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Appunti del libro Estetica mediale. Da Jean Baudrillard a Derrick de Kerckhove (Guerini), Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto del libro "Estetica mediale. Da Jean Baudrillard a Derrick de Kerckhove" dell'Accademia Albertina di Torino

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 26/06/2022

andrea-armano
andrea-armano 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti del libro Estetica mediale. Da Jean Baudrillard a Derrick de Kerckhove (Guerini) e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! LIBRO “ESTETICA MEDIALE”
 Capitolo primo 1. L’oscenità del “troppo visibile” Jean Baudrillard, fin dai primi suoi scritti dichiara l’estinzione del reale, privilegia il “simbolico” che per lui è un atto di scambio e un rapporto sociale che mette fine al reale. Si preferisce operare con un materiale già codificato, di “seconda mano”, il sociologo accenna al fatto che questa fine del reale genera la nascita di un “iperreale”, cioè il reale riprodotto. In “Della seduzione” (1979) la seduzione prende il posto dello scambio simbolico, è complice del segreto, ciò che non può essere espresso, è qualcosa che sfugge al reale. Ne “L’altro visto da sé” scriverà che la nostra epoca è caratterizzata dalla prossimità istantanea delle cose e dalla trasparenza del mondo per eccessiva visibilità. Con le più recenti performance tecnologiche si è raggiunto un tale grado di realtà e di oggettività da poter parlare di un “eccesso di realtà” che rende gli interlocutori ansiosi della mancanza di realtà. In questa “ultrarealtà”, dove tutto è più visibile del visibile, il comportamento delle persone è la fascinazione, cioè uno sguardo senza immaginazione. 2. Riflessioni intorno alle arti visive La corrente artistica dell’iperrealismo (Stati Uniti, fine anni Sessanta) si contraddistingueva per l’uso di un’ottica distaccata e oggettiva nella realizzazione di immagini bidimensionali e tridimensionali della realtà. Baudrillard afferma che l’opera si è liberata “da ogni significato naturale per assumere un’intensità spettrale”, a tal proposito il sociologo cita l’artista Andy Warhol la cui opera è un “puro prodotto visivo”, l’artista utilizzava il riporto fotografico di immagini ripetute in serie. Le sue icone diventano per il filosofo il punto di partenza della sua teoria sulla trasparenza del reale nell’arte moderna. Arriverà ad intitolare un suo saggio “La sparizione dell’arte” poiché l’opera d’arte sfugge a ogni discorso critico nel suo offrirsi in modo “trasparente”, e la sua trasparenza fa decadere la pratica della seduzione che prevede la partecipazione di due persone: l’autore e lo spettatore. Nello stesso testo, ci rivela il “segreto” dell’arte per conservare “viva” la sparizione, si tratta di un “doppia sollecitazione”. È necessario che ogni immagine sottragga qualcosa al reale ma senza cadere in tentazione dell’annientamento. Secondo Baudrillard le tecnologie del virtuale (reality show) hanno un antenato nel ready-made. Qualsiasi oggetti, individuo o evento può tradursi in una “iperrealtà” attraverso i media (come lo scolabottiglie di Marcel Duchamp). Oggi l’arte, per il sociologo, è il risultato di una confusione paradossale tra il reale e l’arte. 3. Transestetica “La sparizione dell’arte” è un testo dedicato alle arti visive del XX secolo, il filosofo avvia una riflessione sulla condizione dell’arte moderna e prende come referenti Charles Baudelaire, Walter Benjamin, Mashall McLuhan e Andy Warhol. Il suo interesse è sul destino dell’arte, non la storia, e intende dimostrare come alla grande quantità di cultura prodotta corrisponde la sparizione dell’arte. In questa analisi l’autore vede una linea tra Baudelaire e Warhol sul concetto di “merce assoluta”, il sociologo apprezza l’intuizione di Baudelaire sullo scadimento dello statuto tradizionale in cui si necessitava “fare dell’opera d’arte una merce assoluta”. Nella seconda parte del libro, l’autore descrive il transestetico, che è una “forma trasparente e mediatica, da cui l’arte è scomparsa” e secondo lui siamo circondati dall’atre, i suoi prodotti ci circondano, ma il suo “genio”, la sua “potenza di illusione” non esistono più. Nella parte conclusiva del testo, l’autore propone di considerare l’arte contemporanea “un insieme rituale a uso rituale”, in cui si svolge una funzione antropologica, senza riferimenti a un giudizio estetico. 4. Nuove tecnologie e imperfezioni È ne “Il sistema degli oggetti” che Baudrillard ipotizza che in un futuro ormai prossimo il progresso tecnologico potrà arrivare a sostituire al mondo naturale e reale un universo artificiale. Lo stesso essere umano, con i suoi umori e le sue emozioni, è diventato un “sporco virus irrazionale” che disturba la perfezione tecnologica. Nella realtà virtuale si ha un ambiente artistico in cui il soggetto “non fa i conti con una vera alterità”, il virtuale determina poi la distribuzione dell’illusione, nel virtuale tutto sarebbe immanente, presente, senza difetti, con la realtà virtuale le immagini non sono più lo specchio della realtà. È critico anche nei confronti del tempo reale che elimina la “suspence” che costituisce il ritmo temporale dello scambio. Secondo l’autore, più ci si avvicina ad una definizione perfetta e inutile, più si perde la potenza dell’illusione ma, per lui, si differenzia da questo discorso la fotografia che non è un’immagine in tempo reale. Essa mantiene il momento del negativo, quella sfasatura che permette all’immagine di esistere, prima che il mondo o l’oggetto scompaiano nell’immagine. Pagina 1 5. Estetica della disillusione Il sociologo ha sempre avuto una posizione fortemente polemica verso i mass media e le nuove tecnologie, che considera una sorta di “delitto perfetto”, secondo lui, bisogna rivalutare il significato e le potenzialità dell’illusione, la quale è il modo in cui le cose si danno per quello che sono. Effetti speciali e virtuosissimi stanno rovinando anche l’illusione cinematografica, secondo l’autore “il cinema attuale non conosce più né l’illusione, né l’allusione”. Il sociologo afferma che non siamo più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, secondo lui, tutti gli artefatti moderni sono i “nuovi oggetti al di là dell’estetica, transestetici, senza significato, senza illusione, senza valore”. Anche nelle più recenti esperienze dell’arte contemporanea si percepisce un’estetica della disillusione, le molteplici forme dell’astrazione contemporanea non hanno più un “mordente” originale, ma delineano il campo indifferenziato, riproponendo in diverse versioni la banalità delle immagini. Egli dichiara che le opere d’arte contemporanee tramandano la superstizione dell’arte in tutti i suoi aspetti, ma non derivano più da una natura sublime dell’arte e svolgono solamente una funzione antropologica. Capitolo secondo 1. Brainframes Derrick de Kerckhove studia le interazioni tra la tecnologia, la mente e il corpo, con ricerche sperimentali sul rapporto tra il cervello e i nuovi mass media. In “Brainframes” l’autore descrive come le nuove tecnologie hanno trasformato il nostro modo di ragionare e la struttura del nostro cervello, il nostro cervello raccoglie solo le informazioni utili ad avviare il suo processo di elaborazione. Cos’è un “brainframe”? Indica l’idea che le tecnologie di elaborazione di informazione “incorniciano" il nostro cervello in una struttura e ciascuna di esse lo sfida a fornire un modello diverso ma egualmente efficace. Una delle primi “cornici” è stato l’alfabeto, e un’altra è stata la prospettiva, la quale non mostra lo spazio reale ma quello sviluppato da una visione condizionata e selettiva. Oggi è la cornice del medium a imporsi, la televisione e il computer sono incorniciati dallo schermo video quindi la nostra visione è condizionata dallo schermo. Ciò che ci contraddistingue dalle generazioni precedenti è che le tecnologie video sono collegate non solo al cervello ma anche al nostro sistema nervoso e ai nostri sensi, dopo una serie di sperimenti, la televisione parla al corpo e non alla mente. 2. Realtà virtuale Secondo de Kerckhove, la tecnologia elettro-tattile è stata la prima psico-tecnologia che ci ha strappati dal brainframe alfabetico. In una simulazione tattile la partecipazione del senso epidermico sposta la priorità percettiva dallo sguardo al corpo intero. La realtà virtuale ci permette di raccogliere l’informazione nello stesso modo in cui la accumula la mente. Secondo lo studioso la realtà virtuale rieduca l’individuo al principio di organizzazione ambientale, questa nuova predisposizione conoscitiva rivaluta la modalità sensoriale del tatto. In “Brainframes” l’autore riporta una dichiarazione di Marshall McLuhan che spiega come il tatto non è semplicemente la pelle ma è anche l’interagire dei sensi. Oggi, secondo lo studioso, per capire la relazione tra il corpo e l’ambiente bisogna parlare di “punto d’essere”, il riferimento fondamentale non è più il punto di vista ma il punto di propriocezione, cioè le informazioni raccolte dai nostri muscoli che ci permettono di identificare, per esempio, la nostra posizione in uno spazio. Mediante l’interattività, la multimedialità, la possibilità di interagire in tempo reale con la rappresentazione, il corpo articolato torna oggi ad essere al centro dell’attenzione. Le tecniche per attuare l’interazione tra l’uomo e l’universo dell’informazione digitalizzata si chiamano interfacce e la realtà virtuale ne è tra le più recenti, il suo obiettivo è la simulazione di ambienti e oggetti che risultano indistinguibili dalle esperienze reali e capaci di modificarsi a seconda del movimento del visitatore. La specificità del virtuale presenta tre caratteristiche: i mondi virtuali (creati dal computer), le interfacce e il ruolo implicito dell’utente. 3. Era della profondità Secondo de Kerckhove, un nuovo senso di trasparenza e di istantaneità si è diffuso nel mondo grazie alla moltiplicazione e alla diffusione delle comunicazione. La rete riesce a far convivere l’individuo e la massa, cosi l’autore si interessa al “cyborg” o “organismi cibernetico”, il quale è un’espressione metaforica per indicare l’interazione uomo-macchina, esso produce un cambiamento interno, mentale, della persona singola, per cui il pensiero personale si ritrova connesso al pensiero di altri. Lo studioso definisce le tecnologie come delle “estensioni” dei sensi umani, le innovazioni a base interattiva permettono un ampliamento del nostro modo di conoscere senso-motorio, esse rendono la percezione Pagina 2 4. Nuovi alfabeti percettivi Le nuove tecnologie stanno sviluppando dei nuovi alfabeti percettivi come, ad esempio, la dissociazione sensoriale. La nostra epoca impone un profondo cambiamento percettivo che coinvolge la nostra sensibilità in una dimensione che spesso la snatura. Secondo Studio Azzurro le tecnologie portano ad una dissociazione sensoriale, i nostri sensi del tatto e della vista operano tra il mondo naturale e quello artificiale. La plurisensorialità evocata da Studio Azzurro si avvicina al discorso sulla tattilità di de Kerckhove, il quale si concentra sul tatto poiché è molto importante, la realtà visibile possiede anche una sua tangibilità che è ciò che la contraddistingue da altre realtà. Una video-installazione esemplare è “Coro” di Studio Azzurro, qui i piedi die visitatori calpestano una figura, che reagisce con un movimento e una nuova espressione. Il gruppo concepisce i “video-ambienti” come luoghi dove vi è sempre un’intensa partecipazione anche fisica, non solo virtuale. Fabrizio Plessi è un’artista in bilico tra apparenza e realtà, la sua ricerca si muove sui temi della realtà e dell’illusione, del reale e della finzione. Una sua importante video-installazione è “Watermind IV”, dove un ventilatore sembra agitare l’acqua degli schermi, quando però ci si accorge che gli effetti del vento non possono interferire sull’acqua in quanto immaginaria, l’opera lascia all’immaginazione dello spettatore colmare quella distanza tra realtà e apparenza, le sue opere sembrano rincorrere l’illusione. 5. Immaterialità e corporeità La riscoperta del corpo come carne sembra essere stata una delle risposte degli artisti alla diffusa immaterialità tecnologica, definizioni come “post-human” hanno dato nome a correnti espressive in cui il copro (dipinto o fotografato ma allo stesso tempo trasformato) è stato il protagonista. Post Human è il titolo di una delle mostre più visitate in Italia presso gli spazi del Castello di Rivoli nel 1992, il curatore, Jeffrey Deicth, è stato tra i primi ad interessarsi del “nuovo corpo” in relazione ai nuovi fenomeni di trasformazione e manipolazione. Anche la letteratura “pulp” ha veicolato l’attenzione sul corpo, la sua carnalità, si pensi a Tiziano Scarpa e al suo nuovo modo di raccontare le cose in libri come “Occhi sulla graticola”, dove il corpo è come un luogo di contatto immediato, di protezione del nostro rapporto col mondo. La diffusa immaterialità dell’espressione tecnologica ha sviluppato un desiderio di corporeità, di concretezza. La ricerca di Fabrizio Plessi si centra sulla relazione fra l’immaterialità dell’immagine elettronica e la gravità e la concretezza dell’oggetto quotidiano. Le informazioni non possono essere solo elettroniche ma necessitano di una materializzazione in un oggetto, le arti tecnologiche sono molto legate all’oggetto, si pensi alle installazioni di Studio Azzurro dove la fisicità degli ambienti e degli oggetti è sempre tenuta in grande considerazione durante lo svolgimento delle loro realizzazioni. Apparati e interviste Botto & Bruno In coppia dal 1992, fotografano le periferie metropolitane, creano un paesaggio irreale in cui appaiono persone e oggetti, si notano le piccole variazioni prodotte dal gioco a incastri fra i diversi elementi. Le foto sono montate e ritoccate manualmente e vengono installate su pareti, diventando dei “wallpaper” e creando degli ambienti dove lo spettatore si trova al centro della scena. Intervista Nelle nostre installazioni siamo analogici, non usiamo la tecnologia per cui tutti i ritocchi che facciamo sono fatti a mano simulando la tecnica del photoshop. Quando poi si realizzano i grandi progetti installativi, allora si utilizza il digitale, quindi vi è molta artigianalità nella prima parte e un aiuto della tecnologia nella seconda. Il ritocco al computer fa realizzare solo certe cose, mentre utilizzando le proprie capacità c’è più originalità, preferiscono lavorare sull’immagine stampata in modo da sapere qual’è il colore stesso, il computer lo usano poi per la realizzazione del video. Quando si entra in queste installazioni all’inizio hai la sensazione di avere una visione realistica dei luoghi e poi scopri che non sono reali, quindi il visitatore entra dentro l’ambiente realizzato perché spesso appiano dei frammenti legati alla memoria, come giocattoli, testi musicali e dischi. Si è notato che le persone più giovani leggono il lavoro con meno difficoltà perché non hanno le barriere di quelle più anziane. Entrano in una loro stanza hai la sensazione, senza collegarti ad Internet, di entrare in un altro mondo. É importante che l’opera scompaia, nel momento in cui si distrugge un lavoro hai voglia di crearne un altro, l’arte deve entrare sempre più nel reale non per rappresentarlo ma per moltiplicare le possibilità di lettura, le quali cercano di sintetizzare la miriade di informazioni e di immagini che si hanno nella testa. Pagina 5 Alba D’Urbano Nata nel 1955 a Roma, nella sua ricerca combina forme tradizionali di rappresentazione, con l’uso di nuove tecnologie (installazioni, fotografie, video, performance), le sue immagini sono reali e virtuali ed è interessata soprattutto alla relazione che esiste tra il corpo, la sua immagine esterna e la tecnologia. Sviluppa progetti nel tempo articolandoli in diverse fasi ed eventi, come “Pelle d’artista”(Hautnah) in cui ha digitalizzato le immagini del suo corpo e le ha elaborate facendole divenire dei cartamodelli per il confezionamento di un vestito. Un ulteriore sviluppo della ricerca è stato “Il sarto immortale”, con l’ideazione e la realizzazione di altri abiti e la loro esposizione attraverso eventi, performance, cartelloni in spazi museali e urbani. Intervista La scelta di lavorare con media diversi è stata un crescere nel “mezzo” nel corso del tempo. Nell’arte mediale si ritrova l’aspirazione a ricostruire un ponte tra arte e scienza. Il prodotto artistico finale è il risultato di un processo, di una sintesi tra l’idea dell’artista e le proprietà della materia. Segni e immagini sono mezzi di trasporto che muovono contenuti attraverso le coordinate spazio-temporali senza cambiarli, essi formano una specie di memoria aggiuntiva che entra in correlazione con la nostra memoria “naturale”. Il progetto “Hautnah” ha posto l’accento sull’involucro esterno del corpo: la pelle, che filtra e regola l’intera rete di rapporti e di scambi con il mondo esterno. È stato realizzato un abito con l’immagine bidimensionale esterna del copro dell’artista, che offrisse ad altri la possibilità di indossare la sua “pelle” , l’opera è un omaggio al corpo che nell’epoca dell’informazione viene dimenticato. Il progetto “L’origine” tematizzava il rapporto tra immagine, scrittura e simulazione in relazione alla rappresentazione di un ambiente architettonico. Il punto di partenza era la galleria stessa, lo spazio espositivo è stato ripreso fotograficamente, poi le foto sono state trasformate al computer in forma di codice, stampate e applicate alle pareti. Fabrizio Plessi Nato nel 1940 a Reggio Emilia, l’acqua è uno dei temi principali della ricerca di Fabrizio Plessi attraverso le installazioni, le performance, i videotape e i film. Dal 1982 ha realizzato delle strutture tridimensionali che sfruttano le possibilità del video, è riuscito ad unire due elementi antitetici come l’acqua e il video che rappresentano il primitivo, l’originario e l’attualità, il dinamismo. Un altro elemento centrale è il fuoco che si intreccia a elementi antichi come la pietra, il legno e il marmo. Con l’esposizione “Water/Fire” mostrava vampate di fuoco e cascate d’acqua, simulate attraverso LED luminosi che riempivano le finestre del museo, la relazione illusionistica fra rappresentazione e realtà si amplifica come le tecnologie della riproduzione meccanica ed elettronica. Intervista L’installazione “Water Wind” presenta un cumulo naturale di paglia in cui si trova un monitor che riproduce un piccolo lago azzurro, vi è una grande macchina del vento, amplificata con microfoni a contatto che muove, con un vento reale, l’acqua elettronica del video lago, un elemento naturale modifica l’immagine artificiale Lavora su due elementi costanti: l’acqua e il video, apparentemente non esiste fra di loro nessun rapporto, ma è solo apparenza, poiché se la superficie dell’acqua è blu anche lo schermo del video lo è, l’acqua è mobile e fluida cosi come lo è il video, inoltre sono entrambi vettori. Studio Azzurro È un gruppo di ricerca artistica, nel campo della video-ambientazione, formato da Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi. La loro ricerca si è estesa, poi, al teatro musicale e alla produzione televisiva attraverso diverse collaborazioni, attualmente il gruppo ha impostato la propria ricerca sull’interattività attuando una serie di “ambienti sensibilI”. Intervista a Paolo Rosa Si parla di un tentativo di mettere in relazione sensibilità diverse, perché esse si intrecciano in una continua oscillazione tra reale e virtuale, come per esempio nell’installazione “Tavoli”, dove il senso del tatto è in evidenzia poiché il dispositivo interattivo si aziona toccando le immagini che reagiscono e si muovono, ci si confronta con un’esperienza fisica (toccare i tavoli di legno) ma allo stesso tempo si ha la sensazione di Pagina 6 toccare un corpo di una donna. Avviene un meccanismo di estraniazione perché, toccando un pezzo di legno, credi di toccare qualcos’altro. Sono stati concepiti i loro video-ambienti prima e gli ambienti sensibili dopo, cioè spazi in cui c’è una forte partecipazione anche fisica e non solo virtuale. Sono spazi dove si sente la presenza della storia, dove lo spettatore deve percepire il peso del suo corpo e esso deve essere un’entità partecipe. Pagina 7
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