Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti del corso Psicologia dell'arte della prof. Chiara Tartarini, a.a. 23/24, Unibo, Appunti di Psicologia Della Percezione

Appunti del corso Psicologia dell'arte della prof. Chiara Tartarini, a.a. 23/24, Unibo

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 04/05/2024

JackNorris
JackNorris 🇮🇹

4.4

(38)

27 documenti

1 / 31

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti del corso Psicologia dell'arte della prof. Chiara Tartarini, a.a. 23/24, Unibo e più Appunti in PDF di Psicologia Della Percezione solo su Docsity! Psicologia dell’arte, 23/24, Chiara Tartarini 29.01.24 Esame: tre domande, una per libro, max. 20 minuti. La fotocopisteria in via Fondazza ha tutti i testi fotocopiati. Gombrich dà delle teorie diverse su Freud, cerca di ammonire contro le banalizzazioni del metodo freudiano. Su Virtuale abbiamo i testi di Freud. Arnheim offre un’altra teoria della psicologia dell’arte basata sulla percezione, con un taglio gestalt. Gombrich è un famosissimo storico dell’arte e divulgatore, nato a Vienna nel 1909 e poi trasferitosi a Londa dove è morto nel 2001. È uno storico, non uno psicologo, ma lo è sui generis, è un lavoro il suo che è enciclopedico, ha scritto di cose diverse tra cui uno dei libri di storia dell’arte più di successo di sempre. Aveva un forte interesse per la psicologia della percezione. La “scuola di Vienna” è un gruppo di storici dell’arte tra cui Julius von Schlosser, maestro di Gombrich, che era un conservatore e appassionato di un’arte a lungo considerata minore e portava avanti un’idea di parità tra arti cosiddette maggiori e quelle minori. Tipico di questa scuola era l’idea di superare l’approccio teleologico, di progresso dell’arte – idea romantica e ottocentesca – e recuperare le arti rimosse: una delle sue opere più belle è la Storia del ritratto in cera. Schlosser riflette sul retaggio dell’antico culto dei morti: la cera dà un’idea straordinariamente mimetica del reale, della pelle soprattutto, dà vita a ritratti così somiglianti da risultare, freudianamente, perturbanti. Aby Warburg è importante, e Gombrich per anni ha diretto Warburg Institute. Ernst Kris era un altro amico, ed era allievo di Freud, è uno psicanalista che studia storia dell’arte e fu direttore di una rivista di psicanalisi applicata che si chiamava Imago. A seguito dell’Anschluss nel 1938 Kris si trasferisce in Inghilterra e poi negli Stati Uniti dove le sue teorie ebbero molta presa. È un clima culturale vivace e si diffonde anche fuori dagli ambiti austriaci-tedeschi. Il libro più famoso di Kris si chiama Ricerche psicoanalitiche sull’arte e qui Kris affronta un tema centrale per la psicanalisi dell’arte, dice, sulla scorta di Freud, che l’artista quando crea vive all’interno di un processo regressivo, una regressione di tipo temporaneo che lui definisce controllata, a degli stati che non sono quelli abituali della nostra società. L’artista lo fa per un periodo limitato, è una regressione controllata che arriva molto vicina al processo primario, formula coniata dallo stesso Freud nell’Interpretazione dei sogni, ha a che fare con il libero fruire dell’energia psichica, riesce ad arrivare vicino ad un processo che a che fare con l’inconscio allo scopo di procurarsi una sorta di gratificazione immediata, così facendo entra ed esce dalla realtà, la reinventa. È proprio questa capacità dell’artista di mettere in atto questi processi ciò che secondo Kris stesso gli permetterebbe di comunicare con il pubblico, perché anche il pubblico vivrebbe – pensiamo al cinema – una dimensione di passività e necessità di gratificazione. Il fruitore riuscirebbe a rivivere anche lui questa sorta di regressione che ha portato l’artista a creare. Psicodinamica è un filone della psicologia che si basa sulla concezione e sulle metodologie della psicoanalisi freudiana e si chiama psicodinamica perché secondo Freud alla base di tutti noi ci sono delle istanze psicofisiche (inconscio, conscio, Io, Es, etc.) che sono però in relazione dinamica necessariamente altrimenti la stessa psicanalisi non avrebbe senso: dinamiche psichiche a partire dal collegamento tra le diverse istanze psichiche che sono alla base dei comportamenti e dei pensieri degli individui. Gombrich quindi vive a sua formazione in un momento in cui di queste cose si parla tanto, poi quando va in Inghilterra insegna Storia della tradizione classica e Storia dell’arte a Oxford e dal ’51 al ’76 dirige il Warburg Institute, un centro specializzato nello studio dell’influenza dell’antichità sulla civiltà occidentale, qua nasce anche l’iconologia, l’interpretazione profonda di un’opera d’arte, dell’immagine, cercando di coglierne le ragione legate al contesto culturale, le ragioni contestuali per cui un certo soggetto viene rappresentato in un certo modo. Warburg soffriva molto dal punto di vista psichico, è uscito da poco La guarigione infinita, un libro sul suo rapporto con lo psichiatra Binswanger. Muore giovane, la sua strada viene portata avanti da Panofsky e Fritz Saxl e Gombrich gli dedica Aby Warburg, una biografia intellettuale. Gombrich è eclettico, che si muove e si forma in un periodo particolare, con amicizie vicinissime ai temi e al milieu della psicanalisi, e che nel testo che vediamo in programma non le manda a dire a chi usa la psicanalisi come una sorta di arma per chiarire tutto, anche con una certa ironia, ma pur sapendo qual è stata la portata rivoluzionaria di questi studiosi. Critica con cognizione di causa e non con antipatia. Freud voleva che la disciplina si chiamasse psicanalisi, ma noi diciamo psicanalisi per quella lacaniana e psicoanalisi per quella tutta. Se vogliamo essere ultra-precisi dovremmo usare psicoanalisi in questo ambito. In questo libro la distinzione non c’era e quindi troviamo scritto psicanalisi. Ne Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio sono raccolti saggi di Freud da un periodo estremamente ampio (1883-1934), è l’illustre assente che ora non c’è più nella sua interezza perché molto lungo e si fatica a trovare un filo che ci permetta di vedere le evoluzioni del pensiero freudiano. 30.01.2024 creativo. L’edizione italiana ha dei disegnini bruttissimi ma è l’unica disponibile. Una delle sue pubblicazioni più famose è Guernica, genesi di un dipinto. Il rapporto all’arte sua contemporanea, soprattutto la Hop Art. 2.02.2023 Quello che Freud pensava dei surrealisti: niente di buono. Noi penseremmo subito all’onirico, per i surrealisti l’opera d’arte dovrebbe trascrivere il flusso caotico delle pulsioni (scrittura automatica). André Breton, padre del surrealismo, aveva letto Freud, un po', non troppo. Aveva anche studiato medicina, ma nei suoi scritti dove parla di psicoanalisi fa un pasticcio abbastanza clamoroso, mette insieme delle figure che non c’entrano niente. Nel 1924 nel noto Manifesto del surrealismo definisce il movimento come avere a che fare con l’automatismo psichico puro: funzionamento reale del pensiero, dettato in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione e di preoccupazione reale. Freud non poteva certamente sentirsi rappresentato da queste parole, la sua idea è profondamente cambiata rispetto agli inizi della definizione di inconscio. Lui sa bene che l’inconscio non è qualcosa di così anarchico, se lo fosse non sarebbe esplorabile durante le sedute. Sa che non si può essere mai completamente in preda all’inconscio. Il Super Io è l’istanza morale censoria per definizione, nulla della nostra psiche può essere completamente esente da una forma di ragione, le nostre istanze psichiche sono sempre in relazione tra di loro. Freud dice anche che l’inconscio non è sempre accessibile dalla coscienza, il preconscio è un passettino al suo interno ma non è comunque inconscio, e definiva le opere dei surrealisti come mancanti di equilibrio tra l’inconscio e l’elaborazione preconscia. Era durissimo con i surrealisti, e con le avanguardie in generale, e diceva che per essere il loro nome tutelare avrebbero dovuto perlomeno leggerlo. Eric R. Kandel (1929-), Arte e Neuroscienze. È un neurobiologo nato a Vienna da famiglia ebraica emigrata dall’Ucraina. Perseguitato dai nazisti pure lui, emigra di nuovo immediatamente negli Stati Uniti. La neurobiologia studia i processi chimici e fisiologici che stanno alla base del funzionamento del cervello. Il rapporto tra il nostro cervello e l’arte è un percorso complesso, sapere che cosa capita, cosa aggiunge di più alla nostra conoscenza riguardo l’arte? È uno dei nodi della neuro- estetica, come loro ne parlano ha a che fare con il cervello strettamente. È evidente che noi pensiamo e agiamo inconsapevolmente rispetto a quello che accade nel cervello. Quello che interessa a Kandel è quello che succede dal punto di vista neurobiologico ma parte dal presupposto che esista una correlazione tra ciò che avviene ne cervello e quello che avviene nella mente/psiche e viceversa, ciò che viviamo a livello psichico ha una ricaduta a livello di cervello. Ad esempio, lo stress è una risposta generalizzata del nostro corpo rispetto a una pressione esterna, si tendono i muscoli, il sudore per raffreddare il corpo, etc etc. una risposta fisiologica semplicissima. Kandel ha vinto il Nobel per i suoi studi sulla memoria, su come il cervello mantenga tracce mnestiche, e lo ha fatto a partire da una lumaca di mare orribile che è un po' il suo pet. Nella seconda parte applica il funzionamento del cervello a una serie di artisti e opere che avrebbero inconsapevolmente messo nero su bianco il funzionamento del cervello. Il sottotitolo rimanda a Le due culture di Charles P. Snow (1959), libro controverso e incompreso, fisico e scrittore che era l’insieme di due culture, in questo libro descrive la spaccatura netta nel Novecento tra le discipline che a suo modo di vedere ha portato alla cultura del suo secolo una dannosissima spartizione di raggi di azione che ha fatto male ad entrambe le culture. Anche Kandel prova a superare queste divisioni tra culture, il rischio per uno storico dell’arte è di trovare la seconda parte semplicistica, ci parla di Pollock, de Kooning, Rothko, Mondrian. Si muove tra teorie diverse, cita spesso Gombrich, ci dice che la percezione visiva è un processo estremamente elaborato e che artisti come i sopracitati comprese a livello intuitivo queste cose che noi oggi sappiamo succedere a livello cerebrale se ne sarebbero serviti per creare le loro opere. Questo costituisce un filo rosso di diverse prospettive della psicologia dell’arte, lo stesso Freud sosteneva che i letterati (es. Schnitzler) arrivassero intuitivamente a soluzioni cui si sarebbe potuto arrivare empiricamente con prove certe a risultati molto simili. Il titolo originale è Riduzionismo in arte e neuroscienze, e allora possiamo leggerlo con un’altra lente, capiamo che un’astrattista è un riduzionista, che è poi vero. Per noi umanisti riduzionista è una brutta parola, ma per Kandel e l’epistemologia (filosofia della scienza), la parola ha un altro significato: vuol dire “se vogliamo studiare dei fenomeni complessi o conoscere delle forme complesse, è necessario sempre che noi siamo in grado di scomporre questi concetti e forme nelle loro componenti essenziali, in questo caso sufficienti a spiegare le basi della teoria che vogliamo costruire”. Componenti essenziali e sufficienti di un problema complesso, gli artisti invece lo sfruttano per suscitare una risposta percettiva ed emotiva più forte in chi guarda. L’arte astratta soprattutto, arte che rimuove gli elementi figurativi ma non elimina anzi potenzia la capacità della mente di richiamare associazioni in chi guarda, di fronte all’arte astratta lo spettatore è molto creativo. Kandel ha beneficiato del suo ambiente, la Columbia University, dove gli intrecci tra arte e scienza comuni e frequenti. Frenologia: pseudoscienza che dall’aspetto o dimensione esteriore determinava carenze o potenzialità mentali (ogni area del cervello ha la sua funzione). La volgarizzazione e diffusione di teorie pseudoscientifiche negli anni ’90 e 2000 hanno avuto un’accelerazione: scan del cervello come indicatori di patologie. 5.02.2024 Le procedure neuroscientifiche creano degli artifici grafici, il cosiddetto neurorealismo: quello che vediamo è veramente il cervello? Non è un problema dei neuroscienziati, che sanno che i colori sono convenzioni che facilitano la lettura clinica dei cervelli. Quali parti della corteccia cerebrali vengono irrorate di sangue quando guardiamo un’opera? Effetto Hawthorne. È improbabile che la persona svolga l’azione in una condizione di normalità, sa di essere oggetto di esperimento, e solo questo altera in maniera evidente i risultati. L’effetto Hawthorne viene citato come formula per dare conto di un fenomeno piuttosto intuitivo: una serie di esperimenti su una serie di operari tra gli anni ’20 e ’30 negli stabilimenti di Chicago chiamati Hawthorne. Quando qualcuno soggetto di esperimento sa di esserlo, modifica anche inconsciamente le stesse performance. L’esperimento domanda-effetto, di cui fu pioniere M. T. Orne secondo cui l’aspettativa dei partecipanti di essere valutati li porta ad agire in modo di ottenere un buon punteggio nella valutazione. L’altro è il cosiddetto washing-eye effect, il simbolo per definire che sappiamo che le persone in presenza di immagini simboliche che raffigurano occhi modificano il loro comportamento, in modo più altruistico e meno antisociale. Un grande super-io che ci guarda e ci induce ad avere comportamenti più sociali. Rispetto al giudizio sull’arte è la stessa cosa: di fronte ad una cosa definita opera d’arte i soggetti sanno che quegli oggetti vanno valutati in maniera differente, si attivano diversamente per giudicare quegli stessi oggetti. L’opera simbolo è l’orinatoio di Duchamp, che nessuno di noi considera più tale, o le cosiddette Brillo Box di Warhol. Gli scienziati sanno che per procedere a fare gli esperimenti bisogna essere riduzionisti, ridurre al minimo le variabili e procedere in laboratorio e vedere cosa succede, e nei casi migliori riduzione dopo riduzione, cercare di costruire una teoria sempre il più possibile solida. Si è parlato di ossessione cerebralista, capire cosa avviene all’interno del cervello, come se avesse una ricaduta automatica sul nostro modo di vivere, pensare, fruire. Molte critiche sono state mosse da psicologi e neuropsicologi, che la definiscono frenologia high-tech. Per controbilanciare la neuromania è stato pubblicato un bel libro di Aglioti e Berlucchi che si chiama Neurofobia. Chi ha paura del cervello? Autori autorevoli dicono che gli apporti delle neuroscienze alle forme dello scibile sono comunque di grande peso e interesse. Neuroestetica è una corrente di studi che parte da neuroscienziati con affiancati storici dell’arte o estetologi che indaga le basi neurobiologiche dell’arte (non quelle psicologiche) ponendosi sia dalla parte della creazione sia da quella della fruizione dell’opera d’arte. Due indirizzi principali: Roberto Casati e A. Pignocchi in un numero della stessa rivista su cui hanno pubblicato Freedberg e Gallese, risposero con altri esperimenti usando altre immagini, meno emotivamente impattanti: i tagli di Lucio Fontana. La serie molto famosa di foto realizzate da Ugo Mulas nel 1964 che si chiama L’attesa e ci mostra Lucio Fontana in azione. Sottoposero 14 partecipanti ad un esperimento di elettro- cefalografia mentre guardavano le opere di Fontana via foto di Mulas mescolate a immagini chiamate “stimoli di controllo”, rielaborazioni grafiche in cui il taglio era sostituito da una linea grafica schiacciata sul bianco, quindi eleminando la componente di tridimensionalità propria dell’opera. Dei 14, 7 avevano familiarità con l’opera, gli altri no. l’esperimento avrebbe dimostrato che i partecipanti si creava un’empatia durante la contemplazione dei tagli originali ma non durante l’osservazione del disegnino. La risposta empatica sarebbe data dall’immedesimazione con il gesto stesso di Fontana. La serie di Mulas sappiamo chiamarsi L’Attesa perché sono pose, non davvero realizzate mentre compiva i tagli. Mulas ha diretto Fontana, che era decisamente contrario a essere ripreso durante la realizzazione dei tagli: è il gesto in sé a essere l’opera, e quindi a volte lasciava le tese in attesa prima di trovare la giusta concentrazione e intervenire. Il risultato dell’esperimento di Gallese è reso più complesso perché sappiamo che i gesti erano falsi, una simulazione in sé che provocherebbe una simulazione. Il successo di questi studi è stato ampio e non può ignorarli e si collega strettamente al tema dell’empatia, fondamentale per la psicologia dell’arte. 6.02.2024 Empatia è diventata una parola tormentone in diversi ambiti. È un concetto in realtà estremamente complesso di origine molto antica. Platone nel terzo libro della Repubblica: guardando la tragedia si metta in atto una compenetrazione tra diversi livelli dell’enunciazione. Anche per la Poetica di Aristotele la rappresentazione tragica si fonda sulla possibilità per lo spettatore di immedesimarsi per le emozioni ritratte sulla scena, soltanto temporanea e parziale: dura il tempo della rappresentazione. Si definisce la catarsi delle nostre passioni che viviamo attraverso le parole e le vicende del personaggio. Uno dei libri più agevoli sull’argomento è Andrea Pinotti Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano. L’empatia come concetto (in tedesco einfuhlung) viene studiato da quattro studiosi tedeschi: Vischer (Friedrich Theodor e il figlio Robert), Theodor Lipps, Wilhelm Worringer (Astrazione e empatia. Un contributo alla psicologia dello stile, 1908). L’estetica ne ha parlato moltissimo nel corso del Novecento. Il filosofo Dufrenne definiva l’oggetto d’arte un “quasi soggetto”, qualcosa con cui riusciamo a empatizzare. Il pensiero di Aby Warburg è irrinunciabile nello sviluppo del pensiero del Novecento, e lui sulla scorta della teoria dell’empatia tedesca, già verso la fine dell’800 aveva insistito sulla presenza nello sviluppo della figuratività e della figurazione sulle cosiddette formule del pathos: posture corporee che diventano espressioni tipiche di un affetto, d’un emozione e cambiano di significato attraverso le epoche. Non soltanto la figura umana, ma gli accessori in movimento permettono di trasmettere un certo tipo di sensazione. Quinta proposta bibliografica: Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze. Vittorio Gallese, Michele Guerra. Libro che ha fatto abbastanza rumore e che è stato tradotto da Oxford Press. Scrivono un capitolo a testa, è un testo multidisciplinare. Teoria: nella fruizione filmica lo spettatore incorpora stimoli rielaborandoli in una sorta di simulazione incarnata, in un’esperienza di “come se”. Si nota fin dalla prima proiezione della storia del cinema, con l’arrivo del treno alla stazione. Il cinema comporta un’intensificazione della vita nervosa dello spettatore e grazie al movimento e al montaggio favorisce questa intercorporeità tra i soggetti sullo schermo e la nostra vita degli spettatori. Attivazione di meccanismi di simulaizone incarnata. La combinazione tra neuroscienze e cinema funziona in maniera molto più efficace rispetto alle arti visive. Il cinema è una sorta di papà di tutte quelle virtualità che ci permettono un grandissimo grado di immersione. L’ultimo libro è Farsi Piacere. La costruzione del gusto., Arielli insegna estetica allo IUAV. Si occupa della maniera in cui costruiamo o cambiamo i nostri gusti secondo vari modelli contemporanei che mettono in crisi l’universalità dell’io (una cosa ci piace una volta per tutte) mentre Arielli si chiede se è possibile cambiare i propri gusti: sé percepito e sé voluto. I gusti fanno parte di questa dimensione dinamica del nostro stare nel mondo. Analizza delle modalità attraverso cui a partire da un pretesto personale si sforza di cambiare i propri gusti, prendendo le distanze dal sé percepito: la musica atonale assolutamente non riesce a piacermi. La psicologia dell’arte ha anime diversissime. Grassi, Pepe, Dizionario di arte. Termini, movimenti e stili dall’antichità a oggi. Ci sono varie voci sulla psicoanalisi dell’arte, psicologia della forma, psicologia dell’arte. Le prime due piuttosto lunga, l’ultima corta corta (pg. 651): lo studio di ciò che prova l’artista o il fruitore di fronte alla creazione/fruizione dell’opera d’arte. Tutto si gioca su quella che mettiamo al centro dei nostri interessi: psicologia o estetica? C’è sempre un interesse triangolare tra tre vertici: opera-artista-fruitore. È una disciplina già dal nome fortemente interdisciplinare e che spesso chiede il sostegno di ulteriori discipline: antropologia, fisiologia, teoria della letteratura, critica d’arte, sociologia, etc. disciplina che in qualche modo ha fame, cerca stimoli per dar conto della propria teoria. Barthes nel 1972 ci dice che “l’interdisciplinarità consiste nel creare un nuovo oggetto che non appartenga a nessuno”. Il problema è che c’è sempre una disciplina schiacciante sulle altre. Nella storia di questa disciplina di difficile definizione, ciascuno psicologo che si è avvicinato all’arte per comprovare e sue teorie lo ha fatto seguendo la propria scuola, il proprio taglio. Ma se l’arte è stata molto generosa con loro, al contrario la psicologia è stata più avara nei confronti degli studi sull’arte. La lettura psicologica avrebbe contribuito in maniera più trascurabile all’arte, ma la prof. non è d’accordo: dice che la lettura psicologica è stata presente nella critica d’arte nel Novecento. Il problema più grave è quello della polverizzazione. I filoni della psicologia dell’arte: - L’artista e la sua personalità (es. Freud e la psicoanalisi dell’arte) - L’opera d’arte da un punto di vista percettivo (es. Arnheim e la psicologai della Gestalt) - L’estetica sperimentale e la misurazione (es. Gustav Fechner e Daniel Berlyne) - La neuroestetica, la relazione tra esperienza La psicoanalisi dell’arte studia la relazione tra artista e l’opera. Freud nasce in Repubblica Ceca e poi va a Vienna, era di famiglia ebraica. La religione ebraica è anicoica, anicoismo vuol dire “senza rappresentazione”, non è data rappresentazione né di Dio, né dell’uomo né della natura. Molti hanno fatto riferimento a questo aspetto riguardo il suo difficile rapporto con le immagini. Grande Vienna: un momento in cui l’impero austroungarico è ancora in piedi ma si comincia a percepirne la decadenza. Jervis, Bartolomei, Freud., scrivono che nella Vienna di quel tempo c’è nella percezione della caduta una sorta di meccanismo di difesa di massa all’interno del quale si coglie una grande concentrazione di energie creative he riguardano la musica, la pittura, la letteratura (Schnitzler, Musil, Roth, von Hofmannsthal). Negli anni ’90 c’è stata una riscoperta della psicoanalisi freudiana non in ambito terapeutico ma più interpretativo. La prima cosa che pubblica sono gli Studi sull’isteria di pazienti femminili, tra cui quello celebre di Anna O., con i quali inizialmente utilizzò l’ipnosi per poi avvicinarsi al metodo delle libere associazioni e le interpretazioni dei sogni, da cui emergerebbero degli aspetti profondi del nostro inconscio. Freud fa psicoanalisi applicata, applica la teoria psicoanalitica all’arte, e lo fa in due modi: psicobiografia e psicoanalisi dell’opera. Nella prima si cercano elementi rilevanti nella biografia dell’artista che spieghino elementi rilevanti all’interno dell’opera. La seconda è cercare di analizzare cosa rappresenti l’opera per il fruitore o l’opera in sé. Psicobiografia è il testo Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910) su cui è tornato più volte e sempre sentito come proprio nonostante sia stato criticatissimo. Ad aprire uno spiraglio è la lettura di un ricordo d’infanzia dello stesso Leonardo contenuto nel Codice Atlantico in cui lui dice che quando era Psicoanalisi Studi sull’arte Contenuto manifesto <-> iconografia Contenuto latente <-> iconologia L’iconologia cerca di cogliere nelle immagini una mentalità, una cultura del tempo, una storia culturale del periodo, cerca allusioni. Quello che Schapiro contesta a Freud è aver voluto procedere verso un tipo di lettura iconologica senza aver bene in mente l’iconografia. Schapiro consiglia a noi che leggiamo Freud di cercare di capire che cosa fa parte di un milieu culturale e cosa nasce individualmente da un’artista. Solo così possiamo capire, fermo restando la plausibilità di un’analisi psicoanalitica, ma avendo competenze a sufficienza per distinguere il particolare dal mainstream. Schapiro ci dice anche di tenere conto della popolarità della figura di Sant’Anna nel periodo di Leonardo che addirittura aveva superato la figlia, indubbiamente legata ad un dogma complicatissimo che è quello dell’Immacolata Concezione di Maria (concepita da Anna senza peccato originale). Anna non ha ereditato il peccato originale, per questo può competere con la figlia in popolarità, è nel dogma dell’Immacolata Concezione di due donne senza peccato, ma dobbiamo saperlo prima di fare iconologia. 12.02.2024 Freud è consapevole della lacunosità e arbitrarietà delle sue considerazioni su Leonardo, e mette alla prova la psicoanalisi con un caso molto estremo, fa psicoanalisi applicata alla ricerca di dati e argomentazioni che supportino la teoria psicoanalitica. Nello specifico nel testo su Leonardo emergono quattro temi psicoanalitici: 1. Complesso di Edipo/Elettra: desiderio inconscio di un bambino di unirsi con il genitore di genere opposto. Secondo Freud tutti i bambini ci passano ed è fondamentale nello sviluppo sessuale. In Leonardo tutto questo fenomeno sarebbe stato più complesso dalle vicende d’infanzia a causa della mancanza di una delle due figure di riferimento. 2. Salute/nevrosi: l’inconscio non si fa sentire soltanto con la nevrosi o la malattia, ma anche nella vita di tutti i giorni (Psicopatologia della vita quotidiana) nei lapsus, nelle disattenzioni, e nell’arte. Aspetti che hanno a che fare con la vita quotidiana ma non per forza con la nevrosi, cosa sottolineata anche nel testo su Leonardo. 3. Condensazione: si concretizza nel dipinto rappresentata nelal fusione tra le due donne che si condensano, ed è così soprattutto nei disegni preparatori “fuse insieme come due figure oniriche mal condensate”. Il termine condensazione viene utilizzato per la prima volta ne L’interpretazione dei sogni, uno dei meccanismi principali della costruzione del contenuto manifesto del sogno. 4. Sublimazione: concetto teorico complesso, considerato quasi incompiuto, irrisolto, che per Freud è all’origine della creazione artistica. In psicoanalisi è la deviazione di una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta non sessuale o non aggressiva. Ciò consente una valorizzazione delle pulsioni a livello sociale (specie nell’ambito della ricerca, delle professioni o dell’attività artistica). Come tanti termini usati da Freud è preso in prestito dalla fisica. Una nozione di metapsicologia, un meccanismo che sposta e devia, che attraversa tutta la sua teoria ma fatica a delimitarsi. Sublimazione: impulsi aggressivi (sessuali) -> espressione mediata degli impulsi -> attività “elevate” dal punto di vista artistico Schapiro non si lascia scomporre dall’errore di traduzione, già esposto nel 1923, ma si concentra su altro: sottolinea la scarsa attenzione alla storia da parte di psicologi che si avvicinano alla cultura, in particolare all’arte. Se Freud avesse tenuto conto dei dati storici avrebbe potuto usare il metodo psicoanalitico in maniera più accorta. Questa bonarietà di Schapiro non è molto comune. Nei testi di Freud ci sono delle asserzioni sull’ineffabilità dell’arte, retaggio della sua formazione di epoca tardo-romantica. Psicoanalisi dell’opera: es, Il Mosè di Michelangelo (1913). Le impressioni che Freud ha avuto di fronte a questa statua di Mosè. Non è interessato alla psicobiografia di Michelangelo né a Mosè, ma alle cose che questa statua gli suscita: fa una minuziosissima analisi iconografica della statua e dimostra di saper leggere l’immagine in maniera minuziosa. È un modo di leggere che manda all’aria anche il racconto biblico, la Bibbia ci parla di Mosè nell’Esodo. Mosè si scaglia contro l’idolatria degli israeliti, ma il Mosè di Michelangelo, con le tavole della legge, non è rappresentato così, iroso, ha le tavole sotto il braccio. Il punto di partenza è la grande mano di Mosè che sembra infilarsi nella barba e reggere le tavole in un modo strano. L’interpretazione più frequente è che Mosè starebbe per alzarsi e spezzare le tavole della legge, invece Freud la vede diversamente: pensa che Mosè abbia scelto di non rompere le tavole, rinunciato a dar corso alla sua ira, rappresenterebbe il momento in cui in Mosè, nella sua mente, la ragione ha il sopravvento sull’istinto. Non è il Mosè rappresentato dalla Bibbia, il Mosè di Michelangelo secondo Freud è capace di controllare la sua collera, che comunque affiora nello sguardo e nella torsione della testa piena di pathos. Quello che colpisce è la capacità di Freud di analizzare con grande minuzia la statua, i movimenti che intuisce siano i movimenti precedenti al momento che è fissato su marmo da Michelangelo: prima seduto tranquillo, poi avendo visto l’adorazione degli idoli avrebbe avuto un soprassalto, e infine avrebbe scelto di rimettersi a sedere e lasciar correre. Ha fatto anche degli schizzi per illustrare questa idea. Pensa che il fruitore debba trovarsi di fronte all’opera in una condizione simile a quella dell’artista mentre creava quell’opera, in modo che così provochi l’effetto massimo. Perché l’opera funzioni deve esserci una risonanza emotiva tra artista e fruitore. Approccio emotivo che ci permette di andare oltre il contenuto manifesto, la fruizione non è solo logico- razionale, e si mette egli stesso alla prova con una fruizione di questo tipo. Opera che dimostra come sia possibile raggiungere il livello più alto: soggiogare la propria rabbia in favore di una causa per il quale si è votati. Trasposizione di una vicenda personale di Freud: nel Mosè avrebbe visto sé stesso; infatti, scrisse il testo nel 1913 nel periodo del fortissimo dissidio con Jung. Deluso, scandalizzato e tradito avrebbe via via evitato di dar corso alla sua rabbia. Dà a Michelangelo un surplus d’indipendenza dal passo biblico. La tendenza a trattare l’opera come un sintomo di origini profonde, nell’ambito della psicobiografia di ricorrere a letture su concetti della psicoanalisi come una sorta di caricatura (da parte dei seguaci, non di Freud stesso). Tuttavia questo, che è il rischio della psicobiografia, ci induce a riflettere su un altro elemento: la storia dell’arte vive o ha vissuto molto a lungo a partire dalle vite degli artisti, quindi la dimensione biografica non è da ricacciare in modo assoluto (es. Giorgio Vasari) gli storici dell’arte fanno spesso l’anamnesi, la storia del paziente/artista, raccogliere la storia in maniera minuziosa. Il metodo piscobiografico è di sicuro fallibilissimo ma permane in maniera decisa nella storia dell’arte. Ernst Kris e Otto Kurz, La leggenda dell’artista, libro di straordinario successo, i due si mettono sulle tracce dell’aneddotica sugli artisti alla ricerca di alcune costanti nei racconti delle loro storie: carattere estrose, bizzoso, lavora con foga, si fa beffe del pubblico, etc. Lo vediamo ancora oggi con il successo dei film biografico sugli artisti. Massimo Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh; ripercorre la vita del pittore attraverso un episodio della sua nascita, ci racconta qualcosa che sappiamo ma dà una chiave psichiatrica e psicoanalitica alla figura di Van Gogh: nacque lo stesso giorno in cui un anno prima la madre vide morire il figlio maggiore, il più desiderato e amato, anche lui chiamato Vincent. Sarebbe stato quindi una sorta di sostituto del fratello e il suo senso di inadeguatezza che diede vita a una costellazione psichica malinconia potrebbe aver aggravato la sua condizione. Psicobiografia nel senso più classico. Recalcati, sapendo che di psicobiografia si parla a fatica, nella prefazione alla seconda edizione prende le distanze dal metodo psicobiografico e si sente nella necessità di scrivere che spesso si è caratterizzata per la violenza arbitraria delle sue interpretazioni. Rifiuta di concepire l’opera come un esito deterministico Il Motto di spirito (1905) vs. L’umorismo (1927) Per leggere il secondo bisogna conoscere il primo, che tratta del contributo che l’inconscio fornisce alla comicità. L’umorismo tratta il contributo che il super-io fornisce alla comicità. Passano ventidue anni tra uno e l’altro, tantissimi soprattutto perché il pensiero di Freud cambia completamente. Nel Motto di spirito Freud distingueva due tipi di battute: quella innocente basata su cose naif tipo i giochi di parole che non hanno la caratteristica dell’altra categoria ovvero le battute tendenziose, i cui motivi principali sono l’aggressione o l’oscenità. Tutte e due queste categorie si basano su un presupposto che ci sia una triangolazione tra contesto, lingua e presupposto che si possa ridere delle stesse cose. Il motto di spirito tratta del cosiddetto processo primario: complesso di meccanismi che caratterizzano il linguaggio dell’inconscio (analogie, condensazioni, metafore, etc.) il motto di spirito manifesta e permette la riduzione di inibizioni e libera l’energia psichica (risatona liberatoria). C’è un’idea di processo secondario: la battuta viene elaborata dalla parola, non è puro inconscio. Motto di spirito indaga il contributo che l’inconscio fornisce alla comicità. Ne l’umorismo il re è il super-io, un’altra istanza psichica, la distanza cronologia è centrale: si tratta di topica (localizzazione) la prima topica freudiana (1895-1920) è: conscio-preconscio-inconscio (le tre istanze sono in relazione dinamica tra loro). Dai primi anni ’20 la seconda topica è: Es (o Id)-Io- Super-io, che al contrario della prima topica non è rappresentabile con un iceberg, non sono più localizzazioni vere e proprie. La seconda topica non è neanche una topica vera e propria. L’Es è tutta la dimensione inconscia, serbatoio di pulsioni. L’Io, anche questo in buona parte inconscio, e il super-Io, pure lui in buona parte inconscio, e svolge un ruolo assimilabile a quello di un giudice di fronte all’io: funzioni di coscienza morale, auto-osservazione, e costituisce in buona parte l’interiorizzazione di divieti e richieste dei genitori nella prima infanzia. L’umorismo va distinto dal comico (il motto di spirito) perché non viola davvero le regole ma fa finta di violarle. Se la comicità implica una regressione allo stato infantile, l’umorismo emerge spesso in situazioni di difficoltà e disagio, è in qualche modo un meccanismo di difesa molto maturo dell’Io, proprio di un Io stabile. L’umorismo (1927): - Ha qualcosa di “grandioso e di nobilitante” - Esprime un sentimento di sfida (“trionfo dell’Io”) - Esprime un rifiuto della sofferenza - Adulto/bambino = super-io/Io L’umorista deriverebbe la propria superiorità, senso di sfida, nel fatto che si identifica in un certo modo con il padre, l’adulto, e riducendo gli altri e sé stesso nel momento di difficoltà, nel ruolo del bambino. Il super-io dice all’io che il mondo, le difficoltà, sono un gioco su cui si può scherzare su. Freud: scrittore? Secondo Jean Starobinski, Psicoanalisi e letteratura in L’occhio vivente (Einaudi, 1975), la psicoanalisi è drammaturgia espressiva, che spesso rischia anche di essere investita dal potere della sua retorica. Freud era convinto che attraverso la letterarietà le sue teorie potessero passare anche in modo più digeribile e apprezzabile. Il Freud privato è molto conservatore in fatto di gusti artistici, ha gusti molto ottocenteschi, si definisce uno “zuccone” in ambito artistico. Era appassionatissimo di archeologia, ebbe anche una collezione molto vasta e pregevole. Similitudine tra lo scavo archeologico e la psicoanalisi. Presente = conscio, passato = inconscio. Vive nel momento in cui l’archeologia diventa scienza, viene scoperta Troia. 16.02.2024 Il secondo saggio di Gombrich va ancora più nel dettaglio rispetto alla vulgata psicoanalitica, Psiconoanalisi della storia dell’arte pubblicato su una rivista di psicoanalisi nonostante l’attacchi. È sempre esistita una determinante artistica, una predisposizione propria dell’artista, e Gombrich ci chiede se ce ne deve importare davvero tanto di questo. Dice che la psicoanalisi non può essere che un gioco di spirito, è poi tanto importante sapere che significato abbia avuto l’opera per l’artista? Bisognerebbe sapere perché quello è l’unico significato vero? Dubito che si tratti di un’opera analitica valida. La cosiddetta Colomba della pace di Picasso del 1950 si disse subito che era una colomba esattamente come quelle della sua infanzia a Malaga. È noto che il padre di Picasso era noto per le rappresentazioni di piccioni. La colomba non è un animale così mite come si dice, perché ha avuto questo successo simbolico? [LEZIONE MANCANTE] 20.02.2024 […] Arnheim dice che il simbolo è la rivelazione della realtà, come diceva Gombrich, per rendere chiaro e sintetico qualcosa, non più oscuro, non sono espedienti per camuffare il contenuto dell’immagine ma per darne un effetto tangibile. Che cos’è dunque un’opera d’arte per Anrheim, chiede la Pizzorusso? Accettiamo per forza quello che ci dice un critico d’arte? Arnheim dice che per lui il problema non si pone, l’arte non è un criterio per separare certi oggetti da altri, è una qualità presente in qualsiasi oggetto artificiale o artificiale perché hanno in sé una certa dinamica espressiva, ed è solo questa che distingue la qualità artistica da altre qualità. Rinfreschiamo il nostro modo di guardare la realtà e forse capiamo le dinamiche sottese all’opera d’arte. Libro di Arnheim: 1. Equilibrio (balance) Parte da un quadrato. Ritagliamo un disco nero e mettiamolo su un quadrato bianco come indicato n figura e poi muoviamolo un pochino. Abbiamo a che fare con un unicuum che è il campo visivo: vedere qualcosa è “assegnarli un posto nel tutto”. Questo cerchio a noi sembra un po' inquieto. Ciò che noi percepiamo ha a che fare con delle tensioni come se al centro di questo quadrato ci fosse una forza invisibile, un’induzione percettiva, un tipo di tensione che comprendiamo spontaneamente grazie alla configurazione dei pattern. Cosa significa che un cerchio in un quadrato può dar vita a un percetto che ci evoca inquietudine, a cosa è dovuto? Arnheim dice che un quadrato ha uno scheletro strutturale: c’è una sorta di “complesso stimolante” a seconda di dove il cerchio si pone, fatto di diagonali e orizzontali che ci trasmettono quiete, e delle posizioni di totale ambiguità. Gli artisti queste cose le sanno e ne fanno tesoro, possono scegliere punti di inquietudine ma lo fanno magari proprio per creare inquietudine. L’equilibrio non richiede per forza la simmetria, è qualcosa di vivo e carico di tensione. In una composizione tutto deve avere un carattere di necessità, essere lì per una ragione strutturale, se non è così una composizione sbilanciata può dare una sensazione di disturbo. Fa l’esempio di un dipinto in cui San Michele pesa le anime: da una parte un’animuccia sola che prega e dall’altra quattro diavoli e due macine da mulino che però pesano meno della preghiera. Sotto il piatto dell’anima santa c’è una macchia scura che attrae il nostro occhio. La macchia verde crea un peso che fa concordare l’aspetto esteriore della scena con il suo significato. Parla di profondità spaziale con la Colazione sull’erba di Manet e la figura femminile in terzo piano che ha un peso considerevole sulla scena per il fatto di essere centrale e straordinariamente grande nonostante sia in fondo. La Camera da letto di Vincent ad Arles: i colori chiari hanno un peso maggiore rispetto a quelli scuri, e il rosso soprattutto. Siamo anche portati ad associare ciò che sta in basso con il più pesante. Anche se arti novecentesche come la danza contemporanea hanno provato ad opporsi giocando con il peso del corpo, invece della danza ottocentesca che negava la gravità. Le figure sono solide ed elementari, statiche, sembrano degli idoli. Non c’è nulla di meno realistico di una rappresentazione così distorta come questa, che pure imita un’idea percettiva realistica. Dice che è indubbio che la soluzione più fedele ed efficace per rappresentare un quadrato sia disegnare un quadrato, e invece noi siamo abituati a vederlo diversamente. Il giudizio di Paride (da Pompei), I sec. D. C. Sorta di gara di bellezza tra dee in cui vince Afrodite. Vediamo altre opere sullo stesso tema ma realizzate in epoche diverse. Se vogliamo che sia un concorso serio dobbiamo far sì che le tre dee debbano avere uguali possibilità di vincere, quindi poste simmetricamente di fronte al loro giudice. È necessario che noi ci estendiamo nella terza dimensione, cerchiamo delle soluzioni per dare l’idea di una sovrapposizione dei corpi delle dee. Noi viviamo in uno spazio intermedio, una dimensione intermedia rispetto alla costanza della forma: il modo più mimeticamente esatto per rappresentare un quadrato è un quadrato, ma noi raramente rappresentiamo le cose in questo modo a meno che non siamo dei disegnatori tecnici. Noi ci muoviamo tra il 100% della costanza della forma a forme sempre più schiacciate, che ci farebbero vedere una scacchiera come una riga. Da Roy Underwood (100%) alla piramide prospettica di Masolino. Picasso, L’Ecolière, 1919. Non ci sorprende più vedere una scolaretta rappresentata in questo modo, la riconosciamo e ne riconosciamo l’efficacia di rappresentazione. Possiamo vedere anche dipinti notissimi in questa maniera: Ingres, La sorgente, 1856. Noi sappiamo che nella casa del primo proprietario di questo dipinto era circondato da grandi piante e fiori acquatici. Arnheim ci dice che la posizione è del tutto innaturale, sia delle braccia che della testa. È un’opera figurativa che non ci trasmette una sensazione di naturalezza. Rinfrescare il nostro modo di vedere significa anche capire quali sono gli elementi costitutivi di questa rappresentazione che lui vede come una femminilità trattenuta. L’opera funzione proprio per l’ambiguità di una forma di un corpo apparentemente organico e per lo schema visivo che l’artista ha inventato per la sua rappresentazione. L’artista ha fuso questi accorgimenti in un complesso di grandissima semplicità e per questo l’opera resta così tanto affascinante. Lettura delle opere di tipo strettamente formale. Ogni riproduzione è una reinterpretazione di sguardo, noi scegliamo che cosa rappresentare affinché l’effetto sia il massimo possibile. 3. Sviluppo (growth) L’arte dei bambini, per anni avvicinata all’arte dei “Popoli primitivi”, e contesta che alcuni indichino lo scarso controllo motorio del corpo dei bambini come unica ragione di queste rappresentazioni. I disegni dei bambini soddisfano termini di condizione rappresentativa propri, e quindi ne è soddisfatto. Arnheim distingue il percetto dal modo in cui viene raffigurato. Lui parla di un concetto che si chiama il “Cerchio primordiale”, che ha da molti secoli un grande ruolo, una grande riconoscibilità, la forma più semplice offerta dal medium grafico o pittorico perché è simmetrico in tutte le direzioni. 26.02.2024 Quello che Arnheim ci vuole dire è che non è proprio così: l’incompleto controllo del movimento è tipico dei primi anni di disegno, tipico del movimento circolare del polso. Vuole sfatare anche che i bambini replichino degli schemi della realtà. Arnheim ci dice che il modo di rappresentazione del bambino non è schematico, non più di un dipinto di Rubens, cambia la differenziazione. I bambini disegnano ciò che vedono, e la loro percezione non parte dai particolari ma dal globale. Quando un bambino rappresenta qualche cosa, lo fa con soddisfazione (e regala i disegni) perché lo schema che crea soddisfa il bambino stesso e risponde a tutte le esigenze del suo ingegno. Il bambino vede la rotondità, e solo quando la rotondità prodotta dal bambino ha, grazie allo sviluppo di capacità grafiche e differenziazione, torna a rappresentare qualcosa di veramente rotondo. Il cerchio è un movimento descrittivo, e sgorbio dopo sgorbio vedono emergere delle forme organizzate -> il cerchio primordiale che Arnheim trova anche in altre forme della cultura non legate all’infanzia. Cerchio = “cosità”, le cose, la roba. Quel cerchio unico è un essere umano nel suo complesso, a cui si aggiungono gli elementi nel suo complesso. Evoluzione del cerchio primordiale; come si differenzia? Tramite due modalità: - Contenimento: altri cerchi che contengono e delimitano altre figure. - Raggiatura: aggiunta di tratti ai cerchi. La differenziazione ha due leggi: 1. Ogni forma resta indifferenziata fin tanto che lo permetta l’idea che il disegnatore ha dell’oggetto a cui mira. 2. Finché una caratteristica visiva non è ancora differenziata, l’intera gamma delle sue potenzialità non viene rappresentata. Il significato di una rappresentazione visiva dipende dalle alternative che il disegnatore ha a disposizione: un cerchio è un cerchio quando un disegnatore conosce e riconosce e sa realizzare un triangolo, un quadrato, etc. Arnheim ci ricorda anche che la linea semplice è per il bambino una grande conquista: retta, verticale, orizzontale. Tracciare una linea retta non è facile (“non riesco ad andare dritto”). Delacroix diceva che la linea retta esiste solo nel cervello dell’uomo e la natura, dove la vede, la corrode. Il pattern verticale/orizzontale fa venire in mente immagini del modernismo: Broadway Boogie-woogie di Mondrian. Stefano Bartezzaghi ha pubblicato un libro che si chiama L’orizzonte verticale. Invenzione e storia del cruciverba, in cui a partire da alcune affermazioni che si trovano nei testi di Rosalind E. Krauss sottolinea come la forma a griglia sia tipicamente novecentesca, anche nella costruzione delle grandi città moderne, e come il modello a griglia attraversa tutto il Novecento. Bartezzaghi dice che la linea retta che attraversa un’altra linea retta è l’emblema del modernismo novecentesco, è ciò a cui l’arte assomiglia quando volta le spalle alla natura. Dopo la linea retta orizzontale e verticale il bambino conquista la linea obliqua, un arricchimento che il bambino percepisce come una deviazione di quel modello orizzontale/verticale e come qualcosa in grado di dare dinamismo alla sua figura. Una volta esplorato a sufficienza lo spazio delle linee verticali e orizzontale può arrivare alla linea obliqua, ma Arnheim dice che non è consigliabile insegnare al bambino linee più complesse perché potrebbe disturbare il suo sviluppo cognitivo. La conquista dell’obliquità anche da adulti non la sentiamo sempre naturale: pensiamo all’arredamento delle nostre case. Fa l’esempio di due tavoli commercializzati nei suoi anni e che avevano angoli di 90° ma anche 120°, avrebbero dovuto dare la possibilità a chi siede di avere posizioni più varie. Si sono negli anni successivi sviluppati nei cluster, le scrivanie a grappolo oggi diffusissimi negli uffici. Arnheim si sofferma anche sulle dimensioni: case grandi quanto la mamma, e sappiamo che lo fanno così. Anche qui, dal punto di vista dello sviluppo le dimensioni restano uguali finché non sono differenziate, finchè non c’è una buona ragione per rappresentare due cose a cui diamo la stessa importanza in dimensioni diverse. Aesopus moralisatus, xilografia veneziano di fine Quattrocento, Manfredus de Monferrato (Bonellis). La favola è quella del corvo e la volpe. Nella fiaba di Esopo volpe e corvo hanno uguale peso, uguale importanza; dunque, sono in una condizione non gerarchica nella storia. Questo tipo di rappresentazione l’abbiamo perso con la prospettiva, che deforma le cose ma ci fa sembrare che siano mimeticamente corrette. Giotto, Cacciata di Gioacchino dal tempio, 1304-1305, cappella Scrovegni. Poi passa ad un altro tema: la rappresentazione dello spazio. Nei disegni di bambini è neutro, grado zero della raffigurazione figura-sfondo. Per far capire il modo di rappresentare lo spazio da parte dei bambini, Arnheim cita un libro che è un super 27.02.2024 Con le neuroscienze siamo ad un livello molto accentuato di interdisciplinarità, come è la stessa psicologia dell’arte. Il problema è che spesso queste due discipline spesso si affiancano ma senza “arrendersi”, per questo funzionano i libri scritti da studiosi insieme uno dell’una e uno dell’altra disciplina. Bisogna avere un modulo o un modello per capire come funziona questo cervello estetico. Bisogna non diluire le proprie discipline. Far dialogare le due culture è estremamente difficile. Kandel ha vinto il Nobel per gli studi su come il cervello usa la memoria. Ha studiato la lumachina, aveva provato con le scimmie ma era troppo complesso. C’è un gene specifico che porta alla crescita di connessioni tra i neuroni nel nostro cervello: questo si pone alla base dal punto di vista fisiologico dell’apprendimento -> nuove connessioni tra i neuroni. Il nostro cervello si modifica anche attraverso le esperienze che facciamo nella vita. Questa modificazione della nostra architettura del cervello costituisce la base dell’espressione dell’individualità. Divide i processi del cervello tra: - Bottom up: dal basso verso l’alto, sono le elaborazioni che hanno a che fare con l’evoluzione dei circuiti del cervello e sono presenti fin dalla nascita (riconoscere i volti in quanto volti). - Top down: si basano su funzioni mentali e cognitive superiori (memoria, attenzioni, aspettative, etc) e cambiano a seconda delle esperienze che facciamo nella nostra vita. È il risultato delle nostre esperienze. Per apprezzare l’arte astratta il nostro cervello si basa su processi top down, ovvero basati sulla memoria e l’apprendimento, etc. l’arte astratta è in grado di sovvertire regole innate del nostro cervello (bottom up) e di attivare maggiormente il nostro cervello. L’arte astratta stimola la nostra immaginazione e ci costringe ad una percezione più immaginativa che scaturisce un processo virtuoso di meccanismi top down. Quando osserviamo un’opera d’arte astratta è come se ci venisse in mente l’esperienza che abbiamo già fatto nella nostra vita, persone, ambienti, paesaggi. Jackson Pollock, Senza titolo, 1950 Le sue composizioni sono prive di un motivo centrale, dice Kandel, e questo fa sì che i nostri si muovano nella tela alla ricerca di un equilibrio, una centralità -> idea di iperazione. Per questo percepiamo l’action-painting anche come fruitori: vediamo come Pollock ha steso i colori. Mark Rothko, N. 13, 1958 Kandel dice che sono stati i cubisti a liberare definitivamente la forma, ma sono stati i fauves a liberale il colore, e c’è una linea che arriva fino a momenti di astrazione del colore come fa Rothko. Dan Flavin, la diagonale del 25 maggio 1963 / James Turrell, Ganzfeld-> opere che hanno a che fare con la luce, campi di stimolazione uniforme non strutturati che creano una dimensione potenzialmente allucinogena. Parla anche di Mondrian e di come il nostro occhio sia indotto a muoversi e trovare punti di quiete. Ciò che è culturale è un costrutto sociale e ha poco a che vedere con la struttura del cervello, ma Kandel dice che il cervello è una cosa plastica determinata dalle nostre esperienze. Lo schermo empatico è un libro a quattro mani in cui si capisce bene chi ha scritto cosa. La parte di Gallese è molto approcciabile e c’è anche un glossario a fine libro per tenere a mente le teorie neuroscientifiche di cui parla. Partono da una serie di studi fatti sulla relazione tra cinema e corporeità. Il cinema fin dall’inizio è stato messo in relazione con il sogno. Edwin S. Porter, Dream of the Rarebit Fiend (1906) La psicoanalisi è entrata a gamba tesa nel cinema. Gabbard e Gabbard, Cinema e psichiatria: come la psi* + messa in scena nel cinema hollywoodiano classico. È sballato definirlo psichiatria. In Spellbound c’è una piccola introduzione di cos’è la psicoanalisi, essendo il tema del film.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved