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Appunti del corso ECONOMIA E MARKETING DEI MEDIA E DELLE IMPRESE CREATIVE, Appunti di Storia Dei Media

Appunti completi del corso Economia&Marketing dei media e delle imprese creative a.a. 2021/2022 + interventi su: branded content, cinematografia italiana, sostegni europei alla cinematografia, kids tv, organizzazione Mediaset

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 20/06/2022

lilim98
lilim98 🇮🇹

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Scarica Appunti del corso ECONOMIA E MARKETING DEI MEDIA E DELLE IMPRESE CREATIVE e più Appunti in PDF di Storia Dei Media solo su Docsity! ECONOMIA E MARKETING DEI MEDIA E DELLE INDUSTRIE CREATIVE 7/10/21 L’APPROCCIO ECONOMICO AI MEDIA Se non si ha la possibilità di quantificare, non si ha modo di vedere quanti sono i consumatori, e questo genererebbe un problema perché non sarebbe possibile orientare gli investitori pubblicitari. Non solo è necessario quantificare, ma bisogna anche farlo seguendo standard condivisi per essere certificati. In quest’ambito è molto importante il concetto di conglomerati mediali, o media giants => nell’economia dei media, più un’impresa è grossa e più è avvantaggiata perché può aumentare i suoi profitti, e quindi c’è una tendenza a creare oligopoli. Un medium è composto da 4 elementi: 1. testo  linguaggio, generi, intertestualità, ... 2. istituzione  regolamentazione e censura (Stato), organizzazione produttiva (apparato), competizione e concentrazione (mercato) 3. pubblico  effetti/influenza, usi, consumo, ... 4. tecnologia  innovazione, rimediazione, ... L’economia dei media si colloca nell’ambito dell’istituzione, ma non può ovviamente ignorare gli altri aspetti di sistema. L’approccio dell’economia dei media, quindi, è un approccio composito/articolato, ovvero gli interessi sono diversificati e si spostano su livelli diversi. L’economia dei media si occupa dell’analisi del funzionamento delle imprese mediali, dei mercati e dell’industria dei media in generale. Robert Picard  l’economia dei media si occupa dei modi con cui si soddisfano, con le risorse a disposizione, le esigenze di informazione e intrattenimento del pubblico, quelle degli investitori e della società. Nel mercato, alcuni soggetti sono disposti ad acquisire (domanda) i prodotti/servizi di altri soggetti (offerta). L’economia dei media ha a che fare tanto con dinamiche macro-economiche, ovvero relative alle grandi aggregazioni economiche (ad es. PIL/GDP annuo), quanto con quelle micro-economiche, ovvero relative a specifici e singoli mercati (consumatori, imprese e Stato) => mercati a due versanti. Gli scenari analizzati sono sia nazionali, perché regolati da una serie di leggi nazionali, che sovrannazionali, in particolare per paesi con forti legami con l’estero (ad es. la stessa Italia che fa parte dell’UE e deve sottostare alle direttive europee). Nel settore dei media la competizione è un punto cardine perché è duplice:  competizione tra diversi media  prima di tutto per ottenere il tempo degli spettatori, poi per le inserzioni, per i contenuti, ... (ad es. tv vs. Internet)  competizione nei diversi media  tra i diversi attori (ad es. Rai, Mediaset, Discovery, ...) Importante è anche l’assetto organizzativo, il management e la gestione delle imprese mediali, che sono un tipo particolare di impresa perché si occupano della produzione e della distribuzione di contenuti di informazione e intrattenimento. Anche l’impresa mediale ha come obiettivo la massimizzazione del profitto, ma a volte può perseguirne altri, ad esempio obiettivi di servizio pubblico. Obiettivi dell’approccio economico L’economia dei media si caratterizza per un approccio composito: 1. capire la rilevanza della variabile economica nei media 2. conoscere il funzionamento della macchina delle industrie mediali e i meccanismi sottesi 3. individuare i processi e i professionisti coinvolti 4. capire le ragioni effettive dell’orientamento di una impresa Il sistema dei media, secondo il concetto classico, è diviso in quattro ambiti: editoria, vettori/reti, hardware/software e broadcasting. Se, però, si considera il sistema dei media “ristretto” si hanno solo tre ambiti, ovvero editoria, telecomunicazioni e informatica => questi ambiti tendono sempre di più a convergere tra loro. Tra i 3, l’economia dei media si focalizza sulla parte editoriale, dove le industrie dei media sono intese come produttori di contenuti scambiabili in base a valori economici e destinati a essere trasmessi nello spazio e nel tempo per mezzo di supporti fisici o reti informatiche. L’INDUSTRIA DEI MEDIA L’industria dei media presenta tratti distintivi e unici, per questo è separata da quella generale: a) produttività del lavoro  la parte più rilevante del valore economico deriva dal lavoro creativo, intellettuale e/o artistico di artisti molto contesi (risorsa scarsa) e non può essere sostituito dal lavoro di macchine al fine di aumentare la produttività. La scarsità di professionisti e il basso aumento della produttività causano crescenti costi di produzione, perciò le imprese devono cercare di aumentare le entrate vendendo di più o aumentando i prezzi. È necessario dotarsi di professionisti che garantiscano contenuti di successo perché l’economia dei media è caratterizzata da una forte incertezza 1 b) forma immateriale dei contenuti  i contenuti possono essere distribuiti e consumati tramite supporti fisici, oppure fatti circolare attraverso una rete di telecomunicazioni, ma in sé sono immateriali (ad es. una notizia sul giornale) c) doppio valore del prodotto  sia economico che culturale, misurati con parametri differenti (quantità vs. qualità). Viene a crearsi una dialettica, ad es. i contenuti ad alto valore economico spesso hanno un basso valore culturale. A questa caratteristica si lega il discorso degli interventi pubblici di sostegno, motivati dalla presenza di valore culturale all’interno di un determinato contenuto d) mancanza di scarsità  la disponibilità di un prodotto non diminuisce con il suo consumo, conseguenza dell’immaterialità. Per di più, sono beni pubblici caratterizzati da non rivalità e non escludibilità del consumo. Questa caratteristica ha generato strategie finalizzate a proteggere il diritto di guadagno, per questo sono stati introdotti diritto d’autore e copyright, che consentono il consumo del contenuto senza poterlo rivendere e) costi marginali ridotti  è un’economia di prototipi e i i costi di produzione del prototipo sono molto alti, ma i successivi costi di riproduzione sono bassi perché ad essere alti sono i costi fissi e non quelli variabili, quindi più copie di fanno e più si abbassa il costo della singola copia perché i costi fissi vengono ripartiti su più copie. Si può contare su una forte economia di scala perché i rendimenti crescono in base a essa perché il valore economico consiste nella proprietà intellettuale, che è immateriale 11/10/21 f) minore flessibilità nella produzione, maggiore flessibilità nella distribuzione  i prototipi si adattano poco ai feedback dopo che sono stati distribuiti perché la produzione del prototipo finisce quando viene commercializzato, e quindi non è più possibile adattarlo e/o modificarlo. La distribuzione, invece, è più flessibile perché può adattarsi alle caratteristiche e alle esigenze di diversi gruppi per rendere il prototipo il più remunerativo possibile (ad es. un film rende in sala, in DVD, pay-per-view, ...). Questa distinzione vale per i prodotti finiti, di stock, mentre ci sono prodotti dove questa distinzione è meno evidente, ad es. sitcom oppure tutto il mondo unscripted, la cui produzione avviene man mano e consente di intervenire addirittura sul prodotto stesso g) forte incertezza e alto rischio economico  il mercato è fatto di best sellers, ovvero pochi successi che riescono a reggere l’intera industria (secondo la legge del 20/80 di Pareto: il 20% dei prodotti genera l’80% del fatturato). Per questo le imprese mediali hanno sviluppato specifiche strategie per far fronte a quest’incertezza e per sfruttare la long tail (= valorizzazione dei prodotti di nicchia per lungo tempo): vendita dei dritti di trasmissione dei film, composizione di dischi per unire brani di maggior e minor successo, ... ma anche i format in tv che riducono il rischio e le saghe e i sequel al cinema h) dualità del prodotto (two sided markets)  l’industria dei media genera mercati definiti “a due versanti” perché le imprese mediali realizzano due diversi tipi di prodotti venduti in due mercati distinti: i contenuti veri e propri e l’audience raccolta attorno al prodotto. Questo mercato genera una “remunerazione congiunta” che si combina in modo diverso a seconda del modello di business: legame di “affollamento pubblicitario”/prezzo di acquisto in tv commerciale o free press perché all’aumento del primo diminuisce il secondo (fino a gratuità); c’è finanziamento pubblico per merit goods diretto per la tv di servizio pubblico, o indiretto quando ci sono condizioni fiscali agevolate ad es. per produzioni cinematografiche i) ciclo di vita dei prodotti  i prodotti mediali possono essere distinti in due categorie a seconda del loro ciclo di vita: i prodotti “di stock” o a “utilità ripetuta”, ovvero contenuti che possono essere sfruttati per un lungo periodo di tempo e il cui valore non si esaurisce nel momento in cui viene distribuito, ma viene sfruttato da chi ne detiene i diritti per legge anche in tempi successivi e quindi richiedono una buona attività di marketing per valorizzare tutte le finestre distributive possibili (ad es. romanzi, film, canzoni, ...); i prodotti “di flusso”, ovvero che perdono valore dopo l’utilizzo o comunque in un tempo molto limitato, e quindi richiedono una rete distributiva molto veloce e capillare (ad es. quotidiani, notiziari, eventi sportivi, prodotti unscripted, ...) j) beni esperienza  il valore del contenuto è quantificabile solamente dopo averne usufruito, anche in termini di distinzione, condivisione, ... Richiedono un “lavoro di consumo”, ovvero richiedono di destinare tempo, energia ecc... per consumare e questo accresce la competenza nei confronti di contenuti successivi. Sono anche beni soggetti alla “legge del piacere decrescente” che afferma che il piacere generato da un’esperienza decresce in modo proporzionale al numero di riproduzioni e al lasso di tempo che intercorre tra una riproduzione e l’altra, generando incertezza L’industria dei media si presta molto bene alla creazione di economie di scala ed economie di scopo e privilegia le imprese che riescono a sfruttarle. 1. Si crea un’economia di scala quando i costi marginali sono inferiori ai costi medi, i quali diminuiscono all’aumento dei consumi del prodotto. Con questo tipo di produzione, le grandi imprese riescono a ottenere sconti su fattori di produzione, dividendo il lavoro in grandi imprese specializzate 2 teletext e televendite. Tenuto conto delle responsabilità dell'emittente televisiva verso il suo pubblico in fatto di informazione, educazione, cultura e svago, questa proporzione dovrà essere raggiunta gradualmente secondo criteri appropriati.  Articolo 5  Gli Stati membri vigilano, ogniqualvolta sia possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati, che le emittenti televisive riservino alle opere europee realizzate da produttori indipendenti dalle emittenti stesse il 10 % almeno del loro tempo di trasmissione, escluso il tempo dedicato a notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, pubblicità, servizi di teletext e televendite, oppure, a scelta dello Stato membro, il 10 % almeno del loro bilancio destinato alla programmazione. Tenuto conto delle responsabilità delle emittenti verso il loro pubblico in fatto di informazione, educazione, cultura e svago, questa percentuale deve essere raggiunta gradualmente secondo criteri appropriati; essa deve essere raggiunta assegnando una quota adeguata ad opere recenti, vale a dire quelle diffuse entro un termine di cinque anni dalla loro produzione Per verificare il rispetto di queste norme, ogni due anni gli Stati membri avrebbero stilato per la Commissione Europea una relazione con una rassegna statistica di quanto era stato mandato in onda. La violazione di questi due articoli comportava sanzioni altissime. La direttiva viene modificata varie volte: nel 1997, dove viene implementata; nel 2007, dove cambia nome in “Servizi Media Audiovisivi” e comprende tutti i servizi audiovisivi lineari (= broadcasters) e non lineari (= a richiesta individuale); nel 2010, dove cambia nuovamente nome in “Nuova Servizi Media Audiovisivi” e abroga la direttiva del 1989. Quest’ultima stabilisce disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti la fornitura e la circolazione dei servizi dei media audiovisivi (obblighi di informazione, divieto di incitazione all’odio, accessibilità dei servizi ai disabili, principi generali sulla pubblicità e sulle sponsorizzazioni, product placement). Nel 2018 è stato dato un via libera per rivedere la normativa in termini pubblicitari (tetto al 20% di un’ora) e di tutela dei minori + quota di produzione europea (30%) per OTT. Nel settembre 2021 l’Italia ha recepito le direttive europee in tema di servizi media audiovisivi e diritto d’autore. b. Fondo Eurimages (1989) c. Programma Media (1991) In ambito sovranazionale c’era il programma “Europa creativa”, finanziato 1,46 milioni di euro all’anno, che aveva obiettivi di promozione della diversità culturale linguistica e del patrimonio culturale europeo e di rinforzo della competitività dei settori creativi e culturali europei. All’interno del progetto i soldi venivano ripartiti nei vari ambiti, tra i quali c’era anche quello dei media con il Programma Media, che si poneva dieci obiettivi: 1. Formazione 2. Finanziamenti per lo sviluppo di opere audiovisive 3. Finanziamenti per lo sviluppo di videogames 4. Finanziamenti per la produzione televisiva 5. Fondi di co-produzione 6. Sostegno per l’accesso ai mercati 7. Sostegno alla distribuzione transnazionale 8. Audience development 9. Sostegno ai festival 10. Sostegno alle reti di cinema d. Comunicazione sul Cinema (2001) Nel 2013 la Commissione Europea ha pubblicato la “Comunicazione sul Cinema” riguardante gli aiuti di stato a favore delle opere cinematografiche e audiovisive che rispettano determinati criteri, tra i quali il più importante è il criterio del prodotto culturale che prevede che venga promossa la cultura attraverso i contenuti prodotti. Lo Stato membro riconosce l’utilità culturale del prodotto e la Commissione verifica se è idoneo o meno. I problemi del cinema italiano I finanziamenti per un film sono molto alti e sono destinati a crescere per fronteggiare la concorrenza internazionale e per retribuire le personalità artistiche che hanno lavorato. In Italia, oltre a queste problematiche, gli incassi erano modesti, le imprese di piccole dimensioni e l’importanza del cinema in discesa a causa della tv. Per questo nel 2004 viene emanato il Decreto Urbani, il più importante a livello cinematografico italiano. Le leggi italiane in materia cinematografica risalivano agli anni ’60 e ’90 e presentavano grandi criticità, per questo dalla fine del 1990 le regioni iniziano a sostenere la produzione audiovisiva e si rende necessario regolare la nuova situazione. Si arriva, quindi, al Decreto Urbani, che riforma completamente lo strumento di finanziamento ai film con tre strumenti: 1. finanziamento diretto ai film di interesse culturale 2. premi di qualità 3. finanziamenti alle sceneggiature ma introduce anche un doppio sistema di valutazione, una valutazione fatta al film e una all’azienda produttiva => se un produttore vuole chiedere un finanziamento diventa oggetto di valutazione da parte di una commissione giudicatrice, la quale valuta i contenuti prodotti precedentemente dall’impresa, la sua stabilità, la 5 sua capacità commerciale, ... e poi assegna un punteggio, che si sommerà al punteggio dato al film in termini di personale tecnico, artistico, sceneggiatori, ... Tuttavia, questo decreto presenta alcune criticità che vengono colmate con leggi successive, fino al 2017 con la legge Franceschini, che riforma il settore della produzione. La legge prevede: maggior presenza di film italiani in tv in prima serata, più investimenti da parte delle emittenti, più tutele per i lavoratori e un nuovo sistema di classificazione dei film per la tutela dei minori. 18/10/21 BRANDED ENTERTAINMENT (Giuseppe Suma) Il branded entertainment nasce dall’unione del concetto di intrattenimento e di product placement ed è una tipologia a sé stante di comunicazione che vede i brand agire come se fossero degli editori a tutti gli effetti. Alla base del branded entertainment c’è lo storytelling a prescindere dalla finalità del contenuto. Definizione Il branded entertainment è una leva di comunicazione che si traduce nella realizzazione di progetti editoriali dal forte valore intrattenitivo, di cui il brand è produttore o co-produttore. I progetti possono essere integrati all’interno di formati già esistenti (es. brand integration) oppure essere format creati ex novo (es. produzioni originali). È diverso dal product placement perché quest’ultimo è una semplice visualizzazione del prodotto o del marchio in un contenuto preesistente, senza integrazione tra brand e contenuto a livello narrativo o valoriale. La storia Fin dagli albori nel 1800, i brand hanno approcciato l’ambito della comunicazione di marca da due punti di vista: uno più tradizionale, con affissioni e inserzioni nei quotidiani; uno più innovativo, integrando il brand in un feuilleton per coinvolgere di più il pubblico e poi trarne beneficio. Alla fine del 1800 nasce il cinema e le imprese cinematografiche, per finanziarsi, stringono accordi con aziende che richiedono di inserire i loro prodotti all’interno delle pellicole. La prima azienda che stipula questo accordo con i Fratelli Lumiere è la Lever Brothers (oggi Unilever), che voleva pubblicizzare il proprio sapone Sun Light. Con l’inizio del 1900 e l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa il branded entertainment si fa sempre più strada, facendo nascere accordi di collaborazione sempre più strutturati in particolare tra produttori cinematografici e brand. Dagli anni ’20 con la radio negli USA si sperimentano nuovi formati, e così nascono le soap opera grazie alla Proctor&Gamble, che finanzia varie produzioni. Vengono collocate nella fascia oraria subito dopo pranzo per intercettare il pubblico di casalinghe e trattano tematiche che interessano a questo target come l’amore, le tragedie familiari e conflitti, mentre in coda vengono pubblicizzati i prodotti della P&G. questo tipo di contenuti era completamente prodotto dalle aziende pubblicitarie, e ciò permane anche dopo il passaggio alla tv. Tuttavia, dopo pochi anni, questa pratica viene interrotta e si ferma il branded entertainment di questo tipo. In Italia la pubblicità non è presente nella tv dei primi anni, ma viene introdotta dal 1957 al 1977 tramite Carosello. Con la nascita delle tv commerciali e la moltiplicazione delle aziende si rende necessario un tipo di comunicazione più diretta e mirata per specifici target e che riuscisse a concentrare ciò che doveva comunicare in brevissimo tempo => non c’è più necessità di raccontare storie e quindi si ricorre agli spot classici. In USA, invece, continua la pratica del product placement sia a livello cinematografico, che televisivo. Con l’inizio degli anni 2000 e la nascita di Internet le audience diventano sempre più frammentate e quindi rinasce il branded entertainment con le prime produzioni realizzate dai brand stessi. Anche in Italia ciò accade e per questo vengono emanati due decreti: il Decreto Urbani del 2004, che permette il product placement in ambito cinematografico; il Decreto Romani del 2010, che sdogana il product placement a livello televisivo. Grazie al digitale, la comunicazione del brand è diventata molto diversificata e cerca di coprire più media e piattaforme allo stesso tempo per poter ingaggiare al meglio la propria audience. Brand integration La brand integration è una sorta di evoluzione del product placement perché i messaggi e i valori del brand contaminano in modo studiato un contenuto editoriale o di intrattenimento, rendendolo protagonista e necessario. In alcuni casi, infatti, il brand è centrale nella costruzione di attività secondarie esterne al 6 contenuto (extended placement). Addirittura, ci sono alcuni format che integrano un brand all’interno della propria format bible. Ci sono varie tecniche di brand integration:  naming placement  è la più semplice e prevede che il nome del brand venga messo in risalto (es. “Il diavolo veste Prada”)  visual-screen placement  un prodotto diventa centrale nella storia e a volte ne è anche il motore narrativo (es. MacBook in “Sex and the City”)  script placement  non c’è una scena specifica dove si parla del prodotto, ma agisce sulla sceneggiatura secondo una logica di integrazione allargata (es. “The Internship” è ambientata nel Google Campus)  plot placement  il brand diventa parte integrante, o addirittura protagonista, del plot (es. in “Castaway” il pallone della Wilson è il migliore amico del protagonista)  reverse placement  non viene integrato un brand esistente, ma viene creato un brand all’interno di un prodotto per poi portarlo nella vita reale (es. la Duff Beer nasce ne “I Simpson”, ma poi è stata creata realmente) Original production Nelle original production il brand diventa produttore di contenuti, non si integra a terze parti, e nei contenuti realizzati rappresenta il suo mondo valoriale. L’obiettivo di questi contenuti è quello di intrattenere lo spettatore finale del prodotto che non è necessariamente cliente del brand. Il contenuto intrattenitivo è l’elemento principale e deve risultare interessante e ingaggiante per chi lo fruisce, e il brand può anche essere completamente assente dalla narrazione esplicita (ad es. nelle inquadrature, nelle citazioni, ...), sebbene sempre presente nella narrazione implicita => il prodotto deve riuscire a stare in piedi e a essere intrattenitivo anche se dietro non ci fosse un brand. Modelli di finanziamento Di base ci sono tre modelli principali di finanziamento per il branded entertainment: 1. full financing  il brand finanzia l’intero progetto ed è il caso delle original production 2. hybrid financing  è la modalità più diffusa per quanto riguarda la sponsorizzazione di canali tv, ad funded programs oppure co-marketing activities, dove il brand ed editore finanziano insieme la reliazzazione del progetto 3. integration revenues  il proprietario e finanziatore del formato è al 100% l’editore e il brand paga per ricevere visibilità all’interno di un progetto già commissionato, come nel caso di product placement e brand integration, guadagnando in un secondo momento dai ricavi del contenuto Distribution assets La distribuzione di un progetto di branded entertainment può avvenire attraverso:  owned media  canali di comunicazione in possesso dell’azienda (ad es. il sito web)  earned media  comprende tutte le ricadute spontanee che assume il contenuto branded (ad es. condivisioni, recensioni, like, ...)  paid media  canali di comunicazione che l’azienda deve pagare per usufruirne, sia tradizionali (es. tv, radio, cinema, ...) che digitali (app, game console, ...) Il contenuto è sempre mediale (cortometraggi, programmi tv, media event, prodotti musicali, ...) al centro del quale c’è lo spettatore e le emozioni => le persone devono immergersi nello storytelling ad alto valore emozionale. Bisogna mostrare il lato umano e l’autenticità dell’azienda, in modo che le persone si possano identificare in ciò che la marca vuole comunicare. A causa dell’avvento del digitale, è necessario mantenere un approccio interconnesso e ingaggiare la community il più possibile, sfruttando ogni occasione per costruire touchpoints. IL CASO TIKTOK TikTok è una piattaforma leader nel campo della fruizione di video da mobile. Nasce nell’agosto 2018 come eredità di Musical.ly, app di origine cinese poi comprata e inserita nel marchio TikTok, già lanciato nel mercato del sud est asiatico. TikTok esiste in tutto il mondo tranne che in Cina, dove c’è un’app gemella chiamata “Douyin”. La piattaforma è riuscita a cambiare il paradigma dell’intrattenimento, ponendosi a metà tra un social network e una piattaforma di intrattenimento: la motivazione per cui si entra su TikTok non è seguire i propri amici (logica del social network), ma perché si vuole fruire di un contenuto intrattenitivo => è definita una entertainment platform. È una piattaforma di UGC perché chiunque può caricare dei video senza qualche capacità particolare. Le caratteristiche:  è una piattaforma sound on  è full screen e permette un’esperienza totalmente immersiva durante l’utilizzo dell’app, quindi è first screen platform (= durante l’utilizzo di TikTok è impossibile fare altro)  c’è logica del bespoke creative, dove l’algoritmo premia i contenuti originali e non quelli ricaricati 7 terra) in beni/servizi tramite la loro lavorazione all’interno di una filiera. Nel nostro caso parliamo di beni mediali che hanno caratteristiche come l’immaterialità, la dimensione di bene pubblico, ... La funzione di produzione è, quindi, il rapporto tra input (ciò che viene immesso nel processo produttivo) e output (i risultati ottenuti) e varia anche grazie alle tecnologie utilizzate. I luoghi che realizzano questa trasformazione sono le imprese, e l’insieme delle imprese che producono lo stesso bene formano l’industria, la quale si frammenta in mercati distinti, pur mantenendo i legami intrinsechi. La finalità dell’impresa è massimizzare il profitto, e anche l’impresa mediale ha questo obiettivo, seppur con due declinazioni particolari: 1. l’impresa mediale può avere anche altri obiettivi diversi da quelli puramente economici (fini filantropici o benefici, egemonia, finalità pubbliche, ...) 2. la struttura istituzionale ha maggiore rilevanza nella definizione delle finalità (ad es. nelle public company proprietà e management sono separati, quindi i fini possono essere diversi dai profitti per gli azionisti, per esempio possono decidere di ridurre il profitto degli azionisti per espandere l’impresa) Il profitto si definisce come il risultato di “ricavi – costi/opportunità” = le aziende vedono i “costi” come “opportunità” perché si affrontano per ottenere un bene, ma corrisponde sempre a un mancato beneficio derivante dal non aver fatto lo stesso investimento in maniera diversa => le scelte dell’allocazione dei costi è sempre differente e non sempre si fa quella più corretta. Ovviamente, il risultato più produttivo si ottiene quando i fattori di produzione sono investiti nel modo più adatto. Una decisione essenziale è decidere quale sia il livello di produzione che porta il maggior profitto (ad es. una rivista deve decidere se stampare 100mila o 200mila copie). Nell’economia dei media la legge dei rendimenti calanti, che vede dei rendimenti molto forti all’inizio via via diminuire col tempo, vale meno data l’immaterialità del prodotto e delle relative economie di scala. Se l’economia dei media venisse lasciata alle sue leggi del mercato, le imprese tenderebbero a crescere perché ciò porta a maggiori vantaggi; tuttavia, prima o poi entrerebbero in conflitto con la regolamentazione e le norme generali, che si preoccupano che non vengano a crearsi eccessivi oligopoli o addirittura monopoli. Strutture del mercato Le possibilità di una azienda dipendono sempre dalle condizioni del mercato in cui si trova, il quale è condizionato dalle scelte delle imprese all’interno dello stesso. Il comportamento, l’efficienza e i profitti di una impresa dipendono dalla struttura concorrenziale del mercato in cui essa opera, in particolare  dalla quantità di attori rivali  dalle differenze tra prodotti  se due prodotti sono simili ma sono possono essere sostituibili allora non è motivo di concorrenza (ad es. “La Repubblica” e “La Stampa” sono due quotidiani ma non possono essere sostituiti l’uno con l’altro)  dal numero di acquirenti  dalla presenza di forti barriere all’ingresso  più alte sono, più il mercato è oligopolistico ed è difficile entrarci perché c’è bisogno di più risorse Il comportamento delle imprese, sebbene sia determinato dal mercato, a sua volta determina le prestazioni e le caratteristiche di quel settore industriale, creando un rapporto biunivoco. Nonostante l’attuale struttura del mercato porti le imprese a trovare modi per espandersi, minore è il controllo delle imprese sul mercato e più la struttura è competitiva, e quindi il mercato più efficiente => paradosso: mercati lasciati a regolarsi da soli sono destinati a fallire. Le forme del mercato in cui un’impresa può operare sono 4: 1. monopolio  mercato con un unico operatore che esercita il controllo totale sul mercato, quindi l’acquirente può rivolgersi solo a lui per comprare il bene/servizio. L’impresa può decidere le condizioni del mercato stesso, in primis il prezzo del bene.  La Rai del periodo 1954-1976 era l’unico operatore tv italiano stabilito dalla legge. Il suo era un monopolio “naturale”: data la scarsità frequenze, era ovvio che lo Stato le avrebbe date alla concessionaria del servizio pubblico e non a operatori privati (non solo in Italia ma in tutti i paesi europei)  La SIP (poi Telecom) negli anni ’90 ha instaurato un monopolio naturale nel campo delle telecomunicazioni 2. concorrenza imperfetta, oppure oligopolio  mercato con un numero limitato di concorrenti che esercitano controllo molto forte sul mercato. in questa forma di mercato, l’impresa esercita un forte controllo sul mercato. Per valutare quanto un mercato sia oligopolistico si utilizza i l’indice di concentrazione, il quale misura le quote di produzione, il numero di occupati o il fatturato delle prime 4/5 aziende di un settore. Si parla di oligopolio anche nel caso in cui, oltre alle poche imprese più forti, all’interno del mercato ci siano imprese piccole che posseggono quote marginali. È la struttura del mercato più tipica nel settore dei media perché poche imprese di grandi dimensioni riescono a ridurre i costi grazie a economie di scopo e di scala (= costi iniziali elevati, bassi costi di riproduzione e di distribuzione, vantaggi nella differenziazione), sebbene alcuni interventi pubblici anti-trust impediscano alle imprese di raggiungere il livello dimensionale di massima efficienza. In più, le alte barriere all’ingresso scoraggiano nuovi attori che vogliono entrare nel mercato, riducendo la concorrenza. Le 10 stesse economie di scala risultano essere delle barriere non indifferenti, in quanto nuovi concorrenti dovrebbero sostenere costi di avviamenti elevati per competere con imprese già consolidate.  Per lungo tempo il sistema televisivo italiano è stato un duopolio imperfetto perché gli unici operatori forti che dominavano il mercato erano Rai e Mediaset (96-97%), ma c’erano anche altri operatori marginali, principalmente enti locali, che controllavano piccole quote (3-4%)  Oggi i principali attori della tv generalista continuano a essere Rai e Mediaset, ma il loro controllo del mercato è meno forte rispetto al passato (60% circa) perché ci sono molti altri operatori in più 3. concorrenza monopolistica  mercato con numero consistente di concorrenti che producono beni diversificati e non sostituibili fra di loro. È una situazione molto più frammentata rispetto all’oligopolio, ma non è concorrenza perfetta perché i prodotti, per quanto simili, non sono sostituibili e quindi sono in grado di soddisfare bisogni/interessi differenti  La pluralità di canali radio e tv, giornali, prodotti musicali, film, ecc è un esempio: tutti hanno caratteri interscambiabili in termini di qualità, supporto, modalità d’offerta e prezzo, ma sono contenuti distinti e il loro pubblico non passa facilmente da un prodotto all’altro perché sono tutti diversi per stile, linea politica, generi, ... 4. concorrenza perfetta  mercato con tanti concorrenti che competono con prodotti simili e omogenei, quindi il consumatore finale ha vantaggio perché le imprese dovranno o abbassare i prezzi oppure migliorare la qualità per primeggiare, e quindi risultano essere più efficienti. Non c’è un’impresa che riesca a dominare il mercato e gli attori devono sottostare alle sue leggi, infatti le imprese devono sempre controllare i concorrenti prima di prendere una decisione. Tuttavia, rimane una situazione ideale ed estremamente rara, in quanto l’industria dei media spinge alla concentrazione e alla creazione di economie di scala Vertical supply chain, o filiera La realizzazione di ogni prodotto/servizio si può distinguere in alcune fasi e funzioni, separate e isolabili. Le fasi seguono una sequenza ordinata, che procede da monte (prima fasi del processo) a valle (consegna o vendita al cliente finale). Questa sequenza è definita vertical supply chain, anche chiamata filiera, ed è l’insieme delle fasi e delle funzioni. Il suo obiettivo principale è creare proprietà intellettuale, confezionarla e, tramite la distribuzione, ottenere i ricavi più alti possibili vendendola tante volte quante possibili al prezzo più alto possibile. Ciascun medium organizza la propria filiera in alcuni passaggi, tenendo conto delle proprie caratteristiche o specificità. In generale, si possono distinguere 3 momenti principali: 1. produzione  realizzazione artistica e operativa del contenuto mediale (notizia, film, canzone, programma tv...) 2. confezionamento  raccolta dei contenuti in un servizio commercializzabile (notizie in giornale o rivista, canzoni in un disco, programma tv nel palinsesto, ...) 3. distribuzione e vendita  consegna del prodotto al suo destinatario, di solito il pubblico (diffusione del segnale, distribuzione delle copie, ...) Le fasi della filiera sono interdipendenti, ossia acquisiscono senso e valore l’una dall’altra. Non c’è una fase più importante e non sempre le imprese svolgono tutte e tre le fasi internamente, anzi, in quel caso abbiamo delle integrazioni. Se un solo operatore monopolizza una certa fase della filiera si rischia di incappare in un “collo di bottiglia”, ovvero tutte le imprese che operano a monte o a valle rispetto al monopolista dovranno rivolgersi necessariamente a lui e ciò potrebbe rallentare o modificare le azioni delle imprese stesse. Grazie al digitale, è possibile semplificare e disarticolare, almeno in parte, la filiera produttiva tradizionale e fisica (ad es. la filiera della musica). 28/10/21 LA CONGLOMERAZIONE I mercati dei media sono solitamente molto influenzati da fattori tecnologici e da leggi e regolamenti statali, che pongono limiti alla concorrenza e/o alla concentrazione. Tuttavia, negli ultimi 25 anni, processi come la digitalizzazione ed erosione dei confini tra i vari media, la deregulation e caduta di numerosi vincoli legislativi e la convergenza economica hanno dato una spinta al fenomeno della conglomerazione. Tramite processi di conglomerazione (fusioni, acquisizioni, accorpamenti) le imprese tendono a diventare sempre più grandi, a operare su più mercati, ad accentrare i vari passaggi della filiera produttiva, ad ampliare le loro quote di mercato. Ciò risulta in un indice di concentrazione molto alto, ad esempio negli USA nel 1983 il 90% dei media era diviso tra 50 aziende, nel 2011 in solamente 6. Tradizionalmente le aziende rimangono nel loro mercato nazionale, con il proprio pubblico e abitudini di consumo precise, ma il cambiamento tecnologico, digitalizzazione e semplificazione, l’erosione dei confini che limitano i mercati dei media e la globalizzazione le spingono a internazionalizzarsi. Questo processo di allargamento geografico ha portato imprese multinazionali a far circolare i loro prodotti in tutto il mondo, aprendo anche filiali operative in altre nazioni => tendenza che favorisce la possibilità di sfruttare i vantaggi dell’industria mediale e di poter lavorare su mercati differenti. 11 Strategie di espansione La digitalizzazione, la conglomerazione e la globalizzazione permettono di individuare differenti strategie di espansione e allargamento dell’impresa mediale. Ci sono 3 tipi di espansione: 1. orizzontale  si uniscono due imprese che operano allo stesso livello della filiera e svolgono la stessa funzione. Si attua una espansione del genere per aumentare le quote di mercato, per ottimizzare le risorse e l’efficienza e introdurre economie di scala. I vantaggi riguardano la possibilità: di raggiungere una maggiore efficienza dell’impresa (per via delle economie di scala e scopo); di ridurre i costi di riproduzione (costi marginali tendenti allo zero e maggiori ricavi con maggiori spettatori); di sfruttare risorse inutilizzate e condividendo risorse specializzate per aumentare la produttività, ripartendo meglio i costi fissi; di poter fare “massa critica” e quindi esercitare un potere maggiore su fornitori e acquirenti. Questo tipo di espansioni porta a una tendenza oligopolistica dei mercati, ma risulta in guadagni di efficienza per l’impresa che crea sinergie  Fininvest che, dopo aver fondato Canale 5, ha acquisito Rete 4 e Italia 1 2. verticale  un’impresa si espande nelle fasi della filiera immediatamente precedenti (a monte, verso la produzione) o successive (a valle, verso la distribuzione e vendita) alla propria. Ciò risulta nella diminuzione dei costi di transazione tra una fase e l’altra e nell’aumento di controllo sul mercato e sull’ambiente. I vantaggi riguardano: per un produttore l’accesso ai diversi pubblici, per un distributore il rifornimento di contenuti; il miglioramento dell’efficienza e della sicurezza in quanto la filiera diventa prevedibile e controllabile; l’acquisizione di potere sul mercato. Tuttavia, più grande è il controllo della filiera e maggiore è il rischio di dominio sul mercato (ad es. elevate barriere all’ingresso per i nuovi player, ...)  La filiera italiana è molto integrata verticalmente, ad esempio il produttore Rai Cinema possiede il distributore 01 Distribution 3. diagonale, o laterale, o trasversale  l’impresa esce dalla sua filiera e diversifica le sue attività in nuove aree di business, o su altri mercati nazionali. Ciò risulta nella riduzione di rischi d’impresa, che vengono spalmati su più settori differenti, aumentando le economie di scala e scopo. I vantaggi riguardano: la condivisione di risorse specializzare su più tipi di prodotti mediali, di contenuti specializzati, di un’infrastruttura distributiva; la creazione di marchi molto forti operanti su più piattaforme; l’eliminazione di sovrapposizioni nelle filiere produttive attraverso la digitalizzazione; la creazione di economie di multiformità; la promozione incrociata, che rischia di portare a una posizione dominante; la riduzione di rischi siccome si opera in più mercati. Questo tipo di espansione ha risultati più soddisfacenti quando c’è coerenza tra generi o brand (ad es. Il Sole24Ore che ha Radio24 e utilizza le stesse notizie e gli stessi giornalisti)  Fininvest che ha acquistato la casa cinematografica Medusa ha integrato diagonalmente CASO: L’espansione di Vivendi Vivendi è un colosso mediale europeo nato attorno agli anni ’80 dalle ceneri della Compagnie Générale des Eaux (CGE). La storia di questa azienda fa capire come la Francia abbia pianificato la costruzione di un proprio gigante nazionale, viste anche le politiche dei media molto nazionaliste. All’inizio, Vivendi operava principalmente sulla filiera degli audiovisivi perché controllava Canal+ (la prima tv a pagamento europea) e StudioCanal (la principale casa di produzione di contenuto scripted francese), e ha poi acquisito telcos come Numericable e SFR e la storica società di pubblicità Havas. Gli anni di grande espansione di Vivendi, nel decennio dei ‘90, vedono l’acquisizione della Universal e una forte spinta verso l’internazionalizzazione, in particolare nel settore delle telecomunicazioni in paesi vicini culturalmente alla Francia come Maroc Telecom, Vizzavi e Pathé!. Con l’inizio degli anni 2000 (era Bolloré) e l’arrivo di un nuovo amministratore delegato che porta due nuovi canali free to air, c’è una progressiva riorganizzazione dell’impresa e ridefinizione degli asset: ora opera su due principali pilastri, ovvero gli audiovisivi (Canal+, StudioCanal, ...) e la musica (Universal Music Group). MERCATO DEI MEDIA IN ITALIA In Italia alcuni mercati sono controllati da AGCOM, autorità indipendente di regolamentazione del settore, i cui ambiti principali sono:  servizi di telecomunicazione  servizi mediali e editoriali, in particolare audiovisivi e radiofonici  servizi postali 12 promozione di un film, rappresentando sia un trampolino di lancio che un riflettore per film che altrimenti andrebbero persi nella vasta scelta di contenuti a disposizione, permettendo al film di continuare a remunerare e avere buona vita economica anche dopo le proiezioni con la vendita dei diritti. I mercati dopo la sala sono stati sempre chiamati “mercati secondari” perché successivi alla sala e meno remunerativi, e spesso erano anche considerati come qualitativamente inferiori => se un film usciva direttamente in home video senza passare per la sala voleva dire che aveva meno prestigio. Un’altra definizione è stata “mercati ancillari”, perché esterni alla sala. Ultimamente si è diffusa la definizione “mercati post-sala”, che richiama l’idea della secondarietà temporale rispetto alla sala senza implicare le accezioni economiche e qualitative dei precedenti termini. I problemi dell’industria cinematografica europea In Europa si consumano tanti prodotti USA ma non avviene il contrario perché gli USA non sono interessati a ciò che non è stato prodotto da loro stessi. C’è, quindi, un forte disequilibrio commerciale tra Europa e USA e non c’è interscambio di prodotti. Se si osserva la top 25 film europei del 2019, si possono notare molti film francesi e inglesi, soprattutto in collaborazione con gli USA. Al diciannovesimo posto troviamo l’unico film italiano, “Il primo Natale”, che fa capire la logica della classifica: il successo dei film nella classifica non è da imputare al grado di circolazione paneuropea, che effettivamente è molto basso, ma al successo riscosso in patria. Quali sono i problemi della industria europea?  Scarsa dimensione dei paesi europei, quindi bassi budget perché c’è rischio di non rientrare nei costi dato che si parte dal presupposto che il film non uscirà dal paese di origine. Questo limite colpisce i paesi europei in misure diverse, ad esempio Italia, Francia e Germania sono meno colpite rispetto a Belgio, Austria e Svizzera  Frammentazione linguistico-culturale del mercato europeo che non è assolutamente omogeneo, quindi l’esportazione non è una cosa ovvia perché c’è cultural discount, ovvero una perdita del valore di un prodotto nel momento in cui viene esportato in un paese con cultura diversa perché non è in grado di capirlo e non lo apprezza (ad es. i film italiani di maggior successo sono i cinepanettoni e i film di Checco Zalone i cui concetti alla base, come il posto fisso o la Prima Repubblica, sono sconosciuti agli altri paesi europei e sono anche intraducibili, e i cui attori provengono principalmente dalla tv italiana, sconosciuta all’estero, nonché fortemente connotati dall’appartenenza e dalla parlata regionale, non riconoscibile da un orecchio straniero)  Radicamento territoriale dei film, ma anche nelle culture nazionali (esempio sopra), e ciò rende il film difficilmente esportabile. Ci sono comunque pochissime eccezioni, come “La Grande Bellezza”  Tradizionale idea del film come opera d’arte a scapito dell’idea di film come prodotto economico commerciale. In Europa il film è visto come espressione del talento artistico e della visione del mondo di un regista  Competizione esercitata dai film hollywoodiani, realizzati con maggiori risorse e ideati già per raggiungere un pubblico diversificato a causa delle varie etnie che compongono la popolazione americana + Abitudine di consumare prodotti americani (per questo ci sono aiuti al cinema da molto tempo, in Italia perfino dal fascismo) Queste criticità sollevano preoccupazioni di carattere: - economico  gli investimenti non sono remunerativi e il denaro europeo lascia l’Europa in favore degli USA - culturale  eccessiva influenza e dipendenza da paesi esteri, in particolare USA, e quindi l’autodeterminazione dei popoli (= diritto di rappresentare il mondo, i valori e l’identità di un paese) è a rischio Politiche pubbliche a sostegno del cinema Se negli USA sono i produttori che fanno film al di fuori degli studios, in Europa gli indipendenti operano al di fuori dei broadcasters, che sono i corrispettivi europei degli studios. Il sostegno pubblico al cinema è uno dei due pilastri, insieme alla tv, della cinematografia italiana, nonché le principali fonti di finanziamento oltre ai finanziamenti privati. I sostegni al cinema in Europa ci sono dagli anni ’30 e sono nati per correggere il fallimento del mercato, ovvero il fatto che la concorrenza nel settore non è in grado di tutelare alcuni interessi della collettività. Se si lasciasse libero il mercato alcuni interessi non verrebbero tutelati, ad esempio le industrie europee non riuscirebbero a fare fronte alla competizione con gli USA oppure ci sarebbe uno schiacciamento di prodotti verso quelli puramente commerciali a scapito di quelli culturali. Gli obiettivi sono, quindi:  difendere il diritto di ogni nazione ad avere una propria industria cinematografica e, attraverso essa, autorappresentarsi  tutelare e garantire la diversità e la qualità dell’offerta  consentire la produzione di film ci cui il pubblico non è in grado di riconoscere immediatamente il valore 15 In quest’ottica, i film (o perlomeno, la maggior parte) vengono considerati beni meritori (merit goods), ovvero sono portatori di un valore artistico-culturale irrinunciabile per la collettività. In virtù di questo valore, vengono sostenuti a prescindere dai comportamenti di consumo del pubblico. Tuttavia, si possono creare situazioni contraddittorie: - il film va male nel mercato  è un rischio calcolato ma - se non lo va a vedere nessuno è stato un investimento sterile vero, ma - non si sa se come sarebbe andato senza investimento pubblico, forse anche peggio quindi => difficile risoluzione, opere che riescono a trovare un equilibrio tra valore di mercato e valore culturale esistono ma sono pochi e non sono la regola. Dall’economia del cinema all’economia del film Più che l’economia, è il film come prodotto a riuscire a catalizzare l’attenzione di vari stakeholders che hanno interessi diversi. Riesce a passare da produttori, distributori ed esercenti, attraversando anche diversi modelli di business (free, pay, TVOD, SVOD, AVOD, ...) a seconda di diverse finestre: sala  pay-per-view/TVOD  pay tv/SVOD  tv free/AVOD. Il film ha doppio valore, ovvero economico (rientra nel SIC) e culturale (regolamentato dal MiBAC/MiC). In Italia il costo medio di un film è 1,8 milioni di euro, molto basso rispetto agli standard americani, e ciò non è un bene. CASO: La Grande Bellezza (2013) “La Grande Bellezza” è costato 9,5 milioni di euro, significativamente al di sopra della media italiana. La Indigo Film, la casa di produzione di Paolo Sorrentino, ha chiesto l’accesso al tax credit per ottenere uno sconto fiscale del 15% sulle tasse (tax credit interno) => con tax credito lo stato non dà soldi al film, ma scala il 15% dalle tasse di fine anno alle aziende che hanno finanziato il film. I finanziamenti sono stati così raccolti: Quanto Chi Perché ha finanziato 1 100 000 € Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT), oggi Ministero della Cultura (MiC) È un prodotto artistico e culturale 300 000 € Unione Europea Programma MEDIA per sviluppare il progetto (sceneggiatura, soggetto, ...) 600 000 € Consiglio d’Europa Fondo per le coproduzioni europee EURIMAGES (il film è stato coprodotto con la Francia) 315 000 € Regione Lazio Ogni regione italiana ha un fondo per finanziare i film girati sul proprio territorio. Motivazione: se una produzione arriva sul territorio, spende e crea posti di lavoro, si appoggia su ristoranti e altre attività commerciali => quindi finanziamenti per attirare le produzioni 5 200 000 € Medusa Ha acquisito i diritti per poterlo distribuire circa 80 000 € Biscottificio di Verona Ha fatto tax credit esterno (riservato alle imprese che non lavorano nel campo cinematografico ma che investono nel cinema) ottenendo uno sconto fiscale pari a circa il 40% del loro investimento Banca Popolare di Vicenza Ha fatto tax credit esterno e siglato accordi di product placement Acqua San Pellegrino Ha siglato accordi di product placement + 3 partner francesi Il produttore non è sempre colui che mette la maggior parte dei finanziamenti, ma è più spesso quello che li raccoglie da altre fonti. I primi soggetti a cui deve vendere il film non sono gli spettatori, ma i finanziatori, che devono credere nel progetto e investirci. Per questo film sono state utilizzate tutte le fonti di finanziamento possibili (manca solo il crowdfunding, ma scatta poche volte ed è una rarità), nonostante i vari finanziatori guardassero al progetto con interessi diversi:  per il MiBACT il film è un bene artistico e culturale rivolto al cittadino italiano  per le istituzioni europee il film è un bene artistico e culturale rivolto al cittadino europeo  per le Regioni il film è un’opportunità di sviluppo economico perché la produzione è un’attività economica che può innescare virtuosità a livello economico; invece lo spettatore è un soggetto indifferente, oppure un potenziale turista 16  per chi fa tax credit il film è uno strumento che permette di accedere ad agevolazioni fiscali, mentre lo spettatore è un soggetto indifferente  per chi ha siglato accordi di product placement il film è un vettore di comunicazione aziendale, un mezzo per promuoversi; lo spettatore è un potenziale consumatore del proprio brand  per i broadcasters il film può essere un bene economico, un prodotto pregiato nella programmazione e/o un investimento necessario per adempiere agli obblighi di legge; lo spettatore può essere un cliente della sala, uno abbonato alla pay tv oppure un consumatore  per i partner il film è un bene economico, mentre lo spettatore è un cliente della sala Quindi, un’altra sfida per il produttore è riuscire a far dialogare tutti questi soggetti per far convergere i loro interessi nel film. I finanziamenti possono essere pubblici (verde) o privati (rosso): le info su quelli pubblici sono reperibili, mentre quelli privati sono difficili da ottenere, se non impossibili. Differenze Italia-Francia post-pandemia Tra l’industria del cinema francese e quella italiana si è creata una grande sproporzione a causa della pandemia: in Francia l’industria si è ripresa bene, mentre in Italia si sono registrati meno della metà degli incassi normali (-71%). Inoltre, in media in Francia una persona va poco più di 3 volte l’anno al cinema, mentre in Italia circa 2 volte l’anno. Altra differenza riguarda la finestra temporale tra sala e piattaforme: la Francia ha una finestra temporale lunghissima di 36 mesi, mentre l’Italia di soli 105 giorni. Questo limite era stato una consuetudine, non una vera e propria norma, fino al film “Sulla mia pelle”, da lì in poi è stata introdotta la finestra fissa di 105 giorni tramite il decreto Bonisoli del 2019, e se non la si vuole rispettare bisogna restituire tutti i finanziamenti pubblici ottenuti durante la produzione. Le uniche deroghe sono se il film esce in un numero molto limitato di sale, se esce in sala per 2-3 giorni o se riscuote poco successo. [Il paese europeo in cui si va più al cinema è l’Islanda anche a causa del meteo. Il meteo è un elemento molto importante per capire la situazione delle sale europee.] 8/11/21 FILM INDUSTRY: MERCATO ITALIANO (produzione e circolazione) L’industria del cinema basa ancora molto delle sue entrate sull’uscita dei film in sala (theatrical release) => la performance in sala è molto importante, in particolare come strumento di lancio e promozione del film. Quando si analizzano i dati sul consumo del film in sala sono due le metriche importanti: le presenze (admission) e l’incasso (box office). È importante ricordare che i film riescono a far massimizzare i profitti in sala solo in un periodo limitato di tempo dalla sua uscita e sono pochi i film che riescono a prolungare il loro ciclo di vita a qualche settimana. Dagli anni 2000 il cinema ha subito grandi trasformazioni:  digitalizzazione, in particolare la digitalizzazione delle sale  convergenza mediale  ridefinizione dei mercati competitivi con la nascita di nuovi attori (ad es. OTT) Questo rende la filiera cinematografica più flessibile, con i confini tra le varie fasi sempre più labili (ad es. promozione o vendita già durante la produzione). Produzione di un film La produzione di un film su compone di 4 fasi: 1. sviluppo   acquisizione di una intellectual property oppure sviluppo di una idea originale  redazione del soggetto, poi del trattamento e infine della sceneggiatura  valutazione economica di ogni fase fino all’aventuale greenlight  raccolta di investitori e di fonti di finanziamento 2. pre-produzione  la prima parte prevede l’acquisizione delle risorse above (= artistiche) e below (= tecniche) the line e la negoziazione dei loro compensi, dopodiché si pianificano le riprese. Questo step è molto importante perché se non viene fatto in modo accurato, e si presentano errori e/o imprevisti, si incorre in elevati rischi economici => questo step serve anche per definire precisamente i giorni di lavorazione e i budget, e quindi per tenere sotto controllo i costi 3. produzione  attività che prevede l’utilizzo delle risorse precedentemente accumulate per la realizzazione del film. È una fase ad alto rischio economico perché basta sforare anche di poco la pianificazione e si incorre in costi aggiuntivi elevati (problemi di overbudget) 4. post-produzione  lavoro di montaggio, inserimento effetti, correzione immagini, ecc... sul materiale girato per la realizzazione del film. Si hanno tre versione del film: first cut (prima versione dopo la post- produzione), director’s cut (versione che il regista pensa sia la più fedele al film che intendeva realizzare) e final cut (versione finale pronta per la copia e la distribuzione) La cultura produttiva di Hollywood I sistemi di produzione americano ed europeo sono molto diversi. Quello americano si basa ancora sullo Studio System (dagli anni 20), con un sistema oligopolistico di imprese integrate, originariamente verticalmente: Columbia, Universal, Paramount, Walt Disney Company, Warner Bros. Ogni studio produce 17 che possono trovare informazioni anche da fonti come le agenzie di stampa, gli uffici stampa, gli esperti, ... 2. confezionamento  si compone di lato editoriale, durante il quale viene definita la linea editoriale del giornale nel suo complesso, e lato tecnico, inteso come tutto ciò che concerne la grafica, l’impaginazione e la stampa del quotidiano sul supporto per poi poterlo trasportare 3. distribuzione  in questa fase i giornali raggiungono le edicole in numero maggiore rispetto a quante copie verranno effettivamente vendute. Questo causa il fenomeno delle alte rese nel caso della distribuzione capillare, che si contrappone al metodo dell’abbonamento tramite servizio postale. Un terzo modello è la distribuzione online In Italia ci sono alti livelli di concentrazione in tutte le fasi della filiera, in particolare tra confezionamento e distribuzione (integrazione verticale). La stampa periodica Il mercato dei periodici è molto simile a quello dei quotidiani, ma ha anche caratteristiche proprie. Sebbene abbia vissuto una fioritura dopo gli anni ’80, in tempi recenti il settore è stato colpito duramente dalla crisi economica sia sul versante delle vendite che su quello della pubblicità, innescando facili circoli viziosi. È un comparto caratterizzato da tirature minori rispetto ai quotidiani, dallo sfruttamento delle economie di scala e da una domanda molto segmentata e specifica. Tuttavia, riesce a mantenere un profilo più internazionale grazie alla regolamentazione meno rigida (meno limitazioni nell’espansione sovrannazionale, nessuna limitazione a favore del pluralismo, ...), diventando di fatto un brand da esportare, ad esempio Vanity Fair portata dagli USA in Italia all’inizio degli anni 2000. Caratteri del mercato La domanda nel consumo dei periodici è molto segmentata e dipende da vari fattori:  il tempo libero delle persone  il reddito disponibile  vari fattori di crescita in Europa negli anni ’80 e ’90, tra cui il boom di testate che si rivolgevano a nicchie, la cui pubblicazione era stata facilitata grazie al desktop publishing (= elaborazione del giornale in modo più facile tramite computer) Il settore è moderatamente concentrato, con gruppi che presentano incroci cross-mediali. Gli attori di questo mercato sono le imprese e i grandi gruppi editoriali:  Cairo Communication (21 testate periodiche) e RCS Mediagroup (Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, Oggi, ...)  Mondadori, che fa capo a Fininvest (Chi, Sorrisi e Canzoni, Panorama, Focus, Il Giornale, ...)  Gruppo Editoriale L’Espresso/GELE (Repubblica, L’Espresso, La Stampa, Secolo XIX, ...)  Caltagirone (Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino, Leggo, ...)  Confindustria (Il Sole 24 Ore, Radio 24)  Monti-Riffeser (Giorno, Resto del Carlino, Nazione) La stampa oggi Il mercato ha subito una particolare crisi, in particolare tra 2013 e 2014 quando ha subito una flessione di circa il 5%, soprattutto sul lato degli investimenti pubblicitari e meno sul lato vendite. Il settore sta comunque subendo un periodo di ridefinizione. Le quote di mercato sono così ripartite: GELE con 20,8%; Cairo e RCS con 19,2%; Caltagirone con 7,4%; Mon-Riff con 7,3%; Sole 24 con 6%; il restante ad altri gruppi. Nonostante gli editori continuino a spingere la vendita del cartaceo, con il digitale emergendo sempre più modelli economici ibridi definiti freemium => pubblicità + abbonamento, alcuni contenuti vengono offerti gratuitamente e si cerca di portare il lettore a sottoscrivere un abbonamento. Tutto ciò che prevede investimenti pubblicitari deve essere misurato, e in Italia la misurazione dei contenuti mediali avviene attraverso il sistema delle AUDI, le quali misurano l’effettiva fruizione del contenuto: Auditel misura il consumo dei contenuti tv, Audipress i consumi a stampa e Audiweb i consumi sul web. Con la convergenza, i confini tra i media sono sempre più flessibili, quindi la misurazione secondo il sistema AUDI è molto più complessa (ad es. OTT rientrano in Auditel o Audiweb? I contenuti video su pagine di quotidiani rientrano in Audipress o Audiweb?). LA RADIO ITALIANA Nonostante la digitalizzazione e l’entrata in gioco di Internet, la radio è riuscita a ottenere e mantenere una nicchia di mercato. Il suo ascolto non è rimasto vincolato a device tradizionali, ma si è spostato su pc, 20 riduzione dei lettori riduzione degli investimenti pubblicitari riduzione della qualità smartphone e tablet grazie agli operatori radiofonici su Internet e al webcasting. In Italia ci sono 2 modelli principali: modello radiofonico pubblico e modello radiofonico privato/commerciale. Tuttavia, la principale differenza all’interno della radio contrappone le radio generaliste, basate su un palinsesto di generi diversi adatto un pubblico misto (es. Radio Deejay), e le format radio, basate sul flusso continuo della programmazione e una precisa segmentazione (es. RDS). Con format radiofonico si intende la formula di programmazione commerciale che determina i contenuti, i generi, lo stile e il ritmo complessivo di un’emittente radiofonica, in relazione a uno specifico segmento di pubblico. L’ora di trasmissione è divisa dal clock, che la articola a seconda del contenuto da mandare in onda (musica, meteo, traffico, news, ...). La personalità della radio è definita dalla stationality, evidenziata dalle playlist scelte, dai jingle utilizzati, dei motti, ecc... La filiera radiofonica è molto simile a quella televisiva: 1. Produzione di programmi, o più spesso di flussi in onda 2. Assemblaggio in stazioni radio pensate per un pubblico molto segmentato 3. Distribuzione analogica oppure digitale tramite Digital Audio broadcasting (DAB) La radio vive solo di investimenti pubblicitari, per questo è molto importante raggiungere target definiti grazie ai format e alle scelte musicali e di programma. Le fasce d’ascolto tipiche e più remunerative sono al mattino e al rientro a casa prima di cena, orari in cui molti ascoltano la radio in macchina perché vanno o tornano dal lavoro. Per misurare gli ascolti non esiste più Audiradio, ma c’è TER (Tavolo Editori Radiofonici) che commissiona rilevazioni sugli ascolti della radio attraverso interviste (yesterday recall) e sondaggi telefonici => queste misurazioni sono molto soggetti a problematicità. Fino al 2016 il settore era molto articolato con molti attori:  GELE (Radio Deejay, Radio Capital, m2O)  Gruppo Il Sole 24 Ore (Radio24)  Gruppo Hazan/Fineco (Radio 105, Radio Monte Carlo, Virgin Radio, ...)  RTL 102.5  radio più ascoltata in Italia da qualche anno, grazie a un investimento tecnologico la sua frequenza rimane la stessa in tutta Italia  Radio Italia – Solo Musica Italiana  ... Dal 2016 il gruppo Fininvest ha creato il polo radiofonico più grande comprando alcune radio e concentrando le sue quote di mercato (11,1%). La Rai rimane l’attore più forte con il 23,6% del mercato. 15/11/21 LA KIDS TV IN ITALIA (Danilo Cerminara) Il settore della kids tv raccoglie attorno a sé 9 milioni di spettatori nella fascia tra 0 e 14 anni, ulteriormente segmentata per fasce d’età e genere. Nonostante ci siano molti stakeholders, la normativa è rigida e lenta e minore attenzione gli viene riservata da parte della politica e delle istituzioni. Al contrario, le esigenze e i gusti del target sono sempre più specifici e in rapida evoluzione, anche se le risorse sono molto scarse e il numero di professionisti è esiguo => sono necessarie più figure specializzate in questo campo. Questa mancanza risulta essere inadeguata per un ambito sempre in veloce crescita e trasformazione, oltre che limitante in termini qualitativi. Gli elementi caratteristici di questa tv sono:  centralità del parenting e della famiglia  aspetto educational  parental control e sicurezza dei contenuti  neutralità di gender, in particolare per il target più giovane  al passo con i cambiamenti di gusti  collaborazioni e co-produzioni per intercettare vuoti di mercato e sinergie per investimenti più cospicui  adattamento a sistemi SVOD DEAGOSTINI La DeAgostini è un’azienda famigliare, gestita dalle famiglie Boroli e Drago e dalle quali si ramificano diverse altre aziende, tra le quali si può trovare Banijay nella sezione mediale. Nella sezione editoriale si sottolinea una joint venture molto importante con la spagnola Planeta da cui provengono tutte le attività editoriali (DeA Planeta e DeA Planeta Junior). Invece DeAgostini Scuola è stata recentemente ceduta al gruppo Mondadori => tutto ciò mostra come anche un gruppo storico riesca ad adeguarsi ed evolversi seguendo le logiche del mercato. KidsMe KidsMe è una children content factory (= casa di produzione), con target kids e family, che il gruppo DeAgostini ha lanciato alla fine del 2019 e che è entrata nel mercato nel marzo 2020. La scelta di creare una casa di produzione è legata ai cambiamenti di mercato: DeA già possedeva un altro canale in chiaro, ovvero Super!, oltre ai canali presenti su Sky, ma avevano bisogno di una casa di produzione che potesse produrre per i big player sul mercato. Si sono posti come specialisti dell’area kids, una nicchia molto particolare con 21 uniche radio con il core business nel settore radiofonico caratteristiche e specificità. Data la caratteristica rapidità di trasformazione del settore, anche i contenuti vengono prodotti in modo molto rapido pur mantenendo alti standard di produzione. Il target Il target di riferimento è kids&family, che prevede la produzione di contenuti che intercettino anche i genitori. I kids odierni appartengono alla Generazione Alpha (nati tra 2011 e 2025 e figli dei Millennial) e hanno queste caratteristiche:  total audience  guardano contenuti mediali su piattaforme diverse dalla tv classica, collegandosi a device fissi e mobili  iperconnessi  si connettono a Internet tutti i giorni, per un totale di circa 21 ore alla settimana, con il 12% della fascia tra i 4 e i 10 anni che possiede uno smartphone  fruizione multi-screen e multi-canale  mentre si fruisce di un contenuto si utilizza un altro medium (ad es. mentre si guarda la tv si usa anche il cellulare)  co-viewing  la tv viene vista insieme ai propri famigliari La dieta mediale di questo target prevede:  fascia mattutina h. 7:00/9:00  tv è affiancata da YouTube grazie al suo approccio “a tempo”, a partire dagli 11 anni anche app come TikTok e WhatsApp  fascia post-prandiale h. 14:30/15:30  tv riprende importanza centrale, anche se possono essere fruiti OTT  fascia pomeridiana h. 17:00/19:00  momento di studio o di hobby, tra i più piccoli fruizione passiva della tv mentre da 11 anni in poi consumano perlopiù YouTube, utilizzo anche di consolle di gioco  fascia access prime-time h. 19:00/21:00  inizia il momento della co-visione  fascia prime-time h. 21:00/23:00  esperienze di co-viewing del prodotto generalista oppure consumo di OTT o YouTube in solitudine, utilizzando anche altri device (multischermo) La produzione di contenuti La produzione avviene in tre step: 1. scouters  ricerca dei trend più forti nel target tramite analisi qualitative e quantitative svolte in Italia che permettono di sviluppare le intellectual properties. Queste vengono tenute all’interno della content factory, e quindi la stessa ha un controllo editoriale molto forte sul contenuto anche durante le fasi successive di sviluppo (ad es. accordi di licensing o franchising) 2. kid specialists  conoscenza approfondita del target di riferimento 3. brand curators  cura del brand nel tempo cercando di massimizzare il più possibile il ciclo di vita di un prodotto La maggior parte dei contenuti è di genere educational (con la consulenza di psicologi e pedagogisti), factual&talent (con ricerca di talent provenienti dai social) e scripted (con showrunner e sceneggiatori internazionali). La decisione di produrre prodotto scripted per kids è stata dettata dall’assenza di contenuti di questo genere. Raramente vengono comprati contenuti o format, solamente viene acquisita parte dei diritti quando ci sono pitch particolarmente interessanti. Il contenuto originale, invece, non solo viene messo in onda dai canali del gruppo DeAgostini, ma viene venduto anche a terzi, sia sotto forma di pitch (altre aziende) che di prodotto finito (canali e OTT). Il lancio delle IP sul mercato avviene in modo tale da aumentare la brand awareness, puntando sulle performance del prodotto e sul suo successo a lungo termine. I titoli vengono curati a 360° per massimizzare la visibilità e i cicli di vita. C’è una capillare ricerca delle partnership commerciali migliori per lo sviluppo di programmi di licensing e merchandising => non possono inserire prodotti a fini commerciali nei contenuti kids, quindi bisogna trovare altre vie come branded content, telepromozioni, attività digital e on the ground, utilizzando i talent che sono già presenti volti di canale. CASO: New School “New School” è un contenuto scripted, di genere sit-com per ragazzi, di DeAgostini messo in onda dal 2017. Nasce come idea originale dell’azienda, viene scritto il soggetto e anche la bibbia. Tuttavia, si passa successivamente a una riscrittura internazionale dei copioni, che dall’italiano passano a essere scritti in inglese. Questo ha permesso di portare freschezza alla scrittura, inserendo elementi non canonici della scrittura italiana. La fase di riscrittura è stata, comunque, affiancata da una writers’ room italiana che ne ha curato l’adattamento, in particolare dello slang dei ragazzi. La regia è molto più simile a quella delle sit-com americane per ragazzi ed è stata realizzata da più registi. Sia le attività di casting che di produzione esecutiva e di showrunning sono internalizzate. 18/11/21 LA DIGITALIZZAZIONE E I MEDIA DIGITALI Il fenomeno della digitalizzazione è un processo che interessa tutti i comparti dei media, non soltanto quello dei media digitali. In questo contesto sono diventate molto importanti le cosiddette FANG = Facebook Amazon Netflix Google, ovvero delle imprese operano sui settori di raccolta della pubblicità online (global online advertising), dell’e-commerce e servizi cloud (e-commerce and cloud services) e di servizi streaming audio- 22 Se prima agivano solamente a valle della filiera, oggi anche gli OTT si trovano in questa situazione, dovendo produrre contenuto originale nei paesi europei in co-produzione con altri attori nello stesso modo in cui la pay tv agisce. o Netflix con “Suburra” ha seguito il modello “Gomorra” chiamando lo stesso team e la stessa casa di produzione, Cattleya, con cui lavorare L’impresa televisiva e i modelli La televisione è tutt’ora, in molti paesi e soprattutto in Italia, la componente più rilevante dell’industria dei media. Con “televisione si intende sia l’attività di produzione dei contenuti audiovisivi, sia l’attività di costruzione e diffusione di un’offerta a un pubblico ampio e disperso nello stesso momento e in modo indifferenziato (= broadcasting). L’impresa televisiva (o broadcaster) è, quindi, un soggetto istituzionale ed economico che, attraverso la composizione di una sequenza di programmi audiovisivi (= palinsesto), seleziona e organizza i contenuti dell’offerta tv in relazione alla domanda del pubblico. Ci sono stati vari modelli di filiera nel corso del tempo:  fase prototipica  nasce il mezzo televisivo  fase sperimentale  i programmi e le reti sono un supporto per vendere i televisori, il mercato principale è quello dell’hardware  fase aziendale  la produzione televisiva diventa un mercato specifico e l’offerta si relaziona alla domanda, spesso in forma indiretta perché opera sul mercato a due versanti C’è, comunque, il rischio che la tv non riesca a trarre profitti direttamente dai consumatori. Per far fronte a questo fallimento del mercato ci sono due soluzioni: 1. modello inglese ed europeo  costruzione di un public service broadcasting finanziato dallo Stato da una tassa sul possesso degli apparecchi riceventi sul territorio nazionale 2. modello americano  i programmi vengono proposti dai broadcaster e finanziati da privati In entrambi i modelli il palinsesto è un bene pubblico il cui costo marginale per uno spettatore aggiuntivo è uguale a zero. Ciò favorisce la nascita di economie di scala, ma al contrario se il pubblico diminuisce non si possono diminuire i costi perché spesso sono quelli fissi => circolo virtuoso della tv vs. circolo vizioso della tv. Per questo motivo ci sono alte barriere all’ingresso, oltre che a una dimensione tale da poter raggiungere un equilibrio dovendo anche aspettare lungo tempo La produzione Ormai da diversi anni siamo entrati nell’età della (sovr)abbondanza (age of plenty), dove ci sono talmente tanti prodotti che il fruitore non sa cosa scegliere. Il centro del broadcasting è la costruzione del palinsesto, le cui caratteristiche vengono definite dalla logica di fondo del broadcaster (principalmente pubblico, commerciale o a pagamento). La produzione di audiovisivi vede la tv come un momento di svolta: prima della tv la produzione era quella cinematografica; dopo la tv sorge anche la produzione televisiva. Oggi la produzione è di 3 tipi: 1. logica cinematografica, tv è mercato secondario  FILM 2. logica cinematografica, tv è mercato primario  FICTION 3. logica televisiva, tv è mercato primario  PROGRAMMI L’attività di produzione p svolta da 3 diverse categorie di soggetti: le stesse imprese televisive, le sussidiarie delle imprese tv e i produttori indipendenti che vengono appaltati dalle imprese tv. Queste ultime spesso ricorrono al modello del cost plus, dove il broadcaster appaltante finanzia interamente il prodotto e riconosce un ricavo alla casa di produzione, ma in cambio ha il pieno controllo sui diritti del prodotto, anche per lo sfruttamento in mercati secondari. Le case di produzione indipendenti italiane si distinguono in 4 categorie: 1- mega indies  grandi case di produzione conosciute a livello internazionale con varietà di generi prodotti e dei broadcaster, esteso catalogo di format e big franchise (Banijay, Enedmol, Fremantle) 2- Italian majors  grandi case di produzione anche se non a livello internazionale, vantano contratti esclusivi con volti oppure expertise verso un determinato tipo di generi (Ballandi Multimedia) 3- atelier creativo  case di produzione più piccole che si specializzano su prodotti originali in modo artigianale, non hanno library di format perché non operano a livello internazionale (StandByMe) 4- branded storytellers  molto al confine con le agenzia di comunicazione e sono specializzate nel branded entertainment 25 Si possono, inoltre, distinguere imprese di produzione cinematografica e di produzione televisiva, anche se spesso di ibridano tra loro, producendo sia scripted che unscripted Quando si parla di scripted si intendono le fiction (in USA “drama”, “tv series”, “sit-com”, ...) e tutti quei programmi audiovisivi con struttura narrativa realizzati con tecnica cinematografica, ad esempio i drama, o televisiva, ad esempio le sit-com. Possono essere sia prodotti singoli che seriali. Essendo prodotti sempre commissionati – la domanda anticipa l’offerta –, sono realizzati da case di produzione sia specializzate (ad es. Taodue) ma anche da case miste (ad es. Endemol). Vengono prodotte sul modello del pilot:  durante l’estate si seleziona il soggetto da realizzare  tra aprile e maggio si realizza un numero limitato di pilot, che hanno costi molto elevati  in autunno si decide se metterlo o no in onda e si prendono accordi sui finanziamenti per i successivi episodi o addirittura rinnovi attraverso contratti di opzione (NB si manda in onda un prodotto solo quando si è convinti che faraà ascolti)  pagamento al produttore di un diritto di concessione o licenza (licence fee), che copre una parte dei costi sostenuti  in caso di successo del prodotto si procede con l’ammortamento dei costi fissi, ma si aumentano i costi relativi ai compensi delle risorse artistiche Nel mondo americano si ricorre di più al modello del deficit financing, dove il commissioner paga solo una parte dei costi di produzione mentre l’altra parte viene pagata dalla casa di produzione. In questo modo il commissioner avrà il diritto di messa in onda del prodotto per un tempo limitato perché non è lui il proprietario dei diritti, che rimangono al produttore. Quest’ultimo si addossa una parte dei costi per poter poi recuperare i soldi dal mercato delle syndacation nazionali, rivendendo off-network a consorzi d’acquisto di reti locali, o da mercati internazionali, stipulando accordi con distributori che operano a livello globale (ad es. “The Walking Dead” è prodotto da AMC e distribuito in oltre 100 paesi da Fox International Channel) ≠ modello europeo del cost plus sopracitato. La serialità americana dà vita al mercato dei diritti all’interno del quale si contrattano licence period, il numero di passaggi e la restrizione territoriale. Non vengono acquistati i singoli prodotti finiti (solo tramite accordi di output deal per film e volume deal per serie), ma solamente le licenze e, una volta scadute, il prodotto entra a fare parte della library. Con unscripted, invece, si intendono prodotti non di fiction (informazione, intrattenimento, reality, ...) dove diventano importanti i tempi e i luoghi della produzione. Per quanto riguarda il luogo, possono essere girati in interni (studio based), quindi in centri di produzione con studi teatrali e televisivi, oppure in esterna (non-studio based). Per quanto riguarda il tempo della produzione, possono essere in diretta, in differita (finta diretta, registrazione poco prima della diretta) o in registrata (visibile, magari anche presenza di post-produzione). Sia tempi che luoghi sono dipendenti dal genere del contenuto. Il produttore deve anche tenere conto dei costi e gestirli al meglio:  costi dei diritti per trasmettere particolari eventi o format fee ai detentori dei format  costi artistici per cast, troupe televisiva e allestimento scenico  costi tecnici per i mezzi utilizzati per le riprese e per il personale tecnico, sono costi standard e fissi 15/11/21 CONSUMI E MISURAZIONE MARKETING DELLA TV Il marketing è un processo di management che individua, anticipa e soddisfa le esigenze dei clienti in modo efficace. Per il marketing è molto rilevante il marketing mix, composto dalle 4 P: prodotto, prezzo, punto vendita, promozione. Si occupa di comprendere i bisogni, le motivazioni, i comportamenti del consumatore attraverso tutti i possibili strumenti disponibili (analisi economiche e statistiche, metodi di psicologia sociale, ...), ma è anche una funzione aziendale che trova, accresce e trasmette ciò che è valore per il consumatore. Il marketing dei media comprende le attività che si svolgono all’interfaccia fra l’azienda e i suoi clienti con l’obiettivo di far sì che i potenziali clienti scelgano di realizzare le loro transazioni con la propria organizzazione e non con i concorrenti => marketing editoriale rivolto al cliente vs. marketing commerciale rivolto agli inserzionisti pubblicitari. Nell’ambito mediale, l’attività di marketing è molto legata alla necessità di quantificazione del consumo, e in Italia questa attività è svolta tramite il sistema delle Audi. All’inizio le misurazioni venivano fatte in autonomia da ciascun attore, e ciò ha creato una situazione molto caotica; oggi, invece, si è creata una joint industry committee dove gli stessi attori del mercato hanno dato vita alla società di misurazione. I mercati dei media sono molto diversi tra loro a partire dalla misura di ricavi che ottengono, quindi sia l’investimento nella ricerca e le modalità della stessa differiscono molto. Le principali metriche riguardano: 26 Auditel Audipress TER Audiweb 1. comportamento delle persone copertura + coverage lettori giorno medio ieri + ascoltatori radio 7gg utenti unici 2. tempo di consumo permanenza + TTS (Total Time Spent) TSL (Time Spent Listening) tempo speso 3. quantità di contenuto frequency + legitimate stream n° quotidiani per giorno n° radio per giorno stream views + pagine viste 4. KPI (Key Performance Indicator) share + ascolto medio + AMR-D (Average Minute Rating-Device) + GRP quarto d’ora medio (AQH) Il marketing televisivo Il marketing televisivo nasce quando nasce la concorrenza attorno agli anni ’80, perché prima la tv era un monopolio pubblico e non era necessario il marketing (al contrario degli USA, dove si era sviluppato negli anni ’40). All’origine del marketing televisivo c’è la disponibilità di un’indagine quotidiana sui consumi televisivi del pubblico tesa a offrire una fotografia quantitativa. Molto importante diventa il dato Auditel, che viene condiviso nel mercato dal 1986 (la società viene fondata nel 1984); tutt’ora Audi è il monopolista del mercato delle misurazioni mediali, ma si tratta di un monopolio naturale perché è dettato dal fatto che la società che può far fronte al meglio alle richieste è una joint industry committing, all’interno della quale tutti gli attori del mercato sono concordi e la costituiscono. Le strategie di marketing sono di due tipi: 1. marketing commercia  l’”attenzione” è la merce che viene utilizzata dalle concessionarie pubblicitarie per vendere ascolti precisi e targettizzati, provvisti di listini di vendita, agli investitori pubblicitari 2. marketing editoriale  il “prodotto” è l’oggetto comunicativo e si indaga quale si stato preferito dal pubblico e quale il meno visto, con l’obiettivo di massimizzare gli ascolti e dare al pubblico ciò che rappresenta un valore Gli strumenti che il marketing televisivo ha a disposizione sono sia di tipo qualitativo che quantitativo:  misurazione dei consumi (dati Auditel)  le analisi possono essere statiche, ovvero segmento per segmento, oppure dinamiche, ovvero con l’evoluzione minuto per minuto e lo spostamento degli spettatori fra le fasce orarie => in ogni caso focalizzate sul comportamento degli spettatori  ricerche qualitative di tipo field  analisi delle motivazioni, dei bisogni e degli atteggiamenti di vari segmenti di pubblico per spiegare i dati  ricerche di tipo desk  analisi testuali dei prodotti, da collegare alla misurazione dei consumi e alla ricerca sulle motivazioni ANNI ’80 E ‘90 – Il marketing televisivo ha subito un’importante evoluzione dagli anni ’80 a oggi. All’inizio, tra gli anni ’80 e ‘90, si sviluppa il marketing di palinsesto perché in quegli stessi anni nasce la Neotelevisione, che inizia a scandire i tempi sociali e quotidiani delle persone. Questo veniva costruito a seconda dei bisogni del pubblico e, soprattutto, a seconda di quale target avrebbe guardato la tv in un certo orario. Quindi, l’obiettivo del marketing di palinsesto era quello di ottimizzare l’offerta individuando i punti forti e deboli di aggancio e sgancio della rete, lavorando sulle scalette con ad es. l’inserimento di traini, l’identificazione del pubblico per fasce, ... Queste pratiche sono state utilizzate negli anni ’80 perché la tv italiana ha si stava avviando verso un rinnovamento del palinsesto: le tv commerciali si accaparrano la fascia mattutina perché il servizio pubblico non mandava in onda nulla, e quindi deve adeguarsi inserendo un contenitore (Unomattina, 1986). Un altro cambiamento importante è la creazione nel 1989 dell’access prime time con la messa in onda di Striscia la Notizia. ANNI ’90 E PRIMI 2000 – La seconda tipologia di marketing è il marketing di prodotto, il quale si focalizza sui contenuti. Una delle sue attività è il pilot test, ovvero la produzione di una puntata pilota al fine di testarla e decidere se proseguirne o meno la produzione. È una modalità di lavoro molto impegnativa e costosa, però offre una serie di strumenti utilissimi nel momento in cui il prodotto esordisce. Molto legata all’analisi dell’andamento dell’ascolto, ha un focus particolare sui competitor e sulla loro offerta così da produrre programmi nuovi e più interessanti. ANNI 200 E 2010 – Tra l’inizio degli anni 2000 e i 2010 il contesto cambia radicalmente: nascono nuovi generi anche grazie all’ibridazione, il servizio pubblico viene ridefinito, si moltiplica l’offerta perché nascono reti mini- generaliste (= a metà tra reti generaliste tradizionali e reti tematiche) e tematiche, emergono nuovi format e tecniche di programmazione, ... ma in particolare inizia la frammentazione dei consumi. In questa situazione, il brand marketing lavora sul brand per costruire forti, chiari e distintivi brand di rete, immediatamente percepiti e percepibili e capaci di creare un impatto sullo spettatore, il quale comprende i benefici che può trarre dalla visione del canale e dalla costruzione di una relazione con esso => lo spettatore non deve arrivare sul canale facendo zapping, ma perché sa che su tale frequenza c’è quel determinato canale (ad es. tutti i giovani sapevano che MTV fosse sull’8). Questo tipo di marketing ragiona nell’ottica di andare a definire le caratteristiche del brand delle diverse reti (volti + programmazione = valori del brand => cornice identitaria), in 27
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