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L'educazione interculturale: affrontare la diversità nella scuola italiana, Appunti di Pedagogia Sperimentale

L'importanza di educare i bambini a condividere spazi comuni e affrontare la diversità culturale nelle scuole italiane. Esplorato il ruolo dell'educatore, la segregazione interna e gli ostacoli che si incontrano tra bambini di diverse origini e famiglie povere. Il documento illustra anche il ruolo della scuola come laboratorio di diversità e la necessità di superare pregiudizi e stereotipi.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 20/09/2018

Manu99--
Manu99-- 🇮🇹

4.4

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Scarica L'educazione interculturale: affrontare la diversità nella scuola italiana e più Appunti in PDF di Pedagogia Sperimentale solo su Docsity! 19 Settembre La cultura è un concetto astratto, nessuno riesce a definirlo completamente. La pedagogia interculturale parla di come rapportarsi e approcciarsi con persone di culture diverse. Il grande messaggio è che non esistono gruppi di persone, ma singole persone portatrici di cultura. La cultura ha un ruolo nella vita delle persone: essa incide quando ci rapportiamo con altre persone, entra nelle relazioni. Relazionarsi con l’altro può non essere scontato, può essere una risorsa. Non ci si approccia alle culture ma a persone con altre culture. “L'incontro culturale è magnifico ma anche drammatico, tragico e divertente allo stesso tempo”. Pedagogia interculturale è anche come approcciarsi alla propria cultura. Come interviene la nostra cultura nella relazione educativa? Ci sono tre parole chiave: • Cittadinanza : indica una persona che vuole diventare parte attiva di una comunità e che vuole contribuire a essa; questo concetto indica in quale società viviamo • Cultura : non va intesa come razza ma come qualcosa di fluido, che ci permette di comprendere l'altro senza chiuderlo in una casella • Diversità : va usata al plurale poiché ci sono tanti tipi di diversità Competenze interculturali è un'espressione importante perchè centra l'attenzione sull'operatore (educatore o insegnante) che deve dotarsi di competenze interculturali. Esse devono essere apprese con l'esperienza nel tempo, non possono essere apprese una volta per tutte. Se/embre → conoscenza dei bambini O/obre → incontro con le famiglie Novembre → importanza dell'identità dei bambini Dicembre → diversità religiose → trasmissione valori Gennaio → aula = luogo di accoglienza Febbraio → valutazione di bambini così diversi tra loro Marzo → ques7one dei pregiudizi e stereo7pi che cos7tuisco la mente umane e che non devono trasformarsi in discriminazione Aprile → rapporto dentro e fuori la classe Maggio → ruolo dell'insegnante e la fatica del suo lavoro 20 Settembre Lezione sul diritto di cittadinanza (ius soli e ius culturale) Negli anni Novanta, c'è stata un'ondata migratoria dal Nord Africa e dall'Est. Oggi nella scuola primaria, il 30 % dei ragazzi hanno origine straniera (in barriera di Milano più del 60%). Chi nasce in Italia, ha il passaporto italiano a distanza di un anno dal compimento del diciottesimo anno di età. 1. Cittadinanza, cosa significa questa parola? 2. Ius soli, legge vigente 3. Ius soli in europa 4. Ius soli – proposta di legge – ius cultura 1. Cittadinanza europea E' stata istituita dal trattato di Maastricht del 1992. Completa e non sostituisce la cittadinanza statale. Da la possibilità di: • circolazione e di soggiorno di ogni cittadino europeo nel territorio di uno stato membro • diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni comunali nello stato membro in cui risiede, alla pari dei cittadini di tale stato e nelle elezioni europee • diritto di petizione davanti al Parlamneto Europeo • tutela diplomatica e consolare nei paesi extra-europei nei quali il suo stato non è rappresentato da parte delle autorità degli altri stati membri 2. Ius soli (legge 91 del 1992) → diri/o di suolo Ricalca un disegno di una legge del 1912. Permette di godere degli stessi diritti di chi ha la cittadinanza in quel suolo, è il diritto di risiedere in un altro paese. Essere considerato una persona del luogo. Nato in Italia da genitori stranieri, resta straniero fino ai 18 anni, fa domanda di cittadinanza e diventa così cittadino italiano entro i 19 anni (c'e un massimo di 6 mesi per risiedere all'estero). Chi non ha risieduto in Italia per 18 anni continuamente o perchè mancano certificati dalla madria patria o perchè non ha abbastanza versamenti di contributi (negli ultimi 3 anni) o mezzi di sostentamento, rimane straniero. Arrivato in Italia un bambino con genitori stranieri, resta straniero fino ai 18 anni. Fa domanda di cittadinanza (viene presa in carica dal ministero e la risposta non deve superare i due anni) e diventa così cittadino italiano. Oppure resta straniero perchè non ha risieduto per 10 anni continuamente in Italia o perchè mancano certificati della madre patria o perchè non ha abbastanza versamenti di contributi (negli ultimi 3 anni) o mezzi di sostentamento. A tutti gli stranieri viene chiesto il certificato penale del paese di origine. Per fare i concorsi pubblici, è necessaria la cittadinanza italiana (forze dell'ordine, insegnante). È difficile richiedere la cittadinanza anche per i rapporti tra i vari stati, ad esempio se un russo vuole diventare un cittadino americano perde la cittadinanza russa. Non ci sono limiti al numero di cittadinanze che si possono acquisire, finchè gli stati sono in buoni rapporti. civilizzarsi e perciò si hanno diverse culture. Da inizio alla corrente del Relativismo Culturale: l'idea che esistono tante culture in cui ognuna ha un suo sistema di signifiati, ognuno coerente al suo interno, e una sua dignità. Gli antropologi ci invitano a porre attenzione al comportamento di una persone che è culturale, bisogna quindi far riferimento alla cultura da cui proviene, porla all'interno della sua cornice spazio-temporale. La riflessione è andata avanti. All'inizio del 900, Levi-Strauss ha aggiunto un'altra specifica all'interpretazione delle culture. Non ci sono culture infinite ma elementi in comune alle varie culture che fanno si che con combinazioni diverse le culture siano finite. Geertz afferma che le culture non esistono oggettivamente. La riflessione sulla quantità delle culture non ha senso perchè non possiamo definirle men che meno conteggiarle. Appadurai, un antropologo indiano, ha detto che le culture sono deterritorializzate, ovvero la cultura non coincide con il territorio, con lo stato nazione ma, nel mondo globalizzato dalle migrazioni e dal mercato, le culture si muovono. Ci sono diverse culture all'interno di un solo territorio. È così che il termite diventa sempre più sfuggente. Marco Aime cerca di spiegare il perchè della diversità culturale, perchè gli esseri umani danno vita a nuove culture, perchè rispondo in maniera diversa. Il primo motivo è l'ambiente (livello fisico e metereologico). Ma gli esseri umani non subiscono solo l'ambiente ma cercano di piegarlo ai propri bisogni. Ad esempio il nomadismo. L'ambiente non è solo la natura ma anche la società, fatta di relazioni e eventi che non sono naturali, ma umani e storici. Le vicende storiche modellano le nostre culture e influenzano tutte le nostre vite. Ad esempio la cultura degli ebrei, cambiata dalla persecuzione ebraica del 900. Pascal dice che gran parte dei problemi dell'uomo sono dovuti al fatto che non è capace di stare seduto a casa sua. Visione di un video sulla diversità culturale (Babies) Risposte ai bisogni (lavoro, sanità, la figura paterna o dei nonni) diverse. • Namibia • Zona rurale della Mongolia • Tokyo (Giappone) • San Francisco (Stati Uniti) 4 Ottobre Santerini indica: • La cultura come il frutto delle diverse possibilità realizzate dalla specie umana realizzate nello spazio e nel tempo. Le culture sono il frutto delle possibilità in generale. Nel tempo queste modalità cambiano, le generazioni cambiano le modalità di approccio. • La cultura è stru/uralmente incompiuta → nessuna cultura può essere spiegata in tutto e per tutto perchè le culture sono sistemi dinamici ad esempio la lingua che è diversa a seconda dei contesti e dei luoghi, così come cambia nel tempo. Ciò accade in maniera esponenziale anche per la cultura. • La cultura è una totalità complessa e il soggeto ha parte attiva nella costruzione della cultura, viene interpretata in maniera soggettiva da ognuno di noi a partire dalla propria particolare condizione. • La culltura non è innata, trasmessa solo biologicamente, ma è sociale cioè condivisa e trasmessa attraverso il gruppo. • La cultura è soggettiva ed evolutiva. Le persone mutano a seconda delle fasi della propria vita. • La cultura è dinamica e permeabile, non statica ma tendente a cambiare nel tempo. Cioè non è qualcosa che possiamo tenere racchiusa all'interno delle mura di casa, ma è condizionata e condivisa da altre culture che porta a modificare in un senso o nell'altro la nostra cultura. Ad esempio molte donne mettono il velo venendo in Italia (→ è una reazione). • La cultura è senza confini (deterritorializzazione). Articolo in inglese Edelmann: 1. La cultura come un linguaggio → idea dinamica di cultura, le culture si costruiscono e reinventano costantemente in diverse situazioni relazionandosi con gli altri cosi come il linguaggio (slang giovanile). 2. La cultura è come l'aria che respiriamo → La cultura è essenziale, ma non ci si accorge della sua presenza finchè non la si perde (il pesce capisce cos'è l'acqua solo quando esce da essa). Quando si cambia contesto culturale, ci si accorge delle differenze con la propria cultura. La cultura è un cambiamento graduale e progressivo, non ci sono linee nette che segnano un confine tra una cultura e un'altra (vivere vicino ma essere diversi). Anche le persone che vivono nello stesso territorio possono percepire ambienti culturali diversi, per esempio nel caso di correnti politiche. La vicinanza geografica, dunque, non implica l'adesione ad una medesima cultura. 3. La cultura è come un fluido non newtoniano → sotto ad una determinata forza un liquido diventa solido. La cultura è come un icerberg (parte somerssa rappresenta i valori, i signifificato; la parte emersa invece sono le diversità evidenti). La cultura è il solido che è diventata solida (fuorviante: la cultura non ha limiti ben definiti)cioè evidente, da liquido che era dispersa in altre, attravero l'incontro cioè la forza che trasforma il liquido in solido. La cultura è INDISPENSABILE, ma INAFFERRABILE. (DOMANDA ESAME : esempio per far capire questa metafora preso da qualche cultura ad esempio il video). Falsi amici: • Cultura non va intesa come legge. Gli stranieri che arrivano da noi non devono rispettare le nostre pratiche culturali (se sono coerenti al nostro modo di vivere), ma le nostre leggi. • La cultura non è la razza perchè non è innata e non esiste più, esiste razzismo. • La religione non coincide con la cultura, è un fenomeno trasversale alla cultura. La religione può essere un elemento che influisce sulla cultura. • La diversità è da utilizzare al plurale. Ad esempio nella scuola non è presente solo quella culturale. • L'identità va usata al singolare poiché ognuno di noi ha una proprià identità che è l'insieme di tanti aspetti (età, passioni, nazionalità,...) • Approccio relativista → ogni cultura ha la sua dignità. Se por7amo all'estremo il relativismo, rischiamo di cadere nella convinzione che le diversità sono inconciliabili tra loro. Uguaglianza diversità linee di sviluppo: si può uscire dall'indifferenza riprendendo il concetto di diversità o dal culturalismo attraverso il concetto di uguaglianza Un valore può svilupparsi costruttivamente solo se si trova in uno stato di tensione constante con una controparte positiva. indifferenza culturalismo esagerazioneesagerazione Relazione di tensione positiva sovracompensazione linee di sviluppo 17 Ottobre Competenze interculturali La parola competenza arriva dall'ambito di ingegneria ed in seguito è arrivato all'ambito pedagogico. Si riferisce all'operatore educativo, cioè un professionista che si deve attrezzare per relazionarsi con persone di culture diverse. Abbiamo bisogno di parlare di competenze interculturali dal 2000 perchè ci si è resi conto che non basta la spontaneità e l'apertura verso l'altro. È un elemento utile ma non basta. La relazione con l'altro di un'altra cultura non è scontato. Non basta un sapere teorico, ma serve un sapere teorico-pratico. Le competenze interculturali sono necessarie perchè bisogna relazionarsi con bambini con sempre più diversità (arrivo di bambini stranieri). La riflessione sulle competenze nasce in un altro contesto: nel 2000 negli Stati Uniti Deardorff ha cominciato ha occuparsi di questo tema sollecitata da gruppi di lavoro di professionisti provenienti da paesi diversi che dovevano raggiungere obiettivi lavorativi. La domanda è nata li: come è possibile non cadere nel rischio di interpretare l'altro attraverso pregiudizi e stereotipi. Utilizziamo schemi mentali che ci semplificano la realtà quando veniamo a contatto con una realtà diversa dalla nostra. Nell'incontro con l'altro, soprattutto se è molto diversi da noi, attiviamo stereotipi e pregiudizi perchè la nostra mente funziona così. I bambini hanno più stereotipi poiché gli mancano alcune conoscenze e perchè hanno bisogno di schemi fissi e ricorrenti che possano applicare alla realtà. Stereotipi e pregiudizi ci aiutano ad orientarci nella realtà, non sono errori o disfunzioni della nostra mente. Ma è il modo di funzionare della nostra mente. Gli stereotipi non sono solo negativi, ma anche positivi. Queste categorie generalizzano, ma non definiscono un singolo individuo. Nel '54, Allport per la prima volta definisce il pregiudizio etnico: è un'antipatia fondata su una generalizzazione falsa e inflessibile, può essere sentito internamente o espresso, può essere indirizzato verso un intero gruppo o verso un individuo che fa parte di quel gruppo. Questa definizione è stata criticata perchè fuorviante perchè basata sul termine “falso” che richiama un errore del pensiero, in realtà non è un processo falso ma un vero e proprio funzionamento della mente. Voci e Pagotto (due psicologhi sociali italiani) nel 2010 affermano che il pregiudizio è un processo che porta a giudicare un individuo in modo negativo solo in base all'appartenenza ad un gruppo sociale. Essi ci aiutano a distinguere tra tre dinamiche diverse: • stereotipo → pensare/dire che i membri di uno stesso gruppo sociale sono accumunati da una stessa caratteristica, sia essa negativa o positiva (espressione di una generalizzazione). Essi hanno un fondo di verità ma non ci possono spiegare tutta la realtà. (ex bambino cinese è bravo in matematica. I bambini in Cina cominciano lo studio della matematica a 3 anni). • pregiudizio → atteggiamento negativo. Espressione di una valutazione negativa dell'altro perchè fa parte di un dato gruppo sociale (ex ho paura dei mussulmani perchè sono terroristi). Il pregiudizio deriva da uno stereotipo negativo. • discriminazione → esso non è un processo funzionale della nostra mente ma può essere una conseguenza negativa dei primi due termini. Contiene la parola “azione”, è passare all'agire sulla base di un giudizio negativo, viene preso un provvedimento. (ex non affitto la casa ai mussulmani perchè sono terroristi). Essi sono un ostacolo nella conoscenza dell'altro se li continuiamo ad alimentare. Perchè è questo il modo funzionale normale della nostra mente? 1. f attori cognitivi : la nostra mente utilizza schemi cognitivi che rispondono ad un'esigenza di economia cognitiva. Ci aiuta a non disperderci. Sono schemi che si autoalimentano e autoconfermano, perchè tutti gli stimoli che ci arrivano confermano questi schemi. 2. fattori motivazionali : Tajfei ha elaborato nel '78 la teoria dell'identità sociale, essa nasce dal nostro appartenere a determinati gruppi sociali. Tutti abbiamo bisogno per la nostra autostima di far parte di un gruppo sociale che abbia un giudizio positivo. Ci spingono a sottolineare quanto è positivo il nostro gruppo sociale e quanto è negativo quello degli altri. La paura verso l'altro prolifera durante periodi di crisi (Dollard: teoria del caprio espiatorio → a/ribuire ad un altro le colpe in un momento di fragilità identitaria. Questo tipo di comunicazioni sono efficienti). Alla base c'è il processo di categorizzazione, cioè inseriamo in categorie persone, ambienti, società, situazioni, città, tutto ciò che è stimolo intorno a noi. Vandebroeck, nel suo libro dedicato alla scuola dell'infanzia, fa una riflessione molto delicata sul ruolo dei pregiudizi nell'esperienza professionale dell'educatore nella scuola dell'infanzia. Afferma come gli educatori partono dalla loro sensibilità, dalla loro esperienza culturale e quindi l'educatore ha diversi approcci ai gruppi diversi gruppi sociali (ex approccio ai bambini disabili vs ai bambini rom). Tutti cerchiamo di sviluppare “sensibilità”. Egli fa un elenco di stereotipi in un contesto belga: • i figli di separati sono fragili • i genitori omosessuali non sanno trasmettere ai figli un'identità sessauale definita • le famiglie mussulmane sono attaccate al concetto di famiglia • i genitori dei disabili sono molto iperprotettivi verso i figli • i figli di rom frequentano saltuariamente la scuola Video: what it's like to be Muslim in America (TED) islmamofobia → paura verso i mussulmani, sen7mento a livello glogale. Sono parole coniate dal nulla a causa della diffusione di quel sentimento. È una paura letale. Non possiamo vivere senza paura anzi la instilliamo nei nostri figli, ma se è incontrollata e generalizzata giustifica ogni atto diventando pericolosa. Antisemitismo → odio verso gli ebrei Sessismo → discriminazione del genere femminile Xenofobia → paura dello straniero Tutte queste parole nascono dalla dinamica stereotipi-pregiudizi. L'utilizzo dell'ironia e dell'autoironia aiutano a superare pregiudizi e stereotipi. La vergogna è un sentimento legato alle persone che ne sono vittime. La paura che provano le alla riunione con i genitori disporsi a cerchio per stimolare la relazione). Sposta l'attenzione, che prima era focalizzata sul bambino che si doveva integrare, all'operatore che deve attivarsi per poter acquisire competenze per riuscire a relazionarsi con persone di culture diverse. Bennett (2002) afferma che le competenze interculturali sono le capacità di interpretare gli atti di comunicazione intenzionale (gesti, parole, segni) e non intenzionale (linguaggio del corpo) di una persona originaria di una cultura diversa dalla propria. L'accento è posto sull'empatia e sulla comunicazione. L'obiettivo è prendere coscienza che a partire dalla propria cultura l'operatore (le persone) fa delle supposizioni a proposito dei comportamenti delle persone di altre culture. Santerini e Regge hanno definito tre competenze interculturali: 1. interpretare la cultura → leggere ges7, parole e comportamen7 all'interno di una cornice di senso, all'interno della sua cultura → non spiegare tu/o come diversità culturale, ma individuare il ruolo della cultura se è presente 2. ridurre i pregiudizi → il lavoro è doppio: è un lavoro su se stessi ma anche un lavoro educativo, verso i bambini → “superare la tendenza spontanea degli essere umani a generalizzare e categorizzare che può favorire atteggiamenti discriminatori” 3. trovare orizzonti condivisi → operare per costruire uno spazio di incontro tra persone di culture diverse nell'oTca di un processo comune → non basta rilevare la diversità, non basta interpretarla, ma bisogna raggiungere l'obiettivo di un progetto comune, ad esempio sentirsi parte della classe o, nella riunione, sentirsi genitore. Alcuni casi: 1. disegni compromettenti 2. sotto la gonna le bombe 3. ora di storia o di religione? 4. un indovino mi disse... [un ragazzo cinese appena arrivato in Italia. L'educatore cerca un modo per aiutarlo a socializzare proponendo una gita di classe al fiume. Il padre non vuole mandarlo poiché è convinto che se dovesse fare il bagno prima dei 18 anni potrebbe succedere qualcosa di brutto. L'educatore allora si trova davanti ad un bivio: o lasciare perdere e accettare la sitazione o trovare una strada secondaria] Conflitto tra contesti (famiglia e centro) le cui istanze appaiono inconciliabili: - il padre lo ostacola - il ragazzo in mezzo tra l'adesione alla posizione del padre e il desiderio di stare con i pari - l'educatore si interroga sulle ragioni che individua in una credenza molto sentita. Diviso tra rispettare la credenza del padre e giudicarla come superstizione. Di fronte al “conflitto” tra differrenti prospettive come agire in base all'interpretazione dei significati attribuiti dagli attori. Il padre è veramente preoccupato. L'educatore: - non si ferma davanti al primo astacolo - controlla le proprie reazioni emotive - verifica il proprio pensiero e le proprie parole in base alla risposta del ragazzo - ha fiducia nella possibilità di trovare una mediazione - tollera lo sconcerto del non capire - sospende il giudizio - fa emergere il punto di vista del ragazzo senza metterlo in opposizione con quello del padre (riconosce nella credenza un modo del padre di prendersi cura e proteggere il figlio) - non banalizza la posizione del padre, la assume come significativa, ma non rinuncia alla sua proposta educativa (cura del ragazzo e suo bisogno/desiderio di socializzare) - evita il conflitto tra contesti (famiglia vs centro), riduce ad una relazione tra persone (educatore, padre, bambino) - fa emergere e aiuta a riconoscere le diverse istanze e credenze - ricerca una convergenza: fa emergere e rendere visibile i tratti comuni tra lei e il padre (il bene del ragazzo) - comprende le questioni interculturali come collecate nel contesto e all'interno di uncontesto culturale soggettivo 24 Ottobre La scuola La nostra è la scuola della pluralità. Il rischio è quello di considerare che la scuola plurale sia una scuola che accoglie ragazzi stranieri. Un altro rischio è considerare che la storia della diversità sia cominciata recentemente, ma essa è frutto di un progetto politico ben preciso: la nostra scuola non è sempre stata plurale. La scuola è il luogo delle diversità da settembre a giugno. La scuola veicola la cultura, essa è il frutto della cultura ed è il luogo delle diversità ma non da sempre. Solo una piccola parte della popolazione poteva entrare a far parte della scuola. La scuola diventa organo fondamentale della democrazia in cui si creano i cittadini futuri. La scuola come laboratorio di diversità inizia nel 1948, anno in cui è stata approvata la Costituzione Italiana (art. 34 → La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso). È solo la scuola che può garantire l'uguaglianza. 1955 → tra il '50 e il '60 si hanno migrazioni intrene: dal Sud Italia al Nord Italia, ma anche da Est a Ovest, dalle campagne alle città c'è uno sostamento di 9 milioni di persone. Nel 1955 i “programmi didattici per la scuola primaria” affermano, tra le tante cose, che bisogna evitare l'uso dei dialetti in classe, bisogna parlare in italiano. Questo provvedimento porta ad una riflessione sulla diversità linguistica. Dal punto di vista della scuola, è d'obbligo l'uso dell'italiano. Dal punto di visto pedagogico-culturale, si possono riscontrare dei problemi nel bambino, poiché bisogna tener conto della radice del bambino. 1963 → aspe/o di genere: maschi e femmine nelle stesse classi. Il legislatore so/olinea l'importanza di garantire a maschi e femmine le stesse possibilità di studio. La riforma prende il nome di “riforma scolastica della scuola media unificata”. In questa fase dello sviluppo, i bambini devono andare a scuola per studiare non per essere indirizzati nel mondo del lavoro (dopo i 13 si ha l'avviamento al lavoro). Mescolanza del genere maschile e femminile nella scuola: mixité. Relazionarsi in maniera rispettosa tra di loro e guardarsi alla pari. 1960 → Ruby Bridge a New Orleans: prima bambina nera ad andare a scuola con compagni bianchi maschi e femmine. Accompagnata dalla scorta, si portava il pranzo da casa perchè i genitori avevano paura che le dessero cibo andato a male. I genitori hanno perso molte terre che possedevano. Era una realtà vista in modo negativo. 1977 → legge 17 del 1977: questa legge così radicale esiste solo in Norvegia oltre che in Italia → i bambini con qualsiasi diversità, più o meno grave, di 7po fisico, psichico o intellettuale, devono poter essere inclusi nella classe di tutti. Non serve solo per l'equità ma anche per sottolineare il valore del contatto con queste persone. Ma non basta la legge e mettere gli alunni nella stessa classe per creare un legame tra di loro, è un percorso radunati in così poche scuole sul territorio nazionale. In Italia su 57000 scuole primarie solo 1200 scuole hanno più del 30% degli alunni stranieri presenti sul territorio nazionale (Milano, Torino e Brescia). Cosa succede allora nelle nostre scuole? Questa concentrazione non è spiegata da fenomeni macrosociali, ma ci sono dinamiche microsociali che riguardano le famiglie, i dirigenti scolastici, le scuole che portano a questa situazione di segregazione. Il fenemono è quello della distribuzione degli alunni stranieri. Succedono delle dinamiche molto preoccupanti che riguardano il rapporto delicato tra famiglia e scuola. Oggi una famiglia può decidere di iscrivere il figlio non nella scuola sotto casa, ma magari in quella di un quartiere più vicino al centro. Ma la scuola non è un'azienda e i genitori delle persone da attrarre; le scuole hanno paura di perdere un'utenza a livello socio-culturale, esse vogliono mantenere un'utenza medio-alta. Marco Oberti e Milena Santerini e il suo gruppo hanno studiato il caso lombardo e hanno messo in luce come all'interno delle scuole ci siano delle dinamiche: • dinamiche dello slalom (processi di evitamento) → evitare le scuole in cui ci sono bambini stranieri o bambini con problemi economici • processi di scoraggiamento → portano le scuole ad orientare le famiglie straniere verso altre scuole → per evitare di prendere la nomea di “scuola degli stranieri” La segregazione interna avviene all'interno degli edifici. Cioè le famiglie, più spesso quelle italiane ma ormai anche quelle straniere, fanno una scelta non consentita dalla normativa: quella di sciegliere la classe del figlio. La scuola non può assecondare queste richieste ma solitamente pur di non perdere “clienti” esse accettano. Cioè un rapporto difficile di fiducia poichè la scuola si sente a disagio perchè non viene scelta dalle famiglie abbienti italiane e così cerca di nascondere la percentuale straniera. È tutta la scuola che va in questa direzione (es. i bidelli che dirottano le famiglie un po' scurette ad entrare nell'entrate secondarie). Cosa succede a questi bambini? Il problema delle classi ghetto è che sono classi con un numero elevato di stranieri, che sono segregati, e con allievi con difficoltà (economiche, sociali, ..). Queste classi vengono affidate a docenti appena arrivati, poiché nessun insegnante con esperienza vuole prendersene carico. Gli alunni sanno di essere una classe difficile e quindi sviluppano una concezione di se come “ragazzo difficile” e si comportano da tali. In queste classi si confermano e si riproducono le disuguaglianze sociali. C'è tanto pregiudizio per i bambini con origine straniera. Anche i bambini che crescono tra simili, con genitori con un ottimo livello socio-economico, fanno un'esperienza educativa ridotta. Sono bambini che perdono qualcosa quelli che vengono segregati. È un'occasione unica far parte di una classe eterogenea. I soggetti sono esclusi dalla vita libera. Questa situazione va gestita con strumenti didattici. Ogni tanto è anche bene separarsi affinchè una classe plurale funzioni. È necessario che ci sia un proprio spazio di formazione separato, cioè che alcuni stranieri non italofoni si separino per alcune ore dai compagni, oppure che ci siano laboratori di italino L2 affinchè i bambini stranieri possano imparare l'italiano. Per Santerini (2010), questi laboratori devono avere tre caratteristiche per avere un senso e non essere una classe ghetto: • flessibili → il bambino, fresco di viaggio, viene inserito nella sua classe anche se non capisce la lingua e starà solo in silenzio. Ma deve anche entrare per qualche ora in questi laboratori in cui un'insegnante facilitatrice lo aiuti maggiormente • temporanei → deve essere un'esperienza temporanea poiché altrimen7 vuol dire che non funziona • decrescenti → ha sempre meno bisogno di entrare nel laboratorio perchè impara e sa integrarsi nella classe. Imparerà più facilmente l'italiano se viene a contatto con altri bambini apprendendo la lingua “sul campo” 8 Novembre OTTOBRE La diveristà vissuta nel quotidiano, qui e ora. È un'esperienza positiva perchè è un confrontarsi della diveristà culturale delle famiglie dei bambini stranieri. È diverso invece avere a che fare con le famiglie che hanno stili educativi diversi da quelli degli insegnanti, questo ha poco di affascinante rispetto al primo tipo di diveristà. Questo però è richiesto dagli insegnanti, di collaborare con le famiglie, è la corresponsabilità educativa: una buona collaborazione tra la famiglia e insegnanti è un fattore fondamentale per una positiva esperienza scolastica degli alunni e un buon rendimento scolastico. La normativa è molto efficace su questo tema. Ottobre è in genere il primo mese in cui si fissa il colloquio con le famiglie, la vera eterogeneità è nelle famiglie. “Corresponsabilità educativa” (dal 1998) Gli insegnanti e i genitori, nonstante la diversità dei ruoli e la separazione dei contesti di azione, condividono sia i destinatari del loro agire, i figli/alunni, sia le finalità dell'agire stesso, ovvero l'educazione (preponderante in famiglia ma anche a scuola) e l'istruzione (preponderante a scuola ma anche in famiglia con compiti e studio) in cui scuola e famiglia operano insieme per un progetto educatico comune […]. Il focus della problematicità di questo rapporto cade sul rispetto dei ruoli, delle competenze, dei compiti e delle libertà di ciascuna di queste due figure. Nell'esercizio della corresponsabilità, infatti, ciò che fa accrescere l'effficacia di questo mezzo è lo scambio comunicativo e il lavoro cooperativo. Ma ciò che mantiene vivo tale scambio è quel senso di responsabilità sociale che dovrà determinare le scelte strategiche delle scuole, connotando il loro lavoro come contributo significativo alla costruzione del sociale. La diversità dei ruoli → questa diveristà è un po' in crisi (es. telecamere in classe → poca fiducia, superamento del proprio ruolo, poca comunicazione, il ruolo sociale dell'insegnante viene svalutato). Poca comunicazione → insegnan7 che chiamano gli assisten7 sociali senza accertarsi del reale problema, genitori che incolpano gli insegnanti per incidenti avvenuti fuori da scuola. Aggiungiamo stereotipi, pregiudizi, paure tra italiani e stranieri. Il rispetto deriva dal dare fiducia. È fondamentale parlarsi, quando non c’è una lingua comune però il genitore fa fatica ad esprimersi e parla poco e allora bisogna comunicare anche in modo non verbale con il rischio anche di fraintendimenti. Lo scopo ultimo è quello di costruire una comunità scolastica formata da bambini, insegnanti, dirigenti e genitori. È una forma di società. Questo documento non ci dice l'idea che per collaborare famiglia e scuola debbano assomigliarsi, genitori e insegnati debbano avere lo stesso stile educativo. Non è detto che assomigliarsi sia un elemento di garanzia rispetto alla collaborazione tra famiglia a scuola. I bambini sono abituati a diversi stili educativi, quindi non è necessario che il bambino abbia riferimenti identici (es. il bambino sa che a casa dei nonni si mangi in un modo diversi rispetto che a casa dei genitori oppure rispetto a scuola). Il bambino è molto versatile. Le voci dei genitori ostacoli risorse Fattori interpersonali • Stereotipi e pregiudizi verso famiglie povere/straniere • linguaggi della scuola • aspetti di genere • Fiducia verso gli insegnanti anche nelle difficoltà • distinzione dei ruoli genitori/insegnanti Fattori strutturali • Conivolgimento economico dei genitori (non tutti ce la fanno) • orari del lavoro dei genitori incompatibili con gli orari della scuola • Strumenti di comunicazione non tradizionali Fattori culturali • Obiettivi della scuola non chiari • Valorizzazione delle culture d'origine dei genitori stranieri 14 Novembre NOVEMBRE Dopo aver deciso come formare le classi (settembre) e aver conosciuto i genitori dei bambini (ottobre), conoscendo il loro bagaglio culturale, si inizia a lavorare sulle relazioni tra i bambini all'interno della classe e su quel processo delicato che dura tutto l'arco della vita che è la costruzione della propria identità. I bambini iniziano a porsi la domanda “chi sono io?” e si chiedendo come appaiono agli altri (es. bambina mulatta chiede una spugna per cambiare colore, inizia a chiedersi perchè il suo colore è un pò scomodo), i bambini si chiedono da quando iniziano ad essere considerati stranieri se sono nati qui, iniziano ad ascoltare domande che gli permettono di domandarsi sulla propria identità (es. siamo come il cocco: bianchi dentro, neri fuori). Questa è una situazione delicata in cui il ruolo dell'insegnante è importante, poiché possono dare cittadinanza prima ancora che arrivi il legislatore. Questo sguardo di piena accettazione, riuscendo anche a pronunciare bene il nome, permette di affermare e riconoscere l'identità di questi bambini. Gli uni (stranieri) e gli altri (autoctoni) convivono nello stesso gruppo classe. Jacquare afferma un concetto molto importante dal punto di visto pedagogico “aiutare ognuno a diventare se stesso incontrando gli altri” nell'Elogio della differenza. Questo è il compito relativo all'identità dell'insegnante. I bambini non devono essere una massa informe, una classe conformista. La diversità riguarda il rapporo con gli altri. Già Pier Paolo Pasolini ha scritto “Gennariello” (anni 50/60) che si rivolge ad un bambino napoletano in cui sottolinea il rischio del problema del conformismo poiché inizia la società consumistica. Egli utilizza parole molto forte “questa situazione non può che aumentare la loro ansia di normalità, la loro adesione totale, la loro poco volontà di apparire diversi o distinti”; egli denuncia la televisione. Ciò porta a omologare i bambini ad un modello unico. Bisogna fare in modo che i bambini crescano in modo personale, liberi da ogni soggiogazione. Lorenzo Milani denuncia il pericolo di formare dei burattini ubbidienti, bambini che non sanno cos'è il senso critico, bambini che non sanno cosa vuol dire disubbedire. I bambini devo “saper fare diversamente”. Dice anche “l'antidoto a questo processo di conformismo, a questa cultura di massa (essere inseriti in un processo massificante) è la scuola”. Non bisogna agire attraverso una direttiva che arriva dall'altro, esso è più subdolo. Stefano Laffi dedica ampio spazio a questo tema. Lui inizia con immagini forti per la narrazione che inizia dalla sala parto “da quel momento, da ancora prima di essere nato, si impongono norme e standar che se non vengono rispettati fanno allarmare il mondo adulto” (pag 11-La congiura contro i giovani). Entra nella vita del bambino una figura metaforica “sorella norma”, che accompagnerà per tutta la vita questo bambino a cui egli dovrà ubbedire per essere normale, per essere come tutti gli altri. Laffi è molto amaro e teatrale nel descrivere le scene, ma spesso è ciò che avviene davvero. Il lavoro educativo è riportarli alla loro identità anche se non corrisponde alla norma. I bambini di seconda generazione non corrispondono a sorella norma, escono da questo standard. Sono bambini che appaiono in un certo modo e sono in un altro, sono bambini che possono portare nella classe la diversità come un valore. È importante fare un lavoro in cui la loro diversità diventa unica. Sono qui da una vita → essere stranieri nella propria patria “Chi sono io?” è una domanda più difficile rispetto a “da dove vieni?” Identità → è fa/a di tan7 componen7, non è monoli7ca. Non bisogna racchiudere tutto in una sola categoria (identità assassine) (es. considerarsi sono mussulmano e non anche padre di figli, ricercatori, etc). Le seconde generazioni di immigrati è la definizione sociologica. Ambrosini se ne è occupato. Significa bambini, ragazzi, giovani nati in Italia da genitori stranieri oppure giunti al loro seguito da un altro paese, vivendo così la migrazione. Le seconde generazione subiscono le decisioni dei loro genitori (abbandonare il loro contesto seguendo la scelta dei loro genitori). Dal punto di vista educativo è sbagliata questa definizione perchè non sono degli immigrati infatti sono bambini al seguito di immigrati (o sono nati in Italia o hanno seguito i genitori nella loro scelta). Questa definizione è fuorviante. Non deve essere spiegato in modo macrosociale perchè non spiega la realtà. Nuovi italiani è un'altra definizione. L'accezione è già diversa: vuole descrivere la loro dimensione futura e non la loro origine straniere. Italiani con il trattino è sempre di Ambrosini: sono italiani ma hanno qualcosa in più: una lingua diversa, un legame con un'altra terra, usi e costumi diversi (es. italo-filippina). Espressione utilizzata in Canada: minoranze visibili. Sono discendenti di immigrati che appaiono come stranieri (fanno visibilmente parte di una minoranza) ma sono cittadini dalla nascita del Canada. Queste parole non bastano a definire le seconde generazioni perchè è una realtà multiforme, intrecciata a quella dei bambini italiani. Promuovere l'uguaglianza e valorizzare la propria identità sono i compiti verso i bambini di origine straniera. Si perdono i legami con la terra madre e chiedere loro di scegliere la lingua italiana al posta della lingua madre rallenta l'apprendimento della prima. Sociologo statunitense Rumbaut (1994) Distinguere i diversi percorsi di vita attraverso una definizione numerica: • generazione 2 → na7 in Italia da genitori stranieri • generazione 1,75 → arriva7 in Italia in età pre-scolare (0-5 anni) → bambini inseri7 a metà percorso o molto piccoli (3 mesi) • generazione 1,5 → arriva7 in Italia durante il percoso di scolarizzazione → percorso particolare poiché hanno già vissuto un'esperianza scolastica in un altro paese. Hanno vissuto una parte di vita nel loro paese • generazione 1,25 → arriva7 in Italia già scolarizza7 dopo i 13 anni (al seguito dei genitori) → ragazzi che migrano da soli con un loro proge/o, sono una sorta di prima generazione, oppure che migrano con l'intera famiglia Non sono numeri a caso. Generazione 2 sono nati in Italia, generazione 1,75 ha un pezzettino in meno perchè ha vissuto un po' nel suo paese di origine, etc. Sottolinea le pluralità delle esperienze. Il senso comune dice che i bambini di seconda generazione hanno identità complessa. solo sui loro tratti somatici. L'insegnante non deve sottolineare la diversa origine di questi bambini in modo forzoso. Deve essere un lavoro di ascolto, nel momento in cui il bambino vuole parlare di ciò che sta accadendo si ascolta e si aiuta a capire. La storia di Rassmea Suo padre all'anagrafe ha comunicato il nome e lo hanno scritto in modo sbagliato. Sensazione poco piacevole che si porta avanti tutta la vita di avere il nome scritto in modo sbagliato. È figlia di una coppia mista: il papà è egiziano e la mamma calabrese. “Ero l'unica bambina di origine straniera della scuola e mi ero imposta di dover “fare l'italiana” a tutti i costi per non essere diversa dagli altri. Ho accantonato così le mie origini arabe fino alla quarta superiore, poi con l'11 settembre tutto è cambiato. Sentendo le reazioni contro gli arabi e contro la mia religione, mi sono sentita in dovere di rispondere per difendere le mie radici. I miei compagni mi interpellavano, in quanto araba, in quanto mussulmana. La mia professoressa di italiano ha deciso allora di darmi un'ora del suo insegnamento e farmi sedere alla cattedra per spiegare a tutti cos'è l'islam. A livello teologico, non sapevo nulla della mia religione, mi sono dovuta preparare in fretta per poi rispondere anche alle numerose domande dei miei compagni. È stata per me una grande soddisfazione. Da lì ho capito di voler studiare l'islam e l'arabo in maniera approfondita anche all'università. Volevo conoscere meglio il mondo da cui veniva mio papà, il mondo in cui aveva vissuto una parte della sua vita.” • la negazione dell'origine per sentirsi uguale agli altri • la relazione con gli altri, autoctoni, che sollecitavano risposte, chiarificazioni e obbligano ad una riflessione sulla propria appartenenza • la proposta da parte di una figura educativa di tenere una lezione per spiegare l'islam → momento cruciale della riscoperta della propria appartenenza • trasformazione di una difficoltà in opportunita personale e familiare, ma anche profesionale Tre passaggi educativi: • scoprirsi diversi → so/olineare le somiglianze • ritrovare le origini → dare spazio al racconto della differenza • giocare cone le differenze → valorizzare le competenze (culturali e interculturali) Uno dei rischi connessi al tema dell'identità è chiedere loro di scegliere da che parte stare. Può accadere a livello familiare, quando una famiglia non vuole che il bambino si “italianizzi” troppo, oppure a scuola, quando un'insegnante chiede di parlare solo in italiano non permettendo di parlare la lingua madre con dei coetanei. Chiedere di stegliere tra “essere angelo del focolare” o “donna in carriera”. La prima risposta sottolinea il legame con la madre patria. L'identità è unica ma è plurale. Non bisogna omologarsi ad un modello unico. Bilinguismo/plurilinguismo Il bilinguismo è un problema. Oggi le ricerche dicono che non è così. È invece una straordinaria risorsa. Non bisogna chiedere ai bambini di scegliere ma bisogna aiutarli ad utilizzare entrambe le lingue nei contesti adeguati. La lingua è il veicolo della cultura, quindi vietare l'utilizzo della lingua madre blocca l'apprendimento della cultura familiare. “Lingua madre” → tuT i codici linguis7ci hanno questa immagine → è la prima lingua con la quale il neonato entra in contatto (già il feto sente i suoni della lingua madre). L'apprendimento della lingua madre prima di essere cognitivo è affettivo poiché la mamma parla con il bambino anche se egli non capisce perchè troppo piccolo. Le parole si apprendono in relazione, che è solo umana. È un bisogno che permette al bambino di buttarsi nella vita. I genitori stranieri si fanno spesso quasta domanda: “Quale lingua parlare ai propri figli?”. Il genitore se lo pone per il figlio, per scegliere da che parte farlo stare: farlo integrare bene in famiglia oppure nel contesto scolastico. I problemi del bambino di origine straniera (problemi comportamentali, di apprendimento) non derivano dal doppio codice linguistico. L'insegnate deve essere forte da scegliere il plurilinguismo come opportunità, risorsa. Bilinguismo è una risorsa → “le lingue non entrano in conflitto tra di loro, non sono in competizione tra di loro ”. Il bambino è predisposto all'apprendimento di più lingue. Il bambino impara un linguaggio fatto di tante parole (es. l'acqua di casa viene indicata con il termine arabo, l'acqua della scuola con il termine italiano) (es. le parole riguardanti l'ambito religioso saranno solo arabe, ma le parole riguardanti la scuola come astuccio, lavagna, diario saranno italiane). Il bambino si crea un sistema linguistico. Ci sono due teorie: 1. bilinguismo sottrattivo (in voga fino agli anni 70) → le lingue interferiscono le une con le altre, occupando spazio nella testa del bambino → 7more che il bambino imparasse male entrambre le lingue. Questa è una credenza dovuta al fatto che in Italia c'è soprattutto il monolinguismo (i dialetti non vengono lasciati usare a scuola). 2. bilinguismo additivo → le due lingue o più possono tranquillamente convivere nella testa del bambino. Anzi più i bambini sono piccoli più apprendono facilmente. Le lingue hanno un prestigio sociale e economico diverso che porta ad avere un valore diverso (es. parlare albanese e parlare cinese è diverso, perchè la Cina è una potenza economica nascente). Ma dal punto di vista educativo hanno lo stesso valore perchè sono la lingua madre. In certi periodi forti della vita, si torna alla lingua madre (es. gli anziani usano il dialetto per momenti di affetto o per esporre una barzelletta poiché sono momenti importanti molto carichi affettivamente). I benefici del bilinguismo/plurilinguismo (Hagi, 2012): 1. benifici cognitivi → maggiore crea7vità verbale (descrizioni de/agliate con un largo uso di termini), maggiore plas7cità mentale → sono più difficili da verificare nelle seconde generazioni poiché magari più poveri rispetto alle prime 2. benefici per le dinamiche familiari → possono rispe/are la figure familiari (parla male l'italiano ma molto bene il marocchino e quindi viene imposta l'autorità con esso), vivere legami forti con familiari residenti nel luogo di origine, parlare profondamente con i genitori 3. benefici psicologici → come la filiazione (=sen7rsi parte della famiglia) e la affiliazione (=sentirsi parte di una comunità religiosa, se c'è) Dare l'oppurtinità fin da piccoli di custodire questa parte di sè, poi da adulti decideranno se valorizzarla o no. L'insegnate deve cercare di portare avanti queste minoranze linguistiche, anche se non sono utili al rendimento scolastico. Ma servono a valorizzare una parte dell'identità del bambino. Rumbaut “I bambini che imparano la lingua e la cultura del loro nuovo paese senza perdere quella del vecchio hanno una visione migliore del loro posto nel mondo. Gettano i ponti tra i diversi mondi”. Davide Zoletti ha scritto “Straniero in classe”, il protagonista non è il bambino ma l’insegnante stesso che si sente un po’ straniero perché si accorge che l’italiano non serve per parlare con quel bambino, i libri di testo non servono per comunicare con lui. Si accorge che le sue competenze lo rendono estraneo di fronte al bambino straniero. Bisogna rispettare il silenzio del bambino, a volte non vuole essere guardato e osservare, un errore da non fare è chiedergli troppo presto da dove viene e la sua storia. Martin Buber chiama il momento della sorpresa quello in cui l’insegnante che è già preparato sull’accoglienza (magari glielo hanno detto il giorno prima o l’ora prima) vive questo momento con emozioni di sconcerto, paura e angoscia nel chiedersi come gestire questa nuova situazione. Sono momenti che ogni insegnante vive. Ma non sono emozioni che può riversare sui suoi alunni perché i primi ad accogliere il nuovo compagno sono proprio i bambini della classe, il processo di accoglienza a volte inizia proprio con il preparare gli alunni ad accogliere il nuovo arrivato. La prima palestra dell’accoglienza è il primo giorno di scuola in cui i bambini entrano per la prima volta in aula, è quello il primo momento in cui i bambini apprendono già come si fa ad accogliere perché lo vivono su loro stessi, ciò vale più delle parole che ci può dire la maestra su come accogliere. Buber dice che l’accettazione dell’altro è la conferma dell’altro, sono due movimento complementari: accettare l’altro per come è (l’insegnante deve comunicare che li accetta come sono) e l’atteggiamento di conferma delle loro potenzialità, di ciò che possono diventare. Nel processo di accoglienza è fondamentale educare lo sguardo dei bambini, essi vengono chiamati in modo giusto col loro nome, sono accolti per ciò che sono e quindi loro stessi tenderanno ad avere quell’atteggiamento verso gli altri. Questo processo è una relazione tra bambino ultimo arrivato, insegnanti, bambini della classe la scuola in generale. Questo percorso non è facile, ci sono ostacoli: le paure dei genitori autoctoni e stranieri in Italia da tempo che temono che il nuovo arrivato intacchi il livello della classe, la qualità del percorso scolastico dei bambini (il programma potrebbe rallentare). Nessun bambino è un vaso vuoto (Comenio): i bambini spesso arrivano che hanno già fatto una parte di scuola nel loro paese e magari hanno un bagaglio molto grande. L’empatia è fondamentale, è qualcosa di diverso dalla simpatia, è qualcosa che possiamo decidere di attivare, è l’esperienza dell’altrove, provare a sentire su di noi un’esperienza e uno stato d’animo che non è il nostro. Stein dice che l’empatia è una forma di conoscenza, ci si rende conto di uno stato d’animo che non si è mai provato. Il racconto del viaggio è il migliori strumento educativo per far capire ai bambini quanto sia importante accogliere l’altro. 28 Novembre COMPITO: Pagina di un ipotetico sussidiario di quinta primaria sulle migrazioni Mettere informazioni corrette: con numeri e dati, linguaggio che aiuti a superare stereotipi e pregiudizi, aiutare i bambini a sviluppare l'empatia e un pensiero critico Immagini non stereotipate DICEMBRE Tema molto delicato nel contesto interculturale. Si tematizza una questione delicata: la questione del sacro, del pluralismo religioso, del posto della religione nella scuola di tutti. È un tema però poco trattato anche se cruciale. Gli insegnanti non sono formati per questo tema, non sono pronti e non si sentono adeguati a gestire questa tematica nella scuola pubblica. Non ci sono certezze assolute, non ci sono visioni uniche. Molta confusione tra questi due termini, sono due concetti diversi: • religione → aspe/o trasversale alle diverse origini nazionali. All'interno delle religioni ci sono diverse confessioni. Le grandi religioni monoteiste sono il cristianesimo, ebraismo (presenti prima del fenomeno migratorio), islamismo (VI sec), il buddismo, l'induismo, i testimoni di Geova, .. A Torino, non ci sono dati netti sulla dimensione religiosa; abbiamo delle ricerche ad esempio di Maria Chiara Giorda che ci dicono che il 56% è cattolico, il 16 % si dichiara mussulmano, il 14% si dichiara cristiano ortodosso (proveniente dall'Est Europa probabilmente), il 10 % si dichiara areligiosi (ma con una forte dimensione spirituale), il 4% si dichiara protestante. Il pluralismo religioso è una realtà delle nostre scuole. La diversità non è legata alle migrazioni. • cultura → legata al posto in cui si vive • laicità → non esiste in tuT i contes7. Nel nostro paese è usata, quasi abusata. Deriva da laos che vuol dire 'del popolo' ovvero di tutti. La scuola laica è di tutti. È un approccio che tiene in conto dell'esperienza religiosa di tutti, tiene conto dei diversi approcci alla religione. • laicismo → visione estrema. Escludere qualsiasi a/enzione alla dimensione religiosa in un luogo pubblico, ad esempio nella scuola. Ad esempio, la scuola francese è una scuola laicista, dove sono stati vietati i simboli religiosi (il velo islamico o il velo della suora, il crocefisso), dove è vietato parlare di religione perchè catechizza gli alunni. Valeria Fabretti ha trovato tre definizioni: 1. educazione into religion → approccio che sos7ene un'educazione confessionale o cathechetico, cioè che si basa sulla trasmissione di una religione (es. nella classe di catechismo, nelle scuole coraniche) 2. educazione about religions → approccio di storia delle religioni, è un approccio storico, non vuole indottrinare gli alunni ma solo renderli consapevoli della storia delle religioni 3. educazione from religions → approccio che considera che le religioni possano dare un contributo all'educazione e alla formazione dell'uomo. Non è un bisogno di conoscere solo la religione ma fare propri valori che essa cerca di trasmettere (es. educazione alla pace). Si cerca di non influenzare i bambini, ciò dipende da come l'insegnante gestisce questi temi. Debray, un ministro francese, ha scritto un documento ministeriale nel 2002 per denunciare la questione dell'analfabetizzazione religiosa. Non solo gli alunni ma anche insegnanti sono analfabeti davanti al contesto religioso. C’è una grande varietà di approcci che provoca confusione negli insegnanti nel gestire questa tematica dentro la scuola. 2007 art. 7 : opportunità di allargare lo sguardo al pluralismo religioso Non ci sono indicazioni molto chiare, c’è un’indicazione netta per l’ora di educazione cattolica (per l’accordo con la Chiesa). Religione dal punto di vista interculturale Nella scuola c'è una sola ora di religione e i genitori devono scegliere se farli rimanere in classe o no. Questa separazione dal punto di vista interculturale: • vengono limitate le esperienze del gruppo classe • creare un noi e loro • l'insegnante, in base al rapporto di fiducia che crea con gli alunni e i genitori, cambia l'idea di “ora di religione” Ricerca sulla festa di Natale nella scuola, sono emersi tre modelli: 1. modello indifferente 2. modelllo separatista (far scegliere le famiglie se partecipare ai progetti di Natale) 3. modello interculturale (la festa di natale crea gruppo e permette la conoscenza dell'altro, si cerca di trasmettere il significato dell'attesa come valore comune) La scuola → luogo in cui i significa7 non si perdano ma neanche si indi/rinino Martin Buber, filosofo ebreo, nomina tre verbi: 1. confermare il bambino nella sua identità che è diversa dalle altre. Rispetto per l'origine ed l'educazione di quel bambino. 2. sostenere il bambino nel suo percorso di riflessione, che non è ne quello della famiglia ne quello dell'insegnante. Ii bambini fanno molte domande (si interrogano sul cosa c'è dopo, su cos'è la morte,) e non si può esserne indifferente. 3. non influenzare il bambino, cioè non imporre in lui la risposta assoluta che è quella di chi gliela fornisce. Ciò significa violare la sua libertà. APRILE Educazione all'aperto. I genitori hanno il terrore che i bambini si ammalino pertanto essi trascorrono tanto tempo a casa, privandosi così dell'esperienza di vita dello spazio pubblico condiviso con i suoi stimoli. È raro il tempo passato all'aria aperta. L'insegnate approfitta del cortile; lei considera che molti malanni derivano da questa vita così protetta senza contatti con il mondo esterno. L'insegnate in cortile si ritrae: i bambini possono diventare autonimi, imparare e rispettarsi da soli, cioè creandosi una comunità. Ciò sviluppa e rinnova la cultura tra pari (es. lo sport). Tagore → lezioni svolte all'aria aperta → sviluppo di capacità come immaginazione e giudizio, tramite le arti e le scienze (es. la danza) → presa di coscienza del proprio corpo e della propria libertà L'ambiente intorno a noi influenza la nostra crescita (es. campagna vs città). L'educazione ambientale sviluppa la capacità di guardare oltre. MAGGIO Elio Damiano scrive “L'insegnate etico” in cui si pone la questione del senso dell'insegnamento. Dal punto di vista della Granata, c'è un elemento che emerge: la relazione con alcuni insegnanti significativi, la figura dell'insegnante e lo sguardo che esso ha per gli alunni. Molti alunni senza cittadinanza dicono di averla ricevuta dagli insegnanti attraverso i loro strumenti che lo ha trattato come cittadino. Una dimensione fondamentale dell'insegnamento è la dimensione del sogno (Perrenoud). Egli intende “il sogno si presenta come un dubbio rispetto al proprio operato diventando una nuova possibilità per sé. I costi possono essere alti se il sogno è fallito (frustazione, il senso di sconfitta e disillusione). Essi contano molto nella dimensione morale dell'insegnante. Il sogno dovrebbe essere un momento di ogni giornata dell'insegnante stimolato da quelle situazioni difficili”. Per lui sognare è un’attività concreta, sognare modalità concrete di coinvolgere gli alunni, modalità di approccio con alunni difficili. Il sogno può avere esiti positivi o esiti negativi ma quell’attività del sogno non è mai vana. Alcune situazioni si possono ripetere, le sfide possono essere simili e allora l'insegnante riparte da un sogno già sognato. “Ogni situazione analoga accresce la probabilità di trovare una risposta adeguata. Ciò è il solo modo di alimentare le proprie competenze e verificarle nella pratica”. Danilo Dolci studiava architettura e ha deciso di lasciare tutto perchè ha capito che l'architetto avrebbe lavorato solo per ricchi e non per chi non possiede una casa o da mangiare. Allora viene a sapere che in Sicilia era morto un bambino per fame e decide di trasferirsi lì. L'idea che il cambiamento sociale passa da un'esperienza educativa, ovvero dall'incontro tra persone che confrontano le loro idee e sognano insieme il cambiamento. Faceva il laboratorio maieutici: radunava in cerchio tutti i cittadini per decidere come modificare la situazione sociale. L'esito è stato la costruzione di una diga, la consapevolezza dei diritti dei lavoratori e non, dando vita ad uno sciopero alla rovescia (i disoccupati che lavorano). Questa esperienza di consapevolezza hanno portato ad una rinascita economica del nostro paese. Ciascuno cresce solo se sognato C'è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo: forse c'è chi si sente soddisfatto così guidato. C'è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c'è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato. C'è pure chi educa, senza nascondere l'assurdo ch'è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d'essere franco all'altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato. Ciascuno insegna solo se sogna. Ciascuno cresce solo se sognato.
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