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Appunti di Business Management, Sbobinature di Economia e Gestione Delle Imprese

Appunti completi del corso di Business Management (Economia e gestione aziendale), libro e lezioni del professore

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

In vendita dal 04/09/2023

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Scarica Appunti di Business Management e più Sbobinature in PDF di Economia e Gestione Delle Imprese solo su Docsity! 1 Laurea in Economia Aziendale e Management, Università degli studi di Verona A.A. 2021/22 Corso: Business Management INTRODUZIONE: BUSINESS MANAGEMENT Cosa vuol dire management? Significa gestione e può essere inteso in due modi: sia come l’insieme delle attività svolte nell’ambito dell’operatività aziendale per perseguire gli obiettivi prefissati in una prospettiva competitiva (analizziamo come le funzioni aziendali consentano all’impresa di essere più competitiva rispetto ai competitors); sia come un gruppo di soggetti preposti a volgere tali attività/funzioni. Cosa significa business? Nel passato assunse un significato prevalentemente negativo e venne tradotto con il termine “affare”, ora, invece, si identifica come “attività economica” o “impresa”. LA NOZIONE DI IMPRESA (CAP2) Nel corso degli anni si sono affermate una grande varietà di definizioni di impresa. ↪ Definizione di impresa utilizzata nel linguaggio comune: “l’impresa è una nuova attività economica avviata ex novo” ↪ Definizione di impresa dall’ambito statistico: “l’impresa è l’esercizio professionale di un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi” ↪ Definizioni di impresa dall’ambito economico-aziendale: • “l’impresa è una macchina per eseguire determinate operazioni” (Henry Ford) • “l’impresa è un organismo vivente capace di interagire con l’ambiente in cui vive grazie alla capacità di adattamento di chi lavora” • “l’impresa è un sistema vitale in grado di auto organizzarsi ed influire sull’ambiente grazie alla capacità di raccogliere ed elaborare informazioni e produrre conoscenza” (Zappa, Simon) ↪ Definizione di impresa dall’ambito giuridico: “l’impresa è un complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (Art.2555 del Codice Civile). Sottolinea l’importanza del patrimonio ma non si comprende pienamente cosa sia l’azienda in sé. “l’imprenditore è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi” (Art.2082 del Codice Civile) chiarisce chi svolge il ruolo importante dell’imprenditore e di che cosa si occupa. Le imprese sono organizzazioni di persone e mezzi dirette alla soddisfazione di bisogni in una condizione di economicità che consenta la sopravvivenza nel lungo periodo. Si possono distinguere: • Aziende di erogazione: soddisfano i bisogni di coloro i quali operano all’interno delle stesse e quindi dei partecipanti con le risorse messe a disposizione dagli stessi (la famiglia) o da altri a titolo di donazione (enti caritatevoli). Obiettivo: soddisfare i bisogni umani. • Aziende di produzione: presenti nel mercato e attraverso lo scambio riescono ad ottenere le risorse che sostengono i processi aziendali e a raggiungere particolari tipi di obiettivi. Obiettivo: generare profitto. Tutte le aziende di produzione sono imprese, in quanto perseguono un obiettivo profit. ES. Ferrero, Fiat, Unicredit. • Aziende miste: soddisfano i bisogni di una comunità di riferimento redistribuendo risorse in parte generate internamente e in parte provenienti dal prelievo fiscale. ES. Università, Aziende sanitarie. 2 Le imprese coincidono con le aziende di produzione e si possono dividere in imprese di produzione diretta, che trasformano le risorse in prodotti finiti (beni o servizi), o in imprese di produzione indiretta, che realizzano una trasformazione economica e non materiale (es. banche, assicurazioni, trasporti). Un’impresa nasce dall’idea dell’imprenditore che deve essere in grado di trasformarla in progetto attraverso un percorso innovativo che guarda al futuro. Il progetto può realizzarsi sia grazie alle risorse finanziarie sia grazie alle risorse umane, ovvero alla costruzione di una rete di relazioni basate sulla fiducia con altri soggetti che credono nella stessa idea e si impegnano a portarla avanti. Questo percorso innovativo porta una condizione di cambiamento. UNA PRIMA DEFINIZIONE DI IMPRESA È una definizione generale e non puntuale perché presenta dei termini generici. “L’impresa è un’organizzazione stabile di persone e mezzi in cui vengono svolti processi di produzione di beni o servizi da scambiare con entità esterne al fine della produzione di ricchezza.” ↣ “Organizzazione”: impresa viene intesa come insieme di componenti, meccanismi e procedure diretti a far funzionare la struttura aziendale. Ogni impresa è composta da varie funzioni aziendali, contenute nella struttura aziendale, che devono essere coordinate, interconnesse e interdipendenti, e devono interagire tra di loro. Ogni impresa è un’organizzazione perché tutte presentano quest’ultime caratteristiche delle funzioni aziendali. MA NON è vero il contrario, ovvero che tutte le organizzazioni sono imprese (es. organizzazioni no profit, la chiesa, l’esercito, lo stato). ↣ “Stabile”: dalla definizione di Zappa “l’azienda è un istituto economico destinato a perdurare nel tempo”. La LONGEVITÀ delle imprese è la condizione di chi ha una vita molto lunga, ma non per questo destinata a morire. Il concetto di longevità non va confuso con quello di vecchiaia. Esiste una longevità biologica, come quella degli esseri umani, che è caratterizzata da un graduale invecchiamento; e una longevità organizzativa legata a chi può invecchiare ma anche mantenere sempre vitalità e con essa rimanere giovane. Un’impresa vitale sa alimentarsi, rigenerarsi e trovare una vita perché continua a sopravvivere nel tempo trovando dei modi per mantenersi nel mercato. Esistono diverse forme associative e molteplici iniziative volte a dare risalto al fenomeno della longevità dell’impresa. • “Unione imprese centenarie italiane” è un’associazione italiana nata nel 2000 senza fini di lucro, che raccoglie imprese con almeno 100 anni che adottano comportamenti eticamente corretti. Un’impresa viene considerata centenaria quando opera sul mercato in forma continuativa ed è accertata da più di 100 anni con un’imprenditorialità ispirata a comportamenti etici, ponendo grande attenzione alla comunità di riferimento e avendo uno spirito di innovazione tale da originare nuovo sapere mettendolo a disposizione di tutti per diffondere nuova conoscenza. Include 39 imprese associate (ciò non significa che esistano solo queste 39 imprese longeve, ma possono essercene altre che non fanno parte di questa associazione, pur essendo longeve, perché non possiedono le altre caratteristiche necessarie). • “Les Henokies” (nome deriva da personaggio biblico antidiluviano Enoch) è un’associazione francese nata nel 1981 che raccoglie imprese con almeno 200 anni. Le imprese che fanno parte 5 Tipologie di mercati: a) B2B “Business to Business”: impresa vende ad un’altra impresa. ES. impresa che produce macchinari vende quest’ultimi ad un’altra impresa che necessita di quei materiali per produrre magliette. b) B2C “Business to Consumer”: impresa vende ad un consumatore. ES. Ikea c) C2B “Consumer to Business”: consumatore vende all’impresa. ES. programma affiliazione amazon (vendere contenuti direttamente alle imprese) d) C2C “Consumer to Consumer”: consumatore vende ad un altro consumatore. ES. Ebay DOMANDA: Un’impresa come Facebook e un’impresa che distribuisce bibite in quali tipologie di mercati operano e perché? Facebook non è un’impresa B2C, ma una B2B: anche se offre un servizio a utenti, perché l’impresa guadagna tramite la vendita dei dati degli utenti ad altre imprese o tramite la vendita di pubblicità inserite nelle pagine personali degli utenti. Le imprese produttrici e distributrici di bibite sono una catena B2B2C: le imprese producono e poi rivendono bibite ai distributori come supermercati e bar (quindi sarebbero B2B), ma questi distributori lavorano nel B2C perché le vendono ai consumatori finali. Mercato ≠ Settore In una prospettiva aziendale mercato e settore sono due concetti diversi. Il mercato fa riferimento a tutti i possibili clienti. Il settore è l’insieme delle imprese che operano nello stesso ambito di attività economica (agricolo, automobilistico...). MA dal punto di vista economico (in macro/microeconomia) i due concetti sono usati come sinonimi. Cliente ≠ Consumatore Il consumatore è colui che consuma effettivamente il prodotto. Il cliente (acquirente) è colui che acquista il prodotto. In termini pubblicitari l’impresa della produzione indirizza la sua pubblicità verso i consumatori, con l’obiettivo di invogliare il consumo dei suoi prodotti; mentre l’impresa di distribuzione (es. supermercati) indirizza la sua pubblicità verso i clienti con l’obiettivo di invogliare l’acquisto del prodotto. CLASSIFICAZIONI DI BENI OUTPUT 1) BENE FUNGIBILI anche chiamati COMMODITY Generalmente comprendono materie prime, ossia qualsiasi tipo di bene che viene scambiato per soddisfare un bisogno a prescindere dalle sue differenze qualitative. Il termine “fungibile” si riferisce al fatto che i beni sono tra loro sostituibili allo scopo di realizzare un servizio o colmare una necessità. Il termine “commodity” deriva dal francese e significa vantaggio o convenienza. Vengono anche chiamati bene indifferenziati, per indicare un prodotto facilmente intercambiabile in termini di prezzo e qualità con altri prodotti della stessa categoria merceologica. Categorie di commodities: soft (beni agricoli, bestiame) e hard (metalli, fonti energetiche). Al tempo dei mercanti i beni fungibili scambiati erano spezie, stoffe, frumento, sale che erano indifferenziati e privi di brand. Ai nostri giorni, invece, soprattutto nei supermercati si è persa l’idea di commodity perché sempre più prodotti sono legati al brand di appartenenza e i clienti comprano in base al brand e non in base alla necessità di quel prodotto. Esistono ancora dei 6 prodotti senza brand e senza un riferimento specifico dell’impresa che lo ha prodotto. MA se questi prodotti privi di brand non vengono venduti, sia per i supermercati distributori sia per l’impresa produttrice questo rappresenta una perdita; per questo motivo si cerca di cambiare la modalità di vendita rendendole meno commodities e introducendo un piccolo logo/marchio sul sacchetto. 2) BENI DI CONSUMO Possono essere utilizzati direttamente dall’individuo. Prima distinzione: o Beni di consumo immediato: beni il cui consumo si esaurisce in un unico atto (es. cibo) o Beni di consumo durevole: beni il cui consumo è ripetuto più volte (es. frigo) Seconda distinzione: o Convenience Goods: beni di largo consumo ad acquisto corrente, acquistati di impulso, frequentemente, rapidamente e con un minimo sforzo di confronto. Non richiedono al cliente nessun impegno in termini di tempo, energia, o di ricerca di informazioni per acquistarli. (es. riso, uova, pane) o Shopping Goods: beni di consumo ad acquisto meno frequente e in modo ragionato/ponderato in relazione al brand, prezzo e qualità Presuppongono uno sforzo da parte del cliente. (es. vestiti, scarpe, telefono, auto) o Speciality Goods: beni speciali o esclusivi, differenziati nella qualità e nell’immagine per il quale il consumatore percepisce un alto valore simbolico ed è disposto a spendere di più di quanto gli costerebbero altri prodotti simili. Il cliente è portato a pagare un prezzo più alto (premium price) del normale perché lo percepisce di categoria superiore. (es. gioielli) Terza distinzione: o Beni banali (es. pane) o Beni problematici: richiedono un certo tipo di sforzo/impegno da parte del cliente per essere acquistati (es. auto). Più un bene è problematico, più cliente ha il desiderio di ottenerlo. L’impresa fa leva sui sentimenti e sul desiderio dei clienti. Le imprese per poter vendere meglio e di più questi beni problematici hanno avviato processo di banalizzazione dei beni problematici, rendendo l’acquisto di un bene problematico sempre più banale. Lo scopo di questo processo è quello di aiutare i clienti all’acquisto dei beni problematici, fornendo molte informazioni su quel bene attraverso web, social media, pubblicità, recensioni. Inoltre, questo processo nasce in funzione dell’era attuale della conoscenza che si basa sulla diffusione delle informazioni. 3) BENI STRUMENTALI Vengono utilizzati per produrre un altro bene. Sono beni che l’impresa acquista per un uso pluriennale, in quanto contribuiscono all’attività per un periodo superiore all’esercizio (> 1 anno). ES. immobile, macchinario, computer, accessori. DEF. SERVIZI L’acquisto dei beni è strettamente legato ai servizi che quel bene offre. Ad esempio, il telefono nato come bene non viene più acquistato come bene in sé ma in relazione al tipo di servizi che questo mi offre. 7 Definizione di Evert Gummesson: “un servizio è qualcosa che si può acquistare o vendere ma che non può cascarvi su un piede.” Mette in evidenza la caratteristica di intangibilità del servizio. Definizione di Bateson-Hoffmann: “un servizio è tale nella misura in cui il beneficio prodotto per il cliente dipende da un’attività di servizio piuttosto che da un bene materiale.” Mette in evidenza l’utilità/valore o beneficio prodotto dal servizio per il cliente. I servizi sono prestazioni/azioni che presentano 4 caratteristiche fondamentali: È necessario cercare di rendere tangibile ciò che tangibile non è per natura, per cui le imprese devono investire nella tangibilizzazione dei servizi per ridurre l’incertezza legata al loro acquisto mostrando informazioni sicure. Ad esempio, se un cliente fa fatica a capire il prezzo di un servizio, attraverso l’introduzione di alcune informazioni egli potrà capire che sta pagando un prezzo adeguato al il servizio erogato. I servizi, a differenza dei beni che possono essere standardizzati, sono diversi l’uno dall’altro. Quando utilizzo un servizio il consumo è possibile solo quando il servizio è anche erogato. Deve esistere chi eroga il servizio e chi riceve il servizio. Si dice infatti che i servizi avvengono qui e ora. Settore quaternario: comprende imprese di servizio che basano il proprio core business sul know- how e sui servizi intellettuali come la ricerca e sviluppo, la formazione, la consulenza, ICT 6 28/05/2015 1 La forza espressiva delle figure Terziarizzazione = quota dei servizi che cresce maggiormente rispetto al totale del sistema economico (servizi + industria + agricoltura). Deindustrializzazione = quota dei servizi cresce e quella dell’industria (manifatturiera) cala in valore relativo e assoluto. A partire dal 1970. 10 Il valore d’uso è il prezzo che il cliente sarà disposto a pagare per l’acquisto del bene/servizio in funzione delle utilità generate in riferimento ai suoi bisogni o desideri. Si considerano le esigenze di chi utilizza il bene/servizio. Lo scambio si realizza solo quando ognuno dei due soggetti ritenga le proprie esigenze soddisfatte. L’impresa è un’organizzazione che impiega un complesso differenziato di risorse (uomini, capitali, impianti, materiali), svolge processi di produzione trasformando le risorse impiegate per ottenere beni e servizi di maggior valore atti a soddisfare direttamente o indirettamente i bisogni umani. È lo scambio finale dei prodotti nei mercati di vendita che genera ricchezza. Il valore aggiunto è la differenza tra il valore della produzione ottenuta e il valore di acquisto in entrata con l’acquisto di fattori esterni, si ottiene dunque dal confronto algebrico tra il valore dell’output (positivo) e quello dell’input (negativo). Il valore aggiunto genera un risultato economico di esercizio che può essere positivo, e quindi originare un reddito o utile di esercizio, o negativo, e quindi originare una perdita di esercizio. Prezzo: legato alla vendita, riferito al mercato. Quando l’impresa pone sul mercato un certo output, la quantità economica che l’impresa vuole ottenere è il prezzo. Costo: legato alla produzione, riferito all’impresa. È quantità economica che l’impresa sostiene internamente a livello produttivo. LE FINALITÁ IMPRENDITORIALI (CAP4) Fini dell’impresa ≠ Finalità imprenditoriali L’impresa in realtà è astratta e quindi non esiste, ma esiste un singolo o un insieme di soggetti che prendono le decisioni. Dire “i fini dell’impresa” è scorretto perché l’impresa è solo uno strumento e come tale non ha fini, è neutrale rispetto al modo in cui viene gestita. I fini non appartengono allo strumento ma a chi lo governa (imprenditore o manager). Fine ≠ Obiettivo Il fine è ciò che ci si propone di fare, risulta dall’orientamento culturale di chi la guida. Usato nell’ottica di medio-lungo termine. L’obiettivo rappresenta una tappa/step di un percorso che conduce alla direzione desiderata. Usato nell’ottica di breve termine. I fini comuni dell’imprenditore classico che guida l’impresa possedendone il controllo proprietario. - Realizzare un risultato economico soddisfacente - Auto-realizzazione: trovare maggiore soddisfazione nell’attività che svolge e ottenere una più congrua valorizzazione del proprio lavoro - Raggiungere una posizione di rilievo e prestigio nella società - Finalità sociali: senso del bene comune, contribuire allo sviluppo della comunità - Realizzare un progetto di vita - Passaggio generazionale: garantire la continuità dell’impresa associata anche a processi innovativi I fini comuni dell’imprenditore delegato di un’impresa capitalistica di tipo manageriale sono principalmente di natura economica, come la massimizzazione del profitto, l’espansione dimensionale e l’aumento del valore patrimoniale. La visione del manager è ispirata alla logica dello “stakeholder approach” che si focalizza sugli interessi della proprietà nel breve periodo (short termism), ignorando il desiderio di contribuire alla qualità della vita delle persone. 11 L’imprenditore classico è più vicino alla comunità territoriale in cui agisce, mentre l’imprenditore delegato vede il territorio come un luogo in cui produrre e vendere. In ogni realtà aziendale il fine tout court dell’impresa consiste nella sopravvivenza dell’organismo aziendale. In assenza di questa condizione, nessuna delle altre finalità potrà essere perseguita, bensì solo desiderata. IL REDDITO Il reddito è il divario tra il ricavo dei prodotti venduti e il costo delle risorse impiegate. È il risultato economico d’esercizio. Il ricavo rappresenta la quantificazione, il valore, dei prodotti ceduti/venduti. Il costo rappresenta la quantificazione, il valore, dei fattori produttivi impiegati. Se positivo viene definito profitto o utile, se negativo viene definito perdita. Reddito = Ricavi – Costi I costi considerati per calcolare il reddito sono legati all’aspetto produttivo. Se considero tutti i costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività dell’impresa ottengo il profitto. IL PROFITTO Il profitto è la quota del reddito che spetta all’imprenditore (surplus). È una quantità economica residuale e eventuale (cit. Adam Smith e David Ricardo). Non è detto che alla fine di un esercizio il profitto ci sia sempre, in quanto esiste solo se il reddito è positivo, mentre se è negativo ci sarà una perdita. Per calcolare questo surplus è necessario dedurre dal reddito i costi figurativi del capitale proprio e dell’attività imprenditoriale che non rappresentano una vera e propria uscita. Il costo figurativo è misurato dal costo opportunità, ossia dal costo delle occasioni a cui si sceglie di rinunciare. Il profitto spetta all’imprenditore per una serie di prerogative: a) Creatività e capacità innovativa (cit. Joseph Schumpeter) → Il profitto viene visto come premio per l’innovazione. b) Apporto di capitale che l’imprenditore immette nell’impresa per lo svolgimento delle varie attività → Il profitto viene visto come interesse che imprenditore nutre nei confronti della sua impresa apportando capitale. c) Organizzazione dei fattori produttivi → Il profitto viene visto come retribuzione per l’attività svolta. d) Rischio d’impresa che l’imprenditore corre → Il profitto viene visto come premio. TIPOLOGIE DI RISCHIO D’IMPRESA Il rischio consiste nella possibilità che si manifesti un evento sfavorevole e aumenta all’aumentare dell’incertezza. Si è sviluppata negli anni un’area di studio chiamata risk management che consiste nell’insieme delle azioni attuate dall’impresa per ridurre l’impatto dei rischi. a) Rischio di mercato: possibilità di rientrare dagli investimenti effettuati e di ottenere il desiderato livello di remunerazione del capitale attraverso la collocazione dei prodotti. Può essere limitato dall’imprenditore andando a costruire saggiamente il business plan e scegliendo accuratamente i propri clienti. b) Rischio operativo: possibilità che si manifestino danni e incidenti nel corso del processo produttivo derivanti da guasti, sabotaggi, incidenti sul lavoro, inquinamento ambientale, comportamenti opportunistici o scorretti. Può essere limitato tramite manutenzione 12 preventiva, attuazione di attività di monitoraggio legate allo svolgimento di attività operative, adozione di regole sulla sicurezza sul lavoro, attenzione nella scelta delle collaborazioni. c) Rischio finanziario: possibilità di non ottenere la desiderata remunerazione o di perdere il capitale investito nel caso di liquidità investita in prodotti finanziari (non tipico delle imprese industriali). d) Rischio puro: possibilità che si manifestino eventi scollegati dal processo produttivo, quali ad esempio incendi, allagamenti, frane, piogge, terremoti, sconvolgimenti sociali, politici, economici, emergenze sanitarie. LA REDDITIVITÁ La redditività è il reddito (flusso) rapportato al capitale investito (fondo). È una quantità economica che pone a confronto il reddito con quanto ha investito chi guida l’impresa. Espresso in termini percentuali. Redditività = Reddito (ricavi – costi) Capitale investito Per far sì che un’impresa diventi redditizia è possibile andare ad agire su 3 condizioni: 1) Efficacia: corrisponde al grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati. Sono efficace se raggiungo obiettivo. Richiede la capacità di scegliere gli obiettivi giusti che sono effettivamente in grado di raggiungere. ES. passo al primo colpo l’esame con un bel voto. Indicatori di efficacia, per comprendere se sono stato efficace: ≫ fatturato (vendite): quantità ∙ prezzo ≫ quota di mercato: confronto fatturato della mia impresa con quello dei competitors ≫ Customer Satisfaction Index: impresa effettua indagini/ricerche di mercato per capire quanto sono soddisfatti i clienti dell’offerta e per cercare di capire come migliorare ulteriormente quel determinato prodotto per soddisfare propriamente i clienti e raggiungerne di nuovi. ≫ valore aggiunto: valore che attraverso il processo produttivo viene aggiunto alle risorse esterne utilizzate per la produzione degli output da collocare sul mercato. 2) Efficienza: corrisponde al grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati (massimo risultato) con il minimo sforzo in un determinato periodo di tempo. ES. passo al primo colpo l’esame con un bel voto studiando quanto basta per il voto che mi sono prefissato di raggiungere. Indicatori di efficienza: ≫ produttività o efficienza tecnica: analisi dal punto di vista tecnico-produttivo. Produttività = OUTPUT Produzione = OUTPUT INPUT ES1. calcolare la produttività del lavoro, ovvero quanto le persone all’interno dell’impresa sono efficienti dal punto di vista tecnico-operativo. Output: numero di prodotti realizzati in un determinato intervallo di tempo. Input: numero di dipendenti impiegati per produrre quel determinato numero di pezzi oppure numero di ore per realizzare quei prodotti finii. 15 3. TEORIA DELLA SOPRAVVIVENZA AZIENDALE Il fine è assicurare la continuità dell’organismo aziendale e in questo vi è una contrapposizione tra proprietà e management che rende impossibile perseguire il massimo profitto. Questa teoria è più perseguita da coloro che gestiscono l’impresa e quindi dai manager. ES. Apple (governata da consiglio di amministrazione composto da manager), Monte dei Paschi di Siena (quasi tutte le banche sono gestite a livello manageriale). Secondo questa teoria, il profitto assume un ruolo strumentale, diventa un mezzo per irrobustire la struttura patrimoniale dell’impresa, rifiutando attività gestionali ad alto rischio che possano risultare pericolose per la vita dell’organizzazione. Serve a far sì che dal punto di vista patrimoniale l’impresa diventi sempre più robusta per raggiungere il fine della continuità. Peter Drucker ha proposto si misurare il raggiungimento della finalità della sopravvivenza aziendale mediante la valutazione dei seguenti 5 indicatori: 1) Posizione occupata dall’impresa nel mercato rispetto ai concorrenti. ES. se impresa è diventata leader di mercato o riveste ruolo minore. 2) Capacità di innovazione dell’impresa. 3) Disponibilità di risorse umane in termini di professionalità del personale (valutare le competenze) 4) Disponibilità di risorse finanziarie, come i mezzi da impiegare nel finanziamento degli investimenti e del capitale circolante. 5) Redditività dell’impresa, ovvero la capacità di autofinanziamento che garantisce l’indipendenza da fonti esterne, indice di maggior autonomia decisionale da parte dei manager. Nel 1984 libro “Alla ricerca dell’eccellenza: lezioni delle imprese meglio gestite”, pone le basi di concetti importanti/indicatori: orientamento al cliente, cultura organizzativa, valori, ascolto, leadership. Analizza 21 imprese eccellenti che ai nostri giorni non sono più operative perché si sono fortemente basate su risultati economici rispetto a questi indicatori. 4. TEORIA DELLA CREAZIONE E DIFFUSIONE DEL VALORE Risponde agli obiettivi di tutti coloro che partecipano e lavorano all’interno dell’impresa. La finalità della gestione è far crescere il valore economico dell’impresa. L’attenzione non è rivolta ad ottenere un risultato positivo dalla differenza tra ricavi e costi (massimo profitto), MA alla capacità di produrre risultati sempre migliori. Negli USA la teoria, riferita alle public company, è identificata con la massimizzazione del valore del capitale azionario e suo trasferimento nel valore di mercato, espresso dalle quotazioni azionarie. In Italia, non essendo presenti le public company, la teoria è riferita alla massimizzazione del valore economico del capitale. Valore contabile patrimonio netto di bilancio (capitale investito – debiti) Valore economico redditività aziendale (flussi di cassa attualizzati) Valore azionario capitalizzazione di borsa Valore di mercato prezzo di cessione dell’impresa Valore della produzione risultato periodico di gestione 16 Valore allargato o sostenibile sostenibilità economica, sociale e ambientale 5. TEORIA MANAGERIALE DELLO SVILUPPO DIMENSIONALE I manager sono maggiormente orientati a far si che l’impresa si espandi a livello dimensionale (opposta alla teoria della sopravvivenza). L’obiettivo è quello di massimizzare le vendite dei prodotti (il fatturato) rispettando il vincolo di un livello minimo di profitto. Le imprese mirano a realizzare il flusso di profitti che consente di finanziare il massimo sviluppo delle vendite nel lungo periodo per aumentare il fatturato. Per favorire l’espansione dell’impresa è necessario: ▪ irrobustimento dell’organizzazione → permette sopravvivenza impresa ▪ assunzione di maggior forza competitiva → permette redditività aziendale ▪ incremento delle retribuzioni della direzione → permette miglioramento economico 6. TEORIA DEL SUCCESSO SOCIALE O DELLE 3P È quella maggiormente diffusa che ha dato poi sviluppo ad altre teorie/approcci gestionali diversi. 1°P: PROFITTO (soddisfacente e non massimo) 2°P: POTERE DI MERCATO L’impresa, poi, vorrebbe acquisire il potere di mercato, la leadership competitiva e diventare così leader di mercato. Per vedere se impresa è leader di mercato: conoscere la posizione della mia impresa rispetto a quella dei competitor sotto il profitto delle vendite; vado a calcolare il mio fatturato e a confrontarlo con quello delle altre imprese dei competitor che operano nello stesso settore. Per capire il potere di mercato uso un indicatore che si chiama quota di mercato o market share. Quota di mercato = vendite di un prodotto dell’impresa X (fatturato) (MS) vendite delle imprese competitor operanti nel medesimo settore L’indicatore della quota di mercato non è immediato da calcolare. L’indicatore del totale delle vendite è il fatturato. Per conoscere il fatturato delle altre imprese posso rivolgermi a società di consulenza. 3°P: PRESTIGIO SOCIALE Fa riferimento al fatto che coloro che guidano l’impresa non si accontentano solo del fatto di aver raggiunto determinato profitto e ma desiderano essere riconosciuti sul mercato, dai competitors e dalla società per delle attività/iniziative svolte dall’impresa stessa a favore della società. Che ruolo assume il profitto? Il profitto non è un fine ma un mezzo. Ha un ruolo primario, strumentale al raggiungimento delle altre finalità, senza il quale non è possibile ottenere potere di mercato e prestigio sociale. Le imprese che ricercano il profitto nell’immediato, in tempi brevi (short termism), non tendono alla sostenibilità, alla creazione di valore economico, al prestigio sociale perché il loro unico interesse è aumentare il proprio profitto. Le imprese che tendono al short termism adottano dei comportamenti opportunistici, non etici, questo comporta il fatto che possano verificarsi una serie 17 di effetti negativi nel mercato e nella società. Un’impresa che tende, invece, alla ricerca della sostenibilità matura una visione degli eventi rivolta al futuro, spostando sul lungo periodo la ricerca della remunerazione desiderata. persegue i suoi obiettivi riducendo o eliminando l’impatto delle sue attività sull’ambiente e al contempo soddisfacendo le necessità dei suoi stakeholder attuali senza compromettere quelle degli stakeholder futuri. SOSTENIBILITÁ AZIENDALE nell’ambito economico, ambientale e sociale. ↳ Economica: è legata alla soddisfazione dei clienti, utilizzo di risorse, generazione di ricchezza, contributo allo sviluppo economico. ↳ Ambientale: è legata alla gestione efficiente delle risorse, diminuzione delle emissioni, contributo al mantenimento o reintegrazione delle risorse naturali, armonizzazione con il territorio. ↳ Sociale: è legata alla buona cittadinanza d’impresa, condivisione delle risorse, integrazione con il territorio, best place to work, attenzione alle persone, valorizzazione della diversità. DEF IMPRESA ARMONICA: impresa che pone al centro dell’azione aziendale il benessere di tutti gli interlocutori dell’impresa. Vi è un forte orientamento agli stakeholders attraverso l’interiorizzazione culturale delle richieste di tutti. In questa prospettiva: il profitto non è un fine ma un mezzo. Il profitto si genera con i processi aziendali e più lo cerchi e meno lo trovi. UN’ALTRA DEFINIZIONE DI IMPRESA “L’impresa è un sistema socio-economico, un insieme di connessioni e interdipendenze che si crea tra le persone che diventano parte integrante di esso.” È un sistema aperto in quanto si generano scambi di natura economica o sociale con l’ambiente esterno. È composto da più parti, la parte umana e quella tecnica, che sono interconnesse tra loro attraverso una fitta rete di relazioni che mirano al raggiungimento di una finalità comune. Il sistema possiede un valore superiore rispetto a quello delle singole parti che lo compongono, per effetto delle sinergie che si generano. Il sistema aziendale avrà una finalità tanto più grande quanto più i suoi fini sono espressamente definiti e resi noti, quanto più prontamente sono percepiti i fatti esterni, quanto più efficienti sono i legami tra i partecipanti. Insieme unione di più persone Gruppo persone a cui affido un lavoro da svolgere Squadra persone che nello svolgimento di un lavoro si propongono di raggiungere obiettivo comune “Teoria della massimizzazione del profitto” o “Teoria degli Shareholder” di Milton Friedman la responsabilità dell’impresa è esclusivamente nei confronti degli azionisti “Teoria degli Stakeholder” di Edward Freeman la responsabilità dell’impresa è nei confronti degli stakeholder in generale ≠ 20 o Coinvolgimento: verso gli stakeholder amichevoli. Implica un livello di partecipazione e inclusione più elevato della collaborazione. ES. compilazione questionario che chiede di dare dei suggerimenti. o Difesa: verso stakeholder avversari. o Monitoraggio: verso stakeholder non orientati. Posso capire se nel tempo essi diventeranno amichevoli o avversari. ESEMPIO: BERTO SALOTTI, impresa italiana che opera nel settore dell’arredamento realizzando a mano prodotti come divani, poltrone, letto. Attua una strategia competitiva basata su un maggior coinvolgimento del cliente attraverso un’esperienza di crowdcrafting (creare insieme). La sfida fu quella di valorizzare il lavoro artigiano, svelare il processo manifatturiero retrostante la produzione di un divano, comunicare il valore umano ed economico del lavoro. Il riconoscimento del ruolo dell’ambiente ha portato ad una ridefinizione addirittura delle finalità dell’impresa. Vi è un passaggio della gestione dell’impresa da “shareholder approach” in cui la gestione si basa sull’esclusivo interesse dell’imprenditore allo “stakeholder approach” che ricerca la legittimazione sociale. I CARATTERI DELL’AMBIENTE 1) DINAMISMO AMBIENTALE “Panta Rei” = tutto scorre, è un aforisma di Eraclito di Efeso. Questo aforisma mette in evidenza il carattere della mutevolezza dell’ambiente, in quanto all’interno dell’ambiente non c’è nulla di uguale. “Ogni giorno viviamo la storia, e ogni giorno è diverso l’uno dall’altro”, aforisma di un anonimo, che mette in evidenza il carattere della velocità crescente. Tutto muta in modo molto veloce. 2) DIVERSITÀ “Così è se vi pare” aforisma di Pirandello, che mette in evidenza l’aspetto della diversità. Ognuno di noi ha diverse percezioni della realtà. 3) COMPLESSITÀ “Siamo passati da un mondo di orologi ad un mondo di nuvole” aforisma di Karl Popper, che mette in evidenza la caratteristica della complessità ambientale. Il “mondo di orologi” rappresenta l’ambiente in cui vivevano le fabbriche, caratterizzato per il fatto di essere più statico e costante. L’ambiente in cui le imprese vivono e operano oggi è quello che viene definito “mondo delle nuvole” caratterizzato per il fatto di essere mutevole, dinamico, indefinito. Il termine complicato deriva dal latino e significa “piegato su di sé”, rimanda ad un problema di cui sia possibile giungere a soluzione. Il termine complesso deriva dl latino e significa “intrecciato”, rimanda all’eventualità di non riuscire a risolvere del tutto il problema dato per l’impossibilità di spingere l’intelligenza oltre un certo limite. Ad esempio, un problema di matematica non è un’attività complessa ma complicata perché attraverso lo studio e l’utilizzo di formule posso arrivare ad una soluzione valida per quel problema. Il contesto in cui l’impresa opera non è caratterizzato da teorie, modelli, formule, procedure alle quali i manager possono rifarsi. Non sempre i metodi e i modelli riescono ad aiutare efficacemente il decisore aziendale a risolvere i suoi problemi. La risoluzione dei problemi aziendali non è 21 immediata e non è detto che riesca a pervenire ad un’unica soluzione. Per tale motivo è sempre più difficile prendere decisioni efficaci. Le dimensioni/variabili che esprimono il concetto di complessità ambientale: • Varietà: le imprese devono cercare di soddisfare bisogni e desideri differenti del mercato di riferimento, realizzando prodotti diversi. Ognuno vuole qualcosa di diverso dagli altri e le imprese dovrebbero capire le esigenze dei clienti per soddisfarli al meglio. • Variabilità: le imprese devono capire come evolvono i bisogni e desideri dei clienti che mutano in base a situazioni e a esigenze differenti. • Interconnessione: la globalizzazione dei mercati e l’internazionalizzazione delle imprese hanno permesso di mettere in collegamento stakeholder di nazioni diverse con caratteristiche diverse. • Interdipendenza: rispetto all’ambiente in cui operano. • Imprevedibilità: far fronte alla realtà in continuo e rapido cambiamento. • Ambiguità: non chiarezza su cosa potrebbe accadere. Tutto si basa su modelli che non sono più precisi. Vengono a mancare le certezze della one best way di matrice fordista. Maggiore indecisione dell’impresa. • Incertezza: tutte le decisioni prese sono legate al fatto che i decisori non sanno se quelle siano effettivamente adeguate ed efficaci. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” aforisma di Ungaretti. “L’impresa produce complessità, vive nella complessità e si nutre di complessità” ↪ Produce complessità attraverso le scelte produttive e lo svolgimento dei processi di produzione e di scambio. ↪ Si nutre di complessità per il fatto che i processi creativi e innovativi si diffondono nell’ambiente sulla base delle realtà che i decisori generano nella loro mente attraverso la conoscenza e l’immaginazione. ↪ Vive nella complessità, in quanto esiste una complessità interna all’impresa a livello manageriale e organizzativo, essendo popolata da una varietà di generatori di complessità come le emozioni, il grado di malessere-benessere, le carenze di ascolto, le illusioni, lo squilibrio fiducia-sfiducia, la presenza di opportunismo o egoismo. Vivendo nella complessità l’impresa è sottoposta ad una serie di eventi, chiamati “eventi disruptive”, che possono avere un impatto negativo su essa. Gli eventi disruptive si manifestano in maniera improvvisa (anche se non necessariamente del tutto imprevedibile); hanno un’intensità tale da modificare in maniera rapida e radicale molte delle condizioni strutturali di un determinato 2 Sono complessi? Le dimensioni d lla complessi à amb ent le • VARIETÀ • VARIABILITÀ La matrice della complessità ambientale 22 contesto; producono effetti rilevanti e sistemici (aspetto dell’interdipendenza) nel medio-lungo termine; generano cambiamenti rilevanti nella struttura e nei comportamenti degli attori operanti al suo interno. L’impatto e i cambiamenti causati da un evento disruptive vengono definiti in termini di intensità, durata, ampiezza, tempo e spazio. Per affrontare un evento disruptive, le imprese devono assumere un atteggiamento di resilienza che si manifesta con la capacità di adattamento delle imprese ai cambiamenti socio-economico che avvengono nell’ambiente e la capacità di sfruttare innovazioni tecnologiche. Si rifanno, dunque, alla tecnologia per essere in grado di adattarsi/essere più flessibili/resistenti ai cambiamenti che le coinvolgono Se l’impresa è in grado di affrontare le minacce che derivano dall’ambiente, in modo autonomo o con l’aiuto degli altri stakeholders, significa che ha imparato come superare determinati problemi. La complessità non deve essere intesa solo in termini negativi, ma può essere vista come un’opportunità. L’ambiente, infatti, è anche sede di apprendimento per l’impresa. Le relazioni stesse che l’impresa stessa stabilisce con gli attori che ne fanno parte generano opportunità di apprendimento. La complessità ambientale costringe l’impresa ad affrontare problematiche diverse e mutevoli per le quali sono necessarie variegate e continuamente aggiornate conoscenze. È una condizione che preme nella direzione del cambiamento, adottando nuovi modelli di comportamento e progettando la presenza dell’impresa nel contesto ambientale complesso. Non si può eliminare la complessità ambientale, al massimo si può cercare di ridurla, perché un minimo di complessità ci sarà sempre. Per questo è necessario imparare ad affrontarla e a convivere con essa. Chi è alla guida dell’impresa deve cercare di affrontare la complessità, imparando a percepirla. Non basta apprendere dalla complessità aziendale, è necessario saper imparare ad apprendere, sviluppando alcune capacità. Capacità da sviluppare per affrontare la complessità aziendale: - Capacità logico-matematiche e linguistiche → quoziente di intelligenza o intellettivo (QI) - Empatia, ovvero la capacità di calarsi nei panni altrui → quoziente emozionale (EQ) - Capacità di interpretare e decodificare i segnali ricevuti dall’ambiente e comprendere a fondo il messaggio che l’interlocutore intende trasmettere. Più ci si allena a interpretare i segnali più si diventa capaci di decodificarli e capire cosa sta avvenendo per poi prendere decisioni e agire. I segnali possono venire da qualunque dei vari stakeholder collocati nell’ambiente nel quale l’impresa opera. Saper cogliere i segnali forti è necessario ma non più sufficiente per l’impresa per essere competitiva perché sono molto chiari e facilmente visibili/comprensibili da tutti. È importante cogliere i segnali deboli, per essere sulla strada del vantaggio competitivo. I segnali vanno interpretati in termini di opportunità o di minacce. Vanno classificati in base alla probabilità e al tempo di accadimento e in base all’impatto sull’impresa. I segnali vanno colti, interpretati, analizzati e da qui posso capire il tipo di impatto che avranno sull’attività aziendale - Capacità di ascolto = attitudine a prestare veramente attenzione alle voci e ai segnali che provengono dall’ambiente. Forme di intelligenza: - Intelligenza emotiva (Daniel Goleman) = capacità di leggere tra le righe. L’intelligenza emotiva è l’insieme di capacità che aiutano le persone ad agire armoniosamente ed è formata da 5 componenti fondamentali: l’autocoscienza, essere consapevoli di sé stessi; saper gestire le proprie emozioni; motivare sé stessi, trovando le fonti che ti spingono a fare qualcosa; riconoscere le emozioni negli altri; gestire meglio le relazioni con le altre persone. 25 Caratteri principali di un imprenditore: visionario, tenace, innovatore, sognatore, dotato di conoscenza tecnica, creativo, osservatore, comunicativo, anticipatore, aperto al cambiamento, ambizioso, umile, entusiasta, ascoltatore, ottimista, fiducioso, intuitivo, dotato di fantasia. Nei diversi soggetti ognuno di questi caratteri può essere accentuato o contenuto. Nessuna persona può eccellere in tutte questi aspetti, le carenze in qualcuno saranno compensate dall’eccellenza in altri e così si genererà grande varietà imprenditoriale. Chi è il management? È un gruppo dirigente al quale sono delegate le funzioni organizzative o amministrative. Più le dimensioni aziendali aumentano, più queste due figure non coincidono. Mentre in un’impresa di piccole dimensioni le due figure spesso coincidono. FILM: “TUCKER: UN UOMO E IL SUO SOGNO” 1988 Preston Tucker progetta e costruisce, insieme ad un gruppo di amici, un’auto avveniristica nel design e nei sistemi di sicurezza. Era appassionato di auto sin da bambino. L’associazione delle idee si realizza sfogliando una rivista, comprende l’importanza della comunicazione al pubblico della sua proposta. Nonostante le varie difficoltà incontrate nel raggiungimento dell’obiettivo, come la gestione dei rapporti all’interno della struttura organizzativa non più familiare, fu in grado di rispondere a tutte le crisi come lo spionaggio, il boicottaggio, i tempi stretti di costruzione. Vinse il processo nel quale fu accusato di frode, ma la sua azienda produsse solo 50 auto, 46 delle quali sono ancora in circolazione. Unico carattere di imprenditorialità proprio di Tucker che non dovrebbe contraddistinguere un imprenditore è l’ingenuità. Le vie all’imprenditoria o i modi per intraprendere cammino imprenditoriale. Distinzione legata all’approccio con il quale gli imprenditori intraprendono il percorso imprenditoriale. - Dreamway: tipica di chi ha un sogno nella vita e per concretizzarlo è disposto a buttarsi nell’avventura con i rischi che essa comporta. - Bestway: è la via di chi comincia quasi senza accorgersene e con il passare del tempo crea qualcosa di sempre più concreto. - Oneway: tipica di chi, espulso o respinto dal lavoro dipendente, si orienta verso l’unica o l’ultima alternativa possibile. Imprenditorialità = tensione al cambiamento Leadership = capacità di guidare il cambiamento Managerialità = capacità di gestire l’azienda nella complessità dell’ambiente Le caratteristiche dell’imprenditore e le dimensioni dell’agire imprenditoriale. Dimensioni Azioni Caratteri IMPRENDITORIALITÁ dimensione mentale Cogliere le opportunità nei mutamenti di scenario. Valutare le esigenze dei clienti. Determinare validi tempi d’azione. Scegliere e perseguire una missione. Sognatore, intuitivo, dotato di fantasia, aperto al cambiamento, umile, propenso al rischio Curioso, anticipatore, contribuisce alla crescita sociale Time oriented, visionario 26 LEADERSHIP dimensione relazionale Gestire i rapporti con gli stakeholder e abilità negoziale. Motivare le risorse umane. Ottimista, fiducioso, capace di credere in sé stesso, entusiasta, ascoltatore, creativo, ambizioso, tenace, capace di gestire i momenti di crisi, comunicativo MANAGERIALITÁ dimensione organizzativa Progettare e produrre economicamente beni e servizi. Reperire risorse tecnologiche, finanziarie, di lavoro. Perfezionare sistemi di controllo dei risultati. Innovatore, dotato di conoscenza tecnica, ispiratore di fiducia, intuitivo nella scelta dei collaboratori LE FASI DI NASCITA DELL’IMPRESA 1) Avere un SOGNO Capacità di intravedere un proprio ruolo nella società, indipendentemente da quello che la realtà sembra comunemente e concretamente suggerire. È la capacità di intravedere qualcosa che va al di là del reale. Porta a creare qualcosa che ancora non esiste che potrebbe andare a migliorare la vita delle persone. È necessario anche per superare tutti i disincentivi che la realtà proporrà alle iniziative che intendono produrre cambiamenti rispetto allo status quo. Nelle scelte l’imprenditore non si basa solo sulla razionalità ma si fa guidare anche dal proprio intuito, dalla non razionalità. Sono risorse importanti per essere sognatori: la conoscenza tecnica di base, la curiosità, la fantasia. La capacità di sognare è una condizione necessaria per essere imprenditore. Se viene meno la fase del sogno, l’imprenditore non è innovatore, ma prende a riferimento le idee di altri e le migliora o le copia direttamente. 2) Sviluppare IDEA (→ BUSINESS IDEA) Trasformazione del sogno in qualcosa di realizzabile. È una fase ancora astratta. L’idea è una sintesi creativa di informazioni tecniche e di mercato, alcune delle quali sono già possedute dall’imprenditore, mentre altre derivano da contatti con l’ambiente. Le idee nascono sul momento, da eventi casuali e i contatti con i vari stakeholders possono avere una certa influenza. Una business idea può essere sviluppata per far nascere una nuova impresa, per un progetto di espansione di un’impresa esistente o per una riorganizzazione dell’impresa (es. calzedonia). Le risorse indispensabili per lo sviluppo dell’idea: la creatività e la tenacia. Fasi di sviluppo dell’idea: a. preparazione: raccolta di materiale e informazioni. Le idee non nascono per improvvisazione. b. incubazione: è un periodo di tempo più o meno lungo in cui le idee, che si trovano ora in una forma confusa, sono in attesa di concatenarsi tra di loro in modo logico. c. illuminazione: attimo in cui arriva l’idea. Da una situazione confusa e disordinata si intravede l’idea su cui investire. d. verifica: valutazione di fattibilità dell’idea. Capire se l’idea possa essere verificabile e realizzabile. È ancora una fase astratta, nella mente dell’imprenditore. 27 È importante sviluppare la cultura dell’errore nell’impresa: l’errore è tollerato e viene visto come opportunità per migliorarsi e per generare idee nuove. L’errore, però, deve portare all’apprendimento, ovvero bisogna capire dove si è sbagliato per continuare a migliorarsi. “I problemi sono come opportunità in abiti di lavoro”. 3) PROGETTO (→ BUSINESS PLAN) È la prima fase concreta. Si formula una valutazione di fattibilità dell’idea, cioè della realizzabilità economica, andando a redigere un business plan. Bisogna effettuare una verifica di coerenza, confrontando l’idea e chi la dovrà realizzare, e di fattibilità, sviluppando l’idea in un piano organico dettagliato per far emergere i problemi e identificare e analizzare i vincoli (idea concretizzabile). La risorsa necessaria per redigere un business plan e sviluppare un progetto è la conoscenza di tipo professionale con precise componenti economico-finanziarie e di marketing che non è detto che siano possedute dall’imprenditore che quindi dovrà affidarsi a persone che le possiedono. Il business plan non deve essere redatto da una persona sola perché ognuno con le proprie competenze è in grado di apportare il proprio contributo. Non ci si deve affidare solo alla società di consulenza, l’imprenditore deve avere un minimo di background di conoscenze di base per comprendere poi il business plan. Il Business Plan è uno strumento di valutazione economica. È un documento cartaceo che presenta in maniera organica ed efficace una business idea e i risultati della sua implementazione a beneficio dell’imprenditore e dei suoi possibili finanziatori. Il business plan deve presentare l’oggetto dell’attività dell’impresa (cosa si vuole vendere), il target di riferimento (a chi si vuole offrire quel prodotto), approccio strategico e operativo (come produrre e distribuire il prodotto). “Il business plan è il racconto del futuro di un’idea”, 3 concetti chiave: l’idea imprenditoriale come fulcro centrale, la dimensione temporale futura, la forza del racconto nel coinvolgimento emotivo. Svolge sia una funzione interna sia una funzione esterna. Per quanto riguarda la funzione interna, il business plan viene visto come uno strumento di pianificazione e gestione utile per condividere le informazioni e scelte nell’impresa. I 3 vantaggi legati a questa funzione: valutazione oggettiva della convenienza di un progetto, apprendimento sociale, gestione delle delicate fasi iniziali. Per quanto riguarda la funzione esterna, il business plan permette di illustrare il progetto imprenditoriale a terzi (finanziatori, nuovi soci o istituzioni pubbliche). La stesura del Business Plan permette, dunque, al neo-imprenditore di verificare la validità della sua idea, valutando tempi, costi e azioni, di promuoverla presso terzi possibili finanziatori e, nel caso di aziende già avviate, di controllare l’attività imprenditoriale e l’andamento generale dell’impresa. Non esiste un unico modello di Business Plan universale, ma la sua struttura varia a seconda della funzione per la quale viene elaborato. È possibile suddividerlo in 3 macro aree: una sintesi iniziale del business plan (executive summary), una parte qualitativa di descrizione del progetto, una parte di analisi quantitativa per dimostrare a finanziatori che l’idea è conveniente. Struttura del business plan: • Introductory Elements: presenta il piano strategico di business cercando di suscitare curiosità. È composto da: Cover Page che riporta i principali riferimenti dell’impresa; Executive summary che è una prima sintesi di tutto ciò che è contenuto nel business plan, 30 I FATTORI DELLA PRODUZIONE: GLI INTANGIBLES AZIENDALI (CAP4) Fattori originari della produzione: conoscenza, creatività, fiducia Fattori derivati della produzione: lavoro (persone), capitali Tutti i fattori di produzione sono delle risorse che l’impresa ha a disposizione per perseguire il fine gli obiettivi desiderati. Nel corso degli anni quelli che un tempo venivano definiti fattori originari ora sono diventati dei fattori derivati perché i fattori originari di un tempo (capitale e lavoro) sono diventati strumentali, quindi dei mezzi, per aggiungere dotazioni di conoscenza, creatività e fiducia a quelle possedute all’avvio del processo di creazione dell’impresa. Un tempo si pensava che per poter avviare attività aziendale fossero fondamentali solo il capitale e il lavoro. I fattori originari vengono chiamati anche risorse immateriali, asset immateriali o intangibles. Dal 1900 fino a oggi si è passati da sottolineare l’importanza delle capacità tecniche (technicalities) ad evidenziare l’importanza delle capacità umane (humanities) che sono racchiuse nei 3 fattori originari. Per poter avviare un’attività aziendale e permettere poi all’impresa stessa di essere sempre più competitiva, sono necessari gli intangibles aziendali. Se, invece, un’impresa basasse la sua attività solo sul lavoro o sul capitale, questa non potrebbe diventare sempre più competitiva. Le imprese, dunque, devono sviluppare le tre risorse della conoscenza, creatività e fiducia per crescere. I caratteri delle risorse immateriali: unicità, molteplicità di usi, difficili da acquisire dall’esterno e da imitare, sedimentabili e deperibili nel tempo, collegate al fattore umano. L’impresa viene intesa come un sistema autopoietico, che cerca di sviluppare e valorizzare le risorse al suo interno che sono in grado di auto generarsi, in modo tale che esse permettano all’impresa di essere sempre più competitiva. L’impresa non è un contenitore statico di risorse. È un sistema che attiva meccanismi di generazione, utilizzo e riproduzione di risorse attraverso i quali si ottengono i risultati economici. Il patrimonio di risorse di ogni impresa ha una certa capacità auto-generativa, è autopoietico, che consiste nella generazione di nuove risorse. Le scelte aziendali portano a generare, trasformare o distruggere risorse. 1. CONOSCENZA La conoscenza è l’insieme dei saperi disponibili in ogni campo dell’attività aziendale. Rappresenta la consapevolezza tecnica, economica, organizzativa, mercatistica, relazionale, critica e di ricerca acquisite nel tempo attraverso lo studio, i sensi e l’esperienza. La fonte principale di conoscenza è l’esperienza, in questo senso gli errori non sono considerati situazioni da evitare e punire. Viene usato il termine più specifico “know-how” quando si fa riferimento alle conoscenze legate all’uso delle tecnologie all’interno delle imprese. L’impresa è sistema cognitivo perché al suo interno ci sono diverse forme per sviluppare la conoscenza stessa: attraverso la ricerca, il learning by doing (sperimentando), una rete di relazioni aziendali. In questo modo l’impresa diventa una “learning organization”, ovvero un’organizzazione che apprende attraverso l’azione e l’esperienza dei loro componenti. Questo ha portato alla nascita del Knowledge Management, che a livello teorico è un filone di ricerca connesso allo studio di quelle attività che hanno come obiettivo la diffusione della conoscenza per essere poi utilizzata da coloro che ne hanno bisogno (idea circolarità delle conoscenze). Secondo la teoria cognitiva, l’impresa è un’organizzazione animata da conoscenza disponibile e da capacità di creare nuova conoscenza. Ad esempio, i macchinari usati nei processi produttivi sono un esempio di frozen knowledge, in quanto hanno assorbito la conoscenza delle persone che li hanno realizzati. 31 → PROCESSO DI CREAZIONE DELLA CONOSCENZA SECONDO NONAKA E TAKEUCHI Socializzazione: la conoscenza da tacita rimane tacita. Viene trasmessa in modo informale attraverso la condivisione di esperienze, lo sfruttamento meccanismi operativi svolti nell’azienda e l’osservazione indiretta. Appresa attraverso contatto diretto tra due persone. ES. vedo il capo svolgere un lavoro e implicitamente imparo anche io. ES. forma dell’apprendistato-maestro. Esteriorizzazione: la conoscenza da tacita diventa esplicita. Avviene tramite codificazione formale delle conoscenze che trasmettono informazioni da un individuo ad un altro. ES. individuo comunica con altri. ES. dipendenti esternalizzano i loro problemi per migliorare la vita e l’ambiente all’interno dell’impresa. Combinazione: la conoscenza da esplicita rimane esplicita. Viene ulteriormente elaborata, comunicata e diffusa verso l’esterno su larga scala attraverso reti informatiche di comunicazione, data base. ES. prototipo di un prodotto realizzato all’interno dell’impresa poi viene diffusa la sua esistenza sul mercato. Interiorizzazione: la conoscenza da esplicita diventa tacita. Nasce nel momento in cui vengono vissute delle esperienze aziendali e vengono interiorizzate delle conoscenze derivanti dall’esterno, così possono diventare parte del modus operandi dell’impresa. Quando un individuo assimila quanto è esplicito e lo fa proprio. ES. learning by doing SOCIALIZZAZIONE ESTERIORIZZAZIONE INTERIORIZZAZIONE COMBINAZIONE Processo circolare: socializzazione esteriorizzazione interiorizzazione combinazione Conoscenza come risorsa ≠ Capitale intellettuale L’Albero di Skandia (1995) fornisce una visuale generale sul capitale intellettuale. Il valore totale dell’impresa deriva dall’unione tra capitale finanziario e capitale intellettuale. Il capitale intellettuale non è esclusivamente legato agli aspetti cognitivi che si sviluppano all’interno dell’impresa ma è anche una dotazione di risorse che sono state distinte nel capitale umano, legato alle risorse che i singoli individui possiedono, e nel capitale strutturale. Il capitale strutturale, a sua volta, è generato dall’unione degli aspetti cha aiutano l’impresa a migliorarsi dal punto di vista organizzativo (capitale organizzativo) e dagli aspetti esterni che permettono all’impresa di mettersi in relazione con il cliente (capitale cliente). a CONOSCENZA d a C O N O SC EN ZA TACITA TA C IT A ESPLICITA ES P LI C IT A 32 Studi successivi hanno evidenziato come il capitale intellettuale non nasca solo da capitale strutturale e umano ma si genera anche attraverso le relazioni che impresa instaura con il mercato e altri stakeholder. Infatti, in successivi modelli il capitale intellettuale è composto da tre parti: il capitale umano, il capitale strutturale e il capitale relazionale (ex capitale cliente). Questa nuova visione sottolinea l’importanza del raggiungimento del capitale sociale, che consiste nell’insieme delle relazioni esterne che l’impresa attiva grazie alla propria capacità di connessione con i sistemi che costituiscono il suo ambiente di appartenenza. Tra i primi studiosi che hanno fatto emergere questo concetto di capitale sociale Coleman e Putnam. Dunque si può dire che il capitale intellettuale, finanziario, sociale, considerati insieme consentono di aumentare il valore totale dell’impresa “ecosistema locale” (sinonimo di territorio) = insieme delle relazioni che nascono tra gli stakeholder a livello locale. 2. CREATIVITÁ È la capacità di dare risposte nuove a problemi vecchi e nuovi. Nell’ambito aziendale si avvia da problemi e permette di creare qualcosa di nuovo partendo da elementi disorganizzati tra i quali si intravedono però delle possibili connessioni. Essa può essere sviluppata per bisogno (sviluppare idea di business), per piacere, per funzione (in base all’attività che devo svolgere devo essere creativo). La creatività è un potenziale alla portata di tutti a patto che si possiedano alcune caratteristiche individuali e ci si trovi in un’organizzazione che solleciti l’espressione della stessa. Ogni persona è creativa, in quanto questa qualità viene sviluppata in ugual misura dall’emisfero destro del cervello. È possibile, però, che una persona sia meno creativa di un’altra perché ha sviluppato maggiormente l’emisfero sinistro del cervello rispetto all’emisfero destro, ma esistono specifici strumenti e tecniche adeguate ad esprimerla comunque. L’organizzazione in cui si va a lavorare deve sollecitare la creatività come risorsa fondamentale per l’impresa stessa per mantenere la competitività. Per essere creativi bisogna cambiare punto di vista, bisogna accettare le opportunità e i rischi connessi al cambiamento. Il “CIRCUITO DELLA CREATIVITÀ E DELLA CONOSCENZA” è un percorso circolare che porta a generare un livello di conoscenza diverso da quello iniziale. Una persona che intende avviare un percorso creativo teso ad aumentare il livello di conoscenza deve mantenere un atteggiamento (= propensione mentale) umile. L’umiltà fa sorgere dei dubbi e mi porta a porre molte domande. Solo attraverso la curiosità e la ricerca le mie domande troveranno una risposta. Ora si ha a ! ' ' ' ' Il'mondo'dell’intelligence'–'www.sicurezzanazionale.gov.it' ' ' ' ! ! Il'patrimonio'delle'competenze'e'il'capitale'intellettuale!! ! ! ! 10! revisioni dei processi di lavoro e degli strumenti operativi con un crescente supporto dell’Information and Communication Technology. 2.2'H'Il'caso'Skandi' Un interessante modello di interpretazione, gestione e valorizzazione del capitale intellettuale è stato sviluppato da Skandia, importante compagnia svedese di servizi assicurativi e finanziari. L’obiettivo principale era quello di misurare il valore aziendale tenendo in considerazione non solo i dati economici e finanziari aziendali ma anche la consistenza del capitale intellettuale rendendo evidente il suo valore anche sul bilancio societario, in modo da offrire una visione completa che includa sia la parte tangibile che quella intangibile del valore complessivo dell’azienda. Il modello proposto da Skandia fu quello denominato ‘Value Scheme’ sviluppato da Leif Edvinsson nel 1993. In questo modello il valore complessivo dell’impresa è dato dal capitale finanziario e dal capitale intellettuale (Figura 1). Questo modello è stato reso operativo nella pratica tramite lo Skandia Navigator, ovvero lo strumento di ‘navigazione’ tra le risorse e gli asset a disposizione dell’organizzazione e attraverso cui essa valuta annualmente il proprio capitale intellettuale. Si tratta di uno strumento concepito per includere all’interno del suo campo di applicazione, oltre ai classici dati contenuti nel bilancio d’esercizio, anche quelli degli asset intangibili (ed invisibili) del patrimonio aziendale. Come si può vedere dalla rappresentazione in Figura 2, lo strumento si basa su cinque aree di attenzione, ovvero: il focus finanziario, il focus sul cliente, il focus sul processo, il focus sull’innovazione e lo sviluppo, ed il focus umano. Queste cinque aree formano il patrimonio totale dell’organizzazione. dell’organizzazione. Figura!1:!L’Albero!Skandia!del!capitale!intellettuale.!Tratto!da:!Bonani,!G.!(2002),!La!sfida!del!capitale!intellettuale.!Principi!e! strumenti!di!Knowledge!Management!per!organizzazioni!intelligenti! 35 l’impresa dall’interno, quello che vuole essere. Immagine e identità aziendale sono concetti differenti che però possono coincidere quando: come siamo veniamo anche percepiti dagli altri. Gli studi di Teoria dei Giochi, sulla Teoria delle Decisione o altre teorie di ambito sociologico hanno dimostrato che spesso il rendimento di una squadra è inferiore alla somma del rendimento dei singoli questo accade se non vi è collaborazione. Al contrario, in una squadra ben organizzata, le potenzialità esplodono e il rendimento totale può anche essere molto maggiore della somma del rendimento dei singoli. Lavorando in gruppo si ottengono risultati migliori rispetto a lavorare da solo. MA nel contesto lavorativo può capitare che si debba lavorare con persone che hanno visioni diverse dalle mie, per questo si deve sviluppare lo “swift trust” (fiducia veloce) nel team tra i singoli componenti. È una competenza relazionale che deve essere sviluppata velocemente perché la risoluzione del problema deve avvenire ora. LA STRUTTURA DELLE IMPRESE (CAP2) Considerare il criterio della proprietà della struttura delle imprese: a) Impresa privata: la cui proprietà è di uno o più soggetti privati. Il suo scopo è quello di raggiungere il profitto, per questo sono chiamate imprese for profit. ES. Bauli, Barilla, Ferrero. b) Impresa pubblica: la cui proprietà è, quantomeno a maggioranza, dello Stato o di altre strutture pubbliche. La finalità è quella della socialità e dell’economicità. Non sono orientate alla creazione di profitto, ma tendono a creare beneficio per società e non è escluso il fatto che il risultato economico positivo possa essere riutilizzato per la socialità. ES. Agsm, Enel, Eni. Imprese con struttura pubblica → criterio di analisi il servizio offerto. ES. autostrade. Imprese che offrono servizio pubblico → criterio di analisi la proprietà. c) Terzo Settore: soggetti giuridici collettivi privati che svolgono attività di utilità sociale volte ad accrescere la qualità della vita della comunità. ES. organizzazioni di volontariato, Avis, Croce Verde. d) Imprese Sociali: imprese private che spesso assumono la forma giuridica di cooperativa sociale che operano in settori “di utilità sociale”. Possono ricorrere a forme di volontariato ma di solito operano con logiche di tipo manageriale. Considerare il criterio delle dimensioni delle imprese (piccole, medie, grandi): a) Criteri di struttura: numero di addetti, investimenti. Rilevano la dimensione in termini di dotazione stabile dell’impresa. In base agli addetti: <50 piccole, <250 medie, >250 grandi. b) Criteri di risultato: fatturato, valore aggiunto. Rilevano la performance realizzata dall’impresa. Il criterio del valore aggiunto è quello che presenta minori rischi, in quanto si basa sul confronto della ricchezza additiva prodotta dall’impresa che ha senso solo se applicato ad imprese operanti nello stesso settore. c) Criterio della familiarità dell’organizzazione intesa come semplicità dei modelli organizzativi che si contraddistinguono per l’assenza o la ridotta presenza di manager al di fuori della famiglia proprietaria. (non solo proprietà familiare) Per analizzare correttamente le dimensioni di un’impresa è necessario considerare la classificazione utilizzata. A seconda della classificazione le imprese sono considerate in modo diverso. L’analisi dimensionale non è dinamica, non mi consente di vedere l’evoluzione dell’impresa nel tempo, a meno che non effettui più analisi. Ottengo una visione statica dell’impresa effettuata in un certo momento. Oppure posso effettuare un’analisi spaziale dell’impresa con più sedi per capire geograficamente quali sono le sue dimensioni. 36 Considerare il criterio del processo produttivo (fasi da input a output) delle imprese: a) Imprese artigianali: l’organizzazione della produzione è effettuata per mestieri, sono di piccole dimensioni, propongono sul mercato un prodotto unico molto spesso personalizzato, sono labour intensive (alta incidenza del costo del lavoro su costi totali). Sostengono un alto costo del lavoro per forte manualità e competenze del singolo individuo. b) Imprese industriali: l’organizzazione della produzione è effettuata per fasi specializzate costituite da operazioni standardizzate e ripetitive, sono di medio-grandi dimensioni, propongono sul mercato prodotti in serie, sono capital intensive (alta incidenza degli ammortamenti sul totale del costo di produzione). Attenzione spostata dai singoli addetti agli aspetti connessi agli ammortamenti e investimenti effettuati. Considerare il criterio del tipo di produzione delle imprese: a) Imprese manifatturiere: il processo produttivo comporta una trasformazione fisica degli input. ES. produzione di abiti, scarpe, auto. b) Imprese di servizi: il processo produttivo crea utilità alle persone o alle organizzazioni senza che avvenga una trasformazione fisica ma economica. ES. imprese commerciali, banche, assicurazioni, trasporti. Considerare il criterio della forma giuridica delle imprese: a) Imprese individuali: il soggetto giuridico, cioè il titolare di diritti e doveri, è una persona fisica e risponde con i propri beni delle eventuali perdite dell’impresa. Il soggetto giuridico e il soggetto economico (prende decisioni) coincidono. b) Società di persone: hanno un’autonomia patrimoniale imperfetta, i soci rispondono dei debiti dell’azienda qualora il patrimonio della società fosse insufficiente. ES. società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice. c) Società di capitali: hanno un’autonomia patrimoniale perfetta, delle obbligazioni sociali risponde solo il capitale della società. La società stessa viene intesa come persona giuridica. Il soggetto economico può essere chi detiene il capitale o il manager. ES. società a responsabilità limitata, società per azioni, società in accomandita per azioni. d) Cooperative: forma societaria dotata di autonomia patrimoniale perfetta. e) Imprese artigiane: imprenditore esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l’attività assumendone la piena responsabilità. 37 LA FUNZIONE DI PRODUZIONE (CAP7) Nozione più ristretta: la produzione è un processo fisico di trasformazione di risorse in beni materiali. Le risorse (input) che comprendono elementi di varia natura, come materie prime, semilavorati e componenti, subiscono un processo di trasformazione che può essere di diversa natura ed essere svolto in diverse modalità per ottenere un output costituito da beni materiali e tangibili. MA i prodotti non sono solo beni fisici ma anche servizi. Nozione più estesa: la produzione è un processo di creazione di beni e servizi per il soddisfacimento delle necessità umane. La funzione di produzione rappresenta il cuore dell’attività aziendale. È molto importante il suo collegamento con le altre funzioni aziendali, in particolare quella di marketing, in quanto tutte le altre funzioni d’impresa derivano direttamente dalla questa. Le decisioni di produzione sono comunque critiche, in quanto vincolano l’impresa per un certo periodo di tempo non breve e comportano esborsi significativi. Se un’impresa non svolgesse efficacemente e efficientemente la sua attività e la funzione di produzione, verrebbe meno la definizione stessa di impresa e quindi la sua esistenza. Nel corso degli anni l’attività produttiva si è evoluta, passando dall’autoproduzione come una modalità per soddisfare le esigenze personali (scambio di beni attraverso baratto), alle botteghe artigiane (piccole realtà aziendali che portano alla realizzazione dei beni attraverso primordiale processo produttivo), e infine al sistema di fabbrica. La modalità di produzione delle fabbriche si è diffusa a seguito delle due rivoluzioni industriali che hanno permesso anche l’affermazione di u nuovo sistema produttivo: la catena di montaggio. La catena di montaggio consiste in un processo di assemblaggio basato sui principi di divisione e di specializzazione del lavoro. Viene utilizzata anche ai nostri giorni in chiave moderna, come ad esempio il Mc Donald dove le fasi sono in sequenza, ognuno è specializzato in una determinata fase e vi è un tempo determinato per lo svolgimento di ogni fase. È possibile distinguere la funzione di produzione in due differenti modalità: artigianale e industriale. In tempi recenti la distinzione tra queste due modalità produttive è diventata più sfumata a seguito dell’evoluzione della produzione industriale verso la personalizzazione di massa (mass customization). Modalità di produzione artigianale: ▪ unicità dell’output ▪ produzione per mestieri ▪ prevalenza di lavoro manuale ▪ sono espressione di conoscenza tacita ▪ dimensioni di una piccola impresa ▪ si ispira ad un mercato tendenzialmente locale. MA quest’ultimo punto non è più attuale oggi, il prodotto realizzato artigianalmente può essere venduto in tutto il mondo attraverso l’e-commerce. Oggi il mercato delle imprese artigianali non è più locale, attraverso l’uso delle tecnologie e di innovazioni queste hanno la possibilità di sviluppare il loro mercato e vendere i loro prodotti internazionalmente. Ad esempio il “Body-scanner” e il “Foot-scanner” sono degli strumenti utilizzati per poter rilevare la struttura del piede (calzature) e del corpo (vestiti) del cliente e quindi realizzare su misura il prodotto desiderato in funzione delle esigenze del cliente. 40 → ECONOMIE DA SFRUTTAMENTO L’impresa ottiene economie da sfruttamento quando, aumentando la quantità prodotta (volume produttivo), diminuiscono i costi totali unitari di produzione. Questo si crea per effetto della ripartizione i costi fissi su maggior volume di produzione. I costi fissi sono quelli che non variano al variare della quantità prodotta, ad esempio l’ammortamento, canone di locazione. Ipotesi fondamentale: la capacità produttiva è data, non cambia. Stiamo ragionando in una logica di breve periodo. ES. CF (costi fissi) = 100, CVu (costi variabili unitari) = 5, Qp (quantità prodotta) = 500 CTu = CT = CF + CV = 100 + (500 ∙ 5) = 3500 = 7 Qp Qp 500 500 Se aumento quantità prodotta: Qp = 1000 CTu = CT = CF + CV = 100 + (1000 ∙ 5) = 6000 = 6 Qp Qp 1000 1000 → ECONOMIE DI SCALA L’impresa ottiene economie di scala quando, aumentando la capacità produttiva, diminuiscono i costi totali unitari di produzione. Questo si crea per effetto dell’aumento del volume produttivo. I costi totali unitari di produzione diminuiscono per effetto di una maggiore capacità produttiva. Ipotesi fondamentale: la capacità produttiva aumenta. Stiamo ragionando in una logica di lungo periodo. Tutte le tipologie di imprese, da quelle che producono beni a quelle dei servizi, cercano di ottenere economie di scala perché hanno la necessità di diminuire i costi. Con le economie di scala l’impresa diventa più efficiente. Beneficio per il mercato: abbassamento dei prezzi, conseguente alla riduzione dei costi interni, attrae più clienti. Beneficio per impresa: abbassando i costi, ci sarà un maggiore reddito disponibile. ES. catene alimentari fast food (Mc Donald), Primark. Asse delle ordinate y: costi unitari (CTu) Asse delle ascisse x: volume produttivo (QP) Asse delle ordinate y: costi unitari (CTu) Asse delle ascisse x: capacità produttiva (CP) 41 Fattori che permettono ottenimento economie di scala: 1. Relazione area-volume: la crescita del volume è più che proporzionale alla crescita dell’area. All’aumentare della dimensione delle imprese, la quantità di produzione che si ottiene è più che proporzionale all’aumento del costo. La produzione è correlata al volume. 2. Legge dei grandi numeri: tanto più un fenomeno diventa grande quanto più esso diventa regolare, anche in termini grafici. Per questo aspetto le imprese che meglio riusciranno a ottenere economie di scala saranno quelle di grandi dimensioni. Le piccole imprese, invece, hanno molta difficoltà per il fatto di non riuscire ad avere grandi volumi. 3. Costi progettazione e installazione: relativi ai nuovi impianti che si sostengono una sola volta prima di iniziare la produzione. 4. Specializzazione del lavoro: più un’impresa aumenta le sue dimensioni, più necessita di una maggiore specializzazione e organizzazione del lavoro per ridurre errori, sprechi, impiegare meno tempo nello svolgimento delle attività. 5. Imperfetta divisibilità di alcuni fattori produttivi: impossibilità di introdurre alcuni fattori produttivi in quantità inferiori a una loro specifica dimensione minima. L’impresa riuscirà a tendere sempre a ottenere economie di scala? NO perché alcuni di questi 5 fattori possono venire meno. Se almeno uno viene meno l’impresa sosterrà diseconomie di scala. → DISECONOMIE DI SCALA L’impresa sostiene diseconomie di scala in relazione al fatto che oltre certi livelli produttivi (“Dimensione Efficiente Minima” DEM) i costi unitari smettono di ridursi. Quindi la curva smetterà di scendere in corrispondenza del punto DEM. Se dopo il punto DEM, i costi si stabilizzano per un certo livello di quantità, su un basso livello, si ottiene un punto chiamato DOM “Dimensione Ottima Massima”, dopo il quale i costi cominceranno a crescere. Tra DEM e DOM i costi sono stabili. Fino a DEM: economie di scala. Da DOM in poi: diseconomie di scala. Se i costi, invece, non si stabilizzano significa che dopo il punto DEM i costi si alzeranno. In questo caso DEM e DOM coincidono e dalle economie di scala partono immediatamente le diseconomie di scala. Fattori, che prima incidevano in maniera positiva per creare economie di scala, ma che ora agiscono in maniera negativa andando ad aumentare i costi e creando economie di scala: - Problemi di coordinamento che comportano un incremento di costi manageriali. - Difficoltà di controllo nell’attività di produzione può comportare maggiori sprechi 28/05/2015 2 42 - Limitata disponibilità di alcuni fattori produttivi che causano maggiori costi di approvvigionamento - Limitate possibilità di assorbimento del mercato con necessità di sostenere crescenti costi di commercializzazione e marketing → ECONOMIE DA APPRENDIMENTO All’aumentare del volume produttivo cumulato/quantità cumulata i costi diminuiscono. I risparmi nei costi unitari di produzione passano attraverso la “cumulazione” nel tempo delle quantità di produzione. Relativa alla realizzazione dello stesso prodotto in grandi quantità. → ECONOMIE DI SCOPO I costi associati allo svolgimento in comune di due o più attività sono inferiori rispetto ai costi necessari a svolgere le stesse attività separatamente. I costi non diminuiscono in relazione alla realizzazione dello stesso prodotto (per economie da apprendimento). Nella realizzazione di due o più prodotti l’impresa ha già appreso degli aspetti dalla realizzazione di un primo prodotto che possono essere poi applicati e trasferiti nella realizzazione di un secondo prodotto. IL DIMENSIONAMENTO DELLA CAPACITÁ PRODUTTIVA Esprime di quanta capacità produttiva è conveniente che l’impresa si doti per realizzare i propri prodotti. Mentre l’impresa ha bisogno di capacità effettiva, molto spesso compra e vende capacità nominale. Le variabili da considerare sono: i volumi di vendita previsti e la forma della curva di domanda, la natura e le modalità di approvvigionamento delle materie prime, considerare eventuali strategie di mercato (in particolare la strategia di penetrazione del mercato). È necessario capire come cambia la capacità produttiva in funzione di due variabili: il tempo e la domanda. Ogni impresa deve analizzare la domanda, capire come evolve nel tempo e in funzione di questa scegliere il più adeguato dimensionamento della capacità produttiva e il livello di 4 La capacità produttiva e l’andamento dei costi Le economie da apprendimento • i risparmi nei costi unitari di produzione passano attraverso la “cumulazione” nel tempo delle quantità di produzione La capacità produttiva e l’andamento dei costi Le economie di scopo • i costi associati allo svolgimento in comune di due o più attività sono inferiori rispetto ai costi necessari a svolgere le stesse attività separatamente 4 La capacità produttiva e l’andamento dei costi Le economie da apprendimento • i risparmi nei costi unitari di produzione passano attraverso la “cumulazione” nel tempo delle quantità di produzione La capacità produttiva e l’andamento dei costi Le economie di scopo • i costi associati allo svolgimento in comune di due o più attività sono inferiori rispetto ai costi necessari a svolgere le stesse attività separatamente Asse delle ordinate y: costi unitari (CTu) Asse delle ascisse x: volume di produzione cumulato (VPC) contiene il passaggio del tempo, l’esperienza e l’apprendimento Asse delle ordinate y: costi unitari (CTu) Asse delle ascisse x: volume di produzione cumulato (VPC) 45 b) A valle o discendente (verso il basso) Incorporazione delle attività di produzione o vendita. ES. azienda tessile integra la fase del confezionamento di abiti. ES. impresa C incorpora attività della D; impresa E ingloba un’impresa della distribuzione esterna alla filiera di produzione. Vantaggi: - Diminuire certi costi (es costi di trasporto) - Ridurre il numero di passaggi nella filiera di produzione permette di abbassare il prezzo di vendita del bene. - Le imprese sono interconnesse, interdipendenti l’una con l’altra. Se un’impresa della filiera non lavora bene, le altre ne risentono. 2. ORIZZONTALE Riguarda la capacità produttiva. Quando impresa intende aumentale la capacità produttiva, questo può avvenire attraverso la creazione ex novo di nuove unità produttive (via interna) oppure attraverso l’acquisizione di unità operative pre-esistenti (via esterna). Ogni impresa è specializzata nella realizzazione di un’attività specifica. 2 imprese che svolgono lo stesso tipo di attività si fondono dal punto di vista produttivo per realizzare quel determinato output. Settore = insieme delle imprese che operano nello stesso ambito di attività economica. ES. impresa C e C1 fanno parte dello stesso settore, si occupano di una determinata attività produttiva e decidono di fondersi. ES. per realizzare camicia: A = ottenimento del tessuto, B = lavorazione tessuto, C = bottoni, D = stampe, E = impacchetta e spedisce. Vantaggi: - Aumento della qualità attraverso unione di due imprese che mostrano competenze e risorse importanti. - Reciproca opportunità tra due imprese che decidono di integrarsi. - Per accrescere il proprio appeal sul mercato, per mettere sul mercato un prodotto migliore qualitativamente sfruttando l’immagine dell’altra impresa. - Per aumentare la propria capacità produttiva. 46 DECENTRAMENTO PRODUTTIVO a) Di capacità Esternalizzo una parte o la totalità del processo produttivo per far fronte a incrementi strutturali della domanda. Il mercato al quale l’impresa si rivolge, strutturalmente/periodicamente, richiede un maggior quantitativo di quel prodotto e per colmare carenze quantitative di volumi produttivi, l’impresa non ritiene conveniente fare investimenti in capacità produttiva e acquistare un impianto ma piuttosto esternalizzare la produzione. È tipico delle imprese che hanno necessità stagionale di produrre di più. Il decentramento avviene con imprese con cui impresa ha avviato una relazione stabile e di lungo periodo. Il criterio di selezione delle imprese con cui collaborare è di tipo qualitativo (gerarchia). ES. Bauli. b) Di elasticità Esternalizzo una parte o la totalità del processo produttivo far fronte a aumenti congiunturali della domanda. In alcuni momenti e casi la domanda di quel prodotto potrebbe aumentare, questo potrebbe essere collegato ad un fatto episodico. L’impresa non ritiene conveniente fare investimenti in capacità produttiva e preferisce rivolgersi a terzi capaci di realizzare prodotti simili a costi contenuti. I rapporti con altre imprese non sono stabili ma di natura occasionale. Il criterio di selezione delle imprese con cui collaborare si fonda sul prezzo (mercato). ES. un’estate afosa può comportare un aumento nelle vendite di ventilatori c) Di specialità Impresa è priva delle competenze necessarie per svolgere una determinata attività produttiva, dunque si rivolge ad un’impresa terza. La relazione tra imprese è tipicamente di carattere continuativo (rete). DISTRETTI INDUSTRIALI O PRODUTTIVI Sistema produttivo determinato dalla compresenza in un territorio localmente circoscritto di un numero consistente di imprese di piccole e medie dimensioni integrate sia in termini produttivi che di reti di rapporti interpersonali, che sperimentano una particolare divisione del lavoro e che si giovano reciprocamente dell’industrial atmosphere. Fattori importanti: - Dimensione territoriale circoscritta - Imprese di piccole e medie dimensioni - Specializzazione settoriale per accumulazione di capacità professionali specializzate per lo svolgimento di determinate attività produttive - Divisione della produzione in fasi - Rapporti di concorrenza e collaborazione: imprese sono più competitive insieme - Instaurazione di rapporti di relazione che riducono i costi di informazione - Rapida circolazione delle informazioni e delle idee innovative - Sistema di valori condivisi che rispecchiano la comunità locale - Senso di appartenenza alla comunità economico-sociale - Sviluppo di un’atmosfera industriale: risultato indiretto del sistema di valori caratterizzanti il distretto che favorisce la diffusione di professionalità e mestieri. DEF Marshall: “I distretti industriali sono comunità di imprese di piccole dimensioni concentrate in un’area spazialmente definita e caratterizzate da forti omogeneità di natura socioculturale” DEF Becattini: “I distretti industriali sono un'entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un'area territoriale circoscritta di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali”. Definisce i distretti industriali come delle economie esterne 47 caratterizzate da un’accentuata divisione del lavoro che si sviluppa in modo spontaneo tra le imprese; forme condivise di coordinamento e di cooperazione; specializzazione flessibile che porta vantaggi di costo. Inoltre, la presenza dell’atmosfera industriale permette la condivisione di valori, cultura e best practice, una facile comunicazione e condivisione di conoscenze ed esperienze genera vantaggi di apprendimento. Le idee e le scelte all’interno del distretto vengono condivise in modo tale che anche le altre imprese possano effettuare lo stesso investimento per garantire una crescita a livello territoriale, secondo cui non c’è un’unica impresa che spicca ma lo fanno tutte insieme. Le economie da apprendimento si sviluppano più facilmente nei distretti e la conoscenza si sviluppa come nel “circuito/processo circolare della conoscenza” di Nonaka e Takeuchi. In Italia i distretti industriali sono oltre 150 e occupano circa il 70% dell’intera occupazione dell’industri manifatturiera italiana. Esempi di distretti produttivi del Nord-Est Italia: marmo (Valpollicella e Valpantena), mobile (bassa veronese), pelli (Arzignano e Vicenza), vino (Valpollicella), orafo (Vicenza), occhiali (Belluno), sport system (Montebelluna), calzaturiero (Mantova), sedia (Friuli Venezia Giulia). 3 categorie/forme di collegamento tra imprese: a) Gerarchia: relazioni di lungo periodo governate dall’autorità di un’impresa che comanda c) Mercato: transazione isolate guidate da meccanismi di convenienza estemporanea d) Rete o network: relazioni di lungo periodo, ogni autore è autonomo e detiene le proprie competenze distintive che costituiscono un valore aggiunto per il prodotto ottenuto e per gli altri attori. Ulteriore modello di collaborazione è l’impresa virtuale, ovvero una rete di imprese che si ripartisce il processo produttivo dove l’impresa centrale mantiene le attività più strategiche. Il processo produttivo viene eseguito da tante imprese che insieme formano virtualmente un’impresa. ES. Benetton ETICA D’IMPRESA E CSR “CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY” L’impresa è un sistema complesso e aperto che interagisce con l’ambiente esterno, utilizza le sue risorse, causando anche un impatto negativo sull’ambiente stesso. Inoltre, riesce a percepire i cambiamenti ambientali ed è in grado di trasformare le minacce in opportunità. Le imprese sono responsabili per ciò che accade alla collettività e all’ambiente. Oggi ci si aspetta che le imprese evitino di danneggiare l’ambiente in cui operano e che aiutino a migliorare la situazione della società. È necessario adottare i principi di etica e morale ed inserirli nella logica aziendale nei rapporti con i vari stakeholder, in questo senso si cerca di trasformare l’etica e la responsabilità sociale in business. ETICA DI IMPRESA Consiste nelle linee guida morali per la conduzione del business basate su nozioni di ciò che è giusto, sbagliato ed equo. Si analizza l’operato e il comportamento dei singoli individui nel loro operare quotidiano e non quello dell’impresa nel suo complesso come nella CSR. Negli ultimi anni molte imprese sviluppano codici di condotta (codici etici) per guidare i manager nel prendere decisioni. I codici di condotta sono dei documenti in cui le linee guida sono sviluppate e spiegate e tutti coloro che operano nell’impresa devono attenersi ad essi poiché sono stabiliti dal vertice aziendali e condivisi all’interno dell’impresa. 50 L’IMPRENDITORIALITÁ SOCIALE L’imprenditorialità sociale è intesa come il processo attraverso cui gli imprenditori seguono una missione sociale, creano cioè benefici per la collettività. La missione sociale si propone di risolvere i problemi e di soddisfare i bisogni sociali degli stakeholder, creando loro benessere sociale più che personale e può essere espressa in termini di: cambiamento sociale, trasformazione sociale, creazione di valore sociale e impatto sociale. L’imprenditore sociale è orientato nello svolgimento dell’attività aziendale ad innovare il proprio prodotto e a creare benefici per la collettività. Il termine “imprenditorialità sociale” è utilizzato per descrivere le attività che combinano lo scopo imprenditoriale con obiettivi sociali sulla base di approcci innovativi per ottenere una missione sociale. È importante sviluppare modelli di business che mirino alla creazione di valore sociale. Ogni impresa su base volontaria e discrezionale dovrebbe mettere al centro delle proprie scelte strategiche ed operative l'uomo e le sinergie generate in un ambiente competitivo e relazionale, per non ricercare esclusivamente come finalità il profitto ma piuttosto creare valore e benessere per tutta la comunità. Il profitto deve comunque avere un ruolo primario perché attraverso esso l’impresa può investire in tante attività e utilizzare gli utili per creare benefici per la collettività, MA in quest’ottica deve essere utilizzato come strumento per assicurare il benessere di tutti gli stakeholder. Oggi l'imprenditorialità sociale non è solo limitata al settore no profit, ma include: - organizzazioni no profit alla ricerca di strategie di finanziamento attraverso iniziative imprenditoriali - imprese a base filantropica o focalizzate su attività che sono strettamente connesse a obiettivi sociali (es. Petrollo) - imprese for profit che utilizzano l'innovazione per soddisfare le esigenze dei clienti e delle comunità e risolvere i loro problemi Imprese come Nardini, Brunello Cucinelli, Loccioni, Olivetti, Salewa, Pedrollo, Davines, Ethereum, Tesla, hanno innovato il loro prodotto rispetto al core business ispirandosi ad un modello di imprenditorialità sociale in cui il profitto non è più un fine, ma un mezzo per generare benefici sociali. “Impresa armonica” (Baccarani, 1991) “Good business” (Csikszentmihalyi, 2003) “Conscious business” (Kofman, 2006) “Humanistic Management” (Spender, 2015) DEF1: L’imprenditore sociale è un individuo il cui obiettivo principale non è fare profitto ma creare valore sociale per il quale adotta un comportamento imprenditoriale. Caratteri dell’imprenditore sociale: - Adozione di un approccio visionario e innovativo - Forti qualità etiche e morali - Abilità nello scoprire opportunità - Gioca un ruolo chiave come agente di cambiamento della società - Non è limitato dalle risorse che ha a disposizione ma può ottenerne di nuove DEF2: L’imprenditore sociale è un individuo visionario che è capace di identificare e scoprire opportunità, di usare sapientemente le risorse necessarie al raggiungimento della sua missione sociale e di trovare soluzioni innovative ai problemi sociali della sua comunità che non sono adeguatamente soddisfatti dal sistema locale/Stato. 51 LE STRATEGIE D’IMPRESA La strategia è il comportamento imprenditoriale di lungo termine volto al raggiungimento degli obiettivi primari di gestione definiti in funzione dell’evoluzione ambientale. È un obiettivo che qualcuno si pone nell’ottica di medio lungo termine. DEF di Chandler 1962 “la strategia è la determinazione delle finalità e degli obiettivi di lungo periodo dell’impresa e l’attuazione delle linee di condotta e l’allocazione delle risorse necessarie per il perseguimento degli obiettivi prefissati” Tre elementi che caratterizzano la strategia: il lungo periodo, l’orientamento strategico e l’organizzazione. Per il lungo periodo è stato sviluppato il modello dei 3 orizzonti secondo il quale qualsiasi organizzazione dovrebbe essere concepita come un sistema costituito da 3 tipi di attività, ciascuna delle quali è caratterizzata da un proprio orizzonte strategico di riferimento in termini di anni. Le attività nell’orizzonte1 rappresentano il core business dell’impresa, quelle nell’orizzonte2 sono i business emergenti e infine quelle nell’orizzonte3 sono nuove opportunità di business. L’orientamento strategico, poi, viene definito sia dagli imprenditori sia dai manager attraverso l’individuazione di obiettivi di lungo periodo. L’organizzazione interna viene definita dalle persone coinvolte, dai loro interessi e punti di vista. La variazione della strategia è legata a aspetti di natura macro-ambientale e non alle decisioni del vertice aziendale. ES. un tempo la localizzazione del punto vendita era una scelta altamente strategica, ora non più a seguito dell’introduzione delle vendite online. Il compito principale della strategia è quello di definire ed esprimere gli scopi di un’organizzazione in modo chiaro ed efficace per riuscire a mobilitare gli stakeholder verso il loro raggiungimento. La formulazione di una strategia dovrebbe comprendere tre elementi: gli scopi fondamentali che l’impresa persegue che trovano espressione nella mission, vision, obiettivi; l’ambito di attività che definisce lo spazio competitivo; il vantaggio competitivo. Studiosi importanti di strategia aziendale: Alfred Chandler Harvard Business School; Michael Porter Harvard Business School; Peter Drucker Claremont University; Henry Mintzberg McGill University in Canada. Strategia ≠ tattica La tattica è la traduzione sul piano operativo della strategia attuata in una prospettiva di breve periodo. È sinonimo di politica aziendale. Ha un orizzonte di breve termine, limitazione tempo/spazio, maggior dettaglio e modificabilità. Le azioni/tattiche che sono di breve periodo sono più facilmente modificabili rispetto alla strategia di fondo che si vuole realizzare a causa anche del contatto con l’ambiente esterno in continuo mutamento. ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO (OFS) Le scelte strategiche sono influenzate dall’orientamento strategico di fondo, cioè dal complesso di valori (principi) posti alla base della vita aziendale. OFS = identità profonda dell’impresa o, se si preferisce, la parte nascosta e invisibile del suo disegno strategico, che sta al di sotto delle scelte concrete esplicitatisi nel profilo strategico visibile. 52 → VISION È ciò che l’impresa si propone di diventare in futuro. È un’aspirazione particolarmente ambiziosa dell’impresa. In inglese viene definita anche “strategic intent”. È una motivazione strategica, aspirazione di lungo termine da diffondere in impresa come motivazione delle risorse umane. Viene identificata dal top management e poi applicata quotidianamente attraverso le varie iniziative. È un importante riferimento per tutta l’impresa, per questo deve essere condivisa da tutti coloro che operano nell’impresa in modo che essi collaborino per raggiungere la vision stessa. Una volta decisa la vision, questa difficilmente verrà modificata, rimane immutata nel tempo, in quanto deve esprimere i valori aziendali sui quali l’impresa si vuole basare. Non è possibile formulare la vision in relazione ad un fine economico (ad esempio obiettivo di fatturato da raggiungere), ma viene formulata in modo generico e ampio. La vision deve esplicitare il traguardo tenendo conto sia dello scopo da raggiungere sia dei valori che l’imprenditore si è dato. La vision risponde alla seguente domanda: “quali traguardi (in termini di obiettivi e attività) voglio raggiungere tra x anni?” La vision è l’ideologia al cuore dell’impresa, non si modifica, è senza tempo, definisce l’essenza dell’impresa stessa. Due parti fondamentali della vision aziendale: • Core values: valori aziendali • Core pupose: la più importante ragion d’essere dell’impresa, riflette le motivazioni realistiche che portano le persone a lavorare per l’impresa Esempi di vision formulati come slogan per essere facilmente ricordata da tutti, immediatamente comprensibile e rappresentare un obiettivo di fondo che rimarrà immutato. Henty Ford “Un’automobile per ogni famiglia” Steve Jobs “Una persona, un computer” Spotify “Diventare il sistema operativo della musica” ES. vision di Walt Disney “fare felici tutte le persone” contiene i core values dell’impresa: cordialità, fratellanza, gioia, unità e la core purpose: non solo costruire parchi di divertimento o fare film, ma “to make people happy”. → MISSION Esprime l’attività fondamentale che l’impresa fa o si propone di fare. È il fine che dà senso all’organizzazione. Mettere in evidenza il modo con il quale l’impresa raggiunge il traguardo definito dalla vision. Comunica con chiarezza a tutti gli stakeholder gli scopi che l’organizzazione vuole perseguire. La mission può cambiare nel tempo ogni volta che l’obiettivo viene raggiunto. Deve essere significativa (esprimere un significato), specifica (non vaga) e motivante. Non è possibile formulare la mission in termini economici di profitti e di vendite (come la vision). È più efficace la mission orientata al mercato (market-oriented) e non al prodotto, in quanto deve basarsi sulla soddisfazione dei bisogni del mercato e sull’esplicitazione degli obiettivi di fondo che l’impresa vuole raggiungere. Deve esaltare i punti di forza dell’impresa. Non è detto che tutte le mission contengano tutti e 4 i macroelementi riportati ma se così fosse sarebbe più comunicativa. Risponde alle seguenti domande: Qual è il nostro business? Chi sono i nostri clienti? Qual è il valore che vogliamo offrire? In che cosa facciamo la differenza? È importante che la missione si caratterizzi per un forte orientamento al mercato piuttosto che orientamento al prodotto? 55 IL PROCESSO STRATEGICO Individuazione di 7 fasi: 1. Definizione della strategia 2. Individuazione della vision, mission e obiettivi aziendali 3. Analisi del macroambiente (analisi esterna) 4. Analisi del settore di attività (analisi competitiva) 5. Analisi del potenziale aziendale (analisi interna) 6. Esplorazione e valutazione delle alternative strategiche 7. Interventi strategici APPROCCIO ANALITICO-RAZIONALE → STRATEGIA DELIBERATA L’approccio analitico-razionale è basato sull’adozione di una strategia intenzionale che nasce dall’intenzione del decisore aziendale/top management/imprenditore di voler attuare quella determinata strategia. La strategia intenzionale è il risultato di processi decisionali deliberati, è basata su studi, analisi e approfondimenti sull’interno e sull’esterno dell’impresa che permettono di prendere una decisione razionale. È data dallo schema di azione che la leadership dell’impresa vuole intraprendere. Una strategia intenzionale può trasformarsi in strategia realizzata attraverso una strategia deliberata che permette di effettuare realmente il processo strategico pensato. La strategia deliberata corrisponde allo schema di azione che si vuole seguire. La strategia realizzata è quella che è possibile osservare a posteriori come lo schema di azione effettivamente posto in essere. La strategia intenzionale può anche non essere realizzata per due motivi: o perché viene rimossa o abbandonata o perché dopo l’analisi deliberata di studio specifico si capisce che non si è più in grado di attuare quella strategia. La strategia realizzata è quella che è possibile osservare a posteriori come lo schema di azione effettivamente posto in essere. Schema di Mintzberg e Waters (1985) Strategia deliberata Strategia intenzionale Strategia realizzata Non tutte le strategie nascono, come in questo caso, per pianificazione secondo un processo deliberato e si attuano in base a strategia intenzionale, alcune strategie nascono per occasionalità, come nel caso della strategia emergente. La strategia deliberata si costruisce ed è basata su un piano di azione specifico che permette di analizzare se i mercati sono caratterizzati da sufficiente prevedibilità e limitata variabilità. Infatti, è conveniente usare una strategia deliberata quando i mercati si caratterizzano per una certa prevedibilità e limitata variabilità della domanda. Strategia non realizzata Strategia rimossa o abbandonata 56 APPROCCIO EMERGENTE → STRATEGIA EMERGENTE La strategia emergente è quella che emerge dalla sperimentazione, dalla realtà, da occasioni strategiche non previste che condizionano lo schema di azione. Per attuare strategia emergente è necessario imparare dall’esperienza e saper cogliere i segnali deboli. Infatti, è conveniente usare una strategia emergente quando il mercato è sempre più esigente e difficilmente prevedibile. Le strategie tendono ad emergere progressivamente in impresa in relazione a: - processi incrementali: attuazione di continui miglioramenti che nascono da processi incrementali. - situazioni contingenti: in base a ciò che è accaduto l’impresa decide di operare per rispondere alle necessità contingenti. ES. covid e università. - comportamenti accidentali. ES. I post-it sono nati da una strategia emergente, l’idea iniziale era quella di creare una colla molto resistente. Il microonde è nato da una strategia emergente, doveva essere un prodotto di natura industriale e non domestico. ES. Decathlon ha trasformato maschere da sub in maschere per respirazione durante a pandemia: strategia emergente, value proposition, innovazione di prodotto. ANALISI DEL MACROAMBIENTE (punto3) Strumenti: analisi PESTEL, analisi previsionale, analisi di scenario. I fattori chiave del cambiamento sono quei fattori del macroambiente che avranno un impatto rilevante sui settori produttivi condizionando il successo o il fallimento di una strategia. Riuscire ad identificare i fattori chiave del cambiamento può aiutare i manager a focalizzarsi sui fattori dell’analisi PESTEL più importanti. Nei confronti dell’evoluzione dell’ambiente esterno, l’imprenditore o il gruppo imprenditoriale possono adottare differenti tipi di atteggiamenti: attesa, anticipatorio, attivo, pro-attivo. ⇒ Se l’impresa adotta un atteggiamento passivo e di attesa significa che di fronte ai cambiamenti dell’ambiente non mette in atto alcuna azione strategica volta a contrastare il cambiamento ma aspetta per capire come e quando questo arriverà. All’interno dell’impresa vige un modello basato sulla ripetitività delle azioni strategiche (modello gestionale ripetitivo). Questo tipo di imprese sono governate da qualcuno che non ha le competenze per affrontare il cambiamento. ⇒ Se l’impresa adotta un atteggiamento anticipatorio significa che coloro che la guidano sono riusciti a cogliere dei segnali e a mettere in atto delle azioni che anticipino il cambiamento. È un modello gestionale difensivo che cerca di anticipare ciò che accade anche adattandosi alla situazione e non agendo in modo attivo. ⇒ Se l’impresa adotta un atteggiamento attivo e proattivo significa che non aspetta e non si adatta a quello che sta avvenendo, ma cerca attivamente di essere agente di cambiamento. È un modello gestionale di sviluppo in cui l’impresa cerca di porre sul mercato e di relazionarsi con gli stakeholder in modo fortemente innovativo per rispondere al cambiamento in corso. ES. Tic Tac colorate hanno avuto un successo esponenziale sul mercato brasiliano, mentre quello italiano non era predisposto mentalmente al confetto colorato, e quindi il prodotto non aveva lo stesso appeal. Hanno portato il prodotto sul mercato in un momento sbagliato, anticipando troppo i tempi e assumendo un atteggiamento attivo e pro-attivo. Per far apprezzare il prodotto anche ai consumatori italiani hanno dovuto colorare prima la confezione poi i confetti 57 mantenendo la confezione trasparente. L’impresa ha accompagnato il cliente ad accettare un prodotto che prima avevano rifiutato. ES. mozzarella Franciacorta nella confezione nera non dava al cliente l’idea di freschezza. 1. ANALISI PESTEL È uno strumento di analisi del macroambiente che permette di esaminare le relazioni di mercato e di non mercato (considera tutti gli stakeholder). In precedenza questa analisi veniva chiamata PEST o STEP. Considera 6 gruppi di fattori ambientali: politica, economica, sociale, tecnologica, ecologica, giuridica. L’analisi PESTEL può essere effettuata usando fonti secondarie come dati pubblici (siti web, bilanci annuali delle società, articoli pubblicati dalla stampa e da riviste specializzate, report delle società di consulenza), o primarie, intervistando direttamente manager, clienti, fornitori, consulenti, accademici, funzionari governativi e analisti finanziari. La sintesi di un’analisi PESTEL può essere rappresentata in una tabella. FATTORI POLITICI: valutare come il contesto politico possa condizionare le scelte aziendali in termini di minaccia e opportunità. Analizzo: - ruolo dello Stato nei confronti di un’attività: cliente, fornitore, proprietario, regolatore del business. - esposizione delle imprese alle pressioni derivate della società civile: gruppi di pressione, comitati di protesta, social media, media tradizionali. Con il termine “società civile” si considerano in particolare dei gruppi di cittadini. Se incrociamo queste due variabili in una matrice si generano 4 quadranti: Settore della difesa Settore delle vie di navigazione interna Settore alimentare Settore turistico alberghiero Oggi la matrice è ancora attuale? A seguito della pandemia la matrice potrebbe essere modificata. Ad esempio nel settore turistico alberghiero c’è un alto coinvolgimento diretto dello Stato. FATTORI ECONOMICI: analisi del ciclo economico. Come i mercati sono influenzati dall’economia generale? Analizzo i tassi di cambio tra le valute, i tassi di interesse, confronto i tassi di crescita tra i Paesi. Come variano questi tassi in relazione ai diversi mercati? Analizzare queste variabili per capire come sta variando il macroambiente a livello economico. Si è osservato come violente flessioni nella crescita economica siano spesso associate a un declino dei tassi di interesse e dei tassi di cambio. Le stagioni economiche positive non durano per sempre e che i momenti economici negativi trovano alla fine una via d’uscita verso la ripresa. È importante identificare i punti di svolta del ciclo economico. Gli analisti devono riconoscere correttamente il posizionamento dell’impresa nel contesto della fase congiunturale del sistema economico. Se si è ALTO A LT A BASSO B A SS A COINVOLGIMENTO DIRETTO DELLO STATO ES P O SI ZI O N E A LL E P R ES SI O N I D I N A TU R A P O LI TI C A 60 - Analisi delle citazioni: il potenziale impatto dei brevetti e degli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche sullo sviluppo tecnologico viene misurato in base alla quantità di citazioni ottenute in altri documenti o pubblicazioni. ES. Google Scholar. - Comunicazioni sui nuovi prodotti: attraverso comunicati stampa e altri media. - Copertura mediatica: media diffondono notizie sulle tecnologie più innovative. Le fonti di informazioni per raccogliere dati qui enunciate sono secondarie. FATTORI ECOLOGICI: - Riduzione dell’inquinamento: non riguarda più solo lo smaltimento dei rifiuti nella parte finale del processo produttivo, ma tutte le fasi aziendali (approvvigionamento, produzione, distribuzione). - Gestione del prodotto in modo responsabile: riguarda l’intera catena del valore. Farsi carico dell’impatto ecologico del prodotto. - Sviluppo sostenibile: produrre ponendo attenzione al benessere economico e sociale delle comunità locali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. FATTORI GIURIDICI: analisi degli aspetti giuridici inerenti al lavoro, alla regolamentazione dell’ambiente e dei diritti dei consumatori, alla tassazione e alla disciplina contabile, alle norme sulla proprietà, sulla concorrenza e sul governo societario. ESEMPIO analisi PESTEL sul settore petrolifero nel 2016 sulla base di fonti pubbliche 2. ANALISI PREVISIONALE È uno strumento di analisi del macroambiente che permette di analizzare la probabilità che un certo fattore dell’analisi individuato con l’analisi PESTEL si verifichi. I diversi approcci della previsione: legata ad un evento singolo, legata ad un intervallo previsionale, previsione di futuri alternativi. a) Previsione di singoli eventi futuri: di bassa incertezza, usata per previsione del budget aziendale e del fatturato. 17 ANALISI DEL MACROAMBIENTE Analisi PESTEL sul settore petrolifero effettuata nel 2016 sulla base di fonti pubbliche OPPORTUNITÀ MINACCE Sostegno governativo P Instabilità politica globale Politiche dell’Arabia Saudita Nuove aree di sviluppo Concentrazione del business E Debole crescita dell’economia mondiale S Minore uso delle automobili Nuove tecnologie produttive T Tecnologie più efficienti nel consumo di carburante E Cambiamento climatico L Obblighi imposti dalla legislazione anti-inquinamento Riduzione del ricorso a fonti energetiche derivate dal carbonio ANALISI DEL MACROAMBIENTE Atteggiamenti strategici • Nei confronti dell’evoluzione dell’ambiente esterno, l’imprenditore o il gruppo imprenditoriale possono adottare differenti tipi di atteggiamenti: • attesa • anticipatorio • attivo • pro-attivo Risultati Tempo 61 b) Intervallo di previsione: previsione di media incertezza. È un range che definisce la prevedibilità dell’attuazione di quell’evento. Le imprese hanno minore fiducia nella capacità di prevedere l’evoluzione delle circostanze future e preferiscono stimare un intervallo di possibili risultati. Sono chiamati anche “grafici a ventaglio”. Usate per previsione degli indicatori economico- finanziari (tassi di crescita o inflazione) c) Previsione di futuri alternativi: previsione di alta incertezza. Come l’evento può evolversi in futuri alternativi. È utile ragionare in quest’ottica così sono già pronto ai possibili scenari futuri alternativi a seconda della realtà in cambiamento. Le alternative future sono discontinue, possono verificarsi o meno. Direzioni del cambiamento: • Megatrend: il trend che riguarda tutti. Rappresentato da mutamenti politici, economici, sociali, tecnologici, ecologici, giuridici che determina conseguenze per lungo periodo. ES. invecchiamento della popolazione impatta su diversi settori: assistenza sociale, retail, turismo, edilizia. ES. surriscaldamento globale impatta su agricoltura, turismo, assicurativo. ES. digitalizzazione, sostenibilità. • Punti di flesso: momento in cui il trend cambia improvvisamente direzione verso l’alto o verso il basso. • Segnali deboli: offrono anticipatamente indicazioni sulle tendenze future e sono utili per identificare i punti di svolta. 3. ANALISI DI SCENARIO È uno strumento di analisi del macroambiente. Gli scenari offrono un quadro di alternative plausibili sulle direzioni del cambiamento del macroambiente nel prossimo futuro. Non sono probabilità, ma possibili situazioni di lungo periodo che potrebbero anche non verificarsi. Si proiettano in un futuro lontano per il quale non è possibile formulare ipotesi sulle alternative possibili.È un’analisi utilizzata in condizioni di elevata incertezza. Permette di fare ipotesi su possibili soluzioni applicabili nel medio lungo termine che potrebbero anche non verificarsi. Aiuta ad essere preparati per affrontare situazione che potrebbe verificarsi. Risultati Tempo Risultati A B Tempo 62 Fasi: ▪ definire l’ampiezza del raggio d’azione ▪ identificare i fattori chiave del cambiamento ▪ sviluppare storie diverse per ogni scenario ▪ identificare possibili impatti sull’organizzazione di scenari alternativi ▪ sorvegliare gli sviluppi ANALISI DEL SETTORE DI ATTIVITÁ (punto4) Un settore è attrattivo quando le imprese appartenenti al settore possono immaginare di realizzare profitti particolarmente elevati. È un’analisi basata su stime, ma deve essere il più possibile completa ed esaustiva. Occorre valutare 2 aspetti: 1) INTENSITÀ DELLA CONCORRENZA. Quante imprese sono presenti nel settore e qual è la loro dimensione? La risposta ci porta a capire quanto è intensa la dimensione concorrenziale del settore e a determinare la concentrazione settoriale. Concentrazione del settore o forme di mercato (termine usato in ambito economico dove la parola mercato e settore sono usati come sinonimi): • Concorrenza pura o perfetta: tanti piccoli produttori nel settore propongono prodotti omogenei in una condizione di totale trasparenza informativa per il consumatore e con libertà di ingresso nel settore da parte di nuovi produttori. Nasce quando c’è incontro tra domanda e offerta. Vengono venduti prodotti simili tra loro. Non c’è nessuna barriera in entrata (vincolo che si crea quando un’impresa vuole entrare ad operare in un determinato settore) o in uscita (vincolo che si crea quando un’impresa vuole uscire dall’attività che svolge in quel settore). Il numero di imprese è elevato. La tecnologia utilizzata è la stessa, perciò le imprese non hanno un vantaggio in termini di costi relativamente all’uso di queste tecnologie. Non c’è nessun costo di transazione (necessari per ricercare info su prodotti/fornitori/altri soggetti con i quali entro in contatto e sono legati all’aspetto legale/amministrativo). ES. settore degli allevamenti (difficile capire tutte le imprese esistenti, come è strutturato questo settore, il prezzo del prodotto viene definito dal produttore e confrontandosi con il consumatore) • Monopolio: nel settore opera un unico produttore che lo controlla. ES. settore dei tabacchi (monopolio di stato del tabacco), “De Beers” monopolio nella produzione di diamanti, nel passato c’era il monopolio del settore della telefonia. • Oligopolio: pochi grandi produttori nel settore con prodotti omogenei o differenziati tra lori. ES. settore automobilistico, metallurgico, petrol-chimico, strumentazione elettronica e dei computer. • Concorrenza monopolistica: tanti produttori, ma tutti fortemente differenziati attraverso la qualità proposta e/o la comunicazione agli occhi del potenziale cliente. I produttori si distinguono tra di loro e sono concorrenti, non collaborano tra loro. ES. Barilla nel settore della produzione della pasta, agli occhi del cliente il suo prodotto è diverso da quello dei competitor. Nei supermercati i prodotti si trovano a livello suolo o mani (più bassi) perché è molto ricercato dal cliente ma per il distributore dà una rendita marginale. Cambia colore per sottolineare che è prodotto italiano. 65 elevata pressione sulle imprese che offrono lo stesso prodotto. Gli switching cost sono più bassi per beni standardizzati e poco differenziati e quando i consumatori riescono ad avere informazioni adeguate e affidabili sui prezzi e sulle caratteristiche del prodotto. Sono costi che non vanno intesi solo in termini economici, ma anche come impiego di tempo e risorse. - Minacce di concorrenza da parte dei clienti: potere contrattuale dei clienti aumenta quando questi hanno la capacità di procurarsi autonomamente un determinato prodotto. - Redditività dei clienti marginale e impatto sulla qualità dell’offerta non significativo: i clienti fanno pressione per una riduzione dei costi. La minaccia di un crescente potere contrattuale dei clienti implica: una caduta dei prezzi, un aumento della qualità domandata, elevata competitività interna a spesa della profittabilità. ES. Procter&Gamble. I clienti finali sono le catene di supermercati come Esselunga e Conad che acquistano in grandi quantità i loro prodotti. I consumatori finali sono gli individui che acquistano i prodotti per l’igiene personale. I clienti sono quelli che hanno maggior potere contrattuale. 5. Potere contrattuale dei fornitori Il potere contrattuale dei fornitori aumenta in seguito a una di queste condizioni: - Concentrazione dei fornitori elevata: potere contrattuale dei fornitori è maggiore quando il numero di coloro da cui l’impresa può approvvigionarsi è ridotto. - Switching cost elevati: se il passaggio da un fornitore ad un altro è molto costoso, l’impresa aumenterà la propria dipendenza di acquisto verso gli stessi fornitori. Il cambiamento del fornitore è un passaggio difficile in quanto nl tempo si è sviluppato un rapporto di fiducia tra impresa e fornitore. ES. settore assicurativo. - Minacce di concorrenza da parte dei fornitori: potere contrattuale dei fornitori è maggiore quando sono in grado di entrare in relazione diretta con i consumatori finali, eliminando coloro che operano nelle attività di intermediazione. ES. compagnie aeree con biglietti di viaggio hanno scavalcato le agenzie di viaggi. - Differenziazione dei prodotti: potere contrattuale dei fornitori è maggiore quando i prodotti sono molto differenziati. 6. Organizzazioni complementari Un’organizzazione è complementare ad un’altra se ne accresce l’attrattività per i clienti o fornitori. Le organizzazioni complementari cooperano tra loro per accrescere il valore complessivo disponibile e permettono al cliente di fruire di servizi strettamente correlati al prodotto realizzato Si parla di complementarietà dal lato della domanda quando i clienti attribuiscono un maggior valore ai prodotti o servizi di un’impresa per il fatto di utilizzare anche i prodotti di un’altra impresa. Si parla di complementarità dal lato dell’offerta quando per un’organizzazione approvvigionare quella determinata impresa risulta più vantaggioso in quanto gli stessi servizi possono essere forniti anche ad altre organizzazioni. ES. Quando acquisto telefono non lo uso solo per le sue funzionalità legate alla navigazione sul web o per telefonare ma per la possibilità di fruire di diverse app disponibile in quel telefono e in prodotti sostitutivi come i tablet. ES. Sony e Apple possono sia cooperare sia competere tra loro. L’impresa Sony rispetto all’Ipod della Apple potrebbe essere un’impresa concorrente guardando la realizzazione del 66 Walkman e MP3; un’impresa fornitrice, in quanto fornisce batterie ai polimeri di litio; un’impresa complementare per il reparto Sony Music. CICLO DI VITA DEL SETTORE L’intensità delle 5 forze di Porter varia in funzione della fase del ciclo di vita del settore. La fase di sviluppo è una fase sperimentale con poche imprese non direttamente concorrenti che offrono prodotti altamente differenziati. Nella fase di crescita la concorrenza tra le imprese non è ancora elevata ma vi è una maggior presenza di clienti che desiderano possedere prodotti nuovi. Nella fase di consolidamento il mercato si avvicina ad un alto grado di saturazione e la redditività delle imprese dipende da come la rivalità costringe le organizzazioni più deboli ad uscire dal mercato. Nella fase di maturità le barriere all’entrata sono più elevate, i prodotti sono standardizzati, il prezzo è il principale fattore competitivo e la redditività dell’impresa dipende dalla quota di mercato. OCEANO ROSSO O OCEANO BLU? Oceano Rosso = spazio di mercato/settore poco attrattivo con tanti competitor, per entrare e svilupparsi richiede molte risorse. Non è facile ottenere vantaggio competitivo e aumentare i profitti. Non è vantaggioso. Entrare ad operare nell’Oceano Rosso significa sfruttare la domanda esistente, competere nell’attuale spazio di mercato, battere la concorrenza, assecondare il trade- off costo valore. Oceano Blu = nuovo spazio di mercato in cui la concorrenza è minima. Chiamato anche “strategic gap” perché rappresenta delle opportunità non ancora pienamente sfruttate dalle imprese concorrenti. È necessario cercare che cosa il mercato vuole in termini nuovi capendo i bisogni nuovi che posso soddisfare. Entrare ad operare nell’Oceano Blu significa creare e soddisfare una nuova domanda, creare uno spazio di mercato incontestato in cui ci sono ancora pochi competitor, eludere la concorrenza, spezzare il trade-off tra costo e valore. 9 ANALISI DEL SETTORE DI ATTIVITÀ Ciclo di vita del settore ANALISI DEL SETTORE DI ATTIVITÀ Attenzione agli Oceani 67 ANALISI DEL POTENZIALE AZIENDALE (punto5) Il potenziale aziendale è l’insieme di risorse e competenze possedute dall’impresa, definite core competence da Gary Hamel e C.K. Prahalad. Le risorse e capacità aziendali contribuiscono a garantire la sopravvivenza di un’organizzazione nel lungo periodo e a configurare il suo potenziale vantaggio competitivo. Le risorse sono l’insieme degli asset che un’organizzazione possiede. Le capacità sono le modalità con le quali questi asset vengono utilizzati. Il livello soglia del potenziale aziendale rappresenta il livello di risorse e capacità di cui un’organizzazione ha bisogno per poter competere in un determinato mercato e raggiungere un risultato almeno equivalente a quello dei concorrenti. Rappresenta ciò che è richiesto all’organizzazione per sopravvivere e durare nel tempo. Può variare per soddisfare le richieste dei clienti e a seguito di manovre concorrenziali dei competitor. Per conquistare un vantaggio competitivo duraturo e performance superiori rispetto a quelle dei competitor sono necessarie risorse e competenze distintive che rendono l’impresa unica e distinta dalle altre sia per la preferenza accordata dai clienti sia per la difficoltà dei competitor di imitarla a livello prestazionale. È necessario esaminare quali risorse sono presenti in un’impresa e quali rappresentano un potenziale per l’impresa. La catena del valore di Porter è uno strumento utilizzato per comprendere quali sono le risorse interne all’impresa in termini di funzioni aziendali. Se si vuole anche esaminare come devono essere le risorse interne, si può effettuare un’analisi in termini di risorse e competenze possedute dall’impresa. Per analizzare il potenziale aziendale si può usare: a) MODELLO VRIO Strumento per valutare se, come e fino a che punto un’impresa abbia risorse e capacità per conseguire un determinato vantaggio competitivo. Le capacità in questione devono rispondere a questi criteri: Valore, Rarità, Inimitabilità, Organizzazione. Valore: l’impresa deve creare valore dal punto di vista economico, in termini di contenimento dei costi per raggiungere il livello di redditività atteso. Per fare questo dovrà essere in grado di sfruttare le opportunità e neutralizzare le minacce che derivano dall’ambiente esterno. È importante anche analizzare il valore creato dall’impresa per il cliente, chiamato “valore percepito dal cliente”, che nasce dal confronto tra i benefici che il cliente ha ottenuto rispetto ai sacrifici che il cliente ha dovuto sostenere. I benefici sono gli elementi che consentono al cliente di essere soddisfatto in relazione all’acquisto di un prodotto. Le risorse e le competenze dell’impresa devono far si che i benefici ottenuti siano commisurati rispetto ai sacrifici. Rarità e Inimitabilità: l’impresa deve fare un’analisi delle competenze uniche, che non possano essere riprodotte e sfruttare da altre organizzazioni. Queste risorse che determinano un vantaggio competitivo duraturo possono riguardare particolari capacità di marketing o brevetti. Organizzazione: analisi dell’organizzazione dei sistemi e dei processi aziendali. L’impresa deve dotarsi di un’adeguata struttura organizzativa che sfrutti pienamente il potenziale aziendale. b) ANALISI SWOT Rappresenta un sommario dei punti di forza (Strenghts) e di debolezza (Weaknesses) che derivano dall’analisi del potenziale aziendale, insieme alle opportunità (Opportunities) e alle minacce (Threats) che emergono dall’analisi dell’ambiente. Può essere effettuata a livello corporate, legata a aspetti connessi allo sviluppo dell’impresa, di un’ASA, ad un prodotto, ad un portafoglio prodotti. 70 ES. business unit del settore gelati Nestlè decide come competere con le piccole imprese artigianali locali riguardo nuovi gusti, prezzi, canali di distribuzione, preferenze cliente. Raggruppamenti strategici = gruppi di imprese che, all’interno dello stesso settore, presentano caratteri e comportamenti strategici simili, perseguendo il vantaggio competitivo in modo omogeneo e adottando strategie simili. Le imprese dello stesso raggruppamento strategico collaborano tra di loro e individuano insieme la strategia da intraprendere. L’individuazione dei raggruppamenti strategici è utile per comprendere le caratteristiche della concorrenza all’interno del raggruppamento strategico specifico di quell’impresa, per analizzare le opportunità strategiche e le barriere alla mobilità (ostacolano spostamento imprese tra raggruppamenti strategici diversi). ES. nei distretti industriali considero solo le imprese che collaborano e operano nello stesso settore. Caratteri essenziali della corporate strategy: ▪ riguarda l’impresa nella sua totalità ▪ viene formulata a livello di alta direzione (imprenditore, manager) ▪ è proiettata nel lungo periodo ▪ è orientata al cambiamento perché si va a delineare il futuro sviluppo dell’impresa ▪ è relativamente vincolante (definire una strategia nel lungo periodo vincola le scelte del decisore aziendale) ▪ è/dovrebbe essere caratterizzata dall’intenzionalità. Dovrebbe nascere in funzione di un processo strategico intenzionale. LA MATRICE DI ANSOFF (1962 Igor Ansoff) Anche chiamata “matrice di sviluppo” o “matrice prodotti-mercati” perché le due variabili su cui si basa la matrice sono prodotti e mercati. Rappresenta i percorsi di crescita che le imprese possono intraprendere e le strategie di sviluppo dimensionale percorribili per un’espansione delle attività aziendali attraverso l’incremento del profitto e/o delle vendite e in particolare della quota di mercato. Consiste nella scelta delle ASA. ATTUALE NUOVO ATTUALE PENETRAZIONE DEL MERCATO sviluppo mosettoriale SVILUPPO DEL PRODOTTO sviluppo monosettoriale NUOVO SVILUPPO DEL MERCATO monosettoriale e internazionale DIVERSIFICAZIONE sviluppo polisettoriale ES. Nivea ha iniziato proponendo creme per mercato femminile (penetrazione mercato) poi ha deciso di espandersi producendo burro cacao, deodoranti, shampoo per mercato femminile (sviluppo del prodotto) poi si è rivolta con il prodotto iniziale delle creme anche al mercato maschile (sviluppo del mercato - segmento di clientela diverso) e infine si è sviluppata anche a livello internazionale (sviluppo del mercato a livello internazionale). ES. Coca cola ha attuato strategia di diversificazione per produrre Fuze Tea. Prima la coca cola operava insieme a Nestlé, poi si sono divise e, non volendo perdere il mercato del the, ha continuato a produrre questo prodotto. Sviluppo del prodotto + mercato (segmenti di clientela). PRODOTTO M ER C A TO 71 ES. Pringles ha attuato strategia di sviluppo del prodotto e di mercato: il prodotto è cambiato in termini di formato, confezione, gusti, ed è diffuso in tutto il mondo. Se guardo l’impresa che produce Pringles, Kellogs, ha attuato strategia di diversificazione. ES. Benetton ha attuato una strategia di diversificazione: abbigliamento, calzature, accessori, finanzia gli autogrill. → PENETRAZIONE DEL MERCATO È una strategia monosettoriale attraverso la quale l’impresa sceglie di continuare ad operare nella stessa area di attività e con gli stessi prodotti. Impresa si rivolge al mercato attuale con il prodotto che oggi produce. Si attua mantenendo o aumentando la quota di mercato nei seguenti modi: • convincendo i propri clienti ad acquistare una maggiore quantità di prodotti, ad esempio creando nuove occasioni di consumo o funzioni d’uso. Il category manager è colui che decide come allocare i prodotti nel punto vendita in base al criterio merceologico e alle occasioni di consumo o funzioni d’uso. ES. caffè consumato più volte durante la giornata. ES. motivo per acquisto delle patatine non solo per feste. • sottraendo clienti alla concorrenza • acquisendo nuovi clienti e trasformando i clienti potenziali in attuali Gli strumenti competitivi per attuare penetrazione di mercato sono: differenziazione del prodotto e riduzione del prezzo di vendita. La penetrazione è efficace quando impresa riesce ad aumentare la quota di mercato di anno in anno e ottenere la leadership competitiva. ES. imprese che attuano penetrazione di mercato: Apple, Xiaomi, Barilla. → SVILUPPO DEL PRODOTTO È una strategia monosettoriale attraverso la quale l’impresa sceglie di continuare ad operare nella stessa area di attività, introducendo però delle varianti di prodotto. Impresa si rivolge al mercato attuale con un prodotto nuovo. Si attua introducendo nuove varianti di prodotto (innovazione incrementale) provvedendo ad una modernizzazione dell’offerta e ad un approfondimento della linea con nuove versioni/modelli. ES. impese automobilistiche innovano di continuo le auto: Fiat 500 è anche elettrica; Alfa Romeo prima faceva più auto da corsa ora più modelli da città. → SVILUPPO DI MERCATO È una strategia monosettoriale attraverso la quale l’impresa sceglie di cambiare il mercato al quale rivolgersi ma non modificando l’attività svolta. Impresa si rivolge ad un mercato diverso rispetto a quello abituale con lo stesso prodotto. 2 casi per cambiamento del mercato di riferimento: • offrire il proprio prodotto a nuovi segmenti di mercato (tipologie di clienti). I segmenti di mercato sono i clienti con bisogni simili tra loro e diversi da quelli dei clienti di altri settori. • rivolgersi a mercati che hanno caratteristiche peculiari comuni attraverso una differente politica di posizionamento e di distribuzione del prodotto o in nuove aree geografiche, attuando uno sviluppo anche di tipo internazionale, che può presentare diversi gradi di rischio ed impegno a fronte dei vantaggi conseguibili con la diversificazione geografica. ES. Rana ha attuato uno sviluppo di mercato a livello internazionale vendendo i prodotti in America. 72 ES. attuare sviluppo di mercato a livello del diverso tipo di segmento di mercato: propongo prodotto anche a coloro che hanno reddito più basso, l’impresa deve aumentare economie di scala per diminuire i costi e vendere il prodotto a più persone. → DIVERSIFICAZIONE È una strategia polisettoriale attraverso la quale l’impresa sceglie di modificare la propria area adi attività per realizzare nuovi prodotti destinati a nuovi mercati nei quali si intravedono opportunità di business più favorevoli. Impresa si rivolge ad un mercato diverso da quello originario proponendo un prodotto nuovo. Non è sinonimo di differenziazione. Due tipologie di differenziazione: a) Conglomerale: impresa opera in settori differenti tra i quali non si rilevano connessioni di tipo tecnico-produttive o mercatistico e tra i quali l’impresa può ripartire il rischio globale di gestione. ES. Benetton. ES. imprenditore di Calzedonia ha poi creato altre imprese (Intimissimi, Tezenis, Signorvino) che propongono prodotti diversi. b) Laterale: impresa opera in settori che rilevano interrelazioni di carattere tecnico-produttivo o di marketing, distribuzione, vendita. ES. Pirelli non produce solo pneumatici ma anche scarpe, la cui suola è fatta con la gomma degli pneumatici. Esiste una connessione tecnico-produttivo nella realizzazione del prodotto nuovo (scarpe). Perché diversificare? È un processo costoso perché impresa deve usare risorse umane, tecnologiche, finanziarie. Se diversifico il prodotto e il mercato, diversifico e ripartisco anche il rischio d’impresa. Se un settore non è più un business interessante e perde di attrattività, impresa può comunque aumentare la quota di mercato sull’altro settore su cui ho proposto un altro prodotto. BUSINESS STRATEGY O STRATEGIA COMPETITIVA L’impresa decide come competere nel settore in modo efficace con le risorse e le capacità distintive disponibili e/o acquisibili. La forza di un’impresa è tanto maggiore quanto più potrà avvalersi di competenze distintive di valore, rare e difficilmente imitabili. La strategia competitiva rappresenta il modo in cui l’impresa o una business unit consegue un vantaggio competitivo all’interno del proprio ambito di attività e crea valore per i propri clienti in misura superiore ai costi sostenuti dall’impresa stessa e al valore creato dai competitors. Ogni scelta di business strategy si deve fondare sullo studio del modello delle 5 forze competitive di Porter, secondo cui i fattori che influiscono sulla scelta della strategia competitiva sono: rivalità tra concorrenti (concorrenza reale), entrata di nuovi concorrenti (concorrenza potenziale diretta), minaccia di sostituti dei prodotti (concorrenza potenziale indiretta), potere contrattuale dei clienti e dei fornitori. La scelta della strategia competitiva mirata al miglior posizionamento di mercato deriva dalla combinazione delle caratteristiche strutturali del mercato e delle risorse possedute dall’impresa e poi da una previsione dell’evoluzione del mercato e dall’analisi dei punti di forza e di debolezza aziendali. Si attua agendo su 2 principi: aggiungere valore all’offerta (strategia competitiva di differenziazione), realizzare maggiore efficienza interna all’impresa (strategia di leadership di costo). 75 - riorganizzazione geografica dell’attività produttiva in aree caratterizzate da un più basso costo della manodopera e delle materie prime ES. Ryanair ha attuato strategia di leadership di costo nel settore del trasporto aereo Europeo riducendo i costi di molte attività: acquisto unico modello di velivolo, biglietti online, personale. → FOCALIZZAZIONE Consiste nell’attuazione in contemporanea delle due strategie precedenti, quella di differenziazione del prodotto e quella di leadership di costo. Le imprese individuano uno spazio competitivo ristretto, concentrando la propria offerta per soddisfare i bisogni specifici di una parte specifica di mercato (segmento di clientela o nicchia di mercato), trascurando di servire una maggiore varietà di consumatori. La decisione di rivolgersi ad un’ampia fascia di segmenti, infatti, può comportare svantaggi in termini di maggiori esigenze di coordinamento, necessità di ricorrere a soluzioni di compromesso e rigidità di offerta. La strategia di focalizzazione è più facilmente applicabile verso quei clienti con caratteristiche specifiche in numero ridotto rispetto al mercato intero. Vantaggi derivati: soddisfare bisogni specifici di un ristretto segmento di clientela, sufficiente dimensione economica dei segmenti di mercato, specificità della catena di valore per ogni segmento di mercato non replicabile dai competitors. ES. Ikea minimizza i costi interni perché produce le parti dei prodotti e lascia l’assemblaggio al cliente, in questo modo ha reso il prodotto differenziato rispetto a quello dei competitor. Le imprese possono adottare la strategia di focalizzazione: - sui costi: identificano gli ambiti in cui le strategie di leadership di costo falliscono a causa dei costi aggiuntivi che derivano dalla necessità di soddisfare un’ampia gamma di bisogni. - sulla differenziazione: cercano di soddisfare i bisogni specifici di quei segmenti di mercato che le imprese che adottano strategie di differenziazione non riescono a soddisfare nello stesso modo. Permette di sviluppare conoscenze tecniche specializzate, accrescere il proprio impegno nel servizio al cliente e di rafforzare la sua fedeltà. Le strategie complessive possono essere attuate insieme a strategie competitive perché corrispondono a due livelli di strategie differenti. Ad esempio, posso penetrare il mercato (strategia complessiva) e differenziare (strategia competitiva). Le strategie competitive possono essere attuate insieme tra loro. 76 IL MODELLO DI BUSINESS Idea di business → modello di business → business plan È una parte che può confluire nel Business Plan. 3 definizioni di Business Model: DEF1: È uno strumento concettuale per aiutare a capire come un’azienda fa business. DEF2: Descrive la logica alla base del modo in cui un’organizzazione crea, fornisce o cattura/acquista valore. I 3 fattori attorno ai quali ruota il concetto business model: creazione, fornitura, acquisto di valore. DEF3: È utilizzato come cornice analitica e come unità di analisi che offre una prospettiva sistemica su come fare business. I fattori devono essere analizzati in modo sistematico, tenendo in considerazione la loro integrazione. Un business model costituisce la base per capire il posizionamento competitivo dell’impresa. Descrive la proposta di valore per i clienti e per gli altri partecipanti alla rete del valore per soddisfare i relativi bisogni (creazione del valore) e la combinazione delle attività che generano valore con le relative strutture di costi e ricavi (configurazione del valore). Un business model serve a risponde alle seguenti 3 domande fondamentali: a) Come e per chi l’azienda creerà valore? b) Qual è la fonte di vantaggio interna dell’azienda e in che modo ciò fornirà la base per il suo posizionamento esterno? c) Come farà l’azienda a guadagnare e in che modo questo si collega alle ambizioni di scopo, dimensioni e tempo dell’impresa? ES. core business di Tesla: vendita macchine elettriche, comfort e sicurezza, prodotto ad alta tecnologia, prodotto sostenibile. Sono caratteristiche che mostrano un prodotto di valore e non sono un’esplicitazione della proposta di valore perché manca l’esplicitazione dei vantaggi/benefici che il cliente può ottenere dall’acquisto del prodotto. In letteratura sono proposti diversi framework di business model. Il primo framework che è stato analizzato è il Modello di Business di Richardson (2008). Si basa su tre elementi: o value proposition: beni e servizi che un’azienda fornisce ai clienti o al mercato di riferimento. o value creation and delivery: attività e processi aziendali che un’impresa svolge per creare, produrre, vendere e fornire prodotti e servizi ai propri clienti. o value capture: metodi attraverso i quali un’impresa ottiene entrate vendendo beni e servizi ai clienti. Uno dei più popolari è il Business Model Canvas basato su 4 pilastri divisi in 9 blocchi: o pilastro dell’infrastruttura che include 3 blocchi: attività chiave, risorse chiave e partner chiave. o pilastro del prodotto con il blocco della proposta di valore (value proposition). o pilastro dell’interfaccia cliente che include 3 blocchi: relazioni con clienti, segmenti di mercato e canali. o pilastro finanziario che include 2 blocchi dei flussi di entrate e la struttura di costi Il Business Model Canvas di Osterwalder (2010) permette di sviluppare un’idea di business. Presenta i seguenti blocchi: • SEGMENTI DI CLIENTELA: descrivere sinteticamente i gruppi o tipologie di clienti serviti. “Chi sono i nostri clienti?” 77 • VALORE OFFERTO: descrivere i benefici che i clienti possono ottenere dall’offerta aziendale. “Cosa offriamo?” • CANALI DISTRIBUTIVI: descrivere come i prodotti sono forniti ai clienti, quali sono i mezzi con i quali si offrono i prodotti ai clienti. “Come forniamo i prodotti?” • RELAZIONI CON I CLIENTI: descrivere come costruire e mantenere le relazioni con i clienti. “Come interagiamo con i clienti?” • FLUSSI DI INCASSI: descrivere come trarre flussi di entrate da ciascun gruppo di clienti. “Cosa guadagniamo?” • RISORSE CHIAVE: descrivono le risorse principali che permettono di fornire i prodotti ai clienti. Servono all’impresa per produrre valore. Esempi di risorse interne: umane, tecniche, tecnologiche. “Che risorse usiamo?” • ATTIVITÀ CHIAVE: descrivere le attività più importanti che sono svolte per fornire i prodotti ai clienti, quindi realizzare il valore offerto. Che cosa l’impresa deve fare per creare il valore. “Cosa facciamo?” • PARTNER CHIAVE: descrivere i principali fornitori e partner, evidenziando le alleanze (commerciali) che possono essere realizzate anche attraverso joint venture, alleanze strategiche tra imprese concorrenti o non concorrenti. “Chi ci aiuta?” • STRUTTURA DEI COSTI: descrivere le principali famiglie di costo sostenute per svolgere l’attività di business e fornire prodotti. “Cosa paghiamo?” La parte sinistra è composta da blocchi che riguardano gli aspetti di costo. La parte destra definisce i ricavi. Da dove si parte per costruire il Business Model? Value proposition (centro) → segmenti di clientela (destra) Segmenti di clientela (destra) → value proposition (centro) 80 ES. impresa NICE ha rivisto completamente il processo produttivo per rendere disponibile delle automazioni per il prodotto della casa intelligente. L’innovazione sta nell’aver rivisto il processo. 3. INNOVAZIONE ORGANIZZATIVA (o gestionale) L’innovazione è legata ad una gestione evolutiva delle relazioni aziendali (esempio la qualità totale, la comakership, la CSR) fino a coinvolgere il modello di business. Implementazione di un nuovo metodo organizzativo nelle pratiche commerciali dell'impresa, nel luogo di lavoro, nell'organizzazione e nelle relazioni esterne. Esempi: procedure di valorizzazione del personale, fidelizzazione del consumatore, introduzione di sistemi di gestione della produzione o fornitura (es. i sistemi di gestione della catena di approvvigionamento), reingegnerizzazione aziendale, produzione “snella” (lean production) e sistemi di gestione della qualità. 4. INNOVAZIONE TECNOLOGICA Processo iterativo e cumulativo che implica la percezione di un’opportunità legata alla creazione di un nuovo mercato e/o un nuovo servizio. Il processo è iterativo, cioè sistemico, nel quale ogni iterazione è un successivo stadio di sviluppo che implica vari gradi di innovatività. È un’innovazione sistemica: continuo a innovare il prodotto tenendo conto delle esigenze del mercato negli step successivi. Il processo è cumulativo, cioè un fenomeno in continuo divenire con cambiamenti che si combinano. L’innovazione oltre ad essere classificate in base alla sua natura può anche essere classificata in base all’intensità del cambiamento che genera. L’innovazione incrementale genera miglioramenti continui ma contenuti che possono riguardare le prestazioni, l’estetica, il costo, l’affidabilità. L’innovazione radicale genera un fenomeno discontinuo con alti tassi di innovatività e cambiamenti intensi nelle modalità competitive. COME SI GENERANO LE INNOVAZIONI o Produzione casuale di idee originali e serendipidity (trarre ispirazione da una combinazione fortuita di fatti o eventi e trovare qualcosa di diverso da quello che si stava cercando). o Attività di osservazione e raccolta di informazioni. Innovare è apprendere e per apprendere occorre saper guardare e ascoltare. o Rielaborazione o imitazione di idee messe a punto da altri La creatività può generare innovazione in quanto l’esito innovativo non è automaticamente assicurato. Essa rappresenta un potenziale innovativo. Ci può essere creatività senza innovazione ma non esiste innovazione senza creatività. L’impulso all’innovazione deve provenire sia dall’interno (funzione ricerca e sviluppo) sia dall’esterno (clienti, fornitori, collaborazioni, concorrenti) dei confini aziendali. Alla base della creatività c’è il desiderio delle persone di conoscere e crescere. L’innovazione non deriva quasi mai da un’intuizione improvvisa, ma dall’unione di prove, errori, tenacia, sperimentazione. Affinché la creatività possa affermarsi all’intero dell’organizzazione è necessario provare superare gli ostacoli connessi al cambiamento. Per superare i blocchi della creatività il management deve sviluppare una leadership creativa fondata sui valori dell’ascolto, della tensione al cambiamento, della fiducia, che crei un clima di rispetto e di serenità. Matrice delle dimensioni della creatività aziendale 81 ESPRESSO LATENTE FAVOREVOLI CREATIVITÀ OTTIMIZZATA CREATIVITÀ RISVEGLIATA SFAVOREVOLI CREATIVITÀ PERDUTA CREATIVITÀ SEPPELLITA Creatività ottimizzata: deriva dall’unione di soggetti creativi e contesti favorevoli Creatività risvegliata: contesto che porta alla rinascita di una creatività che non si sapeva di possedere perché non era mai stata valorizzata prima Creatività perduta: non valorizzata Creatività seppellita: mancano le condizioni per il recupero della creatività 2 APPROCCI ALL’INNOVAZIONE • Technology Push: innovazione presenta un percorso sequenziale dalla scoperta scientifica all’invenzione, alla progettazione, alle attività di produzione fino ad arrivare al marketing. Le fonti principali di innovazione sono le scoperte scientifiche o le invenzioni che vengono poi tradotte dall’impresa in applicazioni pratiche. Approccio diffuso fino agli anni ’60. • Demand Pull: innovazione è guidata dal mercato (consumatori, distributori, concorrenti), in particolare dalle sue esigenze espresse e recepite dall’impresa attraverso una varietà di strumenti. Vengono proposte delle soluzioni ai problemi evidenziati, anche accogliendo i suggerimenti degli stessi clienti. ES. Pringles processo produttivo delle patatine che non si sbriciolano (esigenze funzionali). ES. fustini/scatola detersivi Dash dalla forma cilindrica a quella rettangolare (esigenze di risparmio sui costi di trasporto e immagazzinaggio dei dettaglianti/distributori, no richiesta del cliente). TIMING DELL’INNOVAZIONE First mover = imprese che per prime hanno proposto il loro prodotto in un certo mercato. Godono di rendimenti superiori e tassi di sopravvivenza più elevati. Anche se spesso la prima in assoluto ad entrare in un mercato è anche la prima a fallire. Vantaggi: - brand loyalty e leadership tecnologica: opportunità di costruire una relazione di fiducia con i clienti prima dell’ingresso dei concorrenti, spesso basata sul dominio di una particolare tecnologia. La posizione di leadership tecnologica consente di delineare standard di categoria che possono determinare un monopolio per l’impresa, perché difficili da imitare o protetti da brevetti. - diritti di opzione su risorse scarse: ad esempio una localizzazione in una posizione geografica strategica, concessioni governative (servizi di telefonia mobile), l’accesso esclusivo ai canali di distribuzione (possibilità di occupare gli spazi migliori sugli scaffali) o i rapporti privilegiati con i fornitori. - sfruttamento degli switching cost dell’acquirente (i clienti sostengono dei costi se vogliono cambiare fornitore). Se io entro per primo in un mercato non avrò almeno all’inizio altri competitor e i clienti non possono cambiare fornitore. Gli switching cost sono i costi (monetari o psicologici) da sostenere nel passaggio da un fornitore all’altro che operano nello scoraggiare il cambiamento, anche di fronte ad un’alternativa tecnologica superiore. POTENZIALE CREATIVO INDIVIDUALE C O N D IZ IO N I D I C O N TE ST O 82 Svantaggi: - costi di ricerca e sviluppo - investimento nella creazione di nuovi canali di fornitura e distribuzione. Il mercato non è pronto al mio ingresso, sto cambiando la conformazione a livello settoriale. - diffusione della consapevolezza del nuovo prodotto nella mente del consumatore. Iniziative per rendere il prodotto nuovo di appeal per i clienti. - necessità di sviluppare risorse e beni complementari critici può agire da deterrente, soprattutto quando tale sviluppo è affidato ad altri che possono rallentare il processo di adozione Early follower = “primi inseguitori”. Gli entranti successivi possono limitarsi a perfezionare il prodotto capitalizzando l’impegno di altri in ricerca e sviluppo nonché giovarsi dell’esperienza derivante dagli errori commessi dagli entranti iniziali e dall’osservazione delle reazioni di mercato. ES. iPod di Apple è un follower nel mercato dei lettori MP3. QUANDO ENTRARE NEL MERCATO? La velocità è un aspetto fondamentale per garantire vantaggio competitivo all’impresa. Le imprese devono produrre scelte e comportamenti nuovi in tempi sempre più ristretti. Quando la velocità diventa eccessiva le possibilità di controllo si riducono e la possibilità di errori e problemi aumenta. La tendenza ad innovare sempre di più appare positiva se le innovazioni avvantaggiano l’utilizzatore, ma potrebbe accadere che l’utilità di un prodotto venga ad esaurirsi entro un periodo di tempo breve per effetto dell’introduzione di un nuovo modello che rende il precedente obsoleto. L’innovazione continua di prodotto richiede competenze specialistiche, condizioni organizzative e culturali che favoriscano lo scambio di informazioni, la sperimentazione e lo sviluppo continuo di idee, e di controllare il ritmo dell’attività. ES. Impresa tessile Bonotto affida tutti i processi a macchinari meccanici, non elettronici, privi di automatismi, per questo definiti “lenti”. È un ritorno all’artigianalità contro la standardizzazione industriale. Fattori che aiutano a decidere il tempo di entrata nel mercato: • il grado di controllo circa le esigenze del cliente. Se l’impresa è in grado di anticipare o suggerire le richieste del cliente allora l’ingresso sarà rapido. • i margini di miglioramento rispetto all’esistente. Se i miglioramenti sono percepibili e concreti, il processo può procedere con ritmi più veloci. • il grado di sviluppo raggiunto dalle tecnologie abilitanti e di supporto e dai beni complementari. Se l’innovazione richiede tecnologie abilitanti o beni complementari non ancora pronti, un’entrata anticipata sarebbe rischiosa. • la minaccia di nuovi entranti. Più elevate sono le barriere all’entrata, più un’impresa attendere la giusta maturazione dei tempi per studiare e proporre l’innovazione sul mercato. • la reputazione e credibilità (tecnologica) dell’impresa. Indicatore di qualità dell’innovazione che attenua l’ambiguità e l’incertezza collegate all’adozione di una nuova tecnologia e consente di programmare un lancio ritardato del prodotto creando aspettative. • rapidità e accelerazione dei cambiamenti • riduzione del ciclo di vita dei prodotti • riduzione del time to market 85 Il decisore aziendale è unico. Ha chiara la propria funzione obiettivo. Dispone di tutte le informazioni. È in grado di prevedere tutti i corsi di azione alternative, valutare tutte le conseguenze, l’utilità e la probabilità di ciascuna conseguenza e corso d’azione e infine di giungere alla scelta del corso d’azione che produce il maggior valore di utilità soggettiva attesa. Porta alla soluzione migliore in assoluto, chiamata anche one best way. → RAZIONALITÁ LIMITATA Teoria proposta da Herbert Simon che dimostra l’inconsistenza della precedente Teoria della Razionalità Assoluta e cerca di descrivere meglio la realtà. Il decisore aziendale non è unico. Non ha chiara la propria funzione obiettivo, non sa sempre ciò che vuole. Non dispone di tutte le informazioni relative alla decisione da prendere per 3 motivi: le informazioni disponibili in natura sono illimitate, la raccolta delle informazioni è costosa, la realtà è in continuo cambiamento e con essa anche le informazioni. Non è in grado di prevedere tutte le possibili azioni da mettere in atto e di valutare le relative conseguenze. Non ha tutti gli strumenti a disposizione per elaborare le informazioni in modo ottimale, ma si accontenta della decisione soddisfacente e non ricerca quella migliore in assoluto. Anche la pressione temporale è una variabile importante da considerare. FILONI DI RICERCA DELA PSICOLOGIA COGNITIVA 1. PARADOSSO DELLA SCELTA (PARADOX OF CHOICE) Di fronte a troppe scelte, il decisore può andare in crisi, perché fa più fatica a scegliere. La valutazione attenta di tutte le opzioni richiede tempo (efficienza temporale). 2. TEORIA DEL PROSPETTO (PROSPECT THEORY) Teoria descrittiva che cerca di rappresentare in modo fedele ciò che avviene nel corso dei processi di decisione umana. Appartiene all’ambito della psicologia cognitiva, la scienza che si occupa dello studio delle modalità di funzionamento della mente umana nelle attività di acquisizione dei dati, elaborazione e valutazione delle informazioni e di assunzione delle decisioni. Il valore di una decisione non viene calcolato in termini assoluti ma come guadagno o perdita rispetto ad un determinato punto di riferimento o termine di confronto. Si prendono decisioni confrontandosi con il contesto in cui ci si trova, è legata alla realtà. Si è più propensi al rischio in un contesto favorevole o sfavorevole? In un contesto in cui le cose vanno bene e si ha un alto profitto, si è meno propensi al rischio. Gli individui manifestano una forte avversione al rischio quando le decisioni si presentano sotto forma di possibili guadagni; mentre ricercano il rischio quando la scelta è espressa in termini di possibile perdita. Cosa dà più valore tra vittoria o perdita? Emozionalmente si avverte di più la perdita perché incide di più nella mente delle persone. Le persone non sono in grado di valutare le probabilità per quello che sono i termini astrattamente matematici, ma attuano una ponderazione soggettiva basata sul fattore psicologico. LE TRAPPOLE COGNITIVE Sono illusioni ottiche dal punto di vista del funzionamento della mente, involontari difetti nel ragionamento individuale che conducono a scelte non razionali. La mente viene deviata da qualcosa che accade all’interno della mente che non ci porta a prendere la decisione corretta. Si cade inconsapevolmente in questi trabocchetti mentali o errori quando si valutano le probabilità, 86 si formulano giudizi, o si assumono delle scelte. Il decisore aziendale è soggetto a cadere in numerose trappole che lo portano a prendere decisioni in modo non efficace. Si dividono in due tipologie: euristiche e biases. ≫ EURISTICHE Generate da stratagemmi messi in atto per risolvere problemi. Sono delle scorciatoie mentali intraprese dalla mente per decidere velocemente. Questa procedura semplificata porta comunque a risolvere un problema in maniera positiva. a) Di disponibilità: quando giudichiamo come più vero o probabile una situazione che è più disponibile nella nostra mente. Nella nostra mente ci siamo fatti un’idea su un fenomeno in base alle informazioni raccolte (notizie, letture, discussioni) e la risposta che diamo a questo fenomeno tiene conto di questi dati. b) Di rappresentatività: quando siamo portati a ritenere più vero o probabile un evento che somiglia maggiormente alla rappresentazione ideale che si ha di esso. Pensare che un fenomeno accade in funzione di quello che riteniamo essere più veritiero e possibile. ≫ BIASES Generate da meccanismi mentali errati o distorti che porta a prendere decisioni probabilmente errate. Sono degli errori sistematici, un modo sbagliato e distorto di vedere la realtà. Portano ad una decisione con maggiore probabilità di avere valore negativo. Distorce il giudizio o la decisione. a) Effetto ancoraggio: tendenza a riferirsi ad un dato disponibile o ad una conoscenza nota e a restare vincolati ad essa. Viene chiamato anche sindrome della prima impressione. b) Framing: cambiamento nel giudizio in funzione del modo in cui il problema viene strutturato e pensato. Le persone sono avverse al rischio se il problema è prospettato in termini di perdita rispetto ad una situazione di partenza accettabile, mentre si dimostrano propense al rischio se il problema è prospettato in termini di guadagno rispetto alla situazione iniziale non favorevole. c) Overconfidence: eccessiva fiducia in sé stessi e nelle proprie decisioni. È un problema quando il decisore prende le decisioni che riguardano la gestione delle risorse umane in base a quello che pensa essere la decisione giusta, invece che quella migliore per il gruppo. Non si arriva ad una soluzione generata da confronto e discussione tra opinioni, ma solo accettando la decisione del decisore aziendale. Si è in un contesto di “Group Think” = pensiero di gruppo, mentre si dovrebbe privilegiare il “Team Think” = pensiero di squadra. d) Schiavi del passato: imprenditore legato al passato. Continuano decisioni che andavano bene nel passato, ma che oggi non sono adeguate a causa dell’ambiente in continuo cambiamento. e) Senno di poi: ritenere che si sarebbe stati in grado di prevedere con esattezza quello che poi effettivamente è successo. DECIDERE O NON DECIDERE? Se non prendo una decisione significa che ho scelto di non decidere. La non decisione porta comunque a prendere una decisione. La pressione competitiva non lascia spazio ad un’adeguata riflessione. In un contesto dominato dalla complessità e dalla crescente velocità, le decisioni prese devono essere immediatamente tradotte in azioni. L’impresa può, però, decidere di rallentare per lasciare spazio alla riflessione e prendere dei momenti di riposo, anche chiamati di ozio creativo, per aumentare il livello di attenzione e di creatività. 87 LE FORME DI IMPRENDITORIALITÁ ORIENTATE ALLA SOSTENIBILITÁ Imprenditorialità ≠ managerialità L’imprenditorialità è la capacità di innamorarsi di un sogno da perseguire con tenacia per essere innovativi. È una propensione a volgere lo sguardo al futuro. Dimensione più mentale. - cogliere le opportunità nei mutamenti di scenario - valutare le esigenze dei clienti-utenti - determinare validi tempi d’azione - scegliere e perseguire una missione La managerialità è la capacità di gestire l’impresa nella complessità ambientale per reperire le risorse necessarie. Dimensione più operativa. - progettare e produrre economicamente beni e servizi - reperire risorse tecnologiche, finanziarie e di lavoro - perfezionare e far applicare sistemi di controllo dei risultati Leadership: dimensione più relazionale. La figura dell’imprenditore ha la capacità imprenditorialità più sviluppata. La figura del manager ha la capacità managerialità più sviluppata. MA entrambi possono comunque presentare nella loro figura le altre due capacità, seppur meno sviluppate. Emerge sempre di più la dimensione civile dell’imprenditore. Da un lato, alcune imprese vengono colpevolizzate dai media e dall’opinione pubblica per il loro comportamento che non salvaguardia l’ambiente, ma dall’altro lato si riconosce il ruolo dell’impresa come artefice e portatrice di diversi livelli di benessere. La risposta più diffusa dell’impresa alle critiche, che la consideravano come prima causa del deterioramento ambientale, è avvenuta attraverso l’elaborazione e la diffusione di bilanci sociali/sostenibili e la contribuzione ad attività sociali che si sviluppavano sul territorio. I bilanci sociali sono delle rendicontazioni delle attività svolte per comunicare che cosa l’impresa sta facendo a favore della società (no di tipo quantitativa-numerica di come ha sostenuto profitto o perdita). LE FORME DI IMPRENDITORIALITÁ ORIENTATE ALLA SOSTENIBILITÁ Raggiungere una mission sociale: rispondono a problemi ambientali e esigenze sociali creando allo stesso tempo valore economico. Gli imprenditori sono agenti del cambiamento sociale che cercano di raggiunger le imprese. 1) ORGANIZZAZIONI IBRIDE Strutture organizzative e pratiche volte ad una dualità (2 valori da perseguire) che combina una logica di mercato basata sulla domanda con una logica di protezione dell’ambiente, e una logica di profitto con una logica sociale basata sul bisogno. Possono essere imprese o meno. 2) ECOPRENEURSHIP (imprenditorialità ambientale/verde) Studia da una parte gli attributi, i comportamenti e le implicazioni di imprenditori orientati all'ambiente, e dall’altra le prestazioni economiche e ambientali delle imprese che sono progettate per essere “verdi” fin dall'inizio. Legata agli imprenditori che salvaguardano l’ambiente e non si pongono come obiettivo il valore sociale. 90 LE ESPERIENZE Le esperienze sono memorabili e personali. Esistono 3 percorsi di creazione delle esperienze: percorso prodotto-esperienza, percorso esperienza-prodotto, shopping esperienziale. DEF di Lemon e Verhoef di ESPERIENZA: un costrutto multidimensionale che si basa sulle risposte cognitive, comportamentali, sensoriali, sociali, emozionali ad un’offerta fatta dall’impresa durante l’intero viaggio di acquisto che il cliente effettua. 1) PRODOTTO-ESPERIENZA Il prodotto (bene fisico) quando viene acquistato, viene arricchito diventando un’esperienza. L’esperienza è la risposta soggettiva a uno stimolo esterno. È fondamentale l’aspetto emozionale. Schmit disse che per creare un prodotto-esperienza ci si può basare su 5 elementi raggruppati in moduli mentali: - sense: basato su 5 sensi. Devo agire su sensi per far si che cliente percepisca prodotto come esperienziale. ES. pubblicità gelato Magnum richiama aspetto esperienziale legato ai 5 sensi. - feel: emozioni, affetti, sentimenti che si generano al momento dell’acquisto. ES. pubblicità gelato Häagen-Dazs mangiato con qualcuno. - think: dimensione intellettuale e cognitiva. ES. Apple “Think different”. - act: comportamento, stile di vita. ES. Nike, Adidas. - relate: rapporto individuo-realtà esterna. ES. moto Harley-Davidson, non acquisto solo il prodotto in sé ma anche un modo di vivere la moto, condivido una passione con altre persone, scopro luoghi. Fornitori di esperienze: strumenti attraverso i quali veicolare le esperienze. ▪ Forme di comunicazione aziendale (pubblicità, cataloghi) ▪ Identità verbale (nome del prodotto) e visuale (logo) del prodotto ▪ Packaging del prodotto detto anche “venditore muto” (silence seller) perché il prodotto deve riuscire a vendersi da solo ▪ Display del punto vendita, è lo scaffale attraverso cui vendo i prodotti ▪ Sito web ▪ Personale 2) ESPERIENZA-PRODOTTO L’esperienza diventa prodotto: cliente compra direttamente un’esperienza da vivere mentre il prodotto ne è solo una componente. Il cliente viene maggiormente assorbito nell’attività che svolge o nel contesto in cui si trova rispetto all’utilizzo di un servizio. L’esperienza rappresenta un evento esistenziale che incide sul vissuto personale del cliente e che si si imprime più a fondo nella sua memoria, perciò l’impresa deve cercare di far vivere al cliente sensazioni indimenticabili e Beni: tangibili Servizi: intangibili Esperienze: memorabili 91 memorabili. ES. smart box, impresa fonda il suo core business sul tipo di esperienza godendo dei servizi delle imprese contenute nel cofanetto. Legato a diverse attività di tipo esperienziale. Matrice dell’esperienza-prodotto proposta da Pine e Gilmore Pine e Gilmore, due studiosi, hanno scritto “The Experience Economy” (economia delle esperienze): i clienti non acquistano solo beni fisici ma anche esperienze che devono essere memorabili. ASSORBIMENTO IMMERSIONE ATTIVA EDUCAZIONE EVASIONE PASSIVA INTRATTENIMENTO ESPERIENZA STATICA Assorbimento → deriva da stimoli esterni che attraggono l’attenzione del cliente. Immersione → deriva dall’interno (emozionalmente) e porta il cliente a vivere meglio una determinata situazione. Il cliente è inserito completamente in un determinato contesto. ↪ Esperienza statica: non partecipa attivamente nel vivere la propria esperienza. ES. turista beve caffè a Piazza San Marco, immerso in un contesto storico-culturale e paesaggio particolare ma la partecipazione al vivere l’emozione è bassa ↪ Evasione: ES. casinò, immerso nel mondo del gioco-divertimento e devo partecipare attivamente per imprimere meglio nella memoria l’esperienza ↪ Intrattenimento: ES. concerto ↪ Educazione: ES. lezione università Si riesce a proiettare meglio l’esperienza-prodotto in una determinata direzione quando si lega quello che si vuole creare come esperienza con un particolare tema. ES. Gardaland Park ha creato dei temi per ogni attrazione per immergere il cliente all’interno del parco divertimenti. ES. Gardaland Hotel ha creato delle stanze personalizzate su vari temi. 3) SHOPPING ESPERIENZIALE Il processo di acquisto nel quale il cliente compra beni e servizi avviene in un luogo fisico arricchito in termini di sollecitazione sensoriale e/o emotiva. L’allestimento del punto vendita è progettato per generare un forte impatto estetico, sensoriale, emotivo e cognitivo che aiuti l’assorbimento del cliente. Lo store ha perso le caratteristiche della pura vendita, non è più dedicata in modo specifico solamente alla vendita dei prodotti ma si è evoluto. I clienti non acquistano solo sul web o nello store fisico ma privilegiano l’integrazione delle due piattaforme. I retailer, dunque, stanno riorganizzando i loro store seguendo una logica disruptive (visione innovativa). I negozi non saranno più semplici contenitori di prodotti da acquistare ma luoghi esperienziali in cui la tecnologia assumono un ruolo rilevante. Il punto vendita fisico non è destinato a scomparire ma a cambiare verso la creazione di una shopping experience unica attraverso l’utilizzo di un concept dall’ambientazione tematizzata dello store o attraverso l’uso 92 della tecnologia. La tecnologia può cambiare l’esperienza di acquisto contribuendo a comunicare i valori del brand al cliente e intervenendo nel processo di vendita nei prodotti facilitando lo shopping. Attraverso l’uso degli smart mobile devices il retailer può scambiare dati e informazioni e comunicare con il cliente attività di marketing mirate. I retailer devono riuscire a creare punti vendita dove il cliente possa acquistare i prodotti sulla base delle sue necessità specifiche e vivere un’esperienza unica e personalizzata. 2 principali direzioni strategiche: - Esperienzialità: cioè far vivere i clienti in prima persona esperienze particolari. Aspetti importanti: velocità ed efficienza, personalizzazione del prodotto, arricchimento multisensoriale della shopping experience. Per creare un’esperienza è necessaria l’introduzione della tecnologia. Leve per creare esperienzialità dello store: o Stimolare esperienza sensoriale o Interagire con visitatori o Emozionare, stupire o Raccontare storie, condividere, far imparare o Far testare o Far risparmiare tempo (time saving) o Far divertire (→ gramification) - Socialità: cioè farsi che lo shopping sia vissuto in condivisione con altri e sia basato su relazioni e coinvolgimento attivo del cliente. I negozi diventano luoghi di ristoro e ritrovo in cui poter socializzare durante l’atto di acquisto. Leve per valorizzare la socialità: o Creare momenti di convivialità e di cultura o Sviluppare relazioni con il personale di vendita o Condivisione dello shopping con altri clienti I clienti diventano phygital, ovvero sfruttano sia la molteplicità di tecnologie e canali messi a disposizione dal brand sia la quantità di touchpoint online e offline utilizzabili. Il comportamento di acquisto conseguente porta il cliente a muovere tra le due seguenti pratiche di azione cross- canale: • Showrooming: il cliente si reca in un negozio dove è presente il prodotto che intenderebbe acquistare, raccoglie tutte le informazioni che gli servono, magari lo prova pure, ma poi decide di acquistarlo online ad un prezzo inferiore (il cliente è detto ‘topo’: try offline purchase online). • Webrooming: il cliente acquisisce informazioni online sul prodotto che vorrebbe acquistare, confronta i prezzi e le opinioni pubblicate sul web tramite le recensioni online sul brand e poi procede all’acquisto di-rettamente nel punto vendita (il cliente è chiamato ‘robo’: research online buy offline o ‘ropo’: research online purchase offline). ESEMPI ∗ Ikea dispone i prodotti all’interno dello store in scenari di vita quotidiana per evocarne cliente momenti legati all’arte routine quotidiana e rendere l’esperienza d’acquisto serena e familiare. Simula virtualmente i mobili così i clienti hanno la possibilità di visualizzare in modo più concreto il progetto ideale per arredare casa. ∗ Adidas e Nike store a Milano sono costruito secondo il modello di uno stadio e i clienti hanno anche la possibilità di testare il prodotto.
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