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Appunti di Biologia cellulare, Appunti di Biologia Cellulare

Bioenergetica,metabolismo,mitocondrio Metabolismo Ossidazione e riduzione Glicolisi Ciclo di Krebs Matrice extracellulare Il citoscheletro Sistemi delle membrane citoplasmatiche DNA ed RNA Ipotesi di Watson e Crick Replicazione del DNA Trascrizione Genica Organizzazione strutturale del DNA Sintesi proteica o traduzione Controllo dell’espressione genica negli eucarioti Proliferazione cellulare Mitosi Meiosi

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 16/10/2023

alessia-scarpelli
alessia-scarpelli 🇮🇹

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Scarica Appunti di Biologia cellulare e più Appunti in PDF di Biologia Cellulare solo su Docsity! BIOENERGETICA, METABOLISMO E MITOCONDRIO Gli organismi viventi possono essere: - Anaerobici e cioè che catturano e utilizzano energia attraverso meccanismi metabolici indipendenti dall’ossigeno come la glicolisi e la fermentazione. - Aerobici cioè che possiedono vie metaboliche capaci di utilizzare ossigeno molecolare con grande vantaggio. Sono degli organismi cellulari più evoluti. L’utilizzo dell’ossigeno per estrarre energia ha luogo nel mitocondrio che è abbastanza grande da risultare visibile al microscopio ottico. Inoltre si possono fondere tra loro oppure dividersi in due. Se la fusione è più frequente della scissione, essi sono più allungati ed interconnessi. Se invece la scissione è predominante si ha la formazione di mitocondri più numerosi e distinti. I mitocondri: - Rappresentano i siti di sintesi di certi amminoacidi; - Catturano e rilasciano ioni calcio; - E sono coinvolti nella morte cellulare (apoptosi) che svolge un ruolo chiave nella vita degli organismi pluricellulari. Il mitocondrio è costituito da: - Una matrice che è un grosso spazio contenente una miscela altamente concentrata di centinaia di enzimi. - Una membrana interna ripiegata in numerose creste che aumentano di molto la sua superficie totale. Contiene le proteine che svolgono le reazioni di ossidazione della catena di trasporto degli elettroni, l’ATP sintasi e le proteine di trasporto che permettono il passaggio di metaboliti dentro e fuori la matrice. - Una membrana esterna che contiene una grossa proteina che forma canali ovvero la porina; - E uno spazio intermembrana che contiene parecchi enzimi che usano l’ATP, la quale passa fuori dalla matrice per fosforilare altri nucleotidi. Contiene due membrane: - Membrana mitocondriale esterna costituita per il 50% da lipidi ed enzimi coinvolti in varie funzioni e contiene la porina che forma ampi canali circondati da una palizzata di foglietti beta che permettono il passaggio di ATP, NAD e il coenzima A che hanno un ruolo chiave nel metabolismo energetico all’interno del mitocondrio. - Membrana mitocondriale interna è altamente impermeabile e tutte le molecole e gli ioni hanno bisogno di trasportatori specifici per entrare nella matrice. I mitocondri sono in continuo cambiamento di forma e posizione. METABOLISMO Il metabolismo comprende l’insieme delle reazioni biochimiche della cellula e riguarda una abbondanti in tessuti posti a stress dovuti a movimenti meccanici come il tessuto cardiaco. Le giunzioni strette si trovano solo in alcuni tessuti e siccome le cellule sono strettamente legate tra loro impediscono il passaggio di altre molecole e il rimescolamento delle proteine di membrana. Dal punto di vista molecolare, queste giunzioni sono fatte da proteine di membrana (claudina ed occludina) costituite da una doppia fila di particelle sferiche. Le giunzioni GAP sono giunzioni comunicanti e permettono il passaggio di ioni inorganici e piccole molecole solubili in acqua dal citoplasma di una cellula al citoplasma di un’altra. Questo passaggio avviene interrompendo il doppio strato lipidico. Le connessine sono proteine integrali di membrana che si uniscono tra di loro per formare una connessione. Un sistema di comunicazione sono i nanotubes tunneling che sono dei nano tubuli molto allungati che partono da una cellula e raggiungono quella vicina per trasportare materiali. IL CITOSCHELETRO Il microscopio a fluorescenza serve a visualizzare alcune componenti cellulari grazie alla colorazione dovuta utilizzando degli anticorpi fluorescenti che si legano ad una particolare proteina e siccome mettono una fluorescenza vedremo una colorazione che rappresenta la localizzazione di quella proteina. Il citoscheletro è una rete di filamenti e occupa il citoplasma cellulare. - Genera delle forze che sostengono la cellula; - organizza il contenuto della cellula e quindi direziona i vari organelli cellulari; - collega la cellula all’ambiente esterno; - sostiene la cellula durante i cambiamenti di forma e durante i piccoli movimenti che essa svolge. È una struttura dinamica che cambia rapidamente. Questi cambiamenti sono possibili perché tutte le componenti del citoscheletro sono costituite da piccole sub-unità proteiche che si legano tra di loro per formare dei polimeri che possono essere flessibili e inoltre possono accorciarsi e prendere un’altra posizione. Queste sub-unità sono capaci di autoassemblarsi tramite l’utilizzo di ATP. Le sub-unità possono legarsi mediante legami non covalenti e formare protofilamenti. Le componenti del citoscheletro sono: - I microfilamenti di actina che giocano un ruolo chiave nel determinare la forma della superficie cellulare e sono responsabili della motilità cellulare. (polimeri dell’actina) - I microtubuli che formano il fuso mitotico ovvero una struttura cellulare che si organizza durante la divisione cellulare(mitosi) e serve a trasportare e spostare i cromosomi prima della separazione delle due cellule figlie. Inoltre costituiscono delle strutture che servono a dirigere nella maniera corretta lo spostamento degli organelli cellulari. - I filamenti intermedi che hanno come funzione principale la forza meccanica e sono i più resistenti tra gli elementi del citoscheletro. Tutti questi elementi del citoscheletro sono associati a proteine accessorie che permettono l’organizzazione del citoscheletro e la corretta esecuzione delle loro funzioni. Tra queste proteine accessorie abbiamo: - I fattori di nucleazione che avviano la formazione di filamenti; - Le capping proteins che bloccano la crescita di un filamento; - Le polimerasi che attivano la crescita veloce dei filamenti; - I fattori reticolanti e le proteine stabilizzanti che creano le reti. I filamenti hanno una polarità: l’estremità + è quella di accrescimento e l’estremità – è quella di accorciamento. Questi filamenti non sono rigidi e sostengono le sporgenze della membrana, si organizzano secondo fasci allineati mentre le reti si organizzano durante il processo di fagocitosi che è il meccanismo dove la cellula ingloba e modifica la sua membrana. L’assemblaggio e il disassemblaggio dell’actina avvengono in presenza di ATP: per assemblare si consuma la molecola di ATP, per disassemblare si libera la molecola di ATP. La miosina funziona insieme all’actina ed è definita proteina motrice quindi converte energia chimica sotto forma di ATP in energia meccanica che viene usata per generare delle forze come le contrazioni muscolari. L’actina governa anche la motilità non muscolare quindi il movimento di una cellula su un sub-strato. La cellula si muove cambiando la sua forma, produce i lamellocodi che si attaccano in un punto e generano delle forze governate dall’actina. I microtubuli non sono filamenti, bensì dei cilindri cavi, costituiti da 13 protofilamenti e ciascuno di questi è un polimero di una proteina globulare che prende il nome di tubulina. La tubulina è un vimero costituito da due sub-unità, alpha e beta, che si legano ad altre sub- unità per formare un protofilamento il quale si affianca ad altri protofilamenti mediante legami non covalenti che andranno a delimitare il microtubulo. Anche in questo caso abbiamo un’estremità di crescita(+) dove si aggiungono sub-unità e un’estremità di accorciamento (-) dove si staccano le sub-unità. Il meccanismo di polimerizzazione prevede il consumo di energia sotto forma di GTP. Quindi, se il filamento si allunga si usa GTP, quando si accorcia si libera GTP (guanosina trifosfato:trasferisce energia). Le “proteine associate ai microtubuli” (MAP) aumentano la loro stabilità e ne promuovono l’assemblaggio. L’attività di queste proteine può essere regolata dalla fosforilazione. I microtubuli consentono la localizzazione degli organelli e conferiscono supporto strutturale. Durante la divisione cellulare, gli organelli duplicati devono essere ripartiti nelle cellule figlie e ciò è possibile attraverso un movimento orientato che avviene grazie a queste strutture microtubulari che funzionano come “autostrade” per il traffico intracellulare. Anche i microtubuli utilizzano proteine motrici che convertono l’energia chimica in energia meccanica. Queste proteine motrici prendono il nome di chinesine e dineine, si muovono lungo i microtubuli da un sito di legame al sito successivo. Man mano che queste proteine motrici si spostano subiscono una serie di modificazioni conformazionali che costituiscono proprio il ciclo meccanico. I microtubuli originano da una regione che prende il nome di centrosoma che è il sito di nucleazione dei microtubuli. I centrosomi sono caratterizzati dalla presenza di centrioli che sono dei cilindri orientati secondo un angolo retto tra di loro. Inoltre è presente una proteina che prende il nome di gamma-tubulina. I centrosomi sono importanti perché quando la cellula deve dividersi quest’ultimo si duplica e si sposta ai poli opposti della cellula e da lì originano le fibre del fuso mitotico. Alcuni farmaci bloccano la proliferazione cellulare perché agiscono sui microtubuli. Questi farmaci antimitotici sono la colchicina che si lega alla tubulina libera e inibisce la polimerizzazione e il taxolo che stabilizza i microtubuli del fuso mitotico quindi li blocca e non possono dividersi. I filamenti intermedi sono responsabili della forza meccanica e sono polimeri di proteine fibrose che si legano tra di loro mediante legami non covalenti per formare un dimero super accolto (coiled coil). Successivamente questi dimeri si accoppiano in maniera trasversale e sfalsata con altri dimeri e si formano dei tetrameri cioè 4 sub-unità che si legano testa-coda tra di loro. Dopo l’assemblaggio di queste piccole sub-unità si ottiene un filamento più spesso (10 nm) che ha la struttura di una corda. Nella sezione trasversale abbiamo 32 singoli avvolgimenti ad alfa elica. I filamenti intermedi resistono alle forze di trazione e si presentano in una grande varietà di tipi. I più importanti sono: - I filamenti di cheratina che sono abbondanti nelle cellule epiteliali; - I filamenti di vimentina che sono abbondanti nelle cellule muscolari e nei fibroblasti; - E i neurofilamenti che sono presenti nei neuroni. Nel citoplasma cellulare sono presenti il reticolo endoplasmatico e l’apparato di Golgi. Nel reticolo endoplasmatico si formano delle vescicole e dei sacchi che attraversano la zona apicale della cellula costituendo l’Apparato del Golgi. Dopo che le proteine vengono sintetizzate nel RE, da esso si andranno a staccare delle vescicole che andranno a confluire nel Golgi da cui si andranno a staccare altre vescicole che poi raggiungeranno la membrana cellulare o gli organelli come loro destinazione. Quindi il compartimento donatore accumula la sostanza in una piccola protuberanza che diventerà una vescicola, che a sua volta si andrà a staccare raggiungendo il compartimento accettore dove rilascerà il suo contenuto. Il movimento di queste vescicole può avere due direzioni: - Via biosintetica-secretoria: dove le proteine sintetizzate vengono modificate nell’apparato di Golgi raggiungendo varie destinazioni. - Via endocitica: dove una cellula ingloba una determinata particella attraverso la membrana e porterà la sostanza fino ai lisosomi. I lisosomi sono degli organelli citoplasmatici circondati da una membrana a doppio strato che sono caratterizzati all’interno da enzimi chiamati idrolasi acide che digeriscono le sostanze che devono essere eliminate o riutilizzate. Essi prendono parte ad un meccanismo che prende il nome di autofagia, attraverso il quale la cellula digerisce gli organelli non più funzionanti. Un mitocondrio invecchiato viene circondato da una membrana, si forma un intermedio che prende il nome di autofagosoma che a sua volta viene riversato nel lisosoma, quindi il mitocondrio viene digerito e le componenti possono essere riciclate. Il reticolo endoplasmatico può essere, inoltre, classificato in: - Reticolo endoplasmatico rugoso (RER) che presenta sulla superficie esterna dei ribosomi che sono molto importanti e responsabili della sintesi delle proteine che vengono caratterizzate da una sequenza di amminoacidi detta sequenza segnale, la Tutto il DNA prende il nome di genoma perché è costituito da geni che sono sequenze o caratteri di DNA che codificano per una proteina. Il DNA è una molecola molto lunga che deve essere contenuta in uno spazio ridotto ovvero il nucleo cellulare, infatti presenta numerosi ripiegamenti. I super avvolgimenti proteggono anche la molecola del DNA e sfavoriscono l’apertura della doppia elica che però in alcuni casi è necessaria. In alcuni momenti, il DNA deve essere super avvolto perché durante la replicazione cellulare deve essere ripartito nelle sue cellule figlie e quindi protetto da eventuali danni. In altri momenti invece è necessario che il DNA sia rilassato perché i singoli cromosomi devono duplicarsi. Quindi la molecola di DNA per duplicarsi deve essere copiata da una serie di enzimi che devono avere accesso alla molecola e devono trovarla distesa. Per evitare di avere ulteriori avvolgimenti durante la separazione dei filamenti, intervengono degli enzimi che prendono il nome di topoisomerasi che tagliano i filamenti di DNA, che successivamente verranno ricuciti per permettere la separazione dei due filamenti senza super avvolgimenti. Se poniamo una molecola di DNA in una soluzione salina e riscaldiamo la miscela assistiamo ad un fenomeno che prende il nome di denaturazione del DNA. La denaturazione avviene quando il DNA subisce delle modificazioni che consistono nella rottura dei legami a idrogeno tra i due filamenti che successivamente andranno a separarsi. Il punto di fusione corrisponde alla temperatura in cui il 50% delle molecole è sotto forma di doppia elica. La temperatura è influenzata dal numero di guanina e citosina che c’è in quel tratto di DNA. Se riportiamo la temperatura al suo stato iniziale il DNA va incontro a rinaturazione e quindi i filamenti andranno a riappaiarsi. Il genoma umano è caratterizzato da una quota di “spacchi” che si riappaiano subito, una quota che si appaia con una velocità intermedia e una quota che si appaia dopo molto tempo. Infatti il genoma umano è costituito da porzioni diverse. Frazioni altamente ripetitive: sono sequenze identiche di cui non si conoscono le parti. Frazioni moderatamente ripetitive: sequenze che hanno DNA senza funzioni codificanti. Porzioni non ripetitive: contengono sequenze di DNA in copia unica. REPLICAZIONE DEL DNA La proprietà fondamentale del DNA è quella di autoreplicarsi, cioè la cellula ha a disposizione una serie di componenti molecolari che permettono al dna di duplicarsi. Il dna della cellula eucariote è localizzato nei cromosomi e questo vuol dire che durante la duplicazione della cellula essi sono in grado di raddoppiarsi in modo che vengano ripartiti nelle cellule figlie, ognuna con il suo patrimonio genetico. Il fatto che la molecola del dna riesca a duplicarsi serve alla cellula per svolgere meccanismi di proliferazione. Per duplicarsi è necessario: - Che sia presente un filamento di dna stampo, quindi un filamento di dna che deve essere copiato tale e quale; - E che avvenga un processo di polimerizzazione. Il polimero è una molecola grande costituito da nucleotidi che devono essere uniti e per creare questa unione avviene la polimerizzazione, quindi la formazione di legami covalenti tra le varie sub unità. La replicazione del DNA è semiconservativa perché ad ogni ciclo di replicazione un filamento di dna parentale (della cellula madre) viene conservato e l’altro viene sintetizzato. Invece la replicazione conservativa consiste nell’avere ad ogni ciclo replicativo una molecola di dna completamente vecchia e una completamente nuova. Quando deve iniziare la replicazione, si deve formare un origine della stessa e quindi inizia in un punto specifico del cromosoma sul quale andranno a legarsi delle proteine specifiche che avviano il meccanismo. Nel cromosoma batterico si forma una sola origine di replicazione, dove le proteine determinano la separazione dei filamenti, quindi si forma una specie di “occhiello” che va ad ingrandirsi e permetterà l’accesso agli enzimi che devono formare il nuovo filamento. La situazione è analoga nella cellula eucariote, però in essa ci sono più cromosomi da replicare e il dna è molto più lungo rispetto a quello di una cellula batterica, per cui quello che si verifica è la formazione di più origini di replicazione e il meccanismo avverrà in più punti contemporaneamente in modo che esso possa avvenire in tempi brevi. L’origine della replicazione comporta la rottura dei legami a idrogeno che ci sono tra i filamenti di dna appaiati. La struttura ad y che si forma quando i filamenti si separano prende il nome di forcella di replicazione del dna. La separazione dei due filamenti comporta un superavvolgimento a monte. Quindi si creano delle tensioni nella molecola di dna e delle eventuali rotture dei filamenti che bisogna assolutamente evitare per preservare l’integrità di questa molecola. Per evitare le rotture dei filamenti intervengono degli enzimi che eliminano i superavvolgimenti attraverso una momentanea rottura dei filamenti che poi vengono ricuciti. Questi enzimi si chiamano dna girasi. Per avviare la replicazione è necessario che ci siano i desossinucleotidi trifosfato. La polimerizzazione è svolta da un enzima che si chiama dna polimerasi che catalizza il legame chimico tra i nucleotidi correttamente appaiati. Questo enzima ha delle caratteristiche: - Sintetizza solo filamenti in direzione 5’-3’ (carbonio 5 in alto, carbonio 3 in basso); - Può solo allungare una catena preesistente, e cioè che non può iniziare una sintesi dal primo nucleotide, infatti deve funzionare in presenza di un innesco preformato, quindi di un primer che è un piccolo tratto di rna sintetizzato da altri enzimi per permettere l’attacco della dna polimerasi e quindi l’allungamento della catena. Se la sintesi avviene in direzione 3’-5’ prende il nome di replicazione semidiscontinua cioè che da un lato la replicazione avviene formando un unico filamento invece dall’altro i filamenti vengono sintetizzati in piccoli tratti. Anche in questo caso è presente un innesco preformato che viene digerito e i vari frammenti vengono ricuciti da un enzima che prende il nome di dna ligasi. Un altro enzima importante che partecipa alle reazioni prende il nome di: - Elicasi che rompe i doppi legami tra i filamenti che devono essere replicati. Come avviene la replicazione? 1- una proteina iniziatrice si lega all’origine della replicazione; 2- la dna elicasi separa i filamenti e forma la porta di replicazione; 3- poi intervengono le dna primasi che sintetizzano i tratti di rna primer che funzionano da innesco per la dna polimerasi; 4- Successivamente intervengono le proteine che stabilizzano la struttura poichè i filamenti non si devono riappaiare; 5- la dna polimerasi inizia a polimerizzare, da un lato velocemente e dall’altro in maniera più ritardata, formando i frammenti di Okazaki; 6- Man mano che si creano i filamenti devono essere ricuciti grazie al dna ligasi. La dna polimerasi è un enzima che oltre a formare l’unione dei nucleotidi deve controllare che gli appaiamenti siano corretti. Se il dna contiene degli errori, le generazioni future erediteranno un dna alterato. Questa accuratezza è garantita dalla capacità del dna polimerasi di correggere eventuali errori di replicazione. Questa capacità di correzione è dovuta dal fatto che la dna polimerasi ha un attività esonucleasica cioè in grado di tagliare il legame appena formato appaiando un nucleotide in maniera errata. In seguito all’appaiamento corretto, la dna polimerasi si attiva e quindi ciò porta all’incorporazione del nucleotide nel dna neo sintetizzato. Se per sbaglio la dna polimerasi ha attaccato un nucleotide sbagliato, è in grado di tornare indietro, rompere il legame appena formato e sostituire una base corretta al posto di quella sbagliata. Questa attività è detta riparazione di dna. (attività di riparazione delle bozze o proof reading) La TRASCRIZIONE GENICA porta alla sintesi di rna. L’rna messaggero è un acido nucleico costituito da ribonucleotidi composti da zucchero ribosio che lega un gruppo fosfato e una base azotata. Le basi azotate nel caso dell’rna sono la citosina, la adenina, l’uracile e la guanina. Questi ribonucleotidi sono legati tra di loro per creare un filamento attraverso un legame estere che si forma tra l’OH del carbonio 3 di un nucleotide e il gruppo fosfato del carbonio 5 di un altro nucleotide. Si formano questi legami covalenti che prendono il nome di legami fosfodiestere. Per questo motivo anche la molecola dell’rna ha un orientamento: se il carbonio 5 che contiene il gruppo fosfato si trova in alto e il carbonio 3 con il gruppo OH si trova in basso, la molecola avrà orientamento 5’-3’. Con la trascrizione succede che da una sequenza di dna viene copiato un filamento di rna. L’RNA è una molecola di trasferimento, infatti trasferisce l’informazione genetica dal nucleo al citoplasma cellulare. L’RNA deve andare nel citoplasma perché si deve legare ai ribosomi dove avviene la sintesi delle proteine. La relazione tra il DNA, l’RNA e le proteine prende il nome di flusso dell’informazione genetica. Il tratto di dna che codifica una proteina prende il nome di gene. Alcuni studiosi hanno dimostrato che i geni sono costituiti da dna ereditario. I geni sono localizzati sui cromosomi e hanno delle posizioni ben precise. Inoltre corrispondono ai caratteri di Mendel. Nella cellula ci sono vari tipi di rna: - Rna transfer che funziona da adattatore durante la sintesi delle proteine; - Rna ribosomiale che costituisce i ribosomi quindi degli organelli costituiti da rna e proteina che servono alla sintesi delle stesse. Mentre l’rna messaggero è quello più importante ed ha una struttura lineare, gli rna ribosomiali e gli rna transfer hanno delle strutture secondarie e terziarie molto complesse, quindi hanno numerosi ripiegamenti che garantiscono la funzione di queste molecole. DITO SINTESI PROTEICA O TRADUZIONE Sono quei meccanismi molecolari che servono alla sintesi di una proteina a partire dalla sequenza di RNA. Ad ogni 3 nucleotidi(codon) presenti sull’RNA messaggero corrisponde un amminoacido. Ogni amminoacido è specificato da più di una tripletta e questa caratteristica si definisce degenerazione del codice. Il codice genetico è un sistema che ci permette di leggere il messaggio contenuto nell’RNA messaggero ed è degenerato perché esiste più di un codon per ciascun amminoacido. Gli amminoacidi simili dal punto di vista chimico tendono ad essere specificati da codoni simili, in modo tale che se ci dovesse essere un errore verrebbe inserito un amminoacido con proprietà simili e non porterebbe ad eventuali problemi. Il cambio di linguaggio, cioè da una sequenza in nucleotidi ad una sequenza in amminoacidi, avviene grazie all’intervento di una molecola adattatrice, ovvero l’RNA transfer che serve da adattatore tra gli enzimi e i codoni che sono presenti sull’RNA messaggero. Gli RNA transfer: - Sono specifici per ogni amminoacido; - Hanno una forma tipica a trifoglio dovuta al fatto che alcuni tratti dell’RNA si appaiano; - Alcune regioni formano delle anse, e tra queste c’è quella che contiene l’anticodone che è complementare al codone presente sull’RNA messaggero. - Hanno una lunghezza di 70-90 nucleotidi; - L’estremità che legherà l’amminoacido specifico (3’) contiene sempre una sequenza CCA. Gli RNA transfer si legano all’amminoacido specifico grazie all’azione di un enzima che si chiama amminoacil-tRNA-sintetasi.Questa reazione avviene grazie all’impiego di energia sotto forma di ATP. L’RNA transfer e il suo amminoacido incorporato insieme all’anticodone, si va ad appaiare con il codone complementare che si trova sull’RNA messaggero. Quando i ribosomi si troveranno vicini all’RNA transfer con l’amminoacido caricato si formerà un legame chimico covalente, cioè un legame peptidico, quindi gli amminoacidi si andranno ad unire secondo le indicazioni della sequenza presente sull’RNA messaggero, andando a formare la proteina corrispondente. I ribosomi sono costituiti da: - un associazione di RNA ribosomiale e proteine; - una sub-unità maggiore che contiene gli enzimi che catalizzano la formazione del legame peptidico; - una sub-unità minore che lega l’RNA messaggero e riconosce l’RNA transfer specifico; Sui ribosomi ci sono quattro siti di legame: - uno sulla sub-unità minore che riconosce l’RNA messaggero; - il sito A che trattiene l’RNA transfer con l’amminoacido specifico; - il sito P che trattiene la catena polipeptidica in crescita; - il sito E di eliminazione. L’RNA messaggero ha una notevole importanza nel meccanismo perché si deve posizionare bene per essere letto in maniera corretta. Esistono altre sequenze presenti negli mRNA e cioè le sequenze non tradotte, che non fanno parte della proteina ma aiutano a direzionare l’RNA messaggero nella posizione giusta. Le fasi della traduzione sono 3: - inizio; - allungamento; - terminazione. Nella fase di inizio vanno ad assemblarsi la sub-unità minore del ribosoma, alcuni fattori che cooperano al meccanismo e l’RNA transfer iniziatore che porta la metionina e a loro volta devono unirsi con l’RNA messaggero. Per fare iniziare la traduzione bisogna passare alla fase di allungamento, dove può arrivare un nuovo RNA transfer in base al codone successivo all’AUG. Successivamente si andrà a formare il legame peptidico tra i due amminoacidi grazie all’enzima peptidil transferasi. Una volta formato questo legame si ha la fase di traslocazione(terminazione) e cioè quando la sub-unità maggiore si muove di più rispetto alla sub-unità minore in modo da rendere vuoto il sito A che può ospitare un nuovo RNA transfer con il suo amminoacido specifico. Quando si verifica questa traslocazione, il sito E viene occupato da un RNA transfer privo di amminoacido. Tutto il processo continua fino a quando sulla sequenza dell’RNA messaggero non si incontra un codone di STOP (UAA; UAG;UGA) che non viene riconosciuto da nessun RNA transfer e la traduzione si interrompe. Successivamente intervengono dei fattori di rilascio che determinano il disassemblaggio di tutto il macchinario e quindi: - il ribosoma si separa nelle due sub-unità; - l’RNA messaggero, l’RNA transfer e la proteina neo sintetizzata vengono liberati. Le proteine possono essere sintetizzate anche contemporaneamente su più ribosomi attaccati tra di loro che prendono il nome di poliribosomi. Le proteine, una volta sintetizzate, devono subire delle modificazioni che comportano la formazione di una struttura secondaria o terziaria corretta in modo che le proteine possano svolgere le loro funzioni. Tra queste modificazioni che chiamiamo post-traduzionali abbiamo: - la formazione di legami o ponti disolfuro; - la glicosilazione; - costitutivi che codificano per le proteine fondamentali alla vita della cellula, e sono sempre attivi, trascritti e tradotti; - differenziativi che sono espressi in determinati periodi della vita cellulare e caratterizzano un tipo cellulare rispetto a un altro. Questa differenza tra un tipo cellulare e un altro si manifesta già dalla formazione dello zigote. Questo passaggio di differenziazione comporta il silenziamento di alcuni geni e l’attivazione di altri. I livelli di controllo dell’espressione genica sono numerosi: - controllo trascrizionale che avviene a livello della trascrizione, quindi il DNA viene trascritto in RNA; - un controllo nel processamento dell’RNA, quando deve diventare maturo; - un controllo nel trasporto dell’RNA; - un controllo nella traduzione, quindi nella sintesi delle proteine; - un controllo a livello post-traduzionale, quindi va a bloccare la maturazione della proteina; Il controllo trascrizionale è quello dove la cellula regola l’efficienza di trascrizione di un determinato gene. La regolazione della trascrizione avviene regolando l’accesso al promotore da parte dell’RNA polimerasi II. Il promotore è quella sequenza regolatrice che si trova a monte del gene e lega l’RNA polimerasi II. Se impediamo l’accesso dell’RNA polimerasi a livello del promotore: - possiamo inibire la trascrizione e quindi inibire la quantità di RNA che stiamo producendo; - possiamo agevolare l’attacco dell’RNA polimerasi al promotore e quindi agevolare l’efficienza di trascrizione. Tutto ciò avviene perché la cromatina può essere più o meno condensata. Se la cromatina è molto condensata, l’RNA polimerasi non può legare il promotore, quindi l’efficienza di trascrizione è molto ridotta. Se invece la cromatina è distesa, l’RNA polimerasi si può attaccare al promotore e quel gene verrà trascritto. Altri fattori che influiscono nell’efficienza di trascrizione sono i cosiddetti fattori di trascrizione che agevolano la reazione enzimatica indotta dall’RNA polimerasi. Questi fattori di trascrizione: - modulano l’inizio dell’efficienza di trascrizione perché le proteine hanno delle porzioni che riconoscono le sequenze del DNA; - si legano alla polimerasi; - oppure si legano ad altre proteine. Sono quindi delle componenti che influenzano la trascrizione. Le porzioni delle proteine che possono legare il DNA sono: - proteina elica giro elica; - proteine a vita di zinco; - proteine a cerniera lampo di leucina. Queste proteine hanno delle strutture chimiche caratteristiche che permettono di avvicinare la doppia elica e di entrare nella struttura del DNA. Le proteine a vita di zinco riescono ad entrare nella doppia elica ed alterare la struttura molecolare determinando una conformazione tale da agevolare l’attacco dell’RNA polimerasi II. Il promotore è quella regione a monte del gene che da un lato lega l’RNA polimerasi II, dall’altro lega il sito di inizio della trascrizione e contiene quelle sequenze regolatrici che influenzano l’efficienza di trascrizione. Inoltre può contenere fattori che inibiscono la trascrizione e prendono il nome di repressori della trascrizione. Gli attivatori migliorano l’efficienza di trascrizione da parte dell’RNA polimerasi. Questi siti di regolazione possono essere molto lontani dall’inizio della trascrizione e si determinano dei ripiegamenti del DNA che avvicinano gli attivatori o gli inibitori all’RNA polimerasi. PROLIFERAZIONE CELLULARE Riguarda quei meccanismi che la cellula utilizza per generare nuove cellule. Quando una cellula si divide per mitosi si divide in due e ripartisce i cromosomi duplicati nelle due cellule figlie. È chiaro che per ripartire i cromosomi duplicati nelle cellule figlie, deve aver già duplicato il suo DNA. Oltre alla mitosi c’è una fase preparatoria chiamata ciclo cellulare che è caratterizzata dalle fasi di duplicazione del DNA. Le cellule del nostro organismo si dividono in modi diversi: - Cellule che si dividono molto frequentemente e rapidamente, quindi in maniera continua; - Altre che si dividono saltuariamente, in base a determinati stimoli; - E altre che hanno perso la capacità di proliferare. Le cellule altamente specializzate, come le cellule del sistema nervoso, quindi i neuroni, non si dividono perché sono altamente differenziate, sono cellule che siccome devono svolgere determinate funzioni, quindi devono trasmettere l’impulso nervoso, perdono la capacità di proliferare quindi se si verifica un danno esso è permanente, le cellule danneggiate muoiono e quella parte di cervello perde la sua funzione. Le cellule che normalmente non si dividono ma che possono essere indotte a dividersi attraverso appropriati stimoli sono le cellule del tessuto epatico (fegato). Le cellule che hanno un’elevata attività mitotica, si dividono di continuo e sono le cellule staminali che si dividono in maniera asimmetrica e quando una cellula staminale si divide, le due cellule figlie avranno destinazioni diverse, una darà origine ad altre cellule staminali, l’altra invece potrà differenziarsi, e cioè se una cellula staminale è presente nel tessuto nervoso darà vita ai neuroni, se saranno presenti nel tessuto ematopoietico daranno vita a globuli rossi. Questo succede perché ogni tessuto ha una riserva di cellule staminali che possono dare origine a nuove cellule. Le fasi del ciclo cellulare sono 4: - fase G1; - fase S; - fase G2; - fase M. (fase N della mitosi) Una cellula che si è appena divisa e ha appena completato la mitosi entrerà in una fase successiva che prende il nome di fase G1. Durante la fase G1 le cellule si organizzano per duplicare il proprio DNA nella fase S del ciclo cellulare. Una volta completata la fase S, la cellula va incontro ad una fase di riposo che prende il nome di fase G2 ed è preparatoria alla fase M. Intanto una cellula può dividersi solo se ci sono delle condizioni ottimali. Per esempio, una di queste condizioni ottimali è la presenza dei fattori di crescita che inducono la progressione del ciclo cellulare. In assenza di fattori di crescita, le cellule entrano in una fase di quiescenza che prende il nome di fase G0. Se le cellule sono in fase G0 è come se fossero in una fase di riposo e non possono proliferare. La fase G0 rappresenta l’assenza completa dei processi preparatori alla fase M. In generale, la durata di un ciclo cellulare medio è di 24 ore. Le fasi G1, S e G2 costituiscono la cosiddetta interfase e cioè precedono la fase M. Durante la interfase, il DNA cellulare è despiralizzato per permettere la duplicazione del DNA, quando termina la fase G2 i cromosomi si raggomitolano e diventano più evidenti. Dopo la fase S abbiamo un’altra fase di intervallo (quiescenza) che prende il nome di fase G2 o gap2, anch’essa è preparatoria della fase mitotica e anche di controllo perché la fase S deve essere avvenuta in maniera corretta, e quindi il DNA deve essere stato completamente e correttamente ripiegato. Se il DNA non è stato ripiegato correttamente, le cellule figlie erediteranno un patrimonio genetico alterato. Dopo queste fasi c’è la fase di mitosi che è fatta a sua volta da una serie di eventi che si suddividono in: - profase - prometafase - metafase - anafase - telofase - divisione (citodieresi o citocinesi) La citocinesi è quella fase di divisione della cellula madre e delle cellule figlie che avranno il proprio patrimonio genetico completo. Alcuni studi hanno dimostrato che esistono delle componenti molecolari a livello citoplasmatico che stabiliscono la successione degli eventi. Queste componenti molecolari sono costituite da una chinasi che si associa ad una proteina regolatrice che prende il nome di ciclina. Le chinasi hanno funzione fosforilativa, cioè attaccano gruppi fosfato ad altri sub-strati per indurre delle modificazioni che possono renderli più o meno attivi. Il primo fattore che è stato individuato è il fattore MPF costituito da due componenti: - Metafase; - Anafase; - Telofase - Prometafase Ogni fase di questa ha delle caratteristiche specifiche. Nella profase avviene la formazione dei cromosomi mitotici. Se una cellula entra in mitosi, i cromosomi sono più evidenti e costituiti da due cromatidi fratelli, perché sono duplicati e collegati ad una porzione detta centromero. La proteina responsabile della condensazione della cromatina è detta condensina. Questa si lega al DNA, ne causa il ripiegamento e risulta più compattato. I singoli cromatidi sono separati ma affiancati tra di loro attraverso l’azione di proteine che li mantengono uniti e che prendono il nome di coesine. Man mano questa coesina si dissolve e i cromatidi fratelli possono distanziarsi fra di loro. Il cromosoma mitotico è caratterizzato da una rientranza che è presente nel centromero dove si trovano delle sequenze di DNA altamente ripetuto che legano specifiche proteine. La maggior parte delle proteine si assemblano su un’altra regione che prende il nome di cinetocore che serve per agganciare i microtubuli del fuso mitotico. I cromosomi durante la mitosi si devono spostare verso i poli della cellula per essere poi rilasciati alle cellule figlie. Questo movimento è possibile grazie all’azione del fuso mitotico che è una struttura del citoscheletro cellulare. Il fuso mitotico è costituito da due porzioni poste ai poli opposti che contengono i due centrioli e da centrosomi da cui partono le fibre del fuso. Queste fibre vanno a terminare nella regione del centromero di ogni cromosoma. Man mano che vanno avanti le fasi del ciclo cellulare, le fibre si allungano o si accorciano e determinano lo spostamento dei singoli cromosomi. Una volta che il fuso mitotico si è assemblato correttamente, i singoli cromosomi agganciati dalle fibre del fuso si devono orientare nel piano equatoriale della cellula e costituire la cosiddetta piastra metafasica. Dopodiché, queste fibre del fuso mitotico inizieranno ad accorciarsi e determineranno lo spostamento dei singoli cromatidi ai poli opposti della cellula. Nella telofase, i cromatidi saranno tutti localizzati. Nella citocinesi invece si formerà un setto di separazione che porterà alla formazione definitiva delle due cellule figlie che avranno un corredo cromosomico diploide e perfettamente identico a quello della cellula madre. La meiosi ha una caratteristica fondamentale e cioè che il patrimonio genetico si duplica solo una volta mentre le fasi di successione saranno due, per cui si otterranno alla fine 4 cellule figlie con un corredo cromosomico aploide, quindi dimezzato. Il corredo cromosomico che hanno subito meiosi è N. Invece il corredo che ha subito la mitosi è NN. Un’altra importante differenza tra mitosi e meiosi è la ricombinazione genetica che avviene nella meiosi e non nella mitosi. Questa ricombinazione è anche detta crossing over ed è lo scambio di porzioni di DNA tra cromosomi omologhi che determina la formazione di cromatidi ricombinanti alla base della variabilità genica. METODI CHE SI UTILIZZANO IN LABORATORIO PER STUDIARE LA PROLIFERAZIONE CELLULARE Si utilizzano dei sistemi che si chiamano in vitro. Ci sono dei vari tipi di colture cellulari, come le colture aderenti. Quindi abbiamo dei supporti rotondi di plastica sui quali vengono seminate le cellule che dobbiamo trattare, la semina avviene sotto le cappe sterili che sono degli ambienti ben definiti in cui c’è un flusso d’aria che passa attraverso dei filtri. Quindi questo ambiente viene continuamente privato da eventuali agenti che potranno contaminare la nostra coltura cellulare. Per eseguire dei corretti test sperimentali bisogna avere delle colture prive di contaminazioni perché altrimenti, se abbiamo degli effetti sui nostri sistemi, non sapremo se sono dovuti dalla contaminazione o dal trattamento effettuato. Questi dischi di plastica, su cui seminiamo le cellule in presenza di un mezzo di coltura che è una componente fluida nella quale sono presenti una serie di componenti che permettono alle cellule di sopravvivere in quelle condizioni, hanno dei nutrienti come amminoacidi o fattori di crescita presenti nel siero che sono responsabili dell’induzione della proliferazione e inoltre possono essere aggiunte delle sostanze che dobbiamo testare. Supponiamo che abbiamo una determinata sostanza x e vogliamo sapere se ha un effetto sulla proliferazione cellulare. Questa sostanza potrebbe non avere effetto sulla proliferazione o indurre, stimolare le cellule a proliferare oppure inibire la proliferazione delle stesse cellule rispetto ad una situazione di controllo di cellula non trattata. Quindi abbiamo: - una condizione basale in cui noi non aggiungiamo nessuna sostanza da testare, se non quelle che garantiscono la corretta proliferazione cellulare; - e poi abbiamo una condizione di trattamento in cui noi al mezzo di coltura aggiungiamo una sostanza da testare ad una determinata concentrazione oppure possiamo testare più concentrazioni diverse, ad esempio concentrazioni man mano crescenti. Ovviamente noi dobbiamo sottoporre il trattamento per un determinato arco di tempo quindi dovremmo individuare un tempo sotto il quale vogliamo indurre le cellule al trattamento. Il tempo attraverso il quale effettuiamo l’esperimento deve essere relativo alla lunghezza del ciclo cellulare delle cellule che stiamo trattando. Se le cellule proliferano ogni 24 ore, e cioè che ogni 24 ore da una cellula ne otteniamo due, ci aspetteremo che partendo da un numero x di cellule, dopo 24 ore avremo un numero di cellule raddoppiato, per cui conoscendo il tempo di replicazione delle nostre cellule possiamo stabilire il tempo di trattamento. Dopo 24 ore andiamo ad esaminare al microscopio la situazione in cui ci troviamo e osserveremo la piastra contenente le cellule non trattate e sicuramente se le condizioni sperimentali erano ottimali dovremmo trovare un numero maggiore di cellule rispetto a quelle piastrate inizialmente. Successivamente andremo ad osservare al microscopio anche le cellule trattate e dovremmo trovarci in condizioni diverse, già ad occhio dovremmo trovare una riduzione drastica delle cellule, poi anche un cambiamento morfologico dell’aspetto delle nostre cellule e potrebbero apparire danneggiate oppure trovare delle caratteristiche tipiche dell’apoptosi cellulare, quindi un raggrinzimento della membrana cellulare, la formazione di alterazioni della membrana, per cui potremmo già cominciare ad intuire che il trattamento effettuato potrebbe essere stato tossico per il sistema e avrebbe indotto una morte cellulare. Oppure potremmo trovarci in una situazione diversa, e osservare che le cellule non sono morte o danneggiate, non hanno subito un alterazione morfologica, bensì le cellule hanno soltanto avuto problemi a proliferare. Quindi se le cellule trattate non si sono raddoppiate e sono rimaste le stesse di quelle piastrate, può essere che la sostanza utilizzata ha inibito la proliferazione cellulare e cioè ha creato delle alterazioni a livello molecolare del nostro modello per cui le cellule non possono proliferare correttamente e questa è una seconda condizione in cui ci potremmo trovare. Un terzo caso è che la nostra sostanza non ha creato danni alle cellule, bensì abbiamo trovato un numero maggiore rispetto a quando sono state piastrate e ciò vorrebbe dire che la sostanza utilizzata ha indotto la proliferazione cellulare rispetto alla condizione basale. Dopo questa valutazione qualitativa ci sono dei sistemi quantitativi che ci permettono di valutare precisamente il numero di cellule nelle varie condizioni sperimentali. Questo tipo di valutazione si chiama curva di proliferazione cellulare e cioè andiamo a contare numericamente non tutte le cellule ma un’aliquota miscelata di tutte le nostre cellule per cui poi fare dei calcoli attraverso delle formule ben definite per poi avere una valutazione quantitativa delle cellule nelle varie condizioni sperimentali. Prima di tutto si deve sapere il numero di cellule che abbiamo piastrato al tempo 0, quindi per fare questo tipo di valutazione, sospendiamo le cellule e le separiamo utilizzando una soluzione enzimatica per cui le cellule non sono più attaccate tra di loro, quindi le andiamo a riunire e le risospendiamo in un colorante che colora specificamente le cellule vive e dopodiché, attraverso il microscopio e attraverso un sistema che prende il nome di camera di Burker, eseguiamo una conta cellulare e cioè andremo ad inserire nello strumento una goccia della nostra soluzione e le andiamo ad osservare al microscopio. Lo stesso tipo di procedimento va utilizzato sia per la cognizione di partenza, sia per valutare il numero di cellule ottenuto in condizioni basali, cioè non trattate dopo 24 ore, sia il numero di cellule ottenuto dopo 24 ore di trattamento. Per cui, se in una condizione basale, dopo aver valutato numericamente la quantità di cellule, abbiamo seminato 100 cellule, dopo 24 ore troviamo un numero di 210 cellule, possiamo dire che il sistema utilizzato è andato bene. Dopodiché andiamo a fare la stessa valutazione numerica sulle cellule trattate, quindi se troviamo un numero di cellule uguali a 200, vuol dire che la sostanza non ha avuto effetto rispetto alle condizioni basali. Se invece, dovessimo trovare un valore uguale a 100 potremo dire che il trattamento ha inibito la proliferazione cellulare. Se dovessimo avere una situazione diversa, potremmo trovare addirittura 20 cellule e quindi ben 80 cellule potrebbero essere morte per apoptosi e quindi potremmo dire che la nostra sostanza è molto tossica. Questi sono studi di base che hanno bisogno di ulteriori conferme però indirizzano la ricerca verso la scelta delle sostanze che devono essere utilizzate. Un ultimo caso che potremmo trovare è che la sostanza incrementa la proliferazione cellulare, e quindi dopo il trattamento anziché trovare 200 cellule ne troveremo 300 e quindi in quel caso la sostanza induce la proliferazione.
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