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Il ritratto nella pittura occidentale: teorie e pratiche, Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Una panoramica storica del ritratto nella pittura occidentale, partendo da petrarca e arrivando fino a andré felibien. Vengono esaminate le teorie del ritratto, i suoi tipi, le sue funzioni e le opinioni degli artisti e critici d'arte sul suo valore. Il documento illustra come il ritratto sia stato utilizzato per fini pratici, come identificare la figura ritratta, e come sia diventato un simbolo di una presenza quasi reale. Vengono inoltre esaminate le critiche religiose e morali che sono state rivolte al ritratto e come il mito cristiano abbia avuto un ruolo importante nella storia del ritratto.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 03/03/2024

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Scarica Il ritratto nella pittura occidentale: teorie e pratiche e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! APPUNTI SU POMMIER Lezione 1 - 21 febbraio 2024 Il ritratto della letteratura artistica: la percezione dei contemporanei Pommier è stato un docente all’Ecole du Louvre che si è specializzato nell’analisi della letteratura artistica europea interrogandola in diverse chiavi di lettura. Il suo motore di ricerca è stato quello relativo alla ritrattistica. Attua uno spoglio della produzione della letteratura artistica italiana e europea dal 1400 in avanti per far emergere la percezione nei confronti della ritrattistica. Quando si parla di ritrattistica è pieno in ogni dove, sia nelle fonti che nelle lettere. Nelle fonti documentarie ci sono giudizi relativi a specifici casi di ritratto. Alcuni esempi che Pommier mette in atto: Galeazzo maria sforza nel 1476 (data giusta) scrive una lettera a marzo al suo agente di fiducia a venezia e gli chiede di procurarsi i servigi del pittore perché ha visto una ‘figura cavata dal naturale’ha visto un ritratto di antonello da messina come qualcosa di dirompente, anche se alla fine non verrà ritratto da Antonello. Nel 1544 pietro aretino scrive una lettera al bresciano alessandro moretto per ringraziarlo di un ritratto che ha realizzato e aretino dice “mi hai fatto un ritratto così somigliante a me stesso che non so più se la mia anima risiede in me o in quel ritratto”. Un allievo di alessandro moretto è stato giovanni battista moroni, grande ritrattista (mostra a milano). Pommier interroga le fonti storiografiche ma non solo: la poesia, la letteratura… Decide dunque di iniziare il suo percorso partendo da Francesco Petrarca (1304-74): che conosce molto bene i testi di Plinio il Vecchio (Naturalis Historia) e concorda nel considerare la pittura un’arte nobile, liberale, in modo molto precoce e innovativo. Tale pensiero non avrà immediata applicazione, perché in quel momento storico prevale il fatto che l’artista sia artigiano e pratichi un’arte meccanica. Sarà dalla fine del 1400 e in pieno 1500 che l’artista diventerà libero arteficie al pari della letteratura e della poesia. Petrarca apporta un cambiamento anche attraverso il culto degli uomini illustri e getta le basi per un ritratto somigliante. L’immagine ritratta è tanto forte quanto le parole. Petrarca si interessa alla pittura di ritratto soprattutto grazie a Simone Martini, di cui ha grande stima e di cui è coetaneo. Simone Martini viene paragonato ad Apelle. Alcuni sonetti del Canzoniere evocano il ritratto di Laura, probabilmente perduto ma restituito per via indiretta da un’immagine miniata in una versione del canzioniere, conservata presso la laurenziana di firenze (copia del ritratto perduto di simone martini nei confronti di laura). Petrarca ha fondato la teoria del ritratto e ha dato un primo input per parlare della teoria del ritratto occidentale. Simone Martini ha avuto il privilegio di contemplare l’immagine divina di Laura. L’immagine divina di Laura è infinitamente più bella della Laura terrena, le cui membra coprono l’anima. Si parla dunque per la prima volta di ritratto ideale che il pittore non avrebbe potuto concepire guardando la laura terrena. Petrarca parla di ‘pensiero sublime’/autoguida che ha guidato Simone Martini. E’ un’immagine che mostra ciò che è nascosto e che consola il poeta. Altri tipi di ritratto: tema del ritratto del vivo, esemplare e ideale. Leon Battista Alberti: scrive il De Pictura in latino e in volgare (1435 e 1436), è il grande teorizzatore della prospettiva. Questa teoria ha una divulgazione un po’ rallentata e diventa universale più di un secolo dopo con la prima edizione a stampa: 1550 in latino e 1547 in italiano. Alberti dedica il de pictura a brunelleschi e inaugura il genere nuovo della letteratura aristica. Alberti tratta della pittura ma non gli interessa il discorso di categoria. Il ritratto non viene ancora considerato come un genere pittorico. Alberti vuole insegnare agli artisti futuri i principi fondamentali, scoperti a Firenze vent’anni prima grazie a Brunelleschi e applicati da Donatello, Nanni di Banco, Masaccio. Nel de pictura alberti teorizza quanto gli sperimentatori degli anni ‘20 del 1400 a firenze hanno avviato, ossia portare nel dipinto il dato reale. Per alberti il ritratto è immagine dell’uomo e c’è una forza divina nella pittura. Il ritratto ha un valore memoriale ed è una sorta di trionfo sulla morte, concetto molto sentito. Il ritratto racchiude un potere di sopravvivenza. Alberti rivolge una preghiera ai pittori del futuro. Il pittore ha il potere di riuscire a immortalare il viso di una persona che è stata viva. Il concetto di ritratto così come descritto da Alberti viene colto dagli artisti come sperava. Il tema della pittura che sopravvive all’uomo è uno dei concetti che ritornano nel clima umanistico e alberti veicola ciò. Ci sono ritratti di pittori veneti che hanno un parapetto come diaframma di divisione e di spazio. Giorgione, Gentiluomo: sul parapetto simula di incidere una doppia “v”Vivens vivo (da vivente a vivo): dialogo tra il ritratto il fruitore. Si riassume attraverso la doppia “v” il dialogo tra vivo e vivo che permette un dialogo aldilà della morte tra defunto e vivo. Questo è un aspetto che alberti fa emergere e viene ben accolta soprattutto a venezia. Processo di imitazione e selezione per raggiungere il bello ideale: Alberti studia i testi antichi e ottiene da una parte una risposta pratica, per cui si può dire che la correzione dei difetti naturali (contrari al concetto di bellezza) deve mantenere comunque la verosimiglianza (Apelle dipinge di profilo Antigono perché aveva un problema a un occhio, così come Piero della Francesca col Duca di Montefeltro). Dall’altra parte Alberti utilizza l’esempio di Zeusi per avere una risposta teorica Zeusi derivata dall’aneddoto di Zeusi che fonda la propria superiorità sul fatto di migliorare la natura: zeusi confida solo nel suo talento e ricerca l’incarnazione della figura in una sorta di figura ideale. Lui convoca 10 fanciulle -le più belle dell’isola- e crea il ritratto ideale recuperando la parte più bella appartenente a casciuna delle fanciulle. Alberti, raccontando questo aneddoto, crea anche un limite, ossia racchiude il ritratto in una nicchia entro cui lo racchiudono anche gli storiografi del 1600. Con alberti nasce una costola di teoria del ritratto ideale che si chiude in una sorta di labirinto. Raffaello invia una lettera a Baldassare Castiglione verso il 1514, quando sta lavorando alla Farnesina e gli dice che era indeciso sul modello verso il quale ispirarsi per dipingere Galatea e, dopo un’allusione al mito di Zeusi, preferisce riferirisi a “certa idea che mi viene in mente”, ovvero la superiorità del pittore che può lavorare anche di invenzione (anche se l’invenzione comunque si basa su una selezione di ricordi che vengono uniti). E’ una bellezza che non ha particolarità ritrattistica bensì idealizzata. Lezione 2 – 22 febbraio 2024 Per Alberti è importante il potere realistico della pittura. Alberti teorizza la prospettiva brunelleschiana e dà conto delle innovazioni date da Donatello e Masaccio. Il dato importante è la ricerca del dato reale. C’è un’evoluzione rispetto al gotico internazionale. Forza divina che il pittore ha la capacità di fermare il dato realeil dipinto diventa simbolo di una presenza quasi reale che porta al concetto di ritratto memoriale. La perfezione morale corrisponde alla perfezione delle forme verso le quali la natura tendela somiglianza dev’essere corretta attraverso l’imitazione e la selezione. Alberti riprende i testi antichi e propone la correzione dei difetti contrari alla bellezza ma presenti comunque in natura. Vasari recupera una modalità ritrattistica attuata a firenze negli anni precedenti, come i ritratti di pontormo composti da ateliers. Il pittore che rielabora i tratti salienti del viso vengono rielaborati in atelier in cui si crea un’immagine non rispecchiante il reale. Ritratto iper-realista Nasceva dalla tradizione di galleria degli antenati attraverso calchi in cera degli antenati defunti, una sorta di maschere mortuarie che danno conto di una consuetudine particolarmente utilizzata a firenze. Vasari proietta su andrea verrocchio questa tradizione ma sappiamo che verrocchio non aveva portato avanti questa tradizione ma verrocchio realizzava una serie di busti commissionati dalla nobiltà fiorentina e che si trovavano sui camini delle dimore, ovvero ritratti di dameritrattista molto intima che ha le radicvi in questa cnsuetudine del ritratto cavato dalla maschera mortuaria. Funzioni del ritratto: significati del realismo La Poetica di Aristotele diventa nel 1500 un riferimento fondamentale per la letteratura italiana e per le teorie letterarie e artistiche. La Poetica delinea in parte cosa l’arte imiti e i modi di imitare. Si sottolinea che il dominio della poesia è quello dell’immaginario e quello della pittura è quello della realtà. La missione del pittore è quella di rappresentare il vero e il naturale. Il realismo del ritratto viene utilizzato per fini pratici, ovvero quando si vuole che la figura ritratta venga riconosciuta da tuttifigura identificativa del ritratto. Per dar conto del potere della pittura Armenini racconta un incidente nella vita del Sodoma, insultato da un soldato spagnolo di cui memorizza il viso e lo denuncia riproducendo le sue fattezze per cui il tribunale lo individua. Giovanni Baglione: crea una serie di vite dei pittori, occupandosi di questo genere e esemplificando i disegni di Ottavio Leoni che arriva a roma ad inizio 1600 facendo schizzi alla macchia estemporanei, come il ritratto di Caravaggio. RITRATTO CON FUNZIONE IDENTIFICATIVA. Bellori nella biografia di Annibale Carracci ricorda che ancora giovane quest’ultimo stava tornando a casa in carrozza che viene aggredita da una banda e Annibale riesce a far arrestare i colpevoli poiché disegna i volti del ritratto ritratto a macchia, a getto o a memoria. Federico Zuccari vuole dimostrare l’eccellenza della pittura la cui finalità è l’imitazione perfetta della natura e prova che i modelli non sono inferiori agli antichi raccontando alcuni aneddoti: Leone X di Raffaello; Carlo V dipinto da Tiziano con il quale si era riusciti ad ingannare Filippo II (figlio di Carlo V) che aveva visto il ritratto in una zona in penombra iniziandoci a conversare. Baldinucci, nella biografia dedicata a Bernini, celebra anche’esso il fascino dell’aneddoto a proposito del cardinale Pedro de Foix Montoya, la cui tomba è il vero personaggio e non il modello. C’è un grado di esagerazione però si tratta comunque di un ritratto che pare vitale e si lega alle capacità pittoriche di Velasquez (Montanari ne fa un confronto). Lezione 3 – 28 febbraio 2024 L’altro significato è quello del RITRATTO MEMORIALE, ritratto come ricordo. *Vasari nella biografia dedicata a Bellini dà conto di questa valenza nella Venezia del tempo ove c’è una diffusione del ritratto tra le famiglie come ritratto degli avi. Poi c’è il ritratto degli uomini illustri nel campo pubblico e il ritratto di uomini illustri in campo privato. Ritratto degli avi: *Vasari, nella biografia di Giovanni Bellini, ricorda tale peculiarità introdotta da quest’ultimo. Qui si ha una ripresa, nel pieno rinascimento, di una tradizione radicata nell’antichità perché Plinio nella Naturalis Historia cita i ritratti degli avi come presenza concreta nelle dimore della fascia sociale più elevata. Uomini illustri in campo pubblico: è anche qui l’antichità che detta legge. Intorno al 1330 Petrarca è vettore dell’antichità e dona all’umanista un secolo d’oro ed inizia a redigere il De viris illustribus, che viene condotto a termine da Lombardo della Setta nel 1374. Petrarca è il primo a resuscitare nella letterature un genere che era stato predominante nel corso del periodo antico. Francesco I da Carrara, signore di Padova, fa realizzare un affresco del primo ciclo di uomini illustri, ripreso poi nel primo 1500. Andrea del Castagno, Legnaia, Palazzo Vecchio di Firenze: gli uomini illustri sono o di fantasia o riprendenti ritratti tramanandati (Petrarca e Boccaccio). Dunque il ritratto diviene un simbolo, che viene caricato di una esemplarità politica e morale. La municipalità si va a caricare d’importanza grazie alle connessione con personaggi celebri. Il culto dei grandi uomini può trovarsi sia nel dominio privato che pubblico. Questa esemplarità pubblica può anche incanalarsi nel versante privato: Paolo Giovio, filosofo, storico, medico, lettera del 28 agosto 1521, in cui Paolo annuncia il proprio desiderio di dedicare alcune stanze della sua dimora ai ritratti dei grandi uomini di lettere, affinchè il loro esempio induca gli uomini al valore della virtù. Giovio porta a termine la villa nel 1540 e sorgerà sulle rive del lago di Como, luogo anche attiguo ad una celebre villa, ossia quella di Plinio il giovane. La chiamerà Museum→ luogo delle muse, tempio della virtù dedicato a piacere personale e privato che accoglie gruppi di amici. Qui inizia a radunare una biblioteca, nella quale potevano essere presenti i ritratti maggiori dei letterati e la collezione dei ritratti rinuiniti da Giovio erano quasi 400 dipinti e costituiva la grande novità. Queste immagini rappresentavano personaggi storici e mai eroi mitici! Si rimane dunque radicati alla verità storica. Vengono da Giovio suddivisi in 4 classi secondo un ordine: 1) colore che si sono distinti per la nobiltà e l’eccellenza di spirito e quindi disposti secondo la data della loro morte per evitare gerarchie arbitrarie, 2) vivi che manifestano il loro spirito eccezionale, 3) artisti, “autori delle opere più perfette” (legittimazione dell’arte liberaleemancipazione dell’artista), 4) sovrani, pontefici, re, duchi che in pace o in guerra hanno acquisito una gloria immortale e hanno lasciato esempi delle loro operre starordinarie da imitare o da evitare (da una parte ci sarà Andrea Doria da imitare, dall’altra Re degli ottomani, nemico). C’è dunque un carattere enciclopedico, che riunisce personalità edificanti ma anche nemici minacciosi. Questo meccanismo NASCE COLLEGATO ALL’ALLESTIMENTO DELLA SUA COLLEZIONE DI RITRATTI NELLA SUA VILLA DI COMO; IN UN SECONDO MOMENTO, IN PROSSIMITA’ DELLA SUA MORTE (1552, PRIMA EDIZIONE DELLE VITE 1550) SI ASSISTE A UNA CONFIGURAZIONE LETTERARIA SECONDO CUI GIOVIO SCRIVE GLI ELOGI DEGLI UOMINI ILLUSTRI DEDICATI AGLI UOMINI DI LETTERE (1546) E GLI ELOGI DEGLI UOMINI D’ARME C’E’ UNA SORTA DI RIBALTAMENTO DEI VALORI LADDOVE LA PARTE FONDAMENTALE DEL TESTO E’ DEDICATA ALLA VEICOLAZIONE ALLA GRANDE MASSA IL RITRATTO DI ANDREA DORIA DI BRONZINO. L’OPERA LETTERARIA DI GIOVIO SERVE PER VEICOLARE A LIVELLO LETTERARIO LE IMMAGINI DEGLI UOMINI ILLUSTRI DIPINTE. LA PRIMA PAGINA E’ DEDICATA ALL’INCISIONE DEL RITRATTO, POI ARRIVA ANCHE UN TESTO ESPLICATIVO. Nel museo, ossia l’abitazione presso il lago di Como, ci sono più spunti per pensare che sia un momento precursore del museo inteso come tale. Giovio aveva intenzione di dedicare un testo legato ai ritratti degli artisti e in effetti scrive qualche biografia. Vasari nel 1568 racconta l’iter della sua scrittura e racconta che era stato Giovio a sollecitarlo perché era un’artista. Non a caso nel museo di Giovio vi erano una serie di ritratti dedicati agli artisti che poi vanno a confluire nelle Vite di Vasari. Oggi sopravvivono circa una quarantina di ritratti alla rovina del museo di Giovio e volevano essere ritratti molto realisti e Giovio insiste su questo aspetto perché l’adesione al dato realistico sottolinea la funzione memoriale. L’elemento caratteriale dell’artista è strettamente veicolato attraverso la sua fisiognomia. 1)Vasari dimostra come ci sia un filo condotture con l’eredità di Giovio, che viene colta dal Granduca Cosimo I, a cui viene dedicata l’edizione Giuntina. Cosimo I mette in atto un’operazione incredibile: ordina a un discepolo di Bronzino di andare a copiare a como la collezione di Giovio a partire dal 1552. Nel 1568, nel proemio in cui vasari dedica le vite a Cosimo I, si dice che sono stati copiati e inviati a firenze ben 280 ritratti del museo gioviano che il duca presenta in una sorta di mostra in un salone a palazzo vecchio. Si passa dal dominio della sfera privata a una condivisione pubblica! 2)Leopoldo de’ Medici dal 1664 riunisce e recupera la dispersione del nucleo: circa 80 ritratti vengono collocati in un salone prospicente al corridoio vasariano, in cui da questo momento vengono allestiti gli autoritratti degli artisti. Gli artisti, per continuare la tradizione, donano dipinti agli Uffizi. Leopoldo inizia a interpellare gli artisti europei e italiani più importanti per ottenere i loro autoritratti, tra cui quello di cambiaso e quello di parodi. Gli artisti o protestano perché dicono che non sono specialisti di ritratti o che non hanno caratteristiche somatiche adatte (caso di Guercino, di Pietro da Cortona) o non vengono contattati perché non sono così di grido (Fratelli gennari, uno dei quali chiede se può inviare un riutratto) oppure i pittori che ringraziano per l’onire ma chiedono la stima in prezzo o quelli che, come Rigaud, non solo inviano l’autoritratto ma lo accompagnano anche da una memoria di tutta la propria carriera. Firenze è il luogo topico ove tutto ciò avviene. L’esempio di Giovio viene recuperato nel corso del 1600 in Francia, ove ci sono gallerie di ritratti di uomini llustri come la galleria del palazzo Richelieu, che viene fatto decorarare con uomini illustri della storia francese. Il cardinale chiede l’esecuzione soprattutto a Champaigne e a Vouet. LE CRITICHE AL RITRATTO DI NATURA SOCIALE O RELIGIOSA Pietro Aretino: scrive una lettera nel 1555 a uno scultore, Leone Leoni, per elogiare una sua medaglia dedicata a un erudito modenese, Francesco Molza. Nella stessa lettera però continua con un’invettiva diventata celebre e che era consuetudine di quel momento. Se Giovanni Battista Moroni è il pittore della nobiltà bergamasca ma è il pittore anche del ritratto de ‘Il sarto’ -tutt’ora ignoto- ne bisogna conseguire che il ritratto pubblico debba essere riservato solo a persone celebri ed esemplari. Contesta il ritratto intendendolo per l’idividualità→ riservato a morali. Francisco de Hollanda: teorico portoghese, pittore e archeologo, scrive un trattato del 1549 espressamente dedicato al ritratto: “Sull’arte di trarre dal naturale”, è molto esemplificativo di quella panoramica relativa al pensiero di Aretino e del primo cinquecento in Italia. I soggetti però non possono essere generalizzati  presenta un’intenzione restrittiva del ritratto, proveniente dal gesto primigenio divino. Le persone che meritano di essere ritratte sono i principi, i re. al massimo in luoghi appartati. Paleotti studia il caso dei ritratti dei principi, che hanno ricevuto da Dio la legittimazione a governare gli uomini, e la Chiesa è in accordo su questa visione. La differenza dagli imperatori è che essi erano stati dei persecutori della cristianità, i principi invece sono dei fedeli, considerati luogotenenti di Dio. Non sta all’uomo giudicare se il principe sia degno di un ritratto, perché solo Dio ne può essere giudice. Paleotti poi affronta il problema del ritratto dei privati, lo definisce “imagini che per particolari persone sogliono formarsi cavate dal naturale, comunemente chiamate ritratti”, e lo condanna per vanità, simbolo di peccato e di morte. Fa due esempi: l’esempio di Narciso e quello del filosofo antico Plotino, che dice di considerare il proprio corpo talmente una prigione dell’anima da non vedere l’ora di liberarsenequindi non concepisce il fatto di volerlo ritrarre. Paleotti passa alla casistica applicativa, e ammette che ci sono casi che permettono di giustificare il ritratto: legittimità sentimentale, il ritratto consola dell’assenza di una persona cara; legittimità tecnica, il ritratto come allenamento per il pittore; legittimità morale, il ritratto può essere immagine esemplare di una persona rivestita di eminente dignità politica, religiosa, sociale e culturale (loda Vasari per aver inserito le incisioni dei ritratti nell’edizione del 1568). Paleotti inoltre evidenzia che i ritratti devono essere effettivamente una pittura tratta dal reale e quindi il pittore non deve apportare modifiche per correggere i difetti  osservare la regola “dell’istorico” e non “dell’oratore”. Vi è poi un esempio molto noto a Paleotti di collezione di ritratti che è quella del Cardinale Borromeo, legato a Paleotti e imparentato con Carlo Borromeo, vescovo di Milano che poi viene proclamato santo nel 1610. Federico Borromeo donerà poi la collezione alla Biblioteca Ambrosiana. Questa raccolta di Borromeo è costituita in particolare da ritratti caratterizzati dalla somiglianza. Queste istanze così restrittive sono in certi casi applicate ancora nel 1600, in un filone di maggior rigore anche morale, opposto al filone classicista. Per questo un pittore come Pietro da Cortona scrive, nel 1652, il Trattato della pittura e scultura, uso e abuso loro, in cui riprende insieme a un co-autore gesuita le raccomandazioni di Paleotti. Anche lui riprende il concetto per cui è degno di ritratto colui che se lo è meritato, quindi un principe, un re, un sovrano, che è rappresentante di Dio sulla Terra. Fa strano che metta allo stesso livello l’immagine di un principe e l’immagine di un santo da questo punto di vista. Pietro da Cortona si esprime anche citando Petrarca sul ritratto femminile, e dice che conta l’intenzione del committente, perché ovviamente è criticato il ritratto che potrebbe servire per “eccitare il desiderio”. Sappiamo che il teologo tedesco Martin Lutero apprezzava il realismo dei ritratti, ma con la consapevolezza che fossero solo l’immagine superficiale della persona. In ambito europeo uno dei pensieri dominanti era che il ritratto veicolasse l’immagine superficiale dell’uomo, ciò che si vede al di fuori. Questo aspetto non tiene conto di quanto si era radicato in Italia grazie ad Alberti, per cui c’era la consapevolezza che il ritratto potesse essere mimesis del reale ma anche dei sentimenti della persona. Il pensiero europeo è dichiarato anche da Durer, che nell’iscrizione del Ritratto di Filippo Melantone scrive che ha rappresentato in modo vivo i tratti di Filippo, ma non ha potuto fare lo stesso con il suo spirito. All’inizio del Seicento abbiamo l’inizio della teorizzazione della gerarchizzazione dei generi. Pommier fa degli esempi tratti da testi di prima mano, che ci fanno capire che anche coloro che consideriamo grandi ritrattisti, come Rubens, non avevano grandissima considerazione dell’arte del ritratto. Rubens, ad esempio, legato al duca Gonzaga di Mantova e suo ritrattista di fiducia, scrive una lettera nel 1603 a un corrispondente del ducato gonzaghesco e gli dice che trova poco onorevole la missione di continuare a fare ritratti, “opere di genere infimo secondo il mio gusto, perché sono all’altezza del talento di tutti”. Questo perché si stava radicando il pensiero che il genere pittorico più importante fosse la grande immagine di una rappresentazione storica o mitologica. Giovanni Battista Passeri, nel suo testo, riporta un’osservazione del pittore Giovanni Lanfranco, che disse che in materia di ritratti un pittore può perdere molto e guadagnare poco, essendo un impegno molto pericoloso. Lanfranco intorno al 1640 si trova a Napoli, dove deve realizzare il ritratto della sposa del viceré e, una volta concluso, le dame di corte iniziano a criticarlo dicendo che è poco somigliante al reale, quindi gli viene chiesto di ritoccarlo. Lui lo porta in studio, non lo modifica, dopo un mese lo rimostra dicendo di averlo completamente rivisto e tutte le dame a quel punto dicono che era estremamente somigliante  effetti delle opinioni e sventura dei ritratti, “soggetti anche alla censura della plebe più ignorante”. Giulio Mancini: grande collezionista che lavora come “consigliere” anche per la famiglia Chigi. Dà prova di notevole apertura mentale perché è il primo a tentare una classificazione gerarchica dei generi della pittura. Per lui è il tema del dipinto che determina il suo posto nella scala gerarchica: il livello più basso è l’oggetto inanimato, fino alle figure che rappresentano una storia, attraverso paesaggio, animali e poi il ritratto. Se il ritratto si complica con una storia è apprezzato. Anche se Mancini resta comunque fedele ai giudizi tradizionali, e si rende conto che il ritratto puro e semplice scende nella scala gerarchica perché può essere comunemente capito dall’intelletto del rozzo. La mera somiglianza non è un requisito così tanto ricercato perché può essere alla portata di tutti. Vincenzo Giustiniani intorno al 1618 scrive una lettera a Dirk van Ameyden, il Discorso sopra la pittura. Collezionista che viaggia per l’Europa, nella lettera all’amico fiammingo propone una classificazione delle maniere dei pittori in dodici livelli. Le dodici categorie all’interno sono divise in tre gruppi, ciascuno corrispondente a criteri diversi di giudizio. Il primo è il procedimento tecnico, per cui ad esempio tratta del disegno e della copia come primi fondamenti. Poi abbiamo il criterio di genere, in cui istituzionalizza il ritratto, la natura morta, l’architettura, il paesaggio e “la grottesca” (ornamentazioni di pieno manierismo derivato dalle riscoperte delle grotte neroniane). Altro grande criterio, forse più importante, per leggere le categorie è il criterio di stile: pittori che inventano solo con la loro immaginazione, ovvero i pittori di maniera, poi i naturalisti che ritraggono solo dalla natura, e i più grandi che conservano la loro maniera, la loro personalità, davanti alla Natura e al modello. Alla fine, Giustiniani incasella il ritratto in un livello non altissimo, dopo la natura morta, ma ciò non impedisce che sia trattato da un grande artista, se questi utilizza la maniera elevata che unisce ideale e dato naturale. Spagna Filippo II nel 1583 chiama Luca Cambiaso per decorare la volta dell’Escorial, e quando Luca muore in questo cantiere, chiama altri artisti italiani per terminare l’apparato decorativo: Federico Zuccari e Pellegrino Tibaldi. Vincente Carducho: italiano, arriva ancora bambino a Madrid. Pregno della cultura italiana tardomanierista, ha chiare le posizioni di Lomazzo e Paleotti. Afferma che un pittore sapiente non può essere un buon ritrattista perché dovrebbe sottomettersi all’imitazione del modello “senza più ragionare né sapere”. Carducho, riprendendo una sorta di topos presente in Italia, si indigna per la proliferazione del ritratto perché si rischia di rendere volgare il termine ritraendo le persone più ordinarie e con attitudini e vesti improprie. Questa è la posizione dominante in Spagna, se si pensa che il primo dizionario pubblicato della lingua castellana o spagnola (1611) alla voce “ritratto” dà come definizione “imitazione del volto di una persona principale o d’importanza, della quale è legittimo che l’effigie e la somiglianza siano conservate nella memoria dei posteri”. In Italia, nel dizionario della Crusca del 1612, invece, alla voce “ritratto” si parla solo di “figura tratta dal naturale”, senza accennare all’importanza di ritrarre un personaggio di fama. Sul versante spagnolo c’è da tenere in considerazione che vi è un senso fortissimo della realtà e del rispetto che è dovuto al dato reale in tutte le sfumature, perché la realtà è creazione di Dio. Francisco Pacheco, 1649, El arte de la pintura: testimonia autonomia intellettuale rispetto ai modelli di pensiero che possono arrivare anche dall’Italia. Direttore dell’Accademia di Siviglia, ruolo importante anche di censore delle opere durante l’Inquisizione, suocero di Velazquez, ha una posizione quindi davvero importante sia a livello teorico che pratico. Un capitolo del suo testo inizia con i problemi della rappresentazione degli animali, della natura morta e poi anche del ritratto  realtà sullo stesso piano come creazione di Dio. Ammette che la grandezza dell’arte del dipingere non è limitata al ritratto, aggiunge che ci devono essere le belle idee cui aspirano i pittori per elevarsi, cita quindi Michelangelo, Correggio, Giulio Romano, che non hanno voluto imporsi come ritrattisti ma si sono affermati grazie alla loro invenzione e al loro talento. Anche Pacheco sembra quindi conoscere le posizioni di Mancini e Giustiniani nella gerarchizzazione dei generi. Il ritratto deve essere simile al reale e deve avere valore e credito agli occhi delle persone dell’arte  equilibrio tra arte e somiglianza. Anche nei confronti del ritratto femminile, dove di solito era richiesto l’apporto di ritocchi, ammette che si possano fare piccole correzioni ma la base deve partire dal ritratto naturale. Non a caso, a Genova, legata alla Spagna, nel corso del Seicento, il naturalismo genovese dei pittori restituisce anche i difetti nei ritratti, senza particolari abbellimenti. Esempio massimo è l’ambasciatore veneziano presso il viceré di Napoli che fornisce nel 1631 un’informazione rispetto al ritratto “Maddalena Ventura con il marito e il figlio” di Jusepe de Ribera: ritratto di una donna degli Abruzzi, sposata e con figli, con un viso molto virile coperto da una lunga barba e il petto villoso. Una iscrizione molto lunga su una doppia pietra serve a decifrare il senso del ritratto: si dice che sia un grande miracolo della natura, perché a 37 anni “Maddalena iniziò a coprirsi di peli e a sviluppare una barba così lunga” (per una malattia dovuta al diabete). Il pittore si firma alla fine dell’iscrizione dicendo che il ritratto, dal vero, gli è stato commissionato direttamente dal viceré. Pacheco si trova in opposizione radicale rispetto agli italiani, un ritratto di questo tipo non sarebbe mai stato accettato dalla critica italiana precedente. Acisclo Antonio Palomino de Castro: sensibile alla tradizione spagnola, scrive il Museo Pittorico, anche lui molto attratto dal fascino del reale. Include una serie di biografie, celebra Velzquez, è come un Vasari spagnolo. Attraverso dei medaglioni dà conto dei pittori più importanti. Nella biografia di Velazquez offre esempi della potenza illusoria che può originarsi anche dalla ritrattistica. Va ad esempio a lodare la potenza illusoria del Ritratto di Juan de Pareja di Velazquez: realizzato a Roma, esposto ai pittori presenti a Roma, lo espone al chiostro del Pantheon. La testa del ritratto “era di una tale somiglianza e talmente viva che, avendolo fatto portare dal medesimo Juan de Pareja ad alcuni amici affinché lo giudicassero, questi restarono colpiti dall’ammirazione e dallo stupore, guardando il ritratto e l’originale, e non sapevamo a
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