il punto di fuga all’esterno, ma in realtà non esiste ed è semplicemente una rappresentazione errata di un fenomeno visivo. Gli antichi egizi, greci e romani indicavano la profondità dello spazio nei dipinti mediante una serie di accorgimenti più o meno rudimentali, come l’interposizione. A Roma, la parola perspectiva (dal verbo perspicere, ‘vedere chiaramente!) indicava la 'scienza della visione' e corrispondeva al termine greco 'ottica'. Nonostante fossero arrivati a utilizzare talvolta la convergenza apparente delle linee parallele di profondità, i pittori e gli scenografi greci e romani, legati all'esperienza della visione reale, non giunsero mai a determinare un 'punto di vista' fisso e immutabile capace di coordinare tutti gli aspetti della visione. Quando noi guardiamo una scena visiva reale facciamo un sacco di movimenti oculari e della testa, e quindi la geometria proiettiva sulla retina muta di continuo. Questo fatto è un impedimento a ricavar delle leggi dell'ottica se si è così osservatori naturali. Solo l'occhio dell'artista riesce a cogliere questi movimenti. La comprensione scientifica delle leggi della prospettiva è quindi un'acquisizione relativamente recente nella storia. Queste leggi furono per la prima volta descritte con precisione in Italia da Leon Battista Alberti, il quale illustrò i procedimenti della costruzione di scene prospettiche nel suo trattato De Pictura (1435). Ma già tra la fine del XIVe l'inizio del XV secolo, gli artisti erano arrivati a sviluppare una coscienza intuitiva della prospettiva; tuttavia, fu l'architetto fiorentino Filippo Brunelleschi che, con una serie di esperimenti attuati tra il 1417 e il 1420, mise a punto con esattezza le leggi della prospettiva lineare centrale. | pittori fiorentini Masaccio e Paolo Uccello furono tra i primi ad assimilare e ad applicare tali regole prospettiche. L'esempio intuitivo più semplice del principio della prospettiva lineare è offerto dalla percezione visiva illusoria per cui i binari della ferrovia sembrano avvicinarsi fino a convergere all'orizzonte. In un disegno prospettico, la superficie del foglio o della tela è chiamata piano di proiezione; l'orizzonte è la linea orizzontale che divide il piano di proiezione individuando l'altezza del punto di vista dell'osservatore ideale; il punto di fuga, collocato sull'orizzonte, è quello in cui convergono tutte le linee di profondità. | punti di fuga possono essere più d'uno, a seconda dell'allineamento degli oggetti presenti nella scena raffigurata. Il punto di fuga, punto di profonda. L'arte medievale si è concentrato primariamente sulle forme, e tramite le forme ha definito lo spazio. Il modo medievale di determinare lo spazio ha una sua aderenza all'esperienza visiva del quotidiano, in cui lo spazio è un contenitore la cui apparenza è determinata da strutture, superfici ed oggetti delle più svariate forme e caratteristiche visive. In fondo, una stanza vale l’altra, quello che fa la differenza è la presenza di cose nella stanza, i loro colori, la loro disposizione. Scopo dell’arte medioevale non era tanto quello di dare una forma coerente allo spazio, quanto quello di mostrare la solidità tridimensionale delle forme, le quali modulano lo spazio visivo. In un certo qual senso, quindi, quello dei dipinti medioevali è uno spazio con una propria coerenza. La coerenza dell'approccio medievale allo spazio pittorico consiste nel fatto che gli artisti compresero che gli oggetti sono spazio allo stato solido. Al fine di ottenere una solidità tridimensionale stabile è necessario modulare quella materia che non solo è altamente mutevole ma anche alquanto effimera, cioè la luce. | consigli di Cennini sul modo di adoperare la luce la dicono lunga sull'importanza dell’ombreggiatura nell'arte medievale prima dell'avvento dello sfumato infinito di Leonardo Da Vinci: lo scopo non era quello di cogliere un umore vago, di amalgamare personaggi e cose all’interno dell'atmosfera pastosa dello spazio pittorico, bensì quello di rendere una tridimensionalità tangibile e allo stesso tempo ieratico. Non si trattava di fare dipinti in cui perdersi con lo sguardo, ma di creare personaggi, oggetti, città che dovevano staccarsi dallo sfondo pittorico per co-esistere nello spazio comportamentale. La luce era quindi al servizio dello spazio inteso come presenza solida nel mondo materiale. Era questo il modo di rappresentare la spazialità, in modo simbolico, dove il quadro fuoriesce e viene da me. Il grande vuoto: ombre e penombre. Le carenze e le ambiguità spaziali nell'arte medievale sono determinate in particolare da due fattori: l’uso di proiezioni assonometriche, degenerate col tempo in forme di prospettiva inversa, e la mancanza di ombre portate. Uno dei risultati di questi fattori è l'assenza di vuoto inteso come spazio arioso. L'esperienza dello spazio può essere caratterizzata in diversi modi: quello di oggetti solidi tridimensionali, e di vuoti. Alla maggior parte dell’arte medievale è venuta a mancare quest’ultima componente dell'esperienza spaziale-pittorica. Giotto fu il primo a sperimentare lo sfumato in funzione atmosferica e a cercare una geometria tale da rendere la superficie pittorica una finestra attraverso cui guardare all’interno di altri micromondi. Con Giotto, lo spazio si fa vuoto dopo mille anni di spazialità solida in occidente. Sono testimoni di questo fatto i due splendidi corretti, noti anche come cappelle segrete, che si trovano nella Cappella degli Scrovegni a Padova, giustamente decantati da Longhi (1952) che per primo riconobbe la loro funzione di finzione architettonica. Quello che più incanta in questi capolavori assoluti è la semplice ariosità dei due vani pittorici, che mostrano un sublime vuoto pieno di luce. Spazio e luce. La fisica ci insegna che vi è un legame molto forte tra spazio e tempo. È un legame che peraltro sperimentiamo sulla nostra pelle quotidianamente: lo spazio sembra poca cosa quando ci vuole poco tempo per percorrerla, e sembra infinito quando ci vuole molto tempo per spostarsi da un punto all’altro. È proprio una questione di relatività, anche se più sul piano psicologico che su quello fisico. A livello percettivo, però, vi è unlegame che è altrettanto fondamentale, quello tra spazio e luce. Spazio e luce sono infatti entità incastrate l'una nell'altra. Ciononostante, possiamo avere rappresentazioni efficaci di spazio senza una precisa qualificazione della luce, ma non possiamo percepire la luce senza che emerga un qualche vissuto spaziale. In altre parole, lo spazio c'è sempre; la luce modula lo spazio (vedi per esempio la prospettiva aerea, il ruolo delle ombre), ma non emerge sempre come forte presenza oggettuale all’interno dello spazio. L'importanza del lavoro di Giotto in relazione alla storia della rappresentazione dello spazio nell'arte occidentale consiste nell'aver portato all'interno della superficie pittorica ciò che gli artisti precedenti mostravano sopra la superficie pittorica, intesa più come un piano sopra cui far emergere le figure (uno scolpire quindi con colori e luce) che come una finestra attraverso cui guardare. Lo spazio rappresentato pittoricamente diventa quindi un contenitore, e come ogni contenitore è possibile che abbia dei vuoti, colmi però di luce. Con il Rinascimento, lo spazio reso pittoricamente si fa sempre più contenitore pieno di giochi di luci e ombre. In conclusione, la percezione dello spazio appare essere una caratteristica congenita del sistema visivo. In tal senso ogni segno su una superficie, sia esso accidentale o creato intenzionalmente, è suscettibile di divenire un indice pittorico di profondità e quindi di essere visto come qualche cosa d'altro posto in relazione a quello stesso spazio pittorico che esso stesso contribuisce a determinare sulla superficie materiale. È anche per questo motivo che qualsiasi segno tracciato sopra una superficie è in grado di specificare in termini pittorici un qualche aspetto della “realtà”. Il problema nella produzione artistica è quello di definire semmai l'aspetto o gli aspetti della realtà che devono essere rappresentati, come sostiene anche Arnheim. Nell'arte post-romana, per esempio, la realtà che si voleva rappresentare era la consistenza materiale delle cose. Lo spazio non solo era modulato dagli oggetti rappresentati, esso consisteva in quegli stessi oggetti. La luce era l’utensile per rivelare quel tipo di spazio, ma non fu oggetto di rappresentazione per se stessa (se non come entità simbolica congelata, come nelle aureole). È con l’arte rinascimentale, come fu già nell'arte greco-romana, che si cerca di rappresentare uno spazio in modo “oggettivo”. Mentre nell'arte greco-romana l’oggettivizzazione era un processo lasciato ancora all’intuizione, nell'arte rinascimentale si prefigura come scienza in seguito all'adozione di precise regole geometriche. Tuttavia, l'esito percettivo rende l'opera più soggettiva ed empatica, in quanto più verisimile all'esperienza visiva dello spazio comportamentale. Lo spazio prima di Giotto è uno spazio che si proietta verso di noi e si percepisce la solidità dei soggetti, con l’arte rinascimentale è accompagnata da una rappresentazione coerente dello spazio interno. Hanno concepito un lume interno all'opera pittorica e doveva generare un gioco di luci coerenti. Lo storico dell’arte Panofsky espresse una tesi molto importante, secondo cui la prospettiva lineare non solo assolveva una funzione oggettivante, ma anche una funzione simbolica. Ogni rappresentazione spaziale è, per così dire, una espressione simbolica della cultura che l’ha sviluppata, in quanto è espressione di un punto di vista circa la realtà di cui vuole essere una rappresentazione visiva. Lo sviluppo della fotografia ha determinato una crisi importante nel mondo dell’arte, crisi talvolta sottovalutata dagli stessi operatori. Il mezzo fotografico era in grado di rendere in modo oggettivo la scena osservata, e nel fare ciò furono molti gli artisti che si sentirono privati del loro privilegio creativo. Delacroix descriverà la fotografia come “la matita della natura”, mentre Ingres si chiese, sconcertato, quale artista avrebbe mai potuto raggiungere certi livelli di realismo. Aldilà dello sconcerto iniziale, l'avvento della fotografia libererà gli artisti da certe costrizioni accademiche, lasciando liberi di avventurarsi in ricerche formali che sboccheranno nelle varie avanguardie che hanno caratterizzato la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. La fotografia diverrà primo strumento dell'artista, poi esso stesso mezzo d'espressione artistica. Ben presto si scoprirà che il mezzo oggettivo è in realtà molto soggettivo, nel senso che ripropone il punto di vista dell'artista. Sarà questa nuova constatazione, assieme alle possibilità di manipolare le immagini nelle camere oscure, a rendere la fotografia mezzo d'espressione artistica e non solo strumento di registrazione del reale. Come mezzo artistico la fotografia troverà ancora nuovi modi di rappresentazione spaziali. Lezione 14: Sulla robustezza delle immagini pittoriche L'immagine pittorica è la rappresentazione di qualcosa, che ha delle caratteristiche particolari e che ha la proiezione retinica perfetta quando noi la guardiamo centrale rispetto ad una superfice pittorica. Quando mi sposto succede che io ho delle proiezioni un po' diverse da quelle che avrei avuto se fossi rimasta nella mia posizione iniziale. La geometria proiettiva muta in base al mio spostamento. Ma quale è la mia percezione percettiva? Che nulla è mutato nella superfice pittorica. In questo senso di parla di robustezza delle immagini pittoriche. Nella Thatcher illusion, vediamo l'ex primo ministro britannico sempre sorridente quando l’immagine è capovolta. Quando invece i visi sono orientati secondo la loro posizione canonica, allora una delle due raffigurazioni ci appare grottesco. Un quadrato appare tale se uno dei lati è orizzontale rispetto al piano pittorico. Se il quadrato è ruotato di 45° si vede un rombo, ovvero un'altra figura geometrica. L'orientamento dello scheletro strutturale può modificare il modo in cui noi vediamo una forma, anche per quanto riguarda aspetti quali equilibrio e tensioni. Nel caso del quadrato che si trasforma in rombo, lo scheletro strutturale emergente è valido e stabile quanto quello del quadrato: i rapporti di simmetria sono mantenuti. L'ex quadrato, trasformatosi in rombo, perde in equilibrio ma acquista in dinamicità. L'orientamento spaziale presuppone uno schema di riferimento. In uno spazio vuoto, lo schema diventa l’orientamento retinico. La compresenza di forme può invece determinare il modo in cui viene inteso anche lo schema strutturale di una forma; nel caso sopra, quando il rettangolo che fa da sfondo al rombo è orientato a 45°, il rombo scompare e si vede un quadrato inclinato. Gli schemi di riferimento sono essenziali in tutti i processi di percezione visiva. Il sistema deve definire le caratteristiche strutturali dell'ambiente al fine di collocare in modo appropriato oggetti ed eventi presenti in quell’ambiente visivo. Ad esempio, a tutti capita prima o poi di provare l’esperienza del moto indotto. Se si è seduti nel vagone di un treno fermo in stazione, si può avere l'impressione che il treno si stia muovendo se si muove un treno nel binario accanto al nostro. L'illusione si presenta a noi perché guardando fuori dalla finestra nella direzione del treno in movimento assumiamo l'esterno, di cui fa parte l’altro treno, come schema di riferimento. La caratteristica degli schemi di riferimento è infatti quello di essere perlopiù rigidi, ovvero immobili. Siamo noi (o il treno in cui sediamo) i responsabili dei cambiamenti osservati all’esterno. Lo schermo di riferimento può condizionare il modo in cui si percepisce il movimento di un oggetto, per esempio modificando la traiettoria apparente. Riferimenti cinestesici e propriocettivi. Oltre al campo retinico e al contesto visivo, l'osservatore si serve di un terzo schema di riferimento, quello cinestesico, che riguarda l'informazione proveniente dai sistemi muscolari, e quello propriocettivo che deriva dal sistema vestibolare. L'esempio del treno offre già un esempio di come due sistemi di riferimento possano fornire informazioni opposte che poi in alcuni casi si traducono in impressioni illusorie, e perfino in sensazioni di malessere vero e proprio, come ad esempio nei vecchi videogiochi del tipo “sparatutto”. Proiezioni. Ruotare una figura può implicare la determinazione di una nuova figura a causa del subentrare di un nuovo schema strutturale. È il caso del quadrato che si trasforma in rombo. La rotazione può anche ridurre la riconoscibilità della figura, alterare l’interpretazione dei tratti interni, ridurre la coesione strutturale della figura stessa, nonostante la configurazione geometrica rimanga inalterata. Quelle che vedete sopra sono alcune possibili proiezioni sulla retina di una superficie a forma di rettangolo. Se ritagliate un rettangolo di cartone e lo illuminate con una piccola sorgente di luce, potete verificare voi stessi le infinte proiezioni possibili osservando le diverse ombre generate modificando l'angolo d'illuminazione. In senso metaforico, l'ombra corrisponde grossomodo alla proiezione della forma del rettangolo nel vostro occhio quando lo guardate da posizioni diverse nello spazio. Se l’immagine di una superficie (oggetto) come il rettangolo proiettata sulla retina può assumere così tante forme, com'è che noi identifichiamo il più delle volte correttamente l'oggetto visto? Il problema è noto come costanza di forma. Alcuni ritengono che la costanza di forma sia legata all'esperienza passata (cognitiva), altri studiosi ritengono che vi siano dei sistemi automatici di compensazione dell'immagine (gestaltista), altri ancora ritengono che l'informazione ottica contenga invarianti di struttura (approccio gibsoniano). Il problema risulta particolarmente interessante se si considerano le opere pittoriche, ed in particolare quelle più tradizionale, ovvero figurative. Un problema riguarda la robustezza delle immagini pittoriche. Un altro problema riguarda le immagini che “ci inseguono” con gli occhi. La foto di Nixon si vede in modo “normale” anche se guardate quest'immagine di lato (non centrato). La foto della foto di Nixon appare invece sempre distorta. Quanto detto per la foto di Nixon vale anche qui: anche se guardiamo la foto in modo non centrale, Geldof non appare distorto. La foto della sua foto appare invece sempre distorta. La foto di Geldof è un'immagine di prim'ordine, la foto della foto di Geldof è un'immagine di secondo ordine. In quest'opera un artista è ritratto mentre ritrae la moglie. Tecnicamente il quadro assomiglia alle fotografie precedenti, ad eccezione per il fatto che in questo caso la riproduzione dell'immagine della moglie non appare distorta. È ipotizzato che la robustezza delle immagini pittoriche sia legata al fatto che le l'informazione relativa alla superficie di supporto è disponibile. A tal proposito, così scrive Gerbino (1989, p. 121): “Accade così che l'osservatore sia consapevole della propria collocazione in due modi. In quanto parte della realtà pittorica, l'osservatore rimane in una posizione costante rispetto alla scena raffigurata. In quanto parte della realtà ambientale, l'osservatore occupa un punto dell'ambiente corrispondente alla propria posizione rispetto alla superficie di supporto. Per semplicità potremmo dire che l'osservatore si scinde, da una parte, in un io pittorico costante e, dall'altra parte, in un io ambientale variabile.” Quando la superficie pittorica non è resa visibile (casi di trompe l'oeil, per esempio), l'immagine appare distorta quando non è guardata dal punto di osservazione esatta che garantisce l’appropriata proiezione geometrica sulla retina. Hans Holbein fa un quadro in cui c'è un momento che ti ricorda che devi morire, ovvero il teschio che se fosse collocato sulle scale lo potremmo vedere non deformato. È stato dipinto in anamorfosi e il suo dipinto è uno dei primi in cui i personaggi sono ritratti a grandezza naturale. L'arte anamorfica rappresenta un'eccezione, in
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