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Appunti delle lezioni di "Forme e Funzioni dell'arte contemporanea" - LM ARTI VISIVE, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Appunti delle lezioni del corso "Forme e funzioni dell'arte contemporanea" (corso integrato di ARTE CONTEMPORANEA A), tenuto dal prof. Roberto Pinto. Corredato da link, immagini e approfondimenti, il documento illustra le radici storiche (dalle avanguardie fino all'arte degli anni '60 e '80) dell'arte partecipativa e dell'estetica relazionale. Performance, azioni, installazioni di artisti italiani e internazionali, per dare una lettura complessiva delle pratiche artistiche degli anni Novanta

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 23/05/2022

giuliavarriale
giuliavarriale 🇮🇹

4.4

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Scarica Appunti delle lezioni di "Forme e Funzioni dell'arte contemporanea" - LM ARTI VISIVE e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! ARTE PARTECIPATIVA E RELAZIONALE si sviluppa alla fine degli anni ’80 e soprattutto negli anni ’90 → Ripercussioni anche su quello che vediamo oggi + radici che si possono ritrovare nell’arte del passato BOURRIAUD ha un approccio più curatoriale, oltre che anche teorico: parte dal lavoro di alcuni artisti; parte dall’esperienza di Duchamp → Come si è arrivati ai ready-made BISHOP ha un approccio più storico; se Bourriaud dava troppa importanza all’oggetto degli anni ’60 e ’70, secondo la Bishop bisogna dare rilevanza ad episodi dell’arte contemporanea che si mescolano con un’esperienza della partecipazione, di fatto teatrale → Si parte dalle serate dadaiste e si arriva fino alla performance ➢ FELIX GONZALES-TORRES: l’oggetto non è più costruito per essere osservato (neanche da un punto di vista concettuale), ma per essere agito → c’è un’azione (azione necessaria, quasi una presa di posizione che lo spettatore deve fare) e c’è una durata, dura il tempo necessario a consumarlo ▪ Lo spettatore può intervenire oppure osservare gli altri intervenire ▪ Perché l’artista decide di andare in questa direzione? 1. Si vuole mettere in crisi il sistema (che si basa su oggetto che viene venduto, collezionato, privatizzato), autocritica al mondo dell’arte. 2. L’azione dello spettatore deve essere perfettamente integrata e connessa a quella dell’artista – uno dei motivi teorici per arrivare a questa presa di posizione nasce da una sorta di DEMOCRATIZZAZIONE dell’arte, è lo spettatore che decide cosa farne, SE e QUANDO intervenire e partecipare (e a che livello) – la carica concettuale comunque non sparisce! “Ultitled (Portrait of Ross in L.A.)”, 1991 ▪ Si racconta un episodio drammatico non attraverso la rappresentazione, bensì attraverso la condivisione di un’esperienza ▪ Perché la caramella? Uno degli elementi che possono essere indicati come metafora dell’AIDS è proprio il modo di trasmettere, attraverso l’esperienza di conoscenza dell’altro – che si fa, in un certo modo, mangiandolo: incorporare l’altro, mangiare l’altro – applica questo pensiero teorico + mangiare è un atto naturale che fa parte dell’essenza umana + rievocazione del ricordo di una persona solo se ce ne siamo nutriti in parte, se ne abbiamo goduto → Peso totale delle caramelle = peso di Ross, persona amata dall’artista e morta di AIDS → Primo segnale della malattia è proprio la variazione di peso ▪ Non c’è esplicito invito alla partecipazione (altrimenti ci si sarebbe sentiti obbligati!), ma neanche un divieto ▪ Se non conosciamo la narrazione che c’è dietro all’opera, che ci può giungere grazie ad un contatto diretto con l’artista e con la sua opera, ci risulta difficile comprendere – dall’altra parte, si tratta di una narrazione estremamente diretta, che non ha bisogno di altre mediazioni e che può essere letta in un altro modo ancora (polivocità intrinseca) proprio attraverso il processo della malattia ▪ È un’opera che ha una TEMPORALITA’, seppur possa essere rigenerata ma non dall’artista, e richiede quindi un RE-ENACTMENT: azione da parte di chi lo installa che lo rigenera (perdita dell’originale montato da Felix Gonzales-Torres) ▪ Caratteristica soprattutto dell’arte degli anni ’80-’90 in poi, è che l’artista non costruisce più un singolo oggetto, bensì un’intera mostra (la vera “opera”), l’attenzione si sposta sull’obbiettivo finale, ovvero l’esperienza che lo spettatore fa nel vivere e attraversare la mostra → La mostra inizia a diventare molto importante dal Novecento (da Avanguardie in poi, e soprattutto dagli anni ’80) ➢ ALBERTO GARUTTI, esempio di artista che realizza lavori portati sullo spazio pubblico; nasce come artista concettuale ed è architetto di formazione → Ruolo del monumento che può avere all’interno dello spazio pubblico (massima espressione della democraticità dell’arte, perché si trova al centro di una piazza e non all’interno di un’abitazione o museo), il cittadino lo usa per agire nel proprio territorio e contesto → Prima, il monumento era affermazione del potere; ora, forse, porge degli interrogativi oppure può andare incontro a quella che può essere la condivisione di qualcosa “Ai nati oggi”, 1998-2021 (realizzato in diverse città) ▪ Sala parto dell’ospedale di Bergamo con pulsante che, se spinto, annunciava alla città una nuova nascita per mezzo di illuminazione delle luci nella piazza della città (piazza Dante) → Prevista sempre una targa esplicativa di ciò ▪ Secondo l’artista, l’unica cosa che forse possiamo davvero condividere è la NASCITA DI QUALCUNO, condivisione di positività Quando si parla di arte della partecipazione, si parla – indirettamente – anche di PROBLEMA POLITICO: comunicazione, coinvolgimento, possibilità di accesso o meno → Di fatto è un lavoro politico (toccato sia dalla Bishop, in maniera più pragmatica e concreta, fuori dal museo e dal mondo dell’arte; sia da Bourriaud, più legato ancora ad un sistema espositivo) ➢ LUCY ORTA, artista inglese che vive in Francia (prende il nome dal marito sudamericano) → Crea una serie di azioni attraverso il cibo, per far partecipare gli altri; andava nei mercati parigini e chiede ai commercianti di darle i prodotti che altrimenti sarebbero andati buttati; li conserva, lavora con i cuochi per creare conserve, marmellate e altri prodotti che venivano poi redistribuiti in diverse occasioni (ai senzatetto ma, in generale, per coinvolgere le persone nei problemi ecologici e legati agli sprechi → lavorare in una direzione di collaborazione) • “Dans le meme panier”, 1997 • “The Meal Act”, 2015: creazione di piatti che vengono venduti anche per finanziare la progettazione dell’azione e della redistribuzione del cibo ➢ TANIA BRUGUERA → Nel libro della Bishop, ci si interroga su una questione: è possibile far vivere una classe come fosse un’opera d’arte? L’arte può avere una funzione pedagogica? Esperienza artistica non ci porta ad un risultato definitivo, ogni esperienza è sempre diversa Esperienza “Càtedra Arte de Conducta”, 2002: sorta di corso per l’Accademia della Havana, tenuto in casa sua per offrire un’esperienza collettiva e condivisa, bisogna costruire insieme un sapere sulla scia della Bauhaus, ma qui lo si fa in modo quasi estremizzato: (≠ condizione gerarchica dettata da un’aula con professore in cattedra che infonde conoscenza agli studenti) si cucina insieme, si discute davanti ad acqua o cocktail, riportando anche a quelle che sono le necessità di tutti i partecipanti e confrontandole con quello che un artista può fare in quelle situazioni → Riferimento a Dewey e ad arte come esperienza • “Tu m’”, 1918 (olio su tela + oggetti): quando Duchamp torna a dipingere in modo anche concettuale, lo fa con un gioco di COSTRUZIONE DI REALTA’ E FINZIONE, di AUTOCITAZIONE e di RELAZIONE CON LE PERSONE Lavoro su commissione (di Katherine Dreier, aveva già acquistato l’opera “Il grande vetro”) che andava a chiudere la libreria → Si vedono delle cose in positivo ma anche delle ombre (che sono i ready-made di Duchamp ma anche un cavatappi di cui non si ha traccia, che può stare ad indicare che tutto può essere ready-made, anche ciò che non è stato usato dall’artista per essere esposto) - Campionario di colori (gioca sempre sui ready-madre, c’è già un processo industriale di cui facciamo parte) + vite VERA messa nel quadro + mano DIPINTA da un pittore di insegne, commissionato da Duchamp - Opera dipinta con FINTO taglio nella tela ma con VERE spille da balia che tengono unita la tela - SOVRAPPOSIZIONE TRA REALTA’ E FINZIONE, lo spettatore deve risolvere degli enigmi e si mette a dura prova la percezione di ciò che si vede A un certo punto, Duchamp dice di voler smettere di dipingere e addirittura di voler fare l’artista: ha incominciato a fare delle attività diverse, alcune delle quali sono ancora opere d’arte, altre no. • “Scatola-in-valigia”, 1935-41: una settantina di lavori in miniatura, ad imitazione dei suoi lavori precedenti e tra cui alcuni suoi ready-made Sono lavori non in copia unica, bensì un multiplo e ci sono anche diverse edizioni (deluxe, super deluxe, deluxe personalizzate, ecc.). Perché li fa? E perché c’è la necessità di riunirli in un unico posto? Solitamente si fa retrospettiva o catalogo per le opere più importanti, cosa succede in questo caso? Se prima un oggetto qualunque diventa ready-made e quindi arte, ora IL READY-MADE DIVENTA UNA SCULTURA, SI RITRASFORMA IN OPERA (miniatura: trionfo dell’artigianalità) - Non è un’imitazione di un’opera d’arte, bensì un’opera d’arte a sé stante (per questo non fa un libro!) e manca la GERARCHIA tipica dei cataloghi → ROTTURA DELLA LINEARITA’ delle cose (fluidità storica delle cose), la valigia si può aprire e si può creare retro-prospettiva ad hoc - Ma perché mostra tutte le sue opere insieme? È presente l’idea della RIPRODUCIBILITA’ DELL’OPERA (Benjamin, 1936) e rapporto nuovo con serie di immagini NON PIU’ UNICHE → L’artista è in grado di raccontarci le questioni importanti del suo tempo e, sostanzialmente, come si ricostruiva la realtà a quel tempo → Problema dell’originalità: è più originale il ready-made passato, oppure questa riproduzione in miniatura? - Si indaga proprio la FRUIZIONE museale: il museo tende a farci credere che ogni opera è un capolavoro, ma Duchamp sostiene il contrario ed è pronto all’ipotesi che le sue opere potrebbero un giorno non essere più importanti → RIVALUTAZIONE DELLE ISTITUZIONI E DELLA MOSTRA (es. non viene spiegato cos’è il futurismo, si fanno solo vedere opere futuriste e non l’interezza dell’esperienza) → Sarà lo spettatore a “VALUTARE” la propria esperienza ➢ K. SCHWITTERS, “Merzbau”, 1923-1937 ma opera volutamente incompiuta: studio che diventa un’opera d’arte, costituita da serie di oggetti (anche sporchi) dalla strada → Idea simile a quella ritrovata in Duchamp, ovvero che forse non c’è niente da vedere (non c’è oggetto significativo da ammirare, bensì l’idea di ESPERIENZA, la cui NARRAZIONE diventa parte dell’opera e senza questa alcune cose sarebbero incomprensibili (→ voluta incomunicabilità dell’arte contemporanea, che ci permette di caricarci cose che abbiamo vissuto e che fanno parte di noi, ma che ci fa anche riflettere sull’incomunicabilità tra di noi nella società in cui viviamo) DUCHAMP CURATORE. [1938-1966] Exposition Internationale du Surréalisme, Parigi 1938, presso galleria privata, “Galerie Beaux-Art”: - Organizzatori erano Breton ed Eluard; “Gènèrateur arbitre” era Duchamp, benché non abbia mai firmato alcun manifesto (né del surrealismo, né del dadaismo) - La regia di Duchamp in questa mostra era evidente: tentare di fare una mostra in cui non si vedevano opere surrealiste, bensì si faceva un’ESPERIENZA SURREALISTA che cominciava già ALL’ESTERNO→ opera di Dalì: antico taxi al cui interno c’era un manichino con lumache vere, pioveva dentro, foglie rampicanti sopra al taxi → RIBALTAMENTO DELLE QUESTIONI, TUTTO È SOTTOSOPRA, È UN MONDO ONIRICO IN CUI LE COSE NON FUNZIONANO COME LA REALTA’ CI FA CREDERE - Tutti gli artisti in mostra avevano un manichino uguale che potevano trasformare (corpo femminile che poteva essere manipolato, si gioca su diversi temi come quello identitario) - Ci sono porte girevoli degli alberghi (bloccate al pavimento e che servivano per appendere quadri), sopra c’erano sacchi di carbone, a terra c’erano foglie → RIBALTAMENTO di cose pesanti/leggere - Oggetti di mobilio, soprattutto letti (luogo surrealista per eccellenza: onirico, sessualità, inconscio) nei quali si poteva dormire davvero per vivere al meglio l’esperienza surrealista - Braciere che doveva essere acceso (non glielo hanno permesso!), al cui interno viene poi inserita una lampada perché doveva essere l’unico PUNTO DI LUCE FISSO DELLA MOSTRA → I visitatori avevano poi una lampada per entrare, per il resto era un ambiente semi-oscuro - L’esperienza si consuma nel tempo, c’è una PERFORMATIVITA’ della mostra All’interno della mostra “First Paper of Surréalisme” NY 1942, seconda mostra organizzata da Duchamp: in quel periodo, gli artisti di arte degenerata scappano da Parigi a causa dell’avanzata del nazismo - Si gioca sull’INSTALLAZIONE: funi, sorta di ragnatela che crea un ostacolo alla visione tradizionale → Nel ’42, a NY, c’è ancora bisogno di fare una mostra sul surrealismo? Duchamp, creando la “ragnatela” vuol dire che è una cosa che ha fatto il suo tempo, da mettere in soffitta - Aveva organizzato una PERFORMANCE ULTERIORE: bambini dovevano giocare a pallone durante l’inaugurazione (se fermati, avrebbero dovuto dire che erano stati organizzati da Duchamp) → SI SMONTA IDEA DI SACRALITA’ DELLA MOSTRA “Art of this century” 1942, collaborazione con Peggy Guggenheim, prima struttura del P.G. di NY con serie di sale surrealiste, astrattiste e una Kinetic gallery: - Duchamp la aiuta nell’esposizione (in alcune zone tutto è morbido e tondo, ricordando gli aspetti surrealisti e onirici, in altre ci sono sedie che sembrano sculture astrattiste) e c’erano alcuni oggetti, tra cui la “Scatola in Valigia” con timone e lente per mettere a fuoco i lavori Ètant Donnés, 1946-66, ultimo lavoro di Duchamp: non ci sono spiegazioni di questo lavoro, bensì solo dal punto di vista della costruzione del lavoro stesso, che gioca ancora una volta sullo spettatore - Dentro al museo si vede una porta vecchia, con serratura attraverso la quale si assiste a spettacolo pornografico → Si crea una fila di spettatori: più lo si guarda, più si verrà giudicati - Si vuole misurare quanto siamo voyeur? Quanto lo è l’arte? [interviste Duchamp su Virtuale + letture consigliate sul Dada americano] Si riparte dal PERCORSO STORICO DELLE MOSTRE, per capire proprio una funzione dell’arte (scardinata dalle avanguardie, insieme all’800 francese, all’impressionismo, ecc.) → Esposizione (da quadreria a “scatola bianca”) come momento di VISIONE, poi di RITROVO/DISCUSSIONE + Cambia rapporto opera-autore-spettatore e l’aspettativa di quest’ultimo (Duchamp – provocazione; Matisse che vuole sollecitare chi guarda) → Importanza di confronto e DIALOGO tra gli artisti alle esposizioni – V. appunti su questa parte Nel FUTURISMO c’è un ASPETTO PERFORMATIVO di relazione con lo spettatore in un modo ancora più dinamico (la storia della performance nasce qui!) e si coglie l’importanza della SPETTATORIALITA’, soprattutto quella data dai media, che riescono a coinvolgere “spettatori” allargati, anche non presenti alle esposizioni Manifesto del futurismo esce in diversi giornali, ma acquisisce carattere internazionale quando fu pubblicato su Le Figaro → Scelta del giornale non casuale, poiché ci si rivolge a tutti (implica una coscienza della necessità di ragionare ad un livello anche mediale) e tale familiarità si condivide anche con il TEATRO (si va a vedere un certo spettacolo, in un certo giorno) Quando si uniranno artisti più “visivi”, come Boccioni, vengono lo stesso realizzate opere nelle quali emerge un’idea di PERFORMATIVITA’ → es. nella “Manifestazione interventista” di Carrà, 1914, si declamava alla FOLLA (“Evviva il Re”) e ciò sottolineava che per i futuristi l’ATTO ARTISTICO DIVENTA IMPORTANTE SE COINVOLGE E TRASFORMA L’ESPERIENZA DELLE PERSONE (particolarmente evidente nelle serate futuriste) Il modo di fare e la presentazione degli artisti stessi, fa sì che diventino anche dei personaggi pubblici, politici (in senso più ampio del termine) ➢ RUSSOLO è un artista che parte da posizioni meno avanguardistiche (rispetto a Balla, Carrà, ecc.): crea macchine che creano RUMORI DELLA CITTA’ (≠ suoni piacevoli), gli aspetti fastidiosi che erano esemplificazioni di un modello di vita diverso e della modernità → Sirene, auto, ecc. sono i rumori del futuro, del futurismo ▪ Vi sono anche diverse vignette sui futuristi, che realizzano anche quasi deridendo loro stessi, ma che coinvolgono sempre più lo spettatore → Cambia l’idea di spettacolo: non c’è più un copione/palcoscenico/spettatore, bensì è permesso RISPONDERE ALLA PROVOCAZIONE lanciando oggetti, lamentandosi, ecc. È una cosa che il DADAISMO impara dal futurismo, ma con altri intenti: non intento provocatorio e con apprezzamento verso una società in evoluzione, industriale e guerrafondaia, bensì si rompe lo schema classico per creare una SITUAZIONE PURAMENTE PROVOCATORIA E ANTI-RAZIONALE → Il fatto che “Cabaret Voltaire” fosse il titolo del gruppo e non il teatro, testimonia la volontà di giocare su aspetti ironici e satirici, analizzando gli aspetti contraddittori della realtà → Si coinvolge lo spettatore, cercando di catturare lo spettatore attento o che ride: GIOCO DI INTERATTIVITA’, agevolato dagli aspetti ritmici e per nulla contemplativi (≠ rumori provocatori della città futurista, bensì musiche afro-americane, jazz) → Altre strategie per il coinvolgimento nascono dal linguaggio dei burattini: si creano linguaggi non comprensibili, onomatopeici, che coinvolgano → C’erano anche le SERATE DADAISTE, nelle quali si ricercava di mantenere un coinvolgimento molto “popolare” delle persone e per il quale si procede a rompere ancora lo schema classico del teatro ↘ Altro elemento di caoticità del dadaismo, lo si ritrova nella mostra “Dada-Messe”: discorso di fiera vera e propria applicata ad una mostra, anche dal punto di vista del coinvolgimento a 360°, e ci si trova ad esperire un evento dadaista (più che “vedere” delle cose) ↘ Altra rielaborazione della Rivoluzione d’ottobre è offerta da EISENSTEIN in “Ottobre ovvero I dieci giorni che sconvolsero il mondo” 1927 → Non più rappresentazione teatrale ma vero e proprio film, il cinema era una cassa di risonanza importantissima, questa rievocazione faceva sì che si facesse un racconto molto INDIRIZZATO di ciò che era successo (chi erano i buoni, chi i cattivi, cosa è successo) e che ci fosse un meccanismo di INCLUSIONE (rif. a Benjamin e al concetto di estetizzazione della politica: è la politica che si è appropriata di un linguaggio) Lo stesso procedimento di costruzione di un discorso di PARTECIPAZIONE di eventi storici (in questo caso non per mano degli artisti stessi) si può riscontrare durante il regime nazista e, in generale, nelle varie dittature → Grande partecipazione durante le adunate del nazismo o sotto il balcone di Mussolini, per esempio, in cui c’è una certa linea estetica che viene riproposta1 → Questo elemento, che nasce come una rappresentazione popolare, prende una strada estremamente lontana da questo percorso Qual era la situazione in Germania nel 1937? Hitler aveva parlato diverse ore in occasione dell’inaugurazione di due mostre, entrambe a Monaco: • La prima era la mostra “Grosse Deutsche Kunstausstellung” sull’ARTE UFFICIALE → L’arte può essere un elemento che fa riscoprire al popolo tedesco i propri lavori • La seconda era una mostra dedicata invece all’ARTE DEGENERATA, poiché al di fuori dell’identità tedesca, tutto è degenerato → Mostra più visitata dell’altra (per decenni la più visitata al mondo e per tre anni organizzata in altre sedi, da Monaco a Berlino) - L’arte diventa uno strumento di aggressione, di partecipazione, che gli artisti hanno visto come politico e inclusivo (fino a che punto dobbiamo credere a questa inclusione?) → Questa mostra voleva ragionare sull’idea di ESPERIENZA e di INCLUSIVITA’ dell’opera d’arte (sembra aver imparato la lezione di Duchamp e della Dada-Messe, nonostante la disposizione anche abbastanza tradizionale) - Altro modo di far partecipare il pubblico → Gran parte della mostra venne poi venduta in Svizzera (finanziamento della guerra), mentre il resto dell’arte degenerata fu bruciato e distrutto proprio da persone vicine a Hitler, che come spettatori avevano mano libera e la facevano passare come un’azione venuta dal popolo - Le persone andavano alla mostra e volevano partecipare all’esperienza per vedere, sostanzialmente, quanto erano cattivi, inferiori e degenerati gli altri artisti → Dal punto di vista della propaganda politica, è stato brillante organizzare una mostra sull’alterità ➢ JEREMY DELLER, “The Battle of Orgreave”2, 2001: il meccanismo già fatto proprio dalle avanguardie sovietiche per ricostruire la presa del Palazzo d’inverno viene, in questo caso, usato da Deller come UN’INDAGINE PSICOLOGICA → L’artista era rimasto molto impressionato dalle immagini in TV della battaglia di Orgreave del 1984, in cui furono protagonisti circa 15.000 persone tra poliziotti e miniatori in sciopero a seguito delle politiche di chiusura della Thatcher 1 V. film “Der Triumph des Willens (Triumh of the Will)” di LENI RIEFENSTAHL, 1936 (estratto su YouTube al link https://www.youtube.com/watch?v=Hu-CK47NM8E), in cui la regista si serve del cinema per arrivare ad un'estetizzazione della politica, comunicando i valori del nazismo di natura politico-ideologica che il cinema appunto fa sì che assumano un valore estetico. 2 V. ripresa del re-enactment su YouTube, al link https://www.youtube.com/watch?v=3ncrWxnxLjg oppure https://www.youtube.com/watch?v=tIfHJzUpGWg per la versione ridotta. ↘ Diventa un evento di cui nessuno ha voluto più parlare, quasi come una vergogna sociale sia per i poliziotti sia per i minatori (entrambe le parti si scontravano con persone che appartenevano alla stessa comunità), e le stesse notizie furono oscurate a livello internazionale per via dello scandalo Deller si è messo allora d’accordo con persone che organizzano le riattualizzazioni delle battaglie storiche (Vichinghi, Romani, ecc.) e, soprattutto, con le persone di Orgreave e dintorni: tentando di RIBALTARE I RUOLI, si prova a ridiscutere, a rivivere e a capire nuovamente l’evento ↘ Sorta di grande azione teatrale, nata dall’esigenza di comprendere un evento di cui bisogna COLMARE IL VUOTO lasciato dal governo ↘ Partecipano 800 re-enactors e 200 veterani della battaglia del 1984 ↘ Non si è partiti dall’idea di ricostruire i significati, bensì di ricostruire l’evento (≠ regia della presa del Palazzo d’Inverno): non c’era un vincitore e qualcosa da celebrare, era qualcosa da rivivere in maniera oggettiva (= battaglie medievali, ecc.) • “We’re Here Because We’re Here”, 2016: ci fa interrogare su come coinvolgere le persone nella nostra storia, su come partecipare → Senza alcun tipo di avviso, nello stesso giorno e in diversi luoghi pubblici di circa 30 città inglesi, compaiono persone vestite da militari della prima Guerra Mondiale: il loro ruolo era di non essere appariscenti, dovevano semplicemente “stare lì” e consegnare un biglietto da visita a chiunque avrebbe chiesto spiegazioni, con su scritto un nome, un cognome, relativo battaglione e grado, data di morte il 1° luglio 1916 (giorno della Battaglia di Somme, in cui sono morti il maggior numero di inglesi durante la prima guerra mondiale) ↘ L’unico modo per RIAPPROPRIARCI di questa memoria era “spargerla” per la gente, far riapparire questi fantasmi attraverso un semplice gesto: far vedere non la commemorazione del corpo morto, bensì facendo vedere il vuoto lasciato da quelle persone → Cortocircuito: non c’è più persona che lascia fiori in memoria dei morti, si vuole creare una MEMORIA VIVA mettendo in atto un processo che appare dal nulla (come si trattasse di un happening) ↘ Chi partecipa sono attori (≠ poliziotti e veterani di Orgreave) che hanno firmato per un progetto che non conoscevano e per il quale giurano il silenzio, una volta che è stato illustrato loro → Coinvolgimento di uno spettatore qualunque, non deve sapere che questa è arte ma che empatizza con il soldato morto ➢ GERHARD RICHTER, “18 ottobre 1977”, 1988: racconta le vicende della banda Baader-Meinhof dipingendo in grigio, bianco e nero (a grisaglia) le immagini uscite sui giornali → Riappropriazione della storia attraverso il lento passaggio della pittura Questa strategia di ripresentazione avviene anche come linguaggio interno al mondo dell’arte, in prima battuta con l’idea di cosa fare della performance (es. MARINA ABRAMOVIC, “The artist is present”, Moma, 2010 e Abramovic e ULAY, “Imponderabilia”, 1977): come si fa a far rivivere delle situazioni che hanno una temporalità e in cui partecipavano persone che ora non vogliono più partecipare oppure non ci sono più? Il re-enactment di una performance perde di originalità? Ma c’è anche un re-enactment delle mostre: la mostra “When Attitudes Become Form” alla Kunsthalle di Berna, 19693 viene riallestita nel 2013 nelle sale della Fondazione Prada a Venezia → Il progetto, a cura di Germano Celant, vuole essere una sorta di re-enactment della mostra stessa e prende il titolo di “When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013” Ciò avviene anche in altre occasioni e, tra queste, si ricorda che il problema di esporre qualcosa che ha una temporalità lo ha vissuto anche il già citato Jeremy Deller in occasione della sua installazione alla Tate di Londra, 2001: come fa ad esporre “The Battle of Orgreave”? Si crea un ARCHIVIO con video e foto e, anche in questo caso, deve esserci una strategia espositiva il più possibile chiara ed esplicativa dell’evento COME SI SONO CONFRONTATI GLI ANNI ’60 CON L’IDEA DI PARTECIPAZIONE? ➢ ROBERT MORRIS, “Portland Mirrors”, 1977, installazione al MAMC Saint-Étienne (opera degli anni ’70, riproposta poi diversi anni dopo in galleria privata a NY): Morris racconta che, in occasione di quella installazione, discuteva della radice minimalista dell’opera, finché il suo sguardo non è stato catturato da una bambina che giocava sulle travi-specchi → Rapporto tra opera e spettatore: COME LO SPETTATORE USA L’OPERA? Questo interrogativo è importante all’interno delle gallerie, ma ancor di più di fronte alle opere nello spazio pubblico (dove c’è un intento non di opera, bensì di esperienza performativa) Gli anni ’60 ci insegnano che non siamo solo “occhi” e che, oltre ai corpi degli artisti usati da Abramovich o Acconci, c’è bisogno di PORTARE ANCHE IL CORPO DELLO SPETTATORE NELL’OPERA (per esempio, in questi anni si realizzano anche opere con forti odori o sonorità!) → In questo caso, l’opera interrompe il nostro percorso, bisogna scavalcarla e ci si deve entrare se si vuole arrivare all’altra stanza • “Untitled (Scatter Piece)”, 1968-69/2009: nel minimalismo si è abituati ad un certo ordine di forme geometriche, mentre c’è anche il CAOS attorno all’opera, il quale crea un rispecchiamento della realtà 3 Grande mostra di arte concettuale, enviromental works e arte povera, in cui gli artisti si ritrovavano per lavorare tutti per la prima volta dal vivo, con materiali nuovi e non precostituiti in altro ambiente. • “Untitled”, 1965-1970: tre oggetti metallici uguali, ribaltati in posizioni diverse → L’unico modo per usufruirne al meglio e capire l’opera è girarci attorno: BISOGNA ENTRARCI DENTRO (queste opere non hanno senso se ci si limita a “guardarle”) ➢ L’ESPERIENZA per questi artisti è importante, come evidente anche in ARMAN in “Le Plein”, 1960: installazione che è impossibile da fruire perché è PIENA di oggetti, come fosse una scatola di sardine → Una scatola di sardine era poi lo strumento usato come invito, e al contempo “opera d’arte” dell’artista distribuita gratuitamente agli invitati all’inaugurazione → L’inaugurazione è di fatto il trovarsi davanti alla vetrina della galleria Iris Clert7 e il ruolo di spettatore stesso è FRUSTRATO nelle sue aspettative di “guardare qualcosa” ➢ CHRISTO, che fa parte degli artisti del Nuovo Realismo, realizza l’installazione “Verhulte Kunsthalle Bern”, 1968: meccanismo di COPRIRE QUALCOSA8 e levare lo sguardo a qualcosa di conosciuto è un gioco di riappropriazione dello sguardo e dell’esperienza di conoscere delle cose, che poi ci viene negata (stessa installazione anche al Pont Neuf, 1985 e in altri luoghi) L’atteggiamento che si è visto diffuso negli Stati Uniti e in Francia, può valere anche per l’Italia: GIULIO PAOLINI e GERMANO CELANT sono i protagonisti della stagione dell’arte povera9 → Prima ancora, il concetto di spettatore al centro di un’esperienza poteva averlo fatto suo anche LUCIO FONTANA negli anni ’50 (spiazzamento, si ricreano ambienti che ci fanno vedere la realtà in un modo completamente diverso); e ancor più le AZIONI di PIERO MANZONI10, che diventa complice della performance giocata in realtà dallo spettatore, il quale può decidere se mangiare un uovo sodo oppure se usarlo come reliquia-opera d’arte → Spesso Manzoni usava materiali totalmente deperibili (rosette coperte di caolino, materiale tipico per la ceramica), oppure faceva diventare “artista” chiunque salisse su una certa pedana, o poi ancora firmava delle modelle e le faceva diventare “opere d’arte”; Manzoni fa delle dichiarazioni di autenticità della propria arte, definendo opere delle vere persone. ➢ MICHELANGELO PISTOLETTO: i meccanismi anche di molti artisti dell’arte povera partono da cose già acquisite → Possiamo vedere gli specchi di Pistoletto solo se vi ci infiliamo dentro questo processo, che è anche COLLETTIVO (come il gruppo e l’azione in sé): entrando nella mostra in cui c’è l’opera “Vietnam”, 1962-65, entriamo a far parte della MANIFESTAZIONE perché veniamo riflessi automaticamente all’interno delle opere • “Scultura da passeggio”, 1968: AZIONI TEATRALI, più riconducibili ad un teatro di strada in cui la narrazione viene fatta insieme alle persone che vengono coinvolte, oppure un’azione che si svolge per le strade di Torino (scultura di carta straccia compressa, documentata in film di Ugo Nespolo) • “L’uomo ammaestrato”, 1968 (Vernazza e Amalfi); “La ricerca dell’Uomo nero”, 1969 (Corniglia); “Lo Zoo scopre l’Uomo nero”, 1969 (Torino), “Teatro baldacchino”, 1968 (Torino); “Bello e basta”, 1970, Milano; “Chi sei tu?”, 1970, Novisad: serie di performance/azioni teatrali della compagnia teatrale dello Zoo, messa in piedi da Pistoletto 7 Sempre in questa galleria, Yves Klein gioca sul “vuoto” e sul concetto che non ci fosse la mostra ma solo un cocktail. 8 Gli oggetti impacchettati di Christo sono ispirati all'opera degli anni ‘20, L'enigma di Isidore Ducasse di Man Ray. 9 Primo testo sull’arte povera, Arte Povera. Appunti per una guerriglia, uscito su Flash Art nel 1967 – fine nel 1971. 10 Si v. opere “L’impronta”, 1960; “Achrome”, 1961-62; “Base magica”, 1961; “Declaration of Authenticity n. 025”, ’61. Non è un caso che la terza mostra dell’arte povera (la prima in uno spazio pubblico), ad Amalfi, si chiama “Arte Povera. Azioni povere”, 1969 → Si espongono non solo artisti dell’arte povera, ma anche artisti stranieri che avevano a che fare con le stesse modalità espressive → C’era una sorta di percorso attraverso oggetti, installazioni, AZIONI degli artisti stessi oppure dello spettatore, su richiesta dell’artista → Una mostra, senza discussione collettiva, non era niente! C’è ancora un’AUTORIALITA’ precisa dell’artista ma spesso può essere meno forte della CONTAMINAZIONE CON LO SPETTATORE: possono essere nati degli spunti ulteriori da questo incontro ➢ PIERO GILARDI, “Girasoli caduti” 1967 e “Spiaggia” 1967: sono degli oggetti calpestabili, sorta di materassi in gommapiuma scolpiti e colorati, che simulano la natura e che lo spettatore doveva usare (in questo caso, calpestare) → Gilardi smette di fare l’artista dal 1969 al 1980, fa anche lui teatro di strada, organizza campi in Africa per fare cultura e progetti insieme, organizza manifestazioni con personaggi gonfiabili (proteste pacifiste, in Val di Susa, ecc.) → CAMUFFAMENTO DELLA REALTA’ e MESSINSCENA riscontrabile nell’opera “L’inverosimile”, 1990 → a Torino, “Parco dell’arte vivente”: museo/fondazione/luogo espositivo quasi tutto all’aperto in cui si svolgono conferenze e in cui gli artisti vengono chiamati ad intervenire ➢ Pistoletto e la sua idea di FONDAZIONE: Città dell’arte - Fondazione Pistoletto di Biella è il progetto finale di Pistoletto da almeno 20 anni, tutto ruota attorno alla Fondazione che organizza dei Premi per l’arte pubblica partecipata, borse di studio per giovani artisti e ricercatori → Idea COLLETTIVA di fare una fondazione che accolga le altre persone, anche non italiane e portatrici di letture diverse della realtà Se la mostra “Arte povera. Azioni povere” del 1969 presenta principalmente una visione italiano-centrica (seppur con qualche artista internazionale), a dare meglio un punto sulla situazione artistica del tempo è la mostra “When Attitudes Become Form”, Berna, 1969, il cui curatore fu HARALD SZEEMANN: dalle immagini del taccuino con gli indirizzi degli artisti da visitare a NY e dallo schizzo preparatorio dello spazio espositivo, si capisce come lo strumento “mostre” e “mostra collettiva” sia, di fatto, un elemento di lavoro collettivo → Curatore predispone un tavolo di discussione fra gli artisti, sceglie tema e gruppo di artisti, si informa da loro stessi sui colleghi stimati e questi collaborano fornendogli dei nomi: si porta il sistema delle mostre in una direzione RELAZIONALE (aspetto già evidente nella mostra italiana del ’69, nei momenti di dialogo fra gli artisti) ↘ La mostra stessa era una messa in discussione di quello che poteva essere il ruolo normale dell’arte, ovvero andare negli studi e scegliere dei lavori: SI CAMBIA LA PROCEDURA e gli artisti vengono chiamati a realizzare qualcosa di INEDITO per quella mostra, la quale diventa il “committente” dei lavori (avviene a tutti i livelli) Alla Kunsthalle di Berna si tenta di fare i lavori proprio all’interno dello spazio espositivo o, perlomeno, per quel posto → CAOTICITA’, coro tra voci e cose diverse ↘ NON È ARTE RELAZIONALE, ma può considerarsi un passaggio precedente ↘ Occasione di confronto arte italiana degli anni ’60 e l’arte americana (minimalismo, land art, environmental art), l’arte povera tedesca e il nuovo realismo francese → Una delle opere un po’ più legate alla contingenza e alla collaborazione era il “Telefono” di WALTER DE MARIA (artista della Earth art-Land Art): si poteva rispondere al telefono oppure chiamare l’artista, a qualunque ora, e lui avrebbe raccontato delle storie ESTETICA RELAZIONALE >>> Non è tanto importante l’oggetto artistico prodotto in sé, bensì le conseguenze di questo incontro con l’oggetto artistico (che in alcuni momenti può essere evanescente) <<< ➢ FELIX GONZALES-TORRES, “Untitled (Portrait of Ross in L.A.)”, 1991, Art Institute of Chicago ↘ Mescola piano SIMBOLICO e piano della REALTA’, di interazione completa e reale con lo spettatore → Il primo piano simbolico è dato dalle forme che presenta (piccola mantagna di caramelle), mentre la sua pratica, il suo essere attento ai bisogni e ad un necessario confronto con lo spettatore “emancipato”, nasce proprio dal Group Material ↘ Formalmente, l’opera appare come un oggetto che dialoga con i lavori minimalisti (rimane background meta-linguistico, che lo spettatore solitamente non coglie) ↘ Cosa coglie lo spettatore? La FORMA, che diventa anche non rispettosa dei sistemi geometrici (un po’ frana) → A chi si danno le caramelle? A persone che sono vicine a noi (nipote, cuginetto, ecc), sono oggetti che consolano, che appagano il nostro gusto e che ci riportano all’infanzia ↘ SCAMBIO SIMBOLICO, sollecitato anche dal titolo dell’opera: atto di amore che trasmette il virus (si trasmette la “caramella”), Ross perde peso (il ritratto di Ross si assottiglia) → Rappresenta il processo che portava alla scomparsa della persona, che è anche però simbolico della MEMORIA DELLA PERSONA, che acquisiamo e mangiamo internamente, che “assorbiamo”. ↘ LO SPETTATORE HA IL POTERE DECISIONALE: può osservare l’oggetto, può prenderne una parte e contribuire alla scomparsa dell’opera, può portarlo via e custodirlo come un feticcio → Processo della memoria vera e propria: conserviamo dentro di noi le cose, diventano ricordi “vivi” solo se li alimentiamo ▪ Anche in altre esposizioni, le caramelle potevano ritrovarsi in diversi luoghi, anche LUOGHI COMUNI, e potevano assumere forme e colori diversi a seconda delle circostanze (es. lavoro sulla guerra del Golfo, caramelle di liquirizia sembravano proiettili o piccoli razzi) → Si ritrovano anche nei luoghi solitamente occupati da oggetti legati agli spazi espositivi (cataloghi, penne, ecc) e PRENDONO POSSESSO DI LUOGHI ANCHE INUSUALI, diventando qualcosa che solo lo spettatore, giudicandola o ignorandola, può considerarsi opera d’arte oppure no ▪ INDISTINZIONE E ROTTURA DEL LEGAME TRA PUBBLICO E PRIVATO: appropriazione, da parte del pubblico, di qualcosa che dovrebbe essere privato, ad es. la vita stigmatizzata dell’artista (amore omosessuale) Oltre alle letture di genere presentate, il cibo e il suo consumo diventano anche un territorio interessante per i RAPPORTI CON LO SPETTATORE: si cerca di coinvolgere lo spettatore in una situazione conviviale, dove si mangia insieme e si ha il tempo da impiegare tranquillamente senza la fretta di “fare qualcosa” ➢ LUCY ORTA, “70 x 7 The Meal Act III”, 2000 (e versioni successive): nasceva da un progetto diverso, ovvero “Dans le meme panier” del 1997, che era un lavoro di raccolta di cibo e di avanzi (destinati ad essere buttati), poi cucinati e consegnati ai senzatetto → Diventa successivamente attività di strada, il materiale recuperato veniva dato a chiunque voleva (non per forza senzatetto), SI MANGIAVA INSIEME ↘ In questa occasione diventa invece un’altra cosa: riprendendo il significato biblico del 70 x 7 (Ad Infinitum), ogni persona invitata poteva invitarne altre 7, per creare comunità allargata che partiva da interessi comuni e che poteva andare poi in direzioni diverse ↘ Coinvolgimento come una catena di propagazione delle cose, permesso non attraverso i medie bensì in modo “personale” poiché siamo noi ad invitare e a coinvolgere gli altri ↘ Gioco in cui si agganciavano piccoli produttori del luogo, in cui si riunivano persone molto diverse tra loro e in cui ogni volta vengono realizzati piatti e tovaglie, venduti poi ai partecipanti stessi ➢ Mostra collettiva “Traffic”13, CAPC Bordeaux, 1996: è la colonna vertebrale di tutto il lavoro di Bourriaud, che subito dopo diventa co-direttore del PALAIS DE TOKYO (Parigi), centro propulsore e di sperimentazione in quegli anni → Il Palais de Tokyo doveva essere restaurato ma si decide, piuttosto, di lavorare a poco a poco con gli artisti e a trasformare lo spazio14 a seconda della loro necessità → Non serviva lo spazio neutro e tradizionale, è l’architettura che si plasma ↘ Lo spazio della mostra “Traffic” non era propriamente uno spazio con oggetti da guardare, bensì uno SPAZIO IN CUI INTERAGIRE (uno degli inviti era, ad esempio, la disposizione caotica di oggetti da sistemare) → Documentazione scarna della mostra, come se fosse un’esperienza da vivere hic et nunc Ripercorrendo quanto detto finora, all’inizio si è di fronte alla PRIMARIETA’ DELL’OPERA, poiché l’artista produce le opere e queste sono, quindi, l’elemento principale → Da quando Duchamp fa anche una selezione dell’oggetto, il processo di selezione diventa importante – una delle ultime conseguenze del suo lavoro è che nasce il mestiere del CURATORE: l’atto di selezione diventa atto creativo, sullo stesso piano dell’esposizione dell’opera stessa Cosa succede al Palais de Tokyo? 1. Anche in questo caso, la mostra sembra essere L’OPERA D’ARTE FINALE, sia per gli artisti che per i visitatori, i quali vedono la mostra come luogo di esperienza 2. Si riconcettualizza il modello “white cube” dell’esposizione di arte contemporanea con l’IDEA DINAMICA, PERFORMATIVA, SEMPRE IN DIVENIRE dell’officina/fabbrica/cantiere/studio/“laboratorio” sperimentale 13 Si v. https://vimeo.com/405220248. 14 Di trasformazione dello spazio ne parla Brian O’Doherty ne “Inside the White Cube”, 1986. 3. Mostra come spazio e sviluppo di un processo, si identifica con un percorso performativo all’interno del quale si cerca di intervenire e nel quale spazi come la hall, il bookshop, il bar e altri solitamente considerati fuori dall’esposizione vengono affidati agli artisti/se ne appropriano e diventano luoghi altrettanto importanti → Gli spazi più curati e più costruiti sono quelli che normalmente sono spazi sociali ↘ Cosa preoccupante, ragionando nell’ottica dello storico dell’arte: l’autore e l’opera perdono la loro centralità (certamente l’opera ne ha persa, ma è un processo molto lungo), a favore di un RAPPORTO CON IL CONTESTO E CON GLI ALTRI, nonché di un rapporto di PRODUZIONE COLLETTIVA L’arte è sempre più MIMESI DELLA REALTÀ, vi è una lenta e chiara rottura di confini tra arte e realtà: le opere diventano tali e concrete, reali, nella loro NARRAZIONE: es. cene di Tiravanijia non sono formalmente diverse da una cena privata al ristorante, ma cambiano i rapporti e la narrazione che c’è intorno ↘ Dimensione di mescolanza con la SCRITTURA, una vera e propria narrazione: in fondo, arte e letteratura sono due arti sorelle e hanno riflettuto sulle stesse cose ➢ LIAM GILLICK, “Texte court sur la possibilité de créer une économie de l’équivalence”, 2005, Palais de Tokyo: si ragiona in termini collaborativi con lo spettatore, ci sono spazi che CAMBIANO AUTOMATICAMENTE al passare dello spettatore stesso → l’artista si interroga su quanto siamo noi che facciamo i flussi e su quanto, al contempo, ne siamo spesso passivi – L’INTERAZIONE che abbiamo con la società è un’interazione di cui siamo spesso le vittime, non è solo un discorso che porta verso maggiore creatività, azione, democrazia ma anche come semplice passaggio meccanico, a volte. Del rapporto e delle relazioni di potere tra artista e curatore ne parla “Autorialità multipla” di BORIS GROYS, ne “Art Power” (2008): forse l’arte non è più solo immagine ma anche esperienza, odori, sapori – fino a che c’è l’oggetto o un’immagine, possiamo confrontarci con qualcosa; quando si parla di COMUNITÀ, si rischia di escludere tutti coloro che non hanno potuto prendere parte all’esperienza [problema che pone la Bishop: alcuni esperiscono l’esperienza, altri la narrazione dell’esperienza e non è la stessa cosa!] Nel lavoro di TIRAVANIJA, il fatto che l’artista sia presente alle inaugurazioni non vuole per forza dire che in quelle occasioni è maggiore l’autorialità dell’opera: questo perché, in realtà, non ci trova di fronte all’esposizione tradizionale che prevede una critica e una comparazione con opere precedenti, bensì nel suo caso si mangia insieme e poco conta la sua presenza perché lui crea solo le condizioni ma non controlla ciò che accade → Si abbassa il livello e SI ALLARGA LA PLATEA, tutti possono dire qualcosa: rispetto alla sola esperienza estetica, si crea un rapporto molto più democratico perché “si sta lì” senza l’imposizione di un modello estetico o di pensiero (é in questo che si rompe il meccanismo) BOURRIAUD scrive anche “Postproduction” (2000), con cui mette per iscritto ciò che stava succedendo: sposta l’attenzione del fare artistico da un problema di produzione ad uno di post-produzione: cos’è che fa l’artista se non partire da immagini e concetti di altri, per poi rielaborarli? → Mescolamento e RIPROGRAMMAZIONE DEL MONDO, molto evidente in diversi autori tra cui Douglas Gordon e Pierre Huyghe ➢ DOUGLAS GORDON, “24 Hours Psycho Back and Forth and To and From”, 1993: VIDEO IPER- RALLENTATO del film di Hitchcock, si porta il filmato a 24 ore di durata → Il ritmo, che è alla base del film, del montaggio, viene distrutto e diventa tutto un insieme di immagini → Opera che nessuno vede veramente nella sua interezza, si gioca su realtà e finzione e a decostruire il linguaggio del film stesso: una post- produzione a tutti gli effetti ➢ PIERRE HUYGHE, “The Third Memory”15, videoinstallazione a due canali, 2000: è un film sul film “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, basato sulla vera storia di una rapina in banca, con il quale si ricostruisce l’evento → Huyghe va a parlare con il rapinatore, che ha scontato la pena, gli chiede di ricostruire il film e di dirgli cosa questo ha sbagliato ↘ Dopo tutto quel tempo, il rapinatore non aveva più modo di FAR VALERE LA PROPRIA MEMORIA su quella ormai sedimentata del film, né tantomeno quella del luogo → Idea di realta’ che è anche finzione (idea che la memoria delle cose è fatta anche dal cinema, media, social network, ecc) – tutto è realtà o tutto è, in qualche modo, FINZIONE ↘ DOPPIO SCHERMO che fa vedere la realtà in due parti: la proiezione multipla serva a non dare una sola visione, siamo costretti a vedere cose e ad accettare che potremmo perderci dei pezzi → ROTTURA DEI CANONI TRADIZIONALI della lettura e della visione del film ➢ Libro “Body Art” di DON DELILLO (in inglese “The Body Artist”), 2001: l’autore parla di una body artist e si inventa delle performance strane, cogliendo l’aspetto di auto-trasformazione dell’artista e di tentativo di interagire con il pubblico in un modo diverso → Contrappone la descrizione della body art dell’artista alla visione dello storico dell’arte • In “Cosmopolis”, 2003, si parla di arte ed eventi sociali, di partecipazione: parla di un uomo che, come azione, lancia torte in faccia ai potenti della terra • “The Falling Man”, 2007, libro nato dall’uomo che cade durante l’11 settembre in cui si ragiona su performers che reagiscono a dei fatti (foto scattata da Richard Drew): l’uomo, molto composto, sembrava quasi danzare, era un’immagine affascinante e straziante → DeLillo si inventa un performer che rifà questa azione dappertutto a NY, e ne parla nel suo scritto ➢ A partire da rapporti che generano altri rapporti, e che diventano azioni da una parte AUTORIALI e dall’altra generano EVENTI RELAZIONALI → SOPHIE CALLE, artista di cui si occupa Bourriaud • “Le carnet d’adresses”, 1983: l’artista ritrova una rubrica in una cabina telefonica, chiama i numeri per capire a chi appartienga e, una volta individuato il proprietario, se lo fa descrivere dalle persone che contatta → Sulla pagina del giornale Liberation, l’artista scrive la storia di questa persona attraverso il racconto di ALTRE persone, all’insaputa dell’interessato • “Les-Dormeurs”, 1979: raccolta di foto di persone che lei aveva invitato a dormire in casa, a patto che potesse arrivare di notte e fotografarle in qualunque momento 15 Si v. https://www.youtube.com/watch?v=sxf55dYW8X8 per la videoinstallazione. ↘ Questo progetto doveva essere TEMPORANEO, ma non di breve durata come in realtà fu a causa dell’ordine di demolizione pervenuto dopo soli pochi giorni → Non aveva senso in nessun altro posto, perché rappresentava la casa demolita in quell’esatto punto ➢ MARIA LAI, “Legarsi alla montagna”19, Ulassai (Sardegna), 1981: diventata famosa con le sue opere ricamate (come i libri illegibili e con fili), dopo due volte che le chiedono di realizzare un monumento ai defunti, accetta ma vuole farne uno ai vivi ↘ Cerca di creare una storia con le persone del posto e lo fa tramite una LEGGENDA che si tramanda nel suo paesino, a causa della piccola montagna che frana oggi come allora: in una giornata di temporale, una bambina si rifugia in una grotta – il temporale è molto forte, spunta un drappo azzurro e lei lo rincorre – la grotta crolla subito dopo, MIRACOLO ↘ Fa realizzare una corda con stoffe azzurre, prodotte nel luogo, e la fa mettere tra le case del paese → Si decide che la corda lega le case alla montagna e, al tempo stesso, ci lega anche tra di noi: chi vuole far vedere che c’è un legame, mette un segnale di conoscenza tra una casa e l’altra, dei segni, dei nodi – se il legame è familiare/stretto/di amicizia, si può mettere un PANE simbolico ↘ Tutti sono stati costretti ad esplicitare questi aspetti, anche solamente non facendo niente: anche una non dichiarazione è una dichiarazione → RIMESSA IN DISCUSSIONE DELLO STATO: si è ancora in conflitto con una certa famiglia, se in passato la mia lo è stata? Si chiede alla comunità quali siano i veri legami e le nuove generazioni, soprattutto, sono il collante per i nuovi rapporti ↘ E’ diventata una sorta di festa popolare, di esortazione: VERO LAVORO PARTECIPATIVO, da un lato, e RELAZIONALE dall’altro → Lai si è fatta garante di certe relazioni (e non conosceva Bourriaud!) ↘ Ci sono rimaste solo video e foto, è una sorta di PERFORMANCE: dinamica che fa sì che tutti partecipino ad un’azione collettiva di risimbolizzazione della propria identità, come paese e singolo ➢ JOCHEN GERZ ed ESTHER SHALEV-GERZ, “Monument against fascism”, Amburgo, 1986-93 Due artisti di chiara origine ebraica realizzano una COLONNA DI PIOMBO20, sulla quale viene legata una sorta di penna: con questa, le persone venivano invitate a scrivere i loro NOMI, in aggiunta a quelli degli artisti, per “rimanere vigili” rispetto al problema del nazismo e della discriminazione in Germania ↘ Si è messa in discussione la MEMORIA delle cose21 ↘ A mano a mano che veniva scritta, la colonna scende e si interra, per lasciare ad altri pezzi di memoria (c’erano anche scritte e svastiche) → Al contempo, le cose del passato si custodivano come un evento passato ↘ Non è un monumento che poteva essere facile da gestire (attacchi di gruppi neo-fascisti dimostrano che si tratta di una memoria SCOMODA) → La memoria è qualcosa di mobile, di CONTROVERSO, e si accetta che qualcuno metterà una svastica perché significa che questo non è un pericolo scampato 19 Si v. https://www.youtube.com/watch?v=BsroVFXpOUY per un approfondimento dell’opera. 20 Il prof. Pinto specifica che: la storia ci insegna che colonne di questo tipo sono realizzate a seguito della necessità di far vedere la predominanza dell’umano rispetto alla natura. 21 Il prof. Pinto specifica che: di lì a poco sarebbe crollato il muro di Berlino e la Germania ha anche riacquistato e rivendicato una memoria del passato, forse l’ha dovuta rivendicare anche nei confronti dell’Europa come segno di accettazione e superamento del passato, per chiedere un’unità della Germania che altri paesi vedevano ancora con sospetto. ↘ Più che memoria del fascismo, è un monumento alla memoria della nostra memoria: che memoria abbiamo noi? Come possiamo alimentarla? E’ una memoria che può essere lasciata custodita, oppure il monumento ha bisogno di essere agito? ↘ L’ipotesi era che in 7 anni la colonna sparisse, adesso non c’è più: sopra c’è una pietra e, accanto, delle indicazioni su cosa è l’opera, redatte in 7 lingue diverse e più parlate in Germania (viene incluso anche l’ebraico) ↘ E’ stata un’operazione partecipativa e rischiosa, perché rimane un problema: l’opera funziona ancora, una volta finita? Ha ancora la sua forza, tramite il racconto che se ne fa? Per un momento della sua vita, è stata un’opera per così dire performativa • JOCHEN GERZ, “2146 Stones, Monument against Racism”, 1990-93, Saarbruken (Germania) ↘ Cerca i nomi dei cimiteri ebraici che sono stati distrutti durante la seconda guerra mondiale ma, soprattutto, da dopo il 1933 quando Hitler prende il potere → Insieme a degli studenti, si reca di notte nella piazza antistante il Palazzo del Parlamento (zona molto ufficiale), si prelevano dei sanpietrini e li si sostituisce con altri identici, appositamente creati e su cui veniva inciso il nome di uno dei 2146 cimiteri ebraici, nella parte invisibile rivolta verso il pavimento ↘ Da parte di studenti e altre persone, cominciava ad esserci una NARRAZIONE dell’opera, che spesso non è solo ciò che vediamo: in questo caso, non c’è in realtà niente da vedere ↘ In qualche modo è interessante la FORZATURA della questione: la Questura e il Comune iniziano a sapere dell’iniziativa, che non era stata da loro autorizzata, e si doveva scegliere se denunciare per atti impropri su suolo pubblico, oppure se istituzionalizzare questa questa operazione e farla diventare MEMORIA COMUNE → Sarebbe stato strano se le istituzioni fossero andate contro ad un simile progetto, “leggero” seppur significativo, e si decide di abbracciarlo: si cambia addirittura nome alla piazza, poi diventata “Piazza del Monumento Invisibile” ↘ Persone singole si sono poste un problema comune e hanno forzato la mano all’istituzione stessa, affinché se ne assumesse l’onere e la responsabilità Il problema posto da Gerz, inerente a chi appartiene e a chi e come si può intervenire nello spazio pubblico, può essere ragionato anche dagli spunti proposti da Vito Acconci22. ➢ VITO ACCONCI, “Following Piece”, 1969 [attività di 23 giorni, 3-25 ottobre – più volte al giorno e in vari luoghi di NY] ↘ E’ sempre stato interessato al RAPPORTO CON L’ALTRO, portato allo stremo ad esempio in quest’attività: sceglie una persona a caso e decide di seguirla, fino a che questa non entra in un luogo privato → Quand’è che si entra in prossimità, in un luogo proibito? Cosa è pubblico e cosa è privato? Qual è anche la sfera che preserviamo intorno a noi? ↘ Nel mondo anglosassone c’è maggiore distanza sociale, rispetto a quanto non avvenga nella nostra cultura o in altre 22 Artista americano, famoso per le sue performance e che nasce come poeta: per lui, la poesia non è solo scritta, bensì anche declamata, è qualcosa da praticare. • “Seedbed”, 1972, Metropolitan Museum [9 giorni, 8 ore al giorno] Performance in cui l’artista si rinchiude e nasconde sotto la pedana di una galleria, dotato di microfono con il quale raccontava delle storie molto intime e, addirittura, si masturbava → In qualche modo RACCONTAVA IL NASCOSTO, gli aspetti più privati e incoffessabili di noi, per costringerci a ragionare sulle barriere etiche e morali, su quali racconti possano o meno urtare gli altri ↘ Grande conseguenza nelle generazioni successive, soprattutto quella affacciata negli USA dagli anni ’80 (es. Gonzales-Torres e l’idea di parlare di sé stesso e dell’AIDS) Dalla metà degli anni ’70, non gli basta più la performance e inizia a fare altri tipi di lavori. Come mai? Ne parla ad una conferenza, raccontando di una sua performance a Firenze: si sentiva una musica, lui raccontava dei propri amori al pubblico e poi iniziava a giocare con le donne spettatrici, invitandole a ballare e trattandole come vecchie fidanzate → Con sopresa di Acconci, una ragazza accetta il suo gioco di seduzione, ROMPENDO LO SCHEMA DI IMPROVVISAZIONE che si era prefissato: capisce a quel punto che non cambiava molto rispetto al teatro perché recitava sostanzialmente una parte, e il meccanismo della performance non gli piace più perché non era riuscito a gestirlo • “Where We Are Now (Who Are We Anyway”), 1976: Nonostante l’abbandono della performance, continua però a ragionare sullo spazio pubblico e sullo spazio privato (cos’è e come si può intervenire) → Realizza lavori che fanno entrare in collissione SPAZIO PRIVATO E SPAZIO PUBBLICO ↘ Installazione di un tavolo che parte da uno spazio privato di una galleria e finisce fuori dalla finestra, entrando nello spazio pubblico come fosse una sorta di trampolino o TAVOLO DI DISCUSSIONE che non può fare a meno di entrare nello spazio pubblico • “Instant House”, 1980: crea poi particolari strutture in alcuni spazi privati, come questa che si apre e si chiude a seconda della presenza o meno di AZIONE da parte dello spettatore → C’è una ragazza che, se si siede su un’altalena, fa aprire le pareti di una casa, le quali esternamente presentano delle bandiere russe, mentre all’interno quelle americane ↘ Gioco su mondo diviso tra Russia e USA e sul fatto che noi siamo all’interno di questa situazione Nel 1988 il MOMA gli chiede di fare una mostra intitolata “Public places”, in occasione della quale Acconci comincia ad esporre solamente progetti di arte pubblica → Comincia a firmarsi come Studio Acconci, come fosse un architetto, e crea COLLETTIVAMENTE opere insieme ad altri architetti ↘ Prova a ragionare su qualcosa che è una VIA DI MEZZO tra scultura, installazione e qualcosa di architettonico e artistico (es. uso delle automobili per creare spazi abitativi; pezzi di arredamento diventano delle sculture private) → Si gioca su questa ambiguità: trovare nello spazio interno qualcosa che simula lo spazio esterno • “Storefront for art and design”, 1993: collaborazione con l’architetto STEVEN HOLL, è una galleria di NY nella quale si crea una struttura che prevede delle APERTURE, le quali si trasformano in spazi che sono in comune con lo spazio pubblico (es. tavolo su cui possono essere appoggiate cose che, anche da fuori la galleria, possono essere prese e per questo rimane una struttura utopica) → La struttura gira e muta, gli spazi diventano pubblici o rimangono privati a seconda di come sono posizionate le aperture ↘ Luogo di comunicazione tra privato e pubblico, tra dentro e fuori o Ci sono diverse versioni online del progetto24 (sito web è uno spazio pubblico e sociale): 1. La versione del 1994 confronta gli eventi settimanali in Rwanda dal 6 aprile 1994 e quelli narrati sulla copertina del settimanale statunitense “Newsweek” (1° agosto 1994, prima copertina sul Rwanda) 2. La versione online del 1995 presenta un’idea quasi da funerale: blocchi neri dedicati al Rwanda (sono scatole da fotografo, che contengono la carta che deve essere sviluppata) e al cui interno si trovano tutte le foto fatte in Rwanda e non esposte → Sulle scatole c’è solo la descrizione delle diapositive (sembrano lavori minimalisti che quasi ricordano Serra) 3. La versione online nel 1996, “The eyes of Guteme Emerita”: progetto attorno ad una singola persona di nome Gutete Emerita, si racconta la sua storia e come ha reagito alla tragedia della carneficina → Segue diapositiva in cui si legge “Mi ricordo i suoi occhi” e segue foto degli occhi della donna ↘ Stesso progetto ma in un’altra versione ancora: si entra e percorre un corridoio buio, finchè non si arriva di fronte ad UN MILIONE DI DIAPOSITIVE → Non ci accorgiamo dei morti finchè non li vediamo da vicino, finché non vediamo i loro occhi) • “The Aesthetics of Resistance”, 2005, Como: in occasione di un workshop, si chiede all’artista di fare un’installazione o un progetto espositivo e ne realizza uno pubblico ↘ Jaar è architetto e apprezza molto l’architettura della Casa del Fascio (Palazzo Terragni), progetto del fascismo che, ai tempi della dittatura, prevedeva che la PARTE BIANCA del palazzo venise occupata da manifesti di Mussolini/frasi importanti fasciste per il pubblico → Proprio su questa parte bianca, Jaar fa proiettare una serie di immagini, che poi ci portano alla tomba di Gramsci ↘ SOSTITUIRE E DARE SPAZIO, si ragiona sul nostro passato e si prova a far apparire i fantasmi e la loro concretizzazione: l’altra faccia del fascismo era anche che un oppositore come Gramsci è morto in carcere nel 1937 → Si ragiona sull’impatto politico di questi lavori Nessuno di questi progetti è definitivo, nessuno risolve la questione di come ragionare sulle tragedie, sulla memoria, su come non sentirsi sconfitti di fronte ad una narrazione tragica e problematica • “The Skoghall Konsthall”, 2000: in una cittadina della Svezia, nella quale è stato inventato il tetrapack, Jaar realizza una KUNSTHALLE DI CARTA → Le persone erano felici, si prevedevano progetti per bambini e di avvicinamento tra le persone stesse ↘ Dopo due mesi di apertura, Jaar ha deciso alla fine di bruciare l’opera, gesto simbolico che ha fatto arrabbiare tutti → In inverno, comunque, l’opera sarebbe stata distrutta dalle intemperie ↘ Si tocca un nervo scoperto: se il MUSEO DIVENTA UNA NECESSITÀ se pensato in modo attivo e partecipativo 24 Si v. le versioni online del progetto “Rwanda”, al link https://alfredojaar.net/projects/1994/the-rwanda-project/. Una delle mostre che la Bishop prende come esempio di cambiamento per quanto riguarda L’ATTIVITÀ PARTECIPATA è “Culture in Action”, curata da MARY JANE JACOB a Chicago, da maggio a settembre 1993: ↘ Finanziata da fondi pubblici, la mostra non è concentrata in un’unica sede (solitamente il museo), bensì ne ha diverse quanti sono i progetti, ovvero otto: di numero inferiore rispetto a quelli di una mostra collettiva, hanno come obbiettivo lo SPAZIO PUBBLICO e i LUOGHI PERIFERICI, e non il mondo dell’arte ↘ Si vogliono cogliere, come fosse una rete, gli aspetti che possono essere importanti per la COMUNITÀ DI RIFERIMENTO: le donne per Suzanne Lazy; gli ecologisti per Mark Dion, ecc. ↘ Ha avuto anche molte CRITICHE da parte dell’osservatore esterno alla comunità, che di fatto viene a mancare: in questo caso, l’osservatore esterno non è la solita figura privilegiata Mary Jane Jacob è una figura istituzionale molto importante, sia dal punto di vista pratico che teorico: scrive “Dewey for Artists”, la cui teoria è che l’arte sia un mezzo di esperienza molto efficace e che l’esperienza che si cerca di condividere e di avere con l’arte può essere anche fonte di insegnamento: cosa si può imparare insieme? Cosa si può esperire che possa far crescere la nostra coscienza e la/le nostra/e identità? ↘ Quando descrive l’esperienza della mostra, Jacob parte da altre due esperienze di mostre: 1. Mostra “Chambres d’amis”, 1986, Gand (Belgio), curata da JAN HOET: Jacob rimane colpita dal modello esemplificato da questa mostra, ovvero ricercare le camere degli ospiti FUORI dal museo ↘ Al museo si raccolgono solo le informazioni, ma l’esposizione è sparsa per 58 case private (la maggior parte di collezionisti che appoggiano il museo), nelle quali gli artisti progettavano delle cose → RIBALTAMENTO: QUI IL MUSEO E’ LUOGO DI INFORMAZIONE, E NON DI ARRIVO ↘ Provando a realizzare un percorso attraverso le case degli altri, si riconquista e riscopre la città e tutti si mettono in gioco: i collezionisti di solito acquistano, in questo caso aprono le proprie case → RIBALTAMENTO: LO SPAZIO PUBBLICO SI PRENDE LO SPAZIO PRIVATO → Gli artisti sono principalmente quelli appartenenti al filone dell’arte concettuale e dell’arte povera, che hanno le proprie radici negli anni ’60 ↘ Le opere parlano inevitabilmente anche dello spazio privato che occupano e di chi lo occupa, vi è un rapporto molto più diretto con le singole persone → Si va ad osservare un ambiente privato che, in un certo senso, viene commentato e viene agito dall’artista stesso 2. Mostra “Skulpture Projekte”, Münster, 1977-2017: parte da una situazione molto spiacevole, ovvero l’indignazione dei residenti di Münster di fronte alla scultura cinetica di GEORGE RICKEY, “Drei rotierende Quadrate”, 1973 (quadri rotanti nel tempo): viene più volte oltraggiato in quanto non riconosciuto come oggetto artistico e ciò diede ad alcuni personaggi (Bußmann, Konig, ecc.) l’idea di gettare le basi di un NUOVO APPROCCIO DI MENTALITÀ APERTA AL MEZZO DELLA SCULTURA attraverso i mezzi di una mostra. ↘ Si apre la prima mostra del 1977 in due parte e, mentre una parte era incentrata sulla storia e lo sviluppo della scultura moderna, nove artisti contemporanei – la maggior parte di loro dagli USA – hanno accettato un invito dei curatori a CREARE OPERE IN SITU nell'ambito di un progetto nella città di Munster → L'INCONTRO TRA SPETTATORE E SCULTURA è stato così esteso oltre la sfera museale nello spazio pubblico ↘ La mostra c’è ogni 10 anni e ogni volta gli artisti vengono chiamati per agire sullo spazio pubblico, alcuni anche per più esposizioni e con progetti diversi ogni volta: sono anni di domande e sperimentazioni, si sta ripensando lo spazio pubblico e cosa si possa realizzare in questo spazio ↘ Se la prima edizione era abbastanza contenuta, la seconda del 1987 fa esporre molti artisti diversi e con idee diverse di cosa si può ed è importante fare nello spazio pubblico: questi progetti nascono come TEMPORANEI per la durata della mostra, ma alcuni si sono trasformati come DEFINITIVI → Diventa un altro tipo di museo, che si espande per la città e che non ha come SPETTATORE la persona che paga il biglietto, bensì quella che si avventura per la città ↘ Da questa edizione in poi, il vero CATALOGO era una MAPPA, prima solo cartacea e poi digitale, che ti permette di raggiungere i luoghi → Si può affittare la bicicletta al museo della Westfalia, per scoprire al meglio la mostra per la città (e riscoperta della città – rif. a passeggiate dadaiste per luoghi meno conosciuti, la città di tutti i giorni) ↘ I lavori che rimangono per la città diventano parte del patrimonio della città: all’inizio visti con sospetto, poi come orgoglio → Ci sono anche lavori POP (KEITH HARING, per esempio) e i luoghi in cui vengono installati sono parchi, ma anche luoghi pubblici come piazze (es. opera caricaturale di JEFF KOONS; “Madonna” gialla, pop, di KATHARINA FRITSCH) Prima di “Culture in Action”, Mary Jane Jacob organizza anche un’altra mostra che consisteva in una parte del Festival dei due mondi (Spoleto/Charleston, USA), “Places with a Past”, 1991: preludio di quello che sarà la mostra del 1993, la mostra vuole indagare dei luoghi diversi (es. fabbriche dismesse) o marginali della città → Ci sono diversi artisti, tra cui KATE ERICSON & MEL ZIEGLER (“Camouflaged History”, casa con facciata dipinta come una divisa militare, come fosse qualcosa da proteggere) e DAVID HAMMONS (progetto “America Street”, 1991: essendo discendente e avendo frequentato molto la comunità africana, realizza una BANDIERA AMERICANA con colori “sbagliati”, usando colori che appartengono più alla comunità africana che vive il luogo, piuttosto che i classici bianco/rosso/blu; aggiunge poi un cartellone raffigurante un GRUPPO DI BAMBINI che guarda la bandiera e realizza, infine, la “House of future”, una casa che è punto di arrivo per una persona appartenente alla comunità americana ma che manca di spazio vitale, che può far entrare solo una persona ma in cui non si può abitare) → Capacità di sovvertire i nostri parametri di uso dello spazio per EVIDENZIARE UNA SERIE DI PROBLEMI DELLA COMUNITA’ Le questioni sollevate da questa mostra sono quelle relative allo spazio pubblico, importanti poi per gli artisti futuri: quali sono gli obbiettivi dell’arte pubblica? Cos’è, per questa, l’audience? Come quest’arte può rappresentare un pubblico quando ci sono più pubblici? Qual è il pubblico che ho in mente? Per lavorare con la comunità, l’artista deve appartenervi? Come può contribuirvi? Il museo può interagire con la comunità? ➢ Il progetto forse più riuscito è quello di IÑIGO MANGLANO-OVALLE (and Street-Level Video), “Tele-Vecindario”: l’artista lavorava soprattutto con la comunità portoricana e qui gioca sull’idea di CONTRO- INFORMAZIONE, anche rispetto agli abitanti, e di DIFFUSIONE DI STRADA ↘ Lavoro rimasto oltre la durata della mostra, è tuttora attivo: si era messo insieme un gruppo di persone che doveva parlare della propria comunità attraverso la tv, una sorta di televisione privata e autogestita, in cui si parlava addirittura della storia delle gang ↘ L’artista si è offerto per RAZIONALIZZARE LA NARRAZIONE che c’è delle comunità, mettendo a disposizione una serie di materiali: ci sono narrazioni diverse delle stesse cose ed è qui che emerge anche la CONFLITTUALITA’30 ↘ Ha organizzato un vero e proprio luogo espositivo, sparso per le case e per il territorio della comunità, e viene realizzata una mappa ↘ I contenuti del video erano realizzati proprio dalle persone ed è forse per questo che ha funzionato fino ad ora: un’azione sociale, partita da un artista è poi diventata uno strumento sociale della comunità per raccontarsi ➢ KATE ERICSON, MEL ZIEGLER (and A Resident Group of Ogden Courts Apartment), “Eminent Domain”: progetto che verte sul COLORE DELLE CASE e su come cambiare la percezione del quartiere se si cambia, appunto, il colore delle abitazioni ➢ SIMON GRENNAN, CHRISTOPHER SPERANDIO (and the Bakery, Confectionery and Tobacco Workers’ International Union of America Local No. 552), “We Got it! The Workforce makes the candy of their dreams”: è stato chiesto ad una serie di società (ma soprattutto a questa che produce caramelle) di REALIZZARE LA PUBBLICITÀ del loro prodotto, non ingaggiando attori bensì facendo partecipare chi realmente produce il prodotto, dando loro nuovamente un volto La scommessa finale di questa mostra era AGIRE DAVVERO NELLA REALTÀ → Quello che era stato fatto fino a quel momento da parte degli artisti era più che altro rincorrere la realtà e il suo meccanismo di costruzione, ma c’è anche un’azione diretta che si può fare? Fino a che non incidiamo nella realtà, probabilmente è tutto un fantastico passatempo. Siamo in un flusso, la società è diversa da quella che ha generato la necessità dell’arte nella nostra società → La relazione con l’arte non deve essere statica, bensì ha bisogno di essere ridiscussa FRANCIS ALŸS, “The Modern Procession”31, 2002, NY: performance, processione che porta le riproduzioni dei lavori custoditi al Moma dei maggiori capolavori del nostro tempo, dalla sua sede centrale fino al PS132 ↘ Hal Foster commenta l’opera e paragona l’artista ad un etnografo: come l’etnografo33, così l’artista che vuole indagare una comunità si trova a contribuire allo sviluppo di una certa situazione e non è un semplice osservatore → La processione vuole riprendere l’idea di rito e la riporta sul mondo dell’arte: il museo ci fa vedere il capolavoro indiscutibile, lo si porta in processione e lo si sacralizza come santi o reliquie → CRITICA ALLA VERITA’ PRESENTATA DAL MUSEO 30 Nel lavoro di Martinez, per esempio, il problema dell’accettazione della comunità viene totalmente rimosso. 31 Si v. la performance al link https://francisalys.com/the-modern-procession/. 32 Il PS1 è un centro distaccato del MoMa, dedicato esclusivamente all’arte contemporanea. 33 Si v. su Virtuale https://virtuale.unibo.it/pluginfile.php/1105116/mod_resource/content/1/hal%20foster%20ita.pdf. • “The Green Line”34, Gerusalemme, 2004: re-enactment di una performance simile fatta dallo stesso artista, messa in scena nel 1995 a San Paolo e nella quale usa però della vernice blu ↘ Poco coinvolgente, lavoro quasi da attivista artistico, è una passeggiata che l’artista fa al confine tra Israele e la Palestina, durante la quale si lascia dientro una traccia di vernice verde ↘ Dopo la seconda guerra mondiale, era stata tracciata una linea sulla mappa: non si da’ un giudizio, bensì, con un gesto “poetico”, ci si rende conto di come la storia ci attraversa, di come i confini ci condizionino → Tentiamo di capire gli episodi storici MA NON SI AGISCE ↘ Boris Groys scrive35 che “gli attivisti dell’arte sembrano reagire al crescente collasso dello stato sociale moderno, sostituendosi a istituzioni sociali e ONG, le quali per diverse ragioni non riescono o non vogliono adempiere al proprio ruolo. Gli attivisti dell’arte vogliono essere utili, cambiare il mondo rendendolo un posto migliore, ma allo stesso tempo non vogliono smettere di essere artisti” e aggiunge che il lavoro degli attivisti dell’arte è criticato sia dagli ARTISTI più tradizionali, sia dagli ATTIVISTI tradizionali: molti critici sostengono che questi artisti confondono il valore artistico con delle intenzioni moralmente buone, mentre la critica mossa dagli attivisti tradizionali è più complessa e si fonda sulle nozioni di “estetizzazione” e di “spettacolarizzazione” → Da Walter Benjamin emergono delle paure sul valore dell’estetizzazione, sul valore estetico dato alla politica (costruire immagini di partecipazioni era un modo per il potere di garantire la propria immunità e per giustificare e perpetuare questo potere): la partecipazione non è più data agli altri in quanto aventi facoltà di decidere, bensì perché possono partecipare sotto la regia del potente → Ne “La società dello spettacolo”, Guy Debord parla negativamente del concetto di spettacolarizzazione, ma quando l’artista o l’attivista politico prendono quegli strumenti possono agire con una forza diversa: l’estetizzazione non blocca bensì POTENZIA, perché ci si rende conto che CI TROVIAMO IN UNA SOCIETÀ DIVERSA, la quale necessita di armi più potenti → Questo è ciò che contrappone Groys alla visione di Benjamin ↘ Diversamente da M.J.Jacob, qui è un discorso più critico che legato all’attuazione di qualcosa, lei si pone come curatrice e vuole capire come muoversi e cosa bisogna fare, senza rinunciare al ruolo intellettuale dell’artista; allarga il dialogo con persone che di arte se ne intendono poco → Groys vuole contrastare Hal Foster in parte, ma sostanzialmente ci dice che il ruolo dell’artista è cambiato perché è cambiata la società: voleva contestare la lettura troppo schematica che fanno gli storici dell’arte, ovvero continuare ad applicare gli stessi schemi di lavoro ai singoli lavori, senza considerare che le prospettive sono cambiate (Il modo di essere politico di Picasso con il Guernica ha delle differenze sosanziali con il fare politico di Deller, Tania Bruguera, ecc.) ↘ Furono realizzate delle interviste di persone diverse che vivono nei territori di confine per creare anche qui un’idea di site-specificity: diventa davvero un’opera collettiva e che osserva qualcosa in maniera etnografica proprio perché delle stesse immagini poi possono essere date letture diverse 34 Si v. la performance al link https://francisalys.com/the-green-line/. 35 Si v. https://virtuale.unibo.it/pluginfile.php/1105118/mod_resource/content/1/B.%20Groys%2C%20Sullattivismo%20artist ico.pdf. • “Cuando la fe mueve montañas (When Faith Moves Mountains)36”, 2002: progetto che realizza in Perù, che sposta il problema da istituzionale-artistico ad uno economico ↘ Pagando, chiede a delle persone di spostare una montagna: l’idea è che la fede che si ha nel poter fare qualcosa, te la fa fare veramente ↘ “Elogio della presenza”37 in “Bad New Days” di Hal Foster: Foster cerca di ragionare proprio sull’attualità e presenta l’idea molto radicata del fatto che le cose debbano essere presenti nel momenti in cui le vediamo; deve esserci una sorta di performatività di tutto, compresa l’idea di RIFARE le cose, anche performative38 → Si voleva mettere in crisi la predominanza di due posizioni su tutte: l’idea formalista dell’opera; idea popolare dell’artista come fonte esclusiva del significato, retaggio romantico ancora diffusa in molti di noi → Oggi sono pienamente apprezzati concetti quali l’indeterminatezza e la partecipazione poiché meno presenti in altri ambiti della società (indeterminatezza svilita dei big data; partecipazione limitata in democrazie diventate oligarchie) • “Re-enactment39”, Città del Messico, 2000: fa un RE-ENACTMENT di una sua azione non autorizzata del giorno precedente e la rifà esattamente uguale, questa volta autorizzata e chiedendo alle persone coinvolte il giorno prima di fare le stesse identiche cose (chiede loro di fare gli attori) ↘ Diversamente dalle opere di Deller o Tiravanija, gli spettatori non sono coinvolti nell’opera consapevolmente, bensì vengono lasciati liberi di fare quello che normalmente fanno, senza mettere in scena qualcosa di pre- costruito → Si porta l’esperienza artistica in una dimensione ancora più reale: l’artista non si mette sul piedistallo per fare un’azione con il pubblico e non si mira a ricostruire qualcosa, bensì a costruirla ↘ SOVRAPPOSIZIONE DEI VIALI DEL RACCONTO VIDEO: per 12 minuti riesce a girare per la città con una pistola carica in mano, fino a quando non viene caricato in macchina dalla polizia messicana ↘ Città del Messico è una città problematica e gigantesca e vuole mettere in discussione il racconto della realtà messicana: entra nella realtà in maniera diretta (punta alla stessa cosa con “Green Line”) e fa emergere un aspetto di violenza comune della città e di ACCETTAZIONE di questo STATO DI VIOLENZA da parte delle persone, che sono per la maggior parte indifferenti Nel 2004 la Bishop rivolge un feroce attacco all’idea di ESTETICA RELAZIONALE, contrapponendo a questa un’arte più politica (come quella di Santiago Sierra, Thomas Hirschhorn, Tania Bruguera): a questa critica non risponde per primo Bourriaud, bensì Liam Gillick40, che scrive un lungo testo su October in risposta alla Bishop e che riceverà da lei una risposta successivamente → Gli artisti rispondono in prima persona, anche con altri lavori alle varie posizioni artistiche 36 Si v. la performance al link https://francisalys.com/when-faith-moves-mountains/. 37 Si v. https://virtuale.unibo.it/pluginfile.php/1105120/mod_resource/content/1/Elogio%20della%20presenza%2C%20Elogi o%20della%20presenza%2C%20in%20H.%20Foster%2C%20Bad%20New%20Days.pdf. 38 Si fa riferimento alla retrospettiva del MoMA dedicata a Marina Abramovic, nella quale la temporalità è messa in crisi perché non è né una cosa storica, né una cosa nuova! 39 Si v. performance al link https://francisalys.com/re-enactment/. 40 Liam Gillick è uno dei più importanti artisti dell’Estetica Relazionale. • Hirshhorn Museum, 1988, Washington: museo d’arte contemporanea su cui sono proiettate immagini delle anime della società: la fede (religiosa) e la pistola (culto delle armi e della guerra) • Lenin Monument, 1990, Leninplatz a Berlino: su una statua di Lenin veniva proiettata una camicia a righe e un carrello pieno → Si gioca sugli ideali del regime filosovietico precedente, in contrasto con l’asservire tutto all’economia e ad uno status di consumatori • Arco de la Victoria di Madrid, 1991: scheletro che ha una pompa di benzina in una mano, una mitragliatrice nell’altra mano, con sopra la scritta “cuantos?” a significare il COSTO delle cose, delle battaglie e della guerra • Homeless Vehicle, 1988-89: si creano serie di veicoli per senzatetto che di notte diventavano un RIFUGIO, di giorno un mezzo per vagare con il proprio bagaglio → Vengono realizzati prototipi differenti, che possono trsformarsi a seconda delle esigenze • Abraham Lincoln: War Veterans Project49, NY, 2012: animazione che fa “parlare” le statue, monumenti dimenticati vengono rianimati e fatti diventare attuali con discussioni sull’attualità → Necessità di DIALOGARE CON LA NOSTRA EREDITÀ, dobbiamo riadattarla, descriverla di nuovo e di ambientarli nel loro tempo → Tentativo di riutilizzare la memoria in modo diverso, non la si vuole cancellare: AFRODISCENDENTI DANNO LA LORO VERSIONE DEI FATTI ➢ Un suo allievo è MICHAEL RAKOWITZ: americano di origine ebraica ma di famiglia irachena, dopo l’11 settembre un “nemico invisibil”, così ha cominciato a lavorare su questo conflitto in maniere diverse • “Enemy Kitchen”, 2003-ongoing: organizza delle piccole scuole di cucina e va in giro con un furgoncino, distribuisce spesso gratuitamente nelle inaugrazioni o davanti alle scuole il “cibo del nemico” → Avvicinamento strano che fa parte strettamente anche della cultura americana (città piene di comunità diverse) 49 Si v. https://www.youtube.com/watch?v=bxyWkfIuSJo. • “ParaSITE”, 1998- ongoing: bisogna parlare degli esclusi e decide, proponendo una lettura meno complessa, di creare dei rifugi economici da 10$, concreti e facilmente realizzabili → Ci si attacca ai diffusori dell’aria degli edifici, i quali vanno a gonfiare questi luoghi e li rendono abitabili di notte e, soprattutto, in inverno • “The invisible enemy should not exist”, 2007-ongoing: oggetti ricostruiti con materiali poveri (lattine dei datteri, contenitori, ecc.) provenienti dall’Iraq, per RICOSTRUIRE tutti quegli OGGETTI DISTRUTTI dai bombardamenti americani oppure dall’ISIS proprio in Iraq ↘ “The invisible enemy should not exist (Lamassu)”, 2018, Londra: una delle porte di Lamassu distrutte dall’ISIS (rappresentavano popoli infedeli), grande sfinge babilonese: più ci si avvicina, più si vede che è fatta con materiali di recupero → Si da’ struttura concreta ai fantasmi, questi oggetti hanno una MEMORIA e una PRESENZA → Attraverso la pratica (certosina, a mano) è un modo per non dimenticare THE HIGH LINE DI NEW YORK50: progetto urbanistico-artistico-sociale, frutto delle continue sperimentazioni anche di altri tipi di attivisti (sociali, ecologici, ecc.) → Anche L’ARCHITETTURA ha un’idea di partecipazione dello spettatore, dell’abitante, soprattutto quando entra in un campo urbanistico e di spazio comune ↘ Vecchia linea della metropolitana dismessa che, invece di essere abbatuta, viene preservata grazie alla realizzazione di un GIARDINO SOSPESO → Artisti e altre personalità sono intervenute per abitarlo e per creare un LUOGO DI RITROVO per la comunità ↘ Appropriazione vera e propria all’inizio del progetto da parte di un gruppo di cittadini, poi arriveranno aiuti di banche ed enti trasversali, nonché una valorizzazione al luogo (e speculazione) → Si crea una vera e propria PASSEGGIATA, grazie al contributo di giardinieri professionisti e improvvisati CONTESTI ARTISTICI DEGLI ANNI ’90. Le attività americane, molto legate ad eventi singoli e gruppi di artisti che si auto-politicizzano, sono azioni non riconosciute dalle Istituzioni (oppure riconosciute successivamente); quelle francesi, legate soprattutto all’arte relazionale, sono molto legate alle Istituzioni e ai meccanismi di sperimentazione, messa in scena, divulgazioni delle attività attuali fatte da musei stessi → Ci sono quindi due IDENTITÀ: una legata all’attivismo politico in USA, un’altra più legata ad una situazione istituzionalizzata e in dialogo con pubbliche istitituzioni (ma anche private) → Nel contesto italiano degli anni ’90, non c’era una rete di musei forte (oltre a Castello di Rivoli e Museo Pecci di Prato) e il sistema era molto frammentario → Gli artisti hanno bisogno di una produzione pubblica e si aveva quindi un grande problema: molti artisti innovatori che hanno provato ad essere innovativi e ad intercettare lo spettatore, non producevano lavori vendibili nel mercato e che avevano un ritorno immediato per il collezionista → Ciò comporta però, al contempo, maggiore libertà! RAPPORTO ARTE-POLITICA IN ITALIA. PCI e Togliatti erano particolarmente intolleranti verso ogni tipo di sperimentazione artistica (l’artista doveva insegnare al popolo e doveva essere comprensibile per tutti!) poiché considerati inutili → Continuo allontanamento degli artisti dalle posizioni politiche: se sono state fatte delle sperimentazioni, spesso non sono state rivendicate come politiche Ci sono state però alcune sperimentazioni in Italia che hanno avuto, per alcuni momenti, un’interazione con il progetto di Bourriaud e dell’Estetica Relazionale. A tal proposito, si ricorda innanzitutto il gruppo PREMIATA DITTA51, il cui duo di artisti si libera del proprio cognome come azione politica, nel senso di togliersi da un’aura anche eroica dell’artista Romantico e per porsi come un’organizzazione che - come altre - può essere al servizio della comunità • Come dimostra “The Poverty Trap”, 1992, che riporta in maniera visuale le statistiche della povertà globale e crea una forma che ricorda una coppa di champagne, il loro lavoro è fatta di SCHEMI e di SEGNALI che andavano ad individuare un discorso sia di localizzazione della persona in generale, sia all’interno di gruppi e di statistiche. 50 Si v. archivio delle esposizioni pubbliche e delle performance della High line al link https://www.thehighline.org/. 51 Duo di artisti, Anna Stuart e Vincenzo Chiarandà, che lavorano dalla metà degli anni ’80 e i cui lavori sono stati presi dalla critica francese come lavori di sperimentazione e collaborazione (lo stesso Bourriaud li cita). • Nel 1995 abbandonano la loro attività artistica pù frontale, per fondare il sito “Undo.net”52, durato 20 anni (anche prima c’era un percorso parallelo online, ma poi diventa un vero e proprio SERVIZIO AL PUBBLICO per diffondere l’arte, sorta di amplificatore di ciò che succedeva) ↘ Progetto politico e PARTECIPATIVO, poiché ai tempi l’informazione artistica era inesistente sul web e furono tra i primi al mondo ad occuparsene in questo modo → Realizzavano progettazioni parallele a degli eventi; creavano sorta di catalogo accessibile a tutti; venivano riuniti anche gli articoli più interessanti delle diverse realtà editoriali italine in campo artistico, per offrire un punto di vista indipendente sui diversi argomenti trattati; poi diventati delle specie di tv, con video focus e video d’artista ↘ Sorta di tentativo di “SMATERIALIZZARSI” COME ARTISTA, per diventare lo specchio degli altri: non c’era una gerarchizzazione delle informazioni ma piuttosto un tentativo di assorbire e ridare (specchio che si serviva del web, inteso come spazio di informazione e di libertà) ▪ Tra i progetti paralleli realizzati53, si ricorda “Subway”54, 1998: sponsorizzato dal comune di Milano, il progetto ha luogo dentro la metropolitana, nella quale viene organizzata una mostra in cui c’era uno svolgimento web parallelo diverso da quello che succedeva nella realtà ↘ Online c’era un CATALOGO vero e proprio i nomi dei 113 artisti invitati e la fermata in cui si poteva trovare i loro lavori, ma c’era anche una PARTE DI COINVOLGIMENTO DEL PUBBLICO: veniva chiesto alle persone di SCRIVERE DEI RACCONTI sulla metropolitana e di postarli sul sito → L’idea era di dare SPAZIO E UN FOCUS ANCHE AGLI SPETTATORI, che venivano invitati a collaborare dal punto di vista del racconto che c’era all’interno della mostra stessa (lavoro COLLABORATIVO e RELAZIONALE) L’altro artista che è stato visto come importante anche internazionalmente è MAURIZIO CATTELAN, che certamente non presenta però un chiaro intento collaborativo come invece succedeva con Premiata Ditta: si conosce il Cattelan più provocatorio, ma lo si può comunque inserire all’interno di una prospettiva relazionale e spettatoriale • “L.O.V.E.”, 2010: il suo USO COLLABORATIVO è evidente dall’utilizzo che ne hanno fatto le altre persone, durante manifestazioni nelle quali l’opera si trasforma da oggetto simbolico ad oggetto MANIPOLATO dagli altri → Stesso meccanismo che mette in campo durante la realizzazione del lavoro stesso: la Borsa rivolge la mano fascista agli altri, con le dita mozzate, ma c’è AMBIGUITA’ perché sembra un dito medio • “Senza titolo”, 2004, Piazza 24 maggio, Milano: opera letta diversamente a seconda delle nostre contestualizzazioni, mette in mostra dei pupazzi di bambini appesi (NON impiccati, ancora ambiguità) ad un’importante quercia di Piazza 24 maggio a Milano, piazza dove storicamente venivano impiccati i partigiani e poi i fascisti ↘ Tre bambini vestiti in maniera diversa (lavoratore, ricco, povero) potevano significare che, ad esempio, L’INFANZIA NON ERA SUFFICIENTEMENTE PROTETTA 52 Si v. http://1995-2015.undo.net/it/magazines/1276703361 per un’intervista al gruppo artistico in merito. 53 Archivio dei progetti consultabile al link https://1995-2015.undo.net/it/pag.php?a=1287046174. 54 Si v. https://1995-2015.undo.net/it/progetto.php?p=%2Fsubway%2Fcopertina.htm. ↘ Fondato da CESARE PIETROIUSTI, Oreste è stato un’iniziativa libera, interamente basata sullo scambio, sulla condivisione e sulla partecipazione attiva o “Pensieri non funzionali”: sito vero58 e proprio nel quale vengono visualizzati dei pensieri in maniera randomica, li colleziona e non hanno un’azione pratica → Si gioca sullo SCAMBIO SIMBOLICO CON LE PERSONE (ad es. si offre volontario per fare cose che non vogliamo fare (portare il cane a passeggio, andare a fare la spesa per bottiglie d’acqua) ↘ Possono esserci dei numeri che sono postille della messa in pratica di quel pensiero da parte dell’artista → Lavori che spesso coinvolgono altre persone, che siano artisti o spettatori ➢ GRUPPO DI PIOMBINO59, 1984-1991: gruppo che giocava sulla CASUALITA’ DELLE COSE, nel senso di una prospettiva relazionale in cui l’artista, sulla base del principio del non-intervento diretto, non controllava nulla dell’oggetto (se non la sua predisposizione) e lo affidava all’AZIONE COLLETTIVA, INNOCENTE e “BANALE” DELLO SPETTATORE → Non ci si trova più di fronte ad un oggetto da osservare, bensì ad una forma di espressionismo attivata involontariamente dal pubblico. Questa poetica è ben visibile in alcuni lavori del gruppo quali: “Ponte Sant’Eufemia” 1999-2019 di SALVATORE FALCI, nel quale l’erba cresce a seconda del calpestìo o meno in certe zone da parte di persone e si assiste all’evento del caso; l’esperimento “SOSTA 15 MINUTI60” 1984 di Falci, STEFANO FONTANA e PINO MODICA, realizzato per otto ore a Populonia (provincia di Livorno) e che consisteva nel documentare e filmare l’utilizzo di sedie collocate nello spazio pubblico e utilizzabili per un massimo di 15’; i vari “Pavimenti”, progettati in modo da rilevare per scratching solo tracce anomale o particolarmente intese - come l’azione di strusciare, cadere o graffiare – oppure la loro diversa declinazione in “Puff”, opere sensibili che registrano fedelmente perfino un’impronta digitale e permettono di aggiungere un’azione sopra l’altra Bishop e il capitolo su TANIA BRUGUERA. Il primo progetto noto di TANIA BRUGUERA è un giornale da “dissidente” (anche se non è necessarimente di attacco al regime) a Cuba, luogo in cui serviva un’autorizzazione per creare un giornale → Si tira fuori il tema della memoria della postguerra, sono stati chiamati scrittori e artisti e si è provato a far uscire un paio di numeri del giornale (poi sequestrato poco dopo) Parte poi da alcune performance di ANA MENDIETA e le ricrea, ma qui il re-enactment acquista un valore diverso, ovvero quello divulgativo: anche Ana Mendieta, scappata da Cuba insieme ai genitori e rifugiatasi negli USA, era stata censurata dal governo cubano nonostante avesse praticato un’arte rivoluzionaria → Si è trovata nel ruolo scomodo dell’anti-Castrista, dell’anti-cubana, perchè “venduta al nemico” → Quando Tania Bruguera inizia il suo lavoro negli anni ’80, non c’è traccia del lavoro di Ana Mendieta (tra l’altro anche legato al tema della donna) ed è proprio per farlo conoscere che la Bruguera inizia a ricreare le sue performance 58 Si v. http://www.pensierinonfunzionali.net/ per visualizzare il progetto. 59 Si v. http://gruppodipiombino.blogspot.com/ per il blog del gruppo artistico. 60 Si v. http://gruppodipiombino.blogspot.com/2011/06/sosta-quindici-minuti.html. Parallelamente alla serie di performance “Tribute to Ana Mendieta” (1985-1996), inizia a farne poi di proprie61, tra cui si ricorda quella intitolata “Il peso della Colpa”62, 1997: porta una carcassa di agnello appesa al collo (agnello sacrificale, l’animale puro) e vuole raccontare il peso del COLONIALISMO EUROPEO nei confronti delle Americhe (in questo caso di Cuba) ↘ Riprende una leggenda degli indigeni cubani: all’arrivo dei colonialisti, loro non erano capaci di difendersi né avevano lo spirito della guerra e si sono trovati schiavi senza aver combattuto: con una sorta di rituale, cercano di rigenerarsi e ritornare alla Terra, MANGIANDO SOLO TERRA per morire nella speranza di rinascere in una situazione migliore → Lei fa lo stesso: prende la terra, la intinge nell’acqua di mare e la mangia fino a che non sta male → Questo processo parte dall’idea del rapporto tra corpo e Terra e si apre anche ad un discorso di CRITICA post-coloniale e della società cubana: “mangiar terra” in cubano è un’espressione che significa “trovarsi in una situazione disperata”, ci sono solo uomini bianchi e non c’è spazio per femminismo • “Untitled (La Havana)”63, 2000: inizialmente concepito per la Biennale dell’Havana del 2000, il lavoro è stato presentato per la prima volta nella FORTEZZA MILITARE DI CABAÑA (poi riproposto in altri luoghi e istituzioni), bunker militare usato come prigione per i dissidenti durante la Rivoluzione Cubana ↘ Bruguera ha preso uno dei lunghi silos interrati, la cui apertura era molto stretta e conduceva ad un luogo estremamente buio, nel quale l’unica fonte di luce era un piccolo monitor collegato al soffitto e ad una distanza di circa 50m dall’entrata ↘ Solo quando si arriva in prossimità di questa luce si ha reale percezione di ciò che si stava vedendo, ovvero delle IMMAGINI DI FIDEL CASTRO in veste di compagno della Rivoluzione piuttosto che di dittatore (visione che era stata inizialmente data di lui, poi progressivamente sparita con l’evoluzione degli eventi) e, inoltre, ci si accorge dei QUATTRO CORPI NUDI che compiono delle azioni: sembrano pulirsi/lavarsi dalle immagini che erano state fatte passare come verità, e non per forza coincidenti con la realtà ↘ Per terra c’erano canne da zucchero che, con alte temperature, fermentano velocemente e riempivano l’ambiente dell’odore di alcool → ESPERIENZA SENSORIALE COMPLETA e COMPLESSA • “Untitled (Kassel)”, 2002: questa esposizione in occasione della documenta 11 è un momento di svolta perché le performance vengono fatte fare da una serie di attori, che sono più delle figure che attivano e azionano l’installazione ↘ Anche qui il gioco era tra luce e buio: o è buio pesto, oppure si subisce la luce forte emessa illuminazioni che non si vedono ↘ Si sentono anche dei passi e il clac tipico del fucile che chiude il colpo in canna → GIOCO SULLA MINACCIA: cosa facciamo nel momento in cui c’è un potere forte, chiunque esso sia 61 La gran parte dei suoi lavori stanno a cavallo tra l’attivismo vero e proprio e la presenza scenica come aspetto performativo, che è il modo di vivere le cose e il metodo per emozionare, per avvicinare. 62 Si v. https://vimeo.com/22649662 per una seconda versione della performance. 63 Si v. https://www.moma.org/calendar/exhibitions/3898 per un approfondimento del lavoro e https://www.youtube.com/watch?v=GDRVkHputjE per una considerazione e lettura complessiva (parla anche Bishop). • “Tatlin’s Whisper”64, 2008, Tate Modern (Turbine Hall): anche qui si gioca sulla presenza del potere forte, in questo caso due poliziotti a cavallo che usano tecniche di controllo della folla sugli spettatori, i quali Bruguera non voleva sappessero che fosse una performance per non condizionare la loro reazione e per far vivere loro un confronto diretto con l’assoggettamento e con il controllo (enfasi sull’esperienza al presente e sulla reazione immediata e inaspettata dello spettatore) → Per Bruguera, provocare un'esperienza viva e sentita di un potere è più efficace del più consueto approccio "allegorico" dell'arte alla politica: piuttosto che rappresentare la politica e usare lo spazio dell'arte per immaginare altri mondi, vuole creare un'arte che metta in atto la politica così come esiste nella vita quotidiana delle persone ↘ Attraverso un uso astuto della dissonanza cognitiva prodotta quando i simboli del potere del "mondo reale" si materializzano nel "mondo dell'arte", si sfrutta la cornice del museo per sconvolgere le ipotesi dei visitatori su ciò che accade lì: la vetrina che si offre è il COMPORTAMENTO dello spettatore stesso, il quale si trova confuso e, a tratti, impaurito (dimostrazione di come sia facile che un luogo sicuro diventi minaccioso, al palesarsi del potere) ↘ Performance non annunciata, decontestualizzazione di un’azione, arte del comportamento erano i mezzi indicati nel contratto stipulato con la Tate in merito a questa performance. Inoltre, si legge anche che la RI-ESECUZIONE può avvenire se mostrata in luoghi in cui si sono verificati improvvisi eventi sociali e politici, sia nella loro storia recente che nella storia significativa del luogo o nel momento in cui tali eventi sono una presenza schiacciante nei media: Bruguera conia il termine political-timing specific proprio perché pensa che anche il contesto storico e politico più ampio in cui si svolge la performance deve essere considerato come un substrato materiale, necessario per il corretto funzionamento del lavoro (il tempo esiste qui non solo come qualità duratura dell'esperienza individualizzata) → Tatlin's Whisper #5 esiste per indicizzare la situazione sociale che lo circonda e per esprimere la vera natura delle strutture di potere che l’arte impegna ↘ Riprendendo ambiguamente nel titolo l’opera di Tatlin (Monumento alla Terza Internazionale del 1920, che ambiva utopicamente a diffondere messaggi politici nella società più ampia al fine di creare un nuovo mondo), si suggerisce che quel tentativo si è ora ridotto a un sussurro, anche se uno che si tramanda nei secoli, il quale avverte che l'arte non è immune dalle macchinazioni del potere • Progetto alla Turbine Halle65, Tate Modern, 2018: si decide di collaborare con la comunità della zona limitrofa al museo, ovvero la più grande comunità latino-americana di Londra, e le si chiede quale sia una figura importante per la comunità: rintracciata in un immigrato siriano, si posiziona una sua fotografia enorme sul pavimento della Turbine Hall, la si ricopre con una vernice termosensibile e ciò fa sì che si rivelasse solamente quando le persone, COLLABORANDO TRA LORO, intervenivano con i loro corpi sulla superficie → Le cose cambiano nella società solo quando si interviene ↘ RIBALTAMENTO: l’Istituzione non deve imporre, bensì chiedere agli altri, e in questo caso celebra una persona che è importante per la comunità limitrofa (e non per tutti) → Nel frattempo, un suono a bassa frequenza riempie lo spazio di un'energia inquietante e, in una piccola stanza vicina, un composto organico nell'aria fa lacrimare e provoca ciò che l'artista descrive come "empatia forzata" 64 Si v. https://www.youtube.com/watch?v=x7L1s_GWn3o per vedere la performance e https://www.tate.org.uk/research/publications/performance-at-tate/perspectives/tania-bruguera per un ricco approfondimento del messaggio della Bruguera. 65 Si v. https://www.youtube.com/watch?v=7reNkai8H0I.
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