Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Relazione educatore-ragazzo difficile: approcci e strategie per il cambiamento, Schemi e mappe concettuali di Pedagogia

La relazione tra educatori e ragazzi difficili, enfatizzando l'importanza di recuperare le potenzialità del ragazzo e svilupparle in nuovi modelli attivi di rapporto tra coscienza e mondo. Vengono discusse le pratiche educative necessarie per guidare diversi soggetti verso la rettificazione, il ruolo dell'educatore nella dilatazione del campo di esperienze e l'importanza di una relazione interpersonale basata su autonomia e rispetto.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 29/01/2024

mariele-lepore
mariele-lepore 🇮🇹

18 documenti

1 / 122

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Relazione educatore-ragazzo difficile: approcci e strategie per il cambiamento e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1)In ambito pedagogico ,in che consiste la rottura paradigmatica di Bertolini rispetto al tema della devianza minorile ? 2)Quali sono gli obiettivi del processo rieducativo dei ragazzi difficili ? 3)Indicare alcune caratteristiche del modello di accoglienza nazionale dei Minori Stranieri Non accompagnati In Svezia a tutti i minori dai 0 a 18 mesi vengono riconosciuti i diritti sanciti dalla convenzione dei diritti dei bambini, che siano loro cittadini svedesi o minori rifugiati o senza documenti, inoltre l'agenzia nazionale dell'istruzione ha ideato un programma per i nuovi arrivati, i quali dopo quattro anni vengono considerati cittadini. I comuni hanno poi l'obbligo di occuparsi dell'istrzione, dell'assistenza sanitaria, degli alloggi e dell'affidamento di un tutore per ogni minore. L'italia invece presenta sul piano legislativo un buon sistema di protezione per i minori. L'ultima legge è stata approvata nel 2017 (legge zampa) che si concentra sull'importanza della scuola. Nonostante ciò, essa presenta delle criticità come ad esempio la carenza di fondi, infatti tale legge e attuabile solo nei limiti umani e nelle risorse. Lo scenario italiano sociale considera ancora la questione migrazioni come un pericolo ed un'emergenza. Per ottenere tutti i diritti è necessario essere visti e riconosciuti come minori stranieri non accompagnati, in alcune circostanze solo tramite l'identificazione è possibile la salvezza. La strategia svedese ha sviluppato un programma educativo fondamentale, componente è l'aspetto linguistico, ma anche la progettazione dei modelli di inserimento, in quanto tutti i MSNA mirano all'autonomia. L'italia sviluppa il programma di accoglienza in due modelli con struttura governative per l'identificazione e struttura come comunità. Infine è stato ideato il modello pueri. 1) Illustrare, sinteticamente, in ordine al tema della devianza, i modelli teorici che hanno preceduto la “pedagogia interpretativa” di Bertolini. * Prima di Bertolini, la devianza trovava spiegazioni attraverso le scienze positive, psicologia, antropologia, mentre la pedagogia era relegata ad un compito di tipo correzionale. Nel 18° secolo le teorie che tentano di spiegare il fenomeno della devianza sono di tipo eziologico. Importante il contributo di Lombroso che spiega il fenomeno attribuendo la causa della devianza alle caratteristiche fisiche dell'individuo (teoria del delinquente nato) cui perviene attraverso la misurazione del cranio. Quetelet spiega il fenomeno della devianza utilizzando anche lui uno strumento di tipo matematico/statistico, la curva di Gauss o curva a campana. Durkeim invece pensa che la causa della devianza sia da ricercare nella società capitalistica in cui vengono meno i vincoli di solidarietà ed è più forte il rischio dell'anomia( egli conduce anche uno studio sul suicidio) ; Marton con la sua teoria mete/mezzi, dice che la società stabilisce delle mete ma poi non mette tutti nelle condizioni di raggiungerle, questo espone i membri che ne fanno parte alla devianza( che è un concetto relativo, ad un determinato tempo, luogo, società) per cui li espone alla devianza , chiamata da Marton innovazione. 2) Individuare i contesti significativi per un’educazione all’impegno e al senso di responsabilità dei “Ragazzi difficili”. * Bertolini racchiude nella definizione ragazzi difficili tutti quei ragazzi che hanno una difficoltà di stare al mondo: delinquenti, disadattati, ragazzi a rischio, quei ragazzi che in qualche modo vengono sottoposti alla tutela/sorveglianza dei servizi sociali e alla cura di un educatore che avrà il compito di trasmettere un ottimismo esistenziale attraverso la dilatazione del campo di esperienza facendogli vivere esperienze che lo facciano giungere ad acquisire un nuovo modo di intenzionare la realtà attraverso l'esperienza del bello, partendo prima dal bello naturale per giungere anche al bello artistico; l'educazione al difficile, calibrando le difficoltà in base al ragazzo, educazione all'altro, attraverso cui il ragazzo comprenderà che esistono altri punti di vista diversi dal proprio e che le relazioni sociali necessitano di una negoziazione tra diverse volontà. Bertolini sintetizza queste strategie nell'esperienza del campeggio, dalla cui esperienza il ragazzo difficile è educato allo stesso tempo al bello, al difficile, agli altri. 3) Indicare alcune strategie educative nei contesti di emergenza dei minori stranieri non accompagnati. * La legge Zampa definisce msna coloro che si trovano nel nostro territor provengono da un Paese extraeuropeo, e sono privi della tutela legale .Nel 2017 poco prima questo coraggioso servitore dello stato, che credeva che con il lavoro tenace, l’onestà e la passione si potevano strappare giovani alla criminalità e poter così restituire alla società persone libere e responsabili. Un altro aspetto è il sovraffollamento e soprattutto l’emergenza economica, mancano infatti i beni di prima necessità, e soprattutto il personale opera in condizioni difficili. La soluzione suggerita da tanti per superare questa nuova emergenza è la costruzione di nuove carceri, mentre altro credono che bisognerebbe adoperare un attimo di “amnistia” per i reati meno gravi in modo da ridurre i reati ed avere una società più sicura. Per migliorare la vita dei detenuti c’è bisogno di una rivoluzione culturale che organizzi la vita all’interno delle carceri. Una rivoluzione che coinvolga tutti quelli che vi operano. Umanizzare il carcere farà bene a che detenuto e a chi non lo è, in quanto il carcere è lo specchio della società. Le sue condizioni di vita ne misurano il livello di civiltà. La corte europea dei diritti umani ha dato un anno di tempo per rimediare alle gravi condizioni in cui versano le galere italiane. Perché, oggi, solo un provvedimento può essere il punto di partenza per fare delle galere dei luoghi degni di un paese civile. Il carcere di Poggioreale rappresenta il simbolo del fallimento del sistema penitenziario. È giusto punire chi ha commesso un reato, ma è altrettanto opportuno non rendere disumana la permanenza nelle prigioni, soprattutto in vista di una rieducazione e di un cambiamento. Nonostante le condizioni in cui diversa, ad alcuni mesi, l’amministrazione penitenziaria sta producendo un grande sforzo per migliorare le condizioni di vita del penitenziario Napolitano. La novità più rilevante consiste nella riduzione del numero dei detenuti. Detenuti in meno non vuol dire solo rendere più umana la convivenza ma anche migliorare la qualità del servizio degli operatori penitenziari. Agenti, educatori, medici e infermieri sono così messi in grado di operare con meno stress e più efficacia. Possono ascoltare i reclusi ed osservarli con attenzione passando dalla condivida la concezione punitiva della galera Aquila rieducativa e un nuovo clima che se inizia respirare e che coinvolge anche gli agenti più nonostante le condizioni in cui diversa, ad alcuni mesi, l’amministrazione penitenziaria sta producendo un grande sforzo per migliorare le condizioni di vita del penitenziario Napolitano. La novità più rilevante consiste nella riduzione del numero dei detenuti, in meno non vuol dire solo rendere più umana la convivenza ma anche migliorare la qualità del servizio degli operatori penitenziari. Agenti, educatori, medici e infermieri sono così messi in grado di operare con meno stress e più efficacia, ascoltando i detenuti e passando finalmente dalla concezione punitiva a quella rieducativa del carcere. Salute in carcere, l’importanza della riforma Non solo sovraffollamento, c’è un’altra emergenza che colpisce che è rinchiuso nelle carceri italiane, e la salute. Spesso i detenuti vengono lasciati senza cure, nonostante molti di essi siano seriamente malati. I grandi centri clinici delle carceri ospitano detenuti non autosufficienti, amputati, handicappati persone malate che sono bisognose di terapie specialistiche. Di fronte a ogni malessere o sintomo di dolore viene spesso somministrata la stessa medicina. Con la riforma del 2008 che trasferisce le competenze della sanità penitenziaria dal ministero della giustizia alle ASL, viene realizzato un principio previsto dalla costituzione italiana che garantisce a tutti cittadini Pari diritto alla salute, almeno sulla carta. Oggi c’è il rischio che la riforma non riesca ad incidere come dovrebbe, perché i medici incaricati nel penitenziario Napolitano sono in numero insufficiente spesso non prestano il loro servizio in modo continuativo. Allo stesso modo gli infermieri cambiano in continuazione e devo imparare ogni volta l’approccio alla realtà penitenziaria ed anche le ore per gli psicologi sono minime. Bisogna prendersi cura di tutti i carcerati avere particolare attenzione alle situazioni più critiche preoccupanti. in questo quadro articolato i medici di assistenza primaria cambiano di frequente ed è difficile praticare la presa in carico e la continuità terapeutica dei detenuti. D’altra parte i medici sono orientati a praticare la cosiddetta “medicina difensiva“ per cui per evitare qualsiasi responsabilità, richiedono accertamenti e visite specialistiche che vengono svolte all’esterno del carcere. In aggiunta a tutto questo, l’ambiente carcerario provoca disturbi di natura psichica. La galera invece di rieducare produce malattie mentali. In questi istituti il numero di educatori e di psichiatri è del tutto insufficiente e andrebbe significativamente incrementato. Ma chi vive una difficoltà, un disagio, psichico o fisico deve essere data la possibilità di essere curato. La società civile deve sentire questa responsabilità. La privazione della libertà, la sedentarietà, la pressione psicologica causano molti disturbi e patologie. Far uscire persone sane dal carcere significa restituire persone sane alla legami fondanti. Infatti assistiamo ad una grande deresponsabilizzazione è un senso di rassegnazione che coinvolge vari settori della società e quindi vi è il bisogno di politiche sociali ed educative rinnovate che sappiano leggere la realtà e siano capaci di produrre azioni tra diversi soggetti della vita istituzionale e associativa. In realtà sappiamo che i giovani reclusi sono esposti alla prepotenza e al cattivo esempio dei detenuti adulti, è una vera e propria scuola del crimine che diventa un trampolino di lancio nel mondo della delinquenza. Giovani perduti, adolescenti spietati, finiti nel vortice della violenza, una crisi di riferimenti culturali e affettivi di vite frustrate e percepite prive di sbocchi che diventano obiettivo di reclutatori senza scrupoli o che incarnano modelli dove il potere è direttamente legato alla violenza che si è capaci di esprimere. La violenza è diventato il linguaggio dei giovani, e ci troviamo di fronte a un disagio generazionale che interessa i minori fin dai dieci, undici anni di età, a cui istituzioni, scuola, chiesa e associazionismo stentano a trovare risposte efficaci. Il filosofo Baumann recentemente sostenuto che nella nostra società ti va affermando un “noi“ che si espande, che si identifica in un insieme di persone, ma che poi diventa la tribù, il gruppo contrapposto agli altri. E quindi questo “noi“ non è inclusivo, è un noi che esclude. Lo stare insieme non è motivo di unità ma diventa identità contrapposta all’altro. I modelli che si stanno imponendo tra i nostri giovani vanno in questa direzione. Sempre più fragili, senza esempi di riferimento autorevoli, poveri culturalmente e con un vuoto di valori, si aggregano per prevalere in modo violento sugli altri. Quando nelle nostre case ci sono più televisioni, tablet e Smartphone Che Libri, quando personaggi Ferrucci aggressivi veicolati attraverso media e social network diventano un cult, si finisce per diventare violenti e talvolta questi giovani non sanno neanche spiegare la ragione di questi gesti di violenza. Sta al mondo degli adulti prendere sul serio le giovani generazioni, comprendere le domande inespresse, fornire esempi, prestare ascolto e suggerire percorso diversi. La scuola resta comunque l’unica stanza per cominciare a cambiare. Dovrebbe essere il canale privilegiato per intercettare il disagio il segnale di malessere dei bambini a rischio. Le altre istituzioni dovrebbero fornire quel supporto necessario ad individuare le famiglie “difficili” E accompagnare in monitorare le situazioni problematiche. Una strategia condivisa che riesca a coinvolgere anche il mondo dell’associazionismo, delle parrocchie e di tutte quelle realtà di cittadinanza attiva che pure esistono e operano in città. I diritti negati Esistono nel nostro paese altri detenuti per cui non è prevista alcuna prospettiva di uscita dal loro status di internato, né effettiva, né presunta questi sono ex carcerati, Che nonostante abbiano pagato il debito con la giustizia, restano in prigione perché ritenuti pericolosi socialmente sottoposti a misure di sicurezza. Una condizione del tutto simile a quella degli internati psichiatrici, si tratta perlopiù di tossico dipendenti storici, di persone con problemi di salute mentale e persino di malati di Aids. Persone logorate dalla droga, Da malattie e dalla durezza della vita in carcere, che hanno commesso ripetutamente reati, non necessariamente gradi e che per questo sono entrati usciti più volte dalla galera. Umanità problematiche che sono considerati “scarto“ anche dal sistema carcerario e che possono arrivare al reinserimento sociale solo attraverso il lavoro. Ma nella realtà lavoro non c’è n’è. Così i periodi di internamento successivi al carcere diventano per lo più anni di parcheggio e di ozio, senza occupazione lavorativa e attività con grande incertezza sul futuro. Questo ci fa capire che il carcere italiano è infanti lizzante e punitivo, dove recupero e la rieducazione passano prevalentemente per l’obbedienza e la sottomissione ai regolamenti all’istituzioni. La riforma penitenziaria del 1975 aveva cominciato a riscoprire i principi dell’articolo 27 della costituzione che, dichiara che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. C’è da dire che, mentre in questi anni la società ha subito grandi trasformazioni, il carcere è rimasto uguale a sé stesso. Una istituzione dove il periodo della detenzione è contrassegnato perlopiù da un ozio forzato che fa sprecare il tempo che dovrebbe essere invece impiegato per la risocializzazione e per un vero e proprio ripensamento della propria vita. Sono passati oltre trent’anni nel carcere di massa sempre identico a sé stesso, nella terminologia Comini ritmi della vita ordinaria, la conta, le ore d’aria, e delle giornate sempre uguali nelle celle. dove il tempo è un gocciolaio interminabile, inutile, assurdo e solo se sei fortunato puoi partecipare a qualche attività lavorativa o di rieducativa. Il detenuto modello e quello che non crea problemi e non deve arrecare disturbo, in questo modo, i carcerati vengono dei responsabilizzati e non diventano i protagonisti del loro percorso di riscatto e di reinserimento nella società. I premi e i benefici sono concessi solo per una buona condotta e per l’assenza di sanzioni disciplinari. Succede che chi è impiegato in un’attività retribuita non ha la dignità del lavoratore, diventa un participio e viene chiamato “lavorante“. Anche le mansioni vengono sminuite nelle prigioni. Chi raccoglie gli ordini della spesa di detenuti assume l’incarico di “spesino” chi è addetto a spazzare nei loghi comuni viene definito “scopino.“ Le notizie di cronaca talvolta ci parlano di detenuti modello che, usciti in permesso premio come fine della pena, commettono reati che appaiono poi inspiegabili agli operatori penitenziari. Chi, invece, durante la carcerazione manifesta un disagio, magari con gesti violenti o autolesionistici viene isolato e tanto spesso trasferito in altro penitenziario e veniva isolato, per evitare ulteriori problemi, senza capire che dietro quei comportamenti ci potrebbero essere i malesseri o domande inespresse. Il clima di paura e la domanda di sicurezza della nostra società hanno avuto una grande influenza nel determinare un approccio punitivo. Tuttavia, il carcere che umilia i detenuti aumenta la recidiva e non ma sicurezza. Il volontariato Chi visita le prigioni incontra persone molto diverse tra loro, accanto ai colpevoli di delitti, si incrociano sempre più spesso stranieri, tossicodipendenti, alcolisti, malati di Aids, storie e volti di immigrazione e abbandono. Il carcere, infatti, rischia di essere solo un luogo punitivo, dove chi fa padrone è il sovraffollamento, oltre alla libertà e alla dignità di una persona. La reclusione, invece, dovrebbe essere opportunità di redenzione, di cambiamento. La chiesa di Napoli, organizza periodicamente, la giornata del detenuto. Ciò ha un duplice significato: da un lato si cerca di umanizzare il carcere, per ridare speranza e fiducia agli uomini e alle donne segnati dal male e dalla disperazione. Questo lo si nota ai pranzi di Natale organizzati dalla comunità di Sant’Egidio e nei momenti ricreativi organizzati dalle associazioni di volontariato dove detenuti, agenti, volontari stavano insieme e si respirava un bel clima di serenità, e questo è un grande traguardo per un luogo come il carcere. Nonostante questo momenti, l’attuale rivendicazione di sicurezza è incentrata troppo spesso sull’idea dell’eliminazione di coloro che vengono considerata minaccia per il nostro vivere e il nostro benessere. Le risposte che si incentrano solo sulla repressione, risultano disumane. Bisognerebbe, invece cercare una strada per la riabilitazione, e l’inserimento nella società civile, malgrado sappiamo quanto questo sia difficile. Questo risulta essere il vero mezzo per combattere la criminalità, per cercare di combattere la malavita generata dal disagio, dalla povertà, dalla difficoltà di inserimento 23. Perché infanzie movimentate? 24. La devianza per Bertolini 25. Dilatazione campo di esperienza 26. Educazione al bello 27. Intenzionalità 28. Progetto svezia-italia 29. Chi sono i MSNA 30. Progetto P.U.E.R.I 31. Argomento a scelta nel programma non compreso tra le domande 32. TUTOR 33. ERC/CRC 34. Carcere di Poggioreale 35. Nella realtà avviene una rieducazione nelle carceri? 36. 37. Lombroso 38. Quali sono le strutture e i progetti di prima e seconda accoglienza? -Diciamo che i progetti mirano a garantire quel senso di autonomia e inclusione sociale, tra questi: P.U.E.R.I, RAGAZZI HARRAGA, PROGETTO PILOTA quindi rientrano nella seconda tipologia di accoglienza 39. Villa canepa 40. Progetto harraga (è un progetto svolto a Palermo che ha creato un sistema di accoglienza e prima inclusione basato su 4 aioni: 1) identificazione e conoscenza del ragazzo 2) analisi delle sue competenze sociali e professionali 3) inserimento in formazione lavorativa (stage) 4) dare loro la gestione di una casa) 41. Uccisione del vicedirettore del carcere 42. Com’è cambiato il concetto di devianza nel tempo? 43. L’educazione nel carcere 44. Situazione delle donne immigrate 45. Ragazzi delinquenti 46. Pensiero di Bertolini 47. Devianza e metodologie 48. carcere di Poggioreale (criticità) e legge 27 (è la legge della Costituzione che viene rispettata dalla riforma giudiziaria nel 1975, prevede che le pene non devono opporsi al senso di umanità dei detenuti) 49. relazione tra educatore e ragazzo difficile 50. Capitolo sul razzismo e le discriminazioni 51. Legge 1975 52. Com’è stato ucciso Giuseppe Salvia? 53. Affidi familiari in Lombardia 54. Secondo te il carcere ha una funzione rieducativa? 55. Processo di identificazione dell’msna 56. Criminalità giovanile (Mattone) 57. Rieducazione (Mattone, relativo al carcere) 58. Strategie pedagogiche (ed. al difficile, al bello e il campeggio) 59. Opinione personale riguardo l’educazione nei carceri 60. Durkheim 61. Allontanamento dalla famiglia 62. È utile per il detenuto e perché 63. Strategie pedagogiche 64. Paradigma fenomenologico e come si discosta dal positivista 65. Differenza tra il percorso educativo e rieducativo 66. Pedagogia interculturale degli immigrati ( parlare dei MSNA in generale e cosa fa l’italia per garantire l’inclusione sociale) 67. COMPITO DELLA PEDAGOGIA 68. Chi era Bertolini? 69. Definizione di devianza 70. Entropatia : come l’educatore può riconoscere il ragazzo 71. DIFFERENZE TRA EDUCAZIONE E RIEDUCAZIONE: I ragazzi difficili Pietro Bertolini 1. Tracce di vita Maurizio in seguito ad un’infanzia difficile e dolorosa, a 17 anni entra in un centro di accoglienza per chi ha commesso una rapina. Quello che l’ha sconvolto questo ragazzo è stata la morte del padre e del suo insuccesso scolastico. Elena in seguito alla morte del padre manifesta disagi soprattutto sul piano di inserimento scolastico, ma apparentemente riservata socievole con i suoi coetani. Accusata continuamente di sottrarre oggetti ai compagni, All’età di 14 anni Viene affidata al tribunale per i minorenni in seguito a maltrattamenti subiti Da parte della madre del convivente. Cristina all'esame psicologico risulta che ha una sfera cognitiva normale però si caratterizza per la capacità di controllo su se stessa per la capacità di opporsi ai pareri degli altri ma evidente è che non ha alcun progetto di vita e non riesce a mostrare le proprie emozioni (non si sforza proprio perché abituata), conseguenza dei maltrattamenti ed abusi subiti in famiglia dai vicini. Marco non ha avuto una guida al suo fianco e ciò lo ha portato ha crescere in fretta e lo ha portato verso compagni più adulti che lo hanno portato alla deriva( lo hanno deviato) ed a fare cose solo per divertirsi, avere soldi in tasca e sentirsi già Grande. 2. I ragazzi difficili dare un nome e tracciare i confini Le storie sopra riportate narrano storie diversi di ragazzi che hanno però un’implicazione comune (implicita), si tratta di ragazzi e ragazze i cuoi comportamenti sono percepiti dissonanti rispetto alle norme sociali. Stiamo però attenti che dalle immagini che degli adulti hanno dei comportamenti dei bambini e degli adolescenti variano al variare del tempo e della società. Tuttavia queste norme devono regolare l’agire di vita del bambino e dell’adolescente. Perciò sotto la dicitura “ragazzi difficili” collochiamo i ragazzi a rischio, irregolari, i disadattati o i delinquenti ai quali bisogna profilare una pedagogia fatta di pratiche educative per correggere i loro comportamenti inadeguati. Il profilo di pratiche educative deve tener conto non solo del tipo di comportamento manifestato dal bambino disadattato ma dei motivi, delle cause che hanno generato tali comportamenti. Queste cause sono generalmente caratterizzate da un passato o da un presente difficile fatto di sorprese, maltrattamenti, trascuratezza e abbandoni. 3. Le difficoltà come categoria pedagogica Il termine difficile lo dobbiamo quindi assumere come categoria pedagogica, cioè un insieme di riflessioni sui comportamenti dei soggetti e le cause che determinano quei comportamenti. Categoria= mettere insieme passato e presente. 3.1 ragazzi a rischio Con tale dicitura intendiamo quei ragazzi che vivono in situazioni di carenza materiale o relazionale. Per quanto riguarda la carenza materiale riguarda le condizioni di povertà, insicurezza economica, disagio abitativo. Per quanto riguarda la carenza relazionale riguarda situazioni familiari particolari, forme di rifiuto di abbandono, disgregazione della famiglia, presenza di figure di riferimento poco adeguate. Ma ci sono anche carenze di tipo ambientale o esistenziale come aree urbane caratterizzate da un alto degrado di disoccupazione, delinquenza, insufficienza di servizi (ad esempio Parco Verde Caivano, scampia, rione traiano). L’intervento educativo in queste condizioni è quello di costruire intorno al minore un contesto adeguato educativo a quel tipo di bisogno. 3.2 ragazzi disadattati Sono adolescenti e preadolescenti che mettono in atto comportamenti dannosi sia per se stessi sia per il contesto in cui vivono in risposta a situazioni dolorose, critico e in risposta a condizioni di vita educativamente inadeguate. 3.3 ragazzi delinquenti anche gli altri vivono e vedono il mondo come lo vede lui. Dietro c'è l'idea che se vive in un mondo sbagliato vede il mondo sbagliato e crede che questi siano i comportamenti giusti. Esempio questo è il mio mondo, tutti vivono rubando e rubo anch'io. Inizia quel processo di interpretazione che lo può portare a confermare le interpretazioni e a discostarsene. 3.1 Il soggetto tra autonomia e dipendenza, corpo ed immagini del corpo Costruire una visione del mondo inizia proprio dalla visione del suo corpo, dalle sue possibilità di vivere ed agire nel mondo con gli altri. 3.3 Intenzionalità dell’altro: un altro vincolo Nella visione del mondo che il ragazzo si è fatto, necessariamente tiene conto che è vincolato dalla vision che gli altri si siano fatti nel mondo cioè dei valori, della prassi, dei comportamenti sociali, familiari e altro perché nel processo di costruzione della sua personalità eredita ed è influenzato dal mondo degli altri di vedere il mondo. 4. Dal concetto di causa all’idea di motivazione Il soggetto nella visione del mondo riceve sempre una sollecitazione alla sua coscienza, (Egli, il soggetto si è posto All’inizio la causa, il perché dell’esistenza di oggetti). Ma ora c’è una sollecitazione che lo porta ad andare oltre la causa e lo porta ad interrogarsi sul tipo di motivazione che relaziona soggetto e mondo (Egli si interroga perché io sono in questo mondo, Qual è il mio compito, la mia relazione con il mondo e le cose? 5. I luoghi dell’educare Si è risvegliata la coscienza, la consapevolezza dei compiti che lui stesso ha con il corpo e la mente cioè quella di essere un soggetto attivo. Quindi il luogo privilegiato di questo percorso educativo e la scuola, ed in questa scuola è l'educatore si deve soffermare sul passato per trovare in esso le tracce che possano guidare alla comprensione del suo comportamento antisociale. 6.1 il corpo L’azione educativa non può ignorare la possibilità del corpo e ne mediare l’incontro tra il ragazzo e il mondo e le possibilità che il corpo ha nel comprendere Cioè l’agire nella realtà. L’azione educativa quindi deve conoscere e riproporre i fondamentali bisogni fisici e psichici del ragazzo cercando un equilibrio tra frustrazione e soddisfacimento. 6.2 i modelli di intenzionalità L’intervento dell’educatore non deve limitarsi ad esaurire i comportamenti del ragazzo nel gruppo ma deve recuperare le potenzialità del ragazzo e svilupparle nell’obiettivo di proporre nuovi e diversi modelli di rapporto attivo tra coscienza ed il mondo. Ad esempio attraverso il gioco del calcio, della corsa, Il soggetto può acquisire o meglio acquisisce le regole sociali e morali. 6.3 il mondo dato per scontato Il soggetto inizialmente ha una visione del mondo dato per scontato in qui egli assume ingenuamente il mondo che lo circonda come se fosse “il mondo” ( atteggiamenti, comportamenti). Lo sforzo educativo è quello di dirigere il soggetto a cogliere la parzialità di ogni punto di vista e quindi di renderlo consapevole del suo agire (costruirsi una sua personale e originale visione del mondo) ed agire responsabilmente con la consapevolezza che dalle sue azioni possono scaturire delle conseguenze che posso migliorare o non la sua esistenza in questo mondo. 7. Verso una prassi pedagogica Una relazione educativa è sempre un reale scambio con l’altro che ci permette di costruire consapevolezza per lui ed essere compatibili per gli altri. ( unità di senso che siano significative per lui è compatibile con il mondo). Devianza minorile e paradigma pedagogico 1. Ragazzi difficili: perché ? Bisogna ricostruire la storia del soggetto per comprendere gli esiti spesso diversi e dolorosi di essa su chi la vive in prima persona e su chi vive con lui. Tuttavia lo sviluppo di ogni individuo non dipende solo da situazioni esterne ma soprattutto dal modo in cui l’individuo da senso alla realtà. Lo sguardo sulla mutua definizione tra mondo e soggetto permette di cogliere i nodi che hanno portato il soggetto alla problematicità. Lo sviluppo del soggetto si lega al rapporto con il mondo (io e il mondo). 2. L’assenza dell'intenzionalità: la disperazione di non voler essere se stessi Il disadattamento si origina per l’alterato o mancato funzionamento della coscienza intenzionale. Il soggetto difficile è colui che non sa posizionare il suo io di fronte all'oggetto, rimanendo chiuso in sé senza riuscire a dare un giudizio. Quindi sono quei ragazzi che incapaci di prendere una decisione, rimangono vincolati al dato. Bisogna individuare due diverse articolazioni: l’assenza dell’intenzionalità, distorsione dell’intenzionalità. Con l’assenza di intenzionalità si indica una presenza eccessiva dell’oggetto, una situazione, e l’incapacità del soggetto di dare un suo autonomo e personale significato al dato esterno. Con distorsione dell’intenzionalità si indica il momento in cui l’oggetto lo sovrasta oppure da una risposta distorta alla realtà esterna che sta vivendo ( giudizio errato →una cosa giusta la vede ingiusta e viceversa). 2.1 di fronte a questo eccesso di mondo Cose= non solo solo materiali. Il disadattato è colui che subisce un eccesso di mondo ma perché? Perché persegue un interesse immediato :la sua soddisfazione. La soddisfazione personale non sarà mai frutto di un agire consapevole e ragionato. Esempio: Paolo vuole delle scarpe firmate, il padre dice che gliele comprerà se andrà bene a scuola ma lui pensa che il padre non lo vuole bene perché non vuole soddisfare questo suo piacere. Il genitore, l'amico, lo sconosciuto possono apparire come altri dati del mondo, nei confronti dei quali il ragazzo non si sente responsabile Ma sono cose da sfruttare. Questo è un primo aspetto ma non dobbiamo dimenticarci di un secondo aspetto quello definito Fuga da sé. Il disadattato cade Nello scetticismo e fatalismo. Lo scetticismo è non dare importanza a niente e cerca di appagare questo dolore che ha nell’animo, fungendo da sé. Il Fatalismo sono le cose avvengono perché devono venire, non pensano che l’uomo esiste per migliorare il mondo. Il ragazzo tende a maturare una ribellione alla propria condizione al proprio essere che può portare ad esiti drammatici come la distruzione degli altri o di se stesso o la dipendenza nei confronti di sostanze o persone. Il terzo aspetto e la svalorizzazione consapevole di sé, la coscienza si risveglia e prende consapevolezza del suo annientamento ; io non sono, nessuno mi vuole bene…. Si esprime quindi un giudizio negativo su se stessi che porterà ad una fissazione sulla propria insufficienza autosvalutazione. I comportamenti sono di due tipi: Teppismo →desiderio di evadere dal mondo e di gettarsi nella vita quasi per dimenticare se stesso e la propria nullità, annullandosi dal mondo = suicidio Aggregarsi ad altri ragazzi → che sono nelle stesse loro condizioni compiendo azioni antisacrali. 3. la distorsione dell'intenzionalità, la disperazione di voler di voler essere se stessi La distorsione nasce dall’ eccesso dell’io e quindi da una tensione eccessiva dell’uomo di dare importanza alle cose. Ed è proprio in questo caso che gli atteggiamenti sono quelli di inglobare il mondo in se stesso e di ritenere di poter utilizzare questo. Non è più il mondo che lo sovrasta ma è lui a sovrastare il mondo, si sente onnipotente. 3.1 di fronte a questo eccesso dell’io In un primo momento subisce, in un secondo momento prende consapevolezza del mondo e lo mette al servizio della sua soddisfazione. I risultati di questo atteggiamento di sentirsi superiore sul mondo, maturano un eccesso di onnipotenza che si manifesta con la disobbedienza, la ribellione, l’aggressività, la violenza, l’incapacità di comunicare con l’altro. Le difficoltà sono di due tipi : Disorientamento di fronte alle difficoltà che può incontrare, Si perdona, si disorientano quando trovano un tipo forte che lo può sopraffare . Comincia a riflettere su se stesso e comincia a nascere una critica (valutazione) sui suoi comportamenti con il desiderio di cambiare ;ad esempio: ho perso il posto di lavoro, mi sono danneggiato, Paralisi dell’agire in cui il ragazzo diventa incapace di reazioni. 4. uno sguardo retrospettivo, considerazione sul comportamento del disadattato. Gli argomenti sul disadattamento devono portare l’educatore ad agire a guidare il ragazzo presso una progressiva autocoscienza, ad analizzare i suoi comportamenti ed ad interpretare la realtà, il mondo, l’oggetto e il dato che lo circonda. Lo scopo educativo e portare il ragazzo a riformulare la sua percezione di sé e del mondo, il suo modo di pensare, tenendo conto che nessun ragazzo difficile, disadattato potrà mai essere incasellato e ridotto nelle categorie che abbiamo proposto ( l’essenza di intenzionalità e distorsione di intenzionalità), perché ogni ragazzo è una realtà a sé. Anche il processo verso la formazione della persona si svolge in tempi diversi a seconda del tipo di ragazzo che dobbiamo educare. Perciò la formazione ha momenti di accelerazioni, ritardi ,evoluzioni, involuzioni e l’educatore deve tener conto che la realtà del soggetto ed il tempo di maturazione e crescita educativa sono flessibili. Verso una pedagogia dei ragazzi difficili 1. Cosa significa rieducare? Educare deve: Partire dal comportamento,(dall’osservazione del comportamento) per osservare come il ragazzo Guarda il mondo e qual è la percezione di sé stesso. Modificare quel comportamento e ristrutturare l’attività intenzionale del ragazzo difficile. 2. Educare o rieducare? Non ci sono differenze sostanziali tra educare e rieducare ed inoltre non ci sono modelli educativi preconfezionati per questi tipi di ragazzi. Anche perché l’educazione non impone modelli ma deve valorizzare le capacità dei soggetti di dare senso e valore al mondo e di sollecitare la consapevolezza del soggetto nella costruzione della realtà. Perché il ragazzo possa aggiungere a questo, dobbiamo aiutarlo nel vivere in un contesto educativo, sociale accettabile,soddisfare i suoi bisogni fisici e psicologici. Inoltre l’attività educativa, in particolare verso questi ragazzi difficili, deve essere centrata ed orientata verso la formazione della personalità, che si svolge in direzione della crescita ed un futuro migliore da un punto di vista personale e sociale. Se l’educazione come valore assoluto avviene in modo graduale e progressivo, la rieducazione del ragazzo difficile richiede un immediato intervento rieducativo ed in questo senso può avere senso educare e rieducare. Il punto importante è quello di recuperare le capacità del ragazzo difficile di fargli compiere nuove esperienze sollecitare nuove forme di esistenza in due modi di pensare il mondo. Portato quindi questo ragazzo a scoprire nuove esigenze e nuovi orizzonti, ciò gli permetterà ad avere un nuove visioni del mondo e quindi un effettivo superamento del passato. 2.1 I momenti del percorso rieducativo Dalla visione del mondo e dalla percezione di sé possiamo capire il perché del suo agire. 2.1 la conoscenza del ragazzo Il primo momento della rieducazione è la conoscenza del ragazzo, quindi dobbiamo capire qual è il suo vissuto del ragazzo, quali convinzioni ha di sé e degli altri, nel modo di vedere, come regola il suo agire presente o futuro. Come percepisce la visione del mondo da un punto di vista dei valori, giusto, ingiusto, disonesto e altro. L’osservazione che il ragazzo compie sul mondo non comprende solo il suo sguardo sul mondo ma come gli vive con esso. 2.2 destrutturazione e ristrutturazione Il ragazzo nella conoscenza del mondo ha dei limiti cioè vincoli oggettivi, soddisfare i suoi interessi o colmare i suoi bisogni Vitali fisici e psichici( indifferenza della famiglia, l’arroganza dei più grandi). 2.3 la dilatazione del campo di esperienze L'educatore può colmare i bisogni del ragazzo difficile ,i suoi interessi nel momento del percorso L’educatore all’interno dell’equipe deve continuare a regolare l’attività dei membri in modo che lo sguardo conoscitivo specialistico sia informato fin dall’inizio al modello della conoscenza pedagogica, per giungere ad una descrizione del ragazzo che sia orientata al futuro (rieducazione) più che ad un esame attento e minuzioso del suo passato. Il punto centrale di vivere con il ragazzo è trasformare lo spazio, il tempo e l’affetto in una comunicazione conoscenza autentica dell’altro. La strada privilegiata è proprio la condivisione di esperienze in cui l’educatore deve partecipare dosando il distanziamento ed il coinvolgimento. L’educatore nei momenti dedicati all’osservazione, la conoscenza e alla comprensione del ragazzo, a un’ulteriore specifico compito ovvero quello di valutare l’educabilità, cioè deve costruire una mappa riguardanti gli elementi di resistenza e quelli su cui è possibile far leva per un percorso rieducativo che orienta il ragazzo la sua intenzionalità. Verso il cambiamento, le prime strategie educative Il momento dell'osservazione del ragazzo difficile mira alla comprensione della sua visione del mondo e di quei processi interpretati attraverso cui egli è giunto ad elaborarla. Ogni ragazzo attribuisce un particolare significato a traumi, modelli, interventi educativi ed questi suoi punti di vista consolidati incertezze, limiti cognitivi possono essere delle condizioni che potrebbero azzerare ogni possibilità di superamento. 1. dalla destrutturazione alla ristrutturazione educativa Comprendere come alcune oggettive condizioni esistenziali abbiano influito sul distorcere l’attività intenzionale del ragazzo è un primo passo. Il passo successivo dovrà mirare ad una destrutturazione di tutti quegli atteggiamenti che ne costituiscono la ricaduta sul ragazzo e che si rivelano dei vincoli. In alcuni casi bisognerà o contenere l’incidenza dei fattori socio familiari e cogliere i disturbi psicologici. Se c’è quindi un conflitto latente o manifesto con le figure parentali che sfocia in un comportamento di aggressione, è impossibile. Un rapporto autentico con l’educatore ed è impossibile mettere in atto un intervento rieducativo efficace. In questi casi come questi bisogna prima indebolire questi disturbi, quindi pensare un sostegno psicoterapeutico, allontanare il ragazzo dal contesto, inserire un educatore nella quotidianità, l'obiettivo di questi interventi è quello di ridurre il peso relativo ad alcuni fattori sulla soggettività perché lo disturbano. Al di là di alcuni casi particolari, il semplice mutamento del contesto di vita si rivela già un mezzo efficace allo scopo di rieducazione. 1. il valore del cambiamento Nuove forme di vita quotidiana costituiscono proprio un momento di discontinuità con il passato, allontanamento della famiglia. Quindi l'allontanamento dal contesto familiare deve risultare per il ragazzo come un segno di Rinnovamento del suo stile di vita e non come una punizione se avviene è comunque una decisione dell'equipe. Per far capire al ragazzo l'importanza della sua realtà, si deve presentare la novità in modo seducente per il ragazzo stesso. In mancanza di questa seduzione il ragazzo può rispondere al distacco con apatia o resistenza. È necessario però che l'educatore faccia passare in modo surrettizio, cioè nascosto, il loro significato catartico (profonda trasformazione)a partire da una seduzione. 2. il caso della custodia in carcere La trasformazione diventa difficile in alcuni casi quando per esempio il ragazzo è in carcere. La considerazione che avviene solamente in casi di reati gravissimi e percepita dal ragazzo come una punizione insopportabile; questi ragazzi vedono l’educatore non come colui che lo guida per la sua trasformazione ma un’occasione per accattivarsi la benevolenza. Il compito è difficile ma l’educatore deve operare in modo tale che il carcere risulta essere per il ragazzo un luogo di trasformazione non funzione, per essere inserito nuovamente nella società. 2. Partire dalla superficie per accedere al mondo Nel primo momento la nuova condizione, quella del carcere può provocare nel ragazzo un cambiamento di superficie (atteggiamenti). Su questo cambiamento deve radicarsi l’intervento dell’educatore ponendo mezzi al ragazzo che lo portano a compiere esperienze tali da cambiarlo profondamente. Se ci troviamo di fronte ad un ragazzo con carenza di percezione, cognizione e relazione.. non va a valutare il passato ma ad analizzare se ci sono debolezze su queste abilità mentali, l’educatore dovrà promuovere e sviluppare queste capacità di base necessarie per approcciare con la realtà. Se invece ci troviamo di fronte a un ragazzo che usa queste abilità in modo notevole ed abituato a destreggiarsi, ovvero muoversi, per giustificare il suo operato anche quando è sbagliato. L’educatore quindi deve utilizzare i mezzi del ragazzo per costruire scenari in cui il loro valore e la loro funzione possono essere ridefiniti. A questo possiamo utilizzare i giochi, altre volte impostare un’ attività fisica . 1. il valore di una profezia: trasformare l’immagine Il disadattamento qualche volta si presenta nelle premesse; esempio: trascuratezza nel vestire, la non curanza per il proprio corpo. Questo modo di presentarsi può essere un mancato riconoscimento del proprio volare . Lo scopo dell’educatore è quello di proporre un diverso stile di vita cominciando a lavorare sull’immagine. 2. stare con gli altri: i primi momenti di un cambiamento possibile Un altro aspetto fondamentale della vita del ragazzo è il suo modo di stare con gli altri. Possiamo individuare due situazioni, l'educatore si può trovare di fronte a un ragazzo egocentrico quando non sa riconoscere l'altro come soggetto paragonabile a se stesso; e di fronte ad un ragazzo eterocentrico quando il ragazzo è incapace di riconoscersi come individuo attivo nel processo di costruzione della sua relazione con gli altri. Non è però influente incontrare il caso di ragazze socievoli attivi con i compagni ed ostili con l'educatore ed i genitori, in questo caso l'educatore dovrà provocare una destrutturazione del sistema di classificazione della realtà e far emergere fortemente che la capacità di relazionarsi con varie figure, quindi non solo con i compagni può essere efficace e produttiva. 3. Un richiamo alla sistematicità L’intervento rieducativo deve essere sistematico, non si possono selezionare dimensioni singole dei soggetti ed agire su di esse, ogni gesto ha ripercussione sulla globalità del soggetto. Quindi la struttura sistematica dell’individuo richiede di attivare una percezione del ragazzo difficile in termini di globalità e di costruire con questa percezione pratiche e discorsi coerenti. L’educatore con una sola azione può raggiungere gli obiettivi su cui focalizza contemporaneamente sull’osservazione entropatica, la destrutturazione delle abitudini e la ristrutturazione del rapporto se- mondo-altro. Questi tre momenti non sono isolati, ma sono i significati fondamentali a cui l’educatore deve condurre le diverse azioni rieducative che deciderà di mettere in atto. Ci sono muri, maschere, gesti dietro i quali si nasconde l’individualità del ragazzo e per farlo emergere bisogna soltanto destrutturare le abitudini creando contesti in quel ragazzo deve abbandonare quei comportamenti che gli impediscono ogni conoscenza. Talvolta, al contrario, l’osservazione entropatica ha un effetto significativo di liberazione e quindi nel ragazzo si fa largo la fiducia nel adulto con cui parla perché sa di non poter essere tradito. Il fulcro (Focus finale) è la dilatazione del campo esperienziale del ragazzo che non significa abbandonare sguardo vigile entropatico o la necessità di affinare i nudi di relazione al mondo. Ci sono sempre aree potenziali da scoprire, sollecitando la ridefinizione delle abilità percettive, sociali e cognitive. Nel ragazzo difficile come abbiamo già detto tutte queste abilità sono distorte, e c’è quindi il rischio che se non c’è un controllo costante da parte dell’educatore sulle diverse influenze che i contesti hanno sull’atteggiamento del ragazzo si possono stabilire nuovi atteggiamenti antisociali. Se non correggiamo il suo modo di vedere, lui sarà nuovamente antisociale perché l’influenza del contesto è forte. Dilatazione del campo di esperienza 1. Nuovi Orizzonti di senso Il ragazzo difficile è cresciuto troppo in fretta, ha affrontato esperienze sproporzionate alla sua età e ciò ha portato a quel disorientamento della personalità e quindi ad un comportamento antisociale,. Dare significato a ciò che lo circonda ,le cose, le persone incontrate sul cammino è un’attività dell’io e del ragazzo difficile, il prodotto di questi incontri è condizionato dalla qualità delle realtà incontrate. I disturbi delle capacità intenzionali sono proprio alla base del comportamento antisociale ed incidono proprio sull’ interpretazione della realtà. Non basta quindi sostituire quelle esperienze passate con altre ma dilatare il campo di esperienza, ampliando la possibilità di incontro ragazzo-mondo-altro con nuovi significati. L’obiettivo finale è di portare il ragazzo ha un auto ,ridefinire La sua visione del mondo ed offrirgli la possibilità di costruirsi una visione di esso non deformata. 2. Verso l’ottimismo esistenziale: le strategie pedagogiche indirette L’educatore a contatto con i ragazzi difficili si accorge che dietro all’egocentrismo ed all’eterocentrismo si nasconde sempre quel senso di rinuncia, di avvilimento, di insoddisfazione che accompagna l’esistenza di questi ragazzi. Bisogna quindi in primo luogo ripensare alla nostra percezione di ragazzo difficile che non è un individuo soddisfatto del proprio comportamento antisociale ma un individuo che attraverso il comportamento antisociale cerca un modo per non sentirsi schiacciato dal suo senso di impotenza. L’obiettivo fondamentale di una rieducazione sarà proprio la costruzione di un ottimismo esistenziale, cioè un senso di appagamento nato dal pensarsi all'origine di un progetto di investimento di senso al mondo negoziando con gli altri. Sono fondamentali: ● Pratiche di restituzione che colmino Le carenze affettive, materiali, formative, costruendo un ambiente dignitoso che rinvii al ragazzo un’immagine di se positiva ● Adulti che rispondono ai bisogni affettivi di costruire rapporti adeguati e che permettono identificazioni ● Gratificazioni per ragazzo che valorizzino i suoi processi personali. Ciò vale però fino a che non si supera l’adolescenza 4. L'educazione al bello : strategia diretta Una delle strategie più efficaci per giungere ad un consolidamento dell' ottimismo esistenziale, consiste nel compiere al ragazzo delle esperienze c'entrate sul bello e capaci di favorire il senso estetico, che generalmente assente. Il bello per il ragazzo difficile è visto come qualcosa che si può spendere e quindi in questi casi è inutile esporre il ragazzo al bello attraverso musei, gallerie perché si rischia l'indifferenza o insofferenza. È quindi meglio partire dalla realtà che racchiudono il bello è che possono essere inserite in questo quadro cognitivo conoscitivo del ragazzo .In altre parole bisogna far partecipare il ragazzo alle cose belle della realtà, facendogli esercitare la capacità di giudizio sul reale. 1. il valore cognitivo dell’ educazione al bello Di fronte all’esperienza del bello È chiaro che ogni soggetto alla sua interpretazione (inferenza). Ma l’educatore deve sollecitare il soggetto a produrre una propria riproduzione di questo mondo bello, in modo che egli abbia nei confronti del bello una dilatazione della conoscenza ma anche uno sviluppo della capacità di socializzazione. Quante più conoscenze hai, più Hai la capacità di socializzare. 2. intrecciare le esperienze L'educazione al bello fa incontrare al ragazzo un mondo gratificante, fa considerare che ha incontrato un'esperienza nuova e quindi un nuovo mondo che non aveva mai immaginato. 3. il valore pragmatico dell’ educazione al bello L'educazione al bello ha anche un risvolto pragmatico, oltre che cognitivo ed ideale e quindi non è solo educazione al suo riconoscimento e alla sua fruizione ma è anche educazione alla sua costruzione, egli può provare a cambiare ed a riprodurlo. Una volta che ha capito che può riprodurlo e trasformarlo ,sollecita il suo impegno alla partecipazione personale e responsabilità sociale. 4. L’educazione al difficile, verso l’impegno e il senso di responsabilità I ragazzi difficili tendono alla non responsabilità, inserirli in scuole, centri di formazione, lavoro non è costruttivo non sono luoghi significativi per i ragazzi difficili che tendono ad attivarsi la stima dell’educatore. In questo caso l’educatore deve essere sempre molto vigile e controllare questo transfert (rapporto) per trasformarlo in un punto di partenza per la rieducazione. I percorsi efficaci si basano sulla scoperta e conquista in cui l’impegno e la responsabilità sono sperimentati come efficaci per raggiungere scopi motivanti. Conviene quindi proporre il valore strumentale. Quando più 2. ambiguità e rischi del transfert pedagogico Vari sono i rischi di una errata gestione del transfert pedagogico : ● Relazione sentimentale ● Compiacenza del ragazzo che fa proprio lo stile dell' educatore per assecondarlo, l'educatore può usare questo modo di agire del ragazzo per modificare il suo comportamento ma ciò è ancora simbolo di incapacità del ragazzo di riconoscersi come soggetto e quindi può creare dipendenza . ● Perdita della distanza pedagogica dovuta a una risposta affettiva dell’educatore che cede a manovre seduttive del ragazzo. 3. gestione pedagogica del transfert educativo Il transfert pedagogico consiste nel provocare un crollo dei modelli di interazione con il mondo e con gli altri ed inserire in questo vuoto una motivazione affettiva di cui l’educatore si mostra portatore. Questo scopo finale viene raggiunto nel rapporto educatore ragazzo o educatore gruppo. Infine si evitano i rischi Se si lavora nella costruzione di forme di vita di gruppo. La presenza di rapporti significativi e produttivi con il gruppo dei pari, Limita la possibilità che l’educatore assume il carattere di un rapporto esclusivo. La vita col gruppo fa nascere nel ragazzo la necessità di entrare in relazione con più ragazzi. La costruzione di una nuova visione del mondo 1. Gli obiettivi del processo rieducativo L'obiettivo del lavoro rieducativo è quello di provocare una trasformazione di una costruzione di una nuova visione di sé e della realtà. I vettori privilegiati sono dunque l'educazione, la dilatazione del campo di esperienza. Finché ilragazzo non fa proprio un punto di vista, egli non riuscirà ad assumere una prospettiva critica nei confronti del suo passato. Il momento di consapevolezza e della presa di distanza deve seguire quello del’appropriazione di un nuovo punto di vista. 2. ripensarci nel presente Dopo che il ragazzo ha superato le iniziali resistenze all’educatore, quando sperimenta i vantaggi di relazionarsi in un determinato modo con gli altri si verifica il cambiamento del contesto. Questo passaggio nella costruzione di un nuovo punto di vista non è definito perché il ragazzo può avere una regressione. Anche il rapporto con l’educatore può cambiare, a man mano che il ragazzo matura un senso di autonomia e di autostima, il rapporto con l’educatore sì affievolisce. L'obiettivo è portare il ragazzo a riconoscersi come portatori di punti di vista personali e parziali. 2. Riconoscersi nel passato Ogni esperienza educativa ha come obiettivo quello di accostare nuovi significati al passato e quindi a costare presente e passato ,che deve essere affrontato con consapevolezza, rielaborandolo e riconoscendoglì gli errori. Principio di appropriazione critica. Ad una rivisitazione critica il passato può apparire gli disfunzionale ed inadeguato. 3. Il ragazzo come protagonista del suo cambiamento L'opera di rieducazione finalizzata ad un rinnovamento. Questo autorinnovamento vuol dire che il ragazzo deve diventare responsabile dei suoi comportamenti affinché ciò avvenga l'educatore deve proporsi come perturbatore cioè provocatore che accede nel ragazzo la voglia di cambiare e di mettere a confronto con gli occhi critici la realtà passata, presente e futura. 4. Pensarsi nel futuro I ragazzi difficili sono incapaci di costruire progetti condivisibili ed incapaci di vedere se stessi nella realtà futura. Ma anche in un ragazzo rieducato, l'educatore si troverà di fronte a un incognita del futuro. La funzione dell'educatore è quella di suscitare in lui un pensiero di se stesso nel futuro. Domande di pedagogia della devianza 1. Legge Zampa 47/2017 (internet) È stata finalmente approvata la tanto attesa legge di protezione per i minori stranieri soli in Italia ed è stata definita quadro di riferimento per l’accoglienza. Innanzitutto c’è la chiara e netta riaffermazione del principio di inespellibilità dei minori stranieri soli dal territorio italiano, i bambini stranieri vengono definiti prima di tutto BAMBINI. La legge disciplina poi le procedure per garantire: - Un sistema organico e specifico di accoglienza, con prima accoglienza-identificazione dei minori e seconda accoglienza in centri che aderiscono al Sistema per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) diffusi su tutto il territorio nazionale. - Standard omogenei per l’accertamento dell’età e la sua identificazione - La protezione dell’interesse del minore con assegnazione di tutori - Il diritto alla salute e all’istruzione - Il diritto all’ascolto L’art. 1 della Legge 47 sui MSNA, ribadisce che debba essere garantito un trattamento uguale a qualsiasi altro minore non italiano. Tale parità si traduce nel considerarlo, anche se straniero, prima di tutto un individuo da tutelare. E questo è previsto dalla legislazione italiana e dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989. Riconoscere tutti i diritti ai minori stranieri, vuol dire affermare un sistema nel quale essi possano trovare maggiori opportunità di salute adeguate, condizioni di vita ottimali e protezione. L’art 11/47, poi, prevede l’istituzione presso il Tribunale per i Minorenni di un registro di cittadini volontari, dal quale attingere per individuare un tutore per ogni minore; questi è un cittadino che ha il compito di supportarlo e di far sì che non sia eccessivamente vulnerabile. La vulnerabilità, infatti, è un grande pericolo per questi giovani che si trovano a dover affrontare da soli una situazione non semplice. Il tutore è l’elemento di connessione tra il minore e le istituzioni. Inoltre, si prefigge il compito di far conoscere l’identità di ogni ragazzo insieme all’unicità della sua storia: entrambi elementi che consentono una partecipazione attiva alle questioni che lo interessano. Le funzioni del tutore tenderanno, quindi, alla promozione del rispetto e della dignità del ragazzo cercando di sviluppare con lui una relazione di fiducia. 2. Indicare alcune strategie educative nei contesti di emergenza dei MSNA (cap 11 marina) Lo strumento: l’intervista (face-face semi-strutturata) è stata costruita e condotta al fine di consentire il miglior livello di comprensibilità ed affidabilità (tenendo conto della forte incidenza dei fattori culturali ed etnici). Ogni intervista è stata strutturata in 5 concetti e 9 domande (cap 9) @L’accoglienza dei minori non si riferisce solo all’assistenza sanitaria ma deve garantirsi anche l’educazione affinché vi sia inclusione sociale. Bisogna dare la possibilità a questi ragazzi di potersi costruire un futuro e di avere le basi per affrontare la società che lo -scuola: l’istruzione è un percorso fondamentale per questi minori che spesso nei loro Paesi d’origine non è assicurata. Giunti nel nostro Paese, essi sono stati inseriti nel sistema scolastico nazionale e le loro impressioni sono interessanti per scoprire quanto sia grande, in loro, l’interesse e la voglia di conoscere; -lavoro: tutti i MSNA vanno via dalle proprie case, sperando di riuscire a trovare un lavoro per aiutare le proprie famiglie. Sicuramente questo è uno degli elementi che può facilitare l’integrazione nel tessuto sociale e l’emancipazione dalla condizione di straniero; -genitori e famiglie: i racconti di vita familiare o di tempo intimo e condiviso con i genitori sono totalmente mancanti con una carenza del controllo diretto genitoriale. I genitori non sembrano occuparsi dei figli e ancor meno trascorrere molto tempo con loro, spesso i genitori sono assenti proprio fisicamente (morti); -spazi, luoghi e contesti: non sono mai a casa, sempre in strada. La casa è solo “luogo di ritorno”, una postazione di passaggio; -condizioni di vita e infanzia differenti situazioni di vita differenti a quelle che avevano prima. PREMOLI Come afferma Premoli (2012) un approccio pedagogico basato sui diritti e sulla cura è essenziale per salvaguardare tutti gli individui vulnerabili. Infatti l’identificazione dei diritti rappresenta il punto di svolta ne processo di ricordo degli obiettivi generali e specifici di ogni intervento educativo. (bertolini) Inoltre l’approccio basato sull’assistenza dovrebbe essere integrato da un approccio basato sulla cura, le cui caratteristiche implicano non solo la necessità di salvaguardare ma soprattutto la promozione dell’identità, delle capacità, dei desideri e delle speranze degli individui. 3. Illustrare in ordine al tema della devianza i modelli teorici precedenti la “pedagogia interpretativa” di Bertolini (cap 2 ragazzi difficili) Tutto ebbe inizio dal paradigma eziologico: si avvertì l’esigenza di spiegare il fenomeno del disadattamento minorile e dei conseguenti comportamenti antisociali. Le cause possono dipendere da: - Fattori biologici - Fattori psichici - Contesto familiare - Contesto sociale Secondo Merton basta frequentare “cattive compagnie” per diventare delinquenti e bisogna capire quali sono le ragioni che hanno spinto quel ragazzo ad entrare in quel gruppo. Nel paradigma sociologico in base alle interazioni sociali, agli scambi comunicativi, alle manipolazioni simboliche un soggetto giunge a essere definito deviante rispetto agli altri, abbiamo un’associazione causale tra povertà e delinquenza. Mentre nell’approccio costruttivista assume importanza l’insieme delle percezioni condivise che portano ad attribuire il significato di “devianza” ad una certa azione e a definire “delinquente” un certo individuo. Poi nell’approccio interazionista (con Mead) si torna a dar importanza alle interazioni simboliche e pratiche intersoggettive situazionale, il deviante ci trova affinità nel compiere l’azione. Infine con l’approccio pedagogico vi è il contributo del soggetto alla costruzione del proprio modello di interpretazione del mondo; il comportamento antisociale appare come una forma di agire comunicativo la cui comprensione necessita di un approccio interpretativo 4. Individuare i contesti significativi per un’educazione all’impegno e al senso di responsabilità dei “Ragazzi difficili” (cap8 ragazzi difficili) - educ 5. Indicare alcune caratteristiche del modello di accoglienza nazionale dei MSNA (internet) @Oramai il fenomeno dell’immigrazione è diventato un elemento costitutivo della società contemporanea, per questo è stato suddiviso in una prima accoglienza che riguarda l’attivazione di strutture governative che hanno lo scopo di identificare gli stranieri dove sono erogati solo servizi di base e di emergenza, strutture temporanee appositamente allestite (i CAS), e una seconda accoglienza, che comprende il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI), più permanente.@ Il Decreto Legislativo 142/2015 e la Legge 47/2017, sono la base del Piano Nazionale per la gestione del flusso di cittadini extracomunitari. La prima accoglienza riguarda l’attivazione di strutture governative che hanno lo scopo di identificare gli stranieri di MSNA. Il 65,8% di questi è inserito in strutture di seconda accoglienza. Ma come denunciato, spesso quest’ultima non trova continuità dal momento che gli operatori presenti nelle comunità non sempre restano in struttura stabilmente. Tale precarietà è deleterio per il supporto ai minori. Un altro aspetto è la poca collaborazione tra le istituzioni. A seguito delle pressioni da parte di agenzie internazionali, è stata organizzata l’accoglienza in strutture dedicate ai minori. A. Sono i servizi sociali del Comune a dover tutelare il minore in assenza di un tutore; Per questo, il 13-8-2014 è emendato in Sicilia un DPR per definire gli standard per l’accoglienza dei minori. Il decreto stabilisce la capacità ricettiva per un massimo di 60 persone e una permanenza di 3 mesi. Emergency ha siglato nel 2014 un protocollo per supportare le organizzazioni che si occupano dell’accoglienza, con lo scopo di migliorare le condizioni di vita di questi minori. Migliorare i servizi di assistenza socio-sanitaria e psico- sociale è l’obiettivo primario, ecco perché bisogna supportare le istituzioni territoriali. Da giugno 2010, Emergency ha introdotto lo psicologo-psicoterapeuta in queste strutture insieme a medici, infermieri, mediatori culturali. Tale figura ha il compito di rispondere ai disagi riscontrati, in base alle proprie competenze. Quindi, l’unità di Supporto Psicologico (USP)interviene al momento degli sbarchi individuando casi di problematicità. Emergency in accordo con le istituzioni locali, è presente alle operazioni di sbarco; cerca di migliorare e agevolare i percorsi di cura creando rete con le associazioni che operano sul territorio. Una presa in carico tempestiva ed Risposta 2: In “Ragazzi difficili” vi è una concezione del ragazzo difficile come “soggetto possibile” che ha appreso a relazionarsi con se stesso, con il mondo e con gli altri a partire dalle occasioni educative che la vita gli ha offerto, e che può modificare il suo comportamento. La finalità dell’educazione e del lavoro educativo non è riadattare i comportamenti delle persone alla “normalità”, ma portare queste persone ad ampliare e modificare la loro visione del mondo in modo consapevole. Osservare ha lo scopo di raccogliere quei dati che consentono di non fermarsi alla descrizione del comportamento del ragazzo, ma si comprendere l’intenzionalità e la sua motivazione. Nel lavoro educativo è centrale l’individuazione dei mediatori (attività, oggetti, progetti, altre persone che aiutino il ragazzo ad accedere, vivere e uscire dalle esperienze educative proposte), l’interrogazione su ciò che succede nelle situazioni educative, la comprensione dei significati attribuiti dai ragazzi alle loro esperienze e un monitoraggio costante. 1) Centrale è l’esperienza e la sua costruzione il lavoro educativo viene descritto come una continua introduzione dei ragazzi in esperienze che li coinvolgono e che segnino una discontinuità rispetto a quanto precedentemente vissuto 2) La modifica del modello di intenzionalità dei ragazzi dipende dalle strategie educative indirette progettate e messe in atto dagli educatori. le strategie indirette siano efficaci sono indispensabili due condizioni: - costruzione di esperienze: gli educatori non possono improvvisare ma devono pensare a cosa e a come proporre un’attività - posizione degli educatori: essi ci devono credere e sapere che il loro fine educativo è diverso dall’obiettivo dell’attività proposta - I ragazzi non sono così ma diventano così per questo possono anche imparare ad essere diversi l’educazione deve accendere il desiderio di cambiare facendo leva sulle motivazioni dei ragazzi. Ragazzi difficili: Si tratta di ragazzi/e i cui comportamenti sono percepiti come dissonanti rispetto ad un certo modello condiviso di competenza sociale. Quella del ragazzo difficile è una categoria non soggetta a nette delimitazioni⇒ i ragazzi difficili quindi sono quelli percepiti come tali. La realtà assume il significato che ciascun soggetto le presta: il mondo offre dei pre-testi, sulle cui suggestioni ed entro i cui vincoli il soggetto costruisce dei testi, delle rappresentazioni sensate del mondo nella cui costruzione il soggetto, il suo sistema di rilevanza, il suo modo di cogliere le tracce di senso nel mondo, sono fortemente implicati. Lo sforzo educativo dovrebbe dirigere il soggetto verso la progressiva conquista della sua coscienza intenzionale, verso la consapevolezza della sua capacità di intenzionare attivamente il mondo. Non si tratta di fornire modelli indiscussi e indiscutibili, ma di costruire con l’altro unità di senso che siano significative per lui e compatibili con il mondo che lo circonda. Il compito dell’educatore è quello di provocare una progressiva trasformazione di quella visione del mondo e una ristrutturazione dell’attività intenzionale del ragazzo. Rieducare significa procedere ad una profonda trasformazione della visione del mondo del ragazzo. esperienza educativa deve preoccuparsi di affinare la capacità soggettiva di conferire senso e valore al mondo, di sollecitare la consapevolezza del proprio specifico e ineliminabile contributo nella costruzione della realtà e di sviluppare la capacità di negoziazione con l’altro, le interpretazioni e i significati attribuiti al mondo. L’obiettivo della rieducazione è quello di giungere ad una ridefinizione della visione del mondo da parte del ragazzo fornendogli opportunità affinché ciò avvenga: ampliare l’orizzonte qualitativo degli incontri del ragazzo con il mondo. E’necessario centrare la rieducazione sulla costruzione delle condizioni per provocare un ripensamento del mondo e della proprio collocazione, per capire che ogni individuo possiede uno spazio di attribuzione autonoma di senso. Opportunità di interagire con diverse “versioni” del mondo. L’obiettivo della rieducazione è quello di costruire un ottimismo esistenziale⇒senso di appagamento nato dal pensarsi all’origine di un progetto di investimento di senso al mondo, capace di realizzarsi a partire dai vincoli imposti dalla realtà e attraverso una pratica di negoziazione di senso con gli altri. 7. In ambito pedagogico, in che consiste la rottura paradigmatica di Bertolini rispetto al tema della devianza minorile? (rompe gli schemi) Secondo la pedagogia fenomenologica i “ragazzi difficili”, al di là delle singole forme e differenze comportamentali, di disagio e di ribellione, hanno in comune la difficoltà a riempire di senso e di significato l’ambiente circostante (materiale ed umano) e una conseguente difficoltà a stabilire con esso relazioni autentiche e pedagogicamente corrette, cioè fondate sul riconoscimento e sul rispetto dell’intima struttura relazionale della realtà. Dal vasto investimento teorico, scientifico e culturale che ne è conseguito e che ha creato le condizioni della nascita delle Scienze sociali e dell’uomo, la pedagogia appare in un primo momento esclusa. Sono infatti soprattutto le discipline psicologiche, sociologiche e antropologiche che assumono il compito di riconoscere, legittimare ed affrontare le condizioni di insorgenza dei fenomeni di devianza, mentre la pedagogia viene piuttosto delegata ad occuparsi, in riferimento a tale problematica e alle varie età e fasi di sviluppo, delle dimensioni riguardanti il trattamento correzionale e/o la sorveglianza preventiva. Il contesto scientifico e culturale nel quale risulta inserito l’ambito relativo alle varie figure di marginalità e di devianza del XIX secolo è quindi rappresentato da una centralità dei saperi bio- medici, medico-giuridici, antropologici, sociologici e psicologici ed è totalmente interno al paradigma positivista che, in nome di una presunta oggettività scientifica, rinvia a riferimenti teorici e concettuali di tipo deterministico, causale ed eziologico. Sul piano operativo, questo paradigma ha avuto come esito immediato l’approdo a derive riduzioniste e predittive, oltre che a valutazioni di carattere convenzionale, nel divenire modalità soggettive di costruzione di senso e di significato. La pedagogia di Bertolini, rappresenta oggi l’ottica pedagogica più seguita. Essa accredita i suoi presupposti e i suoi fondamenti dalla fenomenologia di Husserl, filosofo tedesco dell’inizio del ‘900 e si caratterizza sia come momento di riflessione sulla pratica educativa, quindi come teoria, sia come momento empirico, quindi strettamente collegata all’esperienza concreta e quotidiana. Per il punto di vista della pedagogia fenomenologica, tra momento teorico e momento operativo esiste pertanto una relazione sia di necessità, sia di costante reciprocità. Bertolini si richiama infatti tanto alla filosofia di Husserl, quanto alla sua decennale esperienza (1958-1968) come direttore del “Beccaria”, il carcere minorile di Milano. Partire dal soggetto è una scelta che colloca la riflessione pedagogica sul fenomeno della devianza minorile all’interno di un paradigma fenomenologico in esso ogni individuo, in quanto soggetto vivente, ha nell’intenzionalità della coscienza, nella sua capacità di investire di senso il mondo naturale e sociale, la sua caratteristica essenziale. 8. Bertolini e la sua riflessione pedagogica sul lavoro educativo (cap 3 ragazzi difficili) Partire dal soggetto è una scelta che colloca la riflessione pedagogica sul fenomeno della devianza minorile all’interno di un paradigma fenomenologico in esso ogni individuo, in quanto soggetto vivente, ha nell’intenzionalità della coscienza, nella sua capacità di investire di senso il mondo naturale e sociale, la sua caratteristica essenziale. 9. Definizione di “ragazzi difficili” (cap 1 ragazzi difficili) il ragazzo deviante è colui che ha dei principi dissonanti rispetto al stereotipo sociale, colui che ha una visione diversa del mondo deviata da vari fattori (che possono essere biologici, psichici, riguardanti il contesto familiare o sociale). Ma viene comunque visto come un “soggetto possibile”. Possono essere: - Ragazzi a rischio: si tratta di ragazzi che vivono in situazioni dove manca l’ordine materiale (caratterizzati da povertà, disagio abitativo, insicurezza economica) e l’ordine relazionale e vivono quindi storie familiari e situazioni particolari (come forme di rifiuto, abbandono). Le aree urbane sono caratterizzate da un alto tasso di disoccupazione, degrado che costituiscono aree naturali di delinquenza. - Ragazzi disadattati: sono ragazzi che, avendo vissuto situazioni percepite come dolorose in risposta a condizioni di vita inadeguate, hanno consolidato atteggiamenti lesivi di sé e del contesto in cui vivono. - Ragazzi delinquenti: cioè i minori che hanno infranto le regole del codice penale. 10. Perché è stato scritto “ragazzi difficili?” (intro ragazzi difficili) In “Ragazzi difficili” vi è una concezione del ragazzo difficile come “soggetto possibile” che ad oggi ha questi comportamenti per via delle occasioni educative che la vita gli ha offerto. La finalità dell’educazione e del lavoro educativo non è rendere i comportamenti delle persone “normali”, ma ampliare e modificare la loro visione del mondo in modo consapevole. L’educatore è creatore di esperienze e motiva il ragazzo alla voglia di cambiamento (sempre consapevolmente), gli apre gli occhi per cercare di ristrutturare la sua identità personale. Particolare attenzione viene posta al gruppo come parte del processo formativo e lo pone come dispositivo formativo di nuove e diverse possibilità relazionali. atteggiamenti, che tende a costringerlo entro schemi di comportamento tendenzialmente asociali. Idea di far vivere situazioni nuove e sollecitanti, attraverso cui sperimentare l’esistenza e il valore di prospettive esistenziali sconosciute. 4) Ristrutturazione dell’intenzionalità: cambiamento profondo degli schemi di significato con cui il ragazzo si dirige verso un mondo attuale e possibile. 5) Appropriazione soggettiva: momento conclusivo in cui il ragazzo, avendo avuto occasioni per scoprirsi responsabile delle proprie scelte, fa proprio questo modo di pensare se stesso nel mondo e con gli altri. Processo graduale in cui l’educatore deve guidare il ragazzo alla presa di consapevolezza del proprio cambiamento. 13. Paradigma fenomenologico (cap 3 ragazzi difficili) Per quanto riguarda il paradigma fenomenologico (introdotto da Bertolini) ogni individuo, in quanto soggetto vivente, ha nell’intenzionalità della coscienza, nella sua capacità di investire di senso il mondo naturale e sociale, la sua caratteristica essenziale. La realtà è unità funzionale, un “esserci” in cui soggetto e oggetto si costruiscono reciprocamente. L’altro è riconosciuto come alter-ego, ossia come soggetto dotato di capacità intenzionale, egli garantisce la possibilità che la mia esperienza del mondo sia “oggettiva”. Affinché il mondo non appaia fantasmatico, essa deve essere percepita come valida e vera anche per l’altro perché condivisa con l’altro (mondo unico e identico per tutti). La genesi del mondo-per-sè si alimenta sempre del mondo-per-tutti, è un processo di continua mediazione tra i vincoli del reale e le possibilità del soggetto: 1. Corpo: luogo di incontro del soggetto col mondo 2. Dimensione intersoggettiva: la storia dell’individuo è in un tessuto di memorie 3. Intenzionalità dell’altro: i modi dell’altro influiscono sulla capacità di intenzionare del soggetto. 14. Coscienza intenzionale (articolo) La coscienza intenzionale si forma dall’influenza del mondo per sé e del mondo per gli altri, nasce da un errore o da una situazione. Lo sviluppo del soggetto è legato al tipo di rapporto che egli instaura col mondo. Il disadattamento è il prodotto di un mancato o alterato funzionamento della coscienza intenzionale. Vi sono due diverse articolazioni di tali limiti: l’assenza dell’intenzionalità e la distorsione dell’intenzionalità. L’assenza dell’intenzionalità: incapacità del soggetto a situarvisi come donatore di senso e origine di ogni investimento di significato. Il soggetto appare incapace di trasformare la realtà che lo circonda in un modo che sia significativo per lui e compatibile con i progetti e i valori degli altri. Si parla di eccesso di mondo sul soggetto che si sente inferiore. Distorsione dell’intenzionalità: la realtà è ridotta al rango di oggetto-preda, il soggetto dopo averla eliminata procede alla sua riproduzione immaginaria. Il ragazzo difficile vive una sorta di autonomia immaginaria sorda, ritiene di poter disporre e fare di tutto. Di fronte a questo eccesso dell’io sono attuati comportamenti centrati su manifestazioni di disobbedienza fino alla ribellione, di aggressività fino alla violenza, di assenza di autocontrollo e di irresponsabilità. 15. Anomia Tipo di afasia per cui il paziente riconosce gli oggetti ma non sa definirli o chiamarli con il loro nome. 16. MSNA Legge che li riconosce e li tutela (legge zampa d.lgs. 142/2015) 17. Strategie pedagogiche (copia e incolla cap 9 ragazzi difficili) Il lavoro dell’educatore è il “vivere con il ragazzo”, essere “esperienza dell’altro”. Egli è parte costitutiva del processo educativo, in quanto il suo rapporto con il ragazzo costituisce una particolare forma di relazione interpersonale. La sua azione, la sua figura, il suo modo di mettersi in gioco incidono sul processo formativo. È necessario che controlli la sua implicazione personale perché sia orientata agli scopi della rieducazione. Le strategie pedagogiche di tipo relazionale sono: - disponibilità: deve diventare una persona di cui fidarsi, avere stima e interesse, deve essere riferimento costante, dare ascolto al soggetto e avere l’adeguata distanza pedagogica; - autorevolezza: deve far comprendere al ragazzo che la regola è conveniente prima di tutto per lui e ha la possibilità di rivedere il suo modo di pensare; - linguaggio delle cose concrete: condividere con il ragazzo, fare insieme, porre attenzione su ciò che interessa ad entrambi; - essere esempio di intenzionalità: deve presentarsi come capace di intenzionare continuamente la realtà, deve costruire il trasfert pedagogico (rottura degli abituali schemi di relazione alla costruzione di un nuovo schema centrato sulla capacità intenzionale) 18. Perché la palla passa a me? Il presente testo raccoglie una serie di contributi riguardo principalmente alcune delle tematiche molto calde della nostra Regione: quella della criminalità giovanile , quella relativa agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e quella riguardo la situazione dei detenuti del carcere di Poggioreale. Malavita, solitudine e riscatto nel carcere. Sono i temi che affronta Antonio Mattone nel libro, con la prefazione di Andrea Orlando, ministro della Giustizia, e la presentazione di Alessandro Barbano, direttore del quotidiano “Il Mattino”. Mattone ha ripercorso nel volume dieci anni di esperienza come volontario nel carcere di Poggioreale e in altri penitenziari italiani, attraverso gli editoriali pubblicati sul quotidiano “Il Mattino”. Al centro degli articoli, i costruzione della sua visione del mondo che non è mai definitiva ma si determina attraverso atti intenzionali della crescita della coscienza (non si tratta di costruire come educazione ma di decostruire la visione del mondo in termini di ineducazione). Questi soggetti hanno una visione distorta del mondo a causa del limite di coscienza intenzionale. L’io si costruisce per: - Genesi passiva (tutto quello già schedato come famiglia e cultura); - Genesi attiva (l’attività intenzionale personale che dipende dalla sua visione del mondo) 35. Devianza e metodologie (intro ragazzi difficili) 36. carcere di Poggioreale (criticità) e legge 27 (è la legge della Costituzione che viene rispettata dalla riforma giudiziaria nel 1975, prevede che le pene non devono opporsi al senso di umanità dei detenuti) 37. relazione tra educatore e ragazzo difficile (cap 9 copia e incolla) Il lavoro dell’educatore è il “vivere con il ragazzo”, essere “esperienza dell’altro”. Egli è parte costitutiva del processo educativo, in quanto il suo rapporto con il ragazzo costituisce una particolare forma di relazione interpersonale. La sua azione, la sua figura, il suo modo di mettersi in gioco incidono sul processo formativo. È necessario che controlli la sua implicazione personale perché sia orientata agli scopi della rieducazione. Le strategie pedagogiche di tipo relazionale sono: - disponibilità: deve diventare una persona di cui fidarsi, avere stima e interesse, deve essere riferimento costante, dare ascolto al soggetto e avere l’adeguata distanza pedagogica; - autorevolezza: deve far comprendere al ragazzo che la regola è conveniente prima di tutto per lui e ha la possibilità di rivedere il suo modo di pensare; - linguaggio delle cose concrete: condividere con il ragazzo, fare insieme, porre attenzione su ciò che interessa ad entrambi; - essere esempio di intenzionalità: deve presentarsi come capace di intenzionare continuamente la realtà, deve costruire il trasfert pedagogico (rottura degli abituali schemi di relazione alla costruzione di un nuovo schema centrato sulla capacità intenzionale) 38. Capitolo sul razzismo e le discriminazioni (cap 15) 39. Legge 1975 Riforma penitenziaria del 1975 cercò di raccogliere le istanze dell’articolo 27 della Costituzione ,secondo il quale le pene non devono essere contrari ai principi di umanità. Ma non ci sono stati molti cambiamenti da allora: la società è cambiata,mentre il carcere è rimasto sempre uguale. Nella prigione,le giornate sono scandite da una solita routine che porta i detenuti a vivere in totale passività. Sono poche le iniziative volte a coinvolgere il detenuto per supportarlo nel proprio percorso di recupero. La vivibilità complessiva dell’essere in carcere e soprattutto la possibilità di pensare se c’è un futuro positivo per la propria vita. Numerosi sono i detenuti affetti da gravi malattie infettive. La giornata tipo di un detenuto si svolge essenzialmente nelle celle, con letti a castello, prive di riscaldamento; in esse si consumano i pasti, si guarda la televisione, si dorme, si legge e si scrive; vi sono anche i servizi igienici, ma non la doccia che è possibile fare, una volta alla settimana, 43. Rieducazione (Mattone, relativo al carcere) 44. Strategie pedagogiche (ed. al difficile, al bello e il campeggio) 45. Durkheim A partire da una riformulazione del concetto durkheimiano di anomia, il fenomeno della devianza è stato analizzato e spiegato in termini di condizioni sociali criminogene. Secondo il classico schema mete-mezzi, per esempio, il comportamento deviante è visto come il risultato delle pressioni anomiche e contraddittorie della società (Il successo, la ricchezza il prestigio). Le società urbane e industriali non consentirebbero ai loro membri un uguale accesso ai mezzi approvati per conseguirli. Di fronte a comportamenti antisociali non è infrequente imbattersi ancora in commenti che fanno appello alla povertà o all’abbandono, allo sfascio delle famiglie o alla crisi dei valori tra i giovani, all’egoismo o più in generale al carattere degli individui. Ciò che queste pratiche discorsive rivelano è la ricerca di un nesso causale, qualunque esso sia, tra “fatti sociali” definiti, un nesso che rende spiegabile quel particolare fenomeno sociale che è la devianza. 46. Paradigma fenomenologico come si discosta dal positivista Mette in campo anche l’intenzionalità (non è solo situazione causa effetto). Il contributo soggettivo si specifica come una messa in campo di particolari elaborazioni cognitive in base a cui un individuo conferisce significato agli eventi che lo circondano, stabilisce gli scopi del proprio agire e individua quei nessi che lo rendono legittimabile. Il processo attraverso cui un individuo diventa deviante appare frutto di una mediazione tra condizioni di vita oggettivamente descrivibili e le elaborazioni cognitive di queste. Ciò che conduce un minore a mettere in atto forme di comportamento antisociale non è una sua strutturale attività con questo genere di azioni, sorta di predisposizione acquisita con l’esposizione a determinate condizioni, quanto un’affinità soggettivamente costruita in funzione dell’attribuzione di un certo significato al mondo che lo circonda, alle azioni che compie o alla sua affiliazione di un determinato gruppo o modello di vita deviante. 47.Pedagogia interculturale degli immigrati (parlare dei MSNA in generale e cosa fa l’Italia per garantire l’inclusione sociale) 48. COMPITO DELLA PEDAGOGIA aiuta a togliere i valori del passato e metterne nuovi (obiettivo pedagogico per i devianti), eliminare xenofobia (per tutti), inclusione. 49. Definizione di devianza È quell’atto o comportamento del membro di una società che viene considerato dalla maggior parte dei soggetti come spostamento rispetto alla norma, una vera e propria deviazione del “normale” e definito non legittimo. 50. Entropia: come l’educatore può riconoscere il ragazzo Lo stile educativo è quindi fondato sull’entropia (tecnica pedagogica volta a cogliere la visione del mondo del ragazzo). L’educatore deve prendere la distanza prospettica adeguata. Non è mai possibile abbandonare la prospettiva entropatica: l’educatore deve seguirne le evoluzioni e le involuzioni, mantenendo vigile il suo sguardo durante tutto il percorso rieducativo per calibrare su questa storia interiore le sue proposte. Neanche il lavoro di destrutturazione- ristrutturazione può essere tralasciato per far sì che la sua presa passi dagli aspetti più manifesti ad un livello più profondo, per evitare il rischio che si stabilizzino nuovi atteggiamenti asociali (ambiente non è asettico). 51. DIFFERENZE TRA EDUCAZIONE E RIEDUCAZIONE: Una prima differenza tra educazione e rieducazione è nella qualità delle difficoltà che in esse si incontrano. Nella rieducazione le difficoltà richiedono un diverso ritmo di intervento. Nel caso dell’educazione la scoperta e la formulazione di sé avvengono in modo graduale e progressivo; nel caso della rieducazione il tutto avviene in modo immediato. Un tratto caratteristico della rieducazione è la direzione: dal futuro al passato (si sfruttano quegli aspetti della personalità del ragazzo che possono essere valorizzati facendogli compiere nuove esperienze, aprendo nuovi orizzonti di possibilità). Il significato della rieducazione è quello di essere una trasformazione attiva frutto non tanto di una sistematica negoziazione del passato, quanto di una rinnovata proiezione del futuro. 52. Barone (appunti) Considera che in Italia bisogna abbassare l’età punibile a 12 anni per la loro maturazione precoce. La devianza sociale È un atto o comportamento o espressione anche verbale del membro di una collettività che essa stessa giudica uno spostamento o violazione pratica o ideologica di norme sociali (regole di comportamento), credenze, reagendo con intensità proporzionale al loro senso di offesa: è una violazione di regola di comportamento giudicata dal gruppo come illegittima. La reazione del gruppo solitamente è l’esclusione. La devianza è relativa in quanto dipende dal gruppo. Non esiste la devianza in sé ma esiste un comportamento che può essere più o meno approvato in dipendenza al gruppo di appartenenza ed al periodo storico. Infanzie movimentate - Traverso Capitolo I strutture di grandi dimensioni ostacola la creazione di quell’ ambiente relazionale di tipo familiare di cui il minore ha bisogno. Nel tentativo di rispondere all’accoglienza dei MSNA, nel 2014 viene emanato in Sicilia un decreto che stabilisce per centri di prima accoglienza la capacità di ricevere massimo 60 persone e stabilisce che la permanenza nel centro non può superare i tre mesi. Nonostante ciò Emergency ha avuto modo di constatare che il sistema di accoglienza per questi minori non risponde alle esigenze dell’utenza e per questo è indispensabile aumentare gli standard di prima accoglienza. Emergency ritiene che un rapporto con le compagnie istituzionali sia in grado di garantire il diritto alla salute, e per questo ha siglato un protocollo d’intesa con “l’Assessorato alla salute regione Sicilia, Croce Rossa Italiana, medici senza frontiere”, con lo scopo di migliorare i percorsi di cura di questa popolazione così vulnerabile. Inoltre ritiene che oltre agli interventi attuati per facilitare l’accesso alle cure dei pazienti stranieri, sia necessario operare nella direzione di un profondo cambiamento culturale, che partendo da un’attenta analisi dello scenario sociale attuale, arrivi al raggiungimento dell’HEALTH EQUITY (Equità dello stato di salute) come indispensabile fattore per una reale e diffusa inclusione sociale. Pertanto Emergency si orienta verso un modello di azione integrata e multidisciplinare al fine di contribuire alla salute complessiva del paziente. Capitolo II Strategie educative e politiche di tutela per MSNA: l’esperienza svedese e italiana a confronto È importante proporre un confronto fra modelli di intervento e strategie educative adottate in Svezia e in Italia nei confronti dei minori stranieri non accompagnati. SVEZIA La Svezia è nota per la sua posizione di Stato garante dei diritti dei bambini presenti sul territorio. Essa firmò la convenzione Onu sui diritti dell’infanzia in cui ogni forma di discriminazione verso i minori deve essere abolita, e in cui si esprime che vanno garantiti in ogni forma il diritto dei minori alla vita, allo sviluppo e alla libera espressione. In linea generale va precisato che a tutti i minori dai 0 ai 18 anni presenti sul suolo svedese vengono riconosciuti i diritti stabiliti dalla CRC (Convenzione dei diritti del bambino), siano essi cittadini svedesi, siano essi non cittadini che però risiedono sul territorio svedese, compresi i minori rifugiati o in assenza di documenti. L’agenzia nazionale dell’istruzione svedese ha inoltre sviluppato delle linee guida per l’educazione dei “Newly arrived pupils” (i nuovi arrivati). Dopo quattro anni di istruzione in Svezia però il minore cessa di essere considerato un nuovo arrivato. I comuni hanno poi l’obbligo di assicurare l’istruzione, l’assistenza sanitaria, un alloggio, la presenza di un tutore per ogni minore, non che di adempiere ai percorsi per la ricerca dei parenti. Nonostante la forte protezione e salvaguardia dei diritti dell’infanzia in atto da parte della legislazione svedese le autorità governative dal 2016 hanno introdotto misure restrittive in merito alle politiche migratorie. A titolo di esempio la commissione Europea ha portato a termine l’accordo con l’Afghanistan per facilitare il rientro dei rifugiati africani, ciò però ha aumentato il rischio di incrementare il numero di minori irreperibili. ITALIA L’Italia presenta un buon sistema di protezione sul piano legislativo per i minori non accompagnati. L’ultima legge approvata a riguardo è la legge n.7 del 2017. In essa si sottolinea l’importanza del diritto all’istruzione perché la scuola è aperta a tutti ed è inclusiva, e il diritto all’ascolto dei minori. Ma essa presenta anche delle criticità, come l’assenza di fondi dedicati ad affrontare il fenomeno. La stessa legge infatti precisa che l’attuazione delle sue disposizioni verrà fatta nei limiti delle risorse umane e finanziarie. Se però sulla carta siamo un paese dotato di una struttura che tutela i minori e di una politica educativa formalmente attenta alle differenze e ai processi di inclusione, permane in Italia una questione culturale che vede diffusa la percezione dell’emergenza e del pericolo. La cornice internazionale che dirige entrambe le strategie nazionali prese in esame resta quella fornita dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia approvata dall’assemblea generale nel 1989. Nello specifico “l’articolo 20” della Convenzione richiede agli Stati aderenti di attivarsi per la protezione e l’assistenza dei minori che si trovano temporaneamente o definitivamente privati del loro contesto familiare. “Nell’articolo 19” della Convenzione, essa chiede a tutti gli Stati di mettere in atto ogni strategia e azione necessaria a prevenire ogni forma di violenza verso i minori. Fra le forme di violenza vanno considerati non solo la violenza e l’abuso fisico e psicologico, ma anche lo sfruttamento ai fini lavorativi e lo sfruttamento sessuale, che può causare lesioni, morte, sofferenza psicologica e problemi di sviluppo. Per rientrare in una logica di diritto e però prima di tutto necessario essere “visti “dalle istituzioni, dove per essere visti significa passare attraverso la logica dell’identificazione che consente di sancire che il soggetto rientra nello status di minore non accompagnato. Il rischio di fronte all’iter processuali che prevedono accertamenti medici giudiziari è però quello di perpetrare in uno stato di violenza intesa come lesione della dignità del soggetto e della sua integrità psicofisica. In molte situazioni però è proprio questo passaggio di identificazione l’ultima possibilità di salvezza e di libertà. La Svezia ha saputo sviluppare una strategia di attenzione rispetto ai minori stranieri. La strategia svedese infatti prevede una considerazione particolare per tutti coloro che arrivano da altri paesi, pensando ai new arrival pupils come specifici detentori di bisogni educativi di cui la scuola deve farsi carico. Un aspetto principale in tale strategia è connesso all’educazione linguistica, con il diritto a mantenere e coltivare la propria lingua d’origine all’interno del percorso educativo, sviluppando al contempo la lingua svedese come seconda lingua. Ma l’aspetto linguistico non è la sola sfida presente nell’inserimento dei MNA nei sistemi educativi: un elemento cruciale è anche la progettazione della modalità diinserimento. Spesso infatti i MNA hanno alle spalle viaggi di molti mesi che hanno loro impedito per un tempo molto lungo la frequenza scolastica. La definizione del livello di scolarizzazione del minore e la scelta della classe di inserimento non può dunque basarsi soltanto sull’età anagrafica, me sulle competenze in possesso. È necessaria una valutazione che sappia tenere conto non solo del vissuto, ma anche del significato che la scuola rappresenta per questi minori allo stato attuale, affinché l’educazione possa svolgere la sua funzione di “cura “. Quanto va evitato, infatti è la comparazione di questi minori spesso adolescenti, alle rappresentazioni di uno studente tipo, vale a dire di un adolescente dedito principalmente allo studio e ancora lontano dalla definizione di un proprio progetto di vita. Se pensiamo al contesto italiano, l’immaginario collettivo e anche istituzionale del paese vede negli adolescenti prossimi ai 18 anni dei minori ancora lontani dall’autonomia e naturalmente diretti a proseguire gli studi. I minori non accompagnati invece rompono questi immaginari portando invece adolescenti che vogliono al più presto rendersi autonomi, che mirano ad un progetto lavorativo che consenta loro di mantenersi e spesso Possiamo analizzare un articolo di “Giovannetti e Accorinti”, dove in questo articolo sottolineano come la mancata realizzazione del “filiera dell’accoglienza”, l’assenza di indicazioni a livello nazionale, gravano sul lavoro degli operatori e rendono più difficile i processi di inclusione dei MSNA. Nelle narrazioni degli operatori emerge con forza il senso di frustrazione rispetto al proprio lavoro. La centralità dei processi formativi dedicati all’accoglienza è avvertita come prioritaria degli stessi operatori i quali si trovano spesso a dover gestire la complessità del loro lavoro senza necessarie competenze. La fragilità del lavoro di rete emerge anche dalle narrazioni degli operatori quando descrivono la costruzione del PEI, che rappresenta il principale strumento utilizzato delle comunità nella costruzione del percorso di integrazione del MSNA. L’alfabetizzazione risulta essere il primo passo compiuto nel percorso di accoglienza del minore. Tuttavia l’inserimento di MSNA Nei sui corsi di alfabetizzazione rischia di non garantire il successo dei percorsi di accoglienza. La letteratura internazionale ha sottolineato l’importanza della scuola come luogo di aggregazione e di integrazione per il MSNA, considerandola un terreno fertile di confronto, capace di generare occasioni di dialogo in un contesto interculturale. Sebbene stia crescendo il numero di MSNA iscritti a scuola, il lavoro di rete con la scuola è attraversato da almeno due criticità: 1) La prima dipende dall’obbligo d’istruzione; 2) La seconda invece riguarda le aspettative degli MSNA i quali, spesso hanno intrapreso il loro progetto migratorio prevalentemente per ragioni economiche. Gli operatori padovani intervistati lavorano con ragazzi che chiedono, come prima cosa “quand’è che vado a lavorare?” Gli adolescenti intervistati manifestano almeno due atteggiamenti diversi rispetto al percorso migratorio. Un primo gruppo di minorenni ha lasciato la famiglia con un progetto che mira ad un buon lavoro e alla possibilità di guadagnare per poter migliorare la propria condizione economica. Un secondo gruppo di minorenni non aveva maturato un proprio progetto migratorio, il loro arrivo in Europa è legato al contesto culturale giovanile che vede l’esperienza della migrazione con rito di passaggio vantaggioso per chi sa cogliere quest’opportunità. “L’inserimento sociale” e “l’autonomia” sono le due proprietà messe in evidenza per i minori. L’autonomia riguarda in primo luogo il lavoro perché la dimensione lavorativa è la posizione di partenza rispetto all’inserimento sociale. Infatti negli ultimi 10 mesi prima dei 18 anni l’attenzione degli operatori si concentra sugli aspetti legati al mondo del lavoro. Da un altro lato viene imposto l’avviamento al tirocinio, dall’altro il minore viene affiancato da un volontario o da un operatore nella redazione del proprio curriculum per la ricerca di un lavoro futuro. Lo strumento principale per la transazione verso la maggiore età diviene allora il “tirocinio formativo retribuito” tramite fondi straordinari di solidarietà, questo denaro permette di avere una piccola riserva per affrontare la vita una volta usciti dalla comunità. In molti casi però per questi ragazzi si apre quindi una fase “grigia“; l’idea che la sera prima del 18º compleanno il minore debba avere la valigia pronta ed il giorno dopo riceverà le dimissioni si scontra con la mancanza di opportunità lavorative e suggerisce alla comunità di accoglienza di prolungare l’accoglienza o di provare a stabilire un nuovo rapporto lavorativo con il minore che diviene maggiore, per esempio dando il compito di tutor operator nella comunità stessa, prendendosi cura dei ragazzi appena arrivati. Operatori e famiglie intervistati ci restituiscono una valutazione positiva dell’intervento di affido familiare dei MSNA: le famiglie coinvolte descrivono l’esperienza come arricchente, prescindere dal successo. Capitolo IV “Modelli e prassi innovative per l’accoglienza e la tutela dei minori stranieri non accompagnati. Il progetto Pueri” Il numero dei minori stranieri non accompagnati in arrivo in Italia, ha avuto negli ultimi anni un incremento significativo. Se prima i minorenni sono iniziarono ad arrivare alla fine degli anni 80, la prima ondata numericamente significativa si ebbe a cavallo tra la fine degli anni 90 e l’inizio del II millennio. La caratteristica che contraddistingue questi minori è il fatto di sperimentare l’esperienza migratoria da soli, senza adulti di riferimento. Di fronte a questa categoria di migranti l’Italia ha implementato un sistema di accoglienza specifico. I primi interventi sono stati caratterizzati da una condizione di continua emergenza, che non permetteva di promuovere interventi di tipo programmatico. Nel 2015 i servizi a supporto dei - La situazione in Toscana La regione Toscana da alcuni anni dispone di un costante monitoraggio del fenomeno, finalizzate alla raccolta delle informazioni sui minori accolti in strutture residenziali e su interventi attivati a sostegno di minori stessi. Per quanto accogliente la comunità non è un ambiente di vita normale per crescere. Essa rappresenta quel periodo nel quale gli operatori cercano di promuovere lo sviluppo dell’identità di soggetti, cercando di costruire con loro un equilibrio tra il tempo di permanenza e il progetto di vita futura. L’indagine effettuata nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado della regione Toscana nel 2015, ha voluto conoscere i percorsi di integrazione degli alunni stranieri non accompagnati. È stato possibile ipotizzare l’approfondimento di lavoro sulle strategie di gruppo classe; migliorare l’accertamento dei livelli di partenza dei minori iscritti; prevedere una maggiore presenza nelle scuole di mediatori linguistici e culturali; incrementare i corsi di alfabetizzazione e prevedere una formazione di docenti sui diritti di cittadinanza. I percorsi di insuccesso scolastico dei MSNA evidenziano che la scuola resta il luogo in cui una parte di loro sperimenta piccoli/grandi fallimenti. Ma gli insuccessi non ci raccontano solo le fra fragilità di singoli soggetti ma fungono da specchio dell’intero sistema sociale. Altre criticità dipendono dal fatto che questi ragazzi non sono abituati a studiare, a gestire tempi e modi autonomi di studio fuori dalla scuola. Le maggiori difficoltà sono da attribuirsi alla difficoltà di diversità dei livelli di partenza e di comunicazione linguistica. Ma allo stesso tempo la storia di vita, da ascoltare, scrivere, leggere o far leggere ad altri, da raccogliere, potrebbero trasformarsi in una straordinaria opportunità interculturale. Come opportunità di riflessione pedagogica sulla significatività e sul valore che rivestono gli interventi educativi, è stata condotta una ricerca empirica nei centri di seconda accoglienza che ha utilizzato come strumento di indagine l’intervista “semi- strutturata” per raccogliere storie di vita che raccontano esperienze dolorose talvolta traumatiche che esprimono il bisogno di essere ascoltate per recuperare la fiducia in un modo ostile. L’intervista semi- strutturata significa per il ruolo che in essa può assumere l’intervistatore. Egli è libero di modificare in corso d’opera l’intervista sia nei contenuti che nei suoi modi formulare le domande. Tale tipologia di intervista si caratterizza per “flessibilità” e “adattabilità”, due progettate per gestire il colloquio senza vincoli e con maggiore libertà. Il campione della ricerca è rappresentato da otto minori stranieri non accompagnati dai 15 ai 17 anni tutte di genere maschile. Dalle interviste è emerso che tutti i minori stranieri non accompagnati sono parte di un nucleo familiare composto da fratelli sorelle. Nessuno è risultato figlio unico. In cerca di un futuro migliore, avrebbero poi affrontato il viaggio per l’Europa, con l’intento di raggiungere la Germania. In merito alle decisioni di partire, i ragazzi affermano tutti di averlo esplicitato ai genitori ed averne acquisito il consenso, tranne uno che ha avuto la proposta direttamente dei genitori. I ragazzi hanno raccontato volentieri forse perché la narrazione permette di dare sfogo ai sentimenti spesso inesprimibili perché connotati negativamente dentro di loro. Il bisogno di raccontarsi dei minori stranieri non accompagnati nasce dalla sofferenza che chiede di essere rielaborata e alla domanda perché sei sparito? I minori hanno risposto tutti “per la speranza di una vita migliore “. Nonostante la volontà di migliorare la propria condizione economica, è doveroso considerare quelle che sono le volontà soggettive di ogni minore, le loro emozioni ed i loro sogni. Se rintraccio così una spinta che, da un lato, rivolta al sentirsi utili per la famiglia, dall’altro, ad un desiderio di autorealizzazione e affermazione. Essere ascoltati e valorizzati nella loro diversità, avere utilizzato la metodologia dell’intervista semi- strutturata per dare loro la possibilità di essere ascoltati per aiutarli a decifrare il significato dell’esperienza vissuta, ha significato condurre una ricerca socio educativa in cui l’intervistatore ha utilizzato continuamente il suo occhio, il suo orecchio la sua attenzione, capace di andare in profondità rispetto alle tematiche, non tanto per spiegarle ma per comprendere il senso che rivestono per l’intervistato, per annotare ciò che egli vede attraverso una capacità riflessiva. La narrazione ha potuto acquisire lo statuto di metodo nel momento in cui la ricerca è stata concettualizzata come “esperienza “e l’obiettivo è stato quello di comprendere il significato dell’esperienza. I minori migranti dunque devono prima essere trattati come minori e poi come migranti. Questi sono minori che non hanno nessun adulto che possa garantire per la loro protezione e rappresentano una denuncia di un disagio sociale contingente. Capitolo VI “Accompagnare MSNA verso l’autonomia: ricerca e politica in dialogo per migliorare l’efficacia degli interventi” Il termine “Autonomia” richiama un costrutto teorico complesso frequentemente utilizzato come uno degli obiettivi principali dei progetti educativi, sia che questa rivolta alla prima infanzia, alla disabilità, a minori o adulti che si trovano in particolari situazioni di disagio. Ci si sofferma sulla “fatica” del diventare autonomi di ragazze e ragazzi che, con il raggiungimento della maggiore età, si trovano costretti a lasciare il percorso di protezione e tutela; si tratta di coloro che la letteratura scientifica anglosassone definisce “care leavers” (giovane in uscita del sistema di cura). Per questi ultimi l’uscita dei contesti educativi che fino a quel momento si sono occupati della loro crescita e protezione rappresenta una fase di transizione molto critica e delicata. In tale direzione, appaiono interessati gesti di alcune indagini empiriche, che hanno rivelato la percezione e di vissuti dei MSNA rispetto al loro percorso migratorio e dagli interventi educativi attivati dei servizi di accoglienza residenziale in cui sono stati ospiti. Nello specifico, si vince il desiderio da parte di giovani di cambiare la propria vita e di sperimentare nuove opportunità, anche se con un forte desiderio di soddisfare le aspettative della famiglia, che molte volte risulta essere il mandante nel percorso migratorio. Particolarmente rivelanti sono le considerazioni rispetto agli interventi delle opportunità educative offerte loro, infatti se da un lato le attività proposte dei servizi di accoglienza vengono disconosciuti come positive, dall’altro lato sono viste come non pienamente rispondenti ai bisogni, in quanto il progetto educativo non sempre comprende in modo adeguato alle motivazioni della migrazione. Occorre quindi ripensare le metodologie e alle misure di intervento al fine di supportare in maniera efficace l’esigenza dei MSNA. - IL CONTESTO DELLA RICERCA: LA REGIONE SARDEGNA Il contesto territoriale a cui il progetto di ricerca fa riferimento è la regione Sardegna, una regione che si sta confrontando con l’urgenza di questo fenomeno. La regione ha adottato diversi provvedimenti in materia di accoglienza, in particolare si è dotata di un “piano regionale per l’accoglienza dei flussi migratori”, che definisce interventi da porre in risposta alle problematiche legate alla gestione dei flussi migratori non programmati e, sostanzialmente, promuove programmi di inserimento socio-lavorativo della popolazione immigrata. In particolare, il piano prevede che siano rafforzare le strutture disponibili trattamento con i minori di cittadinanza italiana o dell'Unione europea; nel comma 2 si dichiara che le disposizioni previste dalla legge si applicano ai minori stranieri non accompagnati, in ragione della loro condizione di maggiore vulnerabilità. L’articolo 11 della legge 47 prevede l’istituzione presso il tribunale per i minorenni di un registro di cittadini volontari dal quale l’autorità giudiziaria attingerà per la nomina del tutore di un minore non accompagnato da adulti di riferimento. Il tutore volontario è quindi il cittadino che si attiva con l’unico interesse di realizzare le dimensioni di diritto previsto dalla nostra legislazione, stabilendo una relazione solidale con il ragazzo per supportarlo nella difficile condizione migratoria ma anche per affrontare insieme a lui un contesto e un sistema il quale, nonostante la legge, spesso non riesce a rispondere ai bisogni e diritti di cui ragazzo è portatore. Il sostegno dei tutori giocherà certamente una funzione decisiva nell’aiutare i minorenni stranieri presenti nel nostro paese in un contesto che è sempre più caratterizzato della discriminazione, della Xenofobia, dell’esecuzione sociale. I 10 compiti più importanti il tutore sarà chiamato a svolgere sono: 1) la presentazione della richiesta di permesso di soggiorno per conto delminore; 2) la presentazione della domanda di protezione internazionale per conto del minore; 3) il supporto e la valutazione al minore delle scelte per la sua accoglienza; 4) la partecipazione alla fase di identificazione del minore e supporto durantel’accertamento dell’età; 5) la richiesta per i minori vittime di tratta di un programma specifico; 6) la richiesta di avvio delle eventuali procedure per le indagini familiari e per il conseguente ricongiungimento familiare; 7) la rappresentanza legale nell’ambito delle procedure scolastico/formative; 8) la richiesta di iscrizione al servizio sanitario nazionale; 9) il sostegno nel periodo di transizione verso la maggiore età; 10) la rappresentanza degli interessi del minore e suo accompagnamento in tutti i procedimenti giurisdizionali che lo coinvolgono. Purtroppo la dimensione costante di straordinarietà che caratterizza una grossa porzione del sistema di accoglienza in Italia evidenza quanto la realtà dei fatti sia distante dalla legge. Infatti possiamo certamente affermare che le condizioni riservate alla popolazione migrante nei luoghi di destinazione aumentano il grado di “vulnerabilità” costringendo in molti casi ragazzi a una condizione di “invisibilità” e quindi di carenza dei meccanismi di protezione a cui avrebbero diritto. Capitolo VIII “Tanti volti, tante storie, tante vite. L’esperienza del Consorzio Agorà sul tema del MSNA” Il consorzio Agorà si costituisce nel 1995 come risultato formale di un percorso di integrazione, di scambio e confronto dell’esperienza di gestione dei servizi al disagio minorile, di quattro cooperative attive da diversi anni nella città di Genova e nel territorio regionale. Ad oggi aderiscono al consorzio sociale Agorà 8 cooperative sociali, nonché associazioni interessati ad attivare interventi diversificati su tutto il territorio. La missione del consorzio agorà è quindi progettare e dar vita ad iniziative capaci di portare benefici al territorio non solo in termini di sviluppo economico locale ma anche di maggiore solidarietà, promuovendo l’integrazione sociale tra i cittadini. Le prime esperienze delconsorzio nell’ambito dell’accompagnamento di minori stranieri risalgono ai primi anni ’90 dove vediamo come protagonisti i minori albanesi senza figure parentali e le famiglie Rom. In entrambi i casi l’approccio è molto dinamico per facilitare i momenti di “aggancio” e di relazione. Il progetto ha portato a rivitalizzare le giovani vite; abbiamo opportunamente lavorato sulla dimensione del femminile e del maschile pranzo, merenda e cena. Un medico di struttura garantisce i servizi di medicina di base, farmaci ed esami specialistici sono a carico della struttura. Le attività proposte sono: - Attività legate alla formazione cioè la scuola; - Attività legate alla vita comunitaria cioè la routine quotidiane; - Attività legate alla strutturazione del tempo e al tempo libero come la cura di hobby e passatempi personali. La comunità è progettata per ospitare un numero massimo di 23 ragazzi, nella fascia d’età compresa fra i 13 e i 18 anni. Si tratta di ragazzi stranieri non accompagnati che si caratterizzano per l’inadeguatezza o l’assenza di modelli genitoriali a cui fare riferimento e spesso per la mancanza di una cura sia della persona che dei bisogni relativi all’età, così da assicurargli i bisogni basilari ma fondamentali per l’adolescente: - Vivere in un ambiente affettivo; - Essere riconosciute come persone; - Essere accettati e sostenuti; - Creare delle relazioni interne affettive sia con gli educatori che con gli altri ragazzi presenti in struttura. Capitolo IX Infanzie migrate e interventi educativi nei contesti di emergenza per minori stranieri non accompagnati. Una ricerca-azione partecipata L’esplosione della questione dei richiedenti asilo in particolare dei MSNA, obbliga tutti i paesi ad agire con maggiore efficacia in termine di monitoraggio, protezione e salvaguardia dei diritti. In tema di minori stranieri rifugiati non dobbiamo dimenticare che: - I minori non accompagnati o separati dal nucleo familiare devono essere tenuti al sicuro e tutelati; - L’interesse superiore del bambino dovrebbe essere un riferimento primario per ogni decisione relativa ad un minore; - I minori devono avere accesso ai servizi essenziali, quali la salute e l’educazione. La Convenzione ONU rappresenta la più alta affermazione dell’infanzia e dei suoi diritti specie quando afferma che: - Nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o a trattamenti crudeli; - Nessun fanciullo sia privato di libertà in maniera illegale o arbitraria; - Ogni fanciullo privato di libertà sia trattato con umanità e con il rispetto; - Ogni fanciullo privato di libertà sarà separato dagli adulti; - I fanciulli privati di libertà abbiano diritto ad avere rapidamente accesso ad un’assistenza giuridica o ad ogni altra assistenza adeguata. La centralità del bambino è affermata come una necessità primaria. I MSNA corrono il rischio di rimanere intrappolati all’interno di categorie sociali che non hanno a che fare con l’educazione ma che divengono reali quando questi giovani, già sconvolti dal trauma della migrazione, devono fare i conti con le architetture dei nostri sistemi da soli. In gioco c’è l’identità del bambino. Il mondo adulto è chiamato ad un investimento di responsabilità e per fare ciò l’adulto deve porre particolare attenzione alla dimensione della cura; è impossibile garantire diritti senza una responsabilità di cura della società adulta (famiglia, scuole, servizi sociali). Lo scopo di questo studio è: - Incoraggiare un approccio riflessivo e trasformativo fondato sulla progettazione educativa e sulle pratiche didattiche; - Promuovere la circolarità e la diffusione di diversi modelli di progettazione; - Migliorare le dimensioni organizzative dei servizi di accoglienza per MSNA. Nella ricerca si è optato per un approccio collaborativo ma anche qualitativo, ha coinvolto ricercatori universitari e gli operatori sociali permettendo una comprensione approfondita dei servizi di prima e seconda accoglienza per i MSNA. La prima fase dello studio è stata condotta in 18 mesi, articolata in cinque livelli progettuali mentre la seconda fase dello studio, attualmente in corso, prevede il coinvolgimento di un secondo gruppo di volontari. L’intervista (face-to-face) ha coinvolto il gruppo di ricerca e i volontari del servizio civile nazionale, ogni intervista composta da nove domande, è stata condotta da un ricercatore universitario con il sostegno di un volontario del servizio civile. Per facilitare la comprensione delle domande e per fornire risposte efficace, quattro interviste sono state totalmente condotte in inglese e due sono state condotte parzialmente in francese. L’obiettivo dell’intervista è quello di capire il motivo dell’abbandono del proprio paese e la scelta di partire. Le interviste sono state registrate, trascritte ed analizzate mediante codifica manuale. È stata utilizzata un’analisi basata sulla Grounded Theory. In questo contributo si prenderà in considerazione solamente l’analisi delle domande\risposte afferenti al primo concetto dell’intervista (infanzia nel paese di origine). L’obiettivo di questa domanda era quello di capire quali fossero le dimensioni e le caratteristiche emergenti dell’infanzia in luoghi e contesti diversi. La domanda mirava ad evocare ricordi sulla vita dei minori. Analizzando i relativi frammenti abbiamo individuato 6 diversi focused codes: - Gioco: Il gioco rappresenta uno dei codes il quale ci riporta a due diverse esperienze di infanzia, infatti alcuni dei bambini ricordano esperienze di gioco, altre invece hanno parlato dell’impossibilità di giocare. - Spazi, luoghi e contesti: Tutti i MSNA intervistati hanno espresso la consuetudine di trascorrere molto tempo all’esterno dell’abitazione, vivendo e giocando nelle città, nelle strade e nelle piazze; in alcuni casi da soli in altri assieme ad altri bambini. - Genitori e famiglie: Questo code dimostra che i racconti\episodi di vita familiari o di tempo intimo e condiviso con i genitori sono totalmente mancanti. I genitori non sembrano occuparsi dei figli e ancor meno trascorrere molto tempo con loro. - Scuola: l’esperienza scolastica, per i bambini di paese di provenienza dei MSNA, assume elementi di complessità dati dai territori e dalle specificità culturali. Esistono due tipologie di scuola: la scuola pubblica e la scuola confessionale, i bambini raccontano esperienze ed abitudini differenti. Infatti, ci sono quelli che possono partecipare ad entrambe le scuole e poi ci sono i La definizione di “minori stranieri non accompagnati”, è proposta dalla comunità europea nel 1997. Tale definizione, dal punto di vista pedagogico educativo, è scivolosa e il suo uso, con l’acronimo Msna, disumanizzante. Questo perché i ragazzi di cui si parla sono minori quando arrivano in Italia ma diventano maggiorenni, sono stranieri per cittadinanza ma diventano alunni delle scuole italiane, sono non accompagnati da una figura adulta ma migrano su ordine della famiglia, perciò sono soli ma non isolati perché portano con sé legami familiari e affettivi. In questo saggio si assume una prospettiva che è quella della resilienza che considera le storie di questi ragazzi con i loro legami, le loro esperienze e viene proposta la famiglia come anello di passaggio dalla comunità alla vita autonoma. Lo stesso Ervin Goffman spiega che la famiglia restituisce dignità al singolo. In famiglia le persone sono accolte nella loro individualità e ogni soggetto è attivo e protagonista, invece i minori stranieri non accompagnati diventano persone con un nome, una storia e un’aspettativa per il futuro. Contesto della ricerca: un progetto pilota Viene realizzato un progetto di accoglienza per inserire i minori stranieri non accompagnati nel mondo del lavoro, promosso dal fondo Asilo Migrazione e integrazione del ministero dell’interno. Esso coinvolge quaranta minori giunti in Italia senza accompagnamento. Lo studio si focalizza sui minori in Lombardia dove le famiglie sono più disponibili ad accogliere. Nuclei familiari partecipano al progetto iscrivendosi attraverso il sito del progetto, si candidano per brevi soggiorni (una settimana), durante le vacanze estive, natalizie o pasquali. Altre famiglie si candidano per periodi più lunghi. Obiettivi e domande di ricerca Lo studio realizzato si propone di indagare come un soggiorno breve o lungo in una famiglia possa essere un fattore di resilienza(forza) per i ragazzi che a diciotto anni si preparano a lasciare la comunità per minori; come il soggiorno in famiglia rende autonomi i ragazzi. Questa indagine è guidata dalle seguenti ipotesi: - Un soggiorno in famiglia ha, per il ragazzo, significati affettivi, simbolici. - L’esperienza e il legame che si crea è un fattore di resilienza nella crescita degli stranieri. - La famiglia in Italia non è sostitutiva della famiglia d’origine ma un ponte verso l’autonomia in società. L’indagine è inoltre guidata da domande quali: quale ruolo assume un soggiorno breve o prolungato in famiglia, per un minore non accompagnato, oltre l’esperienza nella comunità? Quali significati affettivi, simbolici assume questa esperienza per il ragazzo e per i diversi soggetti della famiglia che lo accoglie? Metodologia di ricerca La metodologia adottata è qualitativa, volta a far emergere i diversi punti di vista dei soggetti in gioco in un preciso contesto. Si presta attenzione a coloro che hanno realizzato il progetto, attraverso interviste, ai ragazzi che vi hanno partecipato attraverso interviste semi-strutturate, ai membri delle famiglie ospitanti attraverso focus di gruppo. Popolazione e campionamento Lo studio è condotto nella città di Milano e in comuni vicini. Vengono condotte dieci interviste ai ragazzi accolti in famiglia con età compresa tra i 16 e i 19 anni. Sono condotti due focus di gruppo, ciascuno con otto partecipanti. Le famiglie sono giovani con bambini di età scolare o prescolare, coppie con figli adolescenti o senza. L’obiettivo del progetto era quello di verificare se e come il soggiorno possa creare un legame profondo tra il ragazzo e la famiglia ospitante e se questo legame possa permettere l’inserimento sociale e lavorativo dei ragazzi. Dallo studio emergono tre risultati: - Soggiorno in famiglia come esperienza emotivamente intensa. Dai risultati emerge come l’esperienza sia intensa sia per le famiglie sia per i soggetti ospitati. Vivere la quotidianità crea un legame profondo. - Continuità dei legami tra paese d’origine e paese ospitante come fattore di resilienza. Emerge come il legame con una famiglia in Italia non sostituisce la famiglia naturale bensì esso costituisce un’occasione per la valorizzazione del legame con la famiglia d’origine. - Riferimenti adulti in Italia come fattore di orientamento nel contesto sociale e professionale. I risultati emersi dimostrano come l’esperienza possa favorire l’integrazione sociale e lavorativa dei ragazzi accolti. La famiglia ospitante infatti può gestire i rapporti dei ragazzi con il datore di lavoro. Conclusioni. Famiglia come palestra di Intercultura L’esperienza in famiglia si presenta non tanto come un’esperienza alternativa rispetto all’ accoglienza in comunità ma come un’opportunità di ampliamento dell’esperienza stessa, con implicazioni a livello emotivo ed educativo, a livello formativo e culturale e a livello sociale. Dallo studio emerge che l’esperienza in famiglia rappresenta un fattore di resilienza nei percorsi verso l’autonomia di questi ragazzi. L’obiettivo iniziale del progetto era verificare il valore del soggiorno per i minori, ma è emerso come questa esperienza abbia un grande valore anche per chi accoglie i ragazzi. La vita quotidiana in famiglia diventa palestra di Intercultura per tutti. Capitolo XI “La scuola: approdo e ripartenza. La progettualità formativa in relazione a bisogni e risorse dei minori stranieri non accompagnati. “ Negli ultimi dieci anni, il fenomeno dei migranti minorenni non accompagnati è stato oggetto di studi e ricerche. In modo particolare l’attenzione è posta sull’esperienza formativa-scolastica di questi ragazzi, i quali quando arrivano nelle scuole, gli insegnanti si concentrano sui loro bisogni specifici e non sulle loro potenzialità innate. Bisognerebbe quindi creare un modello educativo e didattico specifico per i minori stranieri non accompagnati che si basi sul rispetto dei loro bisogni e sullo sviluppo della resilienza. La scuola italiana affronta il tema dell’accoglienza e della formazione degli studenti stranieri con l’integrazione. L’integrazione degli studenti stranieri viene intesa come meta e principio guida con alla base dei valori quali: l’attenzione verso la storia di ogni persona, lo sviluppo delle competenze basilari per mettere il soggetto nella condizione di agire in modo consapevole, una società basata sul rispetto delle culture e su una convivenza pacifica. L’integrazione nella scuola è un processo dinamico che va continuamente costruito e per integrare gli studenti stranieri porta ad interrogarsi sui cambiamenti di pensiero e di azione. Contesto della ricerca e obiettivi La ricerca su gli MSNA (minori stranieri non accompagnati) si è posta l’obiettivo di individuare le pratiche che favoriscono il processo di integrazione di quest’ultimi nei contesti scolastici. Sono stati presi in analisi sette progetti suddivisi in tre grandi aree: l’aria espressiva (ad esempio attività teatrali, musicali), area pratico-operativa (ad esempio laboratori culinari) e l’area linguistica (ad esempio l’apprendimento dell’italiano). Ci sono stati altri progetti come ad esempio lo sportello d’ascolto psicologico, corsi di formazione specifici per gli insegnanti, ma ciò che ha favorito l’integrazione degli MSNA è stata indubbiamente l’alfabetizzazione alla lingua italiana. Metodologie e strumenti di ricerca La ricerca è stata condotta tra febbraio e ottobre 2016, attraverso strumenti di natura quantitativa e qualitativa. Ai riferenti del progetto delle sette esperienze analizzate sono state somministrate delle schede volte a raccogliere informazioni utili per mettere a confronto le varie sperimentazioni, come per esempio il tipo di attività realizzata, le risorse utilizzate, le strategie educative, i risultati raggiunti. Tra le sette esperienze, due sono state analizzate in modo approfondito con osservazioni in aula e interviste. La prima esperienza è stata realizzata in una scuola secondaria inferiore con studenti di età compresa tra undici e quattordici anni affidati alle famiglie; la seconda esperienza è stata realizzata in un istituto professionali con giovani di età compresa tra i quattordici e i diciassette affidati alle comunità. Analisi dei dati Dalle schede di valutazione compilate dalle scuole è emerso che i sette progetti abbiano realizzato attività per MSNA e studenti stranieri. Sono stati impegnati trenta docenti e dodici esperti esterni, con un minimo di due ad un massimo di cinquanta ore per progetto. L’attenzione ai vissuti come premessa formativa Dalle interviste emerge che la condizione per istaurare un rapporto di fiducia tra docente e studente è quella di porre attenzione sulla storia dei minori, il cui viaggio non è ancora finito perché il loro percorso fisico si è fermato ma il loro sviluppo interiore cresce di continuo. I minori stranieri sono minori cresciuti in fretta e di conseguenza spaventati perché sono costretti ad un salto verso una maggiore età senza una preparazione. Per tale motivo alcuni stranieri restano intrappolati nel loro passato e provano ansia per il proprio futuro. Nel processo di apprendimento e integrazione bisogna considerare anche il vissuto emotivo di questi ragazzi ma non farne l’oggetto principale perché col tempo potrebbero essere falsate. Bisogna anche considerare che gli MSNA hanno una storia scolastica precedente diversa: alcuni non sono mai andati a scuola ed hanno grandi aspettative, altri hanno una brutta esperienza, altri la vivono come un obbligo. Leggere i bisogni dei MSNA I minori stranieri non accompagnati spesso hanno difficoltà ad esprimere i loro bisogni, in quanto si sentono in debito nei confronti di chi li accoglie e preferiscono non fare richieste
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved