Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti del corso Metodologia della ricerca storico-artistica prof. Savettieri a.a. 2019/2020, Appunti di Storia Dell'arte

Appunti integrali del corso Metodologia della ricerca storico-artistica.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 21/03/2020

martina_pecoraro
martina_pecoraro 🇮🇹

4.5

(27)

5 documenti

1 / 67

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti del corso Metodologia della ricerca storico-artistica prof. Savettieri a.a. 2019/2020 e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICO-ARTISTICA-CHIARA SAVETTIERI. Relatività storica del concetto di arte ➔ il concetto moderno di arte è moderno, cioè per noi l’arte è una forma di espressione. In realtà prima questo concetto non esisteva e nasce solo a partire da Giotto (1300). Per questo il concetto di arte è relativo e non è lo stesso per tutti. Categorie culturali e visive e interpretazione dell’arte ➔ noi guardiamo le opere d’arte del passato con delle categorie che non sono quelle del periodo in cui l’opera è stata fatta. es. Anne-Louis Girodet, Scena di diluvio (1806). Questa opera apre la strada alla Zattera della Medusa di Géricault, cioè alla modernità in Francia e al superamento di cliché e convenzioni nella storia dell’arte. Il pubblico si dichiarò sconvolto dal dipinto, che venne definito come uno shock visivo. Dobbiamo invece capire la funzione dell’opera in quel contesto e capire ciò che è scioccante e ciò che non lo è. Questo dipinto ha delle dimensioni importanti, dimensioni della pittura di storia, che sta all’apice della gerarchia dei generi ed è considerata più nobile. Rappresenta infatti scene tratte da fonti importanti, come la Bibbia, rappresenta esseri umani in azioni eroiche, la storia, la mitologia. Questo dipinto non rappresenta un fatto mitologico o un fatto glorioso, non ci vuole dare un messaggio positivo perché vediamo gente che muore. Rappresenta la scena di un diluvio, una disgrazia naturale quindi introduce nella pittura di storia una sorta di fatto di cronaca. L’artista introduce una disgrazia nella pittura di storia e in questo sta una pittura molto moderna. Lo sguardo dell’uomo è verso il basso, quindi un uomo che vive in una natura avversa senza Dio e quindi un’umanità sconsolata senza uscita. Il contenuto è quindi abbastanza sconvolgente per le gerarchie di generi che c’erano. Girodet vuole dare a questa inondazione un valore universale facendone l’emblema dell’infelicità della condizione umana. È la prima opera moderna in Francia perché non crede che l’uomo possa essere protagonista della storia, la natura non è più provvidente. Dietro a ciò c’è tutta la cultura illuminista che vede l’uomo come un movimento della terra. Ecco perché l’opera fu cosi difficile da affrontare per il pubblico, per questo messaggio negativo rispetto alle opere del tempo. Sublime→ il sentimento del sublime nasce nel momento in cui io ho paura della morte, ma sono a una distanza tale per cui la mia incolumità non è compromessa. Vediamo qualcosa che ci fa paura ma che allo stesso tempo ci affascina. Qui c’è il sublime, ma in un modo anomalo nel senso che questa famiglia è rappresentata in una posizione inverosimile per enfatizzare il senso del pericolo. 1 27/9 La nostra impressione su un dipinto non è affidabile e da un’epoca all’altra l’effetto sul pubblico può essere diverso. Si pensa che l’arte sia ciò che da un’emozione, ma questo non è vero perché l’emozione è strettamente soggettiva e personale e quindi può essere scaturita da qualsiasi cosa. L’opera d’arte rappresenta l’altro, qualcosa di diverso da noi, quindi se ci fidiamo della nostra emozione sbagliamo perché questo nostro pregiudizio ci impedisce di capire qualcosa di diverso da noi, un’altra visione del mondo e non arricchiamo la nostra visione. Comprendere è diverso da provare emozioni. I Salon Parigini sono gli antecedenti delle mostre di oggi. I salon iniziano ad esporre le opere di artisti accademici verso la fine del 600-inizio del 700 fino a quando dal 1737 circa cominciano ad essere a frequenza biennale e poi annuale. È un momento fondamentale della modernità perché le opere d’arte vengono esposte al pubblico più vario. Prima le opere non erano fatte per essere esposte per un pubblico vasto ed essere confrontate tra loro e quello che provoca il salon è una mania del confronto. Il sistema del salon crea una competizione e l’artista sa di essere esposto a delle critiche, cosa che influenza la produzione artistica. Girodet è allievo di David, quindi un artista neoclassico, anche se il neoclassicismo è estremamente complesso. Girodet ci fa capire questa complessità con il suo essere contraddittorio. Girodet vive in maniera drammatica il sistema del salon e si mostra ribelle fin dall’inizio. Il suo gusto dell’originalità si acuisce poi in questa competizione con gli altri artisti. In quest’opera c’è un lato di esibizione, un lato velleitario già solo dalla posizione assurda in cui si trova la famiglia. Il salon è un aspetto che ci fa capire che ci stiamo avvicinando ad una percezione moderna dell’arte, ma tutto questo ha un lato negativo perché l’artista perde il senso di destinazione della propria opera perché egli fa l’opera pensando che sarà esposta al salon e pensando alla percezione che il pubblico avrà. ➔ come capire allora un dipinto? Non fidarsi della nostra emozione, ma capire la percezione dei contemporanei. Bisogna inserirla nel contesto della gerarchia dei generi che vigeva nelle accademie. Il contesto di convenzioni culturali in cui l’opera si colloca è fondamentale per capire come l’opera dialoga con quel contesto. Non valutarla solo in base alla sua originalità perché questa non è sempre simbolo di grandezza. Il fatto che un’opera rompa con la tradizione non è un valore aggiunto sempre. Non dobbiamo fare della novità il metro di giudizio dell’arte, ma dobbiamo notare quello che rimane della tradizione. I fenomeni primitivisti ad esempio sono quelli di artisti che non si riconoscono nel loro tempo e si proiettano nel passato o in un altrove di tipo geografico (es. oriente) sono fenomeni di resistenza 2 Uno dei commenti su questi dipinto è che «tutto è disperazione in questo dipinto» e il pubblico non era abituato a vedere questo. Dire una cosa a parole o attraverso immagini dipinte non è la stessa cosa e Girodet sfrutta questo sconvolgendo il pubblico. Neoclassicismo-romanticismo dell’opera. L’opera contiene la bellezza ideale della donna ispirata a Raffaello, mentre la figura maschile ispirata a Michelangelo rappresenta il brutto. Un aspetto dell’estetica neoclassica è che l’artista deve evitare l’espressione perché turba la bellezza, ciò a cui invece deve ispirarsi. Si possono esprimere emozioni e sentimenti, ma in maniera pacata e Foscolo parla di «calore di fiamma lontana» per indicare le emozioni che devono restare lontane. Il problema che si pone Girodet è che se la pittura si pone libera di esprimere i sentimenti più disparati, allora deve rompere con la bellezza e con la tradizione neoclassica. Girodet invece vuole rappresentare la condizione umana e se questa implica il brutto, lui lo accetta anche nell’opera d’arte. Torniamo al ramo che sta per spezzarsi. Leggendo i commenti dell’opera si nota che a fare scalpore oltre a quello che abbiamo visto, è il ramo, cioè l’estrema transitorietà della scena, che è qualcosa che Girodet forza in maniera parossistica. Gli spettatori si voltano perché si identificano nel soggetto e hanno paura che la famiglia precipiti. Noi non lo faremmo oggi abituati a quello che vediamo anche nel cinema, ma allora c’erano convenzioni nella pittura che nessuno aveva osato violare. La transitorietà per Girodet è cosi importante che sacrifica la verosimiglianza storica, che non gli interessa perché gli interessa la sua verità. La verità artistica non sempre coincide con il verosimile. In effetti è una scena surreale, ma a lui non interessa. Lo stesso avviene con i registi che propongono la loro verità di fatti storici. La transitorietà è collegata al tema della bellezza? Una delle teorie più diffuse dell’epoca di Lessing distingueva le arti in due gruppi: Arti del tempo: letteratura e musica→il loro obiettivo può essere l’espressione perché posso descrivere il dolore in vari modi perché leggendo questo cambia e da cruento può placarsi. Arti dello spazio: pittura, scultura e architettura→ la loro identità è puramente spaziale e devono tendere alla staticità, all’equilibrio e alla bellezza fisica perché il movimento rimanda ad una dimensione temporale. Questo perché guardando un dipinto la scena deve apparire uguale ogni volta che si guarda. ➔A questo proposito Girodet rompe con ciò perché inserisce la temporalità nell’arte spaziale e fissa lo sguardo terribile dell’uomo. Fissa qualcosa che nelle arti temporali sarebbe mutevole e per questo disturba il pubblico. Lessing è neoclassico per le arti visive, ma romantico per la poesia perché dice che essa è un’arte temporale e può ammettere il brutto. Girodet va contro questa convinzione per dimostrare che la 5 pittura non può avere limiti e che ha gli stessi diritti della letteratura a rappresentare il brutto, il dolore, il transitorio e così apre i confini della pittura dicendo che essa ha gli stessi diritti della poesia. David ha un’opinione molto negativa di quest’opera e parla di «addio alla dignità dell’arte e al bello ideale». Un altro giudizio è quello di Vivant Denon, il direttore del Louvre per un periodo grande per il museo. Dalle sue parole capiamo che quello che disturba è proprio la transitorietà perché dice che quella scena sarà sempre cosi e si vedrà sempre il brutto, si vedrà sempre il momento prima di cadere che non arriverà mai. Vediamo come sono importanti i commenti per capire un’opera d’arte. Inoltre sappiamo che Girodet conosceva la teoria di Lessing e sappiamo che lo aveva letto e che era contro di lui. Inoltre il sacco di denaro rende il dipinto ancora più pessimista perché vista la situazione capiamo che il denaro non servirà a nulla, dato che non c’è possibilità di salvezza e il sacco di denaro quindi aggiunge solo disperazione. 4/10 La cosa che disturbò più del dipinto fu la sua transitorietà e cioè il fatto che la famiglia «sta per cadere». Ad esempio Vivant Denon scrisse un commento molto negativo al riguardo. Dietro a tutto questo c’è la teoria di Lessing, filosofo e drammaturgo tedesco che nel 1766 pubblica il Laocoonte testo fondamentale dove distingue: - arti del tempo: poesia e musica che si basano sulla successione perché non possono essere fermate. Un qualunque momento particolarmente emozionante , terribile o cruento non è fissato, ma superato da momenti tranquilli. Ne consegue che la poesia può abbracciare tutta la complessità dell’animo umano perché tanto questo situazioni hanno una loro fase e poi vengono superate. La poesia può cogliere tutto ciò che si riferisce al movimento temporale. - arti dello spazio: pittura e scultura hanno una dimensione spaziale, cioè noi le percepiamo come spazio perché vediamo un dipinto in una dimensione di simultaneità. Ciò significa che un’immagine è fissata per sempre e non c’è possibilità di uscire da essa quindi non si possono rappresentare situazioni che subiscono una trasformazione o immagini transitorie con un’arte spaziale. Se la pittura vuole restare nelle arti spaziali deve essere statica. Quindi alla dimensione visiva è interdetta la rappresentazione di tutto ciò che è perturbante. 6 Nel tempo questa teoria è stata superata e a livello teorico c’è una superiorità dell’arte della parola sull’arte della pittura. Lessing impone un limite però anche alla poesia perché dice che ciò che è scritto è troppo statico, la poesia descrittiva viene criticata. La libertà delle arti dello spazio è fortemente limitata. L’opera d’arte non è solo un documento di un’epoca, ma è fattore di storia. Lo storico dell’arte usa l’opera come documento, ma poi si interessa di come l’artista reinterpreta tutto e diventa attore di storia. A questo proposito Girodet va contro Lessing. Il testo di Lessing si chiama Laocoonte, che si riferisce alla statua che secondo lui è l’emblema della capacità degli artisti antichi di imitare il pathos, la dimensione emotiva in modo da non turbare la bellezza. È tutta una questione di costruzione critica perché quello che per Lessing è un limitare le emozioni, per noi è invece l’emblema dell’arte ellenistica che insiste sul pathos. Girodet prende in giro Lessing su questo, sottolineando in maniera ironica come gli artisti antichi in realtà hanno conosciuto la rappresentazione di scene cruente e di situazioni in cui la dimensione emotiva esplodeva. Prima di questo si credeva nell’equivalenza tra poesia e pittura, tra arte della scrittura e della visione. Lessing si oppone dicendo che non è vero che pittura è come la poesia, ma le arti sono distinte e hanno dei confini, dei limiti. Lessing delimita molto il campo di ciò che le arti possono rappresentare se la pittura come fa Girodet vorrebbe esprimere la condizione umana, Lessing non lo permette. Il teatro è arte del tempo per Lessing che fa riferimento a una tragedia di Sofocle in cui Filottete urla di dolore fisico. Nel teatro Lessing dice che si può urlare perché tanto poi questo momento viene superato. La genesi di un’opera. Si tratta di come l’artista ha pensato la sua opera. L’artista ha una prima idea, la valuta, la cambia, poi torna sulla prima etc. e quindi l’opera d’arte è il risultato di un processo, di un percorso che avviene nel tempo e non è necessariamente lineare. Per quant riguarda Girodet, la 1ª idea dei Diluvio risale al 1793-1795 (l’opera verrà presentata al Salon del 1806) e lo sappiamo perché si trova in un carnet. C’è quasi già l’idea del Diluvio perché c’è l’idea della diagonale, ma non quella della transitorietà dato che non c’è il ramo che sta per spezzarsi. Compaiono già Enea e Anchise perché Girodet aveva già copiato il dipinto di Regnault. C’è poi un personaggio che si china o per salvare qualcuno o per prendere qualcosa e questo dettaglio ci riporta a Poussin. Girodet sta già pensando a dei precedenti diluvi universali, a Poussin e a Regnault. 7 Rousseau dirà che il linguaggio gestuale serve per esprimere dei bisogni mentre quello sonoro esprime i sentimenti e le passioni. Di conseguenza per lui la musica è all’apice delle arti ed è all’origine della comunicazione e dell’espressione umana. Altri davano più importanza al linguaggio gestuale e essi riflettevano contemporaneamente sulle capacità espressive della danza, della pantomima (dove era abolito il linguaggio verbale). Il linguaggio dell’uomo primitivo è multimediale, non vede ancora elaborato il linguaggio verbale strutturato. Le espressioni visive si collocano tra il paleolitico medio (35000 anni fa) e la fine del paleolitico in generale (10000 anni fa). C’era anche l’espressione del gesto e quella sonora. Verso la fine del paleolitico il gesto era formalizzato in danze con ritmi prestabiliti e ci dicono che l’uomo primitivo era molto intelligente e aveva coscienza di quello che faceva al punto di stabilire una danza con una funzione rituale molto simile a quella delle pitture. C’era una volontà di formalizzare il gesto comunicativo. C’è una premeditazione nell’arte primitiva che ci fa vedere che quelle persone avevano un’idea in testa. Cosa c’entra questo con Lessing? C’entra col fatto che per avere il riconoscimento che la distinzione tra le arti non può essere lo spazio e il tempo si deve arrivare al ‘900 e in particolare a Ragghianti che nei suoi 3 volumi, Arti della visione, dice che anche la pittura ha una dimensione temporale perché un’opera è realizzata nel tempo, è spazio-temporale. Ragghianti sarà uno dei primi a integrare la danza e il teatro all’interno della storia dell’arte. Grotta della Addaura, Palermo. È una delle prime testimonianze. Una fonte antica racconta una leggenda sull’origine dell’arte raccontata da Plinio nella Naturali historia: l’immagine artistica sarebbe nata dal dispiacere di una ragazza per il fatto che il suo amato parte. La fanciulla decise allora di fare una sorta di ritratto dell’amato facendolo mettere davanti a un muro con una fonte di luce che crea un’ombra dove lei ricalca il suo profilo. Nel tracciare l’ombra si cerca di catturare l’ombra come se nella traccia ci fosse una parte di quello che si ritrae, in questo caso dell’amato. La fanciulla si chiamerebbe Dibutade (Butade era il padre) nelle fonti del 700. Interessante nella vicenda è che si fa risalire l’origine dell’immagine artistica al senso di vuoto, ad un’assenza, nascerebbe da una compensazione del vuoto lasciato dall’amato. L’origine della pittura corrisponderebbe all’origine del ritratto. Il padre della ragazza trasferisce l’invenzione in argilla, facendo vasi con delle immagini ispirandosi a ciò che lei aveva fatto sul muro. Ci sarebbe questo all’origine dell’immagine artistica che acquista allora una funzione consolatoria rispetto al vuoto. «L’arte è figlia di amore» e lo mostra anche Girodet, che però a differenza di Plinio non fa esempi di altre fanciulle abbandonate, ma ricorda chi in cui gli artisti hanno rappresentato figli, amici e 10 parenti morti per conservarne il ricordo e racconta il caso di Luca Signorelli, che avrebbe rappresentato il figlio morto per mantenerne il ricordo. Un altro esempio è la storia tra Protesilao e Laodamia, la quale, morto il marito, si fa costruire un simulacro in cerca che lo sostituisce. Storie simili si ritrovano nella cultura cinese e anche nella Bibbia (14esimo libro della Sapienza). Si racconta la funzione consolatoria del simulacro, che qui consola il padre della morte prematura del figlio al punto tale che esso diventa un doppio, un sostituto del figlio e viene adorato. Infatti qui si racconta la nascita dell’idolatria, del culto delle immagini. C’è una convergenza delle fonti antiche sul fatto che una funzione importante dell’immagine è consolare e compensare la sparizione. Maurizio Bettini sostiene la stessa cosa, che l’immagine artistica sarebbe nata per far fronte alla perdita. L’argomento è affrontato anche da Kris e Kurz, due storici dell’arte che parlano anche del problema del pensiero magico, per il quale avendo un oggetto o una parte del corpo di una persona defunta, si ha potere sulla persona stessa. Régis Debray in Vita e morte dell’immagine parla della funzione dell’immagine nella società dalla preistoria agli anni 80. →Dinanzi alla spoglia mortale si cerca di trovare un altro modo per superare la sparizione e questo è da un lato la religione e dall’altro l’immagine. Questo per evitare la decomposizione come gli egizi facevano con i corpi per lottare contro la sparizione e mantenerli in un’altra vita attraverso decorazioni, viveri, servi che si sacrificavano. È molto importante la stretta correlazione tra immagine e culto del defunto. Debray parla di contromisura contro la morte e di lavoro del lutto che passa attraverso la confezione di un’immagine. L’unica cosa su cui si può fare affidamento diventa l’arte. Debray dice che «nessuna tecnica di rappresentazione del mondo è immortale» perché molte tecniche non vengono più usate e poi sono strettamente legate a quello che si vuole rappresentare. Quello che è immortale è solo «il bisogno di immortalarlo stabilizzando l’instabile», cioè il gesto artistico deriva da un’esigenza di stabilizzare, di impossessarsi del mondo e di sfuggire alla dimensione del tempo. 11/10 Nell’antichità la percezione dell’immagine serve a sostituire l’assente quindi acquista una funzione fortemente compensatoria e consolatoria . Il brano di Debray è significativo perché ci fa capire che dalla presa di coscienza della sparizione sorgono degli impulsi, l’impulso classico e quello religioso ed entrambi ci permettono di far fronte a ciò che non è accettabile. 11 Nel dipinto di Girodet la solitudine e la fragilità dell’uomo dinanzi ad una natura indifferente dove Dio è assente si può collegare a questo. Quello che succede tra 700/800 è una frattura rispetto all’idea di religione e arte che possono compensare la sparizione dato che la religione non compare più. Se l’arte è espressione di una data umanità in un dato contesto dobbiamo guardare l’espressione per dire cosa una determinata cosa ci vuole esprimere. Si rifiuta un’epoca mercificata, senza Dio in cui non ci sono più valori e ci si rifugia in un’ epoca in cui l’arte aveva una funzione sacrale e protettiva dalla morte. Riproduzione del dipinto di Franz Halz. Siamo in Olanda alla metà del 600 e l’artista è David Bally con il dipinto Autorittatto con Vanitas del 1651. Questo dipinto è come un rebus che ci fa capire come sia stata una preoccupazione costante il senso della perdita, della vanità delle cose. Ci sono ben 3 ritratti: 1. Il personaggio giovane che probabilmente è il pittore 2. Un personaggio più piccolo 3. Una donna Ci ricolleghiamo all’origine funebre del ritratto fatto per ricordare qualcuno che è morto o che morirà e rende la sua vita perenne. Quando il pittore fa questo dipinto non ha 25 anni, ma 77 e ciò significa che in questo dipinto si è rappresentato giovane e ha fatto il suo autoritratto da vecchio come se si ricordasse. Dietro c’è la moglie che morì prematuramente. L’artista si presenta come se fosse già appartenente ad una memoria del passato perché si rappresenta vecchio sapendo che morirà e che porta vivere solo nel suo ritratto. Il tema del dipinto è la vanità, il fatto che tutto passa e niente rimane uguale a se stesso. Le bolle di sapone stesse sono simbolo di transitorietà. Il calice semivuoto, la clessidra si riferiscono al tempo che passa, alla fine così come il teschio. I petali aperti fanno capire che ben presto i fiori moriranno. Anche lo strumento è simbolo di vanità perché i ? sono transitori e si disperdono nell’aria. L’arte fa fronte a questo divenire ed è l’unica cosa che resta. Interessante è che in un’epoca in cui vige nelle accademie una gerarchia dei generi, abbiamo un dipinto che fonde i generi perché fonde la natura morta che è un genere inferiore con il genere del ritratto che ha un’origine molto antica e una funzione funebre. Qui la funzione funebre è dichiarata apertamente. Nel sistema delle arti medievale esistevano le arti liberali ( arti che implicano uno sforzo mentale)e meccaniche ( arti che implicano uno sforzo fisico). 12 Diventerà forte il senso del pathos e del movimento del corpo come in Apollo del Belvedere e in Laocoonte. A Roma si sviluppa il gusto per la narrazione quindi personaggi rappresentati in una grande varietà di attitudini ad esempio il Ritratto di Vespasiano mostrano questa spinta alla mimesi. L’attenzione al ritratto e all’individuo si perde nel medioevo perché interessa il concetto delle cose. Fin dall’età di Costantino si ha questo aspetto, le figure si fanno sempre più statiche frontali e il ritmo sembra essere più importanti del loro dinamismo. Nelle immagini di un sarcofago di età romana si nota che non è importante la naturalezza della figura, ma il ritmo con cui esse sono collocate dello spazio, il pieno/vuoto. L’età tardo-romana è una fase della storia dell’arte decadente, che è stata ignorata, in cui non riconosciamo i grandi artisti dell’età classica ed ellenistica. Alois Riegel scrisse un libro in cui spiega che l’arte tardo-romana, che si manifesta anche nelle arti minori, esprime una propria visione del mondo che non ha nulla a che vedere con quella classica. Con il rinascimento c’è un ritorno a certi valori della cultura classica come l’attenzione all’individualità e al dato naturale. Ricomincia un’attenzione al dato naturale nel 1300 con Giotto, con i fratelli Pisano fino al rinascimento. La leggenda di Dibutade viene ripetuta nel corso del 500-600 ma nei trattati si cita questa leggenda senza dare tanto valore al suo significato. Accade che questa leggenda nel 700 ha una fortuna scritta perché nei trattati si cita sempre di più, figurativa nel senso che molti artisti si cimentano nella sua rappresentazione. Ad esempio Jean Raoux realizza Dibutade. Jospeh Wright of Derby realizza The Corinthian Maid (1782-1784). Sullo sfondo a destra si vede la fornace e i vasi perché il committente è il fondatore di una manifattura che produce vasi che si rifanno ai vasi antichi, greci e etruschi e quindi questa manifattura è importante nella cultura neoclassica. Il vasaio era Joshua Wedgwood e la presenza di questa vasi è un omaggio a lui. C’è un particolare, cioè sulla scena di Dibutade si sovrappone un’iconografia antica che ci riporta a quella dimensione funebre di cui avevamo già parlato. C’è l’iconografia antica del sonno di Endimione e si vede dalla posizione dell’amante di Dibutade. Il mito di Endimione si trova spesso nella scultura funeraria. Endimione è un pastore di cui si innamora Diana e durante il sonno Diana dal cielo scende e si unisce con Endimione nel sonno. Si dice che questo sonno sia eterno e in questo modo Diana può unirsi a lui. Per questo motivo l’immagine di Endimione è un’immagine funebre e ce lo dice Cicerone. Per gli antichi infatti la morte era un sonno eterno e in esso si univano Eros, Thanatos e Hypnos. Sovrapponendo iconografia funebre a mito l’artista fa riferimento al significato funebre dell’origine dell’arte, cioè alla sua funzione sostituiva. È come se riflettendo su questa storia di Dibutade pliniana si vada a risottolineare che la storia di dibutade è una storia di amore e morte perché l’immagine artistica sostituisce un assente e serve per colmare un vuoto. 15 Il cane dimostra che l’artista si riferisce a questo mito quindi fa capire che siamo in presenza di una citazione precisa. Nel Salon del 1793 c’è un dipinto di Mme Guéret intitolato Une Dibutade moderne come spesso pittrici femmine dipingevano questo mito e mostravano che la prima pittrice antica era una donna. Lo stretto legame tra la storia di Dibutade e la funzione funebre. Quest’opera, realizzata da Madame Chaudet è andata perduta ma è nota grazie ad un’incisione. L’incisione non rappresenta Dibutade che traccia il profilo dell’amante, ma Dibutade che va a visitare il ritratto dell’amante. Il muro sembra una stele funeraria e la fanciulla porta con se dei fiori, cosa che ci ricorda il cimitero. Il dipinto ci dice che la funzione dell’arte, già indicata da Plinio è la stessa che si attribuiva nel 1800 alla tomba, cioè la funzione di ricordare chi non c’è più, fissare chi non c’è più. L’incisione la abbiamo grazie a Landon, che scriveva ogni anno resoconti sui Salon e accompagnava le descrizioni con le incisioni. Landon dice che il temperamento della pittrice Chaudet era amabile e grazioso. Si dice che è rappresentato un paesaggio ridente ma solitario, melanconico perché il cimitero doveva consolare ed essere piacevole. La tomba deve ricordare il defunto in un contesto consolatorio e creare una sorta di religiosità laica. Con la stele funeraria di Giovanni Volpato c’è un parallelo. ➔Nell’età neoclassica l’arte è come la tomba, perché ha un fondo funebre, ma estremamente consolante. C’è una generale riflessione sulla morte e sulla funzione dell’arte, ecco perché il mito di Dibutade ha tutta questa importanza in questo periodo. Non è casuale che Girodet apra il suo poema con l’immagine di Dibutade. Da dove può derivare l’idea tipica della tomba nella natura? Perché si parla di cimitero ora e non prima? Le tombe erano o per i ricchi dentro le chiese o attorno alla chiesa, cioè fino al 700 nella città vita e morte sono intrecciate perché non c’è una separazione tra cimitero e città dei vivi ma cita dei vivi e dei morti coincidono. Nel 700 comincia ad esserci una tendenza igienista e vengono proposti ai sovrani illuminati di allora dei progetti di costruzione di cimiteri al di fuori della mura cittadine, addirittura vengono fatti decreti che però non vengono attuati e continuano ad esserci fosse comuni in città. Verso il 1797-98 comincia ad aprirsi un dibattito tra gli intellettuali sulla cura dei morti e il loro trattamento e viene proposta l’idea di fare cimiteri al di fuori delle mura in un contesto agreste e piacevole in modo da dare l’illusione che qualcosa resta, che possiamo godere attraverso la tomba e poi attraverso l’arte di una forma di immortalità laica. L’illusione per cui esiste una «corrispondenza di amorosi sensi» (Foscolo) viene da prima, da questi intellettuali. La cultura neoclassica tende a superare l’idea dell’arido attraverso le illusioni consolanti ➔ l’arte come la tomba da l’idea di ingannare la morte. 16 L’idea dell’illusione viene da Rousseau che nella Nouvelle Eloise dice che «il mondo è costituito da illusioni e l’unico mondo degno di essere vissuto in questa terra è quello che non esiste e se esiste è solo nelle nostre illusioni». Illusione nel senso di Rousseau come qualcosa che mi consola, ma a cui non credo è molto diversa dall’illusionismo, cioè l’arte che mi inganna, le trompe l’oeil perché qui c’è un inganno ottico momentaneo. L’illusione di stampo neoclassico non vuole ingannare lo sguardo , ma al contrario vuole ingannare la morte. È come se si creasse una sorta di religione dell’arte che persegue in tutto l’800 e che è poi il filone dell’arte per l’arte perché si fa dell’arte la ragione della propria esistenza visto che tutto il resto non ha senso e ci si rifugia nell’arte come si fa nella religione. 18/10 Il cimitero del Père Lachaise, John James Chadon mostra una visita al cimitero in un contesto agreste. La scena è quasi idilliaca, ma qualche piccola idea di nostalgia e tristezza c’è come la donna vestita di nero contrapposta alla piacevolezza della bambina. Sembrerebbe che la funzione dell’arte nella cultura neoclassica sia simile a quella della tomba, cioè come questa in questo periodo è qualcosa di necessario perché ricorda il defunto, cosi l’arte permette di stabilizzare l’instabile, di darci un’illusione che qualcosa resti al di là della morte. (vedi Ingannare la morte, Savettieri). Come cambia il concetto di morte nel 700. Laicizzazione della cultura→ le spiegazioni di vita e mondo non dipendono più da un’idea di provvidenza. Buffon sostiene che «noi cominciamo a vivere per gradi e finiamo di morire come cominciamo a vivere», cioè nasciamo e con la vecchiaia moriamo poco a poco→visione molto atea. D’Holbac scrive che morire è dormire e di nuovo non mostra un’idea di vita dopo la morte. Altra idea di atea è di Cabanis che scrive che per uno spirito saggio la morte non è che il termine della vita: è la sera di un bel giorno. ➔Laicizzazione della visione della morte e della vita dopo la morte perché «la posterità per il filosofo è l’altro mondo per il religioso» (cit. Diderot). Ancora prima della rivoluzione francese si comincia a riflettere sulla tomba, sul suo significato, sul tipo di emozioni che una tomba può dare e una figura fondamentale in questo senso è J.H. Bernardin de Saint Pierre (1784). È interessante perché stretto amico di Rousseau e Girodet, fa una serie di riflessioni sul sepolcro, sulla tomba, sul sentimento della malinconia. Un brano negli Études sur la Nature scrive che la tomba ha un suo fascino particolare che deriva dal fatto che ci fa pensare contemporaneamente alla fugacità della vita, ma ci fa sperare in qualcosa che resta ricordando l’esistenza di un individuo che è morto. Egli, influenzato da quello che gli altri dicevano 17 Dietro al Père Lachaise c’è tutto questo, una visione della vita, dell’arte e della morte che si intrecciano. Era immerso nel verde tipo il parco inglese. 23/10 SCHEMA RIASSUNTIVO Origine dell’arte ➔funzione magica, idolo, doppio, origine funeraria (Dibutade). L’origine funeraria dell’arte, implicita in Plinio, è oggetto di particolare attenzione e riflessione tra 700/800. Perché? La «sacra volta» (credenze religiose, superstizioni che permettevano di proteggere l’uomo dalla paura della sparizione) comincia a vacillare a causa del criticismo illuminista e l’arte diventa una forma di giustificazione dell’esistenza che permette di suscitare l’illusione che la morte possa essere sconfitta. Accostando all’immagine di Dibutade un’altra immagine di donna che piange perché vede una nave dove si trova il suo amato allontanarsi dal porto e lei non ha speranza di poterlo rivedere. Si tratta dell’antichità come ce la presenta Winckelmann, grande storico dell’età neoclassica nella Storia dell’arte degli antichi del 1764 che fissa l’immagine che l’età neoclassica ha dell’antico. Egli ricostruisce la storia dell’arte degli antichi e vi vede un momento culminante, una perfezione che si incarna nella Grecia del V secolo. Per lui questa perfezione non è una cosa casuale che avviene per volontà divina, ma il frutto di precise condizioni climatiche (idea di Montesquieu), condizioni delle pratiche sociali (l’uomo greco perfeziona la sua bellezza con l’attività fisica e la nudità era spontanea a naturale per cui l’artista aveva tanti modelli davanti a se). Ciò che ha permesso la realizzazione della perfezione nel V secolo è la democrazia, quindi la libertà politica è un elemento che contribuisce alla creazione delle bellezza. Sono precise condizioni geostoriche politiche che allontanano il bello ideale da noi. È la storicizzazione del bello ideale che rende inattuale quello stesso bello ideale. C’è un momento precedente a Winckelmann in cui si capisce che il rapporto antichi-moderni diventa problematico ed è la Querelle des anciennes et des modernes che ci fa capire come si cominci a misurare questa distanza che c’è tra antichi e moderni. Prima l’antichità è un enorme serbatoio a cui attingere. Lui ci dice che l’antichità fa parte di un passato lontano perché ha delle condizioni specifiche e quindi a meno che non si abbiano le stesse condizioni il bello ideale ora è inattuale. ➔Il rapporto con l’antichità diventa problematico. La conclusione della storia dell’arte degli antichi è segnata dal pathos, dalle lacrime. Come una donna che piange vedendo la nave con il suo innamorato che si allontana, pure a noi moderni appassionati di antichità rimane quasi solo un’ombra dell’oggetto dei nostri desideri, l’arte 20 antica è perduta e il rapporto che noi possiamo avere è nostalgico. C’è il senso della rovina quindi anche se si cerca non si trova niente che comunque è prezioso perché dice qualcosa su un oggetto del desiderio che è perso per sempre. Ci illudiamo di capire qualcosa del mondo antico ma quello che ci rimane è quasi nulla. Fortissimo il senso della perdita che è tipicamente moderno. Se i greci avessero raccontato di più forse sarebbero stati meno grandi. Contrapposizione tra enorme produzione di arte nell’età moderna e scarsa in età antica. Winckelmann già si era accorto che nel primo testo che aveva dedicato all’arte greca c’erano degli errori e andare a Roma dopo è stata una rivoluzione. Ideale-storia. La tragicità del pensiero di Winckelmann rimanda all’idea che esiste una perfezione che è frutto della storia e che è un paradiso perduto per questo perché non potrà mai più ripetersi. I moderni quindi sono invischiati in un impasse, cioè gli antichi sono un modello da imitare ma siccome questo modello è frutto della storia, non si può eguagliare una bellezza che viene da condizioni storiche precise che non potranno ripetersi. ➔ Tragicità di Winckelmann➔ Aporia tra porre una norma ideale e nello stesso tempo porre questa norma nella storia=lontananza del mondo antico ideale. Il più grande oppositore di Winckelmann fu un artista italiano, Piranesi, il quale mescola nelle sue incisioni, rivendicando il diritto di guardare liberamente all’antico, il diritto all’eclettismo. C’è storicismo in Winckelmann perché il bello ideale è radicato in un contesto preciso. Herder supera Winckelmann dicendo che un’opera va studiata in base alla relativa cultura, religione quindi studiare un’epoca in base al suo contesto. C’è un superamento dialettico dell’impasse di Winckelmann. Stendhal considerava Canova, che imitava gli antichi, con l’espressione di «bello moderno», perché egli traeva qualcosa dagli antichi ma era più vicino alla sensibilità moderna. Il Monumento funebre a Maria Cristina D’Austria è una riflessione sulla morte, questa idea di tomba di Bernardin De Saint Pierre. Qui la morte è indicata dall’entrata che costituisce un vuoto attorno a cui si organizza tutto il resto della composizione. C’è un’ammissione del vuoto mentre l’idea barocca è quella di riempire tutto ed evitare il vuoto. Questa entrata è il fulcro che attira le figure, che sarebbero figure che rendono omaggio all’interno della tomba, ma in realtà in chiave metaforica esse sono l’umanità che prima o poi camminando sul velo sottile del tempo che scorre, va verso la morte. Il genio della morte è un fanciullo dormiente, idea che si deve recuperare il modo antico in cui si intendeva la morte, cioè vista come un sonno, come un qualcosa di consolante. Ci sono tutte le età della vita che scorrono verso la morte. 21 Panegirico di Antonio Canova (1810) di Pietro Giordani. Ci conferma l’idea dell’arte come tomba, arte che ci ricorda la morte e nello stesso tempo ci consola perché permette di sconfiggere la morte. Pietro Giordani dice di Canova che è una sorta di salvatore, cioè tutta la prima parte del panegirico è un’affermazione del perire delle cose, della natura che fa e disfa indifferentemente, della solitudine dell’uomo già espressa da Girodet. La soluzione che propone Pietro Giordani è l’arte di Canova. Dice che siamo fortunati per l’esistenza dell’arte di Canova perché la vita non è bella (vicino a Leopardi). Cosa accade nel mondo? «Una perenne rapidissima successione di ruine» (filosofia meccanicistica). Tutto si riduce in polvere nel globo meschino della terra e dai vapori che si creano dalla distruzione si crea una nuova vita, che andrà di nuovo dispersa➔natura indifferente alle sorti dell’uomo. La fugacità delle cose mondane potrebbe essere accettabile se vivessimo di più o se fossimo immortali, ma «la natura si mostra al genere umano maligna». L’umanità cerca di far fronte a tutto ciò, ma quello che può fare è solo salvare ciò che gli è più caro. Ad un certo punto Giordani si chiede che cosa possiamo fare di fronte a tutto ciò e dice che ci sono la bellezza, il pensiero, la virtù. Solo le arti possono porre un freno a questo continuo fare e disfare della natura e stabilizzare l’instabile. Le arti immortalano la bellezza, i bei pensieri e la virtù. Dai poeti e dagli scultori ci viene una possibilità di perpetuare ciò che sarebbe travolto dalla legge della natura. Canova è l’emblema di un’arte che sconfigge la morte. La tomba si trova al confine tra due mondi e Giordani dice lo stesso di Canova, collocato tra la memoria e l’immaginazione, congiunge passato e futuro. Giordani parla della funzione consolatrice che sta alla base della storia di Dibutade, cioè arte che ripara le ferite del passato. Statuto delle arti visive. Il concetto di arte al quale siamo abituati non è sempre esistito, ma è frutto di un lungo percorso che parte con Giotto (1300), arte come espressione, attività intellettuale e manuale. Debray dice che parte dall’Umanesimo (1400). Per millenni l’artista è considerato come un artigiano che fa l’opera d’arte e diventa artista nel nostro senso tardi, nel 1400 (nel 1300 ci sono le premesse). In effetti nell’antichità classica del medioevo i pittori e gli scultori non erano intellettuali, ma artigiani e nel sistema delle arti, la parola arte (ars) indica un saper fare, un insieme di competenze che l’artista ha, e possono essere manuali o intellettuali. Da qui deriva il sistema delle arti antico che 22 Il punto è che l’artista rinascimentale non parte da schemi precostituiti, ma tiene sempre presente il dato naturale con un senso di spazialità e volumetria, mentre all’artista medievale questo non interessa. Dal momento in cui l’arte greca entra nell’idea dell’imitare, l’arte occidentale ha continui cambiamenti. Il cambiamento e una nuova esigenza di riavvicinarsi alla natura arriva dall’Italia, che esce dal punto di vista stilistico dal medioevo prima di tutti gli altri paesi perché è molto forte grazie alla tradizione greco-romana che da Fidia in poi si era operata per imitare la natura. C’è un riportare l’arte alla dimensione e alle proporzioni della figura umana e infatti lo slancio di molti edifici in Italia è come frenato e riportato verso il basso. Nel 200 cominciano ad esserci dei cambiamenti perché si ha una figura diversa della figura umana in relazione alla figura politico imperiale di Federico II di Svevia. Egli ha un’ideologia imperiale per cui l’antichità è un modello. L’artista che coglie questo è Nicola Pisano, che si forma nel cantiere di Castel del Monte (edifico di Federico II di Svevia), dove sono state trovate facce molto simili alle sue future opere. Egli cerca di recuperare dal mondo antico un’idea di naturalezza e di adesione al mondo naturale. Tutto questo non comincia con Giotto come si può credere. Federico II dice che bisogna rappresentare le cose come sono secondo un approccio empirico al mondo. L’idea di Pisano è di recuperare la varietà, le sfumature delle emozioni, dei gesti, della mimica facciale dall’antichità. Il modello antico della statuaria romana è molto evidente. Il figlio di Nicola, Giovanni Pisano interpreta il naturalismo del padre in chiave espressionistica, quindi la superficie marmorea diventa un tumulto di masse con profondi rialti piano oscurali e la dimensione emotiva è accentuata. Le figure sono spesso animate da un movimento spiraliforme (la linea serpentinata che sarà di Michelangelo). Nel celebre Pulpito del duomo di Pisa (1302-1310) ci sono delle iscrizioni che non hanno carattere commemorativo come di solito, ma in una di esse Giovanni si difende da certe accuse e rivendica la bontà del proprio lavoro, cosa mai successa. È un gesto audace, segno di un cambiamento perché mostra che l’artista si considera più di un artigiano e ha una coscienza del proprio lavoro. Siamo nel 1300, quindi non 1400 come diceva Debray. L’artista acquista una consapevolezza del proprio ruolo nella società. Enrico Castelnuovo in Arte delle città, Arte delle corti a proposito di questa iscrizione scrive che Pisano fa questo gesto perché sa che il pubblico è pronto ad accogliere questo gesto. La Sibilla appartiene al gruppo di statue progettato per la facciata della cattedrale del duomo di Siena. Le sibille prevedono la gloria della vergine e sono animate da una sorta di furore spirituale. 25 Altro aspetto che Giovanni prosegue dal padre è quello del naturalismo e infatti mentre di solito tra la madonna e il bambino non c’è nessun dialogo, lui stabilisce un dialogo umanizzando la storia sacra (Madonna col Bambino 1305-1306 Cappella degli Scrovegni, Padova). Tutta questa nuova attenzione al naturalismo è preparata dall’avvento degli ordini mendicanti, in particolare quello Francescano che sottolinea l’umanità della storia sacra. L’invenzione del presepe da parte di S. Francesco è un momento centrale. Il presepio del Greccio, Giotto, 1296-1304. Con Giotto e questi affreschi di fine 200 notiamo un cambiamento, cioè l’artista ha l’esigenza di rappresentare uno spazio credibile, misurabile. Diversità di gesti ma soprattutto lo spazio sono novità. La scena del presepe si svolge nella zona del coro che era separata da un parapetto. La croce che si vede da dietro mostra la complessità della costruzione di questo spazio. L’artista ci mostra oggetti visti da dietro, il pulpito, la croce a dimostrazione della conquista dello spazio. Anche attenzione alla mimica facciale e alla diversità dei sentimenti. Quando cambia la concezione dell’artista come artista e non come artigiano. Il gesto audace di Giovanni ci dice qualcosa, ma su Giotto? Ci interessa come viene percepito quello che lui fa e in questi ci aiutano 2 grandi scrittori, ossia Petrarca e Boccaccio. Boccaccio, Decamerone : «avendo Giotto fatto rinascere la pittura (concetto di rinascimento), che era stata seppellita sotto gli errori di alcuni che puntavano a dilettare gli occhi degli ingrati piuttosto che a compiacere gli occhi dei saggi». Qua c’è una condanna verso quello che venne prima di Giotto, che è rinascita perché la sua arte da un piacere intellettuale perché riconosciamo lo spazio, l’imitazione della natura che non c’è nell’arte precedente. Critica l’estetica dell’abate Surger cioè l’arte che abbindola lo sguardo con pietre preziose e effetti di luce, ma che non lascia nulla. Boccaccio fa anche una distinzione di pubblico, cioè tra credenti abbindolati e intellettuali colti che sono soddisfatti dall’arte. Una cosa simile dice Petrarca in merito a questa tavola di Giotto. Anche lui distingue tra ignoranti che non capiscono Giotto, ma chi cerca un piacere intellettuale nell’opera d’arte si. Comincia con Giovanni Pisano e la fortuna critica che Giotto ha subito dopo un ruolo intellettuale dell’artista e della pittura e non più solo meccanico. La svolta quindi non avviene nel 400 fiorentino (come sosteneva Debray), ma prima, nel 300. Nella Cappella degli Scrovegni a Padova la dimensione emotiva è ancora più approfondita, la varietà di pose e di mimica e anche il senso di presenza fisica delle figure, la tridimensionalità. Un po’ come Masaccio Giotto è un artista innovativo per la sobrietà di impostazione e la radicalizzazione che ne fa un artista di svolta. Falso coretto, Giotto, 1303-1305.Comincia il gusto dall’illusionismo, è uno dei primi trompe l’oeil sono i due falsi coretti di questa cappella, cioè fingono uno spazio ai lati dell’altare che in realtà 26 non c’è. L’idea che la pittura finga degli spazi che sono in continuità esatta con lo spazio reale è quello che accade qui. Nel 400 Leon Battista Alberti teorizzerà questo. Nel riconoscimento del lato intellettuale nell’arte giottesca c’è anche un’idea di rinascita e quindi l’origine del medioevo come secoli bui e del rinascimento di contro non appartiene agli umanisti del 400 ma ai protoumanisti del 300, Petrarca e Boccaccio. ➔ La rinascita dell’arte avviene con Giotto. Nel 300 si riconosce un valore intellettuale all’arte. L’idea di rinascita si trova in tutti i testi successivi e Cennini dice che «Giotto rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno». Il concetto di moderno si forgia a partire dal concetto di rinascita e non è nel 1492 come si crede. 30/10 ➔ Abbiamo visto che la concezione all’artista come artigiano comincia a cambiare a fine 200 inizio 300 con Giovanni Pisano (iscrizione sul pulpito di Pisa) e poi attorno a Giotto con intellettuali come Petrarca e Boccaccio che lo vedono come colui che ha fatto rinascere l’arte della pittura. Questo cambiamento coinciderebbe con il fatto che l’artista non vuole dare piacere allo sguardo ma vuole dare al pubblico un piacere intellettuale. Confronto tra la chiesa di Notre Dame e la Basilica di S. Francesco ad Assisi. Nella chiesa c’è il lessico gotico per gli archi ogivali e altri elemento architettonici, ma l’effetto è diverso perché da un lato l’edificio svetta verso l’alto, non ci sono pitture murali se non le vetrate mentre nell’architettura gotica (quindi nella basilica) c’è una tendenza a frenare lo slancio con elementi orizzontali che limitano la verticalità. Il vero erede di Giotto è Masaccio. L’esigenza di razionalizzazione, di creazione di uno spazio misurabile e che lo sguardo dell’uomo può misurare porta l’Italia a sperimentare una nuova rappresentazione dello spazio. Il rinascimento italiano crea la regola della prospettiva, regola matematica che non fa che costituire una pezza d’appoggio a chi dice che le arti visive sono intellettuali come la scienza. Questo culminerà con la fondazione dell’accademia delle arti e lo scioglimento delle corporazioni delle arti. I pittori nel medioevo facevano parte delle corporazione dei medici e degli speziali, ma questo cambia nel 400 quando c’è un fiorire di tratti sull’arte, che non sono più tecnici, ma trattati in cui si fa una sorta di storia dell’arte da Giotto ai contemporanei o si parla di cos’è l’arte. ➔ ‘400 riflessione sull’arte. 27 sguardo è colpito da una serie di dettagli e passa da un particolare all’altro nella varietà della scena, ma non c’è interesse per lo spazio. In Pisanello abbiamo una struttura paratattica, mentre in Masaccio e Brunelleschi ne abbiamo una ipotattica per fare un paragone con la scrittura perché gli elementi sono tutti collegati tra di loro. Un esempio di naturalismo nel gotico internazionale è la Visione di S. Eustachio. Non c’è drammaticità nella scena, ma solo animali eleganti e abbastanza naturalistici. Nella prospettiva invece c’è un’idea di logica della rappresentazione, ecco perché nel 400 le arti visive sono come una scienza, perché c’è l’idea di logica che presiede alla rappresentazione della realtà. Adorazione dei Magi, Gentile da Fabriano è un esempio di gotico internazionale a Firenze contemporanea a Masaccio. Vediamo come l’Italia era una realtà molto complessa. Quello che si dimentica è che insieme a Masaccio una visione del mondo nuova si sviluppa nelle Fiandre. Van Eyck è una rottura forte rispetto al gotico internazionale perché vuole riconquistare la realtà dal punto di vista degli effetti della luce piuttosto che dallo spazio. Nei Coniugi Arnolfini si vede bene l’esigenza di rappresentare in maniera precisa gli effetti della luce sugli oggetti. Si sperimenta il punto di vista rialzato e c’è un retaggio del gotico internazionale perché l’artista fiammingo ama il dettaglio, ma nel senso di varietà della natura, non il dettaglio per il dettaglio. Gli artisti fiamminghi cercano quindi una nuova tecnica pittorica, ossia la tecnica ad olio in cui l’agglutinante è l’olio, che secca molto più lentamente, da un effetto traslucido. L’arte fiamminga ama molto gli specchi perché lo specchio mi fa vedere una realtà che non potrei vedere nel senso che la moltiplica. Sappiamo cosa accade davanti ai coniugi grazie allo specchio che mi fa vedere i due personaggi di dietro. Qui l’artista parla di sé, non diversamente da quanto avviene in Italia, perché la firma dice Van Eyck ic fuit = qui fu, si è auto rappresentato, Van Eyck è uno dei due testimoni della promessa di matrimonio, si mette in evidenza (si firma e dice che era presente alla scena ! forma di auto consapevolezza). Lo specchio permette di moltiplicare lo spazio, invece di ridurlo e organizzarlo sinteticamente come farebbe Masaccio. Questo specchio non è piatto ma convesso, questo significa che dilata lo spazio (lo specchio concavo lo restringerebbe), permettendo di cogliere ancora più dettagli, intravediamo anche delle piante, per esempio ! dilato lo spazio e cerco di inglobare più dettagli possibili, ma in una visione di verosimiglianza, non di spazi fiabeschi del gotico internazionale, da cui però il fiammingo eredita il gusto per la varietà. Le fonti ci raccontano di opere fiamminghe perdute con specchi, come un’opera di Van Eyck nota perché apparteneva ad una collezione 600esca e si trovava in un dipinto del pittore fiammingo Willem Van Haecht raffigurante la pinacoteca di Cornelis Van Der Geest, collezione contenente moltissime opere tra 30 cui quella di Van Eyck. Spesso, si trattava di donne al bagno perché lo specchio permetteva di raffigurare il nudo sia da davanti che da dietro.  La regola prospettica in un edifico architettonico si traduce in un’organizzazione modulare dello spazio e in un uso delle proporzioni tale per cui la statura umana media diventa il perno della costruzione degli spazi. Nella Sagrestia vecchia di San Lorenzo lo schema planimetrico è ripetuto lungo tutto il perimetro della chiesa. La misura della campata è l’elemento che permette di spiegare tutto l’edificio per cui quel modulo ripetuto due volte ci da la misura della navata centrale. Nell’interno le profilature in pietra serena grigia servono per disegnare lo spazio e rendere la struttura spaziale chiara. La struttura stessa si visualizza con le paraste, i costoloni che esplicitano la struttura spaziale. Esigenza di sezionare lo spazio e disegnarlo in modo tale da renderlo esplicito. Invenzioni di questo genere supportano l’idea che le arti visive siano intellettuali. Non basta essere artigiano per fare una cosa del genere, ma bisogna conoscere la matematica ed essere intellettuali. 6/11 Apprezziamo la radicalità di un artista confrontandolo con quello che avviene intorno a lui in altre parti del mondo. Una rivoluzione importante avviene nel 400 nelle Fiandre quando Van Eyck, iniziatore di questa nuova tendenza, si lascia alle spalle i decorativismi del gotico internazionale e si propone di recuperare una rappresentazione del mondo coerente e verosimile, ma è una verosimiglianza diversa dalla coerenza spaziale di Masaccio o altri artisti italiani. Ciò che conta è sì una verosimiglianza spaziale, ma soprattutto la verità ottica degli effetti di luce. Il rinascimento italiano e quello fiammingo sono due facce della stessa medaglia, la medaglia di un’intenzionalità artistica che vuole creare continuità tra spazio pittorico e reale, nel dipinto l’autore rappresenta una realtà in cui si riconosce, simile a quella in cui si trova lo spettatore. I falsi coretti della cappella degli Scrovegni di Giotto mostrano già questa idea. SPECCHIO: il fatto che ci siano molti specchi nella pittura fiamminga, sebbene non tanti quanti nella pittura italiana, esprime la volontà artistica di rappresentare la realtà in tutti i suoi aspetti in un tour de force dell’artista ➔ lo specchio permette di rappresentare i personaggi sia da davanti che da dietro, ma anche i personaggi che sono di fronte a quelli rappresentati. Nell’arte italiana si tende piuttosto a sintetizzare, mentre l’artista fiammingo è affascinato dal reale in tutte le sue forme, sente l’esigenza di verosimiglianza ma non quella di sintesi dell’artista italiano. Queste sono generalizzazioni, perché ci sono anche molte situazioni a metà strada: ci sono artisti italiani che si 31 ispirano al colorito e in parte alla spazialità fiamminga e artisti fiamminghi che guardano alla capacità di sintesi dell’arte italiana. La storia dell’arte è come un tavolo da biliardo, ogni pallina nuova si inserisce e cambia tutti gli schemi ➔ concetto di influenze che vedremo in seguito. Nel dipinto del pittore fiammingo Willem van Haecht raffigurante la collezione della pinacoteca di Cornelis Van Der Geest si riconosce il dipinto di Van Eyck che è andato perduto, ma di cui le fonti ci parlano; sappiamo che Van Eyck si cimentò nella rappresentazione di bagni, in cui l’artista poteva rappresentare la donna nuda da davanti e lo specchio permetteva di vedere anche una parte del dietro. Questo è anche legato alla vanità delle donne (rientra come tema). Nella pittura fiamminga si insiste sui bagni perché erano luogo fondamentale di incontro: incontri galanti ma anche incontri di transazioni commerciali. Le arti visive grazie alla prospettiva, in Italia, possono rivendicare uno statuto scientifico e quindi liberale. In effetti, il De Pictura (1434) di Leon battista Alberti dice che la pittura è una forma di conoscenza del mondo e lo può dire spiegando la prospettiva (la prospettiva è teorizzata in questo trattato, noi non abbiamo teorizzazioni di Brunelleschi, abbiamo solo fonti dei suoi esperimenti). Quando Leon Battista Alberti torna da Genova a Firenze racconta all’inizio dell’opera di essere rimasto sconvolto, a Firenze gli sembra di entrare in un’era nuova, vedendo le opere di Masaccio, Donatello e Brunelleschi ➔ c’erano stati cambiamenti profondi che gli provocano stupore. Il De Pictura è un testo complesso, non spiega solo la prospettiva, perché il raggio di osservazione della pittura è più ampio: c’è anche il concetto di istoria, il fatto che il dipinto racconta una storia; il sottolineare l’importanza di questa istoria ridimensiona il lato scientifico del De Pictura e sottolinea l’affinità tra pittura e letteratura ➔ il testo ha una duplice visione dell’arte: arte come scienza e arte come poesia (ut pictura poesis), in senso più ampio: il linguaggio visivo è simile al linguaggio verbale ➔ poesia legata a retorica, grammatica, matematica e aritmetica = arte liberale ➔ si rivendica il fatto che le arti visive non sono solo meccaniche ma anche liberali, implicano uno sforzo intellettuale. Per tutto il 400 fino a Leonardo è forte l’idea che l’arte sia come una scienza, ma nel 500 questa idea di arte come conoscenza della natura viene soppiantata dall’affinità con la poesia e con l’arte del linguaggio verbale, altro aspetto sottolineato da Leon Battista Alberti. Lode della prospettiva, di Matteo Colacio (1475). Colacio è umanista di origini sicule o calabresi che va a operare nello studio umanistico di Padova. Quindi, si ha a che fare con un umanista di un altro centro importante dell’umanesimo, Padova, che era uno dei centri dell’umanesimo tempo prima grazie alla presenza di Petrarca, non c’era solo Firenze, c’era anche Roma in questa data per esempio. Si ha un punto di vista da parte di un umanista di un contesto diverso e importante per l’arte (Padova: scuola giottesca, Mantegna ➔ siamo nel pieno rinascimento in questa data). È una lode della prospettiva che in realtà è una lode 32 “Le quali cose con la mente si comprendono senza opera manuale; e questa sarà la scienza della pittura, che resta nella mente dei suoi contemplanti” ➔ sorprende il fatto che lo dica un grande disegnatore come Leonardo. Dice che la pittura è una scienza. Ciò che pare strano è l’idea che alla fine queste cose le capisco con la mente, senza l’opera manuale. Ma allora che senso ha la continua indagine sulla natura di Leonardo fatta tramite il disegno? 2. Nell’altra citazione “la pittura, la quale è prima nella mente del suo speculatore, non può pervenire alla sua perfezione senza la manuale operazione”, Leonardo afferma che la pittura è nella mente dell’artista ma non può giungere a perfezione se non viene concretizzata in un’opera manuale. L’artista è artista se opera con la mano, altrimenti tutto rimane nella sua mente. Per comprendere queste due citazioni apparentemente contradditorie, il contesto ci aiuta: siamo a fine 400 e inizio 500, epoca in cui si inizia a fare un paragone tra le arti, dal punto di vista teorico. Leonardo sente molto questo senso del paragone, cerca di difendere la pittura da diversi punti di vista, deve difendere il primato della pittura 1) dalle altre arti visive (scultura e architettura o altre arti), ma anche 2) dalle altre arti da sempre considerate speculative, intellettuali (musica e letteratura). Fa una polemica forte contro l’arte verbale, per lui l’organo principe è l’occhio e la visione è strumento di conoscenza. Per questo critica il carattere astratto del linguaggio verbale ➔ aspetto visivo vs. aspetto verbale molto presente negli scritti di Leonardo. La 1a citazione va letta alla luce del senso di rivendicazione del lato speculativo della pittura che gli oppositori della musica e del linguaggio verbale potevano attaccare, dicendo “noi siamo quelli del pensiero, astratti, mentre la pittura è artigianato”, Leonardo difende la pittura da possibili attacchi di chi direbbe che la pittura è artigianato, mentre in realtà è conoscenza, quindi qui vuole mettere in evidenza il lato speculativo mentale della pittura. Il paragone era uno dei temi del primo 500 del dibattito teorico più sentito, Leonardo lo sente non solo con la scultura, che nega come arte perché senza il colore e le ombre non può rendere il fenomeno della natura, ma anche con i musicisti e con i letterati.   Nella 2a citazione, invece, Leonardo risente meno dell’angoscia del paragone. Questo ci spiega perché in una sembra negare l’importanza della mano nell’attività artistica, mentre nella seconda dice che non è possibile che la pittura sia solo speculazione, arriva a perfezione tramite il lavoro manuale: un artista può studiare la natura, ma la natura che ha nella sua testa deve poi tradursi in un disegno. Leonardo fa molti disegni e studi, c’è un forte lato sperimentale, alcuni studi non sono collegabili ad opere realizzate, cioè non sono preparatori per opere che poi doveva fornire a un committente, hanno l’aspetto di esperimenti scientifici, come nel caso degli studi di panneggio, realizzati su tela(gioco mimetico: il panneggio è un tessuto e lo rappresento su un tessuto). Questi non sono preparatori di niente, sono studi che Leonardo fa per capire il gioco che la luce crea sulle forme. Gli interessa usare il panneggio sì per riprodurlo poi nei dipinti, ma non solo: all’epoca gli artisti usavano nelle botteghe dei manichini e per studiare il panneggio prendevano questi tessuti e li 35 rendevano pesanti immergendoli in acqua e terra, divenendo delle sculture che potevano modellare come volevano, a seconda di come mettevano le pieghe la luce incideva in modo diverso e si poteva studiare il rapporto tra volume e luce ogni volta in modo diverso, quindi Leonardo lo fa per capire bene il rapporto tra un dato volume (come quello di una grossa piega) e la luce e gli effetti che questa produce. È proprio una sorta di esperimento. Sono noti infatti gli studi di Leonardo sul movimento, mentre la visione di molti artisti 400eschi è statica, Leonardo capisce che si deve superare questa staticità così come la prospettiva euclidea, in nome di una maggiore naturalezza: aderire alla natura non significa solo seguire delle leggi matematiche ma capire il fenomeno naturale. Leonardo, nel disegno della Madonna del gatto, studia un movimento scandendolo in tutte le sue fasi, si pone problemi sul movimento, tuttavia non è paragonabile alle idee futuriste perché è uno studio, mai Leonardo la penserebbe come opera finita e presentabile, mai lo introdurrebbe in un’opera che deve dare a un committente, è proprio un’idea di ricerca sul moto. Il tema del movimento, del rappresentare la temporalità nell’arte spaziale diventerà fondamentale a fine 800 e aiuta a capire meglio la nascita del cinema; Leonardo anticipa queste cose ma con uno spirito diverso, lo fa per comprendere, non per rappresentarla in un’opera. Leonardo si impegna anche nella rappresentazione dei moti dell’animo, il moto fisico implica anche questi. Si nota nell’Adorazione dei magi, dove il perno è costituito da Madonna e bambino e intorno ci sono figure ognuna con una sua espressione, quasi esagitate. Nel suo Trattato dice di voler rappresentare i moti dell’animo tramite i moti del corpo, c’è uno studio fisiognomico di Leonardo su come si possa tradurre qualcosa di spirituale e interiore nel volto e nel gesto, questo dà avvio a studi sulla fisiognomica che proseguono nel 600, con il trattato di Charles Le Brun, fino ad arrivare a Lavater, scienziato svizzero, che scriverà il saggio sulla fisiognomica a fine 700 ➔anticipa certe cose in uno spirito di sperimentazione continua tramite pittura e disegno; è l’emblema dell’idea di arte come scienza. Mentre Leonardo corregge la prospettiva euclidea, si pone domande sul movimento (che mette in crisi la regola geometrica), va in profondità per capire molteplici aspetti della natura umana e non; altri artisti mettono in crisi il carattere puramente matematico di certe costruzioni spaziali ➔ si nota confrontando l’opera lo Sposalizio della vergine, di un maestro e di un suo allievo: il Perugino (1502-04) e Raffaello (1504). Una differenza importante è l’edificio: il Perugino non lo rappresenta intero, lo taglia, Raffaello riesce a presentarlo con la cupola della chiesa, completo. Un’altra differenza è che il Perugino avvicina l’edificio, dando un senso di compressione spaziale che in Raffaello non abbiamo, perché c’è piuttosto il senso di spazialità libera che corre lungo le mattonelle e che va fino alla porta. Inoltre, le figure del Perugino sono simmetriche, nel dipinto di Perugino lo spazio è costruito prospetticamente, anche in maniera corretta, ma le figure che sono più vicine all’edificio a pianta centrale (forse perché non sapeva giostrare il rapporto tra figure e edificio sullo sfondo, forse non gli interessava), sono rappresentate sì in pose diverse tra loro, con sguardi angelici, ma una 36 accanto alle altre, in maniera paratattica; Raffaello invece, poiché l’edificio è a pianta centrale, rappresenta le figure in perfetta corrispondenza con il cerchio centrale dell’edificio, disponendole a semicerchio, ad arco di circonferenza come se facessero parte di una immaginaria circonferenza, concentrica rispetto all’edificio centrale ➔ Raffaello mostra capacità di sintesi e collegamento tra edificio e figure, tra le distanze e crea un’unità perfetta, che gli permette di inserire la cupola. Inoltre, Raffaello è metafora di ciò che avviene nel 500 rispetto alle regole 400esche: supera la regola, infrange la simmetria che Perugino non infrange (il sacerdote è perfettamente al centro) tramite l’andamento deviato del sacerdote rispetto all’asse di simmetria, inclinato, nega la simmetria, dando un effetto di naturalezza. I grandi maestri di primo 500 capiscono di poter infrangere certe regole per dare un senso di naturalezza, questo ci permette di capire le grandi innovazioni del 500: non basta rappresentare una natura verosimile corretta dal punto di vista matematico, c’è il bisogno di naturalezza, che gli artisti ottengono mascherando o infrangendo gli schemi compositivi, affermandoli e negandoli allo stesso tempo ➔ dialettica della regola e della licenza del 500 ➔ giocare tra norme compositive spaziali e loro negazione. Nelle stanze vaticane, Raffaello orchestrerà grandi spazi ma sempre con un senso di naturalezza e calore umano, concilia sintesi ed equilibrio perfetto con il calore delle figure e con la capacità di nascondere gli schemi compositivi, fino a superarli direttamente (c’è equilibrio e qualcosa che lo infrange, ma che dà energia e movimento e rende la rappresentazione della natura più naturalistica). Vasari divide le sue biografie in tre età: 1) Giotto a fine 300. 2) Masaccio a fine 400. 3) Arte del 500. Vasari nel passaggio da 2a a 3a dice che gli artisti hanno saputo infondere nelle loro opere “la licenza che inserita nella regola non turba la regola ma la allarga”, poi dice “la grazia che eccede, supera la misura”, la grazia è naturalezza, delicatezza, fascino, che non si sa definire ➔ un aspetto che si trova in tutti i grandi artisti del 500, come Correggio (Assunzione della vergine, Duomo di Parma) che prosegue la ricerca di Giotto sul trompe l’oeil, ma lo sfondamento prospettico della cupola è anche emotivo ed emozionale, le figure girano, non interessa la regola ma lo sconvolgimento dinanzi a questo miracolo in atto che fa dimenticare di essere in una chiesa. MICHELANGELO. Michelangelo è un artista a parte, è difficile da definire, un po’ come Leonardo (mentre Raffaello è un grande eclettico, guarda quello che fanno gli altri e lo rende suo, però si capisce che a un certo punto ha guardato Tiziano, Michelangelo, si vede che si guarda attorno). Michelangelo ha una sua visione esistenziale, è agli antipodi di Leonardo: mentre Leonardo guarda al fenomeno, 37 naturalistico, piacevole, i colori sono rosa pallido, siamo al limite, perfezione che sta per trasformarsi in qualcosa di artificioso). Negli allievi Pontormo e Rosso si trasforma in anticlassicismo ➔ tipo di linguaggio che non risponde a ciò che ci aspettiamo sia il classico ovvero armonia, equilibrio etc. valori di una parte dell’antichità classica (non è solo classicismo, c’è anche lato dionisiaco nell’antichità classica). Quindi quel perfetto equilibrio che Raffaello aveva trovato tra sintesi (composizione equilibrata) e naturalezza non viene sentito come qualcosa di accettabile da una serie di artisti tra cui questi due che non si ritrovano in un linguaggio in cui c’è perfetto equilibrio tra natura e artificio e calcano la mano sul lato artificioso, antinaturalistico, ma facendo emergere in questo carattere una forte inquietudine che invece nella Maniera (anni 40/50) viene riassorbita, cioè non possiamo confondere lo sperimentalismo anticlassico in cui l’inquietudine è dichiarata con la Maniera in cui c’è modo artificioso in cui le figure e la composizione sono costruite, ma quel lato di inquietudine è riassorbito, non è più così evidente. La crisi viene assimilata, rielaborata in una forma di anticlassicismo che ha perso la sua punta aggressiva, c’è una sorta di inquietudine nelle opere di Pontormo e Rosso. Ad un certo punto Pontormo rimane nella sua inquietudine fino alla fine (Vasari sente qualcosa di inquieto, affreschi di San lorenzo, non come la Deposizione ma le movenze delle figure sono similari e Vasari è esponente della maniera, di un linguaggio artificiale, affreschi pieni di figure, non c’è sintesi ed equilibrio ma non ha punte di inquietudine, quindi vede Pontormo come figura negativa). Noi consideriamo Pontormo manierista, Vasari manierista, però uno stronca l’altro, c’è uno sperimentalismo anticlassico che viene poi riassorbito e temperato, edulcorato nel linguaggio degli anni 40/50, linguaggio della maniera internazionale. Rosso ha aspetti anticlassici, poi va a Fointanebleau e il linguaggio diventa più aulico, decorativo, si adatta ad un contesto di Corte e va a levigare le punte più acuminate del suo anticlassicismo da renderlo accettabile nel contesto della corte di Francesco I, quindi in lui c’è passaggio da sperimentalismo anticlassico alla maniera. Il linguaggio di Fointanebleau si diffonde in tutta Europa. In questa crisi crolla l’idea che l’arte possa essere paragonabile alla scienza perché in opere come queste i principi del primo rinascimento fiorentino (prospettiva, sintesi, varietà) crollano ed erano anche i principi soprattutto la prospettiva che facevano apparire le arti visive simili alla scienza. Nell’idea di artificio il modello di un riscatto liberale delle arti visive è la poesia. Pinelli in “La bella Maniera” dice che le corporazioni sono delle aggregazioni di tipo artigianale, nel 500 il modello di rivendicazione del valore liberale delle arti visive è la poesia (non più la scienza) e questa aspirazione ad uno statuto liberale trova il suo compimento nella creazione delle Accademie letterarie e artistiche che sorgono entrambe nel 500 e nell’Accademia uno dei principi è l’idea di una sorellanza tra pittura e poesia. 40 Ut pictura poesis (come nella pittura così nella poesia) significa giustificare il lato intellettuale delle arti visive attraverso continuo paragone con un linguaggio verbale, profondamente diverso, siamo su altri mondi. Questa subordinazione del visivo al verbale produrrà delle visioni dell’arte profondamente letterali (gerarchia dei generi pone la pittura di storia, soggetti tratti da testi letterali, all’apice, un dipinto di storia vale di più anche economicamente), quindi da un lato il riferimento alla poesia serve per dichiarare lo stato liberale delle arti visive, ma si subordina il linguaggio visivo ad uno verbale, diverso. Il linguaggio visivo (Fiddler) ha un processo suo e non è paragonabile a quello del linguaggio verbale. Nel momento in cui si capisce l’autonomia del linguaggio visivo è rivoluzionario perché per secoli il modello è stato il linguaggio verbale (poesia). Sprangher “Vulcano e Maia” e Ercole e Onfale” esempi di maniera à artista della corte di Praga, le due opere sono concepite come pendant, le posizioni dei personaggi si corrispondono. Vulcano e Maia è allegoria dell’amore fecondo e l’altra allegoria dell’amore sterile. La figura maschile è piegata e per contrapposizione la figura femminile è in posizione allungata e così nel primo dipinto le due figure sono poste in una posizione chiastica. Manierismo affine a idea di ut pictura poesis perché il gusto delle posizioni calcolate, delle figure retoriche applicate alla figura rendono evidente che posso prendere uno schema di rima e lo posso applicare a mio modo nell’opera pittorica, cioè la poesia ha linguaggio codificato che ha le sue regole, ci sono elementi formali stabiliti e questo aspetto interessa gli artisti della Maniera che tendono all’artificioso, non interessa il lato naturalistico ma creare pose, situazioni che sono al limite dell’artificio, della bizzarria, come avviene anche in Wtewael “Diluvio universale” 1585, gioco di corrispondenze di contraddizioni. Ne usciremo a inizi 600 con Carracci e Caravaggio, nuovo ritorno alla natura perché questo linguaggio alla fine si esaurisce, diventa puro gioco retorico. Rapporto con la poesia  è  riflessione di Pinelli in cui la poesia petrarchesca del tempo (c’è un’ondata di interesse per Petrarca, canone da seguire, quindi i poeti seguono quel modello) e Pinelli fa paragone tra poesia petrarchesca e la pittura ad esempio di Bronzino. All’inizio Pinelli fa una serie di considerazioni in cui la metafora è l’elemento fondamentale, Bronzino se deve rappresentare una donna non prende tanto a modello la donna reale ma paragonando, metaforizzando l’aspetto fisico quindi deve fare profilo come un cammeo, la pupilla non deve somigliare alla pupilla naturale ma deve apparire preziosa come fosse una pietra dura, tutto è rappresentato tenendo presente la metafora sublimante di materiali preziosi (come avviene nella poesia petrarchesca). Certa pittura del tempo come quella di Bronzino tende alla metafora sublimante per cui l’effetto è di preziosità delle figure umane. La pelle è chiara per assomigliare all’avorio (punto di riferimento è il materiale prezioso), capelli come bronzo o fili d’oro, la pittura del Bronzino è lucidamente illusiva e antinaturalista – la luce sembra quella degli artisti fiamminghi, luce nitida che mette in risalto i materiali ma qui mette in risalto una realtà sublimata quindi è illusiva perché c’è lato illusionistico (ritratto di eleonora da toledo reso in maniera nitida, precisa, 41 effetto del tessuto) ma alla fine il risultato è antinaturalistico quindi l’opposto dei fiamminghi. Quasi non ce ne accorgiamo ma c’è sensazione di trovarsi dinanzi ad una statua, figura sottratta dal tempo, incorruttibile quindi Bronzino non mima la realtà in presa diretta ma una sua versione già nobilitata dall’artificio di una tecnica squisita e dalla sottile evocazione di materie rare e splendenti. Se guardiamo la luce di Bronzino è apparentemente naturalistica, luce nitida che risalta i vari materiali ma questa luce che sembra fiamminga non ha una funzione naturalistica perché va a illuminare figure, oggetti già idealizzati e sublimati da procedimento metaforico. C’è un aspetto interessante nel manierismo, l’artista vuol fare vedere quanto è bravo, virtuosismo, quindi le pose delle figure sono artificiose, ma l’artista fa vedere come è capace di rappresentare le figure in pose strambe; l’esercizio stilistico altissimo, la tecnica perfetta di Bronzino, verisimiglianza ottica di materiali preziosi, di una realtà già sublimata. Affinità che si sente con l’arte poetica perché i procedimenti sono simili a quelli della poesia petrarchesca. Quando con le Accademie è sancito lo statuto liberale delle arti visive si sviluppa anche una storiografia artistica con Vasari. Il fatto che tutto comincia in Italia con Giotto, la storiografia artistica si sviluppa in Italia e da lì ci sarà una diffusione europea e ci saranno autori che sviluppano la bibliografia degli artisti da Vasari, che diventa un modello. Il superamento della maniera permette lo sviluppo di un linguaggio più naturalistico che andrà poi verso il Barocco. Dal punto di vista dello statuto dell’arte è assodato con le Accademie che le arti visive sono liberali, sul modello della poesia e tutto questo rimane anche nel 600 e nel 700. I principi dell’Accademia: istituzione che serve per educare gli allievi, non solo dal punto di vista tecnico ma anche teorico, e la prima accademia è quella del disegno a Firenze fondata da Vasari nel 1563, quella di San luca a Roma nel 93, nel 1648 in pieno assolutismo monarchica Academie royale de peinture et sculpture che ha appendice a Roma (centro fondamentale dell’arte) Academie de France. Luogo dove nascono le accademie è l’Italia e quella francese è esemplata su quella italiana. 1. Primato della teoria sulla prassi, concezione intellettualistica dell’arte per cui la dimensione meccanica l’artista la impara dal maestro ma non è quello che l’Accademia deve insegnare all’allievo. 2. Normatività dell’antico (disegno dall’antico è fondamentale) e gli artisti francesi vengono a Roma per studiare i maestri del rinascimento e l’arte antica. 3. Supremazia del disegno sul colore (parte intellettuale dell’arte rispetto al colore  dà  idea similare per cui il colore e la luce fanno parte della dimensione emotiva e sensista dell’arte mentre il lato intellettuale sta al disegno, distinzione percepita nella critica che Boccaccio fa all’arte precedente a Giotto, l’arte di Giotto piace ai sapienti mentre quella prima era fatta per abbindolare lo sguardo. Il colore è una parte secondaria della pittura, è il lato piacevole ma la parte intellettuale è il disegno). 42 poesia e la musica. Le maggiori critiche vengono dai critici musicali, la musica non è imitazione della natura, quindi la messa in crisi del concetto di imitazione avviene nel 700 a partire dal contesto musicale. Arti visive sono liberali, sancite dall’accademia e divise dalla scienza. Come si arriva alla consapevolezza espressiva del linguaggio visivo? VEDERE. Le nostre arti, pittura, scultura, architettura etc. sono arti visive, cioè si basano sul vedere, che non è solo il vedere dello spettatore come fruizione, ma riguarda anche l’artista ed è connesso alla sua opera. Vedere si può interpretare come nel caso “esame dell’occhio” di Henry, immagine illustrativa, occhio come organo, occhio fisiologico ma l’occhio non è solo fisiologico, ma vedere è un atto personale e culturale e infatti il “falso specchio” di Magritte, occhio in cui si riflette il cielo. È un falso specchio, noi pensiamo che la realtà si rispecchi nei nostri occhi in maniera oggettiva invece è qualcosa di soggettivo e culturale, noi vediamo la realtà a seconda della nostra indole, educazione ed epoca. Abitudini percettive tipiche del tempo. “Autoritratto” del Parmigianino in cui si vede come l’arte è deforme, specchio deformante, ognuno filtra la realtà in maniera diversa. Per gli uomini della cultura medio-alta del 400 “Pianta del santo sepolcro” di Brasca era immediatamente riconoscibile, scontato ma noi oggi non lo capiamo subito a primo impatto. Quando guardiamo un dipinto di epoche passate che è frutto di contesto culturale che ci sfugge, è importante capire che c’è espressione di cultura, dobbiamo capire capendo la cultura del secolo di cui ci stiamo occupando. Questo vedere in maniera culturale non riguarda solo lo spettatore ma anche l’artista ➔ il fare arte visiva è collegato al vedere, l’uomo vede secondo categorie e abitudini percettive proprie della sua epoca, secondo la sua cultura personale o secondo il suo moto specifico di vedere. Tutto ciò rientra sia nel modo di vedere di uno spettatore che nel modo di vedere di un artista. La storicizzazione ci aiuta a correggere una nostra visione falsata dei fatti dalla nostra cultura e invece ce la corregge. Madonna col bambino e storie di Gioacchino e Anna Maestro di San Martino, 1290 ➔ storicizzare significa anche capire in che condizioni visive erano viste le opere. Fondi oro non erano visti alla luce, erano nella penombra e quindi richiedevano da parte dello spettatore tempo; dipinto a fondo oro all’inizio lo vedo male all’ombra, noi siamo abituati ad una velocità immediata dell’immagine ma in secoli passati i tempi di visione erano diversi. Se artista e spettatore sono contemporanei della stessa epoca, condividono lo stesso tipo di cultura (sono più avvantaggiati per capire certe cose) ma se l’epoca dello spettatore è diversa dobbiamo contestualizzare la storia altrimenti andiamo incontro a malintesi.  45 13/11 Quando l’uomo vede, è condizionato nella percezione dal background per cui determinate immagini che in un’epoca danno una determinata suggestione e appaiono ovvie, in un’altra epoca possono non esserlo e dare altre suggestioni. Per cui il vedere è un atto culturale e relativo. Il relativismo della visione riguarda sia l’aspetto temporale che geo-culturale di un’epoca. Il vedere non riguarda solo il pubblico, ma anche l’artista che condivide con esso determinate categorie di visioni e abitudini percettive. Quindi è più facile che un pubblico di cultura medio alta nel 700 capisca meglio un’opera del 700 rispetto a noi, anche se non è una regola. 1) Spettatore e artista sono della stessa epoca 2) Spettatore e artista sono di epoche diverse, ma lo spettatore ha fatto un sforzo di ricostruzione e contestualizzazione storica. VARIABILE: il modo di vedere personale di: • Artista: può essere così originale da scavalcare la sua epoca e non essere compreso dai suoi contemporanei. Non sempre il pubblico che condivide le stesse categorie dell’artista lo capisce. • Spettatore: pur restando aderente al contesto storico, può proiettare su un artista aspirazioni e convinzioni personali. Questo è un po’ il significato degli studi di critica d’arte, che guarda proprio a questo, perché in certe epoche certi artisti sono stati considerati in un certo modo e perché i critici hanno studiato delle cose piuttosto che delle altre. San Sebastiano,Andrea Mantegna (1), Antonello da Messina (2). Sono due artisti della stessa epoca, che bene o male condividono certe categorie culturali e in effetti guardando i dipinti ci sono caratteristiche culturali comuni che ci fanno distinguere il secolo di appartenenza delle opere. Entrambi hanno un avanzato possesso dei mezzi prospettici e anatomici, conoscono il cosiddettio rinascimento toscano e quindi hanno le stesse categorie culturali. Le differenze però ci sono e sono date anche dal diverso percorso dei due artisti. Mantegna si forma a Padova, centro umanistico importante, mentre Antonello da Messina si forma molto probabilmente a Napoli, contesto che negli anni 50 non conosce il Rinascimento perché l’arte napoletana è franco ibero fiamminga perché le vicende del regno di Napoli sono complicate e danno innesti culturali diversi. Poi in qualche modo però Antonello entra in contatto con la cultura prospettica e fa una mescolanza italo fiamminga. 46 Il soggetto è lo stesso, San Sebastiano. Mantegna ama citare l’antico e lo si vede dall’’ambientazione e dal piede di pietra in basso a sinistra che apparterrebbe ad una statua distrutta messo non a caso accanto al piede di san Sebastiano . L’antico è il modello dell’artista in questo caso. In Antonello da Messina invece il san Sebastiano è in una città veneta contemporanea e non c’è nessuna citazione dell’antico. Anatomicamente i soggetti sono diversi: in Mantegna il modello è la statua romana e in Antonello da Messina il corpo è classico nelle proporzioni ma non ha esibizioni di muscoli. È molto più naturale per via della luce calda che modella il corpo in modo naturalistico e meno grafico. Mantegna insiste di più sul disegno invece e guarda la realtà con gli occhi che hanno in mente il mito dell’antico, mentre Antonello da Messina coerentemente con la sua formazione è più fiammingo, si interessa alla luce e alla natura. Il san Sebastiano di Antonello da Messina infatti si appoggia su un tronco d’albero e non su una colonna, che è presente a terra ma comunque in stile molto semplice, non corinzia come quella del Mantegna. ➔I due artisti guardano la realtà in termini diversi: Mantegna in termini grafici e Antonello da Messina in termini di natura e luce. Proust, La Recherche. Il 2º volume dell’opera è importante per la critica d’arte e gli studiosi di estetica perché ci sono tante riflessioni su cosa è l’arte e la creazione artistica. Proust si chiede perché un’opera di genio può non essere compresa subito. Proust da l’immagine di un’opera lanciata nell’avvenire, che prima o poi verrà compresa perché il pubblico maturerà e avrà gli strumenti per farlo. Fa l’esempio dei quartetti di Beethoven a questo proposito. La posterità è la percezione che i posteri hanno di un’opera precedente ed è un concetto fondamentale per la critica d’arte. È la vita dell’opera dopo l’artista, cioè ha una vita sua data dalle interpretazioni su di essa, dalle esposizioni etc. Proust dice che opere rivoluzionare molti anni fa, ora sono percepite come classici mentre tutto quello che è vicino a noi è dirompente e lo percepiamo per questo suo carattere. Però non teniamo conto del fatto che tutto quello che ci ha preceduto è stato tramutato da una lunga assimilazione in una materia indubbiamente variata. C’è sempre armonia tra artista e pubblico? No. Ma l’artista come si sente rispetto al pubblico e alla società in cui è immerso? Dalla seconda metà del 700 in poi si afferma un malessere e l’artista non vede bene il suo ruolo in società. Il senso di inadeguatezza dell’artista origina un atteggiamento chiamato primitivismo. C’è un’idea di genuinità che il mondo contemporaneo ha perso a causa della modernità così come la sacralità. 47 15/11 “Les sabine” David 1799 Primitivismo è gruppo dei Barbus, artisti che vogliono sottolineare differenza, atteggiamento tipico della modernità, il Dandy nell’800 si riscontra la stessa capacità di sottolineare una differenza. In questi anni David realizza le Sabine 96/99. Svolta nella carriera di David, il quale dichiarò che con le sabine voleva essere più greco e meno romano (opere rivoluzionarie e prerivoluzionarie sono considerate romane, modello di arte romana). Cosa significa essere più greco? Significa smorzare l’aspetto muscoloso delle figure, aspetto più liscio, delicato, uso di colori smaltati eliminando i contrasti chiaro scurali che caratterizzavano il Bruto e il Giuramento degli Orazi, e soprattutto ciò che caratterizza quest’opera è la centralità della figura femminile, la donna sabina Ersilia si interpone tra Romolo e Tazio, Romolo capo dei romani, Tazio dei sabini. Ratto delle sabine, da cui erano nati i figli e la donna dice di formare un unico popolo perché ci sono figli di mezzo, figli di sabini e romani. Quest’opera ha significato politico contemporaneo ➔ messaggio di pacificazione nazionale dopo la fase sanguinosa della Rivoluzione, che in realtà andrà a sfociare in Napoleone. Artista coerente a livello politico, il cambiamento di posizione politica esiste se si vedono i bagni di sangue del terrore, ripensamento di David, la coerenza si vede nel fatto che crede in Napoleone ma quando finisce l’impero napoleonico si vede incompatibile con la monarchia francese e se ne va in Belgio, morendo a Bruxelles. Un posto l’avrebbe sicuramente avuto ma decide di andare in esilio. Al contrario Girodet sembra essere ancora in linea col giacobinismo poi accetta commissioni di Napoleone, lavora per il Re che ritorna e fa ritratti di generali controrivoluzionari, due modi di approcciarsi alla politica diversi. Girodet trasformista, David no perché crolla l’impero napoleonico, restaurazione e se ne va. A Bruxelles si darà ad arte mitologica, rifiuta ciò in cui aveva creduto sempre, il poter far coincider la sua visione estetica con quella politica. I Barbues trovano che la svolta di David non è abbastanza arcaizzante, da qui la secessione nell’atelier di David, il ritiro dei personaggi e quindi il primitivismo. IMPRESSIONISMO. Influenza tra Monet e Pollock ci sono apparentemente affinità visive, ma se guardiamo i punti di vista dei due artisti capiamo che sono diversi, quindi dobbiamo distinguere. La storia va a cercare le linee generali ma anche le individualità, bisogna trovare riscontri nei singoli casi, variabilità. Citazione negativa da parte di Leroy, critico d’arte del tempo: a proposito della prima esposizione degli impressionisti dice ironicamente che è impressionato, il dipinto di Monet è paragonato alla tappezzeria, la critica è diretta nei confronti della mancata finitezza nell’opera (secondo i canoni accademici è un abbozzo), opera indefinita, l’indefinito è una categoria che si afferma nell’800, idea dell’indefinito, la pittura non deve essere trasparente, rendere subito riconoscibile, c’è opacità della pittura ovvero il venir meno della mimesi, la quale è scavalcata dalla dimensione formale e 50 stilistica e dall’obiettivo dell’artista, in questo caso rendere la transitorietà dei colori, della luce. Nel confronto con la tappezzeria c’è anche l’idea che manchi lo spazio, tutto è appiattito, non c’è profondità spaziale, prospettiva, nel voler rendere l’impressione non rendono la profondità spaziale e la consistenza degli oggetti. Gli impressionisti però vogliono rendere la prima impressione, è il loro scopo, non perché non sono capaci come pensavano i critici d’arte. Questo confronto col tappetto ci fa capire anche perché gli impressionisti sono stati spesso paragonati alle stampe giapponesi, in cui c’è un tipo di spazialità diversa rispetto a quella occidentale che deriva dalla prospettiva brunelleschiana masaccesca, appiattimento delle forme per cui alcuni criticarono questa dipendenza di Monet e di altri impressionisti dalle stampe giapponesi. Anche qui si pone problema d’influenza. C’è una grande moda di stampe giapponesi, ma gli obiettivi sono diversi anche qui. Nei giapponesi non c’è senso di frammentarietà dato dall’idea del rendere la vita nel suo pullulare, quindi anche qui c’è influenza ma cosa affascina delle stampe giapponesi? Proposta di spazialità completamente diversa da quella occidentale, discorso primitivista, sono affascinati da culture diverse da quelle occidentali. Altra citazione di Castagnary: “sono impressionisti nella misura in cui non rappresentano tanto il paesaggio quanto la sensazione del paesaggio stesso” “escono dalla realtà per entrare completamente nell’idealismo” ➔in che senso idealismo? Capisce che volersi avvicinare alla prima impressione rompe col concetto di continuità, ricrea l’impressione, qualcosa di fuggevole quindi sembrano idealisti perché in realtà non rappresentano la realtà in termini di verosimiglianza ma cogliendo l’impressione rendono la pittura opaca, categoria moderna, opacità della pittura 800/900 non c’è più equilibrio tra soggetto e oggetto, c’è idea di cogliere l’impressione, non rappresento il paesaggio riconoscibile ma l’impressione, colori, linee, masse, quindi c’è una presa di potere dei mezzi espressivi, del colore, del modo in cui è stesso rispetto alla riconoscibilità. L’impressionismo di Monet fa a sfociare in qualcosa simile all’astrazione infatti nelle Ninfee dell’ultimo Monet niente è riconoscibile, si vedono pennellate di colore, non si riconosce, idea panteistica della natura in continua trasformazione. Monet è interpretato successivamente in chiave simbolista, cioè gli interessa rendere la legge della natura nell’impressione che non si coglie attraverso i mezzi tradizionali accademici ma si coglie con l’impressione, qualcosa che sfugge alla ragione. In questo atto primigenio capisco, colgo verità profonde della natura. Nozione di memoria in Proust➔la memoria, che mi fa capire cose di me, che mi fa ritornare al passato è qualcosa che avviene di botto, la Madeleine, ma non è solo memoria in Proust, c’è anche il fatto che quando vede tre alberi essi risvegliano in lui qualcosa, mettono in moto qualcosa dentro lo scrittore, c’è idea che aspetti profondi di me li capisco in situazioni in cui è il caso o l’intuizione, svalutazione di tipo di conoscenza intellettuale ed esaltazione delle dimensione intuitiva, in cui la verità si può rivelare meglio che se sto a riflettere. Idea che alla fine Monet è 51 considerato simbolista perché va in profondità della natura attraverso la leggerezza dell’impressione e ciò va a mettere in crisi la mimesi come Proust va a mettere in crisi un certo tipo di narrazione (es. flusso di coscienza, tipo di approccio intuitivo, sensitivo, idea di un cogliere una verità in termini intuitivi, irrazionali). Pollock dimensione esistenziale, c’è la rabbia e il disagio dell’artista che si esprime nel gesto e questo non c’è in Monet, qui c’è dimensione gestuale esibita. Cézanne e Picasso Chi influenza chi? Picasso ha reinterpretato Cézanne, Picasso ha influenzato Cézanne perché la presenza di Picasso ha influenzato il nostro modo di vedere Cézanne. Quando Picasso, uno dei geni del 900, ha fondato il movimento sperimentale del cubismo estremizzando certi aspetti di Cézanne, ha automaticamente conferito a questo il ruolo di padre dell’arte contemporanea. Quando Cézanne opera, non opera pensando a ciò che sarà la sua pittura interpretata da Picasso, questa riflessione la fa Baxandall – se non ci fosse stato Picasso il ruolo di Cézanne nell’arte contemporanea sarebbe stato ridimensionato, l’immagine di un artista che noi abbiamo dipende anche dall’immagine che ha avuto negli artisti successivi. Nel modo di vedere, la nostra visione è influenzata dal fatto che poi c’è stato Picasso, siamo portati a capire Cézanne in chiave precubista; Picasso ha capito certe cose di lui e le ha estremizzate però Cézanne non voleva sfaccettare il mondo in mille punti di vista, la soluzione cubista è uno dei possibili sviluppi. Quando utilizziamo la categoria dell’influenza dobbiamo stare attenti, possiamo notare influenze ma dobbiamo distinguere le intenzionalità, problema di incrocio di prospettive e punti di vista (da cosa dipende la mia visione di Cézanne?). Baxandall ci fa riflettere sul fatto che certe volte rischiamo di essere condizionati dal nostro modo di vedere un artista dal fatto che altri artisti se ne sono impadroniti e ne hanno fatto qualcosa di diverso. Es. primo 900, da Messina e gli artisti prospettici del 400, a inizio 900 sono interpretati in chiave pre cubista perché siccome vedono gli artisti che tendono a geometrizzare vedono artisti del 400 che avevano obiettivo diverso in chiave di astrazione di sintesi geometrica ma non era così assolutamente. Certe cose che vedo oggi vanno a influenzare il mio modo di vedere del passato, bisogna distinguere. Noi vediamo Cézanne sapendo come poi Picasso ha utilizzato la volumetria di Cézanne, quindi questo non è come pre-Picasso, pre-cubista, Cézanne vuole ridare consistenza alla fluidità dell’impressionismo di Monet, quindi più che Cézanne influenza Picasso, ci dobbiamo porre il problema “non è che Picasso ci fa vedere Cézanne in una chiave non corretta?”. Baxandall oltre a dire che Picasso ha influenzato Cézanne, paragona la storia dell’arte ad una tavola da biliardo senza buchi, dove le palline non scompaiono, ogni artista è una pallina e ha una sua posizione. Ogni pallina nuova è un artista nuovo. Pallina Picasso intorno al 1909 si colloca 52 mai posti i problemi e gli interrogativi che si pone l’artista, da qui dissociazione tra filosofia e pratica dell’arte, i filosofi non erano mai andati in atelier, parlavano d’arte senza praticarla. Fiedler si pone il problema dell’arte in una maniera più concreta. Nei suoi scritti: • Il contenuto intellettuale dell’opera d’arte non coincide con quello artistico ma il contenuto intellettuale è il soggetto, ciò che chiamiamo contenuto. Fiedler dice che ci sono due contenuti, uno intellettuale (soggetto) e uno artistico (stile che noi chiamiamo forma), il quale è il più importante nell’opera d’arte. Contenuto intellettuale è considerato extra artistico. Numerose madonne col bambino ad esempio ma ciò che distingue due artisti non è il soggetto ma è il modo con cui affronta il soggetto. Il linguaggio dell’artista è il come non il cosa. Il cosa risponde ad esigenza espressiva, di cosa voglio esprimere. • Attività artistica come forma di conoscenza visiva e intuitiva (non concettuale) della realtà, lato fattuale dell’opera d’arte, “attività artistica” non arte. Per Fiedler è attività conoscitiva, forma di conoscenza visiva e intuitiva della realtà: conoscenza in che senso? Conoscere significa impadronirsi di ciò che leggo e rielaborarlo, la vera conoscenza è quindi creativa, è conoscere al punto tale da utilizzare in maniera autonoma e libera, facendo collegamenti ad esempio. La conoscenza visiva per Fiedler significa che l’artista quando guarda la realtà coglie certi aspetti piuttosto che altri, deve impadronirsi di ciò che vede (materia visiva) e rifarla secondo il suo punto di vista. Intuitiva: secondo Fiedler non sarebbe conoscenza che arriva al concetto ma rimane a livello di intuizione, ma in realtà nel processo creativo può intervenire anche la dimensione concettuale, è una mescolanza in realtà, ma ci interessa l’idea di conoscenza. Fiedler in questa visione della conoscenza visiva riprende in qualche modo Leonardo, che aveva avuto intuizione nel 400 di questo. Quando dico che il contenuto dell’opera d’arte è forma di conoscenza del mondo non c’è più concettualismo dei secoli precedenti dell’ut pictura poesis. Fiedler esalta l’autonomia espressiva dei mezzi visivi, l’artista non è cosa rappresenta ma è il come rappresenta. Quando dice questo, 1876, anni di Monet, Whistler… quando gli artisti stanno rivendicando la possibilità attraverso forme, colori e disegno di rendere una visione del mondo personale. Fiedler riprende idea di conoscenza intuitiva della natura da Kant, ma non quello della critica del giudizio che riguarda la recezione, il sentimento del sublime etc. Fiedler va alla critica della ragion pura, dove Kant affronta l’estetica trascendentale, teoria della conoscenza, della prima forma di conoscenza (estetica= deriva dal greco che significa ”percepire con i sensi”), prima conoscenza sensitiva, nel 700 c’erano stati i filosofi sensisti ma Kant aggiusta l’idea riportando la conoscenza al soggetto che ordina le sensazioni che vengono dal mondo. Kant afferma che percepisco con i sensi e la prima forma di conoscenza è una prima rielaborazione di queste sensazioni che avviene a livello intuitivo, idea ripresa da Fiedler. La dimensione concettuale arriverà dopo. Le sensazioni sono filtrate da categorie di spazio, tempo, 55 causalità e poi si arriverà al concetto. Fiedler riprende Kant e va a trasferire nel mondo della creazione artistica l’idea che la forma artistica sia una prima forma di conoscenza visiva e intuitiva. Quindi, rielabora Kant in questa chiave per cui l’attività artistica è una forma attraverso cui l’artista prende possesso del mondo, lo riorganizza a suo modo. • Questo modo di rielaborare la realtà è linguaggio, espressione. Prendere possesso della realtà, rifarla secondo il proprio modo di vedere; mentre guardiamo la realtà e ci scivola addosso per il vero artista non è così, questo mondo visivo è qualcosa di enigmatico, ha bisogno di dominare queste sensazioni visive che ha rifacendo il mondo secondo il proprio punto di vista. L’attività artistica è creativa perché conoscere il mondo è rifare il mondo secondo la concezione di Fiedler e la filosofia idealista ➔ conoscere è rifare, rielaborare. Noi rimaniamo ad uno stato superficiale della conoscenza visiva, non siamo costretti a rifare il mondo, questa idea di costretto per Fiedler = creazione artistica è necessaria. L’artista sente una necessità, impadronirsi del mondo è una necessità interiore. Fiedler lo dice nel 1887, verrà ripetuta da Kandinsky “necessità interiore”, costante della critica, teoria dell’arte del 900 “io sono artista per necessità, perché il mio modo di esprimermi è questo, ho bisogno di rifare il mondo” e ci arriva per tentativi, da qui l’evoluzione dell’artista, continuo sperimentare. Coscienza del mondo, reimpossessarsi del mondo e rifarlo. Si parla di attività spirituale contrapposta al mondo di sensazioni, di cui l’artista ha bisogno di liberarsi. Attività spirituale necessaria, la quale è anche materiale per Fiedler, mescolanza delle due, attività spirituale è una forma di liberazione. L’arte è una forma di liberazione.   20/11 Il linguaggio dell’artista è il come. Secondo Fiedler l’attività è questa, lo stile, non il soggetto, che viene svalutato per mettere in evidenza il potere espressivo dei mezzi pittorici come accade in Monet. Lo stile concretamente si fa con pennello, scalpello, matita, pastello e la tecnica viene piegata dall’artista alle esigenza del suo stile quindi la tecnica permette la concretizzazione dello stile. Il contenuto intellettuale di un’opera non coincide con quello artistico. Attività artistica come forma di conosceva visiva e intuitiva della realtà. L’artista si sente quasi oppresso da sensazioni visive che non sa dominare, ha bisogno di rielaborarle e di ricreare la realtà secondo il suo punto di vista. Conoscenza come forma di presa di possesso nel mondo Linguaggio come creazione della realtà. Questa visione di Fiedler non fa coincidere la realtà come una categoria che va bene a certe epoche, ma è una forma di ricreazione del mondo e quindi questa definizione si può applicare a epoche diverse tra loro. 56 L’arte per Fiedler «nasce in modo non meno necessario della scienza nel momento in cui l’uomo è costretto a creare il mondo affinché la sua conoscenza possa riconoscerlo». ➔Il valore dell’arte è pari a quello della scienza e la creazione artistica è necessaria. C’è l’idea di una massa di sensazioni fisiche che assale e soffoca l’artista, il quale ha la necessità di impadronirsene e di rifare tutto ciò. La massa di sensazioni visive è disordinata, non ha senso, ma lo acquisisce nel momento in cui diventa espressione. L’arte sono impressioni formate ossia impressioni formate (cit. Croce). L’artista da forma al reale, quello che alcuni fi losofi tedeschi di inizio 800 definivano il principio formativo o creatore. L’artista ha bisogno di dare una forma alle impressioni che vengono dalla realtà esterna. L’arte è la natura rivista da un processo spirituale dell’uomo. Qui la dimensione liberale dell’arte viene rivendica non in relazione alla parola ma per il suo processo visivo. Rivendica l’affinità della spiritualità artistica per il fatto che essa ha un suo processo conoscitivo che parte dalla visione. Tutta la storia dell’estetica precedente dai tempi di Aristotele viaggia su un doppio binario: arte come imitazione della natura e arte come idealizzazione. Questi 2 concerti sussistono per secoli dall’antichità classica. Gli artisti vengono esaltati sia per il realismo, ma le fonti ci riportano anche il principio dell’idealizzazione e cioè un pittore per essere famoso realizza una bellezza ideale che non esiste in natura. L’arte quindi è realistica o idealistica? Fiedler risolve questo dicendo che l’arte è sempre realistica perché esprime la realtà dal punto di vista dell’artista, ma è anche sempre idealistica perché questa realtà creata è un prodotto di un processo spirituale e conoscitivo, cioè influisce il punto di vista dell’artista. Alcune idee di Fiedler si ritrovano nel diario di Delacroix, il quale fa una riflessione sul potere espressivo dei mezzi pittorici e si avvicina all’idea di arte come attività spirituale. Fiedler ci dice che anche nella basilare di operazione di tracciare il contorno di un oggetto, questo oggetto è diverso rispetto all’immagine che io ho negli occhi perché anche noi in una basilare attività disegnata rifacciamo qualcosa. Immettiamo nella realtà qualcosa di diverso rispetto all’oggetto che ha attirato la mia attenzione. Nel momento in cui vediamo un oggetto e lo disegniamo siamo passati da una dimensione mentale ad una fisica, cioè l’arte non è solo un’attività mentale, ma necessita il coinvolgimento del corpo perché io faccio dei gesti per disegnare/dipingere. La teoria accademica ci ha abituato all’idea che la parte meccanica sia inferiore rispetto a quella intellettuale, ma Fiedler ci dice invece che c’è bisogno di un coinvolgimento corporeo, non basta immaginare un oggetto, ma deve essere fatto. Per questo parla di attività artistica. Pollock fa coincidere la creazione artistica con il gesto infatti. Fiedler da per la prima volta una definizione complessa dell’arte, vista come processo che ha bisogno di elaborazione fino ad arrivare al gesto. 57 Nella descrizione che è difficile da comprendere per la ricchezza di neologismi Ragghianti mostra il suo interesse per il mondo in cui Dürer ha realizzato i ciuffi. C’è l’idea che nel disegno l’artista è più spontaneo, ma quello che ci interessa è il tentativo di capire COME l’opera è fatta, con quali gesti, come è stato usato lo strumento. E questo è anche quello che Ragghianti chiede allo spettatore. Cosa ci interessa il soggetto? Sapere se è un capello o un ciuffo d’erba non ci fa immedesimare nell’intimità del fare, nella temporalità dell’artista, ma è lo stile, che ci rende simili due cose diverse perché alla fine è questo mondo rifatto dal punto di vista dell’artista. Egli polemizza contro Panofsky e il metodo iconografico e iconologico che fa risiedere il significato e l’importanza dell’opera nel soggetto. 27/11 Ragghianti sostiene che l’iconografia non può concorrere all’accertamento delle qualità dell’opera d’arte. Si credeva che il valore di un dipinto si misurasse in base al soggetto, ma Ragghianti non è d’accordo e predilige la qualità. L’iconografia si occupa del soggetto dell’opera, quindi se si adotta solo il metodo iconografico si guarda solo il soggetto, non il colore, la luce, le masse, il tocco, lo stile. Nel metodo iconografico lo stile è secondario quindi Ragghianti che è un erede di Fiedler sostiene che con solo questo metodo non si colgono le qualità stilistiche. Il metodo iconografico non permette di capire le qualità, lo stile dell’artista e cioè il suo linguaggio , ciò che distingue un artista da un altro. Dobbiamo partire dall’idea che è l’opera d’arte che ci suggerisce che metodo utilizzare e non siamo noi a sceglierlo. Di fronte ad un’opera astratta o semi-astratta come Improvvisazione otto o tempesta di Kandinsky, ha senso utilizzare il metodo iconografico? No o comunque non basta perché l’arte contemporanea tende a porre in evidenza il valore espressivo dei mezzi pittorici. Per opree d’arte antiche come la crocifissione di sibbiu di Antonello da Messina il soggetto si inserisce in una tradizione iconografica della crocifissione per cui dobbiamo guardare all’iconografia e al soggetto oltre che allo stile. Abbiamo da una parte solo una lettura tecnico-formale e dall’altra una lettura iconografica, un’analisi del rapporto con le fonti letterarie insieme a quella tecnico-formale. Erwin Panofsky. Colui che ha messo a punto il metodo iconografico è Erwin Panofsky, che sostiene appunto che il contenuto dell’opera è il soggetto. Matthias Grünewald Altare di Isenheimer. È una delle dodici tavole. 60 La riflessione di Panofsky è che per descrivere un’opera d’arte dobbiamo avere conoscenze pregresse. Per noi è scontato che sia una resurrezione, ma non era così per tutti perché c’erano persone che non si erano mai confrontate con la religione. ➔Il riconoscimento del soggetto è legato alle categorie culturali di chi guarda l’opera. Ci sono spesso soggetti non facilmente identificabili nella storia dell’arte. In questi casi è necessario capire il contesto. Panofsky dice che ci sono 3 livelli di interpretazione delle opere d’arte: 1. Livello pre-iconografico: puramente descrittivo, non si riconosce il soggetto. 2. Livello iconografico: si riconosce il soggetto, il tipo iconografico (madonna col bambino, adorazione dei magi, flagellazione etc.). È necessario avere conoscenze iconografiche. 3. Livello iconologico: si tenta di capire il significato profondo della rappresentazione. Come si procede? Ci si pongono domande su committenti, contesto culturale, testi antichi e moderni che circolavano alla ricerca di appigli che ci permettono di dire che il soggetto è tratto da una determinata cosa e significa un qualcosa. È un affondo interpretativo ulteriore per cui non ci si ferma al riconoscimento dei tipi iconografici ma si cerca di capire il collegamento tra le figure e il significato della scena. Il livello iconologico ci richiede un approfondimento per capire non lo stile, ma il soggetto. Resurrezione, Piero della Francesca. Iconograficamente c’è una differenza, perché qui il Cristo non è a mezz’aria, ma risorge ed è un uomo in carne ed ossa con un suo peso. In Grünewald è tutto più mistico e si accentua il lato spirituale anche se secondo la religione cattolica il Cristo risorge risorge nello spirito e nel corpo. Nell’arte contemporanea le cose sono più complesse ed è forte l’influenza dello stile artistico. Franz Marc, Mandrillo. Il riconoscimento del soggetto dipende dall’abitudine del nostro occhio all’arte contemporanea. ICONOGRAFIA DELLA CROCIFISSIONE. Pensiamo che questa iconografia sia scontata e che fin dall’inizio del cristianesimo ci sia il cristo crocifisso. Invece no, le prime rappresentazioni di cristo crocifisso risalgono al IV secolo d.c. Una rappresentazione del III secolo c’è ma è satirica (Crocifisso con testa d’asino) e ci dice la difficoltà dei pagani di capire come sia possibile che un dio si faccia uomo, sia condannato a morte e riceva la pena di morte più atroce. Era una verità difficile da accettare per i pagani. Nel periodo delle persecuzioni c’è un tacere riguardo a questo. 61 Poi le prime rappresentazioni sono ad esempio Crocifissione della porta lignea a Roma. Dopodiché questa iconografia si diffonde ma con una differenza tra occidente e oriente cristiano. Occidente cristiano: prevale l’iconografia del Cristo trionfante, cioè si rappresenta il cristo in croce ma trionfante sulla morte e quindi si allude già alla resurrezione e al suo lato divino. Oriente: prevale il cristo patiens, sofferente, con il volto reclinato, gli occhi chiusi che accennano alla morte. Nel XIII secolo, secolo degli ordini mendicanti, c’è un cambiamento e l’iconografia del cristo sofferente si diffonde in Occidente grazie a Giunta Pisano che si ispira al maestro greco Pisano. l’opera è commissionata dall’ordine francescano. Giunta accentua l’idea del dolore spostando il baricentro del corpo del cristo verso sinistra, cosa che aggiunge al corpo una tensione che ci fa presupporre il dolore. Sempre di Giunta nel 1250 abbiamo un’altra opera con una torsione del corpo molto accentuata. Anche Cimabue insiste sul bacino che sporge lateralmente. Giotto inserirà una variante, non ha bisogno di aumentare la tensione del corpo spostando il bacino del cristo, ma ci fa sentire il peso del corpo tramite le ginocchia protese in avanti, il volto che si sposta in avanti e le mani che non sono appiattite sulla croce, ma si proiettano verso lo spazio. ➔Non pathos, ma umanità del cristo. Esistono varianti sia della crocifissione, sia della croce dipinta, ma delle rappresentazione della scena della crocifissione. Il gotico internazionale la rende come una folla di persone per esempio. L’arte fiamminga invece è molto attenta ai dettagli. Crocifissione, Van Eyck/Crocifissione Antonello da Messina. In entrambi i casi avviene in una città, Gerusalemme nella prima e una veduta del porto di Messina nella seconda. Van Eyck presenta la vergine e San Giovanni e sullo sfondo due quinte di figure. In Antonello c’è un senso di spazialità, di immagini e figure meno incombenti e infatti egli sceglie di rappresentare solo 5 figure, giocate su 3 colori, il blu, il rosso e il bianco. Questa selezione di colori crea un effetto di unità che non abbiamo in van eyck. Antonello interpreta la scena in maniera meno analitica e dettagliata. Ci sono corrispondenze tra figure e lo stesso le due donne vestite di blu. C’è un altro riferimento classico in Antonello per la figura che si copre il volto. Essa si riferisce ad un artista che doveva rappresentare il sacrificio di Ifigenia e non sapeva come rappresentare Agamennone allora avrebbe scelto di farlo con il volto coperto per mostrare il suo dolore che era così tanto che era inesprimibile. Crocifissione Roger van der weiden. Il tipo di cromatismo è fiammingo. Lo sfondo pullula di vita. 62 La disperazione era tanta che dopo 3 giorni si verificano fenomeni di cannibalismo, a causa di uno stato di disperazione e angoscia così forte che la paura di morire di fame li portò a questo. In questi casi chi sopravvive non è solo chi ha la forza fisica ma chi ha la lucidità di affrontare tutto questo e continuare a vivere. Molti sono moribondi e quelli in condizioni migliori sono costretti a fare una scelta: rimane un barile di vino per cui si buttano in mare i moribondi per alleggerire la zattera. Si trattò di una vera e propria tragedia. Qualche giorno prima del recupero della zattera con 13/15 superstiti, avvistano da lontano una nave e cominciano ad agitare drappi per farsi riconoscere. La speranza viene delusa perché la nave sparisce non vendo la zattera e Géricault rappresenterà propri questo momento. La stessa nave ripassa poi fortuitamente e vede la zattera. Si salvano 13/15 persone, ma 5 muoiono arrivati a terra. Quello che ci interessa è che questi 2 superstiti ( Corréard e Savigny) decidono di scrivere e rendere noto quello che era successo per accusare il comandante e la corona France che lo aveva scelto. Corréard era vicino ad ideali antimonarchici quindi si scaglia contro la monarchia francese che provocò questo disastro. Géricault non si accontenta di questo racconto e quindi intervista i due uomini più volte riuscendo a rintracciare il carpentiere il quale gli fa un modellino e addirittura Géricault fa dei piccoli personaggi in cera da collocarvi sopra. Géricault arriva piano piano alla rappresentazione e prende in considerazione varie possibilità. Pensa alla scena dell’ammutinamento, che risente del giudizio universale di Michelangelo per il groviglio di corpi nudi. Viene anche attirato dal cannibalismo e quindi in un disegno lo rappresenta con un uomo che azzanna un altro uomo. Gli viene in mente di fare una scena di salvataggio. Nel disegno compaiono aspetti dell’opera finita come il personaggio melanconico, i personaggi che agitano i drappi e la nave Argo che viene allontanata per cui non è il momento del salvataggio a quello di uno o due giorni prima in cui i naufraghi vedono la nave che però si allontana. Piano piano ci si avvicina alla situazione finale con la nave argo che si sposta verso sinistra. Per quanto riguarda i corpi siamo molti vicini a Michelangelo. Géricault fa anche scultura in gesso per vedere meglio i corpi e collocarli nello spazio. Mentre fa i bozzetti si intestardisce e decide che deve capire che cos’è un cadavere, per cui comincia a fare una serie di studi che non hanno un legame diretto con la zattera della medusa ma sono uno studio personale sulla morte. Lebrun scrive che Géricault cercava la natura prima di tutto per cui inizia a cercare «il colore della morte». Per esprimere il senso della morte egli deve immaginarsi cadaveri di persone umili come quelli della zattera e così inizia a fare ritratti di straordinaria umanità raffiguranti 65 persone umili in tutta la loro umanità. Géricault fa entrare questa umanità umile nell’arte non in chiave satirica o di schiavitù, ma gli da una dignità, trattasi di malati, vecchi o bambini neri. Ci sono molti ritratti di neri, sempre stati rappresentati in chiave riduttiva, ma Géricault non fa questo perché cerca di penetrare questa umanità. Ritratto di Nero, modello Joseph è un inizio per un cambiamento nella concezione della bellezza. Lo stesso il disegno Testa di nero. Géricault va all’ospedale di Beaujon a disegnare cadaveri e addirittura alcuni medici gli danno cassettine con pezzi di cadavere. Géricault vuole davvero studiare e conoscere la morte, il cadavere che non è filtrato ma è osservato con uno sguardo clinico. A livello stilistico la densità cromatica fa pensare a dun tipi di pittura di secondo 800 ed è mirata a rappresentare la concretezza del cadavere. Oltre alle teste mozzate realizza nature morte di cadaveri. Nella gerarchia dei generi la natura morte era alla base e lui le fa con pezzi di cadaveri come in Frammenti anatomici. In una sua testimonianza del 1856 Delacroix sottolinea la volontà di Géricault di aderire alla dimensione materia e quindi non è importante il soggetto, ma lo stile, che essendo il soggetto non nobile, emerge ancora di più. I frammenti ci provocherebbero ribrezzo ma l’esecuzione pittorica è tale che non possiamo che rimanere ammirati. L’anno dopo nel 1857 Delacroix parla del soggetto. Scrive che la pittura non ha sempre bisogno di un soggetto perché l’originalità del pittore conferisce originalità ad esso. Questa pittura estremamente densa dei frammenti anatomici è originale e ci esprime l’intenzione di Géricault e quindi è questo il bello. Bozzetti finali. Vediamo la scena di lato e Géricault ruoterà la zattera presentandoci in primo piano scene di morte e in secondo un movimento ascensionale delle figure che culmina nel personaggio con il drappo in mano. Nel bozzetto più vicino all’opera definitiva la zattera è ruotata ancora di più verso lo spettatore. Si parla di piramide ascensionale che culmina verso l’alto. Opera definitiva. Delacroix racconta di essere entrato nell’atelier di Géricault a vedere l’opera mentre la realizzava. Racconta di essere così sconvolto da aver corso fino a casa sua come un pazzo. Il dipinto è molto cupo dato il tema della morte. Ci furono molti commenti negativi dalla stampa conservatrice perché questo dipinto rappresenta non un fatto glorioso, ma una tragedia che ha delle responsabilità politiche e è un sovvertimento totale della pittura di storia. Non c’è niente di consolante. Lo stesso dissero di Girodet per il Diluvio. 66 L’opera era esplosiva dal punto di vista politico e tutti riconobbero il soggetto suscitando un successo enorme tanto che la folla restò bloccata di fronte al dipinto. Questo è un dipinto di storia che sovverte la funzione del dipinto di storia che dovrebbe insegnare qualcosa e esaltare il potere. Se guardiamo i dipinti di storia napoleonici come quello di Gros vediamo che il messaggio è positivo data la centralità delle figura di Napoleone nonostante i morti. Tutto viene riscattato in un messaggio positivo mentre in Géricault questo non c’è. In Géricault c’è un altro tipo di messaggio. La dimensione della morte è chiara, rappresentata da questi bellissimi corpi michelangioleschi senza una goccia di sangue. La nave Argo è lontanissima quindi è un momento di speranza che verrà deluso. Il protagonista della piramide ascensionale è un uomo di spalle, un meticcio, che era considerato negativamente anche presso ambienti antischiavisti. Géricault invece lo rende protagonista della scena, ci volge le spalle ed è l’umile degli umili. Ci sono poi altri due neri, cosa che nella Francia della restaurazione è molto innovativo. Il nero accanto a Corréard e Savigny tiene le mani di un bianco, simbolo di fratellanza tra i popoli. L’idea è che alla fine siamo tutti uguali di fronte alla disgrazia per cui il messaggio è universale. La schiavitù era stata ripristinata da Napoleone quindi il messaggio era forte per il 1819. Géricault vuole dare alla sua opera un significato politico sia legato alla sua epoca sia universale. Un dato interessante è che nessuno osa dire che ci sono dei neri e il primo a dirlo sarà Charles Blanc, fratello del socialista Louis blanc che sostenne la causa antischiavista. Blanc era un personaggio di una certa cultura e dice questa cosa anni dopo, questa è la posterità di un’opera. 67
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved