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Appunti di Chimica Applicata secondo parziale, Appunti di Tecnologia Dei Materiali E Chimica Applicata

Appunti del corso di Ingegneria civile Chimica e Chimica applicata tenuto da Paolo Colombo. Gli appunti trattano solamente la parte riguardante il secondo parziale e sono un insieme degli appunti presi a lezione e delle slides del prof

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 23/08/2023

Valepadov
Valepadov 🇮🇹

4.2

(14)

29 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti di Chimica Applicata secondo parziale e più Appunti in PDF di Tecnologia Dei Materiali E Chimica Applicata solo su Docsity! 1. GLI ACCIAI TRATTAMENTI TERMICI ACCIAI Essi sono trattamenti che ci permettono di ottenere degli acciai con le caratteristiche ideali. I materiali vengono quindi sottoposti a dei cicli di raffreddamento e riscaldamento, mantenendo il materiale allo stato solido. La condizione necessaria per poter eseguire un trattamento termico su una lega è che il diagramma di stato corrispondente presenti una trasformazione di fase (liquido-solido o solido-solido) o una variazione di solubilità allo stato solido.  Ricristallizzazione: rigenerazione di una struttura deformata dopo una lavorazione a freddo che ha incrudito l’acciaio  Cementazione: arricchimento superficiale in un elemento (per esempio carbonio, azoto, boro o cromo)  Ricottura di omogeneizzazione: ottenimento di microstruttura omogenea per riscaldamento (ad esempio di lingotto di colata o per eliminare la segregazione) Consideriamo un acciaio di composizione eutettoide (0.8% C). Partiamo da 750°C e raffreddiamo il campione portandolo ad esempio a 705°C. I primi nuclei che si formano sono quelli di cementite che, avendo una %C del 6.67% (> 0.8), richiamano C dalle zone limitrofe che, impoverite in C si trasformano in Fea, espellendo carbonio che si concentra nelle zone vicine portando alla nucleazione di nuova cementite. A 6 minuti infatti inizia a formarsi la perlite, e dopo 67 minuti avremmo solo perlite. Al diminuire della temperatura il sistema all’inizio richiede sempre meno tempo per formare perlite, ma al di sotto di una certa temperatura (all’incirca 550°C) il tempo ricomincia ad aumentare. DIAGRAMMA DI BAIN per un acciaio eutettoide: Sappiamo che sotto l’eutettico di 723°C troveremo perlite. Ma come abbiamo appurato la formazione di perlite richiede del tempo, per cui ci sarà nella curva una parte di austenite metastabile e perlite, prima grossolana e poi fine. Diminuendo ancora la temperatura, troveremo la bainite: perlite in cui le lamelle sono così fine, che non erano osservabili al tempo degli esperimenti (è sempre perlite). Sotto a una tot. temperatura troviamo poi martensite. La perlite, infatti, non riesce più a formarsi in quanto siamo fuori dalla sua velocità di nucleazione. Esso è un materiale fuori equilibrio. La trasformazione da austenite a martensite avviene senza diffusione, ma in modo quasi istantaneo, in quanto c’è uno spostamento di atomi cooperativo, che passano da una cella CFC a un altro tipo di cella. Abbiamo uno 0.8% C, solubile nella CFC. Quando si forma la martensite il reticolo del Ferro di scatto si trasforma nel reticolo CCC, e il carbonio rimane intrappolato in questo reticolo con l’impossibilità di diffondere. Il carbonio nella cella tende quindi a espandersi andando a distorcere la cella che passa da CCC a TCC (asse allungato). La martensite si forma quindi con un aumento di volume ed ha struttura tetragonale a corpo centrato. Avendo la martensite una struttura molto tensionata sarà un elemento molto duro, ma anche molto fragile. Curve CCT: Continuous Cooling Transformation (trasformazione a raffreddamento continuo) Curva A: velocità di raffreddamento minore → formazione perlite grossolana Curva B: perlite a grana fine Curva C: Martensite e perlite Curva D: Martensite I vari trattamenti: ricottura, normalizzazione… variano in base alla velocità di raffreddamento Velocità critica di tempra: velocità minima sopra la quale si forma solo martensite (E) Ricottura completa: acciai ipoeutettoidi ed eutettoidi vengono riscaldati a 40°C sopra la linea di separazione tra austenite e ferrite, poi raffreddati in forno fino a RT → ottengo materiali a grana grossolana, quindi avente una microstruttura adatta alle lavorazioni (elevata duttilità e deformabilità plastica) Normalizzazione: trattamento termico in cui l’acciaio viene riscaldato nella regione austenitica e poi raffreddato in aria calma → ottengo materiali a grana più fine, quindi un aumento della resistenza meccanica, dello sforzo di rottura, snervamento e durezza Bonifica: insieme di trattamenti termici che si effettuano a particolari tipi di acciai e che consiste in una tempra seguita da un rinvenimento  Tempra: porta alla formazione di martensite (soluzione sovrasatura di carbonio in Fea): struttura ad elevata durezza e notevole carico di rottura, ma con resilienza bassa che può dar luogo a rotture in seguito a urti (comportamento fragile) a causa della struttura TCC della martensite. La tempra di per sé è inutile, per questo dopo deve avvenire il rinvenimento o avremo un materiale inutilizzabile. Il materiale viene raffreddato in acqua, e poi può avvenire il rinvenimento. La possibilità di ottenere martensite da austenite è basata sulla velocità di raffreddamento. Su elementi di grandi dimensioni la velocità di raffreddamento varia in base alla zona, che sarà maggiore in superficie e minore al cuore. Potrei quindi avere situazioni in cui la superficie si trasforma in martensite, e il cuore non superando la velocità critica non si trasformerà o si trasformerà successivamente. Ciò può provocare la formazione di cricche di tempra, poiché il cuore si trasformerà più lentamente rispetto all’esterno già trasformato, e come noi sappiamo la formazione di martensite provoca un aumento di volume. o acciaio COR-TEN: un acciaio debolmente legato, contenente cromo, rame e fosforo, di modo da creare una patina che lo protegge dall’atmosfera e quindi dalla corrosione ACCIAI PER ARMATURE Gli acciai per calcestruzzo armato devono mantenere le caratteristiche di saldabilità, e quindi contengono una ridotta % di C. Essi devono avere però degli alti valori di resistenza, normalmente non ottenibili a % così bassa di Carbonio. Ciò viene ottenuto tramite:  deformazione meccanica a freddo di un acciaio di base senza elementi in lega (incrudimento: > snervamento)  aggiunta di microleganti (lavorazione a caldo: vengono così prodotte barre ad aderenza migliorata)  processo (HD) che combina una deformazione a caldo (durante il quale si producono le nervature) ed una limitata deformazione a freddo successiva Hanno però basso carico di snervamento. Una volta venivano usate sia barre lisce con aderenza mediocre, sia barre nervate ad alta aderenza. Ora solo quelle nervate (si possono avere diversi tipi). Sono identificati in base al diametro nominale della barra. ACCIAI PER PRECOMPRESSIONE Gli acciai per precompressione vengono usati per far sì che il calcestruzzo resista a flessione. Poniamo due barre di acciaio sforzate a trazione, e vi si cola il calcestruzzo fino a indurimento. Sotto sforzo le barre si stanno quindi deformando plasticamente, venendo tirate verso l’esterno. Quando il calcestruzzo indurisce si smette di applicare lo sforzo alle barre, che iniziano quindi a ritirarsi verso il centro favorendo la compressione. In questo modo se viene applicata una forza al centro della trave, che normalmente porterebbe il cemento a flessione e poi a rottura con uno sforzo X, con l’aggiunta delle barre di acciaio precompresso lo sforzo dovrà essere maggiore, in quanto queste resisteranno allo sforzo applicato deformandosi plasticamente. Lo sforzo totale da applicare sarà quello X che si applicherebbe alla trave senza barre, più lo sforzo Y che serve per portare a deformazione le barre. La principale caratteristica degli acciai per cemento armato precompresso è quindi l’elevato valore del carico di snervamento. Non è richiesta la saldabilità, per cui il tenore di carbonio può essere elevato: > 2% Possono essere formati aumentando la % di C (anche a 0.6-0.9%), incrudimento… LE GHISE Leghe Fe-C (2.6% < C < 4%) → presenza di altri elementi in lega: silicio, manganese, zolfo, fosforo (derivati dalla formazione degli acciai in altoforno: non vengono aggiunti, sono presenti e non riescono ad essere eliminati durante la depurazione) → Ottenute per colata → Buona resistenza meccanica a compressione, a corrosione e a usura, modesta a trazione → Fragili: rottura a trazione per bassi allungamenti (lavorazioni plastiche non consigliate per l’alta % di cementite) → Costi modesti A temperature molte elevate si può avere la formazione di raffreddamento o di grafite (100%C) o di cementite. In base a ciò le ghise si dividono in:  Ghise bianche: a raffreddamento si ha un elevata produzione di cementite: il carbonio non disciolto nella ferrite si presenta sotto forma di cementite. La superficie di frattura appare bianca e cristallina. Hanno elevata resistenza ad usura. Sono estremamente dure, ma fragili. Per ottenerle è necessario: o Ridurre il contenuto di Si o Aumentare il contenuto di Mn e di Cr o Colare in stampi metallici (raffreddare velocemente così da non seguire il diagramma di stato)  Ghise grigie: a raffreddamento il carbonio supera il contenuto che può essere disciolto nell’austenite e precipita come lamelle di grafite. La superficie di frattura appare grigia. Hanno elevata resistenza ad usura, durezza ed eccellente lavorabilità. Possono avere: o grafite lamellare o grafite sferoidale: tenacità maggiore e caratteristiche più simili a quelle degli acciai Per ottenerle è necessario: o Aumentare il contenuto di Si o Ridurre il contenuto di Mn o Colare in stampi di sabbia (raffreddare lentamente) ACCIAI INOSSIDABILI Lega Fe-C-Cr con % Cromo (Cr) > 13% Altri elementi in lega: nichel (Ni) e molibdeno (Mo) Variamente impiegati nell’ingegneria civile (arredo urbano, finiture, restauro) 7-8 volte più costosi dei comuni acciai da costruzione Elevata resistenza alla corrosione, molto utili proprio per questo, per cui è possibile usarli in ambienti molto corrosivi (es: marino). Caratteristiche negative: > costo, < saldabilità, > difficoltà di lavorazione (< caratteristiche meccaniche) Applicazioni: industria chimica, farmaceutica, arredamento, casalinghi, ... (ovunque sia necessario che il materiale sia resistente alla corrosione) 2. LA CORROSIONE CORROSIONE: processo di degrado che subisce un materiale metallico per opera dell’ambiente in cui si trova. I metalli (non nobili) hanno una tendenza intrinseca a corrodersi passando dallo stato metallico a quello di composto (del tipo ossido, carbonato, nitrato…) → ecco perché i metalli esistono in natura sotto forma di minerali, dai quali devono essere estratti fornendo energia.  A SECCO: senza umidità, ad alta temperatura  UMIDA: perché sia possibile o Il materiale deve essere corrodibile in quell’ambiente o presenza di un agente corrosivo o presenza di un elettrolita o presenza di una differenza di potenziale o contatto elettrico (trasporto di elettroni) → se manca 1 di queste, il materiale ha tendenza corrosiva ma la corrosione non può avvenire La corrosione umida di un metallo è un fenomeno elettrochimico. Perché sia possibile una reazione di questo tipo è necessaria la presenza di due elettrodi (anodo - catodo +) collegati tra loro, e di un elettrolita (soluzione contenente ioni) a contatto con gli elettrodi. Si genera allora un circuito elettrico in cui il flusso di elettroni è dovuto ad una differenza di potenziale tra i due elettrodi. → All’anodo si ha la reazione di ossidazione, la quale deposita elettroni sull’elettrodo che acquista segno negativo → Al catodo avviene la reazione di riduzione, e questa reazione sottrae elettroni all’elettrodo conferendogli così una carica positiva (catodo) Si producono quindi due processi elettrochimici simultanei: una reazione anodica ed una reazione catodica.  Reazione anodica: consiste nell’ossidazione del metallo, con liberazione di elettroni nel metallo, e dà luogo alla formazione di prodotti di corrosione. Per gli acciai, la reazione è: Fe → Fe2+ + 2 e-  Reazione catodica: essa comprende diversi processi che dipendono dalla natura dell’ambiente corrosivo, ed utilizzano gli elettroni provenienti dalla zona anodica: o in soluzioni acide (in assenza di ossigeno o di altri ossidanti) si ha lo sviluppo di idrogeno secondo la reazione: 2 H+ + 2 e- → H2 o in soluzioni acide aerate, si ha la formazione di acqua: 4 H+ + 4 e- + O2 → 2 H2O o in soluzioni aerate alcaline o neutre (cioè quelle in contatto diretto o indiretto con l’atmosfera), si ha l’assorbimento dell’ossigeno che è disciolto in piccole quantità in queste soluzioni secondo la reazione: 2 H2O + O2 + 4 e- → 4 OH Gli ioni ossidrile, a contatto con gli ioni Fe2+ liberati all’anodo, formano idrato ferroso e successivamente ferrico (ruggine). Se l’ossigeno non è presente in abbondanza, allora il ferro risulta presente ancora parzialmente come Fe2+ I potenziali d’elettrodo standard, utili dal punto di vista teorico, non corrispondono alle condizioni di impiego, e necessitano di correzioni, a volte grandi → I potenziali degli elettrodi reali hanno valori diversi. I materiali metallici possono comportarsi in modo: → ATTIVO: continuano a corrodersi → ATTIVO-PASSIVO: continuano a corrodersi ma a velocità sempre più basse L’aggiunta di elementi in lega può diminuire la tendenza a corrosione. Un altro effetto negativo sulla resistenza alla corrosione è dato dallo stato di incrudimento del materiale. La parte incrudita di un componente metallico risulta anodica rispetto a parti dello stesso pezzo non incrudite. Si possono avere 3 tipi di corrosione:  Generalizzata: riguarda i materiali a comportamento attivo, tutte le zone del materiale si corrodono in modo uniforme e il materiale si assottiglia (assottigliamento) → meno pericolosa, in quanto prevedibile. Si verifica in strutture metalliche immerse in ambienti corrosivi o esposte ad atmosfere aggressive  Localizzata: riguarda materiali a comportamento attivo-passivo, porta alla formazione di fenomeni corrosivi localizzati (solo in alcune zone) → foratura: attacco corrosivo penetrante, che causa perforazioni di tubazioni o di apparecchiature anche in tempi molto brevi (pitting), e si manifesta, per esempio negli acciai inossidabili, in ambienti ossidanti contenenti cloruri  Selettiva: materiali multifasici (solo 1 di queste fasi viene attaccata dalla cricca) → dipende da fenomeni meccanici, metallurgici e dall’ambiente. Corrosione per aerazione differenziale: la goccia d’acqua corrode una zona limitata in quanto al suo interno c’è meno ossigeno. Mentre la ruggine si deposita ai bordi. Corrosione atmosferica: interessa strutture metalliche esposte all’atmosfera.  velocità di raffreddamento: all’aumentare della velocità di raffreddamento, aumenta la Tg e il materiale congela prima Possiamo appunto avere cristalli polimerici, dati dall’allineamento parallelo delle catene in modo regolare nello spazio, così da identificare una ‘cella’ cristallina che si ripete periodicamente. Le zone cristalline e amorfe si alternano formando una struttura lamellare o sferuliti. Un polimero può essere totalmente amorfo, ma non sarà mai totalmente cristallino (max. 95%) Fattori che influenzano la cristallinità:  regolarità della struttura: + la catena è regolare, + le varie catene possono sistemarsi in modo ordinato e cristallizzare  presenza di gruppi polari: aiuta le catene ad assumere una struttura ordinata  presenza di sostituenti ingombranti: ostacolano lo scorrimento delle catene che non riusciranno organizzarsi in modo ordinato  peso molecolare delle catene: catene più lunghe hanno più difficoltà a scorrere e ad organizzarsi in modo ordinato  effetto copolimero: la presenza di + monomeri diminuisce la regolarità e l’ordine della catena  reticolazione: la presenza di reticoli impedisce alla catena di muoversi e organizzarsi in modo ordinato, per cui i polimeri fortemente reticolati sono amorfi. Solo i polimeri lineari o ramificati possono essere cristallini  velocità di raffreddamento: maggiore è la velocità di raffreddamento, meno tempo avranno le catene per organizzarsi in modo ordinato → In quanto la cristallinità è data da una struttura ordinata del polimero, essa fa sì che aumenti la rigidità e la resistenza del materiale, riduce la flessibilità, rende il polimero utilizzabile a T più elevate, il materiale avrà maggiore peso specifico e lo rende non trasparente. In base al comportamento al riscaldamento le materie plastiche si classificano in:  TERMOPLASTICHE: solidi, i quali riscaldati rammolliscono fino a diventare un fluido e a raffreddamento solidificano. Ciò lo posso fare un elevato numero di volte senza che il suo comportamento cambi, si possono quindi modellare all’infinito. Possono essere amorfi o cristallini.  TERMOINDURENTI: solidi, i quali riscaldati rammolliscono fino a diventare un fluido, ma a raffreddamento solidificano, indurendo in modo irreversibile. Si comportano quindi solo una volta come materiale termoplastico, poi formeranno una struttura reticolata che fa sì che il materiale indurisca. Possono essere solo amorfi. Essi, partendo da polveri da stampaggio prereticolate che possono fondere, vengono formati per riscaldamento, e poi avviene la reticolazione. I polimeri possono quindi essere:  termoplastici: possono essere plasmati al di sopra di una certa temperatura, e una volta raffreddati mantengono la forma in cui sono stati modellati. Se vengono scaldati nuovamente possono essere rimodellati. Possono essere sia amorfi che semicristallini  termoindurenti: vengono modellati in una forma tramite un processo di reticolazione che viene favorito dal calore. La forma assunta è permanente e non può essere cambiata. Sono sempre amorfi  elastomeri: materiali polimerici le cui dimensioni possono variare enormemente sotto sforzo, e poi tornare ai loro valori originali una volta cessato lo sforzo. Sono polimeri amorfi con un leggero grado di reticolazione GLI ADDITTIVI: molecole organiche di piccola dimensione che vengono utilizzate per modificare le proprietà dei materiali polimerici  plastificanti: servono a ridurre la fragilità e ad ottenere, a parità di temperatura, migliori caratteristiche di plasticità  lubrificanti: migliorano le proprietà di attrito del polimero, consentendo un più facile stacco dallo stampo  coloranti: danno colorazione specifica  antistatici: permettono di ridurre l’accumulo di cariche elettrostatiche alla superficie delle materie plastiche  ignifuganti: controllano l’innesco e la propagazione della combustione, rendendola più difficile  stabilizzanti: usati per evitare la degradazione elastomera dei polimeri. Alcuni polimeri, infatti sono soggetti ad un rapido deterioramento, specialmente per quanto riguarda la resistenza meccanica (invecchiamento)  cariche: vengono addizionate per migliorare la resistenza a trazione ed a compressione, la resistenza all’abrasione, la tenacità, la stabilità termica e dimensionale PROPRIETA’ DEI POLIMERI o PROPRIETA’ CHIMICHE: o assenza di corrosione elettrochimica (mancanza di elettroni liberi di conduzione): si può solo avere corrosione di tipo chimico o rigonfiamento: penetrazione di molecole piccole (solventi organici o acqua) tra le macromolecole che provocano la rottura dei legami intermolecolari (i legami secondari esistenti tra una catena e l’altra) con conseguente indebolimento e rigonfiamento o smaltimento: la notevole stabilità chimica dei polimeri costituisce un serio problema per quanto riguarda lo smaltimento degli stessi, che non degradano o invecchiamento: polimeri soggetti ad un rapido deterioramento, per quanto riguarda la resistenza meccanica, imputabile ad una degradazione delle macromolecole le quali, si accorciano a causa dell’esposizione alla luce (raggi ultravioletti), oppure l’ossidazione del polimero (ad opera di ossigeno e soprattutto di ozono) o combustibilità: i polimeri sono materiali infiammabili (la fiamma si propaga anche dopo che si è allontanato l’innesco). Per ritardare la combustione o addirittura inibirla si aggiungono quantità significative di cloro (come nel PVC) o di fluoro (come nel Teflon) o PROPRIETA’ TERMICHE: o elevato coefficiente di dilatazione termica o bassa conducibilità termica, che può essere aumentata introducendo nella formulazione cariche con buona conducibilità o PROPRIETA’ ELETTRICHE: o i legami atomici dei polimeri non permette un trasferimento di elettroni: isolanti o PROPRIETA’ OTTICHE: o i polimeri cristallini sono opachi, mentre i polimeri amorfi sono trasparenti o DENSITÀ: bassa o PROPRIETA’ MECCANICHE: sia lo sforzo di rottura che l’allungamento finale sono fortemente influenzati dalla velocità di deformazione, al crescere della quale crescono sia la rigidità che la fragilità del polimero. Esse dipendono inoltre dalla temperatura di prova e dalle forze di attrazione intermolecolari (forze di van Der Waals) LE PROPRIETA’ MECCANICHE: I polimeri termoplastici sollecitati, reagiscono deformandosi in parte elasticamente e in parte viscosamente. La componente elastica e quella viscosa dipendono dalla struttura del polimero, e dalla temperatura di prova. → variazioni di lunghezza delle catene e degli angoli di legame: deformazione meccanicamente e termodinamicamente reversibile (elastica) → stiramento dei gomitoli statistici: deformazione meccanicamente reversibile, ma termodinamicamente irreversibile, si annulla molto lentamente (elastica ritardata o viscoelastica) → scorrimento delle catene le une sulle altre: deformazione meccanicamente e termodinamicamente irreversibile (viscosa) La combinazione di componenti viscose ed elastiche della deformazione dà origine al comportamento viscoelastico. Comportamento fragile: il materiale è poco deformabile, la deformazione avviene solo in campo elastico, dove arriva a rottura tipico di termoplastici sotto Tg e termoindurenti Comportamento duttile: il materiale è deformabile, la deformazione avviene in campo viscoelastico (parzialmente recuperabile) tipico di termoplastici amorfi o semicristallini sopra Tg. N.B Nei polimeri non c’è incrudimento Comportamento elastomerico: il materiale è facilmente deformabile, ma sempre solo in campo elastico, dove arriva a rottura tipico di elastomeri (polimeri naturali o sintetici caratterizzati da proprietà gommose) sopra Tg Il modulo elastico di un polimero aumenta con l’aumentare del peso molecolare, con la cristallinità, in base alla presenza di gruppi polari o pendenti sulla catena, dalla reticolazione, dall’aggiunta di fibre. Esso inoltre dipende molto dalla temperatura. Con l’aumentare della temperatura, il materiale inizia a rammollire tendendo a deformare in campo viscoso, per cui il modulo elastico diminuisce. Il modulo elastico diminuisce bruscamente al passaggio dallo stato vetroso, a quello gommoso. Nella zona gommosa rimane più o meno costante, fino a che diminuisce di nuovo bruscamente al passaggio a liquido, dove poi arriva alla temperatura di rammollimento/fusione dopo la quale il materiale sarà completamente fuso. Deformazione viscoelastica (T ≥ Tg) → dipende dal tempo di applicazione dello sforzo 4. I LEGANTI Essi sono polveri finissime ottenute per cottura e macinazione di rocce naturali Legante + acqua → impasto plastico lavorabile → corpo solido rigido Il passaggio da stato plastico a solido avviene attraverso: → Presa: perdita di plasticità, il materiale non può più essere deformato → Indurimento: sviluppo di resistenza meccanica e rigidità I leganti possono essere:  AEREI: induriscono solo all’aria e non possono operare a contatto permanente con l’acqua o ambienti molto umidi → gesso, calce aerea  C = CaO  A = Al2O3  F = Fe2O3  3CaOSiO2 = C3A Il clinker è formato da 4 composti idraulici, quindi che hanno la capacità di formare un prodotto resistente all’acqua. Essi sono: C3S + C2S (silicati di calcio, 75-85%) C3A + C4AF (silicati di alluminio e di alluminio e ferro, 15-25%). La composizione del cemento Portland viene spesso espressa in termini di grandezze derivate dal tenore degli ossidi (sulla base del valore di questi rapporti, riesco a capire le caratteristiche del mio cemento):  Modulo idraulico: esprime il rapporto tra i componenti basici e quelli acidi del clinker  Modulo silicico: definisce la porzione delle fasi silicee. Alto Ms significa alti valori di silice, quindi maggiore resistenza meccanica. Bassi valori indicano invece elevata formazione di fase liquida, quindi rapidità di presa.  Modulo dei fondenti: definisce la percentuale della fase alluminosa rispetto a quella ferrica del clinker  Modulo calcareo: in modo da capire l’ossido di calcio legato all’ossido di silicio. Se tale valore supera una certa soglia, sta a indicare che nel materiale è presente calce libera → dannoso, poiché contenente ossido di calcio che a contatto con l’acqua reagisce aumentando di volume e degradando lentamente il materiale FINEZZA: Il clinker deve essere ben macinato in piccole particelle, poiché la finezza è una delle principali caratteristiche deve avere il cemento, la quale determina:  la reattività del cemento (velocità di indurimento)  la lavorabilità  la velocità di sviluppo della resistenza meccanica (tempo di presa) e del calore  il costo del cemento  Non voglio particelle troppo fini poiché esse sono troppo reattive, e possono reagire già durante il trasporto in betoniera, andando quindi a rovinare la lavorabilità dell’impasto.  Non voglio particelle troppo grandi poiché in questo caso i processi di idratazione non possono avvenire e quindi non si formano tutti i composti idranti che danno resistenza meccanica al sistema (una parte di volume non reagisce completamente con l’acqua) La misura delle particelle deve essere quindi compresa tra i 2 e i 90 micron (um). Per ottenere cemento portland a rapido indurimento, a parità di composizione aumento la finezza delle particelle. Clinker (C3S + C2S + C3A + C4AF) + gesso (3/5%) = cemento + acqua (+ aria + additivi) = pasta di cemento + sabbia (aggregato fine < 4mm) = malta cementizia + gaia/pietrisco (aggregati grossi) = calcestruzzo + armature in acciaio = calcestruzzo armato 6. IDRATAZIONE DEL CEMENTO Reazioni degli idrauliti: 1. C3S + H2O → CSH + Ca(OH)2 + q 2. C2S + H2O → CSH + Ca(OH)2 + q 3. C3A + H2O → CAH + q 4. C4AF + H2O → CAFH + q Ca(OH)2 è quella che chiamavamo calce spenta, ora chiamato portlandite poiché derivante dall’idratazione del cemento. q = calore di idratazione rilasciato durante la reazione grado di idratazione: notiamo che alcuni prodotti idratano completamente (reagiscono) anche in qualche ora, mentre altri richiedono tempi molto più lunghi. resistenza meccanica: dopo 3-7 gg è circa pari al 30-60% di quella a 28 gg, mentre la resistenza a 28 gg è circa pari al 80% di quella finale. La resistenza e il grado di idratazione della pasta di cemento si valutano a 28 giorni secondo normativa. Notiamo che idratazione e resistenza di C3S è sempre maggiore di quella di C2S. Inoltre, le curve di quest’ultimi corrispondono in quanto sono questi che forniscono resistenza al cemento, quindi alla loro formazione danno resistenza. Per questo motivo abbiamo la necessità di formare subito C3S, in quanto ci dà la resistenza meccanica a inizio produzione, mentre il C2S è perfetto per la resistenza meccanica a lunga formazione, in quanto è meno reattivo, ma non basta (non è notevole a 28gg). PASTA DI CEMENTO: La pasta di cemento (acqua + cemento) si forma attraverso le reazioni di presa e indurimento. Inizialmente le particelle stanno iniziando a reagire, e l’acqua ne permette lo scorrimento. Il materiale è quindi plastico e lavorabile, all’avvio della presa inizia a diminuire la plasticità fino a solidificazione (fine presa), perdendo la lavorabilità. Con i mesi avviene poi l’indurimento, per cui aumenta la resistenza del materiale. Umidità e temperatura promuovono l’idratazione. Per rallentare l’idratazione del C3A viene aggiunto, all’atto della macinazione del clinker nella produzione del cemento Portland, del gesso (3-5%), che funziona come regolatore di presa. In questo modo l’impasto rimane lavorabile per un tempo sufficientemente lungo per il trasporto e la messa in opera del calcestruzzo. Esso funziona come regolatore di presa poiché va a interagire con i composti che hanno il problema della presa rapida, rallentando la loro idratazione (non vale solo per il C3A, ma anche per gli altri). Il gesso reagendo con i composti va a formare ettringite: una pellicola che avvolge i singoli grani, rendendo difficile la reazione di idratazione. Dopo circa un giorno il gesso si consuma e l’ettringite si trasforma in monosolfatoalluminato. Se non ci fosse il gesso avremmo una presa istantanea, quindi inadatta alla lavorazione.  Partiamo da cemento anidro, poi si forma ettringite, specificatamente nelle zone del clinker dove ci sono C3A C4AF, permettendo il ritardo dell’idratazione. Iniziano poi a reagire anche C2S e C3S, quindi a formarsi i prodotti di idratazione. Il volume dei prodotti è maggiore di quello dei reagenti, che andranno quindi a occupare gli spazi tra le particelle legandole tra di loro così da aumentare la resistenza meccanica. Per un dato volume di cemento anidro che scompare a seguito delle reazioni d’idratazione si produce un volume più che doppio di prodotti idratati. Si realizza in tal modo il progressivo consolidamento del sistema attraverso la presa (dopo qualche ora) e l’indurimento (dopo circa un giorno). [Per norma la presa non deve iniziare prima di 45 minuti, e deve finire entro le 12 ore] La pasta di cemento è data appunto da cemento + acqua, in modo che essa sia lavorabile. Se il rapporto a/c è alto, essa tiene le particelle di cemento maggiormente separate tra di loro. Se aumento la quantità di acqua, aumenterà quindi la porosità, facendo diminuire la resistenza meccanica e aumentando la possibilità per agenti aggressivi di entrare nel calcestruzzo, diminuendo la durabilità. Stagionatura (o maturazione): l’insieme delle procedure di controllo (dell’umidità e della temperatura) allo scopo di promuovere l’idratazione del cemento, e quindi lo sviluppo delle sue caratteristiche meccaniche e della sua durabilità. Il calore di idratazione q dipende da: 1) Composizione del clinker 2) Finezza di macinazione La reazione di idratazione delle paste cementizie porta ad innalzare la temperatura del calcestruzzo che tenderà ad aumentare il proprio volume (specie nel nocciolo della struttura). Se la differenza tra la temperatura registrata all’interno delle strutture e la temperatura esterna supera i 20-25°C provoca una sollecitazione meccanica → possono formarsi fessurazioni. Questo problema si può risolvere utilizzando cementi a basso calore di idratazione, quindi con minori quantità di C3S e C3A, i costituenti del clinker che producono maggiore calore di idratazione. Quello che conta non è solo la quantità di calore totale liberata, ma anche la velocità con cui esso viene prodotto (un rapido sviluppo del calore determina accumuli di calore nella struttura). Utilizzati in particolare per dighe. 7. MICROSTRUTTURA DELLA PASTA DI CEMENTO INDURITA Costituita da: 1. PARTE SOLIDA: 8. I CEMENTI DI MISCELA I cementi di miscela sono leganti idraulici composti da cemento Portland con aggiunta di elementi minerali. Durante la formazione del cemento portland, dopo la macinazione del clinker a esso oltre al gesso vengono aggiunti anche altri elementi minerali dando luogo a un cemento di miscela. Queste aggiunte vengono fatte sia per utilizzare materiali di scarto di alcuni processi produttivi, sia per ottenere cementi capaci di dare migliori prestazioni (alta resistenza meccanica, bassa porosità, elevata durabilità, basso sviluppo di calore). Si possono dividere in due categorie:  materiali a comportamento pozzolanico: prodotti di idratazione con caratteristiche idrauliche  leganti idraulici latenti: hanno la possibilità di avere caratteristiche idrauliche ma necessitano un attivante POZZOLANA: materiale naturale di origine vulcanica o sedimentaria. Ha composizione ricca in SiO2 e Al2O3 (silico alluminata). Essa ha una struttura amorfa e porosa, ha carattere acido ed è molto reattivo con la calce spenta Ca(OH)2. Esiste anche la pozzolana artificiale, ottenuta da argille trattate con processo termico. Materiale a comportamento pozzolanico. CENERE VOLANTE (Fly-ash): È una polvere residua dalle centrali termiche a carbone, come sottoprodotto della combustione del carbone. Normalmente contiene elevata SiO2, Al2O3 e variabile CaO. È formata da microsfere (1-100μm) vetrose (fino all’80-90%) sulla cui superficie sono presenti microcristalli. A seconda del contenuto in CaO sono o materiali a comportamento pozzolanici o leganti idraulici latenti (ceneri volanti calciche). FUMO DI SILICE: È un sottoprodotto del processo produttivo del Si metallico e delle leghe Fe-Si, composto quasi esclusivamente da SiO2. Composto da microsfere vetrose (1/100 della grandezza di una particella di clinker) → utili per eliminare le porosità. Non viene aggiunto in quantità > 10%. Materiale a comportamento pozzolanico. REAZIONE POZZOLANICA: La reazione pozzolanica è una reazione che avviene tra queste aggiunte minerarie (cenere volante o fumo di silice) e la portlandite Ca(OH)2. Il vantaggio di questa reazione è che si elimina la portlandite ottenuta dall’idratazione del clinker, dando CSH secondario, materiale ad alta resistenza meccanica. CARATTERISTICHE E CONSEGUENZE DELLA REAZIONE POZZOLANICA → la reazione è lenta: pertanto la velocità di sviluppo di calore e della resistenza meccanica è lenta → la reazione consuma idrossido di calcio e produce prodotti, in particolare CSH, simili a quelli che si ottengono per idratazione del cemento Portland → La microstruttura della pasta indurita dei cementi di miscela risulta compatta, con una riduzione sia del volume che della dimensione dei pori, molto meno permeabile della pasta cementizia di un cemento Portland. Questa è la ragione principale della resistenza alle acque pure dilavanti, alle acque solfatiche ed alla penetrazione dei cloruri CEMENTI POZZOLANICI: prodotti d’idratazione simili a quella del cemento Portland, eliminazione del CH, minor richiesta d’acqua, maggior resistenza meccanica, diminuzione della porosità, eliminazione della portlandite, minor calore di idratazione, sviluppo lento della resistenza (< portland) → non si possono avere cementi a rapido indurimento, minor pH CEMENTI CON CENERE VOLANTE: Prodotti d’idratazione simili a quella del cemento Portland, eliminazione del CH, minor richiesta d’acqua, maggiore lavorabilità grazie alla microstruttura sferica delle particelle vetrose, presenza di carbone incombusto che scolorisce il cemento e interferisce con gli additivi CEMENTI CON FUMO DI SILICE: Prodotti d’idratazione simili a quella del cemento Portland, eliminazione del CH, microstruttura più compatta con bassa permeabilità, sviluppo di elevate resistenze meccaniche, maggiore richiesta d’acqua, quantità < 10% per non diminuire troppo la lavorabilità LOPPA BASICA D’ALTOFORNO: proviene da processi di manifattura della ghisa. Elevata in SiO2 e in Al2O3, con la presenza di CaO. La loppa ha un comportamento idraulico latente (che si sviluppa lentamente, ha il potenziale per avvenire). La portlandite è un attivatore per cui la reazione di idratazione della loppa riesce ad avvenire. In questo modo posso avere un cemento di miscela che può contenere fino all’85% di loppa, in quanto la portlandite è solo un catalizzatore e ne servirà poco per far chi se le potenzialità idrauliche della loppa si manifestino. Loppa + Ca(OH)2 + H2O → CSH + CAH (secondari) CEMENTI D’ALTOFORNO: Prodotti d’idratazione e microstruttura e simile a quella del cemento Portland, eliminazione del CH, minor calore di idratazione, resistenze meccaniche più elevate (su tempi molto lunghi), basse resistenze a tempi brevi (lenta idratazione) Altre aggiunte: Scisto calcinato: è prodotto dalla calcinazione di materiale naturale. Possiede sia proprietà idrauliche che comportamento pozzolanico Calcare: è l’unica aggiunta priva di caratteristiche pozzolaniche o idrauliche latenti. Viene macinato finemente ed usato come fillerizzante, per ridurre la quantità di clinker di cemento Portland in un cemento, mentre non porta a nulla a livello di resistenza. NORMATIVA SUI CEMENTI Vengono suddivisi in 5 classi. Per provini di malta confezionati con metodologia standard il rapporto a/c deve essere pari a 0.5, il rapporto sabbia/cemento pari a 3. La sabbia da usare ha una distribuzione granulometrica specificata dalla norma. Si possono effettuare prove fisiche, come quella di finezza e di stabilità volumetrica, e prove chimiche come la perdita al fuoco, il residuo insolubile, il saggio di pozzolanità… 9. GLI AGGREGATI Essi sono sostanze minerali naturali o artificiali frantumate e non, con particelle di dimensioni e forme adatte alla produzione del calcestruzzo. Occupano volume, diminuendo la quantità della pasta cementizia, quindi il costo e il calore di idratazione. Inoltre garantiscono stabilità dimensionale, e promuovono le caratteristiche del csl come il modulo elastico, la resistenza all’abrasione, la lavorabilità e la durabilità. In base al volume delle particelle sono suddivisi in: o Aggregati normali o Aggregati leggeri o Aggregati pesanti LE CARATTERISTICHE DEGLI AGGREGATI:  DIMENSIONE: sono detti aggregati fini o grossi se passano o non passano per almeno al 95% ad un vaglio con maglie di apertura 4 mm. Ha senso aumentare il diametro degli aggregati per ridurre la quantità di questi e quindi il fabbisogno d’acqua. o sabbia: quando la dimensione dei singoli granuli non supera i 4 mm o ghiaia: dimensione > 4 mm, di origine alluvionale e di forma tondeggiante o pietrisco: dimensione > 4 mm, proveniente dalla frantumazione della roccia e di forma irregolare  FORMA: o piatti o allungati o tondeggianti: consentono di confezionare calcestruzzi più lavorabili di quelli contenenti elementi piatti od allungati. A parità di volume, avendo una maggior superficie, richiedono un maggior volume di pasta cementizia (maggiore rapporto a/c) L’angolarità si riferisce allo stato di usura degli spigoli degli elementi. Essa può influenzare la lavorabilità e la resistenza del calcestruzzo: a parità di rapporto a/c, gli aggregati a spigoli vivi favoriscono l’aderenza con la pasta, e soprattutto la resistenza a trazione risulta migliorata. La forma influenza anche il grado di riempimento del volume, che è massimo per aggregati tondeggianti e decresce all’aumentare della loro angolarità.  SUPERFICIE: o vetrosa (tipica del vetro) o liscia (tipica della ghiaia, del marmo, della selce) o rugosa (tipica dell’arenaria o basalto) o cristallina (tipica del granito) o porosa con cavità (tipica della pietra pomice) Con la rugosità aumenta l’adesione tra la pasta cementizia e gli aggregati, ma cresce la quantità d’acqua richiesta per avere un impasto di pari lavorabilità, con conseguente aumento del rapporto a/c e della porosità del calcestruzzo.  POROSITA’: la porosità degli aggregati (intesa come percentuale di volume occupata dai pori rispetto al volume totale del granulo) dipende dalla roccia da cui derivano; può variare da < 2% per le rocce ignee intrusive, al 10-40% dei calcari o delle rocce vulcaniche. Essa influisce sulle proprietà fisiche, chimiche, meccaniche, termiche e di durabilità del calcestruzzo.  UMIDITA’: si intende il contenuto % di acqua rispetto al peso dell’aggregato secco o Asciutto o insaturo: la sua porosità aperta non contiene acqua o non è completamente riempita d’acqua o Bagnato: oltre ad avere la porosità piena d’acqua, ha anche la superficie bagnata o Saturo a superficie asciutta: quando i suoi pori aperti sono completamente pieni d’acqua ma la sua superficie è asciutta Di conseguenza, il rapporto a/c dovrà essere calcolato tenendo conto dell’umidità dell’aggregato (ed anche dell’acqua aggiunta insieme ad eventuali additivi)  DENSITA’: si può distinguere tra la densità assoluta dell’aggregato (che non tiene conto della eventuale porosità presente nello stesso), la densità apparente (che tiene conto della eventuale porosità dell’aggregato) e la densità in mucchio (che tiene conto sia della porosità degli aggregati che del volume vuoto tra gli aggregati a contatto)  CARATTERISTICHE MECCANICHE: La resistenza a compressione, all’urto, all’abrasione, la durezza e il modulo elastico sono tra loro in relazione e dipendono dalla porosità del materiale. In genere però queste caratteristiche non influenzano il comportamento meccanico del calcestruzzo, essendo solitamente la resistenza meccanica dell’aggregato maggiore a quella della pasta Prevenzione: ridurre la permeabilità della struttura diminuendo il rapporto a/c per ottenere una matrice più compatta e meno penetrabile da CO2, aumentare lo spessore del copriferro ATTACCO ACIDO Il calcestruzzo a contatto con un liquido con pH < 6 porta allo scioglimento del CSH. AZIONE DILAVANTE DELL’ACQUA Le acque pure (piovane o montane) sciolgono i componenti a base di calcio, deteriorando sia il CSH che la portlandite. Il problema riguarda strutture esposte a acque piovane o naturali (presenza di CO2). Prevenzione: ridurre la permeabilità del calcestruzzo, ridurre al minimo la presenza di calce idrata nella pasta di cemento magari sostituendola con materiali pozzolanici o di altoforno dove la presenza di portlandite è minore. ATTACCO SOLFATICO La presenza di ioni solfatici fa sì che la portlandite si trasformi in gesso biidrato, con aumento di volume. Il gesso reagisce poi con gli alluminati a formare ettringite e thaumasite, reazioni che portano a un aumento di volume ancora maggiore. Un grande aumento di volume in materiale già indurito provoca fessurazioni. ATTACCO SALI DISGELANTI (CLORURI) Gli ioni cloruro, provenienti da NaCl e CaCl2, possono provocare la corrosione delle armature. Mentre lo ione Na+, in presenza di aggregati alcali-reattivi (attacco ASR), può dare origine a prodotti espansivi, ed il cloruro di calcio infine reagisce con la matrice cementizia che contiene portlandite formando un ossicloruro di calcio, ciò provoca un grande aumento di volume con conseguenze dannose per la matrice cementizia. I sali disgelanti sono forse l’agente più aggressivo sia per la severità della loro azione, sia per la molteplicità del loro attacco poiché possono coinvolgere tutti i componenti della struttura in calcestruzzo: le armature, l’aggregato e la matrice cementizia. ATTACCO ACQUA DI MARE Processi chimici: attacco acido, solfatico, azione dei cloruri, reazione alcali aggregati Processi fisico meccanici: fessurazione, erosione, gelo disgelo Processi biologici: azione di licheni, alghe, funghi ed incidenza del fouling ATTACCO DA GELO-DISGELO Il passaggio da acqua liquida a ghiaccio provoca un aumento di volume. Il congelamento dell’acqua nei pori è un processo graduale e riguarda principalmente l’acqua contenuta nei pori capillari. I pori del gelo sono così piccoli da non permettere la formazione del ghiaccio a meno che T<-78°C. Mentre per quanta riguarda il disgelo, la perdita d’acqua per evaporazione porta alla variazione dimensionale del materiale e alla formazione di fessure da ritiro igrometrico. Prevenzione: riduzione permeabilità (a/c), riduzione umidità, presenza di additivi aeranti. CORROSIONE DEI FERRI D’ARMATURA La corrosione delle armature è un processo di tipo elettrochimico. Avviene se c’è:  presenza di zona anodica e catodica  trasporto di elettroni (lungo l’armatura)  presenza di soluzione elettrolitica (conduttore ionico: acqua contenuta nei pori del CLS)  ossigeno (per la reazione catodica) Può essere data dalla carbonatazione (corrosione generalizzata) o dall’attacco dei cloruri (corrosione localizzata, Pit). L’innesco della corrosione e la sua propagazione è quindi data dall’umidità. La reazione avviene solo in presenza d’acqua → per U.R. < ~40% non avviene. Per prevenire il degrado è quindi necessario conoscere in che ambiente opererà la struttura, in modo tale da prendere i giusti accorgimenti. I 4 parametri essenziali da cui dipende la durabilità sono:  valore minimo della resistenza caratteristica Rck  rapporto a/c massimo  contenuto di cemento minimo  spessore minimo del copriferro (35 o 45 mm) Le principali prevenzioni da adottare sono quindi: → abbassare a/c per rendere il calcestruzzo il meno permeabile possibile, ed aumentare la resistenza della pasta di cemento indurita → scegliere cementi speciali (pozzolanico e/o d’altoforno) o materiali speciali da aggiungere al cemento (cenere volante, fumi di silice, loppa granulata) per aumentare la resistenza all’attacco dei cloruri e dei solfati → Inglobare aria sotto forma di microbolle per i cicli di gelo e disgelo 10. MATERIALI CERAMICI Essi sono materiali inorganici non metallici, costituiti da elementi metallici e non legati tra loro da legami ionici o covalenti, generalmente formati a freddo. Caratteristiche: → Rigidi ed elastici → Fragili a trazione, buona resistenza a compressione → Alto punto di fusione → Resistenti alla fiamma Si dividono in: → Ceramici tradizionali: costituiti da 3 componenti (argilla, silice e feldspato). Uso: materiali da costruzione, porcellane. Si classificano anche in base a: o Smaltati/non smaltati: lo smalto è un sottile strato vetroso applicato sulla superficie del componente allo scopo di conferire impermeabilità, colore, resistenza ad attacchi… o Compatti/porosi: dipende dalla porosità, quindi dall’assorbimento dell’acqua, dalla composizione dell’impasto e dalla temperatura di cottura o Bianchi/colorati (rossi) → Ceramici avanzati: tipicamente composti puri o quasi puri Uso: elettronica, meccanica, energetica, ottica... Gli impasti ceramici devono essere costituti in modo tale da avere funzione:  plastificante: assicura che l’impianto sia deformabile plasticamente senza rottura. Sono di solito le argille, costituite in larga parte da idrati di Al. Miscelando appunto le argille con acqua questa forma un velo con le particelle, che sotto sforzo scorrono le une sulle altre mantenendo una certa coesione o < 10%: poca fluidità, non tutte le particelle sono neutralizzate, l’acqua fa da legante tra gli strati o 15-25%: neutralizzate tutte le cariche d’argilla si forma la pellicola d’acqua e il materiale avrà comportamento plastico o > 50%: sospensione delle particelle di argilla in acqua Maggiore sarà la quantità d’acqua, maggiore sarà il ritiro in essicamento.  smagrante/strutturale: controlla le caratteristiche meccaniche del componente crudo, cioè le variazioni dimensionali in fase di essicamento e cottura (riguarda l’eliminazione dell’acqua). L’essicamento non è altro che la perdita d’acqua dell’impasto, portando a una riduzione del volume del materiale in superficie, mentre rimane tale al centro portando alla formazione di fessurazioni, se non è presente il componente smagrante.  fondente: controlla la formazione di una fase liquida durante la cottura. Il liquido riempie le porosità residue dell’impasto, permettendo la riorientazione e la saldatura delle particelle. I principali composti sono carbonati o feldspati. Feldspati → pasta compatta (Na/K/AlSi3O8, CaAl2Si2O8) Carbonato → pasta porosa (CaCO3) PROCESSO DI PRODUZIONE: 1. Scelta delle materie prime 2. Preparazione dell’impasto: materia prima unica (laterizi, piastrelle) o impasto preparato ad hoc (piastrelle, sanitari, porcellane) 3. Formatura 4. Essicamento: rimozione dell’acqua dall’impasto. Si porta il materiale ad un elevata temperatura e umidità cosicché non avvenga l’evaporazione, riducendo poi l’umidità 5. Cottura: rapidi cicli di cottura in forni a tunnel 6. Smaltatura: eventuale applicazione di smalti di natura vetrosa sulla superficie del prodotto per ottenere caratteristiche estetiche e funzionali (durezza, impermeabilità, pulibilità). LATERIZI: sono costituiti da materie prime argillose contenenti impurezze, quali calcare e ossidi di Fe. Non necessitano appunto di smagranti, che sono già presenti. Di solito formati per estrusione e cotti a basse temperature, in modo da evitare la formazione di una fase liquida a bassa viscosità. Se li cuocio male possono avere mattoni stracotti o albasi (cotti a t. troppo alte) Essi sono tegole, mattoni… PIASTRELLE: sono distinguibili per  porosità: data dall’assorbimento d’acqua %  metodo di formatura: pressate o estruse  stato delle superficie: smaltate o non smaltate  ciclo/tecnologia di fabbricazione: mono o bicottura  colore del supporto
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