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Appunti di Antropologia e Primatologia, Appunti di Antropologia

Appunti di Antropologia generale (Anatomia della Locomozione Bipede, Storia Tafonomia e Evoluzione Ominidi) e Primatologia (Anatomia dei principali gruppo tassonomici dei primati, tassonomia e storia evolutiva dei primati) per corsi di laurea in Biologia e Scienze Naturali.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 08/03/2021

andrea.rivela
andrea.rivela 🇮🇹

4.5

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9 documenti

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Scarica Appunti di Antropologia e Primatologia e più Appunti in PDF di Antropologia solo su Docsity! 1 Antropologia Il modulo di Antropologia prende in considerazione due grandi temi dell’antropologia fisica; il primo è lo studio dell’evoluzione dell’uomo nel periodo compreso tra la comparsa delle prime forme ominini circa 6-7 milioni di anni fa fino alla comparsa e affermazione di Homo sapiens tra 300 e 30 mila anni fa. Il secondo tema che verrà affrontato è quello inerente allo studio dei reperti umani antichi che provengono da contesti archeologici di epoca storica ossia verranno affrontati aspetti generali di osteoarcheologia umana. Per molto tempo l’evoluzione umana è stata concepita come una scala lineare di progresso, una successione di specie che, una dopo l’altra, doveva necessariamente culminare in Homo sapiens. Oggi sappiamo che non è così e che la storia naturale dell’umanità è stata molto più complicata. Grazie al continuo ritrovamento di nuovi fossili e all’utilizzo di avanzate tecniche di studio del DNA e delle proteine fossili (paleogenomica e paleoproteomica) negli ultimi decenni gli scienziati hanno stravolto la visione tradizionale della nostra evoluzione. Oggi Il modello più adeguato a descrivere l’evoluzione umana è un albero lussureggiante di forme umane con diversificazioni e convivenze dall’inizio fino a tempi recenti. Questo significa che negli ultimi 7 milioni di anni più specie ominine sono coesistite pressoché costantemente anche nelle stesse aree e negli stessi periodi e con strutture corporee e stili di vita molto simili anche se non uguali. Le basi culturali essenziali per comprendere appieno il percorso culturale dell’evoluzione umana sono 5: 1. INSERIMENTO DELL’UOMO IN UN ORDINAMENTO ZOOLOGICO 2. PRESA DI COSCIENZA DEL VERO SIGNIFICATO DEI FOSSILI 3. TEORIA DELL’EVOLUZIONE PER SELEZIONE NATURALE 4. DIFFUSIONE IN ITALIA DELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE PER SELEZIONE NATURALE 5. SVILUPPO DELLE TECNICHE MOLECOLARI 1) INSERIMENTO DELL’UOMO IN UN ORDINAMENTO ZOOLOGICO Un evento importante per lo sviluppo del pensiero evolutivo dell’uomo è stato l’inserimento dell’uomo in un ordinamento zoologico. Questo lo si deve a Linneo; il Systema Naturae è la sua opera più famosa. Egli ordina gli esseri viventi assegnando loro una nomenclatura binomia in latino che combina due termini che identificano il nome del genere e della specie; assegna all’uomo il nome di homo sapiens. Inserisce l’uomo nell’ordine Anthropomorpha (Primati, 1758-59). CON QUESTO ATTO VENGONO CODIFICATE LE SOMIGLIANZE ANATOMICHE E MORFOLOGICHE TRA L’UOMO E LE SCIMMIE ED IN PARTICOLARE LE SCIMMIE ANTROPOMORFE. Nella cultura del tempo questo è stato un atto formale molto importante che ha iniziato a destare critiche da parte della società ancora fermamente ancorata al creazionismo. 2) PRESA DI COSCIENZA DEL VERO SIGNIFICATO DEI FOSSILI Il secondo punto è la presa di coscienza del vero significato dei fossili ossia resti di esseri viventi del passato grazie a Cuvier. Questa presa di coscienza non fu pienamente compresa all’epoca ma diede l’avvio a studi che negli anni successivi fornirono la prova tangibile della lunga storia evolutiva degli esseri viventi al quale l’uomo non si poteva sottrarre. 2 3) TEORIA DELL’EVOLUZIONE PER SELEZIONE NATURALE Il terzo importante evento scientifico da ricordare è la formulazione della teoria sull’origine delle specie che prescinde da cause soprannaturali: teoria dell’evoluzione per selezione naturale formulata da Darwin. Darwin pubblicò la sua teoria in The Origin of Species by Means of Natural Selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life. In questa opera Darwin non parlò mai apertamente dell’origine e dell’evoluzione dell’uomo, scrisse solo una frase … luce si farà sull’origine dell’uomo e la sua storia… che però scatenò molte polemiche all’interno della società dell’epoca. Darwin in queste discussioni fu sostenuto dall’amico e collega Huxley. Le idee di Darwin accesero sicuramente gli animi non solo nella comunità scientifica. Prima di Darwin: Homo sapiens presenta somiglianze fisiche con i primati conosciuti Dopo Darwin: si parla non solo più di somiglianza fisica ma anche di somiglianza in termini genetici, quindi di parentela. Darwin in queste discussioni fu sostenuto dall’amico e collega Huxley che nel 1863 pubblica «Il posto dell’uomo nella natura» Descrive l’anatomia dell’uomo e la mette a confronto con i Primati a lui più vicini. Solo nel 1871 Darwin affronta apertamente la questione dell’uomo che, da quel momento, non verrà più visto a immagine e somiglianza di Dio ma ad immagine e somiglianza delle scimmie antropomorfe. 4) DIFFUSIONE IN ITALIADELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE PER SELEZIONE NATURALE Nel 1864 a Torino si tenne una lettura pubblica dal titolo L’uomo e le scimie tenuta dallo zoologo Filippo De Filippi: essa rappresenta la prima diffusione in Italia delle idee evoluzionistiche 5) LO SVILUPPO DELLE TECNICHE MOLECOLARI Lo sviluppo di tecniche molecolari ha fornito indicazioni in merito: - ai tempi di divergenza tra le linee evolutive; - all’origine della nostra specie; - ai rapporti filogenetici tra gli ominini più recenti (per es. H. sapiens e H. neandertalensis); - alla classificazione dei primati; alla somiglianza genetica tra l’uomo e le scimmie antropomorfe africane. Grazie al continuo ritrovamento di nuovi fossili e all’utilizzo delle tecniche molecolari anche sui resti fossili, negli ultimi decenni gli scienziati hanno stravolto la visione tradizionale della nostra evoluzione. Oggi Il modello più adeguato a descrivere l’evoluzione umana è il cespuglio evolutivo dove con diversificazioni e convivenze di forme umane dall’inizio e fino a tempi recenti (circa 40.000 anni fa). Oggi è assodato che la storia naturale dell’umanità è stata molto più intricata di quanto si pensasse in passato e non è ancora pienamente compresa. 5  Specializzazioni dei primati 1) Mani e Piedi La specializzazione principale anatomica che troviamo nei primati sono le mani e i piedi, caratteristiche distinteve dell’ordine. Si osserva infatti la comparsa:  di mani prensili  punta delle dita sensibili al tatto  presenza di unghie e non di artigli, salvo eccezioni, sulle dita delle mani e dei piedi  opponibilità o pseoudo-opponibilità dell’alluce e/o del pollice: questo perché l’opponibilità totale o parziale dell’alluce e del pollice è presente nella quasi totalità dei primati, tranne che nell’uomo, che non ha l’alluce opponibile, e nelle scimmie colubi e scimmie ragno che non presentano l’ooponibilità del pollice Si distingue la pseudo-opponibilità con l’opponibilità vera e propria, in quanto si può parlare di quest’ultima quando il pollice ruota in maniera tale che il cuscinetto distale del pollice possa essere opposto (o comunque entrare in contatto) con i cuscinetti distali di una o più delle altre dita. Tutte le scimmie del vecchio mondo e gli esseri umani hanno questa vera opponibilità, derivante dal fatto che hanno una giuntura carpo- metacarpale a forma di sella, che consente al pollice un margine di movimento di rotazione notevole. In tutte le scimmie del nuovo mondo e le Strepsirrine invece si raggiunge la pseudo-opponibilità, perché questa giuntura è a forma di cerniera, quindi non consente una rotazione vera e propria, ma ne limita la rotazione, permettendo al polpastrello del pollice di toccare il lato del secondo dito, non arrivando quindi a toccarne la punta. L’opponibilità vera e propria consente 2 tipi di presa sugli oggetti:  Presa di forza: in cui fondamentalmente è coinvolto il palmo della mano, in quanto il supporto che viene afferrato si appoggia al palmo, quindi esso è parte integrante di questa presa, e le dita vengono piegate in modo tale che siano dirette verso il palmo della mano  Presa di precisione: è quella che non coinvolge il palmo ma solo le dita (es. quando si prende in mano una penna per scrivere), cioè quella in cui il pollice viene unita ad una (o più) delle altre dita (solitamente l’indice) La presa di precisone, secondo la definizione classica, può essere effettuata solo da coloro che presentano una vera opponibilità, ma in realtà, secondo gli studiosi e secondo recenti ricerche, si può afferrare un oggetto anche con la parte laterale delle dita e non necessariamente con la punta. Quindi secondo questa definizione, si potrebbe arrivare ad osservare un certo grado di presa di precisione anche nelle scimmie del nuovo mondo e nelle Strepsirrine. 6 2) Cervello Un’altra importante specializzazione è il cervello, infatti in confronto ad altri gruppi di mammiferi, la massa del cervello, rapportata al peso corporeo totale, è maggiore con ovvie differenze all’interno del gruppo dei primati. Chiaramente il maggior sviluppo del cervello è un aspetto importante dei primati, perché collegato alle loro capacità cognitive avanzate. I primati non sono il gruppo di mammiferi con il cervello più grande in assoluto, in quanto mammiferi con dimensioni nettamente più grandi dei primati avranno obbligatoriamente un cervello più grande. Ma l’aspetto importante da considerare è che le dimensioni del cervello sono maggiori se sono maggiori le dimensioni corporee, in quanto in questo caso gran parte delle funzioni del cervello sono deputate a controllare questa grande massa corporea, e cioè una grande mole di muscoli, una grande mole di fibre nervose e così via. Per questo motivo è importante considerare la massa cerebrale in rapporto alla massa corporea. All’interno dell’ordine dei primati sono le antropomorfe e l’uomo ad avere dimensioni maggiori in rapporto al peso corporeo, seguono le scimmie e infine le proscimmie. È difficile capire quale possa essere stato l’agente selettivo delle capacità cognitive, cioè che le abbia selezionato positivamente durante l’evoluzione. Alcune ipotesi sono:  Sfide nella ricerca del cibo  Sfide sociali  Distribuzione spazio-temporale del cibo Sono tutte ipotesi plausibili e non esclusive che possono aver agito a feedback positivo sulle capacità cognitive dei primati, migliorandole. Se si va a considerare il ciclo vitale dei primati, rispetto alla loro massa, essi hanno una vita lunga ed hanno un numero limitato di prole: 7  Durata della vita: in genere le dimensioni del corpo sono in stretta relazione con il metabolismo dell’organismo. Infatti organismi più piccoli hanno solitamente un metabolismo più veloce, e quindi un ciclo vitale più rapido, raggiungendo la maturità sessuale più rapidamente, rispetto ad animali più grandi. Quest’ultimi hanno uno sviluppo ontogenetico più lento, arrivando quindi più lentamente a maturità sessuale, e dunque un ciclo vitale più lungo. Rispetto a queste considerazioni quindi, i primati hanno una durata della vita decisamente più lunga rispetto a quanto ci aspetteremmo dalle loro dimensioni corporee.  Numero di piccoli: per quanto riguarda la strategia di riproduzione, i primati hanno una prole ridotta, quindi adottano una strategia K (e non una strategia R), quindi pochi piccoli ma assidue cure parentali per assicurarne, o aumentare la probabilità, che raggiungano la fase adulta e si riproducano a loro volta. Al contrario la strategia R prevede una prole molto abbondante, che viene però poi lasciata al suo destino sin dalla nascita, quindi si hanno cure parentali assenti, o comunque molto scarse, e solo alcuni dei piccoli riusciranno a sopravvivere fino all’età adulta. Tutte queste caratteristiche del ciclo di vita dei primati si applica principalmente per le scimmie propriamente dette, piuttosto che alle Strepsirrine, in quanto esse sono mediamente di taglia più piccola, e quindi il loro sviluppo è un po’ differente rispetto a quello delle scimmie, sia dal punto di vista dello sviluppo celebrale che dal punto di vista del ciclo vitale. Per quanto riguarda invece le caratteristiche della vita sociale, i primati in genere:  Vivono in gruppi permanenti  I gruppi sono misti, quindi composti sia da maschi che da femmine  Hanno comportamenti sociali complessi Anche in questo caso queste caratteristiche sono riferite alle scimmie propriamente dette, in quanto la maggior parte delle Strepsirrine sono specie notturne, o comunque con prevelante attività notturna, solitarie, o che conducono una vita di coppia (maschio e femmina), o vivono in gruppi familiari ristretti, quindi madre e la prole dell’anno in corso e di quello precedente. Ma quali sono le condizioni che hanno favorito lo sviluppo di un complesso comportamento sociale e di una cognizione sociale complessa, quello che viene chimato il “cervello sociale”? • Sicuramente vivevere in gruppo comporta frequenti interazini sociali, ed esse implicano un riconoscimento individuale, cioè il poter riconoscere individualmente ogni componente del gruppo e non.  Inoltre l’avere un ciclo vitale lungo, comporta anche l’instaurazioni di ralazioni sociali durature e a lungo termine, che bisogna essere in grado anche di mantenere.  Infine l’attivita diurna, che riguarda la stragrande maggioranza delle scimmie propriamente dette, certamnete agisce selettivamente su una comunicazione complessa di tipo visivo, che poi può essere unita ad una comunicazione di tipo acustico, anche se quest’ultima non è ristretta alla vita diurna 10 Inoltre mani e piedi hanno una morfologia adatta ad afferrare ed aggrapparsi meglio al supporto stesso, ed hanno un omero moderatamente robusto, in quanto gli arti anteriori sono quelli che hanno un ruolo maggiore nel sostegno e nella propulsione del movimento. Infine la scapola è collocata lateralmente, ed hanno un processo olecranico dell’ulna lungo, che si estende in maniera prossimale, questo perché fa da leva ai muscoli tricipiti quando il gomito viene flesso. 2) Quadrupedismo terricolo Se si considera invece il quadrupedismo terricolo, principalmente caratteristico delle scimmie del vecchio mondo, si osservano anche in questo caso arti anteriori e posteriori più o meno della stessa lunghezza, e quindi un indice intermembranario vicino ad uno, però in questo caso gli arti sono relativamente lunghi e il torace stretto, perché, a differenza del quadrupedismo arboricolo, il bilanciamento non è più un porblema, in quanto il suolo è un supprto molto stabile e molto ampio. Quindi la giuntura a livello della spalla è ristretta, limitando il movimento antero-posteriore, le mani e i piedi non hanno particolari necessità di essere conformate per potersi aggrappare, ma anzi le dita sono più corte per favorire lo spostamento sul suolo. Hanno un radio robusto, perché è importante per trasmettere il peso al polso, e quindi per l’appoggio al suolo, e il processo olecranico dell’ulna si estende dorsalmente rispetto all’asse del’ulna, in quanto in questo modo si massimizza la leva dei muscoli estensori del gomito, quando esso è più o meno disteso, perché nel quadrupedismo terricolo il gomito non si deve più piegare così tanto per potersi appoggiare su un supporto stretto, come succede nel quadrupedismo arboricolo, ma al contrario in questo caso gli arti risultano distesi quando avviene il movimento. 3) Semibrachiatori I semibrachiatori sono ancora considerati quadrupedi, anche se presentano modificazioni e differenze rispetto agli altri primati quadrupedi. Inazzitutto quando saltano, corrono o si arrampicano, gli arti posteriori forniscono la forza propulsiva, mentre gli arti anteriori hanno solamente un ruolo di supporto, svolto durante il salto (servono da bilanciamento), e durante l’atterraggio, in cui posso arrivare insieme agli arti posteriori o prima di essi, atterando così prima con gli arti anteriori e poi poggiando quelli posteriori. 11 4) Brachiatori La brachiazione vera e propria, rispetto alla semibrachiazione, ha altri tipi di adattamento, in quanto questa locomozione consiste di movimenti tipo pendolo. È quindi un comportamneto di tipo sospensorio, che permette alle specie più grandi di ripartire il proprio peso tra e su supporti piccoli, distanziando il braccio destro dal braccio sinistro (come in figura), in modo da poter agire su punti diversi e ditanti del supporto, e quindi evitando il problema di bilanciare un corpo pesante sopra il supporto, spostando il peso invece sotto ad esso. In questo caso quindi sono gli arti anteriori ad avere un ruolo molto importante nella bracazione, in quanto questo tipo di movimento prevede l’arrampicamento ed il cosidetto bridging, cioè il fare da ponte, in cui un braccio è teso a destra e l’altro a sinistra e che può avvenire sullo stesso ramo, ma anche su rami diversi. La locomozione brachiatoria prevede dunque una successione rapida di movimenti delle braccia, cioè di swinging (alternanza braccio destro e braccio sinistro), grazie ai quali possono passare o addirittura lanciarsi da un ramo all’altro. Dal punto di vista anatamico sono caratterizzati dall’avere degli arti molto lunghi, in particolare le braccia, possiedono un tronco corto, per dare solidità al corpo, un torace ampio così come lo sterno, che è anche fuso, ed una regione lombare breve, tutto ciò perché devono avere un tronco che non si pieghi, ma che sia un blocco compatto, dal momento che si muovono con una locomozione di tipo sospensoria. La scapola è collocata dorsalmente e non lateralmente, perché c’è bisogno che gli arti ragiungano tutte le direzioni per potersi aggangiare a qualsiasi ramo intorno a loro. Possiedono un processo olecranico breve, in quanto l’estensione del gomito è importante, ma non è necessrio che sia potente, perché quello che conta in questo tipo di locomozione è l’agilità più che la forza. Inoltre hanno dita con falangi lunghe e ricurve per potersi aggrappare con facilità ai rami. Presentano giunture del bacino mobili, mobilità che viene incrementata anche dalla sfericità della testa del femore, questo perché serve ovviamente una grande mobilità del movimento rotatorio degli arti posteriori. Si osservano inoltre ossa carpali, distali e prossimali, che formano una giuntura del polso di tipo sferoidi, quindi anche a livello degli arti anteriori, ed in particolare della mano si deve poter avere un aumentata capacità rotazionale, ed analagomente anche le giunture del ginocchio hanno dei condili femorali piuttosto ampi e piatti, quindi bassi, corti e brevi, proprio perche anche a questo livello serve avere grande libertà di movimento. Lo stesso discorso vale per le giunture della caviglia, che hanno un rilievo osseo molto piccolo sul tallone per permettere anche in questo caso il movimento rotatorio del piede. Infine ovviamente l’indice intermembranario è molto alto, si arriva ad un estremo tra i diversi tipi di primati, in quanto gli arti posteriori sono più corti di quelli anteriori. 12 5) Brachiazione modificata Esistono dei casi particolari di brachiazione, cioè negli orango, negli scimpanzè e nei gorilla, in cui si parla di brachiazione modificata. Gli orango infatti sono per la maggior parte arborei, nonostante le dimensioni degli adulti, e sugl’alberi sono quadrumani, cioè utilizzano sia gli arti anteriori che quelli posteriori per sospendere il corpo sui supporti. I piedi degli orango sono utilizzati appunto per la sospensione sui supporti in maniera molto più libera di quanto non possano fare gli orango e gli scimpanzè. Gli scimpanzè ed i gorilla, cioè le grandi antropomorfe africane, possono all’apparenza sembrare quadrupedi, ma in realtà anch’essi sono compresi nella brachiazione modificata, pur effettuando una brachiazione occasionale, in quanto mantengono caratteristiche peculiari dei brachiatori, tra cui braccia molto lunghe, le mani ad uncino che comunque servono per potersi aggrappare ed un torso molto ampio. Infatti essi effettuano uno spostamento attraverso swinging raramente, in quanto trascorrono più del 50% del tempo al suolo (a seconda della varietà di sesso e di età), e dunque si spostano attraverso una camminata detta “knuckle-walking”, che è un compromesso nel quale il peso della parte anteriore del corpo è portato sulle nocche, e quando assumono questa posizione quadrupede, possedendo arti anteriori più lunghi di quelli posteriori, la loro posture è semi-verticale. Inoltre, pur non essendo anatomicamente ben equipaggiati per poter assumere questa posizione per un lungo periodo, possono occasionalmente praticare bipedismo per brevi tratti. 6) Locomozione saltatoria verticale È un altro tipo di locomozione che prevede degli adattamenti anatomici specifici ed estremi all’interno dell’ordine, e permette alle specie arobee il movimento tra supporti discontinui. Quando questi animali sono a riposo, la loro postura è verticale, e possegono inoltre in questo caso delle gambe molto lunghe, che sono incurvate in maniera acuta a livello del bacino, oltre a piedi prensili utili per aggrapparsi a supporti verticali. Gli arti inferirori infatti fungono da propulsori per la spinta al salto tra un supporto verticale e l’altro, e all’atterragio si agrappano prima con i piedi e successivamente appoggiano le braccia (come da figura). Anche quando si muvono sul suolo, questi animali continuano ad utilizzare solo gli arti posteriori (o meglio gli arti inferiori), effettuando una locomozione detta salto bipede (bipedal hopping). Quindi la forza propulsiva arriva da una singola e rapida distensione degli arti inferiori, con un contributo minimo, se non nullo, da parte degli arti superirori. La ditanza che viene coperta dal’’animale durante il salto è proporzionale alla distanza che viene applicata alla forza propulsiva, per questo la lunghezza delle gambe è molto importante, perché quanto sono più lunghi gli arti inferiori tanto più l’animale è in grado di saltare più distante e di conseguenza si avrà anche un indice intermembranale molto basso, in quanto si ha la situazione opposta a quella vista per i brachiatori. Le braccia infatti sono utilizzate solo per l’equilibrio e per equilibrare le forze rotazionali, la regione lombare è più breve e più rigida rispetto alle specie quadrupedi, ed i condili femorali vanno in profondità nelle giunture del ginocchio, in quanto questo consente un intervallo più ampio di capacità flessoria ed estensoria della muscolatura a questo livelllo. Infine la tibia è lunga e stretta per consentire movimenti antero-posteriori. 15 Le scimmie propriamente dette, cioè le Antropoidi, invece hanno caratteristiche diverse rispetto a quelle delle proscimmie, e cioè:  Sono generalmente diurne  Hanno una dimensione corpore più ampia  Portano dietro con sè la prole, cioè non la lasciano in rifugi o tane quando devono spostarsi, come invece fanno alcune specie di proscimmie (ma non tutte)  C’è una minore capacità olfattiva, nonostante rimanga ancora abbastanza importante nelle scimme del nuovo mondo, ma comunque in calo drastico rispetto alle proscimmie (o meglio alle Strepsirrine), ma c’è un maggiore potenziamento del canale visivo  Hanno un cervello maggiormente sviluppato rispetto alla taglia corporea, caratteristica meno evidente invece nelle proscimmie  Si trovano in maniera più sistematica gruppi stabili di più maschi e più femmine, che nel caso delle proscimmie è invece un eccezione trovare gruppi sociali di questo tipo Come già detto (e come si evince bene dalla figura) un caso particolare sono i tarsi, i quali hanno alcune caratteristiche i comune con le proscimmie, come già visto, ma le hanno anche con le Haplorrhine, con cui condividono in particolare: • La presenza della fovea retinica • L’assenza del tapetum lucidum, cioè di uno strato riflettente, che ha apunto il compito di riflettere la luce verso la retina, posto subto dietro quest’ultima, se non addirittura all’interno di essa • La barra postorbitaria che è parzialmente chiusa • I turbinati sono in numero ridotto e manca il renario umido Oltre a queste caratteristiche e a quelle che condividono con le proscimmie, hanno anche caratteristiche uniche, poprie quindi dei soli tarsi, che sono in particolare la formula dentaria (cioè quanti cannini, quanti molari ecc. possiedono), hanno gambe proporzionalmente lunghe, mani e piedi ampi e degli occhi molto grandi. 16 - Scimmie del vecchio mondo e scimme del nuovo mondo Le caratteristiche principali che distinguono le scimmie del nuovo mondo (Platyrrhines) con quellle del vecchio (Catarrhines, che in questo caso comprendono sia le scimmie che non fanno parte del nuovo mondo sia le antropomorfe, che in genere invece vengono trattate a parte), sono, dal punto di vista anatomico, la presenza di un naso ampio nelle scimmie del nuovo mondo, una diversa formula dentaria (3 premolari nelle scimmie del N.M. e 2 per quelle del V.M.), manca il dotto acustico nelle scimmie del N.M., presente invece in quelle del V.M., ed infine c’è un contatto fra l’osso zigomatico e parietale, a livello del cranio, nelle scimmie del N.M., mentre invece nelle scimmie del V.M. c’è un cantatto tra il frontale e lo sfenoide. Una caratteristica ancora importante da sottolineare è la presenza della coda prensile, che non compare in tutte le scimmie, ed anzi è assente in quelle del V.M., e si trova in soli 5 generi di scimmie del N.M.. Per quanto riguarda invece la parte comportamentale delle scimmie del nuovo mondo, rispetto a quelle del vecchio mondo, esistono differenze sostanziali: • Le scimmie del N.M. sono tendenzialmente arboricole, in quanto sono di dimensione più piccole, mentre le scimmie del V.M. sono più frequentemente terricole • Le scimmie del V.M. hanno un dimorfismo sessuale più accentutato, anche derivante dal fatto che sono più grandi come dimensione corporea • Si trova più sistematicamente la visione tricromatica nelle scimmie del V.M. ed inoltre non hanno più le marcature olfattive, quindi l’olfatto lo usano in maniera molto ridotta • Le scimmie del V.M. hanno tendenzialmente una ritenzione del cibo a livello intestinale maggiore, quindi hanno la possibilità di digerire cibi con una più alta quantità di fibre. Questo è frutto di un adattamento legato al fatto che le scimmie del V.M. sono per la maggior parte terricole, e quindi mangiano per lo più foglie, erba, ecc., cioè cibi ricchi di fibre, mentre le scimmie del N.M. sono tendenzialmente arboricole per cui hanno la possibilità di mangiare anche frutti, ed infatti sono anche frugivore. Nella tabella segente sono elencate le principali caratteristiche e differenze tra scimmie del N.M. e scimmie del V.M., alcune in aggiunta a quella già sopra elencate: 17 - Scimmie del vecchio mondo e Antropomorfe Dal punto di vista tassonomico vengono dette Cercopithecoidea (scimmie del vecchio mondo) e Hominoidea (Antropomorfe), ed hanno tra di loro differenze anatomiche consierevoli, ed in particolare le Antropomorfe presentano le seguenti caratteristiche, non presenti nelle scimmie del V.M.: • Presentano naso e palato ampi • Un cervello più grande in rapporto alle dimensioni corporee • Molari semplici, quindi non bilofodonti come nelle scimmie del V.M., cioè non con due cuspidi come si vede nell’immagine • Un tronco più accorciato e delle braccia lunghe, in quanto, come detto in precedenza, le scimmie antropomorfe sono o semibrachiatori, brachiatori o brachiatori modificati • Assenza della coda Quindi le scimmie antropomorfe in generale hanno dimensioni corporee maggiori rispetto alle scimmie del vecchio mondo, e in rapporto a tali dimensioni, hanno un cervello più grande, da cui conseguono delle capacità cognitive più complesse (in particolare le grandi antropomorfe), tra cui il riconoscere la propria immagine riflessa in uno specchio, la comprensione di stati emotivi di altri individui, un utilizzo maggiore di strumenti come sassi, bastoni ecc. (in maniera diversa da specie a specie), che talvolta possono anche essere modificati a seconda dell’uso. Inoltre presentano uno sviluppo ontogenetico più lento e sono in grado di costruirsi un nido in cui trascorrere la notte. Prendiamo ora in considerazione la tassonomia di questi due gruppi di Catarrhine e vediamo quale sia la suddivisione all’interno di essi: - all’interno del gruppo dei Cercopithecoidei, quindi escludendo le scimmie antropomorfe, esistono due diversi gruppi con differenze sostanziali: Colobines e Cercopithecines. Le Colobine sono tendenzialmente più arboricole, ed una caratteristica fondamentale che le distingue dalle Cercopithecine è la presenza di uno stomaco specializzato, in quanto è compartimentalizzato, un po’ in maniera simile ai ruminati, che consente loro di digerire la cellulosa anche in grandi quantita. Le Cercopithecine invece presentano tasche guanciali, che permettono loro di immagazzinare cibo; - anche all’interno del gruppo degli Hominoidei esistono due diversi gruppi: le famiglie degli Hylobatidae che comprendono le piccole antropomorfe (siamango e gibboni) e le famiglie degli Hominidae, che invece comprendono le grandi antropomorfe e l’uomo. 20 Successivamente nell’eocene (54-34 mln di anni) si trovano quelle che si possono considerare le prime proscimmie fossili. Infatti in quest’epoca geolocica si riscontra un “breve” periodo di decremento delle temperature, che è seguito poi da una fase di riscaldamento, e ciò favorisce un ampiamento della copertura forestale e quindi anche la prima radiazione di veri e propri primati, che in questo periodi si trovano in Nord-America, in Asia, in Africa e in Europa. In queste prime forme di proscimmie le carratteristiche princiali sono: • La comparsa del pollice e dell’alluce opponibile • La comparsa di unghie al posto degli artigli • La comparsa della barra postorbitaria (anche se incompleta) • La presenza della bolla petrosa • Un muso, che è ancora allungato, ma più piatto ed ampio Quindi si riscontrano, come è evidente, una serie di differenze anatomiche tra le plesiadapiformi citati sopra e queste prime forme di proscimmie, tra cui: 1) l’assenza del diastema in quest’ultime; 2) la presenza di unghie e non di artigli; 3) incisicvi ridotti che quindi confermano il fatto che ci si avvicina alla caratteristica dei primati di non avere specializzazioni marcate 4) un muso più ampio e meno prognato. Qundi i primati dell’eocene hanno delle caratteristiche uniche, e sono in genere divisi in quattro gruppi tassonomici: gli Adapoidea, gli Omomyoidea, gli Eosimiidae e gli Oligopithecidae. Gli Adapoidea potrebbero essere i lemuri ancestrali (è un ipotesi non ancora confermata da evidenze scientifiche). Si trovavano nel Nord America e in Europa ed in maniera meno frequnte in Africa ed in Asia, ed avevano approssimativamente 116 specie, che però sono in aumento man mano che vengono trovati nuovi resti fossili. Inoltre possedevano una massa corporea stimata oscillante tra i 100 g e fino a quasi i 7 Kg, cioè più o meno il range di taglia che si riscontra attualmente nelle Proscimmie, e la maggior parte degli Adapoidi avava delle orbite oculari piccole, che potrebbero essere indicative di uno stile di vita diurno. Altre caratteristiche che li accomunano ai lemuri sono:  La presenza di incisivi piccoli e canini grandi, cosa che suggerisce un importantissima transizione della dieta da prevalentemente insettivora e parzialmente frugivora ad una più marcata tendenza per la foglivoria e la frugivoria, che rispecchia la tendenza nell’evoluzione dei primati  La presenza di un corpo allungato, di coda e gambe lunghe, tutte caratteristiche ancestrali  Una locomozione che può variare da corridore e saltatore quadrupede nelle specie di più piccola taglia fino ad arrivare a saltatori verticali nei taxa più grandi 21 Gli Omomyoidea invece potrbbero essere i tarsi ancestrali. Si trovavano in Asia, Europa e Nord America e c’erano numerose specie con una particolare concentrazione in Nord America, ed avevano una taglia corporea stimata tra i 45 g e i 2,5 Kg, anche se in realtà la maggior parte pesava meno di 1 Kg, quindi erano animali più piccoli rispetto agli Adapoidea. Inoltre avevano orbite oculari, e quindi occhi, molto grandi, che quindi indicano una più probabile attività notturna, ed un muso più corto, così come gli attuali tarsi, i quali sono considerati Haplorrhine proprio per questa carateristica della parte nasale più accorciata che è correlato ad un parziale depotenziamento del canale olfattivo. La morfologia dentaria indica una dieta variata, che poteva andare dall’insettivoria nelle forme più piccole, alla frugivoria e foglivoria nelle forme più grandi, ed erano prevalentemente saltatori e quadrupedi alboricoli, ma uno dei caratteri morfologici che più li accomuna agli attuali tarsi è la presenza in alcune specie di una tibia-fibula già parzialmente fusa. Gli Eosimidae e gli Oligopithecidae possono essere infine candidati come Haplorrhine ancestrali, o più in particolare, escludendo quindi i tarsi, delle scimmie propriamente dette. Di questi animali sono stati rinvenuti alcuni frammenti di mascella e mandibola, di denti ed anche un piccolo numero di ossa postcraniali in Cina e in Egitto, ed in particolare quelli della Cina vengono collocati nella famiglia degli Eosimidi mentre quelli dell’Egitto nella famiglia delgi Oligopithecidi. In generale gli Eosimidi erano animali piccoli, con peso stimato intorno ai 100 g, ed avevano delle caratteristiche craniali e dentarie che suggeriscono delle proprietà simili a quelle che si trovano nelle scimmie:  Incisivi spatulati  Canini allargati, quindi più grandi  Molari abbasati, con trigonidi ampi  Una mandibola di conformazione simile a quella antropoide Gli Oligopithecidi invece erano un po più grandi, con una massa corporea stimata intorno al Kilo (tra i 900 e i 1500 g), e la loro morofologia craniale, come per esempio la forma della bolla auditiva, ha delle somiglianze in particolare con le Catarrhine. La loro dieta era probabilmente composta da insetti e materiale vegetale, come per esempio le foglie, ma purtroppo di questi animali si possono ottenere informazioni minime filogenetiche e funzionali, dai fossili riitrovati attulamente, che ci possano permettere di collocarli in maniera tassonomicamente prescisa. Quindi riassumendo, già nell’eocene si sono rinvenuti dei candidati ancestrali dei principali gruppi di primati di oggi, ma la prima radiazione delle antropoidi avviene nell’ oligocene (33-23 mln di anni). In questo periodo geologico il clima si raffredda, avviene la separazione del Sud America dall’Antartide, il che porta all’avere delle correnti profonde intorno al Polo Sud, e si riduce pertanto la copertura forestale, e quindi gli habitat propri dei primati si riducono alla fascia tropicale. Per questo motivo i primati scompaiono dall’emisfero Nord, scompaiono definitivamente gli Adapoidi, e compaiono nuovi gruppi tassonomici, che si evolvono in Asia, in Africa e in Sud America, quindi si creano le condizioni favorevoli per la comparsa di nuove radiazioni adattative. 22 La maggior parte dei primati dell’oligocene può essere divisa in tre gruppi tassonomici:  I Parapithecidae: avevano delle caratteristiche simili a Platirrine o anche a tarsi, quindi per esempio tibia e fibula unite per il 40% della loro lunghezza;  I Propliopithecidae: avevano una morfologia dentaria più simile alle scimmie cercopitecoidee (per esempio non avevano i molari bilofodonti), e avevano alcune caratteristiche delle antropoidi, come per esempio la sintesi mandibolare fusa, la chiusura della barra postorbitaria. Alcune caratteristiche invece si mantenevano simili a quelle delle Platirrine, quindi presentano una situazione a mosaico che non permette di dare una caratterizzazione più precisa, associandoli con i gruppi moderni;  I Platyrrhini. Dunque all’interno del gruppo dei primati dell’oligocene le modificazioni e le caratteristiche che si osservano sono: 1) L’aumento della taglia corporea, che fino ad ora non era particolarmente sviluppata, tant’è che le più grandi che fino ad ora si erano trovate erano quelle degli Adapoidi, che vengono associati teoricamente a lemuri ancestrali; 2) L’incremento della dimensione del cervello, sempre in relazione alla massa corporea; 3) La frugivoria in senso stretto, sempre con la possibilità in qualche specie di implementare la dieta con qualche insetto, ma comunque con una quasi totalità della dieta concentrata sulla frugivoria; 4) Il dimorfismo sessuale, che è associato all’aumento della taglia corporea, quindi femmine più piccole rispetto ai maschi; 5) Un possibile passaggio alla vita diurna nella maggior parte delle specie, il che potrebbe aver favorito definitivamente: - La chiusura della barra postorbitaria - La fovea e la convergenza delle orbite, cioè la frontalizzazione degli occhi e quindi la visione stereoscopica - L’aumento del lobo frontale del cervello, quindi anche in particolare della corteccia prefrontale, anche se per questa bisognerà aspettare ancora per avere delle differenze notevoli (cioè nelle antropomorfe e nell’uomo) - L’aumento della capacità visiva, con due coni nelle Platirrine e tre coni nelle Catarrine Prendiamo ora in considerazione il periodo del Neogene (23 mln di anni fa ad oggi), in cui si identificano i seguenti periodi geologici:  Il Miocene (23-5,6 mln di anni), con la comparsa delle antropomorfe e dei primi Hominoidei  Il Pliocene (5,6-1,8 mln di anni), con la prima radiazione delle prime Hominine  Il Pleistocene (1,8-0,01 mln di anni) in cui si arriva all’evoluzione del genere Homo  L’Olocene, da 10 mila anni fa circa fino al presente (Neolitico, epoca attuale), e con il neolitico arriva l’addomesticazione, l’agricoltura, l’allevamento ecc. L’epoca che più ci interessa è però il Miocene, in quanto si verifica una diffusione enorme delle Catarrine e l’arrivo del bipedismo, in quanto quest’ultimo non arrivo solo con l’uomo e le sue forme ancestrali recenti. Questi importanti avvenimenti sono frutto di vari cambiamenti geo-climatici che hanno portato ad eventi macro-evolutivi e micro-evolutivi nell’ordine dei primati. Infatti in questo periodo si riscontra una fase di riscaldamento (con un picco a metà circa del periodo), ed una fase di raffreddamento e di riduzione dell’umidità, in cui quindi il clima si fa più freddo e più secco, ed è proprio questa la fase cruciale per l’evoluzione dei primati. In più si verificano sempre eventi orogenetici importanti, come: 25 6) Cranio Nel bipede il cranio è allineato all’asse verticale della colonna vertebrale, di conseguenza la posizione del forame occipitale è più anteriore rispetto a quella di un primate non bipede, si parla quindi di anteriorizzazione del foro occipitale. Il cranio di un bipede assume nel complesso una forma globosa, espansa verso l’alto ed arrotondato posteriormente, mentre nella parte superiore si riconosce un arco di circonferenza quasi perfetto; si riduce lo scheletro facciale e si riducono anche le dimensioni delle ossa mascellari e mandibolari. Nei primati non bipedi invece la scatola cranica e relativamente piccola rispetto allo scheletro facciale che risulta molto più sviluppato, prognato (cioè l’osso mascellare sporge rispetto alla mandibola) e con massicce arcate mascellari. Una causa di queste caratteristiche sono anche le dimensioni dei denti anteriori (incisivi e canini) che nei primati non bipedi hanno dimensioni maggiori rispetto all’uomo. Inoltre un’importante caratteristica del cranio di un bipede, a differenza di quella di un non bipede, è che esso non ha necessità di potenti muscoli nucali a suo sostegno in quanto è in equilibrio sulla colonna vertebrale. Di conseguenza l’area di inserzione dei muscoli nucali di un primate bipede è molto più ristretta rispetto al cranio di un primate non bipede. Anche l’area di inserzione dei muscoli parietali inoltre, nei primati non bipedi, è molto più ampia rispetto a quella dei primati bipedi, in cui i muscoli parietali occupano una porzione molto più limitata dell’osso parietale. Per contro però, con il cranio in equilibrio sulla colonna vertebrale, c’è la necessità di rafforzare i muscoli laterali, come per esempio lo sternocleidomastoideo, muscolo molto sviluppato nel bipede che trova inserzione sul cranio in corrispondenza del processo osseo mastoideo, che fa parte dell’osso temporale. 26 7) Colonna vertebrale Nei primati bipedi la verticalizzazione del tronco comporta la verticalizzazione della colonna vertebrale, che ha l’asse maggiore perpendicolare al suolo, ed è formata da una sequenza di vertebre distinte in 4 tratti (dall’alto verso il basso): 1. 7 vertebre cervicali che occupano la posizione del collo 2. 12 vertebre toraciche 3. 4. 5 vertebre lombari 5. 5 vertebre sacrali fuse tra di loro e 3-4 vertebre coccigee finali La dimensione delle vertebre aumenta passando dall’alto verso il basso (dalle cervicali alle lombari). In corrispondenza di ciascuno dei 4 tratti la colonna vertebrale presenta 4 curvature uguali a due due, e nello specifico si parla di: 1. Lordosi cervicale 2. Cifosi toracica 3. Lordosi lombare 4. Cifosi sacro-coccigea Nel complesso queste curvature consentono una migliore prestazione biomeccanica, in quanto le forze vengono scaricate non solo verticalmente ma scomposte anche orrizzontalmente e obliquamente secondo le direttrici vettoriali. In particolare la curvatura molto accentuata nella zona lombare è un adattamento fondamentale nei bipedi per stabilizzare la parte superiore del corpo che trova il baricentro appena sopra i finchi, e che si forma durante la crescita quando il bambino inizia a camminare bipede. Infatti se non ci fossero le curvature la colonna vertebrale di un bipede dovrebbe avere dei corpi vertebrali molto più grandi per sostenere il peso del corpo. 8) Mano e Gabbia toracica Con l’acquisizione della posizione eretta l’arto superiore e la mano si liberano dalla funzione della locomozione. Inoltre l’arto superiore diventa più corto di quello inferiore e la mano diventa uno strumento estremamente versatile per la manipolazione degli oggetti, migliorando l’opponibilità del pollice per graduale aumento della sua mobilità e del suo grado di rotazione, anche grazie ad una articolazione molto mobile detta articolazione a sella. Inoltre nell’uomo si è sviluppata una presa di precisione più efficace anche grazie alla riduzione in lunghezza delle dita e alla perdita delle curvature delle falangi. La gabbia toracica è più piatta e più larga rispetto ad un primate non bipede, questo sempre in funzione della stabilità, del baricentro e della biomeccanica. 27 9) Bacino Le modificazioni a carico del bacino sono molto importanti: esso infatti diventa molto più ampio e più basso e si parla quindi di brachipelvizzazione del bacino. L’ala eliaca, parte più superiore dell’anca, è più espansa ed è rivolta in avanti. Con la postura eretta il bacino assume un ruolo centrale nella statica e nella dinamica tra il tronco e gli arti inferiori, diventando quindi più largo e svasato e fornendo maggiore superficie di attacco per i muscoli glutei. In particolare il grande gluteo nell’uomo ha la funzione importante di rafforzare l’azione estensoria durante il passo, al termine del quale trasmette quindi grande potenza alla gamba, ed inoltre svogle un importante funzione di controllo della stazione eretta. Nei primati non bipedi invece, il gluteo ha la sola funzione di aduttore, cioè di spostare il femore lateralmente. Il femore, nel bipede abituale, è robusto, è l’osso più lungo dello scheletro umano ed anche la testa del femore ha diametro maggiore così come è maggiore la lunghezza del collo femorale. Inoltre il femore assume una posizione obliqua, convergente verso la parte mediana del corpo e la presenza di un angolo bicondilare e la convergenza verso l’interno rende l’articolazione del ginocchio completamente estensibile, e conferisce una maggiore stabilità biomeccanica. L’articolazione del ginocchio è molto importante in quanto sopporta il peso di tutto il corpo prima di trasferirlo alle caviglie e poi ai piedi. L’immagine seguente mostra la sezione trasversale a livello del collo del femore, grazie alla quale si può osservare come il collo del femore di un primate non bipede (immagine a sinistra) è caraterizzato dall’avere una robustezza maggiore nella parte superiore, data dal particolare spessore del tessuto osseo compatto: questo è dovuto alla necessità di sopportare particolari sforzi biomeccanici durante l’arrampicata. Nell’H.sapiens (immagine centrale) invece questo particolare inspessimento del tessuto osseo non è necessario, in quanto non sussiste più la facoltà dell’arrampicamento, pertanto l’osso può allegerirsi non essendo più sottoposto a particolari sforzi biomeccanici, ed inoltre, avendo muscoli aduttori molto sviluppati, essi compensano nelle attività biomeccaniche. Quindi in sezione trasversale il collo del femore di un primate bipede appare più sottile nella parte esterna esterna dell’osso, detta corticale. 30 • PRIMI OMININI Sottoelencate ci sono le prime specie candidate a far parte degli omini più antichi, in ordine di antichità:  Sahelanthropus chadensis, circa 7 m.a  Orrorin tugenensis, 6 m.a.  Ardipithechus kedabba, tra i 6-5 m.a.  Ardipithecus ramidus, tra i 5-4 m.a. Appartengono a tre supposti generi, rinvenuti in Ciad, Kenya ed Etiopia, anche se non tutti i generi e specie sono riconosciuti in maniera unanime dagli studiosi, ed anche il dibattito sulla loro posizione nella linea evolutiva umana è ancora ampiamente in corso di discussione. 1) Sahelanthropus chadensis È stato rinvenuto un cranio completo, anche se deformato dalla pressione del terreno, oltre a frammenti di mandibola, diversi denti e un frammento di femore (reperti datati a circa 7 m.a.). il sito dove sono stati rinvenuti questi fossili ha restituito anche resti faunistici e botanici che hanno consentito di ricostruire il paleoambiente, caratterizzato quindi da foreste, intervallate da spazi più aperti, attorno ad un ambiente lacustre. Dai frammenti fossili ritrovati è stato possibile individuare un insieme di caratteri primitivi, ossia caratteri ereditati dagli antenati, e caratteri derivati, cioè caratteri evolutivamente nuovi: per esempio il cranio lungo e stretto, caratterizzato dalla presenza di importanti creste ossee sagittali e occipitali, e la presenza di un toro sopraorbitario importante, ossia un ispessimento osseo sopra le orbite, indicano una muscolatura del cranio ancora molto sviluppato, come nei primati non bipedi, così come la capacità del cranio ridotta è una caratteristica che si avvicina molto a quella delle scimmie antropomorfe. Per contro però il fossile mostra caratteri innovativi, come per esempio il viso meno sporgente rispetto alle antropomorfe, i canini più piccoli, l’assenza del diastema, lo smalto spesso a livello dei denti molari, ma soprattutto la posizione più anteriore del foro occipitale. In particolare quest’ultima caratteristica suggerisce un certo adattamento al bipedismo. Ad oggi viene considerato un Ominine molto antico, che si pone molto vicino all’inizio della linea evolutiva degli Ominini, ma è bene ricordare che questo punto di vista non è condiviso da tutti, tant’è che vengono mosse diverse critiche all’inserimento di quest’Ominine all’interno della nostra linea evolutiva, tra le quali la più importante è quella sulla sua datazione: 7 m.a. di anni è una datazione troppo antica, soprattutto se si prende in considerazione le date che gli antropologi molecolari hanno fissato come divergenza tra la linea evolutiva ominine e quella che ha portato allo scimpanzè, cioè quella che viene collocata appunto intorno ai 5-6 m.a.. 2) Orrorin tugenensis Datato a circa 6 m.a., è stato ritrovato in Kenya. Dai frammenti fossili ritrovati è stato possibile anche in questo caso individuare una serie di caratteri primitivi e caratteri derivati. Nello specifico in questo Ominine è il femore a suggerire le condizioni di bipedia, mentre le falangi indicherebbero ancora una vita sugli alberi e una buona capacità di arrampicamento. Le informazioni che si hanno su questo Ominine sono comunque scarse e al momento sembra coerente supporre che Orrorin tugenensis possa effettivamente occupare una posizione alla base della linea evolutiva degli Ominini. 31 3) Ardipithecus kedabba e Ardipithecus ramidus Sono le due specie che rappresentano il genere Ardipithecus, datate in un periodo compreso tra 5,4 e 4,4 m.a. Il sito dove sono stati rinvenuti i fossili ha restituito anche resti faunistici e botanici, che hanno permesso di ricostruire il paleoambiente, che è un ambiente con spazi boscosi, alternati a spazi aperti di savana. Dai numerosi frammenti ritrovati, compreso uno scheletro molto completo, è stato possibile anche in questo caso individuare una serie di caratteri primitivi e caratteri derivati: in particolare le falangi ricurve ed il piede con l’alluce opponibile indicano abbastanza chiaramente un legame molto stretto con l’ambiente di foresta, anche se la posizione del forame occipitale e le caratteristiche del bacino indicherebbero una locomozione bipede. Anche in questo caso la posizione nella filogenesi umana è ancora ampiamente in discussione, così come l’interpretazione dei caratteri morfologici dello scheletro, in particolar modo del bacino. • GLI OMININI DEL PLEISTOCENE: Australopithecus e Kenianthropus A partire da circa 4 milioni fino a circa 2 milioni di anni nel record archeologico compaiono molte forme ominini che si differenziano dalle forme precedenti per un più spiccato adattamento alla locomozione bipede. Sono questi i primi veri ominini bipedi riconosciuti dalla maggior parte degli studiosi. Oggi queste forme vengono classificate in due generi Australopithecus e Kenianthropus. Questi ominini si adattarono e si diversificarono ai limiti delle foreste e delle savane dell’Africa orientale e meridionale. Qui in elenco le 8 specie attualmente riconosciute, quasi tutte appartengono al genere Australopithecus, una sola specie al Kenianthropus. Sono distribuite in Africa orientale e meridionale, in un periodo compreso tra circa i 4 e 1,9 milioni di anni. L’elenco riporta le specie in ordine cronologico dalle più antiche (Australopithecus anamensis) alle più recenti (Australopithecus sediba): Sono Primati dotati di una forma di adattamento alla locomozione bipede più avanzata o comunque più chiaramente identificabile dalle caratteristiche scheletriche (rispetto alle forme precedenti) anche se non si tratta ancora di bipedismo abituale ma di bipedismo facoltativo nel senso che la locomozione bipede si alterna ancora con la locomozione arboricola. Sono specie caratterizzate da estrema flessibilità ecologica e comportamentale determinata dalle caratteristiche dell’ambiente. Questi ominini si differenziarono in diverse specie che poi si andarono sempre più specializzando in varie direzioni (soprattutto sotto il profilo alimentare) e lo vedremo successivamente con i generi Paranthropus (ominini a dieta prevalentemente vegetariana) e Homo (dieta più ricca di carne). 32  Caratteri scheletrici (Australopithecus) Vengono elencate sotto le caratteristiche generali del cranio del genere Australopithecus: I denti posteriori più grandi rispetto alle forme precedenti indicano l’accesso a risorse alimentari diverse poiché tale morfologia rende possibile lo sviluppo di una masticazione più efficace, adatta ad una alimentazione vegetale basata su cibi più duri e abrasivi, rispetto all’alimentazione per es. di Ardipithecus. La dieta diventa quindi meno specializzata rispetto ai primati legati all’ambiente di foresta. Per quanto riguarda invece le caratteristiche generali dello scheletro post-craniale di Australopithecus qui sotto sono elencate le principali. Queste caratteristiche dimostrerebbero un più spiccato adattamento alla locomozione bipede rispetto alle forme precedenti: 35 Australopithecus garhi È stato un fossile rinvenuto tra il 1990 e il 1998 in Etiopia, datato tra i 2,3 e i 2,5 Ma. In particolare furono ritrovati diversi frammenti dei vari distretti scheletrici, e alcune porzioni corporee sono più simili al genere Homo, in particolare nel femore e nel braccio. Inoltre nei siti di rinvenimento sono tate trovate anche tracce di tecnologia litica che però non è stato possibile associare direttamente ai resti. Come già detto quindi tra i tratti anatomici più rilevanti che fanno di A. garhi un pretendente assai accreditato alla nostra ascendenza, ci sono quelli relativi alle proporzioni degli arti. Australopithecus sediba È un fossile rinvenuto nel 2010 in Sud Africa, datato intorno agli 1,9 Ma. In particolare sono stati rinvenuti due scheletri (un maschio tra gli 11 e i 13 anni e una femmina adulta) in una cavità calcarea. Presentano un insieme di caratteri primitivi e moderni: infatti l’arto superiore lungo e la conformazione del piede sono elementi adatti all’arrampicamento sugli alberi, la gabbia toracica è come in Australopithecus e ha una capacità cranica di 40 cc. Inoltre i denti molari sono piccoli e la mano è sorprendentemente moderna (pollice lungo e le altre dita corte), capace della presa di precisione come quella di chi fabbrica utensili, la morfologia del bacino e la caviglia sono moderni, i femori sono lunghi e coerenti con il bipedismo anche se diverso da quello del genere Homo. Quindi nelle caratteristiche fisiche, per molti aspetti vengono descritte affinità con le forme primordiali del genere Homo, più che con quelle di Australopithecus. Sorgono quindi delle domande: come collocare A. sediba? Rappresenta l’ultima delle australopitecine sudafricane o uno dei primi rappresentanti del genere Homo? È la prova dell’origine sudafricana del nostro genere? oppure è una specie di Homo comparsa in africa orientale e diffusa in Sudafrica? Sono tutte domande ancora in cerca di risposta. Kenianthropus platyops È un fossile rinvenuto tra il 1998 e il 1999, datato a circa 3,5 Ma. In particolare è stato ritrovato il cranio con un modello anatomo- morfologico distinto dal genere Australopithecus. Presenta infatti una combinazione di caratteri primitivi nella porzione neurocranica e più moderni nella faccia straordinariamente piatta, denti molari piccoli (maggiore consumo di carne?), e smalto spesso. L’architettura facciale richiama molto da vicino quella di una specie vissuta un milione e mezzo di anni dopo Homo rudolfensis. 36 Quindi questo fossile è stato rinvenuto nello stesso periodo e nella stessa regione di A. afarensis. Lo stadio evolutivo è quello del genere Australopithecus afarensis anche se alcuni studiosi riconoscono caratteristiche già umane. La domanda che sorge è quindi: Keniantropo oppure A. afarensis? È ancora in discussione, anche se è fortemente probabile la fabbricazione da parte di Australopithecus-Kenyanthropus di strumenti in pietra per estrarre le radici o per tagliare la carne dalle carcasse degli animali morti e rompere le ossa per recuperare il midollo. Strumenti deliberatamente scheggiati per ottenere spigoli taglienti realizzati con tecniche padroneggiate dal gruppo e quindi trasmesse all’interno di una tradizione (cultura lomekwiana?); il rinvenimento di ossa di bovino, datate a 3,4 milioni di anni, con segni di strumenti ne sarebbe la prova. Riassumendo quindi il gruppo Australopithecus-Kenianthropus è caratterizzato da un maggior sfruttamento delle risorse del suolo garantito dalla bipedia e forse anche dall’uso di strumenti. Una linea evolutiva di raccoglitori/predatori di maggior successo ha avuto un’accelerazione adattandosi meglio e più in fretta al bipedismo rispetto alle altre. L’ipotesi più accreditata tra gli studiosi è che l’evoluzione verso un bipedismo permanente è all’origine del passaggio dalle forme pre-genere Homo alle forme del genere Homo. • GLI OMININI DI FINE PLIOCENE E INIZIO PLEISTOCENE (I): IL GENERE Paranthropus A partire da circa 2,5 milioni di anni fa nel record archeologico compaiono ominini che si differenziano dalle forme precedenti per l’apparato masticatorio particolarmente robusto. In passato queste forme erano inserite nel genere Australopithecus ed erano considerate «australopitecine robuste»; oggi sono classificate in un nuovo taxon, il genere Paranthropus, più idoneo a sottolineare la diversa nicchia trofica occupata dal gruppo: i parantropi sono dediti ad un regime alimentare orientato tendenzialmente verso vegetali duri (radici, semi) e piante erbacee, mentre gli australopitechi erano orientati verso un regime alimentare decisamente più onnivoro con vegetali teneri (foglie e frutta) affiancati da apporti di carne. I «parantropi» sono contemporanei alle ultime forme di Australopithecus e alle prime forme del genere Homo. La loro comparsa nel cespuglio evolutivo ominine è verosimilmente conseguenza di nuove ed intense pressioni selettive (soprattutto in relazione alle risorse alimentari) a causa del persistente peggioramento climatico che determinò un progressivo inaridimento, riduzione del manto forestale ed espansione dell’ambiente di savana. Il taxon dei parantropi si estingue dopo circa 1,5 milioni di anni senza lasciare alcuna specie discendente. Vengono sottoelencate le tre specie attualmente riconosciute: - Paranthropus aethiopicus (Etiopia e Kenya, 2.5 Ma) - Paranthropus boisei (Etiopia, Kenya, Tanzania, 2.3-1.2 Ma) - Paranthropus robustus (Sud Africa, 1.8-1.2 Ma) Sono distribuite in Africa orientale e meridionale, in un periodo compreso tra circa i 2,5 e 1,8 milioni di anni circa. L’elenco riporta le specie in ordine cronologico dalla più antica (Paranthropus aethiopicus) alle più recenti (Paranthropus boisei e Paranthropus robustus). 37 La conformazione anatomo-morfologica del corpo è del tutto simile a quella degli australopitechi con la sola eccezione della testa che presenta un’architettura più massiccia, più spessa, con la presenza di creste ossee sagittali in grado di dare inserzione a potenti muscoli masticatori idonei a frantumare cibi vegetali duri e fibrosi come bacche, radici e semi; i denti molari e premolari sono più grandi rispetto alle forme omini precedenti per offrire maggiore superficie di masticazione. Nel complesso la capacità cranica si colloca tra 400 - 500 cc. Paranthropus aethiopicus È la più antica delle tre specie di parantropi. I primi ritrovamenti risalgono al 1967. Oggi la specie è conosciuta attraverso frammenti di mandibola e un cranio quasi completo. La capacità cranica di circa 410 cc e il prognatismo abbastanza marcato ricordano la struttura di Australopithecus, al contempo, però, altri caratteri sembrano indicare una forma del tutto peculiare, tra essi: la cresta ossea sagittale (sulla sommità del cranio) sviluppata e le notevoli dimensioni dei denti posteriori (premolari e molari) capaci di garantire un’ampia superficie masticatoria. Paranthropus boisei I primi ritrovamenti risalgono al 1959 e fanno riferimento ad un cranio quasi completo datato a circa 1,8 milioni di anni fa. Negli anni successivi il ritrovamento di altri resti hanno permesso di estendere l’arco temporale tra 2,3 e 1,2 milioni di anni fa. La capacità cranica è di circa 500 cc, la faccia è robusta e larga, meno prognata rispetto agli australopitechi e quasi concava, il cranio presenta creste ossee sviluppate. Il cranio visto dall’alto presenta un marcato restringimento retrorbitario che indica la presenza di potenti fasci muscolari laterali. I premolari e molari sono molto sviluppati. Le caratteristiche generali descrivono un ominine dotato di un apparato masticatorio molto potente efficace per triturare cibi duri, coriacei, difficili da masticare. Tuttavia, recenti studi sugli isotopi stabili del C condotti analizzando lo smalto dei denti di Paranthropus boisei, dimostrerebbero un consumo notevole anche di piante erbacee e quindi un’alimentazione non esclusivamente basata su cibi duri. Questi e altri recenti studi stanno cambiando le conoscenze che finora erano note circa la dieta dei parantropi; i nuovi dati potrebbero avere implicazioni profonde nella comprensione dell'evoluzione di questi ominini e della loro estinzione. 40  Modo I – Industria olduvaiana In questa fase evolutiva la lavorazione della pietra non era un’attività occasionale, in quanto ciò implica conoscenze sulle proprietà dei materiali, abilità manuali nel cogliere i punti di frattura della pietra, capacità di coordinamento senso-motorio, competenze nella trasmissione del sapere. La manipolazione della materia implica un processo di astrazione: prevedere il risultato come conseguenza di un’azione ossia conoscere il processo causa- effetto e quindi pianificare una sequenza di gesti. L’industria litica dimostra la capacità dell’ominine di relazionarsi attivamente con l’ambiente mediante un sistema organico di risposte alle induzioni esterne, secondo un codice comportamentale condiviso dalla comunità. Ciò implica attitudini per l’organizzazione sociale, la previsione e la pianificazione. Con oggetti affilati gli ominini potevano macellare le carcasse rinvenute (animali spazzini) e recuperare facilmente il midollo dalle ossa. Non erano cacciatori ma ancora ominini «opportunisti» in cerca di carcasse di animali uccisi dai grandi predatori della savana. Allo stato attuale delle conoscenze infatti non ci sono prove di attività di caccia, né di divisione del lavoro né dell’esistenza di accampamenti organizzati. Questo potrebbe significare che per molto tempo, le acquisizioni delle capacità tecnologiche non furono accompagnate da un cambiamento nei comportamenti. • GLI OMININI DEL PLEISTOCENE INFERIORE: Homo ergaster, Homo georgicus, Homo erectus, Homo antecessor Queste specie sono quelle del genere Homo riconosciute dalla maggior parte degli studiosi. Homo habilis e Homo rudolfensis (early Homo) sono già state descritte nella lezione precedente e sono le prime forme «umane» che si collocano cronologicamente tra la fine del Pliocene e l’inizio del Pleistocene; esse segnano la comparsa del genere Homo e l’inizio di un nuovo capitolo dell’evoluzione degli ominini. L’ambiente si è trasformato in savana, le foreste sono sempre più rade e quelle acquisizioni scheletriche di locomozione bipede dettate dalle circostanze del momento, presenti nei gruppi ominini precedenti a Homo, ora in ambiente di savana, diventano adattamenti indispensabili, stabili ed esclusivi. Con il Pleistocene inizia il cosiddetto «periodo glaciale» con profonde oscillazioni climatiche che determinarono l’alternanza di periodi glaciali e interglaciali con fasi di maggiore o minore aridità nella regione tropicale. Le australopitecine e i parantropi scompaiono, dopo aver convissuto, pur con abitudini molto diverse, per diverse migliaia di anni con Homo ergaster, i cui reperti più antichi risalgono a circa 1,8 milioni di anni e sono distribuiti in diverse aree dell’Africa orientale e del Sud Africa. La struttura anatomo- morfologica di questa forma ominine è molto diversa da quella delle forme che lo hanno preceduto. 41 Quasi contemporaneamente alla comparsa di Homo ergaster in Africa, intorno a 1.8 Ma la nostra storia come genere smette di essere una vicenda esclusivamente africana. In figura è riportata la prima di una serie di diffusioni del genere Homo, dette comunemente anche «out of Africa» (gli studiosi ne riconoscono almeno tre). In figura inoltre sono indicate le principali traiettorie della prima diffusione (Out of Africa I) avvenuta circa 2 milioni di anni che ha coinvolto le prime forme del genere Homo: si tratta di una espansione dell’areale e non di vera e propria migrazione. L’espansione dell’areale comporta anche la comparsa di una variabilità di forme ominini in relazione all’adattamento ad ambienti molto diversi. Sulla base dei dati a disposizione, la prima grande espansione, seguendo un andamento iso-latitudinale, con traiettorie di espansione prossime alla fascia tropicale, permise di raggiungere i territori del sud-est asiatico (Giava) prima di 1,5 milioni di anni fa. Analogamente, vi sono siti in Europa (Spagna, sud della Francia e Italia) che indicano la presenza del genere homo ben prima di 1 milione di anni. A partire da questo periodo le varie forme ominini presentano eterogeneità di forme e differenziazione morfologica su base geografica, spesso difficile da valutare dalla sola analisi dei fossili; e da questo momento inizia un periodo dove i cambiamenti riguardano soprattutto il cervello quindi si osserva una estrema variabilità soprattutto a livello del cranio. Le specie che caratterizzano questo periodo sono 4: - Homo ergaster (Africa); - Homo georgicus (Georgia, Caucaso); - Homo erectus (Asia) - Homo antecessor (Europa). Esse vengono comunamente indicate come popolazioni del Pleistocene inferiore (circa 2,5 ma-700.000 anni). Homo ergaster (1.8-1.6-1.5 Ma circa; Sud Africa e Africa Orientale) Homo ergaster è contemporaneo delle ultime forme di Australopitecine e Parantropi ma anche di Homo habilis e Homo rudolfensis; questi dati fornirebbero ulteriore prova della convivenza tra specie congeneri e non. Homo ergaster (anche definito Homo erectus africano) presentava una capacità cranica di 800-900 cc, con denti posteriori ridotti e incisivi grandi e con la forma “a paletta”. Nel complesso quindi, presenta una morfologia nuova, estranea a quella delle specie di Homo precedentemente descritte, sia per quanto riguarda le proporzioni degli arti sia per le dimensioni del cranio. Tra le caratteristiche di maggiore modernità si hanno: - le proporzioni degli arti simili a quelle di H. sapens con i segmenti inferiori più lunghi rispetto ai segmenti superiori; - la struttura generale dello scheletro indica una massa corporea decisamente aumentata (statura di 1.78 m i machi e 1.59 m le femmine, con un peso medio di 66 Kg) rispetto a quella dei precedenti ominini. Con H. ergaster si entra appieno nel modello biologico del genere Homo che si distingue da quello delle australopitecine per i denti posteriori meno voluminosi, per un cervello sempre più grande e per significative variazioni nei tempi di accrescimento e sviluppo. 42 Turkana Boy (“il ragazzo del fiume”, 1.6 Ma) è il fossile completo più noto. È il fossile di un bambino di circa 12 anni, alto circa 1.50 m per 50 Kg e scatola cranica di 880 cc (che sarebbe diventata 910 nell’adulto). La completezza dello scheletro ha permesso agli studiosi di effettuare per la prima volta un esame comparativo con la nostra specie per quanto riguarda le ossa post craniali. Le parti ossee mostrano un’andatura completamente bipede. La dispersione del calore è massimizzata lungo tutto il suo corpo, longilineo (raffreddamento corporeo più efficiente). La recente scoperta di orme fossili conferma la modernità acquisita in questa fase ominine. Sono orme tipiche di una specie ormai svincolata dall’ambiente arboricolo e in grado di stazionare e muoversi in maniera efficiente in posizione eretta. Mostrano l’alluce parallelo alle altre dita del piede, un arco plantare molto pronunciato, simile a quello dell'uomo moderno, dita corte, adatte a una stazione eretta con andatura bipede usuale. In specifico il ritrovamento permette di ipotizzare anche alcuni aspetti della socialità. Le impronte si riferiscono a numerosi individui (circa una ventina) in movimento lungo la riva del lago dove gli animali andavano a bere. Potrebbero essere quindi la prova di bande di cacciatori in cerca di prede e di conseguenza di una caccia a inseguimento ben coordinata. Dimensioni, spaziatura e profondità delle impronte hanno permesso di avanzare ipotesi sull'andatura, il peso e l'altezza del soggetto, tutti parametri risultati confrontabili con quelli dell'uomo moderno. Le impronte sarebbero la prova di una anatomia specializzata per la marcia e la corsa moderne così come di una statura sufficiente a sviluppare una certa potenza fisica. Quindi un ominino dotato della possibilità anatomica di sopportare lunghi spostamenti con un vasto raggio d'azione, consentendo loro di ampliare il proprio areale e le proprie abitudini alimentari caratterizzata da una dieta di qualità superiore. Si ipotizza anche un aumento delle dimensioni dei gruppi umani e un comportamento sociale molto simile al nostro. Oggi Homo ergaster è ben conosciuto grazie a un discreto numero di fossili che si collocano tra 1,8 m.a. e circa 900.000 anni fa, identificando quindi una specie longeva caratterizzata da variabilità soprattutto nella morfologia del cranio. I fossili più recenti di Homo ergaster, sono stati descritti in modo solo parziale e sono ancora ampiamente discussi. Sono datati a circa un milione di anni fa e permetteranno di gettare nuova luce su un periodo chiave della storia evolutiva del genere Homo. Homo ergaster mantiene la stessa tecnologia di habilis e rudolfensis per alcune centinaia di migliaia di anni, poi, verso 1,5 milioni di anni fa H. ergaster, pur utilizzando ancora l’industria olduvaiana, estende le sue capacità tecnologiche con l’ industria acheuleana (modo II) che segna l’ingresso di manufatti bifacciali (una struttura piuttosto piatta con tutto intorno un margine seghettato) anche detti amigdale (per la forma a mandorla) o asce a mano. Con questo termine vengono indicati strumenti ottenuti da blocchi di materiale grezzo lavorato mediante ritocco semplice ad ampi stacchi, in modo da ricavare due facce principali convergenti alle estremità; queste caratteristiche esprimerebbero capacità di organizzazione dello spazio molto più complesse rispetto alla precedente industria e cura per la ricerca della simmetria. Stacchi a destra e sinistra di una linea immaginaria, che quindi permettono un costante controllo delle successive modificazioni della pietra e una costante valutazione delle capacità della pietra a ricevere ulteriori alterazioni. C’era dunque una mente che ricercava deliberatamente la forma dell’oggetto anche con l’uso di percussori più morbidi. Il materiale utilizzato è la selce, quarzite ossidiana, ma anche calcare e osso. È un tipo di industria che caratterizzerà i siti preistorici per oltre un milione di anni. In Europa saranno presenti nei siti di Homo heildelbergensis datati a 600.000 anni fa. 45 • LE POPOLAZIONI DEL PLEISTOCENE MEDIO: (1) Homo heidelbergensis Nel Pleistocene medio tra i 600.000 e i 250.000 anni fa compaiono in Africa e in Europa fossili identificati come Homo heidelbergensis, mentre Homo erectus continua in autonomia il suo percorso in Asia. Le profonde modificazioni ambientali del Pleistocene medio, dovute ai lunghi periodi glaciali ed interglaciali, disperdono geograficamente le popolazioni e le isolano. Il clima e le conseguenti diverse strategie di adattamento all’ambiente sono alla base di una profonda diversificazione dei gruppi umani con una serie di peculiarità regionali nella biologia e nei comportamenti. Nella loro diversità questi ominini mostrano un’importante caratteristica comune: il progredire dell’encefalizzazione rispetto alle forme precedenti, con espansione della scatola cranica e aumento delle dimensioni encefaliche. In questo periodo (circa 500.000 mila anni fa) entra in Europa l’industria litica Modo 2, portata verosimilmente da Homo heidelbergensis. Bisogna ricordare che in Africa la transizione tra modo 1 e 2 è avvenuta circa 1,4 ma, poco dopo la comparsa di H. ergaster. La documentazione archeologica testimonia l’esistenza in questo periodo di un’organizzazione sociale complessa. Infatti in questo periodo gli ominini espandono notevolmente il loro areale anche grazie a gruppi più coesi, allo sfruttamento delle risorse ambientali attraverso il nomadismo (con occupazione stagionale dei siti), alla tecnologia di modo 2 e all’uso diffuso del fuoco. I resti di accampamenti dimostrano, inoltre, l’esistenza di una organizzazione spaziale più complessa con aree dedicate alla macellazione degli animali cacciati. Emerge quindi l’immagine di ominini con comportamenti molto più versatili occupanti una nicchia ecologica molto estesa oscillante tra quella del raccoglitore e del predatore. Questa strategia permette loro di utilizzare le risorse al meglio e di adattarsi ad ambienti anche molto difficili che diventano accessibili proprio grazie a queste strategie culturali. I resti più antichi di questa specie ominine sono africani (Bodo, Etiopia; 600 000 anni fa). I caratteri principali sono: ossa massicce dello scheletro craniale e postcraniale, capacità cranica di 1200 cc, toro sopraorbitario diviso in due arcate, frontale ampio e sfuggente, occipitale arrotondato, faccia meno proiettata in avanti. I reperti sono stati trovati associati ad industria litica di modo 2. Altri resti fossili sono associati all’uomo di Broken Hill (Zambia, Africa), anche conosciuto come Homo rhodesiensis: scheletro facciale largo, toro sopraorbitario massicci, fronte bassa e sfuggente, neurocranio allungato e voluminoso, circa 1300 cc. Il primo ritrovamento fossile europeo è quello di Mauer (1907, Heildelberg, Germania; 500 000-400 000 anni fa). È una mandibola massiccia, con i denti molari piccoli. Il mento è ancora in una posizione arretrata rispetto al mento dei fossili di Homo sapiens. In seguito sono stati effettuati numerosi altri ritrovamenti in Spagna, Francia e Grecia. Anche in Italia, nel complesso vulcanico di Roccamonfina, a Napoli, sono state rinvenute tracce umane (H. heidelbergensis) datate a 350 000 anni fa. 46 Sulla base delle evidenze fossili sopra riportate si può quindi ipotizzare che verso 500.000- 400.000 in Africa si separano due traiettorie evolutive di Homo heidelbergensis: le popolazioni che si spostano in Europa e quelle che rimangono in Africa. Le popolazioni europee sono spesso isolate geograficamente e si adattano a climi freddi con frequenti crisi demografiche che hanno portato molto vicino all’estinzione, con sopravvivenza soprattutto dei gruppi lungo l’area della costa mediterranea: l’adattamento al clima freddo, la selezione naturale, e la deriva genetica hanno determinato in queste popolazioni la fissazione di alcuni caratteri che saranno poi tipici dei neandertaliani (la cui morfologia si stabilizza circa 200.000 anni fa). In Africa la traiettoria evolutiva porterà all’Homo sapiens. (2) Homo naledi Homo naledi è un ominine africano rinvenuto nel 2015 in Sud Africa Il rinvenimento consta di molti frammenti riconducibili a molti individui. Ancora in fase di studio, presenta un complesso mosaico di caratteri arcaici e derivati che ne farebbero un abile arrampicatore, un camminatore sulle lunghe distanze e un probabile creatore di utensili. In particolare le dimensioni del cervello e altri dettagli anatomici della spalla presentano caratteri arcaici riconducibili al modello Australopithecus mentre l’anatomia del cranio, della mandibola, dei denti e di gran parte dello scheletro postcraniale sembrerebbe propria del genere Homo. La datazione lo colloca tra 335.000-236.000 anni fa (seconda metà del Pleistocene medio), dato decisamente più sorprendente delle attese (considerando che è una specie che mostra caratteristiche anatomo-morfologiche comparabili a quelle di specie umane primordiali datate 2 ma): «Se le cose stanno così, Homo naledi è da interpretare come una varietà superstite dei primi Homo» (Manzi, 2017). In particolare le caratteritiche principali di H. naledi sono: - Altezza di circa 150 cm e 40-55 kg - Capacità cranica di 465-560 cc - L’anatomia del cranio e della mandibola e la struttura dei denti sono propri del genere Homo (denti piccoli, arcata parabolica) - Dimensione del cervello e anatomia delle ossa della spalla che rientrano nel modello australopitecino - Piede moderno ma con falangi curve - Mano con caratteri a mosaico: pollice robusto e lungo (quindi una mano adatta alla manipolazione) ma con falangi curve (forse ancora adatte agli spostamenti sugli alberi). 47 • LE POPOLAZIONI DEL PLEISTOCENE MEDIO E SUPERIORE (I): Homo neanderthalensis In Europa a partire da circa 300.000 anni fa, sempre nel contesto di una forte instabilità climatica che frammentava e ricombinava le popolazioni, fanno la loro comparsa le prime testimonianza di una nuova specie dalla corporatura robusta e dalla capacità cranica elevata: l’uomo di Neanderthal. Questa forma di ominina rappresenta un’evoluzione europea di Homo heidelbergensis. La separazione dalla linea evolutiva di Homo sapiens è avvenuta probabilmente tra 765.000 e 550.000 anni fa. L’antenato comune è quindi da ricercare nelle popolazioni di H. heidelbergensis africane prima delle separazioni delle linee evolutive europee da quelle africane. Cronologicamente si colloca circa tra 350.000 e 40.000 anni fa; geograficamente i ritrovamenti noti si collocano da Gibilterra ai Monti Altai (Russia). Una specie che è stata capace di adattarsi a climi e ad habitat molto diversi, resistendo a periodi glaciali ed interglaciali, in una fase di grande instabilità climatica ed ecologica. Si ipotizza l’esistenza di una molteplicità di variazioni regionali. Una specie poliedrica, ben adattata a nicchie ambientali diversificate. Il primo ritrovamento di Neanderthal riconosciuto come tale avvenne nel 1856, nelle grotte di Neanderthal, Düsseldorf (Germania), e sono stati rinvenuti i resti di: calotta cranica, scapola, clavicola destra, 5 frammenti di coste, l’osso dell’anca sinistra, radio destro, omero, ulna e femore di entrambi i lati. La descrizione di questo reperto ha permesso nel 1864 di istituire la specie. In realtà prima del 1856 altri reperti di Neanderthal erano stati rinvenuti, ma non riconosciuti, come per esempio il fossile rinvenuto ad Engis nel 1829 (“Engis 2”, Belgio), che è tra i primi ritrovamenti di Neanderthal, ma che venne riconosciuto tale solo molti anni dopo. Un altro ritrovamento che precede nel tempo quello più famoso di Düsseldorf è quello del 1848 in Gibilterra, datato tra circa i 30 000 e i 50 000 anni fa. Anche in questo caso il fossile venne riconosciuto molti anni dopo. Dopo la definizione della specie nel 1864, si susseguirono una serie di rinvenimenti in tutta Europa. All’inizio del XX secolo l’evoluzione umana era rappresentata come un modello lineare (evoluzione monofiletica) che dalle antropomorfe, e attraverso una serie di fasi intermedie, arrivava all’uomo moderno. L’uomo di Neanderthal viene accettato ed inserito in una posizione intermedia nella progressione di ominini che hanno preceduto l’umanità moderna, in virtù della sua elevata capacità cranica. Fu quindi considerato per molti anni un nostro diretto antenato, una fase molto primitiva dell’umanità, spesso raffigurato come un brutale uomo delle caverne. Questa descrizione, irriverente ed oltraggiosa per quanto riguarda le sue capacità psichiche, si dimostrò errata dal punto di vista anatomico. Le prime ricostruzioni della sua immagine infitto non furono molto edificanti poiché veniva accentuato il suo aspetto scimmiesco. Boule (1861-1942, paleontologo francese) fece una pessima ricostruzione del famoso uomo de «La Chapelle», con una colonna vertebrale severamente curva indicativa di una posizione piegata, con le ginocchia piegate, i fianchi flessi in avanti, e la testa sporgeva in avanti. L’immagine che emergeva dalle prime ricostruzioni dell’inizio Novecento era l’immagine di un bruto, l’uomo con la clava, senza intelligenza. Questa immagine venne accolta con favore da gran parte della comunità scientifica. In virtù di queste caratteristiche primitive il Neanderthal venne escluso dalla discendenza diretta dell’uomo moderno e venne considerato ben presto un ramo collaterale e marginale, poi estintosi. 5 Engis 2, 1829 4 Gibilterra 1, 1848 50 Queste espressioni di sensibilità verso i più deboli si manifestano anche nell’attenzione verso i defunti. La presenza di produzione artistica sarebbe una documentazione dell’esistenza di una cultura simbolica elaborata e praticata in modo sistematico. Una conchiglia marina di oltre 45 mila anni fa, in cui sono ancora rilevabili tracce dell'ocra rossa di cui era dipinta fa presumere venisse usata come monile: “è la scoperta, che riduce la distanza cognitiva tra H. neanderthalensis e H. sapiens e arricchisce la nostra conoscenza della cultura simbolica dei nostri cugini neandertaliani.” La cultura materiale neandertaliana, infatti, per decenni è stata ritenuta priva di oggetti simbolici, in quanto si è sempre creduto che i Neanderthal fossero privi di capacità di astrazione e di ragionamento simbolico, ma le scoperte degli ultimi anni hanno finalmente riaperto il dibattito sulle capacità cognitive dei Neanderthal. In questo nuovo studio, pubblicato sulla rivista Plosone, i ricercatori descrivono il ritrovamento di una conchiglia marina fossile del Pliocene appartenente alla specie Aspa marginata scoperta nella Grotta di Fumane, in un livello datato 47.6 - 45 mila anni fa. Secondo gli autori la conchiglia, raccolta a più di 100 chilometri di distanza dalla grotta, venne lavorata e colorata con ocra rossa per poi essere indossata al collo come un prezioso monile. Nello stesso sito sono state rinvenute anche penne di uccelli usate come ornamento (aspetto valutato sulla base di segni di taglio). Questo aspetto viene confermato anche da recenti ritrovamenti di incisioni su parte rocciosa a Gibilterra. Lo stesso sito ha restituito tracce di consumo di molluschi, pesci e mammiferi marini (60.000-30.000 anni fa): quindi una dieta neandertaliana varia esattamente come quella di Homo sapiens. Nel 2002 studi molecolari hanno dimostrato la presenza della stessa sequenza del gene FOXP2 (gene che controlla funzioni importanti del linguaggio) in H. sapiens e H. neanderthalensis. Questo dato potrebbe essere la prova dell’esistenza di un linguaggio articolato complesso come quello dell’uomo moderno; dato in parte confermato anche della conformazione simile delle vie aeree superiori. L’evento selettivo che ha prodotto la sequenza FOXP2 presente nei neandertaliani e in noi sarebbe avvenuto prima della separazione filogenetica prima di 400.000. Nel 2007, un’altra interessante scoperta grazie agli studi molecolari ha riguardato la pigmentazione. Secondo questo studio, i neandertaliani avrebbero avuto una mutazione genetica che ha indotto una riduzione della funzionalità del gene MC1R (tra i geni implicati nella pigmentazione) che ha determinato un’alterazione della pigmentazione della pelle e dei capelli. Il risultato è stato quello di una carnagione più chiara rispetto ai parenti africani e una capigliatura rossa. Questa caratteristica ha consentito alle popolazioni che vivevano a nord di assorbire di più i raggi ultravioletti per far fronte alla scarsità di luce solare ed evitare gli scompensi dovuti ad una diminuzione nella produzione di vitamina D. Tra il 2010 e il 2014 è stata pubblicata la sequenza completa del genoma del Neanderthal che ha permesso di quantificare la percentuale di genoma che i sapiens europei e asiatici condividono con i Neandertaliani (1,5-2,1%); ciò sembrerebbe indicare che ci sia stato un certo grado di flusso genico tra le due specie. Sull’estinzione dei Neanderthal esistono diverse ipotesi: - Una dieta ricca di proteina ma povera di nutrienti essenziali - Una perdita di variabilità - Una sopravvivenza ridotta della prole mista - Varie malattie - Sfruttamento differenziato delle risorse ambientali 51 • LE POPOLAZIONI DEL PLEISTOCENE SUPERIORE (II): l’uomo di Denisova e Homo florensiensis Mentre in Europa e nelle regioni mediorientali vivevano i Neanderthal, e mentre la nostra specie si stava diffondendo dall’Africa, sempre nel contesto di una forte instabilità climatica che frammentava e ricombinava le popolazioni, in Asia continentale fanno la loro comparsa i denisoviani, testimonianze fossili di una ulteriore umanità, molto più vicina ai Neanderthal che a Homo sapiens. Il primo ritrovamento fu effettuato sui Monti Altai in Siberia meridionale. L’uomo di Denisova è una nuova specie ora estinta i cui fossili sono datati a circa 48.000-30.000 anni fa, con un’origine molto più antica (probabilmente da H. heidelbergensis). Dati archeologici dimostrerebbero che all’epoca nelle stesse aree siberiane vivevano anche popolazioni di H. neanderthalensis (in continuità geografica con le forme europee e asiatiche) e H. sapiens (in diffusione dal vicino Medioriente). Homo di Denisova (48 000-30 000 anni fa; Monti Altaj, Siberia) L’areale di distribuzione si suppone essere stato molto vasto in Asia. Alcuni dati molecolari pubblicati nel 2010 metterebbero in evidenza situazioni di incrocio tra i Denisoviani e gli Homo sapiens (tracce rintracciabili negli attuali popolazioni papua-melanesiani). Un’ipotesi di interpretazione filogenetica mette in evidenza come questa specie ominine possa essersi evoluta da un ramo evolutivo di H. heidelbergensis che ha portato all’evoluzione contemporanea di H. di Denisova e H. neanderthalensis. Nel 2018 una scoperta sorprendente: nella stessa grotta del primo ritrovamento è stato ritrovato un frammento osseo appartenente ad una bambina con presunta madre Neanderthal e padre denisoviano prova fossile di una "prima generazione" interspecie. Lo sviluppo di un nuovo metodo per il confronto di interi genomi ha permesso di scoprire nuove tracce delle ibridazioni avvenute tra i nostri antenati con i Neanderthal e i Denisoviani Un articolo pubblicato su Cell, riporta i risultati di nuovo lavoro di mappatura per identificare le sequenze genetiche che i moderni umani avrebbero ereditato in seguito agli incroci della nostra specie con le antiche popolazioni dei Neanderthal e dei Denisoviani durante le sue migrazioni fuori dall’Africa. Homo floresiensis (100 000-60 000 anni fa?) Gli aspetti peculiari di questa forma ominine sono le piccole dimensioni (soprattutto quelle dell’encefalo) e al tempo stesso le caratteristiche così «umane», la data recente e la collocazione su un’isola. Una delle possibili spiegazioni alle ridotte dimensione è quella del nanismo insulare: in situazione di scarsità di risorse e in assenza di predatori, sulle isole è più efficiente essere di piccole dimensioni. Le caratteritiche morfologiche della specie sono: - Capacità cranica di circa 417 cc - Faccia corta e poco prognata - Canini piccoli, molari piccoli - Forma del cranio allungata - Toro sopraorbitario - Caratteritiche post-craniali con proporzioni analoghe a quelle di H. erectus - Industria litica di Modo I 52 Vari studi hanno messo in evidenza che il cervello dell’uomo di Flores presentava una conformazione moderna nello sviluppo dei lobi temporali (comprensione del linguaggio) e frontali (funzioni cognitive. Tra le ipotesi circa la sua origine filogenetica, alcuni studiosi ritengono probabile un legame con le forme asiatiche di Homo erectus, anche se recenti studi propongono un legame con omini più antichi, simili agli Early Homo. • LE POPOLAZIONI DEL PLEISTOCENE SUPERIORE (III): Homo sapiens Tra i 200.000 – 300.000 anni fa compaiono i più antichi rappresentanti di H. sapiens in Africa, in un contesto di frammentazione di habitat e di instabilità climatica dovuti al periodo glaciale e in concomitanza della penultima glaciazione quaternaria. È una popolazione circoscritta che porta novità anatomiche (soprattutto nel cranio) e comportamentali che riflettono soprattutto importanti cambiamenti nei tempi dello sviluppo; in specifico, il prolungamento ulteriore delle fasi di crescita ha probabilmente influito in maniera determinante sulle capacità di apprendimento, sull’organizzazione sociale e sul linguaggio. I siti di Omo e Herto (Etiopia), circa 160.000 anni fa hanno restituito i più antichi ritrovamenti fossili: tratti innovativi (forma e altezza del cranio) si affiancano ancora a tratti più arcaici (aspetto massiccio). Alcuni siti sudafricani (Border Cave, Pinnacle Point, Blombos), con reperti datati fino a circa 164.000 anni fa e oltre, potrebbero contendere all’Africa orientale il primato di siti più antichi. Recenti scoperte in Marocco (datate a circa 300 000 anni fa) darebbero prova della presenza molto più diffusa dei primi Homo sapiens dimostrando che la comparsa di Homo sapiens (ad oggi attestata in Etiopia circa 200.000 anni fa) sia stata preceduta da una lunga e ancora oscura fase di transizione (tra 400.000-200.000 anni fa) durante la quale le popolazioni umane in diverse parti dell’Africa cominciavano ad esprimere mosaici differenziati di «tratti sapiens». L’umanità «sapiente» si è successivamente diffusa su tutto il continente per poi uscire a più riprese (almeno tre) dall’Africa, attraverso il Mar Rosso e l’area mediorientale (Skhul e Quafzeh, 130.000-100.000 anni fa). Proprio Skhul e Quafzeh infatti, 130.000- 100.000 anni fa, rappresentano la preziosa testimonianza delle prime fasi di insediamento di esseri umani anatomicamente moderni fuori dall’Africa. 7 Ritrovamenti in Marocco (uomo di Jebel Irhound) 55 La pittura si esplica attraverso opere di arte parietale in cui le figure sono dipinte a semplice profilo o a colore pieno, monocrome o policrome. Le opere si collocano all’interno di grotte o caverne, in luoghi chiusi o riparati. La materia prima utilizzata erano ocre di vario tipo, probabilmente mescolate con grasso animale. L’interesse artistico è orientato verso rappresentazioni di animali. L’arte mobiliare è invece rappresentata dalle “Veneri del Paleolitico”, la donna rappresentata con gli elementi della fertilità fortemente accentuati. Raramente superano i 20 cm di altezza. Alcune statuette hanno dimensioni talmente ridotte da essere indossate come monili e probabilmente venivano regalate come buon auspicio. I materiali utilizzati con più frequenza sono ossa, avorio e pietra. Tra questa produzione artistica si riconosce anche una delle più antiche rappresentazioni realistiche di un volto umano. La caratteristica veramente unica del nostro linguaggio non è la capacità di trasmettere informazioni su cose reali ma trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto. La capacità di parlare di fantasie inventate. La finzione ci ha consentito non solo di immaginare le cose, ma di farlo collettivamente. Possiamo intessere miti condivisi e questi miti conferiscono ai «sapiens» la capacità senza precedenti di cooperare tra grandi numeri di individui. Dall’inizio della rivoluzione cognitiva, Homo sapiens ha vissuto una realtà duale. Da un lato la realtà oggettiva: fiumi alberi leoni, dall’altra la realtà immaginata: dei, spiriti guida, miti. - Tipo di economia: caccia e raccolta sistematica La caccia si basava su strategie collettive di predazione e su uno strumentario offensivo molto evoluto e vario come gli archi con le punte di freccia litiche, le lance su cui erano immanicate punte di pietra, corno, osso e avorio, ramponi che terminavano con uncini, pugnali e mazze d’osso e vari tipi di trappole. Un’economia basata sulla caccia-raccolta prevede la formazione di campi base: luoghi che garantiscono protezione anche alle madri che non possono partecipare alle battute di caccia e disponibilità di acqua dolce; permettono di organizzare una suddivisione migliore dei compiti nel gruppo e facilitano l’esplorazione del territorio circostante in modo più efficace, aumentando il range per la ricerca del cibo. Il campo base è un elemento fondamentale per consentire lo sviluppo di una organizzazione sociale più elaborata Anche la cooperazione tra i membri è fondamentale, e la spartizione del cibo assicura due tipi di vantaggi: 1) Permette una migliore qualità della vita aumentando la probabilità di sopravvivenza del gruppo; 2) Rinsalda i vincoli sociali e quindi la coesione fra gli individui, rendendo più efficace la cooperazione. Il ritrovamento sempre più frequente di scheletri con segni di traumi ossei guariti dimostrerebbe l’esistenza di un’organizzazione sociale complessa con intesi rapporti di natura altruistica tra gli individui del gruppo. Anche la sepoltura dei corpi con elaborati corredi predisposti appositamente (conchiglie forate, ossa e corna lavorate, indumenti) concorre a definire quanto fosse avanzato il quadro psico- intellettuale. Le interpretazioni circa le evidenze fossili dell’origine dell’uomo moderno sono ancora molto dibattute e tra i paleoantropologi non vi è la condivisione di una teoria comune. Nelle figure sottostanti sono riportate le due principali teorie: il modello dell’origine africana recente (a sinistra) e il modello multiregionale (a destra). 56 Nel primo modello, l’origine della nostra specie sarebbe collocata nella sola Africa in un tempo piuttosto recente (300.000 – 200.000 anni fa), come indicherebbero i fossili ritrovati in Etiopia (e Marocco); dall’Africa, diverse popolazioni di umanità «sapiente» si sarebbero diffuse nel resto del vecchio e nuovo mondo. Nel secondo modello, dopo l’uscita dall’Africa dei «primi Homo» e la diffusione da parte dei discendenti in ogni area del vecchio mondo, gli ominini si sarebbero evoluti indipendentemente fino a diventare tutti Homo sapiens; l’unità rappresentata da H. sapiens sarebbe stata garantita dal continuo scambio di geni tra le popolazioni dei vari continenti. Gli studi molecolari sul DNA mitocondriale (DNA a trasmissione materna) condotti sulla popolazione attualmente vivente hanno mostrato chiaramente che l’origine dell’antenata comune dell’intera umanità era africana. Altri studi molecolari volti a valutare il livello di differenziazione (quindi di mutazioni accumulate) hanno dimostrato che le popolazioni africane hanno accumulato più mutazioni di altre; il dato confermerebbe l’origine africana della popolazione ancestrale della nostra specie. Questi dati sono chiaramente a sostegno del primo modello. La popolazione iniziale di Homo sapiens era probabilmente costituita da un gruppo di poche migliaia di individui. Siamo una specie giovane, geneticamente omogenea (c’è un bassissimo livello variabilità genetica) che è andata più volte vicino all’estinzione: - Circa 70 000 anni fa in seguito all’inverno vulcanico (eruzione del Toba) - Tra 190 e 123 mila anni fa le glaciazioni portarono aridità in Africa e una nuova crisi climatica. L’eruzione del Toba fu un disastro ecologico in seguito al quale ci siamo infilati in un collo di bottiglia evoluzionistico, ovvero ad una drastica riduzione della popolazione al limite della sopravvivenza. La dinamica di espansione avviene attraverso il succedersi di spostamenti di piccoli gruppi dalla periferia del popolamento precedente producendo una sequenza di derive genetiche, un fenomeno che ha ridotto la variabilità genetica all’interno delle popolazioni umane a mano a mano che si allontanavano dall’Africa. A partire da 25.000 anni in più ondate successive i cacciatori siberiani attraversavano la Beringia e seguendo le mandrie di mammut scendevano in Nord America sia lungo il corridoio canadese di San Lorenzo sia lungo la costa del Pacifico. Un peggioramento climatico tra 22.000 e 18.000 isola i primi colonizzatori. Successivamente, altri arrivi di popolazioni asiatiche danno origine ai popolamenti del Nord America. Recentemente altri popoli siberiani si stanziarono nel nord e hanno dato origine agli Inuit. Tra 16.000 e 15.000 gli antenati degli amerindi scendono di nuovo verso sud in piccoli gruppi fino alla Florida e alla California e verso 13.000 anni fa arrivano in Sudamerica. Il caldo pose fine all’ultima era glaciale e foreste di betulle sostituirono le pianure erbose. Questo cambiamento di habitat produsse una catastrofe ecologica. Estinzione del mammut, rinoceronte lanuto, il bisonte, l’alce gigante. Cavalli e bovini diminuirono drasticamente. L’estinzione della megafauna del pleistocene dà avvio al passaggio ad un modo di produzione basato sull’agricoltura, e domesticazione delle piante tra i 12.000 e i 7000 anni fa. Si parla in questo periodo di Neolitico cioè età della pietra nuova. 9 Linee di diffusione di Homo sapiens 57  Osteoarcheologia umana Questo argomento affronterà lo studio dei reperti umani antichi provenienti da contesti archeologici di epoca storica. I temi trattati rientrano nell’ambito dell’osteoarcheologia umana. Lo studio dei resti scheletrici provenienti dagli scavi archeologici contribuisce alla ricostruzione storica del nostro passato. Permette di mettere a fuoco: 1. fenomeni di ampio raggio, biologici (migrazioni di popoli, diffusione delle malattie) e culturali (processi di trasformazione dei riti funerari nel tempo, etc.); 2. frammenti di singole esistenze: biografie di personaggi famosi e di personaggi anonimi, singoli eventi catastrofici, etc. Lo studio dei resti scheletrici comprende anche l’analisi delle sepolture. Le sepolture sono le manifestazioni più dirette della cura riservata ai morti da parte della comunità dei vivi; noi oggi interpretiamo queste ritualità come azioni di «pietas» nei confronti dei defunti. Durante la vita dell’individuo, il corpo è oggetto di attenzioni, cure e abbellimenti, tipici della cultura di appartenenza: decorazioni, pitture, tatuaggi, deformazioni intenzionali, mutilazioni, etc... Anche dopo la morte il corpo è oggetto di attenzioni sociali e rituali che «imprimono» sul defunto i segni della società di appartenenza. Le diverse culture umane hanno «trattato» in modo diverso il corpo del defunto e hanno fatto «scelte» diverse sul destino dei propri morti, in alcuni casi accelerando la disgregazione dei corpi (cremazione/incinerazione, etc.) oppure bloccando il loro disfacimento (imbalsamazioni) o, ancora, nascondendolo alla vista (inumazioni in terra, in tombe in pietra, etc.). Le diverse scelte (con tutte le loro molteplici varianti) rispecchiano l’ideologia della società inumante e possono essere interpretate, a distanza di centinaia e migliaia di anni, anche grazie allo studio dei resti umani. Studiare una sepoltura significa non solo studiare le caratteristiche fisiche del defunto ma anche, e soprattutto, il comportamento dei vivi. L’analisi delle sepolture è quindi uno strumento indispensabile per interpretare i comportamenti sociali del passato. La sepoltura esiste perché c’è un corpo, un corpo esiste perché la sepoltura lo ha protetto (bara, struttura tombale, etc.). L’uno dipende dall’altro e il loro studio deve essere necessariamente complementare. Analizzare i resti umani significa tenere in considerazione anche la sepoltura di provenienza e la ritualità funeraria collegata. Come si affronta lo studio dei resti umani? Nell’immagine sottostante sono schematizzati gli elementi concettuali. Oltre alla ritualità funeraria, importanti informazioni sono quelle relative all’analisi del profilo biologico dei singoli individui (sesso, età biologica alla morte, statura, ed eventuali legami di parentela tra individui), alla valutazione dello stato di salute, dello stile di vita, della dieta, delle malattie, dei traumi e delle violenze sperimentate durante la vita dell’individuo. Studiare questi aspetti aiuta a migliorare le conoscenze sui processi adattativi delle popolazioni nel tempo in funzione dell’ambiente, naturale e culturale. 60 C) Corificazione: quando il corpo è esposto in ambienti umidi, ricchi di sostanze tanniche (tannini o acido tannico), in carenza di ossigeno e pH debolmente acido, come le paludi e le torbiere ricche di muschi del genere Sphagnum. La conservazione naturale è conseguente alla presenza di sostanze chimiche che bloccano l’autolisi e l’attività batterica, stabilizzano le strutture proteiche (processo simile a quello della conciatura delle pelli). È un tipo di conservazione molto diffuso nel nord Europa. In figura si ha l’immagine di un corpo ritrovato nelle torbiere della Danimarca (L’uomo di Tollund, Museo di Silkeborg). Il contesto di rinvenimento anomalo di questo corpo e la presenza di una corda attorno al collo dell’individuo conferiscono una connotazione negativa alla sepoltura. L’imbalsamazione è una pratica umana finalizzata alla conservazione del corpo del defunto. Le mummie imbalsamate dell’Egitto rappresentano la massima espressione di questa tecnica, tuttavia è utile ricordare che molti popoli, in tutto il mondo, hanno utilizzato metodi di imbalsamazione per conservare i corpi dei defunti. 3) DIAGENESI Sono alterazioni evidenziabili a livello macroscopico sull’osso Per diagenesi si intende l’insieme degli effetti post-mortali che possono alterare profondamente la consistenza del tessuto osseo causando degrado o trasformazioni anche notevoli fino quasi alla scomparsa dell’osso. Le caratteristiche fisico-chimiche del suolo, dell’ambiente circostante e l’attività dei micro-macrorganismi alterano la struttura del tessuto osseo. Si parla di: - Agenti tafonomici: la causa immediata delle modificazioni; - Processi tafonomici: come l’osso viene modificato; - Effetti tafonomici: il risultato dei processi tafonomici L’analisi in laboratorio ricostruisce la «storia tafonomica» del reperto e procede a ritroso: partendo dall’effetto si risale al processo e quindi all’agente. Le situazioni che si incontrano sono molto varie e ogni scheletro racconta la «sua storia tafonomica» in base alla conservazione qualitativa e quantitativa delle ossa presenti. Queste osservazioni possono essere condotte macroscopicamente attraverso un’attenta osservazione della superficie e microscopicamente con l’ausilio di microscopio ottico ed elettronico. Ricomporre ed interpretare le tracce della permanenza dello scheletro nella sepoltura aiuta anche a ricostruire i gesti della ritualità funeraria. 61  Agenti tafonomici di natura fisica Le lesioni presentate nelle figure sono chiaramente imputabili ad alterazioni post- mortali di natura diagenetica. Se si osserva il l bordo delle lesioni si può vedere che i margini sono netti, non ci sono rimodellamenti ossei (quindi non è un’alterazione avvenuta in vita), il colore più chiaro rispetto al tessuto circostante indica che il danno è avvenuto in tempi molto recenti. Esse sono il risultato di un danno di tipo meccanico che ha determinato la frantumazione del cranio. Quale agente? Probabilmente l’alterazione è conseguente al peso del terreno (sinistra) o un recupero poco accurato durante lo scavo archeologico (destra). In generale gli agenti tafonomici di natura fisica sono di due tipi: - Meccanici: movimenti delle acque e del terreno, peso dei sedimenti, l’azione degli agenti atmosferici (vento), azione dell’uomo. - Termici: caldo (incinerazioni) e freddo. Essi possono provocare sui corpi effetti come frantumazioni o micro/macro fessurazioni.  Agenti tafonomici di natura chimica Gli agenti tafonomici di natura chimica possono essere di diverso tipo: - pH del suolo - Composizione del sedimento - Acidità delle acque Gli effetti che provocano sui corpi sono demineralizzazione e dissoluzione delle componenti minerali (vd. foto). Oltre il cranio, ovviamente anche le altre osa possono essere soggette a questo tipo di alterazione: si veda per esempio la foto seguente in cui si ha un confronto tra un osso in ottimo stato di conservazione (a sinistra) e delle ossa con progressivi segni di demineralizzazione (centro e destra). È evidente la dissoluzione della componente minerale. Inoltre si possono riscontrare diversi tipi di alterazioni chimiche, con conseguenti condizioni diverse delle ossa del corpo, in base al tipo di terreno di giacitura. Un altro tipo di alterazione chimica può essere apportata attraverso il contatto con elementi in metallo (di solito elementi del corredo funerario, es. vedi foto). 11 Confronto tra un cranio in ottimo stato di conservazione VS un cranio con evidenti 12 Contatto con elementi in metallo 62  Agenti tafonomici di natura biologica Gli agenti tafonomici di natura biologica possono derivare da diversi fattori. In generale gli effetti che provocano sono solchi, fori, gallerie, perforazioni, tagli, microporosità, cambiamento di colore dell’osso, marcata friabilità, ecc. Una prima distinzione che si fa degli agenti di natura biologica è se essi sono: - Microorganismi (alghe, protozoi, funghi, ecc.) - Macrorganismi (piante, insetti, roditori, uomo, ecc.) Una seconda distinzione che si fa per classificare gli agenti tafonomici di natura biologica è distinguerli tra: - Animali: a. Insetti e altri invertebrati (per deposizione delle larve): i coleotteri perforatori creano perforazioni circolari da 5 a 7 mm di diametro, in corrispondenza dell’osso corticale, per la deposizione della larva. b. Roditori (praticano l’osteofagia per integrare la dieta con il Ca e consumano l’osso per usurare gli incisivi): lasciano impronte dei denti identificate come solchi paralleli a “rotaia”. c. Ungulati (praticano l’osteofagia per integrare la dieta con il P): lasciano impronte dei denti identificate come solchi paralleli. d. Carnivori (si cibano della carne): lasciano tracce dei canini, in genere prforazioni. e. Uomo (danni involontari per lavoro agricolo o durante lo scavo, o volontari per pratiche culturali, depredazioni): tracce molto eterogenee. - Vegetali: a. Radici delle pianti superiori: le radici avvolgono con aderenza lo scheletro, si insinuano tra le fessure, aumentando l’area di fratturazione, e ne creano di nuove. Inoltre le secrezioni acide producono impronte sulla superficie (vd. immagine in alto a dx) con andamento casuale (possono simulare impronte vascolari), alterano la composizione chimica e contribuiscono alla demineralizzazione. b. Licheni: le secrezioni acide producono impronte sulla superficie, alterano la composizione chimica e contribuiscono alla demineralizzazione. - Microrganismi: Funghi e batteri: a seguito dell’escrezione degli acidi organici, prodotti dal loro metabolismo, l’apatite (componente minerale dell’osso) si solubilizza: macroscopicamente sulla superficie si osservano canali e cambiamenti di colore dell’osso. 13 Gallerie scavate da insetti 14 Secrezioni acide delle radici che macchiano ed erodono l’osso compatto 15 Impronte a «rotaia» lasciate da roditori 16 Colonie fungine: immagine macroscopica (sinistra); immagine microscopica (destra, osservare i canali che il microrganismo scava nell’osso) 65 2) Spazio pieno o spazio vuoto Con la scomparsa dei tessuti, dei legamenti e dei tendini (a seguito dei processi di decomposizione), le ossa non in equilibrio subiscono spostamenti dalla posizione originaria in relazione alle forze di gravità cadendo verso il basso. Lo spostamento delle ossa dipende dalla deposizione originaria del corpo (supino, prono, fetale, rannicchiato), dalla presenza della cassa lignea (spazio vuoto) o del sedimento (spazio pieno), dalla presenza di fasciature, di cuscini, di corredi. Nel caso di una sepoltura in spazio vuoto di un corpo deposto supino, alcune ossa escono dal volume originario del corpo, per esempio sono molto frequenti casi di: rotazione del cranio e apertura della mandibola, apertura del bacino con disgiunzione della sinfisi pubica, rotazione laterale dei femori e caduta delle rotule esternamente alle ginocchia, le braccia (se appoggiate sul torace o sul bacino) possono subire abduzione e rotazione esterna. Sempre per effetto della gravità altre ossa tendono a cadere nel volume interno del corpo: appiattimento della cassa toracica e caduta verso il basso dello sterno, affossamento del bacino, caduta verso il basso di ciò che si trova appoggiato sopra il corpo (mani, oggetti). Posizioni diverse del corpo determinano movimenti diversi delle ossa. Nel caso di una sepoltura in, ossia di un corpo ricoperto di terreno, gli spazi lasciati liberi dai tessuti in decomposizione vengono lentamente e progressivamente occupati dal terreno; ciò impedisce alle ossa e agli oggetti presenti di cadere verso il basso e al momento del ritrovamento le ossa hanno mantenuto le connessioni e le loro posizioni originarie. Sepoltura primaria con decomposizione avvenuta in spazio vuoto 66 Sepoltura primaria con decomposizione avvenuta in spazio pieno Sepoltura primaria con compressione 67 Esistono inoltre tipi di sepolture in cui, all’interno di uno stesso spazio o sepoltura, sono presenti due (sepoltura bisoma) o più corpi (sepoltura multipla o collettiva, contengono molti individui anche sovrapposti). Nella sepoltura multipla inoltre, per verificare la contemporaneità dell’inumazione si deve osservare se la deposizione di un individuo ha alterato le connessioni di quello sottostante sepolto precedentemente. Durante la decomposizione di molti corpi ammassati simultaneamente si vengono a creare spazi vuoti che determinano spostamenti, il più frequente dei quali è la caduta di ossa piccole negli spazi creati dalla scomparsa delle parti molli degli individui sottostanti. Lo studio del materiale scheletrico continua in laboratorio. Qui si effettuano attività che hanno lo scopo di mettere in sicurezza i reperti con interventi di pulitura a secco o con acqua non corrente, in funzione dello stato di conservazione del materiale e secondo un approccio etico che mette in primo piano la cura e il rispetto del bene antropologico. Si procede con la ricomposizione dei frammenti e dei distretti anatomici. Contestualmente si effettuano campionamenti di sedimenti o altri elementi estranei e si effettuano le prime osservazioni generali sullo stato di conservazione. Si procede con la ricomposizione dei frammenti e dei distretti anatomici. Contestualmente si effettuano campionamenti di sedimenti o altri elementi estranei e si effettuano le prime osservazioni generali sullo stato di conservazione.  PROFILO BIOLOGICO Il profilo biologico è utile per la determinazione dell’età biologica alla morte, del sesso e della statura. Nello schema a fianco si mette in evidenza l’interdisciplinarietà che caratterizza lo studio delle sepolture antiche. Gli aspetti di antropologia fisica rappresentano solo una parte dello studio che, per essere completo, deve comprendere anche l’analisi del contesto funerario, come detto nella precedente lezione. 70 INDICATORI BIOLOGICI DI INVECCHIAMENTO Cambiamenti della superficie della sinfisi pubica. Questo metodo trova applicazione soprattutto per gli individui maschili. Infatti nelle femmine, il parto può alterare la superficie sinfisiana contribuendo ad «invecchiare» precocemente la superficie dell’osso. Nella tavola riportata in figura (a destra) vengono mostrati i cambiamenti della sinfisi in relazione all’età. A sinistra le sinfisi di individui giovani-adulti (superficie rugosa e ondulata con solchi orizzontali e profondi), a destra le sinfisi di soggetti maturi-senili (superficie irregolare, con porosità ed erosioni). L’ossificazione delle suture craniche inizia verso i 25-30 anni.; in età senile le suture sono completamente ossificate. 71 Alterazione della superficie dell’estremità sternale delle coste. La superficie e i margini dell’estremità sternale delle coste variano in relazione con l’età. Nella tavola presentata in figura, in alto, la superficie piatta o leggermente ondulata con margini smussati tipica degli individui giovani; in basso i margini allungati, frastagliati e sottili tipici dei soggetti senili. Con l’età, le superfici occlusali dei denti vanno incontro a progressiva usura dello smalto con conseguente esposizione della dentina. Nell’applicare questo metodo è bene tenere in considerazione che vi sono anche altri fattori che influenzano il grado di usura dentaria come per esempio la dieta o eventuali attività lavorative svolte con l’ausilio della dentatura. In figura si riporta una tavola di usura dentaria: l’usura è graficamente indicata con il colore nero. Altre modificazioni dei denti 72 Saldatura di alcune epifisi: la parte sternale della clavicola completa l’ossificazione verso i 28 anni. L’invecchiamento determina alterazioni scheletriche di natura artrosica in corrispondenza delle principali articolazioni. Le patologie articolari (artrosi), sono quindi buoni indicatori di invecchiamento. In figura sono riportate immagini di vertebre con evidenti i segni di patologia articolare. Anche la struttura del tessuto spugnoso delle epifisi dell’omero e del femore con l’età subisce un processo di rarefazione e riassorbimento progressivo con conseguente espansione della cavità midollare. - Determinazione del sesso e statura In figura sono sintetizzati gli indicatori ossei utilizzati per la determinazione del sesso nei soggetti adulti. Nei soggetti non adulti la determinazione del sesso viene proposta con molta cautela poiché lo scheletro non ha ancora sviluppato in pieno i caratteri tipici sessuali. Le osservazioni si basano su alcune differenze morfologiche della mandibola e dell’osso dell’ileo.
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