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Appunti di Biologia Cellulare UNIPR, Appunti di Biologia Cellulare

Scritti cercando di entrare più nel dettaglio possibile, guardando tutte le lezioni e integrando con il libro. Diviso in 14 capitoli: vengono trattati argomenti dalla cellula alla microscopia, immunoistochimica, membrane cellulari e trasporto, modifiche post-tradizionali, smistamento delle proteine e il traffico cellulare delle vescicole, segnalazione cellulare, il citoscheletro, il ciclo cellulare ed infine la morte cellulare.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 19/03/2023

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Scarica Appunti di Biologia Cellulare UNIPR e più Appunti in PDF di Biologia Cellulare solo su Docsity! 1 BIOLOGIA CELLULARE Per capire come si è arrivati a studiare le cellule si è dovuto attendere l’arrivo del microscopio nel 1600; nel 1665 Robert Hooke esaminò per la prima volta un pezzo di sughero e vide le pareti cellulari di cellule ormai morte che chiamò cellulae. Da lì in poi si sono formulate le tre regole importanti della teoria cellulare: 1. Tutti gli organismi sono composti dalle cellule (Hooke) 2. Schwann e Schleiden hanno dimostrato che la cellula rappresenta l’unità organizzativa di base di tutti gli organismi; 3. Virchow affermò che ogni cellula deriva da una cellula preesistente. Le cellule sono di piccole dimensioni perché sono una garanzia di una elevata efficienza di scambio tra cellula-cellula, infatti una cellula piccola ha un rapporto superficie-volume maggiore di una grande cellula della stessa forma. Le cellule eucariotiche e procariotiche possiedono due strutture in comune: la membrana plasmatica e il citoplasma. Inoltre, le cellule procariotiche sono più piccole e più semplice, poiché sono le più antiche e sono prive di nucleo racchiuso da membrana, fanno parte dei procarioti Archea e Bacteria. Se andiamo a considerare le cellule eucariotiche, queste contengono il nucleo e anche degli altri organelli circondati da membrana con differenti funzioni. Appartengono i protisti, funghi, piante e animali. Tutti gli organuli lavorano in sinergia, con scambi, per la funzionalità dei processi biologici. Ciascun organello è circondato da membrane e vi è una comunicazione tra esse, poi vedremo come avviene lo scambio degli elaborati. 2 PICCOLE PILLOLE INTRODUTTIVE IL NUCLEO È il centro di controllo della cellula ed è contenente il DNA sotto forma di cromatina, ed è anche l’organulo più grande; contiene il nucleolo che è la sede di sintesi dei ribosomi, che sono importanti per la traduzione del rRNA messaggero per la sintesi delle proteine. È separato dal citoplasma tramite la membrana nucleare, ed è caratteristica la presenza dei pori nucleari attraverso i quali avviene lo scambio di macromolecole tra il citoplasma e il nucleo. RETICOLO ENDOPLASMATICO RUGOSO (RER) È in continuità con la membrana del nucleo, la funzione di questo reticolo è quella di sintetizzare le proteine e componenti del sistema di membrane, è formato da tante cisterne/sacche appiattite ricoperte di ribosomi; inoltre assembla e modifica le proteine (glicoproteine) destinate ad essere secrete dalla cellula. RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO (REL) È costituito prevalentemente da tubuli e sintetizza i lipidi (acidi grassi, fosfolipidi e steroidi) e altra funzionalità importante è quella di demolire le tossine e i farmaci nelle cellule del fegato. Evidente nelle cellule muscolari, funziona anche da magazzino degli ioni calcio che possono poi essere rilasciati nel citosol dopo opportuni stimoli. L’APPARATO DEL GOLGI Costituito da sacche membranose discoidali stratificate con vescicole che gemmano e si staccano e altre che si fondono. Esso riceve le proteine, parzialmente modificate dai reticoli endoplasmatici, dalle vescicole e una volta ricevute queste si fondono con il reticolo: questi step di passaggi portano alla maturazione della proteina. LISOSOMA In questo organello sono presenti degli enzimi idrolitici (idrolasi acide) che sono in grado di digerire le proteine, i lipidi e i carboidrati: che sono endocitati dalla cellula. Un’altra funzione è quella di digerire determinati organuli che all’interno della cellula devono essere rimpiazzati. Inoltre, nei globuli bianchi i lisosomi distruggono i batteri nocivi che sono stati ingeriti. I PEROSSISOMI: sono circondati da membrana e contengono come enzima la perossidasi che è in grado di trasformare il perossido di idrogeno in ossigeno e acqua ossigenata per detossificare. I MITOCONDRI È la sede di produzione dell’ATP, che è l’energia della cellula che serve per la maggior parte dei processi biologici. Svolgono la respirazione cellulare e convertono l’energia chimica presente negli alimenti in energia utilizzabile dalla cellula. 5 L’ingrandimento è la capacità di fornire un’immagine ingrandita dell’oggetto osservato, è limitato dal POTERE DI RISOLUZIONE che è la distanza minima alla quale due punti vicini possono essere distinti l’uno dall’altro. POTERE DI RISOLUZIONE Quando un’onda luminosa attraversa una fenditura si formano delle onde circolari che illuminano anche le zone nascoste dietro l’ostacolo (diffrazione della luce), le onde circolari si chiamano: aloni o dischi di Airy. Abbe scoprì che la distanza minima (dmin) è legata alla lunghezza d’onda della luce emessa dal punto, secondo la relazione: dmin = 0,34 λ. Ovviamente non solo la lunghezza d’onda (λ) influisce sul potere di risoluzione ma anche la caratteristica delle lenti (apertura angolare, a) e da quelle del mezzo in cui si svolge l’osservazione (indici di rifrazione, n). Parlando della APERTURA ANGOLARE: l’apertura angolare è il semi angolo “α” del cono di luce che dal campione penetra nell’obbiettivo del microscopio. Più alta è l’apertura angolare di un obbiettivo più ridotto sarà il disco di Airy (alone), e questo è importante perché a seconda dell’obbiettivo si riesce a distinguere un oggetto a maggiore o minore risoluzione. Più ridotto è il raggio dei dischi di Airy e più alto sarà il potere risolutivo. 6 Parlando DELL’INDICE DI RIFRAZIONE: dipende dalle caratteristiche del mezzo in cui si svolge l’osservazione. Quantifica la diminuzione della velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica della luce quando attraversa un materiale, quando avviene questo fenomeno la diminuzione della velocità viene anche accompagnata dal cambiamento di direzione della luce (rifrazione). Per esempio, l’olio possiede un indice di rifrazione quasi uguale a quello del vetro, per cui i raggi non vengono deviati nel passaggio tra il vetrino e il mezzo interposto tra le lenti. I materiali più comuni: • Aria: 1.0003 • Acqua: 1.3 • Vetro: 1.6 • Olio da immersione: 1.55 L’utilizzo di obbiettivi a immersione e di un olio per immersione ci consente di aumentare L’APERTURA NUMERICA (NA = n x sena) rispetto a quella che si ha nell’aria e quindi di aumentare il potere di risoluzione (R). Il microscopio ottico può avere un massimo di potere di risoluzione di 0,2 µm. Come migliorare il potere di risoluzione? Utilizzare obiettivi ad immersione che riducono il fenomeno della rifrazione; Utilizzare obbiettivi che hanno un’ampia apertura angolare: a=70° e sin a= 0.94. Abbassare la lunghezza d’onda di osservazione: λ= 450 nm. 7 ANATOMIA DI UN MICROSCOPIO Esistono due tipologie di microscopi: il microscopio convenzionale e il microscopio invertito. Parti che compongono un microscopio: • Stativo: struttura del microscopio; • Fonte di illuminazione: luce captata dall’obiettivo; • Oculari: nei quali possiamo osservare il preparato; • Diaframma: regola l’uscita e l’intensità della luce; • Condensatore: condensa la luce, la fa convergere sul vetrino; • Revolver con obiettivi: diversi ingrandimenti; • Tavolino traslatore: muove il vetrino che stiamo osservando; • Vite macrometrica e micrometrica: muove il traslatore su e giù. • Fotocamera o telecamera. Solitamente le cellule vitali all’interno delle piastre vengono osservati con il microscopio invertito perché, ovviamente, il campione è coperto da un coperchio e quindi osservandolo con il microscopio convenzionale perderesti risoluzione. Ricapitolando: l’ingrandimento è la capacità di fornire un’immagine ingrandita dell’oggetto osservato. Il potere di risoluzione è la capacità di distinguere due punti adiacenti. L’ingrandimento dipende dall’obiettivo e dall’oculare e corrisponde al prodotto degli ingrandimenti delle singole lenti. È limitato dal potere di risoluzione. Il potere di risoluzione dipende dalle proprietà fisiche della luce (λ), dall’apertura numerica dell’obiettivo e dall’indice di rifrazione del mezzo in cui è immersa la lente. Corrisponde a circa 200 nm. 10 di colorare), che insieme formano il colorante completo. Nel caso di “fluorocoloranti”, si parla rispettivamente di fluoroforo e di auxofluoroforo. Il cromoforo è un composto capace di assorbire radiazioni elettromagnetiche visibili (lunghezze d’onda nel visibile, da 790 nm a 360 nm). Il colore che esso riflette (o trasmette) è correlato a quello assorbito. COLORANTI VITALI Hanno la proprietà di essere assunti attivamente da alcune cellule viventi, permettendo così la loro identificazione o lo studio in funzioni particolari. Esempi di coloranti vitali: • Alizarina Red-S, incorporata elettivamente nella sostanza fondamentale dell’osso in corso di calcificazione, colorandola di rosso. Es: gli osteoblasti elaborano la matrice extracellulare organica del tessuto osseo costituita da fibre di collagene, proteoglicani, glicoproteine e vescicole di secrezione ricche di fosfatasi alcalina, e ioni Ca2+ e (PO4)3-. • Blu Triptan, litio carminio, blu pirrolo, che sono fagocitati dai macrofagi permettendo così la loro identificazione. • Verde Janus, che colora elettivamente i mitocondri in virtù delle proprietà ossido-riduttive di questi organuli. Diventa verde quando è ossidato, e i mitocondri contengono agenti ossidativi. • Rosso neutro, che colora i granuli specifici dei leucociti (in rosa i granulociti neutrofili, in giallo quelli eosinofili e in rosso mattone quelli basofili). FIGURA 1-2: NELLA FIGURA 1 VEDIAMO OSTEOBLASTI IN CONTRASTO DI FASE; NELLA FIGURA 2, OSTEOBLASTI MINERALIZZATI, CON DEPOSITO DI CALCIO. 11 È senza colore e permeabile quando non è protonato, si accumula nei lisosomi dei leucociti che sono acidi, quindi viene protonato. • Blu metilene, è un colorante basico che colora in blu il nucleo e il reticolo endoplasmatico rugoso delle cellule, e colora anche in blu intenso gli assoni dei neuroni. COLORANTI SOPRAVITALI I coloranti sopravitali, invece, sono somministrati a cellule o a tessuti isolati dall’organismo. Questi coloranti si legano ai tessuti mediante legami chimici con le proteine, gli acidi nucleici, le glicoproteine e le lipoproteine. I coloranti sono classificati in due categorie: • coloranti acidi nei quali il gruppo cromoforo è acido (anionico) ed ha affinità per le molecole cariche positivamente, ad esempio, alcune classi di proteine presenti nel citosol; i più comuni sono eosina, arancio G, verde metile. I componenti dei tessuti che hanno affinità per i coloranti acidi sono detti acidofili. • coloranti basici, nei quali il gruppo cromoforo è basico (cationico). che ha affinità̀ per le molecole cariche negativamente, ad esempio, DNA ed RNA, principalmente nel nucleo: i più comuni sono: ematossillina, blu di metilene, blu di toluidina, tionina, verde di metile, pironina, azzurro B, fucisina basica. I componenti dei tessuti che hanno affinità̀ per i coloranti basici sono detti basofili. Preparazione dei campioni per analisi istologica mediante microscopia ottica: • Acquisizione (intervento, autopsia, prelevamento del campione); • Fissaggio (formaldeide o alcool; porta alla morte delle cellule); • Disidratazione (etanolo); • Inclusione (paraffina; permette di poter tagliare il campione); • Taglio (microtomo); • Colorazione. ACQUISIZIONE Acquisizione del campione e taglio in pezzi (1 cm3). Tramite biopsia, intervento chirurgico, autopsia, prelevato rapidamente utilizzando strumenti adatti (bisturi) oppure tramite cytospin (spot di cellule su un vetrino utilizzando una centrifuga). FISSAGGIO 12 Generalmente avviene per mezzo di aldeidi reattive (formaldeide), oppure tramite un cross-link delle macromolecole (in particolare con le proteine). Si ottiene così un effetto indurente dei tessuti molli, e deve essere fatto per evitare che gli enzimi presenti degradino il tessuto. DISIDRATAZIONE Attraverso passaggi in soluzioni a concentrazione crescente di etanolo. È importante perché poi il campione verrà immerso nella paraffina che è insolubile in acqua. ELIMINAZIONE Viene eliminato l’etanolo in vari passaggi nello xilene. INCLUSIONE Il campione viene incluso in paraffina o in una resina; vengono effettuati diversi passaggi in paraffina calda, questa andrà ad occupare lo spazio precedentemente occupato dall’acqua. Una volta fredda si indurisce e permette di sezionare il campione. TAGLIO Avviene per mezzo di un microtomo, che produce sezioni dello spessore di 0,5-10 µm. MONTAGGIO Viene montato il campione su vetrini per microscopia. COLORAZIONI Vengono colorate le sezioni col metodo più appropriato. Di solito sul preparato si utilizzano due diverse colorazioni: • colorazione: con un colore brillante di certe componenti di tessuto; • contro colorazione: colora il resto del tessuto con un colore contrastante. 15 CAPITOLO 2 LA FLUORESCENZA E’ una proprietà che hanno alcune sostanze di assorbire la luce a una particolare lunghezza d’onda e di rilasciarla ad una lunghezza d’onda superiore, ma ad energia inferiore rispetto a quella assorbita. • fluorescenza primaria o autofluorescenza; • fluorescenza secondaria o indotta La maggior parte dei campioni biologici emette fluorescenza solo dopo la marcatura con fluorocromi. I fluorocromi (o fluorofori) sono molecole che hanno la caratteristica di assorbire luce ad una determinata lunghezza d’onda (eccitazione) ed emettere fotoni di una lunghezza d’onda maggiore (emissione). Se esposti ad una radiazione di una determinata lunghezza d’onda (radiazione incidente) emettono luce di un’altra lunghezza d’onda (fluorescono). Associati o meno ad altre molecole, possono essere impiegati per individuare nei tessuti e nelle cellule la presenza o la distribuzione di specifiche strutture macromolecolari (proteiche, glucidiche o lipidiche) o di ioni. Ciascun fluorocromo è caratterizzato da un picco di assorbimento (max eccitazione) e da un picco di emissione (max emissione). IL MICROSCOPIO A FLUORESCENZA O EPIFLUORESCENZA È un microscopio ottico in grado di generare una radiazione luminosa monocromatica. Il campione (naturalmente fluorescente o reso fluorescente) viene colpito da luce UV, e l’energia accumulata viene poi rilasciata dal campione come luce a lunghezza d’onda più alta (visibile). 16 Molte molecole presenti nelle cellule vegetali o nella cellula animale non sono naturalmente fluorescenti e per essere osservate in fluorescenza devono essere rese fluorescenti mediante l’utilizzo di sonde fluorescenti: 1. Reagenti cito- e isto-chimici fluorescenti (es. DAPI e IODURO DI PROPIDIO (PI) per gli acidi nucleici); 2. Proteine fluorescenti (es. GFP e RFP) coniugate a molecole affini alle differenti strutture cellulari; 1) La lampada a vapori di mercurio emette radiazioni ad elevata energia; 2) il filtro di eccitazione lascia passare le radiazioni ad una ristretta lunghezza d’onda (ad esempio in verde); 3) tali radiazioni penetrano nell’obiettivo, sono riflesse dallo specchio dicroico e eccitano il fluorocromo legato al campione; 4) le radiazioni emesse dal fluorocromo (ad esempio in rosso) passano sia attraverso lo specchio dicroico (5) sia il filtro di sbarramento (6), il quale, invece, blocca le eventuali radiazioni non assorbite. 17 3. Anticorpi coniugati con fluorofori (immunofluorescenza); 4. Sonde di altro tipo (es. sonde a RNA o DNA usate nell’ibridazione in situ). REAGENTI CITO- E ISTO-CHIMICI FLUORESCENTI • Il DAPI (4',6-diamidin-2-fenilindolo) intercalante del DNA, si fissa alla corrispondenza delle basi Adenina e Timina. • Lo IODURO DI PROPIDIO si lega sia al DNA che al RNA. Per distinguere tra DNA o RNA occorre utilizzare delle nucleasi (che digeriscano l’uno o l’altro). PROTEINE FLUORESCENTI • Naturali: o GFP (provengono dalle meduse del genere Acquoree); o DsRed (da meduse del genere Discosoma); • Semisintetiche: o EGFP (Enhanced GFP) o CFP (Cyan Fluorescent Protein) o YFP (Yellow Fluorescent Protein) VARI METODI PRATICI IN CUI SI POSSONO USARE SONDE FLUORESCENTI: Rendere le cellule fluorescenti utilizzando fluorofori lipofilici: si usano coloranti/sonde che hanno affinità lipofilica, cioè va a legarsi a livello dei lipidi nella membrana plasmatica con delle ancore lipidiche. Per studiare le componenti interne della cellula, come il citoscheletro, andremo a costruire delle sonde che saranno in grado di penetrare la membrana plasmatica e che andranno a legarsi a determinate strutture presenti all’interno con l’aiuto di un’altra molecola, per esempio la falloidina si lega ai filamenti di actina. 20 L’efficienza di questo trasferimento di energia è inversamente proporzionale alla distanza fra il donatore e l’accettore. • Fotoattivazione: per monitorare il traffico, il turnover e le vie di degradazione delle proteine. • Recupero della fluorescenza dopo fotosbiancamento (FRAP): Una porzione del campione viene sottoposta ad una intensa e prolungata eccitazione (bleaching) per vedere le modalità di recupero della fluorescenza. • Perdita della fluorescenza in fotosbiancamento (FLIP): Il laser è applicato continuativamente sulla superficie della cellula in una piccola area e si misura il tempo necessario per perdere completamente la fluorescenza. LA MICROSCOPIA A FLUORESCENZA A RIFLESSIONE INTERNA TOTALE (TIRF) Permette la rivelazione di singole molecole fluorescenti. Nei microscopi a epifluorescenza l’intero campione è illuminato, la luce che va ad eccitare i fluorofori attraversa tutto il campione. Viceversa, la microscopia TIRF consente di eccitare solo una sottile porzione del preparato, vicino al vetrino; bisogna utilizzare un raggio laser che è leggermente inclinato, e colpisce il campione ad una inclinazione tale per cui, a questa incidenza, la luce viene riflessa dall’interfaccia vetrino-campione (l’angolo viene chiamato angolo critico). Eccita quindi molecole fluorescenti che si trovano in ambiente acquoso (cellula) vicine ad una superficie solida (vetro) e ad una distanza molto piccola (meno di 100 nm). L’eccitazione della fluorescenza in questa regione (campo di evanescenza) consente di ottenere immagini con basso rumore di fondo, la fluorescenza è ben focalizzata e c’è una minima esposizione alla luce in altri piani della cellula. Le applicazioni: • Visualizzazione delle regioni contatto cellula substrato • Visualizzazione di singole molecole fluorescenti vicine alla membrana (movimenti molecolari); • Analisi cinetica dei granuli di secrezione (granuli dispersi di 2nm); • Cinetica delle interazioni tra proteine extracellulari con recettori di superficie; • Turnover delle proteine; • Cinetica di variazione del volume cellulare (trasporto di acqua e soluti). I limiti della microscopia ottica a fluorescenza/epifluorescenza sono dati dall’effetto della profondità di campo, la luce proviene da piani diversi da quello del fuoco e produce immagini poco nitide; ecco perché la microscopia TIRF produce immagini più nitide. 21 MICROSCOPIA CONFOCALE Il microscopio confocale produce sezioni ottiche escludendo la luce fuori fuoco. Utilizza un raggio laser e diaframmi che permettono di bloccare il segnale proveniente da altri piani focali. Utilizza un raggio laser per illuminare un singolo piano del campione alla volta. Focalizza selettivamente un piano per volta nello spessore dell’oggetto e poi ricostruisce elettronicamente l’immagine finale mettendo insieme tutte le altre. VANTAGGI DEL MICROSCOPIO CONFOCALE: • Riduzione degli aloni dell’immagine da scattering di luce • Aumento della risoluzione • Miglioramento del rapporto segnale/rumore • Facile analisi di campioni spessi • Z-axis scanning • Percezione della profondità nelle immagini sezionate in Z • Possibilità di aggiustamento dell’ingrandimento elettronico Le sezioni ottiche del campione acquisite, vengono rielaborate e ordinate da un software che consente di ricostruire un’immagine complessiva dell’intero volume scandito, in cui tutti i piani sono contemporaneamente a fuoco. In questo caso, non vengono fatte le foto (come per il time lapse) per vedere come si comporta il preparato nel tempo ma, vengono fatte per vedere in tre dimensioni il preparato. 22 Ci sono due modi per portare allo stato eccitato una molecola di fluoroforo: • un singolo fotone ad alta energia • due fotoni simultanei a energia inferiore MICROSCOPIA CONFOCALE A DUE ELETTRONI Tuttavia, a differenza dei laser utilizzati per microscopia confocale, che forniscono singoli fotoni di luce visibile e continua, i laser usati in microscopia a due fotoni eccitano il campione sfruttando l’assorbimento simultaneo di due fotoni nell’infrarosso (800- 900 nm) in rapida successione temporale, nell'ordine dei femtosecondi (s-15). La microscopia a due fotoni è attualmente la tecnica di elezione per l’imaging di cellule e tessuti viventi. Utilizza un laser per eccitare molecole fluorescenti in un campione, e opportuni rivelatori per misurare la luce emessa. Vantaggi: • Ridotto danneggiamento del preparato, perché la luce infrarossa ha meno energia di quella visibile; • Luce fornita è pulsante e, quindi, il preparato è mediamente illuminato per un tempo inferiore e si ha una notevole riduzione del photobleaching, che si verifica solo nel piano focale; • L'infrarosso ha una capacità di penetrazione maggiore nei tessuti rispetto al visibile. METODI ALTERNATIVI ALLA MICROSCOPIA CONFOCALE Deconvoluzione: Trattamento dell‘immagine di fluorescenza attraverso metodi matematici di convoluzione. L’algoritmo matematico di deconvoluzione tiene conto degli effetti della diffrazione della luce. • Una serie di sezioni ottiche prese a diverse profondità è registrata su un computer; • Avviene poi l’analisi delle varie sezioni tramite l'algoritmo di deconvoluzione, che consente di ricostruire su base statistica gli elementi mancanti, togliendo i fattori di disturbo e rendendo possibile la creazione di una immagine di qualità maggiore. 25 Gli "Scintilloni" sono gli organelli, posizionati a corona attorno ai vacuoli dei dinoflagellati, deputati ad emettere luce. Gli "Scintilloni" contengono luciferina, luciferasi (LCF) e una luciferin-binding protein (LBP). Emettono luce quando c’è uno stimolo stressante/brusco, che crea un potenziale di azione e fa sì che si vengano ad aprire dei canali “voltaggio-dipendenti” nello scintillone, che è all’interno del vacuolo (che è acido, come ben sappiamo), ed entrano i protoni. Quando si aprono i canali entra H+, l’ambiente citoplasmatico si acidifica, e l’acidificazione porta ad una modificazione della proteina che lega la luciferina, che si libera e va a legarsi all’enzima (che in presenza di H+ si attiva). BIOLUMINESCENZA IN VIVO Esperimento fatto da alunni: cellule che producono l’enzima luciferasi in presenza del substrato luciferina emettono bioluminescenza. Perché le hanno rese tracciabili? Per vedere dove queste cellule si potevano andare a localizzare in una cavia per fare degli studi farmacologici. Esistono differenti tipi di luciferasi che emettono radiazioni luminose di diverso colore. La bioluminescenza è importante, oltre che come tracciante di cellule, anche per gli studi di localizzazione di determinate proteine che vogliamo studiare in un campione. Quindi in questo caso, invece di un fluoroforo, uniremo l’enzima luciferasi e così riusciamo a vedere dove una determinata proteina va a localizzarsi in un preparato. • Cellule trasfettate con plasmidi esprimenti geni reporter codificanti per proteine che catalizzano il processo della bioluminescenza possono essere rilevate in vivo. 26 • Cellule trasfettate con plasmidi esprimenti geni codificanti per proteine di fusione contenenti l’enzima bioluminescente e una proteina di interesse (ad es. Luciferasi e Importina a) generano proteine bioluminescenti che possono essere localizzate in vivo. TRASFERIMENTO DI ENERGIA DI RISONANZA DI BIOLUMINESCENZA (BRET) BRET si basa sull'energia derivata da una reazione della luciferasi che può essere utilizzata per eccitare una proteina fluorescente, se quest'ultima è vicina all'enzima luciferasi. La tecnologia prevede la fusione di molecole donatrici (luciferasi) e accettori (fluorescenti) collegati a proteine di interesse. Il BRET può anche essere utilizzato come sensore di prossimità tra proteine. • Il BRET può essere utilizzato come sensore di cambiamenti di concentrazione di Ca2+ intracellulare. In presenza di Ca++ aequorina ossida la celetranzina in celentramide con produzione di CO2, ed emissione di luce. • Può essere utilizzato per potenziare il rilevamento delle cellule all’interno di un organismo animale. BRET VS FRET • BRET: Emissione di luce da parte del donatore è determinata dall’attivazione dell’enzima Luciferase in presenza del suo substrato. • FRET: Emissione di luce da parte dell’accettore è determinata da un fluoroforo donatore, che eccitato da una radiazione luminosa con specifica lunghezza d’onda, eccita a sua volta l’accettore (quindi presenza di due fluorofori). 27 BRET è molto simile a FRET, ma in FRET il donatore è una proteina fluorescente che deve essere eccitata. BRET non richiede una fonte di luce esterna per eccitare il donatore, non soffre di problemi spesso associati a FRET come l'autofluorescenza, la diffusione della luce o il fotobleaching. SENSORI CHE VENGONO UTILIZZATI USANDO LA BIOLUMINESCENZA: • Per esempio, i sensori di calcio come l’aequorina: utilizzando la bioluminescenza si usa l’aequorina che, in presenza di calcio, emetterà luce azzurra. È possibile utilizzare però l’aequorina anche tramite la tecnica di trasferimento di energia di risonanza di bioluminescenza (quindi abbiamo l’aequorina legata ad un fluoroforo); questo è chiamato anche sistema BRET. Il donatore (la fotoproteina Aequorina) in presenza di ioni Ca2+ emette energia (fotoni) che può essere trasmessa all'accettore che eccitato emette luce verde. • Per comprendere l’interazione tra due proteine: è possibile anche costruire una molecola complessa in cui una proteina di interesse è fusa con una proteina donatrice di energia (enzima di bioluminescenza), mentre l'altra proteina di interesse è fusa con una proteina accettore di energia (una proteina fluorescente proteine). • Per osservare l’interazione ligando-recettore: una proteina recettore di interesse è fusa con una proteina donatrice di energia (enzima di bioluminescenza), mentre il ligando del recettore è fuso con una proteina accettore di energia (una proteina fluorescente) • Osservare i cambiamenti di concentrazione di calcio intracellulare: nella cellula è presente una proteina fusa formata da un donatore – Troponina C – accettore. In assenza di Ca2+, si osserva l’emissione di Nluc. Dopo il legame del Ca2+, il sensore subisce un cambiamento conformazionale e si osserva BRET. 30 Il campione deve essere disidratato e sottovuoto, perciò non è possibile osservare delle cellule vive. Inoltre, siccome gli elettroni hanno un basso potere di penetrazione, per il microscopio elettronico bisogna utilizzare delle sezioni molto sottili (50/100 nm) Anche in questo caso è possibile cercare di aumentare il contrasto del campione (non con i coloranti specifici, come nel microscopio ottico) con metalli pesanti: osmio, acetato di piombo, acetato di uranile; che sono opachi agli elettroni. 31 La maggiore risoluzione del TEM permette di visualizzare strutture non visibili con il microscopio ottico. PREPARAZIONE DEI CAMPIONI PER L’OSSERVAZIONE IN MICROSCOPIA ELETTRONICA In linea di principio l’allestimento dei preparati biologici in microscopia elettronica segue gli stessi criteri della microscopia ottica. Tuttavia, sono previsti importanti modifiche: • Prelievo: le dimensioni del campione sono di solito dell’ordine di 1-2 mm3. Il prelievo va effettuato a freddo in specifici tamponi. • Fissazione: è eseguita a freddo con fissativi chimici non coagulanti (es. gluteraldeide, paraformaldeide) a cui segue in genere la post-fissazione in tetrossido di osmio. • Deidratazione: nel caso di campioni biologici, nell’etanolo. • Inclusione: il campione viene incluso in plastica (resine epossidiche). • Sezioni: si usa l’ultramicrotomo con cui si possono ottenere sezioni ultrafini (50-100 nm). Si usano lame di vetro o di diamante montate su una bacinella con acqua. Le fette ottenute sono raccolte con un retino di rame. • Colorazione: si usano sali di metalli pesanti (opachi agli elettroni) ad esempio piombo, uranio, platino, oro, argento, ect. • ACQUISIZIONE del campione e taglio in pezzi (1cm3) • FISSAZIONE del campione con glutaraldeide e poi tetrossido di osmio o L’osmio è un metallo pesante che si lega ai lipidi, rendendoli elettrondensi (neri) o Coloranti non legano i lipidi, che nelle sezioni appaiono chiari. • DEIDRATAZIONE dei campioni tramite passaggi in soluzioni a concentrazione crescente di etanolo. • INCLUSIONE dei campioni in piccoli blocchi di resina epossidica • TAGLIO dei campioni inclusi con un ultramicrotomo dotato di lama al diamante (a volte vetro). o La superfice da analizzare deve essere di circa 0.2 mm. o Lo spessore della sezione varia da 40 a 100 nm (di solito 65-80 nm). • MONTAGGIO delle sezioni su di una griglia • COLORAZIONE delle sezioni con nitrato o acetato di uranile e citrato di piombo. • VISUALIZZAZIONE al TEM fotografia, sviluppo ed analisi delle immagini PARTICOLARI TECNICHE IN USO IN MICROSCOPIA ELETTRONICA • Microscopia crioelettronica o Cryo-EM • Tomografia crioelettronica o Cryo-ET • Crio-frattura o Freeze-fracturing 32 • Crio-sublimazione o Freeze-etching • Ombreggiatura o Shadow-casting • Colorazione negativa o Negative Staining MICROSCOPIA CRIOELETTRONICA Chiamata anche vitrificazione del campione biologico mediante criofissazione. Campione biologico messo su una griglia di 3,05 mm, preso poi con una pinzetta e immerso in una pozzetta di etano/propano, circondato da azoto liquido (-196°C) che mantiene la temperatura. Il campione si dice che viene criofissato perché è importante che la soluzione acquosa si congeli rapidamente in modo tale che l’acqua si solidifichi in forma amorfa (senza cristalli, che altrimenti andrebbero a danneggiare il campione stesso). Il campione va messo nell’etano/propano perché hanno la funzione (?) di riuscire a raffreddare molto velocemente il campione TOMOGRAFIA CRIOELETTRONICA Il computer fonde un gran numero di immagini digitali bidimensionali del campione che sono state prese quando il campione è posto ad angolazioni definite relativamente al percorso del fascio di elettroni (in pratica il campione viene fatto ruotare). CRIO-FRATTURA O FREEZ-FRACTURING Il freeze-fracturing è una tecnica particolarmente usata per lo studio della struttura interna delle membrane cellulari e delle strutture cellulari interne. Il campione (1), è immerso in azoto liquido (2); in tal modo l’acqua vetrifica. Il campione è immesso sottovuoto e quindi è inciso da una lama (3). Il piano di frattura preferenzialmente avviene lungo il doppio strato delle membrane biologiche (4). La superficie esposta dalla frattura è poi ombreggiata al platino (5) e rinforzata da uno strato di carbone. 35 PREPARAZIONE DEI CAMPIONI PER ACQUISIZIONI CON SEM: • Acquisizione del campione a freddo trattandolo con cura in modo da non danneggiare la superficie; • Fissazione; • Disidratazione; • Non si include; • Poggiato su di un supporto e ricoperto con un metallo: o Oro, cromo, palladio, carbone o Deve essere elettronconducente (non elettrondenso) • Visualizzato al microscopio; • Fotografato, si possono analizzare le componenti chimiche tramite raggi X. MICROSCOPIA A FORZA ATOMICA (AFM) MECCANISMO DI CONTRASTO L’AFM è costituito da una microleva (cantilever) alla cui estremità è montata una punta acuminata (tip), generalmente di silicio che presenta un raggio di curvatura dell'ordine dei nanometri. La punta investigatrice viene avvicinata alla superficie del campione di cui si vuole effettuare la scansione. La Forza di van der Waals che agisce tra la punta ed il campione provoca una deflessione del cantilever, che viene misurata utilizzando un punto laser riflesso dalla sommità della microleva verso un rilevatore o fotodiodo che registra questi spostamenti e ci fornisce la topografia della superficie del campione. Generalmente il campione è collocato su un tubo piezoelettrico, che può spostarlo in direzione perpendicolare (direzione z) per mantenere una forza costante e nel piano (direzioni x ed y) per analizzarne la superficie. I microscopi a forza atomica consentono una ricostruzione 3D ad alta risoluzione del campione attraverso la registrazione delle forze di interazione tra la superficie stessa e una punta montata all’estremità di una micro-leva. LIMITAZIONI Il campione non deve essere sottoposto a vibrazioni meccaniche che potrebbero modificare la misura e creare un artefatto; con l’utilizzo di molle, il sistema in cui è inserito il campione viene sospeso e le vibrazioni vengono assorbite. L’AFM può riprodurre una 36 profondità dell'ordine del micrometro ed un'area massima di circa 100 per 100 micrometri. La sua risoluzione verticale teorica è di circa 0.1 nm, mentre quella laterale è di circa 1 nm. Inoltre, tale microscopio non è in grado di analizzare le immagini altrettanto velocemente di un microscopio elettronico a scansione: per effettuare la scansione di un'area ci vogliono tipicamente diversi minuti. Gli AFM consentono di investigare anche le proprietà meccaniche locali del campione (quali ad esempio rigidezza, elasticità, etc...) attraverso l'analisi delle forze di interazione punta-campione. 37 CAPITOLO 5 IMMUNOISTOCHIMICA, IMMUNOFLUORESCENZA, IMMUNOBIOLUMINESCENZA, IMMUNOGOLD E TECNICHE BIOMOLECOLARI FACCIAMO PRIMA DELLE CONSIDERAZIONI GENERALI SU COS’È UN ANTIGENE E UN ANTICORPO; COME SI PRODUCONO GLI ANTICORPI , I VARI MARCATORI (CHE POI ANDREMO A SPIEGARE NEL DETTAGLIO J) E I DUE METODI PER VISUALIZZARE LE NOSTRE MOLECOLE DI INTERESSE NEL PREPARATO. La tecnica immunoistochimica si basa sul principio di coniugazione antigene-anticorpo in addizione poi con sistemi di rivelazione che ne rendono visibile l'avvenuta reazione al microscopio. È quindi una reazione tra un antigene e il suo relativo anticorpo. • Gli anticorpi sono proteine prodotte dal sistema immunitario come difesa contro le sostanze estranee; sono proteine del gruppo delle globuline (immunoglobuline). • Sono moltissimi tipi diversi ognuno con un sito di legame diverso che riconosce una specifica molecola bersaglio o antigene. ANTIGENE - ANTICORPO Il sistema immunitario, sistema di protezione, serve per distinguere ciò che è proprio (self) da ciò che è estraneo all’organismo (not self). L’antigene è una qualsiasi sostanza riconosciuta come NOT SELF, considerata pericolosa e che può modificare l’unicum biochimico di quell’organismo e quindi avere degli effetti deleteri per l’organismo stesso. ANTIGENE Molecola che, introdotta in un organismo, è in grado di attivare la risposta anticorpale. Gli antigeni sono tipicamente macromolecole solubili in acqua e che possiedono un alto grado di complessità chimica. Le proteine eterologhe (cioè, provenienti da organismi diversi) di massa molecolare >10000 Da sono generalmente degli ottimi antigeni, mentre i piccoli peptidi non sono di solito antigenici (eliminati dai macrofagi, senza indurre risposta anticorpale). ANTICORPO Una volta che l’antigene entra nel corpo attiva la risposta immunitaria umorale che è mediata dagli anticorpi (immunoglobuline), sono delle glicoproteine che possiedono domini costanti e domini variabili, sono a forma di Y e sono in grado di riconoscere antigeni specifici. La funzione degli anticorpi è quella di riconoscere e neutralizzare gli agenti estranei e/o patogeni, come, ad esempio, virus, batteri o tossine. 40 PRODUZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI SPECIFICI PER UN DETERMINATO ANTIGENE UTILIZZANDO IL TOPO § Prodotti da un unico clone di linfociti B § Gli anticorpi riconoscono un unico epitopo § Clone cellulare (ibridoma) ottenuto per fusione di un linfocita B con un cellula di mieloma § Fusione avviene in glicole polietilenico § Ogni ibridoma secerne un anticorpo monospecifico Accade che solamente l’ibridoma vitale e funzionale, quindi che si è fuso in maniera ottimale, può sopravvivere nei terreni di coltura selezionati. Le cellule di mieloma sono immortali, quindi i linfociti B fusi con le cellule di mieloma si sono immortalizzate. Gli ibridomi riescono così a produrre degli anticorpi specifici per quell’antigene a cui si sono legati. Gli ibridomi sono cellule ibride (linfociti B uniti a cellule di mieloma) che producono anticorpi monospecifici (monoclonali) perché prodotti da un singolo tipo di linfocita B (clone). Le cellule ibride (ibridomi) vengono poi seminati in diluizione limite, ossia in maniera tale che ogni pozzetto di coltura contenga solo una cellula di ibridoma; questo singolo clone verrà fatto riprodurre e produrrà anticorpi monoclonali. ORA CHE ABBIAMO IL NOSTRO POOL DI ANTICORPI POLICLONALI O MONOCLONALI (CHE SONO SPECIFICI PER UN DET. EPITOPO DI UN ANTIGENE) PER VISUALIZZARE L’ INTERAZIONE ANTICORPO-ANTIGENE, E VEDERE DOV’È L’EPITOPO SULLA CELLULA, DEVO CONIUGARE QUESTI ANTICORPI CON UN DEI MARCATORI IN FUNZIONE DEL MICROSCOPIO: 41 MARCATORI: § Anticorpo coniugato ad un fluorocromo: Immunofluorescenza ---> microscopio a fluorescenza tradizionale o confocale § Anticorpo coniugato ad un’attività enzimatica o perossidasi di rafano (HRP), fosfatasi alcalina: Immunoistochimica in campo chiaro ----> microscopio tradizionale o Anticorpo coniugato ad un’attività enzimatica (Luciferase): Immunoistochimica in bioluminescenza ---> Imager ottico § Anticorpo coniugato a particelle d’oro (che sono elettrondense): Immunogold ---> microscopio elettronico a trasmissione (TEM) Generalmente sono tutte tecniche che richiedono la fissazione del preparato (cellule o sezioni di tessuto) = materiale morto. Dove avviene la marcatura dell’anticorpo? § marcatura dell'anticorpo con un fluoroforo; § marcatura dell'anticorpo con un enzima; § marcatura dell'anticorpo con sfere d’oro; Tutti i marcatori devono essere legati alla zona FC poiché, se fosse legato alla zona FAB, l'immunoglobulina potrebbe perdere la sua funzionalità; 42 Queste metodiche permettono di visualizzare specifiche macromolecole e abbiamo diversi metodi: § il Metodo diretto: l’anticorpo primario coniugato al colorante si lega all’antigene; intensità del segnale molto bassa. § Il metodo indiretto: avviene in due step, l’anticorpo primario si lega all’antigene e successivamente viene immesso un anticorpo secondario (è un anti-anticorpo) legato con un colorante fluorescente. L’anticorpo riconosce la zona FC dell’altro anticorpo e solitamente si ha un anticorpo di un’altra specie. Quindi, dato che queste tecniche richiedono la fissazione del preparato, si lavora su materiale morto. Qual è la preparazione del materiale biologico? 1. fissazione delle cellule in situ: si mantengono le strutture cellulari e le interazioni molecolari utilizzando aldeidi (paraformaldeide) oppure alcoli (metanolo/acetone). 45 IMMUNOISTOCHIMICA Quando l’anticorpo non è più collegato ad un fluoroforo ma ad un enzima. Le tecniche possono essere sia indirette che dirette, in questo caso noi vediamo solo la tecnica indiretta: Abbiamo l’anticorpo primario che va a legarsi all’antigene, e il secondo anticorpo è legato ad un enzima (può essere una fosfatasi o perossidasi del rafano, che reagiscono ad un certo substrato). Una volta che abbiamo il complesso anticorpo primario-anticorpo secondario mettiamo a contatto il vetrino con il substrato dell’enzima. Questo causa la reazione tra Enzima-Substrato e se prendiamo come esempio la perossidasi si viene a formare un prodotto colorato marrone. La perossidasi è un enzima appartenente alla classe delle ossidoreduttasi in grado di catalizzare la seguente reazione: substrato + 2H2O2 ⇄ substrato ossidato + 2 H2O. 46 IMMUNOBIOLUMINESCENZA Sempre all’interno dell’immunoistochimica, possiamo coniugare l’anticorpo con l’enzima luciferasi, è sempre un enzima ma avrà bisogno di un suo substrato: la luciferina. FIGURA 2: DATO CHE SI USA IL MICROSCOPIO OTTICO E NON QUELLO A FLUORESCENZA, PER COLORARE IL NUCLEO DELLE CELLULE CHE COLORANTE SI È USATO? EMATOSSILINA O BLU DI METILENE, COLORANTI CHE SI LEGANO AGLI ACIDI NUCLEICI. 47 L’anticorpo coniugato all’enzima luciferasi si legherà all’antigene (per cui l’anticorpo è specifico) presente nel preparato biologico che si sta analizzando. 1. L’aggiunta del substrato (la luciferina) al preparato biologico farà si che vengano emessi fotoni (radiazione luminosa) dove è presente l’immunocomplesso (cioè dove l’anticorpo si è legato all’antigene). 2. La radiazione luminosa è captata dall’Imager ottico. IMMUNOBIOLUMINESCENZA IN VIVO Gli anticorpi coniugati a luciferasi (ad es. Cypridina) possono essere utilizzati anche per riconoscere in vivo un antigene presente in un animale: l’anticorpo viene iniettato nell’animale e successivamente viene iniettata la luciferina; la bioluminescenza sarà emessa nei punti ove l’anticorpo si è legato con l’antigene. IMMUNOGOLD Immunogold per la microscopia elettronica. Vengono effettuate marcature singole o doppie con anticorpi coniugati con particelle d’oro che poi vengono analizzate al microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Incubazioni con anticorpi primari e anticorpi secondari come nel caso dell’immunofluorescenza ma in questo caso gli anticorpi primari o secondari sono coniugati con particelle d’oro (opache agli elettroni) di diametro diverso. Macromolecole specifiche possono essere localizzate mediante microscopia elettronica immunogold. Si possono utilizzare delle sfere d’oro con diametro diverso, se devo vedere la localizzazione di più molecole. IMMUNOTERAPIA Anticorpi monoclonali coniugati a citotossine (ADC) progettati per eliminare le cellule tumorali targettizzate. Azione degli anticorpi monoclonali coniugati alle tossine contro le cellule tumorali. 50 PARLIAMO ORA DI TECNICHE BIOCHIMICHE-MOLECOLARI COMUNEMENTE UTIL IZZATE DA CHI STUDIA LA BIOLOGIA DELLE CELLULE E DEI TESSUTI . WESTERN BLOTTING 1. Eseguire la estrazione delle proteine dalle cellule, cioè bisogna rompere le cellule per far si che fuoriescano nella provetta le proteine contenute all’interno. Come si rompono? Vengono messe in una soluzione ipotonica, quindi la cellula si gonfia ed esplode. Viene passato in centrifuga e il liquido surnatante avrà all’interno le proteine, i detriti cellulari pesanti, invece, saranno sul fondo della provetta. 2. Separazione delle proteine mediante corsa elettroforetica su gel di poliacrilamide (tipo un setaccio): il campione (estratto proteico) contenente una miscela di proteine diverse, tutte caricate negativamente (con SDS – sodio dodecil solfato), viene immesso nel pozzetto e viene poi sottoposto ad un campo elettrico. Le proteine migreranno verso il polo positivo (in basso). 51 La separazione avviene in funzione del peso molecolare di ciascuna proteina. Quelle più piccole, di più basso peso molecolare, migrano più rapidamente all’interno delle “maglie” del gel verso il polo positivo. 3. Trasferimento delle proteine dal gel di elettroforesi al filtro: “Blot”. Al termine dell’elettroforesi, si procede con il “blotting”, cioè il trasferimento dal gel di elettroforesi ad un supporto più maneggevole e idoneo all’incubazione con gli anticorpi: una membrana di nylon o di nitrocellulosa (assomiglia ad un foglio di carta della dimensione del gel). Per far migrare le proteina si applicherà ancora una volta un campo elettrico. 4. Incubazione della membrana con anticorpi e rivelazione: La membrana di nylon è poi incubata con l’anticorpo primario, lavata, incubata con l’anticorpo secondario coniugato ad un enzima che permette una reazione luminescente. La rivelazione avviene ponendo una lastra fotografica sul filtro, la luminescenza impressiona la lastra. Dopo lo sviluppo fotografico della lastra, si potranno osservare eventuali bande nere che corrispondono alla presenza della proteina studiata (antigene). 5. Risultato finale: una lastra fotografica impressionata. 52 Sono molto simili al Western Blot nei principi. Rivelazione con sonde di acidi nucleici complementari marcati con enzimi o fluorescenza. NORTHERN BLOT PER RNA 1. Linearizzazione delle molecole di RNA in agente denaturante (formaldeide) 2. Separazione del RNA tramite gel elettroforesi 3. Trasferimento su filtro di nitrocellulosa 4. Incubazione con una sonda marcata (diretta o indiretta) 5. Autoradiografia Il Northern oggi è sempre più spesso sostituito dalla tecnica dell’RT-PCR, anch’essa impiegata per determinare l’espressione di specifici mRNA da un estratto di RNA totale. Data la sensibilità di questa tecnica, si può partire da campioni molto piccoli. SOUTHERN BLOT PER DNA 1. Taglio con enzimi di restrizione (frammentazione riproducibile del DNA) 2. Separazione dei frammenti di restrizione tramite elettroforesi su gel 3. Denaturazione del DNA e trasferimento (blotting) dal gel ad un substrato solido (filtro di nylon o nitrocellulosa) 4. Incubazione del filtro con con una sonda molecolare specifica, marcata con radioisotopo 5. Evidenziazione dei frammenti ibridizzati con la sonda tramite autoradiografia. 55 interazioni idrofobiche sono alla base dell’associazione delle code idrocarburiche non polari all’interno della micella. Nelle strutture a doppio strato (bilayer) i gruppi polari sono in contatto con la fase acquosa e le code apolari sono impaccate all’interno I doppi strati fosfolipidi si richiudono spontaneamente su se stessi definendo comparti isolati, perché (come abbiamo detto prima) è energeticamente più favorevole. Fosfolipidi che compongono la membrana: • Glicerofosfolipidi: Sono detti glicerofosfolipidi o fosfogliceridi per la presenza di un gruppo fosfato legato all’impalcatura del glicerolo. • Sfingofosfolipidi: Sono detti sfingofosfolipidi per la presenza di un gruppo fosfato legato all’impalcatura della sfingosina. 56 I GLICEROFOSFOLIPIDI IL GLICEROFOSFOLIPIDE FOSFATIDILCOLINA La parte apolare di un fosfolipide è costituita da due acidi grassi saturi o insaturi a 16 o 18 atomi di C, legati al glicerolo. La parte polare è costituita dal gruppo fosfato, esterificato con la colina. Anche la parte polare è legata al glicerolo. La lunghezza media degli acidi grassi: 12-24 atomi di carbonio. Le catene aciliche insature hanno di solito un doppio legame, ma possono averne anche 2, 3, 4 o addirittura 6. In base alla posizione degli atomi di idrogeno associati ai carboni impegnati nel doppio legame, un acido grasso può esistere in natura sotto due forme, una cis e una trans. La presenza di un doppio legame nella catena alifatica (composto la cui molecola è costituta da una catena aperta di atomi di carbonio) implica l'esistenza di due conformazioni: • cis se i due atomi di idrogeno legati ai carboni impegnati nel doppio legame sono disposti sullo stesso piano; • trans se la disposizione spaziale è opposta. 57 GLI SFINGOFOSFOLIPIDI Sono lipidi complessi contenenti la sfingosina, un amminoalcol a lunga catena, al cui amminogruppo è legato, con legame ammidico, un acido grasso saturo quasi sempre composto da 22 atomi di carbonio. In tal modo, si viene a costituire l’unità invariante di tutti gli sfingolipidi , detta Ceramide, che rappresenta la porzione idrofobica degli sfingofosfolipidi stessi. Gli sfingofosfolipidi sono costituenti delle membrane plasmatiche dei Mammiferi e sono particolarmente abbondanti nella sostanza bianca del Sistema nervoso centrale. LA SFINGOLMIELINA La Sfingomielina è costituita dalla sfingosina, che presenta il gruppo amminico −NH2 combinato con un acido grasso (a formare la Ceramide) e il gruppo alcolico terminale esterificato con la fosfocolina. Le sfingomieline si trovano nelle guaine mieliniche (struttura multi lamellare che ha funzioni isolanti, in quanto avvolge l’assone delle cellule nervose) che circondano le cellule del sistema nervoso centrale. Data l’alta percentuale di lipidi che contengono, le guaine mieliniche sono isolanti elettrici. È importante anche il fosfatidil-inositolo, un glicerofosfolipide presente però in quantità inferiore, ma svolge un ruolo cruciale nella segnalazione intracellulare (nella trasduzione del segnale). QUALI SONO QUINDI I FOSFOLIPIDI PREDOMINANTI NELLE MEMBRANE CELLULARI? 60 MOVIMENTI DEI LIPIDI DI MEMBRANA Grazie alla presenza di fosfolipidi insaturi, alla temperatura corporea la membrana ha una consistenza fluida. I suoi componenti potranno quindi muoversi. I movimenti di rotazione e di diffusione laterale sono comuni e spontanei. Invece il trasferimento, non catalizzato, da un foglietto all’altro (FLIP-FLOP, che è una diffusione trasversale) è molto lento (a), invece la diffusione laterale all’interno del foglietto è molto rapida, anche se non è catalizzata (b). Il movimento dei lipidi attraverso il doppio strato è catalizzato da enzimi: 1. FLIPPASI: (ATPasi di tipo P) trasferisce la fosfatidiletanolammina e la fosfatidilserina dal foglietto esterno a quello citosolico; 2. FLOPPASI: (trasportatore ABC) trasporta i fosfolipidi dal lato citosolico a quello esterno (fosfatidiletanolammina e fosfatidilcolina); 3. SCRAMBLASI: trasferisce i lipidi in entrambe le direzioni, mantenendo l’equilibrio. 4. Funzione simile alla scramblasi è la flippasi presente nel reticolo endoplasmatico, ER flippasi. 61 Come avviene la SINTESI DEI LIPIDI DI MEMBRANA? I lipidi di membrana vengono sintetizzati nel reticolo endoplasmatico (RE) e quindi inseriti nei doppi strati della membrana in questa sede, per inserzione nello strato rivolto verso il citoplasma. Gli enzimi necessari per la sintesi sono presenti anch’essi sulla membrana plasmatica del RE. In seguito, essi vengono traslocati verso l’emistrato opposto (nel lato del Lume del RE) ad opera di enzimi, le flippasi ER, che fanno parte integrante della membrana del RE. I lipidi neosintetizzati si spostano dalle membrane del RE, attraverso il complesso di Golgi, in direzione della membrana plasmatica. Il trasferimento dal reticolo endoplasmatico al complesso di Golgi ha luogo attraverso la formazione di vescicole membranose che gemmano dal RE e si fondono col complesso di Golgi; analogamente, il trasferimento dal complesso di Golgi verso la membrana plasmatica si effettua mediante vescicole che gemmano dal Golgi, migrano attraverso il citoplasma e vanno a fondersi con la membrana plasmatica. Il colesterolo segue una via simile, con l’eccezione che essendo quasi interamente apolare, non necessita delle flippasi per muoversi nel doppio strato. C’è anche la possibilità di un flusso dal reticolo endoplasmatico ruvido verso la membrana nucleare, a causa delle connessioni dirette tra questi due sistemi di membrane. Struttura delle membrane biologiche: I MODELLI Nel 1935 Davson e Danielli ipotizzarono che la composizione della membrana dei globuli rossi non fosse solo di lipidi ma anche di proteine. E venne ideato il modello a sandwich: un doppio stato lipidico (idrofobico) interno e due strati proteici (idrofilici) esterni. Negli anni ’50 venne osservato lo spessore di membrana, 10 nm, e si ipotizzò la presenza solo di proteine “piatte”. Negli anni ’60 si definisce la struttura delle proteine di membrana, che sono in gran parte globulari. Da allora vari modelli sono stati proposti, tutti superati dal modello attuale: • il modello a mosaico fluido di Singer e Nicolson, che è stato perfezionato da studi recenti. Quale è il PRO di avere una membrana asimmetrica? La fosfatidilserina è presente nella parte interna quando la cellula sta bene, nel momento in cui la cellula inizia a stare male gli enzimi non riescono più a mantenerla all’interno (per mancanza di energia), e quindi verrà esposta sulla faccia esterna della membrana plasmatica. Questo sarà il segnale per i macrofagi, per riconoscere che la cellula non sta bene, che comunicherà che deve essere fagocitata. Quindi l’asimmetria definisce determinati processi biologici; definisce la funzionalità della cellula in quel determinato momento. 62 Il Doppio Strato Lipidico contiene una serie di proteine, che possono posizionarsi in maniera variabile: Le proteine sono incastonate nel doppio strato lipidico, come tessere di un mosaico. Non sono immobili, si possono muovere come “iceberg che galleggiano in un fluido di lipidi”. Dimostrazione della fluidità della membrana di Frey e Edidin, 1970: 1. Proteine di membrana di cellula umana e cellula murina marcate con fluorocromi differenti; 2. Fusione con virus Sendai (oppure con glicole etilenico); 3. Le proteine risultano, dopo 40 minuti, distribuite in maniera casuale. FLUIDITÀ DELLA MEMBRANA Normalmente i lipidi di membrana esistono in uno stato di “cristallino liquido”, intermedio tra una struttura altamente fluida e una abbastanza rigida, tale da garantire una certa viscosità alla membrana così da consentire il funzionamento ottimale della componente proteica di membrana (enzimi, proteine di trasporto, recettori, ecc). Fattori che influenzano la fluidità di membrana: • Temperatura: minore temperatura = minore fluidità • Lunghezza delle catene aciliche: maggiore lunghezza = minore fluidità; • Instaturazione degli acidi grassi: maggiore insaturazione = maggiore fluidità; • colesterolo: a 37° una maggiore presenza di colesterolo diminuisce la fluidità, mentre a temperature più rigide è in grado di aumentarne la fluidità; • Proteine: diminuiscono la fluidità. 65 Le diverse proteine di membrana si distinguono sulla base del tipo di associazione alla membrana: • INTEGRALI: strettamente associate al doppio strato lipidico tramite interazioni idrofobiche con i lipidi (possono essere rimosse con detergenti tipo SDS e TritonX- 100): § Singola a elica § a eliche multiple § proteine barile, attraversano la membrana come fogli piegati in modo da formare un cilindro detto barile b (arrotolati a formare dei barili) § possono essere considerate proteine di membrana anche quelle integrate a un solo monostrato della membrana (invece che al bi- layer) • PERIFERICHE: interazioni elettrostatiche e legami a H tra i domini idrofilici delle proteine e le teste polari dei lipidi di membrana (rimovibili con agenti in grado di interferire con il legame). § Proteine che interagiscono al di fuori della membrana con interazioni non covalenti. • ANFITROPICHE: si trovano sia nel citosol che associate alle membrane a seconda del tipo di regolazione a cui sono sottoposte (es. palmitoilazione). § Proteine associate covalentemente ai lipidi: gruppo prenico/acido grasso che si lega alla proteina e si integra nel bi-layer della membrana all’interno della cellula. All’esterno della cellula sono presenti delle proteine associate ad un ancora lipidica, il fosfatidil- inositolo, tramite un oligosaccaride (GPI – glicosil fosfatidilinositolo). 66 Esempi di proteine trans-membrana: • Un poro idrofilo (CANALE) che può essere formato dall’associazione di più a- eliche. Sul lato esterno di ciascuna elica si trovano le catene laterali degli aminoacidi idrofobi, mentre sul versante interno (lume del poro) le catene laterali degli aminoacidi idrofili formano un poro idrofilo per il passaggio di ioni. • Alcune proteine transmembrana (es: PORINE) attraversano la membrana come foglietti piegati in modo da formare un cilindro detto barile beta. Anche in questo caso gli aminoacidi rivolti verso l’interno del cilindro sono per lo più idrofili, e quelli esterni idrofobi, generano canali pieni d’acqua che permettono a soluti selezionati di attraversare la membrana. Perciò RECAP: la parte apolare della proteina è inserita nella membrana, all’esterno nel mezzo acquoso abbiamo residui polari. All’esterno possono essere presenti degli zuccheri (per esempio negli eritrociti hanno carica negativa e impediscono alle cellule di avvicinarsi e creare un coagulo). Quando si parla di proteine integrali possiamo classificarle in tipi, grazie alla presenza di uno o più domini idrofobici: Tipi I e II: una sola elica transmembrana, orientazione opposta Tipo III: numerose eliche transmembrana, tutte appartenenti alla stessa catena polipeptidica Tipo IV: diversi domini transmembrana appartenenti a diverse catene polipeptidiche Tipo V: ancora lipidica Tipo VI: elica/e transmembrana e ancora/e lipidica I grafici di idropatia sono grafici predittivi sviluppati da determinati software, i quali determinano il numero di domini idrofobici presenti in una proteina. Su cosa? Sulla base dell’energia necessaria a trasferire un amminoacido da un ambiente idrofobico ad uno idrofilico, stabiliscono il numero di elementi transmembrana presenti in una proteina integrale. 67 Le proteine di membrana si possono trovare anche ancorate ad un lipide (come abbiamo detto prima sulle proteine di membana anfitropiche). Le ancore lipidiche sono acidi grassi a catena lunga, isoprenoidi, e derivati glicosilati del FosfatidilInositolo (GPI) inseriti nel doppio strato lipidico. Le proteine integrali di membrana possono essere estratte ricorrendo all’uso di detergenti quali l’SDS (ionico [carica le proteine negativamente], solubilizza e denatura le proteine, cioè è un detergente aggressivo perché le srotola) e TRITON X-100 (non ionico, solubilizza le proteine senza modificarne la struttura). Le estremità apolari del detergente si associano con i residui apolari della proteina, che precedentemente erano in contatto con gli acidi grassi della membrana. Le estremità polari del detergente interagiscono con l’acqua circostante e mantengono la proteina in soluzione. (QUESTO ARGOMENTO ERA IN UNA DOMANDA CHIUSA ALL’ESAME) LE ZATTERE LIPIDICHE Nella membrana esistono anche determinate regioni ricche in sfingolipidi, colesterolo e proteine ancorate ai lipidi, che formano dei domini ordinati, denominate “zattere lipidiche” (lipid rafts) per il fatto che “nuotano in un mare di fosfolipidi”. 70 E è limitato dalla presenza di “palizzate” molecolari formate da proteine dello scheletro di membrana, ma può saltare nei compartimenti adiacenti grazie ad aperture transienti in queste palizzate. F è limitato da strutture extracellulari. Perciò l’ancoraggio reciproco di proteine di membrana e i legami con il citoscheletro possono limitare la mobilità. Spieghiamo bene cos’è il cortex cellulare prendendo in esempio quello del globulo rosso: è un complesso di proteine che ricopre la faccia citoplasmatica della membrana cellulare. È una regione periferica del citoplasma, a ridosso della membrana, e contribuisce a irrobustire la membrana e a dare ancoraggio alle proteine. DEFORMAZIONE DELLA MEMBRANA Le proteine possono anche deformare il doppio strato fosfolipidico, e la deformazione è importante per differenti processi biologici che avvengono a livello di membrana. La gemmazione di vescicole, il movimento e la divisione cellulare richiedono elaborate deformazioni transitorie della membrana. A. Alcune proteine inseriscono domini proteici idrofobici o ancore lipidiche in uno dei due foglietti di un doppio strato lipidico. L’aumento dell’area/di superficie di uno solo dei foglietti causa la curvatura della membrana. B. Alcune proteine che piegano le membrane formano impalcature rigide che deformano la membrana o stabilizzano membrane già curvate. C. Alcune proteine che piegano la membrana causano il raggruppamento di particolari lipidi di membrana con un grande gruppo di testa polare (es. i fosfoinositoli), inducendo in questo modo una curvatura positiva. Invece, le fosfolipasi che rimuovono i gruppi di testa dei lipidi producono molecole lipidiche con forma invertita che inducono una curvatura negativa. GLICOSILAZIONE Le proteine e i lipidi di membrana possono subire delle modificazioni come la glicosilazione. L’aggiunta di una catena laterale glucidica a una proteina attraverso un legame covalente è chiamata glicosilazione. 71 Nelle proteine, i carboidrati vengono attaccati alla porzione della proteina che non è esposta sul lato del citoplasma (cioè sulla porzione che da sul versante esterno, matrice extracellulare) creando: • Glicoproteine: Proteine di membrana a cui vengono attaccati degli oligosaccaridi. • Proteoglicani: Proteine di membrana con una o più catene polisaccaridiche. • Mentre tramite la glicosilazione dei lipidi si creano i glicolipidi. La componente glucidica delle membrane è presente esclusivamente nel versante esterno. Gli zuccheri, quindi, possono essere legati sia alle proteine (glicoproteine o proteoglicani) che ai lipidi (glicolipidi). I carboidrati di superficie hanno un ruolo importante nel riconoscimento tra cellule e nell’adesione cellulare. In alcuni tipi cellulari la componente glucidica delle proteine e dei lipidi è molto abbondante e forma uno spesso strato esterno, definito "Glicocalice" dai ricercatori che per la prima volta lo descrissero. I carboidrati più frequenti nelle glicoproteine sono il galattosio, il mannosio, l’N- acetilglucosammina e l’acido sialico. La glicosilazione può avvenire o su un atomo di azoto (glicosilazione legata a N) o ad un atomo di ossigeno (glicosilazione legata ad O). La composizione esatta dei carboidrati è specifica per i diversi tipi cellulari e può variare in funzione dello stadio di maturazione o in risposta a specifici segnali. IL GLICOCALICE Impedisce alle cellule del sangue di attaccarsi tra loro o alle pareti dei vasi. Importante nel riconoscimento cellula-cellula e nei fenomeni di adesione. Protegge la superficie cellulare da danni meccanici e chimici, e dal momento che assorbe acqua, rende scivolosa la superficie cellulare. I carboidrati presenti sulla superficie dei Neutrofili vengono riconosciuti dalle cellule endoteliali, nei siti di infezione, e il riconoscimento permette l’adesione alla parete e l’extravasazione. 72 RECAP Le proteine costituiscono circa il 50% della massa della membrana e svolgono la maggior parte delle attività di membrana. La funzione dei lipidi è di separare i compartimenti, fungono da struttura base e da barriera; quella delle proteine è di mettere in collegamento in maniera selettiva i due compartimenti. CAPITOLO 7 MODALITÀ DI TRASPORTO E PROPRIETÀ ELETTRICHE DELLE MEMBRANE Il movimento di piccoli soluti attraverso le membrane può avvenire mediante diverse modalità di trasporto. In base alla modalità di attraversamento del bilayer fosfolipidico si distinguono due categorie generali di trasporto: • Diffusione semplice • Trasporto mediato In base alla richiesta energetica del trasporto si distinguono inoltre altre due categorie generali di trasporto: • TRASPORTI PASSIVI: sono quei fenomeni di trasporto in cui la cellula non fornisce energia alle molecole che permeano, in quanto le molecole si muovono secondo il loro gradiente di concentrazione. I trasporti passivi sono spontanei ed equilibranti in quanto le molecole tendono a distribuirsi uniformemente nei due ambienti separati dalla membrana. • TRASPORTI ATTIVI: sono quei fenomeni di trasporto in cui l’organismo spende energia metabolica per far avvenire il passaggio, in quanto la sostanza si muove contro gradiente di 75 LA LEGGE DI FICK Descrive la velocità con cui si muove una molecola permeabile attraverso la membrana da un punto 1 ad un punto 2. La legge di Fick descrive la diffusione libera anche in ambienti non acquosi come lo spessore di una membrana biologica. Il coefficiente D di diffusione è importante perchè dipende per le membrane biologiche dalle dimensioni e lipofilia della molecola. La velocità di diffusione attraverso la membrana cellulare dipende da: • Solubilità nei lipidi • Dimensione molecolare • Spessore membrana (S) • Gradiente concentrazione • Area della membrana (A) • Composizione strato lipidico D= coefficiente di diffusione; A= area attraverso cui avviene la diffusione; Dc/Dx (D=Delta) = gradiente di concentrazione tra i punti a distanza D; J= velocità di diffusione per unità di tempo o flusso. DIFFUSIONE FACILITATA O TRASPORTO FACILITATO In questo tipo di trasporto non è richiesta energia metabolica ed è un trasporto mediato da proteine canale o proteine carrier. I soluti si muovono lungo un gradiente di potenziale elettrochimico (si basa su due componenti: il potenziale chimico ed elettrico). • Per molecole neutre: si parla di gradiente di concentrazione (gradiente chimico o forza chimica) • Per molecole cariche (ioni): si parla di gradiente elettrochimico, infatti, in questo caso oltre al gradiente di concentrazione (gradiente chimico) entra in gioco anche il gradiente elettrico o carica elettrica che è influenzato dalla carica (positiva o negativa) dello ione e dal potenziale di membrana (differenza di carica elettrica tra i due versanti del doppio strato fosfolipidico: negativo nel versante interno e positivo in quello esterno). gradiente elettrochimico (gradiente di concentrazione più potenziale di membrana) il gradiente elettrochimico è l’influenza combinata di una differenza nella concentrazione di uno ione ai due lati di una membrana e la differenza di carica elettrica attraverso la membrana (“potenziale di membrana”). Produce una forza motrice che provoca il movimento dello ione attraverso la membrana (se vi sono proteine idonee). 76 Gli ioni attraversano i canali di membrana spinti da una forza elettrochimica (gradiente elettro-chimico esistente ai capi della membrana) che determina la direzione del flusso ionico. EQUAZIONE DI NERNST E FLUSSO DEGLI IONI Il flusso di qualunque ione attraverso un canale di membrana è spinto dal gradiente elettrochimico per quello ione. Questo gradiente è la combinazione di due effetti: il gradiente di voltaggio e il gradiente di concentrazione dello ione attraverso la membrana. Quando questi due effetti si equilibrano il gradiente elettrochimico per lo ione è zero e non c’è flusso netto dello ione attraverso il canale. L’equazione di Nernst calcola il potenziale di equilibrio quindi quando le due forze sono bilanciate. TRASPORTO FACILITATO DA PROTEINE CANALE E CARRIER Le molecole idrofile e gli ioni non possono permeare attraverso il doppio strato fosfolipidico, ma adottano meccanismi di trasporto facilitato. Vengono utilizzate le proteine canale o le proteine carrier in questo tipo di trasporto passivo, le quali possono trasportare il soluto in due direzioni ed il movimento netto segue il gradiente di concentrazione del soluto. 77 In particolare, le proteine canale sono strutture capaci di legare una particolare molecola, o uno ione sufficientemente piccolo e dotato di carica adatta, per esempio dall’ambiente extracellulare, e di rilasciarla nel citoplasma. LE TRE CLASSI GENERALI DI SISTEMI DI TRASPORTO Alcune proteine di trasporto sono in grado di trasferire più di un composto contemporaneamente: 1. Uniporto 2. Simporto 3. Antiporto LE PROTEINE CANALE Il trasporto di soluti attraverso le proteine canale è un trasporto passivo (non è richiesta energia metabolica: consumo di ATP) e avviene secondo gradiente di concentrazione (da una zona a maggiore concentrazione a una a minor concentrazione) Le proteine-canale formano nella membrana dei «pori» attraverso i quali transitano a grande velocità gli ioni inorganici e le molecole d’acqua. Pertanto, il trasporto mediato da proteine canale avviene molto più velocemente rispetto a quello operato dalle proteine trasportatrici o carrier, le quali, invece, stabiliscono un vero e proprio legame con le particelle da trasportare. I canali in genere sono costituiti da più subunità transmembranarie (in genere da 4 a 6, disposte in cerchio a formare le pareti di un «poro idrofilo» attraverso il bilayer fosfolipidico). 80 GATING La maggior parte dei canali ionici ha la facoltà di passare, in risposta ad un segnale adeguato, da uno stato aperto, in cui è ammesso il passaggio degli ioni, ad uno stato chiuso, in cui gli ioni non possono transitare. In tal modo l’intensità di flusso può essere finemente regolata. Il modello più semplice che possa spiegare questa transizione di stato prevede la presenza di una «porta» o gate posizionata nella porzione del canale dove fluiscono gli ioni. 81 Il gate è costituito da una propaggine molecolare del canale capace di muoversi dal suo punto di attacco fino al resto della proteina, in modo da occludere o lasciare aperto il lume del canale. Si conoscono 5 categorie generali di «gated channels» distinte in base allo specifico meccanismo di gating: A) canali controllati dal voltaggio B) canali controllati dal ligando C) canali controllati dalla sollecitazione meccanica D) canali controllati dalla temperatura E) canali controllati dalla luce A) Canali Voltaggio-dipendenti Passano dallo stato chiuso allo stato aperto e viceversa in seguito a variazioni della differenza di potenziale elettrico a cavallo della membrana e alla variazione del potenziale elettrico di membrana corrisponde una variazione del campo elettrico all’interno della membrana. Si ritiene, quindi, che il gate di questi canali sia dotato di carica elettrica che risenta della forza (attrattiva o repulsiva) esercitata dalla variazione di campo elettrico all’interno della membrana. B) Canali chemio-dipendenti o ligando-dipendenti o operati da recettore (ROC) Passano dallo stato chiuso allo stato aperto in seguito al legame di particolari molecole «messaggere» (ligandi) ad uno specifico sito recettoriale del canale, sito che può trovarsi sul lato extracellulare o sul lato intracellulare. In seguito a questo legame, la struttura del canale subisce una serie di cambiamenti conformazionali che alla fine determinano il movimento del gate dalla posizione di chiusura a quella di apertura (o viceversa quando il ligando si stacca dal sito recettoriale). C) Canali meccano-sensibili I canali meccano-sensibili (o sensibili alle sollecitazioni meccaniche) sono generalmente dotati di una porta connessa ad una struttura citoscheletrica, che la apre, quando sopraggiunge una deformazione della superficie cellulare. Questi canali sono alla base di processi fisiologici quali la percezione della pressione sulla pelle (senso del tatto), delle vibrazioni dell’aria (senso dell’udito) e la propriocezione (es. la percezione dello stato di tensione muscolare). D) Canali sensibili a variazioni di temperatura Passano dallo stato chiuso a quello aperto in seguito a piccole variazioni di temperatura rispetto ad un valore di riferimento. Essi sono coinvolti nella percezione del caldo, del freddo e dei processi termoregolatori. Si ritiene che in questi canali siano presenti sequenze di diverse decine di amminoacidi che darebbero luogo a strutture che si muovono in corrispondenza di piccole variazioni di temperatura e il moto di tali strutture provocherebbe l’apertura o la chiusura del canale. • Canali ionici senza porta Tutte le cellule sono dotate di canali ionici che sono sprovvisti di porta, «non gated channels». 82 Tali canali si trovano sempre nello stato aperto. Essi conferiscono alla membrana una conduttività di base che è una componente fondamentale per la genesi del potenziale di membrana in tutte le cellule. Il flusso ionico, che passa attraverso i canali non-gated, è denominato leakage (perdita), perché tende a dissipare i gradienti ionici presenti a cavallo della membrana. Sono conosciuti vari tipi di canali di leakage: • canali del Na+ (detti anche epiteliali) • canali del K+ (detti anche 2P) • canali del Cl- • Canali del Ca2+ (presenti, ad esempio, sulla membrana del reticolo sarcoplasmatico). Le cellule presentano tutte una differenza di potenziale elettrico tra i due lati della membrana plasmatica, detta potenziale di membrana. In una cellula nervosa o in una cellula muscolare il potenziale di membrana è definito potenziale di riposo, poiché è soggetto a molte variazioni. Generalmente dal lato interno della membrana c’è un eccesso di cariche negative (potenziale di membrana ≈ -70 mV). Nelle cellule animali questa situazione è generata dal funzionamento dei canali “di fuga” (passivi) del potassio (K+ leak channels), che sono gli unici ad essere aperti anche nelle cellule a riposo (non stimolate elettricamente). Basta una piccola differenza nel numero di ioni in uno strato sottile vicino alla membrana per creare il potenziale di membrana. MODALITÀ DI TRASPORTO DELL’ACQUA attraverso la membrana In genere la membrana plasmatica che riveste tutte le cellule di un organismo è permeabile all’acqua per due ragioni: • l’acqua, essendo una molecola molto piccola, può passare tra molecole contigue di fosfolipidi per semplice diffusione • la membrana plasmatica di gran parte delle cellule contiene proteine che formano canali per l’acqua (le cosiddette acquaporine) che aumentano notevolmente la permeabilità all’acqua della membrana plasmatica stessa. LE ACQUAPORINE La presenza di canali idrici nella membrana plasmatica è stata per lungo tempo solo ipotizzata. Sono state scoperte nel 1992 dal premio Nobel Peter Agree. Le Aquaporine sono state identificate in tutti gli organismi viventi, mammiferi inclusi, nelle piante e nei batteri. Comprendono un’ampia famiglia di proteine transmembranarie. Nella specie umana si riconoscono 10 isoforme. Le acquaporine sono presenti in tutti gli organi, ma il numero maggiore di acquaporine si riscontrano nel rene. 85 L’OSMOSI La membrana cellulare, grazie alla presenza di acquaporine, presenta una permeabilità all’acqua molto maggiore rispetto a quella dei soluti; questa caratteristica consente di assimilarla ad una membrana semipermeabile. Il passaggio diffusivo di acqua secondo il suo gradiente di concentrazione attraverso una membrana semipermeabile (cioè una membrana permeabile al solvente, in questo caso l’acqua, ma non ai soluti) prende il nome di osmosi. L'osmosi è un processo fisico spontaneo, vale a dire non richiede l’apporto esterno di energia. Esso tende a diluire la soluzione più concentrata in soluti e a ridurre la differenza di concentrazione tra due soluzioni separate da una membrana semipermeabile. La forza che determina il flusso diffusionale dell’acqua riferita all’unità di superficie prende il nome di pressione osmotica. 1. Per definire la pressione osmotica, si consideri un sistema costituito da una soluzione e dal relativo solvente puro separati da una membrana perfettamente semipermeabile (ossia permeabile al solvente ma non al soluto). Un dispositivo di tale tipo è alla base della struttura di un osmometro (ossia il dispositivo utilizzato per misurare la pressione osmotica). 2. Si osserva un passaggio delle molecole d’acqua dal compartimento 1, dove le molecole d’acqua sono più concentrate, verso il compartimento 2, dove lo sono meno. In virtù della natura semipermeabile delle membrana non si osserva alcun passaggio di soluto. 3. La forza che spinge le molecole d’acqua a passare attraverso la membrana semipermeabile si traduce in un aumento del volume d’acqua e conseguentemente della pressione idrostatica all’interno del compartimento 2. Tale pressione aumenta fino ad equilibrare esattamente, a livello della membrana, la forza che spinge le molecole d’acqua ad attraversarla. 4. Il valore di pressione idrostatica necessaria per annullare la diffusione osmotica dell’acqua rappresenta una misura indiretta della pressione idrostatica stessa. L’osmolarità di una soluzione è definita in base al suo comportamento attraverso membrane semipermeabili perfette e attraverso la legge di Van’t Hoff. La tonicità di una soluzione è definita in base al suo comportamento attraverso membrane reali (come la membrana plasmatica, quindi parzialmente permeabili ai soluti). Una soluzione è isotonica, con una data cellula o un dato tessuto, se questi una volta immersi in essa non si restringono e non si rigonfiano. Se la cellula si rigonfia la soluzione è detta ipotonica (quindi acqua tende a passare osmoticamente dalla soluzione alla cellula), mentre, se la cellula si restringe, la soluzione è detta ipertonica (per cui acqua si muove osmoticamente dalla cellula verso l'esterno). 86 Quando la cellula è esposta ad uno stress ipotonico o ad uno stress ipertonico, essa subisce una variazione di volume in seguito al movimento osmotico di acqua attraverso la membrana plasmatica. • Essa attiva meccanismi di trasporto transmembrana che consentono specifici movimenti di acqua e soluti, permettendo di regolare il volume cellulare. Tali meccanismi di trasporto sono rappresentati da antiporti, scambiatori, co- trasportatori, canali per K+, Na+, H+, Cl-, HCO3 - e piccole molecole organiche (zuccheri, metilamine, aminoacidi). L’ENERGETICA DEL TRASPORTO MEDIATO DA CARRIER TRASPORTO FACILITATO DA PROTEINE CARRIER Sono proteine trasportatrici (carrier) di trasporto passivo, è però più lento, il processo, rispetto alle proteine canale. • Il trasporto facilitato avviene sempre secondo gradiente di concentrazione. È molto importante perché consente il trasporto attraverso la membrana delle molecole organiche più importanti e di interesse vitale (nutritive e metaboliche) che altrimenti non potrebbero attraversare la membrana con la velocità richiesta: • Trasporto passivo del glucosio • Trasporto passivo degli amminoacidi Es. trasporto passivo del glucosio Avviene mediante il trasportatore glucosio permeasi (famiglia dei trasportatori GLUT). I trasportatori GLUT sono una famiglia di proteine di membrana che consentono la diffusione facilitata del glucosio. Sono formati da 12 segmenti ad α-elica idrofobici disposti in cerchio. Esistono diverse isoforme dei trasportatori del glucosio, ciascuna con specifiche caratteristiche di cinetica, di distribuzione tissutale e di funzione. Si comportano con un modello flip-flop o ping-pong. 87 CARATTERISTICHE CINETICHE Specificità: Ogni trasporto mediato è affidato ad un sistema che opera solo per una particolare sostanza o per un gruppo di sostanze simili. Saturazione: L’intensità del flusso non aumenta in modo proporzionale al gradiente di concentrazione della sostanza trasportata (come nel caso della diffusione semplice secondo la legge di Fick) ma, al crescere del gradiente, tende asintoticamente ad un limite massimo. Competizione: Quando due sostanze simili utilizzano lo stesso sistema di trasporto, il trasporto dell’una tende a inibire il trasporto dell’altra. I trasporti mediati presentano una cinetica del tipo Michaelis-Menten. Infatti, l’entità del trasporto mediato da carrier dipende dalla velocità con cui ogni singolo trasportatore effettua il proprio ciclo di trasporto e dal numero di proteine trasportatrici presenti nella membrana cellulare. Il flusso di una sostanza mediato da carrier è descrivibile attraverso la seguente equazione, simile all’equazione di Michaelis e Menten: È l’equazione di un’iperbole rettangolare che tende ad un asintoto orizzontale all’aumentare della concentrazione di substrato. Quindi il trasporto tende alla saturazione quando tutti i trasportatori sono occupati dal substrato. In questo caso, pur aumentando ulteriormente la concentrazione del substrato il flusso non aumenta più. Jmax è il flusso unidirezionale massimo che si verifica quando tutte le molecole trasportatrici sono occupate dal substrato. Il valore di Jmax è correlato al numero di molecole trasportatrici presenti e alla frequenza del ciclo di trasporto di ogni singola proteina trasportatrice. Km, costante di affinità, è la concentrazione di sostanza da trasportare che produce un flusso semimassimale. Esso è correlato con l’affinità del trasportatore per il substrato: quanto più basso è il valore di Km tanto maggiore è l’affinità. in cui J è il flusso espresso come numero di molecole che passano nell’unità di tempo, Cs è la concentrazione della sostanza trasportata e Km è una costante corrispondente alla costante di Michaelis e Menten. Km, detta costante di affinità, rappresenta la concentrazione di substrato che dà luogo ad un flusso pari. 90 LE POMPE IONICHE: LE POMPE DI CLASSE P O P-ATPASI La famiglia delle P-ATPasi, il cui nome deriva dalla presenza di un sito (di solito l’acido aspartico) di fosforilazione (P); è costituita da proteine integrali di membrana formate da due subunità, α e β. Comprende la Na+-K+-ATPasi (pompa sodio-potassio), la H+/K+- ATPasi (idrogeno-potassio) e le Ca2+-ATPasi (calcio-ATPasi). Le P-ATPasi sono specializzate prevalentemente nel trasporto di ioni. Una subfamiglia di P-ATPasi, le cosiddette fosfolipide traslocasi, P-ATPasi, trasportano i fosfolipidi dal foglietto del bilayer fosfolipidico affacciato al lato extracellulare a quello affacciato al lato citoplasmatico, contribuendo a mantenere l’asimmetria dei due foglietti fosfolipidici (sono chiamate anche Flippasi). Durante il loro ciclo di attività le P-ATPasi passano attraverso due stati conformazionali: • E1 ed E2. Nella conformazione E1 i siti di legame sono esposti al lato citoplasmatico ed hanno elevata affinità per i substrati da trasportare dall’altro lato della membrana e bassa affinità per i substrati che sono già stati trasportati in senso opposto. Nella conformazione E2 gli stessi siti sono esposti all’altro lato della membrana ed hanno bassa affinità per i substrati che sono stati legati al lato intracellulare ed alta affinità per i substrati che dal lato extracellulare dovranno essere importati in cellula. La fosforilazione induce un cambiamento conformazionale. 91 NA+/K+-ATPASI La pompa Na+/K+ATPasi consiste di 2 subunità principali (a e b). La subunità a (composta da 1000 aa; PM 110 Kda) contiene i siti di legame per Na+, ATP e un sito di fosforilazione nel dominio citoplasmatico (solitamente l’acido aspartico); nel dominio extracellulare ha i siti di legame per il K+ e la ouabaina. La subunità b (composta da 300 aa) non manifesta attività enzimatica e di trasporto. La sua associazione con la subunità a è necessaria per l’attività della pompa in quanto stabilizza la subunità a all’interno della membrana È in grado di creare dei gradienti elettrochimici, di produrre quindi delle differenze di concentrazione di determinati ioni. La fosforilazione (ATP dona un gruppo fosfato) o l’idrolizzazione del sito fosforilato (viene idrolizzato il gruppo fosfato) produce un cambiamento conformazionale che induce la pompa ad aprirsi o chiudersi, rispettivamente a se abbia legato il sodio o il potassio. Prende il sodio all’interno della cellula e lo porta all’esterno, e contemporaneamente dall’esterno introduce il potassio. A causa di questa pompa troviamo maggior concentrazione di sodio all’esterno della cellula e maggior concentrazione di potassio all’interno della cellula. È considerato un trasporto antiporto, ed è elettrogenica perché porta all’esterno tre cariche positive (sodio) e ne importa due (potassio); crea differenza di potenziale, cioè un ambiente più positivo all’esterno che all’interno, si ritiene infatti che corrisponde al 40% dell’energia spesa complessivamente dall’interno organismo per sostenere le sue attività. 92 H+/K+-ATPASI E’ una pompa ATPasica molto simile alla Na+/K+- ATPasi, ma a differenza di quest’ultima, è elettroneutra, ossia estrude 2 ioni H+ e intrude 2 ioni K+. È il principale responsabile dell'acidità dello stomaco. Nello stomaco la H+/K+-ATPasi è presente nelle cellule ossintiche delle ghiandole gastriche della mucosa dello stomaco. SECREZIONE DI HCL NEL LUME DELLO STOMACO: Complessivamente, grazie all’attività funzionalmente accoppiata della pompa H+/K+ATPasi e del cotrasporto K+/Cl - viene secreto HCl nel lume dello stomaco. L’H+ secreto dalla pompa deriva dall’idratazione della CO2 metabolica, che, grazie all’attività catalitica dell’enzima anidrasi carbonica (CA), viene scissa in H+ e HCO3. L’HCO3 accumulato in cellula dall’idratazione della CO2 fuoriesce in scambio con il Cl (antiporto Cl- /HCO3- ) che può entrare in cellula attraverso la membrana basolaterale per fuoriuscire nel lume gastrico attraverso la membrana apicale. CA2+ ATPASI: PMCA E SERCA Le pompe per il Ca2+ sono molto efficaci nel generare elevatissimi gradienti di Ca2+: • Ca2+ intracellulare: 10-7 Mol/l • Ca2+ extracellulare 10-3 Mol/l PMCA: Calcio ATPasi della membrana plasmatica; espelle all’esterno della cellula il Ca2+ attraverso la membrana cellulare. SERCA: Calcio ATPasi del reticolo endoplasmatico; prende il Ca2+ nel reticolo endoplasmatico. Il Ca2+ è un potente secondo messaggero, fondamentale in una serie di processi come ad esempio la contrazione muscolare, la trasmissione sinaptica, l’adattamento allo stimolo dei recettori sensoriali. La sua bassissima concentrazione in cellula, viene mantenuta attraverso svariati meccanismi di cui le Ca2+ ATPasi sono uno dei principali, consente che anche piccole variazioni della concentrazione intracellulare di tale ione possano rappresentare potenti segnali per la cellula e l’attivazione di risposte biologiche. PMCA: Nella membrana cellulare di tutte le cellule (Plasma membrane Calcium ATPasi): 95 fosfolipidi dal foglietto citosolico a quello extracellulare nel doppio strato lipidico della membrana. TRASPORTO ATTIVO SECONDARIO Il trasporto attivo secondario consiste in quel trasporto di una o più molecole contro gradiente di concentrazione accoppiato al trasporto di una seconda sostanza che si muove secondo gradiente di concentrazione. Come tutti i trasporti mediati anche il trasporto attivo secondario segue una cinetica di saturazione. Le molecole cotrasportate possono andare nello stesso verso attraverso la membrana (simporto) oppure in verso opposto (antiporto). I più comuni sistemi di trasporto attivo secondario sono guidati dal gradiente di concentrazione del Na+, che è praticamente ubiquitario Esempi: cotrasporto Na+ e amminoacidi (consente alla cellula di accumulare amminoacidi) antiporto Na+ e Ca2+ (contribuisce al mantenimento dell’omeostasi intracellulare del Ca2+); COTRASPORTO NA+ E GLUCOSIO Nella membrana apicale dell’epitelio di intestino tenue e del tubulo contorto prossimale: questo trasporto è un esempio di trasporto attivo secondario in cui l’energia potenziale accumulata nel gradiente di concentrazione del sodio viene usata per spostare il glucosio contro il suo gradiente di concentrazione. Le proteine che operano questo alla famiglia SGLT trasporto appartengono (Sodiumdependent Glucose Transporters). Esse trasferiscono all’interno della cellula una molecola di glucosio accoppiata a due ioni Na+ che si muovono nello stesso verso. Il gradiente elettrochimico del Na+ (assicurato dalla pompa Na+/K+) fornisce l’energia per il simporto del glucosio. 96 ASSORBIMENTO DI GLUCOSIO A LIVELLO INTESTINALE: Il glucosio entra in cellula attraversando la membrana apicale attraverso cotrasporto Na+/glucosio (SGTL1). Attraverso lo stesso cotrasportatore può essere trasportato anche il galattosio (chimicamente molto simile al glucosio). I due monosaccaridi competono per lo stesso trasportatore. Il glucosio abbandona poi l’enterocita per raggiungere il lato serosale (la membrana serosale è quella a contatto con l’ambiente interno, la membrana luminale è a contatto con l'ambiente esterno, prendendo come esempio l’intestino) dell’epitelio attraverso il trasporto facilitato GLUT2 attraverso il quale possono passare anche altri monosaccaridi come galattosio e fruttosio. Il fruttosio, chimicamente differente da glucosio e galattosio, entra nella cellula per diffusione facilitata (nessuna spesa di energia) grazie al trasportatore GLUT5. 97 LE SINAPSI La presenza di pompe e canali crea una distribuzione di cariche tale da generare un potenziale elettrico di membrana pari a -70 mV (eccesso di cariche positive all’esterno e di cariche negative all’interno). In una cellula nervosa o in una cellula muscolare il potenziale di membrana è definito potenziale di riposo, poiché è soggetto a molte variazioni. Il ruolo dei neuroni è di ricevere e trasmettere i segnali; i segnali sono dei cambiamenti di potenziale elettrico di membrana. Le funzioni del sistema nervoso si basano, appunto, sull’attività di questi neuroni, che sostanzialmente consiste nel generare, trasmettere ed elaborare informazioni nervose che dipendono da modificazioni del potenziale di membrana (modificazioni che sono determinate dall’apertura o chiusura di determinati canali ionici). Ciascun neurone è formato da un corpo cellulare, detto pirenoforo o soma, da cui si dipartono uno o più processi citoplasmatici atti alla ricezione di impulsi, i dendriti, ed un prolungamento citoplasmatico deputato alla trasmissione di impulsi: l’assone (l’assone viene anche indicato con il termine di fibra). Il corpo cellulare del neurone ha una struttura simile a quelle delle altre cellule, dal momento che esso contiene un nucleo, l’apparato del Golgi, il reticolo endoplasmico e i mitocondri. Il corpo cellulare assolve la maggior parte delle funzioni svolte dalle altre cellule, come la sintesi proteica e il metabolismo cellulare. Perciò il neurone è caratterizzato dalla presenza di due tipi di prolungamenti, noti rispettivamente come dendriti e assone. I dendriti sono sottili e molto ramificati. Insieme al corpo cellulare, o dendriti fanno parte della zona ricevente del neurone.
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