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Contratto preliminare e dottrine ad esso correlate, Appunti di Diritto Civile

Contratto preliminareConsenso traslativoRescissione del contratto

Il tema del contratto preliminare, soffermandosi sulla dottrina di gazzoni che tende a ridefinirne il concetto in relazione ai casi in cui prelude alla stipula del definitivo di compravendita. Si discute inoltre della figura del contratto preliminare come deroga al principio del consenso traslativo sancito dall'art. 1376 del codice civile e dell'obbligo di concludere il contratto definitivo. Vengono inoltre trattati argomenti quali la rescissione del contratto, il negozio misto con donazione e il dolus incidens.

Cosa imparerai

  • Cosa si intende per negozio misto con donazione e come viene interpretato dalla dottrina?
  • Quali sono i due casi in cui il creditore può esigere la prestazione nel contratto preliminare?
  • Come viene ridefinito il concetto di contratto preliminare secondo la dottrina di Gazzoni?
  • Cosa si intende per rescissione del contratto e in quali casi si applica?
  • Cosa si intende per obbligo di concludere il contratto definitivo nel contratto preliminare?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 15/12/2019

CCCC_
CCCC_ 🇮🇹

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Contratto preliminare e dottrine ad esso correlate e più Appunti in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! DIRITTO CIVILE Lunedì 28/09/2015 CASO N. 1 (settembre 2015) Tizio e Caia convivono come coniugi sebbene non siano sposati. Tizio, volendo premiare Caia per la sua dedizione e per il lavoro domestico prestato negli anni, decide di gratificarlo con una consistente somma di denaro che le trasferisce tramite bonifico bancario. Alla morte di Tizio, i figli nati dalla precedente relazione scoprono le carte degli estratti conto del bonifico. Ritenendo di averne il diritto, convengono Caia in giudizio. Si dica: A) Come vada qualificata l'attribuzione di Tizio a Caia; B) Se essa sia valida; C) Ammettendone la validità, se tale attribuzione qualora lesiva della legittima possa essere impugnata con azione di riduzione. Domande di teoria: 1) Natura del contratto per persona da nominare e suoi effetti. 2) Il negozio fiduciario nozione ed effetti. RISOLUZIONE CASO N. 1 Come si risolve un caso? Innanzi tutto bisogna dare il nome giuridico alle cose. La legittima può essere violata sia attraverso atti di liberalità Inter vivos (donazioni, anche indirette), sia mediante disposizione testamentaria. Bisogna utilizzare il metodo analitico descrittivo. Bisogna sbriciolare la traccia agli eventi e ricondurli negli istituti. Dare il nome giuridico alle cose significa qualificare. Qualificare significa sussumere. Sussumere letteralmente significa mettere sotto, ricondurre un fatto ad un fattispecie astratta, riconoscere che un fatto è riconducibile ad una determinata previsione normativa. Il legislatore con la fattispecie astratta indica i fatti per riconnetterne gli aspetti di diritto. Lo scopo è quello di riconoscere gli effetti giuridici che un dato fatto produce. Cosa che si ricollega all'individuazione della presenza o meno di diritti soggettivi in capo ai soggetti. Bisogna capire se la norma riconosce quel diritto. I diritti reali, il diritto di famiglia e la disciplina specifica dei singoli contratti non sono programma d'esame. Quindi il questo caso si parla di famiglia di fatto, ma i problemi evidentemente non saranno lì. È una relazione more uxorio tra persone non sposate. Di conseguenza non vi sono obblighi giuridici tra le parti. Vi è la più totale spontaneità negli atti, senza alcun vincolo. È una convivenza alla quale non si associano obblighi giuridici. A che titolo vengono dati questi soldi? Tornando all'analisi del caso Tizio dà dei soldi a Caia. A che titolo vengono dati questi soldi? Potrebbe trattarsi di una donazione remuneratoria ai sensi dell'art. 770 c.c. Art. 770 Donazione rimuneratoria: È donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione. Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi. Al primo comma si fa riferimento alla donazione remuneratoria. Al secondo comma alle liberalità d'uso. Art. 769 Definizione di donazione: La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione. L'art. 769 innanzitutto mi dice che cosa è una donazione. Mi dice che è un contratto. Però non è trattato assieme agli altri contratti. È un contratto col quale per spirito di liberalità una parte arricchisce l'altra. Quindi debbono esserci necessariamente anche l'arricchimento di un altro soggetto con un animus donandi da parte del donante, animus donandi che è cioè lo spirito di liberalità con cui si va effettuando l'arricchimento. La norma aggiunge disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione: quindi ciò significa che esistono donazioni traslative ma anche obbligatorie. È un contratto inoltre solenne, perché si perfeziona solo con atto pubblico, pena la nullità, come ci dice la norma di cui all'art. 782. 782. Forma della donazione: La donazione deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità. Se ha per oggetto cose mobili, essa non è valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell'atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio. L'accettazione può essere fatta nell'atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l'atto di accettazione è notificato al donante. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione. [Se la donazione è fatta a una persona giuridica, il donante non può revocare la sua dichiarazione dopo che gli è stata notificata la domanda diretta a ottenere dall'autorità governativa l'autorizzazione ad accettare. Trascorso un anno dalla notificazione senza che l'autorizzazione sia stata concessa, la dichiarazione può essere revocata] (1). Accanto alla donazione il codice riconosce però, abbiamo visto, anche la donazione remuneratoria ex art. 770 primo comma. Anche la remuneratoria è come la donazione semplice un contratto con il quale un a parte arricchisce l'altra per spirito di liberalità. Qual è dunque la distinzione tra la donazione semplice e quella remuneratoria? Come si collocano? Il rapporto tra la donazione semplice e quella remuneratoria è un rapporto genere - specie. Ove la specie si caratterizza per avere tutti gli elementi del genere, più un elemento specializzante, in più rispetto a quelli già presenti nel genere. In questo caso la donazione semplice è il genere, mentre la remuneratoria è la specie, e di speciale c'è che la donazione remuneratoria è una donazione particolare, nella quale assume rilevanza lo specifico motivo per il quale viene posta in essere, specifico motivo che ne è dunque l'elemento specializzate. Questo motivo è quello che emerge dal primo comma dell'art. 770: premiare, remunerare l'altra parte. Da badare bene: nella donazione la causa si distingue dai motivi. La causa è sempre la liberalità, i motivi possono essere i più vari a seconda dei casi. Una cosa è la causa, un'altra sono i motivi. La causa è lo spirito di liberalità, mentre i motivi possono essere i più vari e disparati. Possono essere motivi nobili ma anche meno nobili. A proposito dei motivi, vi è però una disposizione normativa che in caso di motivo illecito sancisce la nullità della donazione: la donazione è nulla quando risulta dall'atto un motivo illecito e quando il motivo illecito è il solo motivo che abbia determinato il donante. Nella donazione il motivo illecito rende nullo il contratto di donazione. Lesioni di legittima I legittimari sono stretti congiunti del defunto a cui deve essere garantita una quota della eredità. Perchè nel nostro ordinamento le liberalità hanno rilevanza successoria? La risposta la si ricava indagando il modo, i diritti che la legge riserva ai legittimari. La legge dispone che bisogna sommare al relictum al netto del passivo ereditario ciò che il de cuius ha disposto in vita a titolo di liberalità. Ecco perché anche le donazioni hanno importanza in sede successoria. Tutta la legittima si basa sulla nozione di lesione. Definizione: È situazione giuridica che viene prodotta dalle liberalità disposte dal titolare del patrimonio di riferimento e tali da impedire all'avente diritto, in quanto eccedenti la disponibile, l'acquisto della porzione riservatagli per legge. Sommando al relictum il donatum noi abbiamo la massa sulla quale vanno calcolati i diritti che spettano ai legittimari, le quote loro riservate dalla legge. Se il valore della quota è compreso nella quota che può essere spettata al legittimario in quanto erede legittimo o testamentario, cioè la quota è pari o superiore, e si calcola sul solo relictum, non c'è lesione di legittima, altrimenti si verifica la lesione, perché ha disposto in misura eccedente il disponibile. Una volta che si realizza la violazione di legittima lo strumento di tutela è l'attribuzione al legittimario di un diritto potestativo che gli consente di rimuovere con l'azione di riduzione l'impedimento dato alla soddisfazione della sue ragioni. Questo perché se de cuius fa una donazione che eccede, l'effetto della donazione che implica fuoriuscita bene dal patrimonio bene è quello di impedire l'acquisto di quel bene da parte del legittimario nella sua quota di legittima. L'effetto reale della donazione di trasferimento impedisce l'acquisto di quel bene dal legittimario. Ecco che la legge gli attribuisce un diritto potestativo che gli consente di rimuovere tale impedimento e tale diritto potestativo è l'azione di riduzione, che è l'azione personale di accertamento costitutivo della lesione di legittima. L'effetto della sentenza di riduzione è quello di rendere inefficace, inopponibile, la donazione nei confronti del legittimario vittorioso. Quindi il venir meno dell'ostacolo per il legittimario. Coerenza tra problema, violazione e quello che è il rimedio. Io rendo inefficace la donazione che ostacola la legittima e faccio in modo che il bene donato non sia mai uscito dal patrimonio del defunto. Attenzione: La sentenza, il giudicato di riduzione non si qualifica MAI come titolo traslativo in capo al legittimario dei beni oggetto della riduzione. Quindi qual è il titolo per cui poi il legittimario può acquisire il bene? È ereditario. È come se mai il bene fosse uscito dal patrimonio, quindi acquisterà il bene in quanto compreso nella quota di eredità di cui egli sia stato investito per vocazione legittima o testamentaria, iure successionis, a titolo ereditario. Vi sono più possibili lesioni di legittima: • Lesione di legittima economica: se la lesione è economica, l'oggetto saranno i singoli beni spettanti per porzione, e l'effetto sarà l'inopponibilità della liberalità al legittimario. • Lesione di legittima: ciò avviene quando legittimario sia stato pretermesso dall'eredita con vocazione a titolo ereditario, manca proprio la delazione. Quota di eredità che viene attribuita al legittimario ex lege come necessaria. Pretermessione e lesione sono le due ipotesi di violazione della legittima. Nell'ultimo caso l'azione di riduzione sarà diversa e avrà ad oggetto la delazione incompatibile, e l'effetto sarà rendere inefficace la delazione incompatibile nei confronti del legittimario vittorioso e serve la sentenza a far si che acquisto il bene io legittimario grazie all'operato della vocazione necessaria che opera per effetto del giudicato di riduzione. È proprio su questo effetto del giudicato di riduzione che si fonda l'azione di restituzione verso il donatario e poi verso il terzo avente causa. Azione che non è fase esecutiva ma effetto della azione di riduzione che mira all'acquisizione materiale del bene nel patrimonio. Mercoledì 30/09/2015 CASO N. 2 (dicembre 2014) Tizio vedovo è padre di due figli Caio e Sempronio. Il primo progetta di trasferirsi in un'altra città sicché Tizio, volendolo sostenere, stipula un preliminare per acquisto di un immobile in tale città. Il preliminare prevede l'impegno del promittente venditore a stipulare il contratto definitivo non con Tizio ma con Sempronio. E in effetti alla data stabilita è Sempronio a rendersi acquirente dell'immobile mediante la relativa compravendita, mentre Tizio interviene solo per versare al venditore il prezzo dovuto. In seguito all'apertura della successione di Tizio, che muore senza aver lasciato testamento (con successione che si apre ab intestato), il figlio Caio vorrebbe ottenere dal fratello una parte dell'immobile. Si dica: A) Come vada qualificato il contratto preliminare B) Come vada qualificato il pagamento del prezzo della compravendita da parte di Tizio C) Se Caio abbia diritto da far valere contro il fratello in sede successoria. Domande di teoria: 1) Errore ostativo; 2) Il patto di prelazione: natura ed effetti. Come studiare diritto civile: Studiare il libro, ma allo stesso tempo studio mirato volta per volta su argomenti trattati a lezione riprendendoli. Riprendiamo il discorso da dove lo avevamo lasciato lunedì sul caso N. 1. Avevamo parlato di donazione remuneratoria. Art. 770 chiarisce come lo spirito della riconoscenza non sia incompatibile con la donazione, che si può fare anche spinti da riconoscenza: il fatto di sentirsi tenuti a porre in essere una donazione per riconoscenza non contrasta con donazione. Lo spirito di liberalità della donazione, la causa liberale come volontà di arricchire spontaneamente l'altra parte senza essere tenuti a farlo da cause vincolanti, non contrasta con i motivi ad esempio del fatto che io dono perchè un soggetto è in uno stato di bisogno e quindi lo voglio aiutare o perchè voglio premiare quella persona, oppure perché voglio screditare la persona dimostrando come possa essere persona che ne approfitta senza scrupoli, quindi anche per un motivo che non è lodevole. Un conto è la causa, lo spirito. Di liberalità mediante il quale io voglio arricchire un soggetto, un altro é il motivo e il motivo può essere il più disparato. A pensarci bene la fattispecie del 770 è più articolata perché il legislatore accomuna situazioni che sono sottilmente diverse l'una rispetto all'altra. Perché chiama remuneratoria la donazione fatta per tre diverse ipotesi diverse: • per riconoscenza (obbedendo a motivazione personale che può radicarsi in fatti accaduti in passato e che contrassegnano il rapporto del donante col donatario, ma ciò che lo caratterizza è il motivo soggettivo: ad es. io dono quella somma di denaro a Tizio perché Tizio mi ha salvato la vita in passato); • per meriti (qui non c'è riconoscenza ma si vuole premiare secondo una valutazione meritoria oggettiva, meriti non percepiti come tali dal donante ma che il donatario ha acquisito come merito oggettivo, ad es. perché Tizio ha salvato la vita a mio figlio, quindi non per riconoscenza in questo caso vado a porre in essere la donazione, ma perché tutti vedono come l'atto sia lodevole, tutta la società. È qualcosa di più legato ad un dato oggettivo); • per speciale remunerazione (presupposto sta nell'aver ricevuto una prestazione, prestazione a cui si aggiunge un riconoscimento ulteriore, ad es. intervento del medico particolarmente fausto che spinge ad una remunerazione in più). È importante considerare queste tre distinzioni che il codice fa perché con riferimento all'art. 797 ad esempio il legislatore pone in essere una distinzione. In materia di garanzia per evizione il legislatore al numero 3 si occupa solo della donazione remuneratoria compiuta per speciale remunerazione, non parla di tutte e tre. Donazione per speciale remunerazione che si riconosce perché fatta nei limiti del valore delle prestazioni ricevute dal donante. Quindi tale distinzione non è fatta a caso dal legislatore, ma è importante, perché in taluni casi si prevede una disciplina differente in base al tipo di donazione dinanzi alla quale ci troviamo. Il discorso sul piano logico si sviluppa così: per quanto riguarda la donazione remuneratoria ex 770 vi sono tre casi presentati dal legislatore: la donazione remuneratoria semplice, quella per meriti, la donazione per speciale remunerazione. Nel 797 il legislatore torna a parlare di remuneratoria ma sebbene sembrerebbe riferirsi a tutti i casi di cui al 770, in realtà fissa un limite dicendo che è dovuta nei limiti delle prestazioni ricevute dal donante. Di conseguenza qui legislatore apparentemente si occupa di tutti i i casi di donazione remuneratoria, in realtà si occupa solo di quelle di speciale remunerazione, quindi solo del caso di cui al 770 primo comma numero 3, non degli altri casi. Riprendendo l'art. 770 il legislatore compie un'azione di regolamento di confini, dicendo al primo comma che la remuneratoria rientra tra le donazioni, mentre il secondo comma specifica che la liberalità fatta in occasione dei servizi resi o comunque compiute in conformità agli usi sono sempre liberalità ma non donazioni. Sul piano operativo dire che la remuneratoria è una vera donazione significa esplicitare che la disciplina della donazione si applica anche alla remuneratoria, primo tra tutti l'art. 782 in materia di forma di atto pubblico. Quindi anche la donazione remuneratoria, in quanto donazione e quindi poiché si applica la norma di cui al 782 deve essere posta in essere nella forma dell'atto pubblico, mentre invece le liberalità di cui al comma secondo non devono avere forma di atto pubblico richiesta per le donazioni, perché il secondo comma del 770 dice espressamente che non sono donazioni e quindi non vi si applica la disciplina generale in materia di donazioni. Quali sono le liberalità compiute in conformità agli usi o in occasione dei servizi resi e ricevuti da chi le compie? Quelle di modesto valore che si vanno a porre in essere quotidianamente perché spinti da un uso come le mance, o per servizi ricevuti e che si vuole in qualche modo ricompensare. Quindi di conseguenza non possono essere soggette alla medesima disciplina. Perché appunto di consistenza nettamente inferiore. E tornando alla nostra traccia quindi non si parla di una delle liberalità di cui al secondo comma, perché il suo campo di applicazione è legato a liberalità di modesta entità che si fanno quotidianamente: regalo di compleanno, mancia, ecc., mentre invece la traccia parla di una consistente somma data per premiare Caia per la sua dedizione e per il lavoro domestico prestato negli anni. Quindi se già diciamo che la traccia si rifà al primo comma dell'art. 770, se dovessimo ammettere che si tratta di donazione remuneratoria e non di liberalità d'uso, allora ci rifacciamo ad un problema che altrimenti non avremmo, e cioè se questa attribuzione sia stata validamente compiuta da Tizio. Perché bisogna riconoscere che se ci riferiamo al 1 co. allora l'atto deve necessariamente avere la forma di atto pubblico, ecco che se così non fosse vi sarebbe un problema di validità sulla forma dell'attribuzione. Per le liberalità d'uso non sarebbe necessario l'atto pubblico, ma se ammettiamo che si tratta non di un liberalità d'uso, ma di una donazione remuneratoria, perché la somma di denaro è consistente, allora la donazione ex 782 deve essere fatta per atto pubblico. Dobbiamo porci tale Ecco quindi il problema che si pone con riferimento al nostro caso concreto: chi compie una attribuzione premiale alla convivente adempie ad un dovere della morale sociale? Può essere una obbligazione naturale? La giurisprudenza italiana in ciò è molto oscillante perché inizialmente si propendeva per la donazione remuneratoria, ad oggi invece si ritiene che si tratti di un adempimento di una obbligazione naturale. Il ragionamento è che la relazione tra conviventi ha consistenza tale da fare si che, secondo valutazione collettiva, le prestazioni fatte per premiare il convivente siano da considerarsi compiute come l'adempimento ad un dovere della morale sociale, quindi ad obbligazioni naturali. Qui potremmo parlare di attribuzione in adempimento ad un dovere morale e sociale, quindi da qualificare, da sussumere nell'adempimento di una obbligazione naturale. Non è una donazione ma un adempimento ad una obbligazione naturale. Non si applica quindi disciplina della donazione. Perché qui la attribuzione non è compiuta donandi causa ma solvendo causa. Per conformarsi cioè ad un dovere stabilito tale dalla valutazione della morale sociale. E se dunque l'adempimento della obbligazione naturale non deve seguire la disciplina della donazione allora non è rilevante la non osservanza forma pubblica e quindi l'attribuzione posta in essere mediante obbligazione naturale è da ritenersi valida. Lunedì 05/10/2015 CASO N. 3 (del 28 gennaio 2015) Tizio alla propria morte lascia un testamento in cui figura una disposizione del seguente tenore: "Voglio che la mia casa di campagna vada al mio fidato amici Caio, che la terra a titolo fiduciario per conto di mio figlio Mevio, al quale non la posso lasciare per il timore che la sua convivente da me detestata lo induca a donargliela". Di seguito, venuto meno questo rapporto di convivenza, Caio trasferisce a Mevio l'immobile in questione. Ciò avviene mediante una scrittura privata in cui le parti si richiamano per giustificare il trasferimento alla volontà manifestata da Tizio con il proprio testamento. Si dica: A) Come debba qualificarsi la disposizione contenuta nel testamento di Tizio e se essa è valida a fare acquistare a Caio la proprietà dell'immobile; B) Come debba qualificarsi e se sia valido l'atto di trasferimento dell'immobile da Caio a Mevio; C) Se la moglie e i figli di Caio, alla morte di quest'ultimo debbano conteggiare il valore dell'immobile nella riunione fittizia e se possano eventualmente esercitare l'azione di riduzione contro Mevio. Domande di teoria: 1) Il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente: struttura della fattispecie 2) Abuso del potere di rappresentanza: definizione ed effetti. Torniamo al caso N. 1. L'altra volta quindi avevamo detto sul caso N. 1 che è preferibile parlare di adempimento di una obbligazione naturale. È la tesi a cui è approdata la giurisprudenza ed inoltre è da preferire poiché con riferimento al caso specifico ricorrono i presupposti affinché possa parlarsi di obbligazione naturale. Non è una relazione che si traduce in un vincolo giuridico, perché qui non abbiamo un matrimonio, ma una convivenza more uxorio priva di vincoli che ne derivino. A differenza del matrimonio mancano i vincoli che vanno a colmare le esigenze primarie della famiglie. No vincolo matrimoniale ma comunque è una relazione che lascia l'individualizzazione di alcuni doveri. Non perché siano giuridicamente dovuti, ma perché la morale collettiva, il senso comune lo richiedono. Manca vinculo iuris. Ma comunque è un dovere sociale che evidenzia una soluti retentio, per cui chi riceve l'obbligazione ha ex 2034 diritto a trattenerla. Qui però c'è un qualcosa che è esterno all'adempimento, e questo qualcosa che sta al di fuori è una relazione intersoggettiva che all'interno della comunità è sentita come solida al punto che ne scaturiscano dei doveri, doveri aventi ad oggetto l'esecuzione di una obbligazione patrimoniale. Quindi ciò che consente di cogliere l'essenza di tale figura dell'adempimento obbligazione naturale è esistenza di un dualismo: • l'atto di adempimento, che è l'atto negoziale caratterizzato dalla volontà di chi effettua la donazione atta ad incrementare la sfera giuridica altrui, • ma prima di esso sta l'obbligazione naturale, cioè La situazione in cui si sostanziano i doveri della morale collettiva. Si dice infatti che l'atto negoziale di adempimento è sostenuto da una causa giustificativa ad esso esterna. Ciò che giustifica e sorregge lo spostamento di ricchezza, la causa della attribuzione, è esterna rispetto all'atto che realizza la attribuzione. E ricorrendo alla terminologia delle fonti del diritto romano, si può dire che in tal caso esiste una contrapposizione tra il titulus adquirendi, che è la relazione che fonda i doveri della morale sociale in cui si traduce la donazione, e il modus adquirendi che si giustifica nell'atto di adempimento dell'obbligazione naturale. E qui si pone il problema della proporzionalità, di un requisito che però non è compreso tra quelli indicati dall'art. 2034. È un requisito che è stato elaborato in sede interpretativa da dottrina e giurisprudenza, per cui dicono che l'atto deve essere proporzionato rispetto alla relazione a cui si appoggia. Quindi da un lato la relazione come titulus adquirendi come causa giustificativa attribuzione e dall'altra l'atto come modo adquirendi come modo di trasferimento della ricchezza. Proprio perché è negozio che dà attuazione ad un dovere morale -sociale, che si poggia su una causa giustificativa esterna, qui non c'è donazione. L'animus qui non è donandi ma è solvendi. L'adempiente vuole infatti uniformarsi alla morale sociale, c'è la volontà di adempiere ad una obbligazione naturale, non civile che qui manca. E l'adempimento obbligazione naturale non è una obbligazione. Ne segue che non sono applicabili le disposizioni normative in materia di obbligazione. La fattispecie non si sussume all'art. 769 o 770 ma all' 2034, quindi non si applica l'art. 782 sulla forma della donazione. Non trattandosi di donazione non è richiesto l'atto pubblico, la cui mancanza rende nulla invece la donazione. E se non c'è donazione neppure l'atto potrà essere considerato come violazione dei diritti dei legittimari, che possono agire contro disposizioni testamentarie e atti di liberalità, donativi, lesivi della legittima. Qui c'è un adempimento di una obbligazione naturale ed è un'altra cosa. Ecco che le risposte al caso N. 1 sono: A) È un adempimento ad un'obbligazione naturale ex 2043; B) Certamente è valido, non subordinandone la legge la validità ad alcun requisito formale; C) No, perché non è una liberalità, quindi non può costituire oggetto di azione di riduzione. Per la buona uscita dell'esame non è necessario azzeccare la soluzione perfettamente corretta, non c'è nulla di certo. Era possibile dar anche altre soluzioni, basta che vi sia una giustificazione ed una coerenza nelle risposte che si danno. Due soluzioni "minori", poiché meno fondate, ma alternative e comunque corrette sarebbero state: Seconda soluzione: A) È una donazione remuneratoria, poiché Tizio ha arricchito Caia sotto l'impulso di riconoscenza. È una donazione speciale perché ha tutti elementi propri contratto di donazione più uno e cioè il motivo ex primo comma 770. È una donazione motivata. Il motivo è qualcosa di essenziale. In realtà abbiamo visto che è una attribuzione fondata su un rapporto che è oggettivamente percepibile anche da parte di terzi ed è quello su cui si radica la morale sociale. Quindi non è corretto tanto parlare di donazione remuneratoria perché qui c'è un dovere che la moralità riconosce per qualcosa di oggettivamente recepibile all'esterno. Ecco perché è la tesi meno corretta. Però non sarebbe stata in toto sbagliata. B) In tale prospettiva alla domanda su B si sarebbe dovuto rispondere che la donazione è nulla per forma pubblica richiesta ex 782. C) Certamente si perché se è una donazione i legittimari potranno agire con azione di riduzione. Terza soluzione: A) È una liberalità fondata su un motivo di riconoscenza, però è una liberalità indiretta, non è una donazione. C'è solo il compimento di una attribuzione realizzata attraverso un mandato alla banca con bonifico. B) In tal caso è valida perché le liberalità indirette non hanno bisogno di forma pubblica ex 782. C) Certamente si. Ma come si faceva scegliere tra queste ultime due tesi? La traccia non ci permette di compiere una scelta priva di dubbi. Se tizio si fosse preso l'impegno di porre in essere l'adempimento sarebbe stata una donazione remuneratoria sicuramente. Se invece si fosse limitato a dire guarda che effettuerò un bonifico senza assunzione di un impegno, allora sarebbe stata una liberalità. RISOLUZIONE DEL CASO N. 2 Il caso ricordiamo era: Tizio vedovo è padre di due figli Caio e Sempronio. Il primo progetta di trasferirsi in un'altra città si che Tizio volendolo sostenere, stipula un preliminare per acquisto di un immobile in tale città. Il preliminare prevede l'impegno del promittente venditore a stipulare il contratto definitivo non con Tizio ma con Sempronio. E in effetti alla data stabilita è Sempronio a rendersi acquirente dell'immobile mediante la relativa compravendita, mentre Tizio interviene solo per versare al venditore il prezzo dovuto. In seguito all'apertura della successione di Tizio che muore senza aver lasciato testamento (con successione che si apre ab intestato) il figlio Caio vorrebbe ottenere dal fratello una parte dell'immobile. Si dica: A) Come vada qualificato il contratto preliminare B) Come vada qualificato il pagamento del prezzo della compravendita da parte di Tizio C) Se Caio abbia diritto da far valere contro il fratello in sede successoria. A) Che contratto preliminare è? Il contratto preliminare può essere proprio o improprio. Il contratto preliminare proprio è un contratto consensuale ad efficacia obbligatoria. Quando si dice che è consensuale si vuole alludere alla modalità del suo perfezionamento. Il contratto consensuale si perfeziona con il semplice accordo delle parti. In questo i contratti consensuali si contrappongono a quelli reali ove il semplice accordo non basta ma è necessaria la traditio, la consegna, al fine del perfezionamento. La regola è nel senso della consensualità. I contratti si stipulano solitamente con l'accordo, tranne che nei casi in cui il legislatore per qualche motivo dovesse prevedere come necessaria anche la consegna. E ciò lo si riscontra nei contratti reali come il deposito, il mutuo, il comodato, ecc. Il contratto preliminare è consensuale, basta dunque l'accordo tra le parti. Ma quali effetti produce una volta che si sia perfezionato? Sono effetti di natura obbligatoria. Produce obbligazioni inter partes. Non è capace di produrre vicende circolatorie di diritti, non ha efficacia reale o traslativa. Ma ha solo efficacia obbligatoria. trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Martedì 06/10/2015 L'art. 1376 è un articolo molto importante poiché evidenzia il principio del consenso traslativo. Tale principio enuncia la sufficienza del consenso a costituire un diritto reale minore o un altro diritto. Principio relativo a contratti diretti a produrre vicende circolatorie. Esistono vicende traslative in senso pieno laddove il dante causa trasferisce all'avente causa il diritto tutto, ma anche vicende traslative in senso meno pieno, le cosiddette vicende derivative- costitutive perché all'avente causa si costituisce un diritto minore rispetto quello di cui il dante causa è titolare (es. il diritto di usufrutto laddove non si trasferisce la proprietà in toto ma solamente un diritto minore derivato del primo quale è quello di usufrutto rispetto a quello pieno di proprietà. Ecco che il dante causa rimarrà nudo proprietario senza perdere in toto la proprietà, e l'avente causa acquisirà un diritto sul bene meno invasivi di quello di proprietà: quello di usufrutto). Come si fa a capire dinanzi a quale situazione ci troviamo tra queste due? Il principio consensualistico sta a significare che la proprietà passa col consenso e il che significa conseguentemente che la proprietà per essere trasferita non ha bisogno né della consegna del bene né della consegna del prezzo mediante pagamento. La propria situazione giuridica cambia in capo al dante e avente causa in virtù del puro e semplice accordo tra le parti. La consegna del bene e il pagamento prezzo non servono al compiersi della vicenda traslativa, ma sono legate all'adempimento della obbligazione. Ma già il mero contratto è sufficiente per porre in essere la vicenda traslativa. Non appena lo scambio di volontà si sia perfezionato ex 1376 io comunque sarei già proprietario del bene, prima ancora della consegna del bene e del pagamento del prezzo! Ieri abbiamo contrapposto i contratti consensuali e i contratti reali. Poi abbiamo contrapposto i contratti ad efficacia reale e i contratti ad efficacia obbligatoria. La consensualità o la realità del contratto attiene al perfezionamento del vincolo. Ci sono contratti che vengono ad essere solo già dopo il puro e semplice accordo, altri che invece per perfezionarsi richiedono la traditio, la consegna materiale. Se ci si chiede su cosa si radichi tale differenziazione essa, si poggia sul detto art. 1321 per un verso e sulle singole disposizioni definitorie dei singoli contratti che il legislatore prevede si perfezionino con la consegna per un altro verso. Art. 1321 Nozione: Il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Articolo che dà la definizione di contratto. Se contratto è un accordo allora basta il consenso per il perfezionamento. È la regola generale. Ma ci sono diversi casi che fungono da eccezioni. Ad esempio prendiamo l'art. 1803, in materia di comodato: si dice consegna, quindi non c'è contratto senza consegna. Art. 1321 ci dice che l'accordo è sufficiente, ma ci sono casi in cui l'accordo non basta, perché deve affiancarsi la traditio. Quando parliamo invece di contratto ad efficacia obbligatoria o reale parliamo invece degli effetti del contratto. Vi sono alcuni contratti che danno luogo solo al sorgere di obbligazioni, nel caso dei contratti ad efficacia obbligatoria, e altri che invece comportano anche il trasferimento della cosa, nei contratti ad efficacia reale. Quindi l'art. 1376 comprende il principio consensualistico. Principio compenetrato nel nostro ordinamento, tramite il codice napoleonico del 1804, prima nel codice post unificazione del 1865 e poi in quello del 1942. Sappiamo però che così non era nel diritto romano ove il passaggio proprietà si ha non solo con un contratto ma con due contratti diversi: quello che trasferisce l'obbligo di trasferire la proprietà e quello che dà esecuzione a tale obbligo. La compravendita crea un obbligo di dare e quello esecutivo dà esecuzione alla compravendita. Tornando al contratto preliminare proprio, dicevamo che in contrapposizione alla teoria tradizionale, si è fatta strada alla teoria sostenuta dal Gazzoni che costruisce il contratto preliminare e poi quello definitivo in modo peculiare. Il senso di tale teoria è che con la sequenza preliminare-definitivo non si fa altro che derogare all'art 1376 alla regola generale, sancendo che l'effetto traslativo anziché generarsi col contratto di compravendita si realizza con un negozio diverso, ulteriore al contratto di compravendita e cioè col contratto definitivo. Ex 1376 la compravendita va a trasferire il diritto generalmente, ma le parti possono rimettere alla stipula del contratto successivo il trasferimento del diritto, e cioè al contratto definitivo. Le teorie sulla natura del preliminare sono molte in realtà, queste sono le due teorie più accreditate: la tesi tradizionale e quella del Gazzoni. Secondo la tesi tradizionale chi stipula il preliminare proprio altro non fa che impegnarsi a stipulare un secondo contratto che avrà una sua causa intrinseca che risponderà ad un suo carattere contrattuale. Le parti col preliminare si impegnano a stipulare un contratto di compravendita in futuro. Il preliminare prelude ad un contratto che avrà in sé intrinseca la sua causa. Il preliminare impegna a stipulare la compravendita e il contratto definitivo sarà la compravendita vera e propria. Secondo Gazzoni invece il preliminare non già prelude alla compravendita ma è già compravendita lui stesso, sebbene però decidano le parti di non fare già produrre la traslazione dalla compravendita, ma pongono in essere una rimessione del momemto traslativo ad un momento successivo. In deroga al 1376 non produce il contratto di compravendita effetto reale che è rimesso al compimento del secondo negozio, che non è la compravendita, ma la compravendita sta nel primo negozio e il secondo non fa altro che completare il procedimento del trasferimento del diritto che le parti hanno voluto rimettere ad un momento altro e successivo alla stipula del primo contratto. Quali sono le differenze sul piano operativo di queste due teorie? • Per la teoria tradizionale: Immaginiamo che preliminare sia nullo per difetto di forma. Il preliminare infatti può porsi la necessità di porsi in essere con una forma particolare ex 1351 ove si richiede per il preliminare proprio la stessa forma del contratto definitivo. Quindi ad es. il contratto preliminare di compravendita immobiliare necessità una forma scritta per scrittura privata. La scrittura privata è uno scritto che il soggetto va riconoscendo come di propria paternità attraverso l'apposizione della su scritta. Quindi é necessaria la sottoscrizione che se manca manca anche la scrittura privata. Quindi ad es. il telegramma non è sufficiente. Quindi se è un contratto preliminare è il contratto preliminare di una compravendita immobiliare, il contratto della compravendita immobiliare sappiamo necessita di scrittura privata, allora anche il preliminare deve essere posto in essere con la medesima scrittura privata. Ammettiamo che le parti non hanno osservato la forma e quindi preliminare è nullo per difetto di forma. E ammettiamo che le parti del preliminare nullo stipulino il definitivo. Quid iuris? Secondo la teoria tradizionale la compravendita definitiva sarà comunque valida nonostante la nullità del preliminare. Ecco che però nello specifico se le parti sapevano della nullità del preliminare allora la compravendita sarà nulla e nulla questio, se una parte stipula il contratto definitivo però solo perché crede di esserne obbligato dal preliminare allora però la parte è in errore. Un errore che può essere rilevante sulla base dell'errore di diritto ex art. 1429 numero 4. Per cui chi stipula contratto solo in base al convincimento che debba che sia obbligato a stipularlo allora si genera un errore di diritto. Quindi anche se preliminare è nullo ma la compravendita è intatta allora di conseguenza è valida, salvo il caso di annullabilità per errore di diritto. • Per la teoria del Gazzoni: Se però ragioniamo sulla scorta della seconda impostazione, per la quale il preliminare è già la compravendita e il contratto definitivo altro non è che un contratto che dà esecuzione al contratto preliminare che però è già compravendita, le cose cambiano. Questa prospettiva porta a scaturire già dal preliminare una prestazione di dare, non già di facere secondo invece quanto sostiene la teoria tradizionale. Cosa succede in tal caso se preliminare è nullo e parti stipulano comunque il contratto definitivo? In tal caso se manca la compravendita perché nulla viene meno anche la validità dell'atto di trasferimento. Quindi si dovrà parlare di nullità anche dell'atto di trasferimento. È come se, con riferimento al primo caso analizzato, un atto di adempimento di obbligazione naturale venisse compiuto in situazione tale per cui morale sociale manca. Manca il diritto nella realtà perché non c'è sussistenza di un rapporto che ne giustifichi la sua attuazione. Quindi vi sarà atto nullo per mancanza di un suo fondamento giustificativo. Quindi in tal caso il preliminare fonte di obbligazione di dare, se nullo, farà si che nullo debba intendersi anche il trasferimento posto in essere in attuazione degli impegni che le parti pensavano di aver assunto. Stiamo ancora ragionando sul preliminare proprio, che abbiamo distinto da quello improprio e poi ci siamo interrogati sul suo significato. Rispetto a questa prospettiva bisogna sottolineare una cosa: cosa succede se chi si è impegnato sulla scorta di un contratto preliminare non adempie? Rimedio art. 2932: che dice che se colui che si è impegnato non adempie, l'altra parte può ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso. Il rimedio è presentato dal diritto di ottenere la sentenza che produca lei gli effetti del contratto che invece è mancato per inadempimento dell'altra parte. E tale sentenza è sentenza di natura costitutiva. Non di condanna, ma costitutiva! Il rimedio per adempimento è dato da possibilità di domandare a giudice una sentenza costitutiva. Non condanna! Ma sentenza che produca stessi effetti del contratto mancato. Sentenza costitutiva che produce essa stessa mutamento della realtà giuridica. Che non è avvenuta per inadempimento di una delle parti. Chi proponga la domanda ex 2932, se relativa ad es. ad una sentenza traslativa della compravendita di un bene immobile allora si otterrà anche la trascrizione ai sensi della art. ad 2652 N. 2. e l'effetto retroagirà al momento della trascrizione della domanda giudiziale, che funge da prenotazione, prenotazione della trascrizione della sentenza. Quindi la trascrizione della sentenza retroagisce fino al momento in cui è stata effettuata trascrizione domanda. Se si tratta invece di un preliminare improprio, che è già traslativo ma inidoneo nella forma, cosa succede se l'impegno rimanga disatteso? Si richiede l'accertamento giudiziale della sottoscrizione della scrittura privata ex art. 2652 N. 3. Quando sarà accertato che la scrittura è autentica, la trascrizione dell'atto produrrà effetto sin da quando è stata trascritta la domanda giudiziale. Va ricordato che si può trascrivere il preliminare stesso sempre che sia posto in essere per atto pubblico o scrittura privata autenticata. 2645-bis sulla trascrizione dei contratti preliminari. Contratto preliminare proprio unilaterale: è possibile stipulare contratto preliminare proprio che impegni solo una delle parti a stipulare un contratto definitivo? E non entrambe? Si può avere un contratto preliminare unilaterale? Il termine unilaterale si riferisce al fatto che le obbligazioni stanno da una parte sola. I contratti unilaterali sono quelli in cui le obbligazioni stanno a carico di una sola parte. I contratti unilaterali non sono però i negozi unilaterali. I contratti sono pur sempre contratti, accordi, ma con obbligazioni a carico di una sola parte. Si può avere un preliminare che obbliga una sola parte a stipulare un contratto definitivo? Si si può. È riconosciuto dalla prassi il contratto preliminare unilaterale. Tizio invece ha adempiuto attraverso la stipulazione del definitivo di Sempronio, anche lui adempie all'obbligo derivante dal preliminare attraverso però la stipula del contratto definitivo da parte di Sempronio. Abbiamo pertanto un obbligo di Tizio nascente dal preliminare che si risolve in un datio in solutum, nel senso che al posto di stipulare lui stesso il contratto definitivo, questo lo stipula Sempronio e attraverso l'adempimento di Sempronio si estingue quello che è l'obbligo di Tizio a stipulare il contratto definitivo nascente dal preliminare da lui posto in essere. • Contratto per persona da nominare ex art. 1401 Proprietario (che si è impegnato a stipulare definitivo con Sempronio) Tizio Sempronio Se ipotizziamo invece che si tratti di un contratto per persona da nominare, allora il rapporto contrattuale per effetto della dichiarazione di nomina dovrebbe imputarsi in capo a Sempronio. E il definitivo avverrebbe tra le parti del contratto preliminare. Obbligo di concludere il contratto definitivo nato in capo a Tizio ma poi sostituito da Sempronio per effetto del contratto di nomina. Focalizziamo l'attenzione sui due diversi istituti: • Contratto a favore di terzi ex art. 1411 c.c. Art. 1411 Contratto a favore di terzi: È valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse. Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione. Questa però può essere revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare. In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto. Siamo di fronte non ad un tipo contrattuale. Non è un contratto tipico il contratto a favore di terzi. Ma è un istituto. È disciplinato dal legislatore infatti nella parte degli art. 1321-1369 bis dedicata ai contratti in generale. Siamo dinanzi ad una particolare veste che il contratto può assumere, ad una particolare modalità nella quale il contratto può essere stipulato. È inserita una clausola in particolare nella quale un diritto derivante dal contratto e che sarebbe dello stipulans, viene attribuito ad un terzo. Non è un contratto ma è figura che si concretizza in una clausola apposita apposta al contratto, con la quale si trasferisce il diritto nascente dal rapporto ad un soggetto terzo. Parti del contratto a favore di terzi sono lo stipulans e il promittent, ma qui il diritto che sarebbe dello stipulans viene dirottato verso un terzo. Si va indirizzando la situazione giuridica verso un terzo. Se non ci fosse la clausola entrambi i soggetti, stipulans e promittent, sarebbero parti obbligate dal contratto. Ma con la clausola Tizio è obbligato alla realizzazione contratto, ma diritto dirottato verso Sempronio. Tizio è privato di un diritto, quello a vedersi concluso il contratto, che è dirottato verso un terzo. Tizio sarà sempre un contraente, sarà sempre parte contrattuale ma gli viene tolto un elemento attribuito ad un terzo: il diritto di esigere il contratto. È una figura che costituisce una deroga al principio generale dell'art. 1372 codice civile: regola della relatività degli effetti del contratto. Per tale principio il contratto produce effetti solo tra le parti, non verso terzi, salvo i casi previsti dalla legge. Il contratto stipulato tra le parti al terzo non giova e non è d'ostacolo. Vi sono però casi in cui si deroga a tale principio. E il contratto per persona da nominare è una di queste deroghe. Ma è una deroga con acquisizione automatica? Si. Non occorre che terzo manifesti il consenso, l'acquisto è automatico. Non serve accettazione da parte del terzo. Quindi è un modello per cui al contratto si appone una clausola in riferimento alla quale si fa in modo che il diritto a concludere il contratto spetti ad un soggetto terzo, che acquista il diritto in modo automatico. Con riferimento al caso quindi i diritti si scindono: l'obbligo di stipulare il contratto rimane a Tizio, il diritto a stipulare il contratto invece sarà di Sempronio. Ecco che qualora Sempronio non dovesse stipulare, il promittente potrà rifarsi contro Tizio, non contro Sempronio! Perchè Sempronio ha solo il diritto a stipulare il definitivo, non l'obbligo. Tizio mantiene obbligo a stipulare il contratto, mentre il diritto a Stipulare il contratto viene dirottato verso la sfera di Sempronio. Quando il contratto definitivo viene stipulato dal venditore e Sempronio, cosa accade? Che Sempronio vede realizzare il suo diritto alla stipulazione, mentre obbligo di Tizio sarà da intendersi attuato tramite stipulazione di Sempronio. • Contratto per persona da nominare ex art. 1401 c.c. Art. 1401 Riserva di nomina del contraente (contratto per persona da nominare): Nel momento della conclusione del contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso. L'altra ipotesi è quella per cui si è dinanzi al caso del contratto per persona da nominare. È un'altra clausola, un modello, una possibile modalità di conclusione del contratto che si concreta nell'inserimento nel contratto di clausola che prevede una riserva per lo stipulans, il diritto di indicare successivamente un'altra persona che acquisterà obblighi e diritti nascenti dal contratto. Qui o il potere di nomina non viene esercitato e il contratto si consolida in capo parti, oppure il potere di nomina viene esercitato e avremmo la situazione per cui il contratto è stipulato dallo stipulans con il promittent, ma gli effetti dell'accordo saranno in capo non dello stipulans ma del soggetto eletto. Quindi Tizio avrà stipulato un accordo ma poi esce dal contratto, che viene riversato in tutti i suoi effetti è con efficacia sin dalla sua stipulazione sul soggetto scelto. Si dice che qui non vi è deroga al principio di relatività perché sebbene ex post è l'eletto che sarà parte contrattuale, non c'è dissociazione tra parti contrattuali e quelle su cui il contratto coincide. Se fosse questo il caso nel nostro caso, allora accadrà che Sempronio ha realizzato il diritto di stipulare contratto ma avrà anche assolto al proprio obbligo di stipulazione del contratto. Qui non c'è più dissociazione tra obbligo di stipulazione e diritto alla stipulazione. Si riverseranno entrambe nella sfera giuridica di Sempronio, sebbene acquisisca tale qualità per effetto della nomina. Nel nostro caso appare però abbastanza chiaro che si tratti di caso riconducibile allo schema della contrattazione a favore di un altrui soggetto. Sempronio non diventa quindi parte del preliminare ma acquista il diritto alla stipulazione della compravendita. Quindi risposta da dare ad A è che si tratta di contratto preliminare proprio bilaterale che si configura come un contratto preliminare a favore di terzi. E la compravendita poi è stipulata tra il promittente e Sempronio, che realizza il diritto alla stipulazione della compravendita. In caso contrario il venditore avrebbe potuto pretendere l'adempimento non verso Sempronio ma verso Tizio. Con la stipula del contratto definitivo da parte di Sempronio però il contratto preliminare è stato superato e sostituito da quello derivante dalla compravendita tra Sempronio compratore ed ex proprietario venditore. Stipulata la compravendita il venditore ha diritto a vedersi pagato il prezzo da Sempronio, perchè ora non c'è più il preliminare, non rileva perché il contratto definitivo è stato concluso. Quindi sorge un nuovo rapporto giuridico con diritti ed obblighi specifici ora in capo al venditore e a Sempronio compratore. Ma al pagamento, dice la traccia, adempie Tizio: siamo di fronte all'istituto del pagamento del terzo ex art. 1180. Ex 1180 terzo può sempre provvedere al pagamento del debito altrui. Il credito può rifiutare solo in due casi: interesse a che sia debitore ad adempiere (prestazioni infungibili) oppure per opposizione del debitore. Qui opposizione del debitore non c'è, né c'è l'interesse specifico del creditore a vederci adempiuta la prestazione dal debitore specifico, quindi l'obbligazione di pagamento può estinguersi con il pagamento di Tizio. E B) mi chiede: quale atto configurerà da questo adempimento del terzo? Una donazione indiretta. Se il padre paga al posto del figlio lo fa per arricchire il figlio per spirito di liberalità. È dunque un adempimento del terzo che realizza una liberalità, una donazione indiretta del padre Tizio a favore del figlio Sempronio. C) invece mi chiede se Caio abbia diritto da far valere contro il fratello in sede successoria? Caio può invocare nei confronti del fratello la collazione ex 737? Predisposto per la collazione è la coeredità. Qui ci sarà successione legittima, poiché il de cuius non ha lasciato testamento, ove i primi chiamati saranno i figli del de cuius per quote uguali. Quindi risposta è si. Le risposte da dare nella risoluzione del caso numero 2 quindi saranno: A) Si tratta di un contratto preliminare proprio bilaterale che si configura come un contratto preliminare a favore di terzi. B) Dall'adempimento del terzo configurerà una donazione indiretta. C) Si, Caio potrà invocare nei confronti del fratello la collazione. Lunedì 12/10/2015 La firma digitale Il documento informatico è molto diffuso, molti atti anche in tema di appalti si fanno in digitale. Nel sistema bancario ad oggi è in uso la firma grafometrica in alternativa al cartaceo. È una normativa quella sulle firme digitali complessa in cui vi sono norme tecniche che completano la normativa primaria. È opportuno fare una premessa sulle prove. Ci sono prove precostituite, che sono le prove documentali, e prove che emergono in sede processuale, come la confessione, il giuramento, ecc. Le prove sono disciplinate nel codice civile ma anche nel codice di procedura civile. Il giudice giudica in base alle prove allegate della parti, per il principio del dispositivo, ma alcune prove possono essere valutate anche a discrezione del giudice. Le prove nel codice civile le troviamo nel libro VI della tutela dei diritti al titolo II. Il primo punto trattato è la regola dell'onere della prova al 2697 c.c. Le prove documentali sono l'atto pubblico, la scrittura privata autenticata e non autenticata, e le copie. Il testamento olografo che dichiarazione è sotto il profilo delle forme? Il testamento olografo è una scrittura privata, in quanto non è una scrittura posta in essere dal notaio o da altro pubblico ufficiale, ma è formato dal soggetto che la sottoscrive per appropriarsi della paternità della disposizione. Il testamento olografo occupa uno spazio particolare tra le scritture private perché deve essere datato pena l'annullabilità, e deve essere olografo, cioè scritto per intero da testatore. È dunque una scrittura privata qualificata, poiché ha la particolare caratteristica di essere scritta di pugno dal testatore per intero e datata. La mancanza della scrittura per pugno del testatore o di sottoscrizione ne comporta la nullità. La mancanza della data ne comporta la annullabilità. L'atto nullo è un atto che nasce morto e quindi non determina produzione di alcun effetto giuridico. È come se quell'atto non fosse mai nato e quindi è improduttivo di effetti. L'atto annullabile invece non è incompatibile con la produzione effetti, è anzi un atto efficace finché il giudice abbia pronunciato la sentenza di annullamento, sentenza che ha natura costitutiva, poiché fa si che l'atto annullato da che era produttivo di effetti non lo sia più. La sentenza invece che accerta la nullità non ha funzione costitutiva ma dichiarativa! Art. 606 Nullità del testamento per difetto di forma: Il testamento è nullo [1418 ss.] quando manca l'autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo [602], ovvero manca la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell'uno o dell'altro, nel caso di testamento per atto di notaio [603, 6054, 607; disp.att. 137]. Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato [1441 ss.] su istanza di chiunque vi ha interesse. L'azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni [2953] dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie [590]. Veniamo ora alla sostanza del lascito. Art. 627 Disposizione fiduciaria: Non è ammessa azione in giudizio per accertare che le disposizioni fatte a favore di persona dichiarata nel testamento sono soltanto apparenti e che in realtà riguardano altra persona, anche se espressioni del testamento possono indicare o far presumere che si tratta di persona interposta. Tuttavia la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione, salvo che sia un incapace. Le disposizioni di questo articolo non si applicano al caso in cui l'istituzione o il legato sono impugnati come fatti per interposta persona a favore d'incapaci a ricevere. L'art. 627 è uno dei casi che appartengono alle obbligazioni naturali tipiche. È una categoria evocata dal secondo comma dell'art. 2034 in materia di obbligazioni naturali appunto. Il secondo comma dell'art. 2034 stabilisce che, in tutti i casi in cui non è previsto un diritto di azione ma si esclude la ripetizione di quanto spontaneamente pagato, l'effetto giuridico che il legislatore riconosce alla fattispecie si esaurisce nella soluti retentio. 2034. Obbligazioni naturali: Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti. Qui vi è una distinzione tra il titulus e il modus adquirendi, cioè tra causa giustificativa e strumento negoziale attraverso cui lo spostamento si realizza. Come già avevamo visto nel caso del contratto preliminare, ove il titulus è il contratto preliminare e il modus adquirendi è il contratto definitivo, qui il titulus è il dovere della morale sociale, mentre il modus adquirendi si identifica nell'adempimento. Si discute sulla natura dell'adempimento della obbligazione naturale, se si tratti di un negozio giuridico o di un mero fatto giuridico, e quindi di conseguenza se sia necessario un atto di volontà o se basti un fatto materiale per porlo in essere. Qui il riferimento alla capacità del 2034 che deve essere propria del solvens, già orienta la soluzione del problema nel senso che sia un atto negoziale, per cui si richiede che l'autore dell'adempimento sia un soggetto capace. Sappiamo che quando si tratti di pagamento di una obbligazione la capacità del solvens non è rilevante perché il debitore non può impugnare il pagamento a causa della sua incapacità poiché comunque il creditore riceve il suo, quindi perché dare rilievo alla sua incapacità?! Non avrebbe senso. Il pagamento è un atto dovuto non un atto negoziale. È questo ce lo dice l'art. 1191. Nel 2034 la situazione viene ribaltata e si richiede la capacità. Se non c'è la capacità l'atto non è valido. Il riferimento alla capacità ex 2034 fa si che l'obbligazione naturale sia da ritenersi un atto negoziale. Inoltre anche l'elemento della spontaneità dell'adempimento ce lo fa comprendere. L'atto che fosse compiuto solo per minaccia non sarebbe valido. Quindi dovere della morale sociale come causa giustificativa, adempimento dell'obbligazione naturale come atto negoziale che consente la realizzazione del trasferimento. Attenzione però! Perchè noi ora non stiamo parlando della causa come requisito del negozio o come requisito del contratto. L'art. 1325 sugli elementi o requisiti del contratto parla di causa, e quella é la causa intesa come funzione intrinseca, come sintesi degli interessi che il contratto é capace di realizzare, come funzione del contratto. È un requisito intrinseco al contratto. La causa di cui parliamo oggi è una causa intesa come fondamento giustificativo dell'attribuzione ma individuato all'esterno del negozio. L'obbligazione naturale è un fenomeno spiegato secondo cui avremmo un titulus adquirendi a cui si aggiunge un negozio che dà soddisfacimento al dovere della morale sociale, causa a cui si è voluta dare attuazione. Questo secondo la teoria tradizionale preferibile secondo il professore. Nel Gazzoni tali fenomeni sono invece spiegati in una maniera opposta: si dice che l'atto di adempimento dell'obbligazione naturale va ricostruito non come negozio giuridico ma come fatto giuridico in senso stretto privo di valenza giudiziale. Occupiamoci del secondo comma dell'art. 2034, che esprime il senso per cui la prestazione spontaneamente eseguita da un soggetto capace determini una soluti retentio. 1. I doveri di cui al primo comma sono quelli della morale sociale. Chi dirà se c'è il dovere della morale sociale a cui si è data esecuzione? È il giudice evidentemente. Il riferimento ai doveri della morale sociale funziona come clausola generale. È stabilito il criterio secondo cui il giudice nei singoli casi concreti potrà decidere se si è o meno in presenza di doveri della morale sociale. 2. Ma accanto alla categoria generale, formulata come clausola generale, esistono casi singoli di obbligazione naturale che già la legislazione riconosce, senza che occorra attribuire la decisione al giudice per i singoli casi, perché è il legislatore stesso a stabilirlo. Questi casi in cui non vi è azione e ciò che è stato spontaneamente prestato non è ripetibile sono: - Il debito di gioco, - L'adempimento del debito prescritto e - L'adempimento di disposizioni testamentarie fiduciarie. E qui già il legislatore stabilisce ipotesi specifiche senza che debba verificare giudice volta per volta se si tratti di un dovere della morale sociale. In questi casi già il legislatore dice che ci si trova dinanzi ad una obbligazione naturale.Sono quindi ipotesi tipiche di obbligazioni naturali in contrapposizione alla categoria del 1º comma fondata su una clausola generale, ove per clausola ci si riferisce al riferimento ad un criterio a cui il giudice deve uniformarsi e in tal caso il criterio di riferimento sono i doveri della morale sociale. Obbligazione naturale come categoria generale: 1º comma art. 2034. Casi tipici di obbligazione naturale: 2º comma art. 2034. Il 2º comma dice comunque che nonostante la soluti retentio non si ha nessun altro effetto al di fuori di questo! Si potrebbe dunque novare una obbligazione naturale? No, l'accordo sarebbe nullo perché i doveri della morale sociale debbono essere spontanei, ma non possono produrre altri effetti. Quindi non potrebbero giustificare un accordo con funzione novativa. Si può adempiere ad una obbligazione naturale ma è insuscettibile di produrre effetti altri rispetto alla soluti retentio. Torniamo alla norma di cui all'art. 627. Siamo sicuri che la disposizione normativa del 627 si riferisca alle disposizioni fiduciarie? A cosa altro potrebbe riferirsi? Al fenomeno delle interposizioni fittizie, simulate. L'interposizione può essere reale e fittizia di persona. • L'interposizione di persona è reale quando un soggetto riceve una disposizione in funzione di un successivo trasferimento. Appartiene ad esempio al fenomeno in questione la rappresentanza indiretta, che rappresentanza non è; pensiamo al mandato ad acquistare senza rappresentanza ove il mandatario acquista un bene in nome proprio per conto altrui e quando lo acquista è soggetto interposto perché l'acquisto è per lui ma solo transitoriamente perché poi dovrà riversare gli effetti del suo agire al mandante. C'è qui una interposizione reale con conseguente obbligo di ritrasferite il bene o il diritto oggetto d'acquisto al mandante. • Ma esiste anche un altro tipo di interposizione, che è l'interposizione apparente o fittizia, che si realizza ogniqualvolta ai terzi appare che sia un soggetto l'acquirente di un determinato diritto mentre in realtà l'acquirente è un altro. La interposizione fittizia appartiene all'area della simulazione negoziale, in particolare di quella soggettiva. La simulazione che fenomeno è? Esistono diverse tipologie di simulazione: esiste una simulazione assoluta, esiste una simulazione relativa, esiste una simulazione relativa oggettiva o relativa soggettiva. • La simulazione assoluta si verifica quando viene stipulato un contratto senza che le parti ne vogliano assolutamente gli effetti, anzi non vogliono proprio si produca alcun effetto giuridico. Tizio e Caio stipulano un contratto ma in realtà non vogliono che si realizzino gli effetti. • La simulazione relativa si ha quando le parti stipulano un contratto ma volendo gli effetti di un contratto diverso da quello che appare. Vi è un contratto apparente che le parti stipulano, ma in realtà loro vogliono gli effetti di un altro contratto, diverso da quello apparente. La simulazione relativa può essere a sua volta oggettiva o soggettiva. - La simulazione relativa oggettiva si ha quando la discrasia dei piani si riversa nel contenuto contratto: si dimostra un contenuto ma se ne vuole uno diverso. - La simulazione relativa soggettiva si ha se la discrasia di piani riguarda non il contenuto ma i soggetti parti del contratto. È un fenomeno trilatero: abbiamo un soggetto alienante, un simulante acquirente e un acquirente reale. Si badi bene però che tutti i soggetti devono essere d'accordo. In tutte le simulazioni è importante riconoscere il fondamento di ogni fenomeno simulatorio. Il fenomeno simulatorio si regge sempre sull'accordo simulatorio, cioè l'accordo delle parti che contiene manifestazione della loro reale volontà. Le parti tutte sanno e vogliono porre in essere una simulazione e si accordano per farlo, c'è un accordo tra le parti, un accordo simulatorio. Non c'è niente di più lontano, la simulazione non ha nulla a che vedere con un altro fenomeno che è quello della riserva mentale, che si ha quando un soggetto manifesta una volontà ma non vuole veramente quell'effetto, dice di volere un effetto che in realtà non vuole e che lo fa in base ad una riserva. Ma tale riserva mentale non ha rilievo, perché il negozio è valido ed efficace in tutti i suoi aspetti anche se il soggetto nel suo intimo non lo vuole. È irrilevante la riserva mentale perché appartiene ad una sfera soggettiva intima dell'oggetto. È priva dunque di rilevanza. suo destinatario diventa efficace. È un negozio unilaterale recettizio e per divenire produttiva di effetti giuridici deve essere portata a conoscenza del destinatario. È dunque possibile che la procura sia simulata? Può esserlo ex terzo comma 1414 nel caso di accordo simulatorio tra autore della disposizione e destinatario. Anche il testamento come la procura è un negozio che consiste in una manifestazione volontà ed è un negozio unilaterale, cioè la fattispecie si realizza con il contributo della sola manifestazione di volontà del testatore. Però il negozio testamentario a differenza procura non è recettizio. Ma se non è il testamento recettizio sarà possibile un fenomeno simulatorio che lo riguardi? Parte dottrina dice di no, perchè il terzo comma parla solo di atti unilaterali recettizi, non di quelli non recettizi come il testamento, e se il legislatore non estende la portata del 1414 a quelli non recettizi allora non si potrà applicare la norma e non ci potrà essere nemmeno simulazione. Quindi ciò ci porta a concludere che la persona dichiarata nella scheda sarà comunque destinatario della disposizione, indipendentemente dalla reale volontà del testatore. A questo punto possiamo soffermarci un attimo sull'interposizione reale e su quella che si realizza attraverso il fenomeno fiduciario. Quali caratteristiche presenta il negozio fiduciario nel nostro sistema? Bisogna analizzare il fenomeno distinguendo il piano dell'effetto reale da quello degli effetti obbligatori. È il trasferimento fiduciario sempre un trasferimento con il quale il fiduciante rende il fiduciario proprietario del bene, diritto che si estrinseca nella facoltà di godimento ma anche di disposizione del bene. Art. 832 si occupa del contenuto del diritto e dice che il può godere del bene ma anche di disporre del bene stesso trasferendolo ad altri. Il trasferimento quindi rende il soggetto proprietario del bene come dice art. 832, in toto. Ma il fenomeno lo si comprende se si distingue il piano circolatorio, quello in cui si trasferisce il diritto di proprietà, da quello obbligatorio. Piano circolatorio: proprietario può godere e disporre del bene. Piano obbligatorio: all'assunzione del diritto di godimento e di disposizione del bene si accompagna l'assunzione di obblighi da cui è gravato il nuovo proprietario, obblighi di gestione del bene nei modi concordati, di disposizione del bene. Quindi il fiduciario è proprietario e come tale può godere e disporre del bene a suo piacimento, ma è anche un debitore fiduciante tenuto a certi comportamenti sul bene. Tale situazione per cui nella stessa persona convivono più situazioni giuridiche, una di proprietà e una di debito, presenta delle controindicazioni e cioè dei rischi ai quali rimane esposto il fiduciante. Siccome la proprietà passa al fiduciario ma egli assume altresì degli obblighi, ciò espone il fiduciante al rischio che gli obblighi non siano osservati e che magari l'alienazione avvenga verso una persona diversa. Se il fiduciario disattente agli obblighi e magari aliena il bene ad un soggetto diverso, ne segue che dovrà rispondere del proprio inadempimento e dovrà risarcire, ma il fiduciante non avrà strumenti ricuperatori del bene, quindi vi è il rischio di perdita del controllo del bene se il fiduciario dovesse disattendere gli obblighi. Assenza di rimedi reali o recuperatori qualora il fiduciario disattenda gli impegni assunti. E a parte i rischi derivanti da eventuali inadempimenti, il fiduciante è sottoposto altresì al rischio di aggressioni al patrimonio fiduciario che possono essere poste in essere dai suoi creditori. Sappiamo che il debitore risponde dei propri debiti con tutti i suoi beni presenti e futuri e, con riferimento al fiduciario, tra questi beni vi sarà anche quello ottenuto sulla base del rapporto di fiducia. Il bene si unisce al patrimonio del fiduciario con il rischio per il fiduciante di perdere il controllo del bene qualora dovesse essere realizzata su di essi l'esecuzione forzata a vantaggio dei creditori del fiduciario. Queste contro indicazioni che l'istituto della fiducia presenta, e per fiducia intendiamo quella romanistica, non ricorrono invece nel caso del trust. Perché il trust a contrario della fiducia realizza una segregazione patrimoniale, impedendosi ai creditori di agire esecutivamente sui beni ricevuti in trust, beni che rimangono segregati e non entrano nel patrimonio. Quindi la fiducia romanistica, che comporta un trasferimento della proprietà a cui si affianca l'assunzione di obblighi in capo al fiduciario, è caratterizzata da quella che si dice eccedenza del mezzo rispetto allo scopo, perché si sottopone il fiduciante a rischi che eccedono lo scopo. Cosa che invece non si realizza col trust. Patto fiduciario in quanto fenomeno capace ad associarsi a disposizione testamentaria. Qui cosa cambia? Con la fiducia in generale abbiamo il trasferimento che si realizza in una cornice di obblighi per il fiduciario. Nel caso del patto fiduciario associato ad una disposizione testamentaria, come nel caso in esame, abbiamo una disposizione con una cornice di obblighi per fiduciario che però non valgono, perché per il legislatore ciò che sta fuori dal testamento non rileva. Quindi le disposizioni fiduciarie testamentarie realizzano trasferimenti mortis causa che il legislatore depura dalla cornice di obblighi che normalmente gravano sul fiduciario a seguito del pactum fiduce. Ciò che residua qui è solo l'obbligazione naturale, il dovere della morale sociale gravante sul lascito a far si che si realizzi la volontà del testatore fiduciante. Quindi nella fiducia contrattuale il trasferimento si associa ad obblighi giuridici che se disattesi fanno si che fiduciario per responsabilità contrattuale ne risponde al fiduciante. In tal caso, nel caso della disposizione testamentaria, il destinatario risponde sono del lascito e la cornice di obblighi che sul fiduciario dovrebbero gravare viene meno e lasciano posto al dovere non giuridico ma morale del beneficiario del lascito di dare seguito alla volontà del testatore. È un caso pertanto a cui si applica l'art. 627 e nel quale il beneficiario del lascito che acquista la proprietà del bene mortis causa è uno che decide di ottemperare alla volontà finale ultima del de cuius, cosa che fa trasferendo la proprietà del bene con un negozio nella forma della scrittura privata. L'atto di adempimento non è infatti una donazione e quindi non richiede il requisito richiesto dalla norma del 782. È sufficiente dunque l'adozione della scrittura privata. L'atto di trasferimento è un atto di adempimento di una obbligazione naturale che sul piano formale si presenta valido ex 1350 n. 1 per il requisito di forma richiesto. Come si realizza l'adempimento nel caso specifico? Abbiamo già toccato il tema della natura dell'obbligazione naturale e si è detto che l'atto di adempimento di una obbligazione naturale, dal punto di vista del contenitore, è un atto negoziale, perché qui non c'è un vinculum, un atto di doverosità, un atto dovuto sul piano del diritto. È un atto che risponde all'esercizio della autonomia privata. È una attribuzione che risponde ad un dovere della morale sociale ma che non è non richieste giuridicamente. È la risposta ad una esigenza di dare un determinato assetto ai propri interessi. Un atto di autonomia dunque. Il soggetto decide di conformare i propri interessi in una data maniera, cosa che gli è richiesta solamente sul piano dei doveri della morale collettiva. L'atto di adempimento dell'obbligazione naturale in ciò si contrappone a quello di adempimento della obbligazione civile. Vi è stato in dottrina e in giurisprudenza un dibattito che a lungo si è protratto e che ha portato a dire che l'atto di adempimento dell'obbligazione civile non sia un atto negoziale. Conclusione questa che trova un punto di appoggio normativo importante all'art. 1191, per cui il debitore non può impugnare l'adempimento da lui posto in essere per la propria incapacità. L'adempimento dell'obbligazione civile svolge infatti un'efficacia estintiva del rapporto obbligatorio a prescindere che il debitore sia o non sia capace. Non siamo di fronte ad un atto di esercizio della autonomia privata, di regolazione di interessi privati, semplicemente si tratta di adempiere ad un obbligo già precedentemente contratto o comunque sorto in capo al soggetto debitore. Qui non conta tanto la volontà e la capacità di saperla manifestare, ma conta il contenuto del comportamento alla luce rapporto posto in essere. Non è così a proposito dell'atto di adempimento di un'obbligazione naturale, perché nel caso di adempimento di una obbligazione naturale non c'è un vincolo giuridico all'adempimento della prestazione. Ed ecco che qui dunque rileva la capacità del soggetto, tanto che l'art. 2034 lo dice espressamente che deve trattarsi di soggetto capace. Il Gazzoni sul punto propugna però una tesi diversa, la tesi della non negoziabilità dell'atto di adempimento della obbligazione naturale. Quando parliamo della negozialità o no dell'atto di adempimento, ci riferiamo all'atto adempitivo in materia di estinzione del rapporto obbligatorio se si tratta di obbligazione civile, del rapporto naturale se si tratta di obbligazione naturale. Quindi l'adempimento di una obbligazione civile non è un atto negoziale e pertanto non rileva la capacità o incapacità del soggetto adempiente, per quanto concerne invece l'adempimento di una obbligazione naturale la teoria tradizionale riconosce l'adempimento come atto negoziale tanto che lo stesso art. 2043 richiede la capacità d'agire del soggetto adempiente, mentre la teoria del Gazzoni ritiene che si tratti comunque anche in questo caso di un atto non negoziale. Fin qui si è ragionato sull'atto di adempimento come contenitore, e ci si è chiesti se il contenitore vada a costituire un negozio giuridico oppure no. Ma tale atto di adempimento ha anche un contenuto, che a sua volta può tradursi in un comportamento materiale o negoziale. L'atto dovuto che bisogna compiere, perché richiesto dall'obbligazione civile o naturale, può avere un contenuto di materialità o a volte mette in evidenza un contenuto di negozialità. Il discorso può apparire complesso, ma se guardiamo il caso specifico Caio pone in essere un atto di adempimento di un'obbligazione naturale e pone in essere un'attività di natura negoziale, perché libera e frutto di una determinazione individuale. Ma veniamo ora al contenuto di questa attività. Essa è un'attività il cui contenuto è negoziale, perché Caio pone in essere un atto di trasferimento di un immobile in direzione del figlio di Tizio. Ciò che a Caio è chiesto di compiere è un negozio giuridico traslativo della proprietà del bene immobile. Quindi abbiamo un atto negoziale di adempimento il cui contenuto è giustificato da un negozio giuridico di trasferimento del bene. Negozio giuridico di trasferimento che ha come fondamento causale della sua attribuzione una causa che sta al di fuori del negozio stesso e che coincide col dovere della morale sociale. Abbiamo un titulus adquirendi di giustificazione, che coincide con la morale sociale, ed un modus adquirendi, cioè il negozio con cui ciò avviene. Tali situazioni di negozio traslativo che riceve il proprio fondamento causale dall'esterno sono chiamate in dottrina come prestazioni traslative isolate. Gazzoni le riconduce alla categoria del pagamento traslativo o delle prestazioni traslative isolate come negozi si trasferimento del diritto fondate su un sostegno causale ad esso esterno. Se il fondamento giustificativo esterno dovesse essere mancante, la conseguenza sarà quella della nullità. E da ultimo è opportuno richiamare il discorso del contratto preliminare, che secondo Gazzoni è un modo per derogare alla regola del consenso traslativo ex 1376. In deroga le parti fanno si che l'effetto traslativo sia rimesso al compimento di un negozio successivo, una prestazione traslativa isolata. Sicché anche attraverso la stipulazione preliminare secondo tale tesi si realizzerà un dualismo tra titulus e modus adquirendi che troviamo anche nelle obbligazioni naturali! In sintesi abbiamo dunque parlato di interposizione fittizia collegandola alla simulazione. Abbiamo parlato della interposizione reale e della discrasia tra i piani circolatorio e obbligatorio con ciò che questo comporta. Abbiamo detto che il testamento è un negozio solenne e che il suo formalismo impedisce che possano valere accordi non presenti nel testamento, accordi che rimangono ex art. 627 privi di rilevanza sul piano del diritto, ma residuerà al massimo un dovere delle morale sociale. Abbiamo parlato della conseguenza delle obbligazioni naturale e del loro atto di adempimento che ha natura negoziale e che può avere contenuto materiale o negoziale. Risposte del caso n. 3: Ci dobbiamo chiedere se è valido un preliminare con cui le parti si impegnano a stipulare un negozio misto con donazione, ma per rispondere dobbiamo ancor prima chiederci se è possibile e quindi se è valido un preliminare con cui ci si impegna a stipulare una donazione. Se leggiamo l'art. 769 la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione. Si parla ad un certo di obbligazione, quindi, come ha ipotizzato il nostro collega, potremmo ipotizzare che potrebbe benissimo esserci un preliminare che obbliga le parti a porre in essere un contratto di donazione. Oppure non è così? Ricapitolando possiamo dunque intanto dire che il problema di cui alla lettera A) lo abbiamo risolto parlando di contratto misto di vendita e donazione. Sul quesito su B) possiamo mettere innanzi tutto in chiaro che possa trattarsi di un contratto preliminare proprio. Un contratto preliminare proprio che non è aggredibile per la sproporzione tra le prestazioni. Il fatto che vi sia una sproporzione tra prestazioni non rileva qui. Non rileva qui, ma quindi significa che in altri casi potrebbe la sproporzione delle prestazioni rilevare? Certamente si. C'è l'istituto della rescissione che ci dice che vi è un rimedio che si sostanzia in una impugnativa processuale, nei casi in cui vi sia sproporzione tra le prestazioni, in caso di pericolo o nel caso in cui vi sia una situazione di approfittamento nei confronti di uno stato di bisogno altrui. La rescissione è quindi rescissione del contratto concluso in caso di pericolo o concluso in stato di bisogno. Sempre la rescissione si regge sull’esistenza di una prestazione che le parti concordano, ma questa sproporzione non basta in sé e per sé, ma deve essere una sproporzione qualificata, occorre che si inserisca in una fattispecie composta anche da altri elementi, non si può dire diversamente, sottolineando che nel nostro sistema l’equità dello scambio possono bene esserci contratti che possono essere squilibrati cioè ove le prestazioni non si equivalgono, perché questo disequilibrio assuma rilevanza di diritto occorre che il contratto sia concluso in stato di bisogno o di pericolo. Nel nostro sistema dunque preservare lo scambio non è un elemento che deve essere preservato sempre e comunque. Perché il disequilibrio della prestazione possa assumere rilevanza ai sensi del diritto civile debbono sussistere i requisiti richiesti in materia di rescissione. A mo’ di ripasso collettivo possiamo dare un’occhiata alle disposizioni sui presupposti che devono ricorrere affinché il contratto possa essere impugnato tramite rescissione: ci vengono essi dati degli articoli 1447 e 1448. Art. 1447 Contratto concluso in stato di pericolo: Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata. Il giudice nel pronunciare la rescissione può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata. Può dunque esservi rescissione con riferimento ad un contratto con prestazioni inique se vi è uno stato di pericolo, stato di pericolo che è la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di una danno grave alla persona. Non rilevano i beni propri, ma un danno grave alla persona. Non è questa però la situazione in cui ci troviamo noi con riferimento al nostro caso. Ma non ci troviamo nemmeno nella situazione di cui all'articolo seguente: Art. 1448 Azione generale di rescissione per lesione: Se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto. L'azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto. La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta. Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori. Sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione. Affinché si verifichi questo caso è necessario lo stato di bisogno di cui l'altra parte abbia approfittato per stipulare un contratto con prestazioni sproporzionate, ove il valore di una deve superare il doppio del valore dell'altra. In questo caso dunque non ricorrono i presupposti della impugnazione rescissoria per stato di necessità e nemmeno vi è uno stato di bisogno che giustificherebbe la rescissione o ex art. 1447 o art. 1448. In questo caso c'è una sproporzione nel senso che una prestazione supera il doppio del valore dell'atro, ma non c'è approfittamento ma anzi le parti sanno il valore del bene e vi è intenzione liberale da parte di una di esse. Quindi non ha spazio la possibilità di ricorrere ad una impugnazione rescissoria, poiché la sproporzione è voluta, ma non per ragioni di approfittamento o altro, ma solo per una volontà liberale di una delle due parti. Quindi ci troviamo di fronte ad un negozio misto con donazione. Sul piano descrittivo è facile capire quando vi è un negotio mixtum cum donatione e cioè in tutti i casi in cui vi sia il trasferimento di un bene o di un diritto concordato con la controprestazione di un prezzo sensibilmente minore al valore del mercato del bene (in tal caso il donante è colui che trasferisce il bene) oppure quando il prezzo pattuito è notevolmente superiore al valore del bene (in tal caso il donante è chi va a corrispondere la somma di denaro). Occorre tracciare dei limiti, una sorta di area all’interno della quale la figura si può collocare. Innanzi tutto lo squilibrio, la sproporzione comunque non pregiudica in alcun modo i contratti di scambio e la sproporzione non rileva finché non ci si scontra con la disciplina della rescissione, ma se non vi è richiamo a tale disciplina non vi sono problemi. La mera esistenza di uno squilibrio non deve farci cadere nell'errore di farci credere che qualcosa non vada e quindi pensare ad una invalidità o rescindibilità del contratto, ma nemmeno nel senso che ci traviamo nel negozio misto con donazione! Perché potrebbe comunque trattarsi di un puro e semplice contratto di scambio. Quindi non è che la mera esistenza di uno squilibrio tra il valore delle prestazioni possa indurre a credere che vi sia un contratto con una anomalia o mistione negoziale, esistono prestazioni che non sono rilevanti sul piano del diritto, esistono casi in cui la sproporzione non genera invalidità o rescindibilità, ne è rilevante sul piano della qualificazione del contratto che resta un puro e semplice contratto di scambio. Per aversi negozio misto con donazione deve esserci una sproporzione voluta per realizzare un arricchimento in capo all'altra parte. La sproporzione dei valori deve essere consapevolmente accertata come mezzo per realizzare una finalità liberale. Ci sono infatti sproporzioni rilevanti sul piano della validità e sono quelle che inquadrano la rescindibilità. Ci sono sproporzione rilevanti sul piano della qualificazione e sono quelle in cui si verifica un fenomeno che impiega la sproporzione come mezzo per qualificare una finalità liberale. Ma esiste un altro limite connaturale alla figura: la sproporzione non deve esser tale da far si che la prestazione che una delle parti vada ad eseguire corrisponda ad un valore del tutto simbolico. Perché nel caso preso in esame vi è una compravendita mista a donazione. Ma se ad esempio io accettassi 1€ per alienare bene che vale 250000€, sarebbe questo un prezzo simbolico, di facciata, e lì non avremmo più un negozio misto con donazione, perché se vi è l'assunzione di un beneficio solo simbolico allora avremmo una vera e propria donazione, non più un negozio misto con donazione. Perché dire paghi 0 o paghi nummo uno sono la stessa cosa! In questo caso la fattispecie equivarrebbe al caso in cui vi sia una totale donazione. Quindi si avrebbe una donazione pura e semplice. In alcuni casi però la giurisprudenza, in caso di prezzo simbolico, parla, non di donazione, ma di nullità della compravendita per mancanza del requisito essenziale del corrispettivo. Quindi in tal caso se il prezzo è meramente simbolico si tratta in toto di donazione, salvo che la giurisprudenza alcune volte dica che si tratti comunque di un contratto di scambio ma nullo per difetto del requisito di forma. Ciò che è certo comunque è che, se abbiamo un prezzo simbolico, non si tratta mai di negozio misto con donazione. Quindi è necessario per aversi negozio misto con donazione: • Non un prezzo solo simbolico; • Sproporzione tra le prestazioni solo come strumento per realizzare un fine di liberalità. Bisogna però prendere atto dell'esistenza di un contrasto tra l'elaborazione della fattispecie stessa posta in essere da una parte autorevole delle dottrina italiana e quella invece fatta da un'altra parte della dottrina e sulla sua scorta dalla giurisprudenza. - Secondo un orientamento che si regge sugli studi di parte della dottrina, l'espressione negozio misto con donazione sarebbe una espressione dotata di un puro e semplice valore descrittivo, ma sarebbe una ipotesi di mistione tra elementi tipici di contratti diversi. Saremmo di fronte all'ipotesi di un contratto misto. Vi sarebbe una compenetrazione in una fattispecie unica di elementi che partecipano a figure negoziali diverse. Pensiamo ad esempio ad un contratto in cui una delle parti assuma un obbligo di facere materiale e una di lasciar godere l'altra parte di un immobile per un dato tempo: contratto d'opera + locazione. La tesi che propugna l’appartenenza del contratto di compravendita mista a donazione ritiene che in una fattispecie unica risultino assorbite le due cause che sono tipiche per un verso della donazione per altro verso della compravendita: la causa liberale e la causa di scambio. La mistione si realizzerebbe attraverso la mistione nella stessa fattispecie di due cause diverse. Il negozio misto con donazione o la compravendita mista con donazione secondo questa teoria significa riconoscere che all’interno della stessa fattispecie si compenetrino le due cause della liberalità e dello scambio. Ci sono a questo punto mistioni che consentono di applicare ad un’unica fattispecie negoziale una pluralità di discipline, e mistioni che invece rendono necessario scegliere tra più discipline, ci può essere una combinazione delle discipline. Nel nostro testo a proposito del contratto misto, ecco che si riscontra che una delle possibilità di disciplina del contratto misto consiste nel riferirsi alle discipline che riguardano i singoli elementi secondo una logica di combinazione di più discipline tutte chiamate a fornire il regolamento della fattispecie contrattuale mista. Quando la mistione però si riferisca alla causa, allora non sarà più possibile procedere con lo stesso metodo o lo stesso criterio, perché il criterio della combinazione di più discipline funziona se è fatto da più elementi diversi, ciascuno dei quali disciplinato sulla scorta del proprio dettato normativo tipico. Quando la mistione impedisce invece che possano essere richiamate e applicate più discipline, come tra cause contrattuali diverse, allora il criterio da utilizzare non sarà più quello della combinazione, ma piuttosto il criterio della prevalenza, bisognerà guardare quale degli elementi sia prevalente e quello prevalente dirà il criterio della disciplina applicabile. Dunque se si intende che la compravendita è un contratto misto e lo si ricostruisce come un tipo di mistione negazione di compenetrazione di cause diverse, quella liberale e quella di scambio, per stabilire quale disciplina debba trovare applicazione nei casi in cui combinare due discipline diverse non sia possibile, bisognerà appurare caso per caso quale sia l’elemento prevalente. La fattispecie su cui ci stiamo esercitando offre la possibilità di chiarire meglio i concetti. rappresentazione della realtà, come avviene nel primo, ma semplicemente un'ignoranza, non so dove il mio amico si trovi. Inoltre se si vuole parlare di vizi della volontà è più consono parlarsi di dolo, non di errore. Perché qui emerge che uno è stato disonesto. Caio sapeva e non ha detto e quindi Tizio è stato ingannato da Caio. Dolo che però qui non è un dolo attivo, ma un dolo omissivo, si omette di illuminare la realtà quando é conosciuta. E si inganna tanto ponendo in essere artifici e raggiri, quanto ponendo in essere elementi di conoscenza che potrebbero essere rilevanti dall'altra parte. Ignoranza sfruttata con un contegno fraudolento omissivo. Quindi ci sarebbe comunque l'annullabilità del contratto, ma non per errore ma per dolo omissivo. Se noi vogliamo valorizzare la contrarietà alla buona fede di Caio che se ne sta zitto, la via per farlo non è l'art. 1175 ma il 1337. Perché qui prima della stipula del contratto non abbiamo ancora un debitore e un creditore. Caio avrebbe dovuto e potuto avvisare Tizio non l'ha fatto. Nemmeno il 1138 si potrebbe richiamare in questo caso, poiché si riferisce alle cause di invalidità che sono tali a prescindere dalla conoscenza della parte. Sarebbe questo un caso ipoteticamente riconducibile alla disciplina di cui all'art. 1337. Se però noi inquadriamo le cose esclusivamente nella visuale del 1337 sul piano dei rimedi a cui la traccia sollecita, dovremmo dire che consistono questi nel rimedio risarcitorio. Quindi abbiamo 3 opzioni: 1) Caio è stato disonesto, ha violato il precetto del 1337 e deve rispondere con il risarcimento del danno. 2) No, c'è più di una semplice condotta rilevante sul piano della responsabilità precontrattuale, c'è un comportamento che si traduce in una fattispecie di dolo, dolo sia pure qui omissivo, non fatto di raggiri attivi. 3) Non interessa chiedersi e approfondire il tema della condotta dolosa perché c'è qui un errore che rileva in sé e per sé, trattandosi di errore essenziale e rilevante, e quindi determina l'annullabilità del contratto. Ricordiamo che esistono due tipologie di dolo: il dolo causa dans, ove abbiamo un soggetto che a seguito dell'inganno stipula un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato, e il dolo incidens, che fa si che le condizioni del contratto stipulato siano diverse da quelle pensate. Art. 1439 Dolo (dolo causam dans): Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato.Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio. Raggiri dunque tali che senza di essi la parte non avrebbe contrattato. Art. 1440 Dolo incidente (dolo incidens): Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni. Raggiri dunque non tali da determinare a contrarre, ma comunque influenti. La conseguenza è in questo caso non l'annullabilità del contratto ma il risarcimento del danno. Errore essenziale significa errore determinante? Art. 1429 Rilevanza dell'errore: L'errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall'altro contraente. Non tutti gli errori sono rilevanti. Non basta essersi sbagliati per invocare l'annullabilità del contratto. Non basta che il proprio consenso si sia formato in maniera patologica, anomala, non tutti gli errori sono rilevanti ci dice la norma, ma solo gli errori che sono rilevanti e riconoscibili. Art. 1431 Errore riconoscibile: L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Questo è un requisito ove il legislatore avverte l'esigenza di tutelare l'altrui affidamento. Ci sono due parti del contratto: una che vorrà annullare il contratto e una che vorrà mantenere l'esecuzione delle prestazioni. È un conflitto di interessi. Qual è punto di equilibrio? Il legislatore avverte l'esigenza di tutelare l'altrui affidamento. Quindi dice tu puoi impugnare il contratto, ma sempre che l'errore sia riconoscibile dall'altro contraente. Perché se l'altro contraente senza colpa confida nel contratto allora tale affidamento andrà protetto. Ciò è antagonista rispetto alla conservazione dell'interesse dell'altrui parte. L'art. 1439 secondo comma sempre sul dolo incidente dice che comunque bisogna fare anche in tal caso i conti con affidamento dell'altra parte. Perché se l'altra parte non sapeva nulla, il suo affidamento va tutelato e resta sacrificato l'interesse di chi abbia subito raggiri. L'errore per condurre all'annullamento contratto deve essere riconoscibile. L'errore però deve essere anche essenziale. Ma ogni errore determinante del consenso è essenziale oppure no? Determinante e essenziale sono la stessa cosa? Oppure no? Il requisito dell'essenzialità si lega esclusivamente nella influenza che errore ha avuto oppure no? Quando innanzitutto l'errore è essenziale? Nei casi di cui all'art. 1429. L'essenzialità dipende dall'oggetto dell'errore. Non ogni errore che determina il consenso ma l'errore che cade su certi elementi. E questi elementi hanno a che vendere con la natura, l'oggetto del contratto, ecc. Sono errori essenziali quelli che cadono sul contratto o su elementi di struttura del rapporto che dal contratto scaturisce. Art. 1429 Errore essenziale: L'errore è essenziale: 1) quando cade sulla natura o sull'oggetto del contratto; 2) quando cade sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso; 3) quando cade sull'identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente, sempre che l'una o le altre siano state determinanti del consenso; 4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto. Questi casi in cui l'errore può dirsi essere essenziale sono quelli indicati dall'art. 1429 ed in sintesi posiamo dire che è essenziale l'errore che cade su determinati elementi del contratto o del rapporto che dal contratto scaturisce. Errore che cade su elementi previsti dal legislatore all'art. 1429. Errori che siano determinanti nel consenso, ma che cadano su elementi diversi di quelli del 1429 o elementi estranei alla struttura del contratto o del rapporto, si chiamano errori sul motivo, che per definizione non hanno rilevanza ai fini della invalidità del contratto. L'errore sul motivo può avere rilevanza a proposito della donazione, ex art. 787 se il motivo risulta dalla donazione ed l'unico che ha determinato donante allora in tale caso rileva ai fini della invalidità del contratto di donazione. Ma rileva solo in questo caso perché il legislatore lo dice espressamente. Altrimenti in tutti gli altri casi l'errore motivo non rileva ai fini della invalidità del contratto. L'errore sul motivo è un errore che cade su circostanze esterne al contratto che possono essere anche determinanti, ma rimangono circostanze esterne al contratto. Sarà anche determinante ma non è essenziale! L'essenzialità è determinata in alcuni casi anche da caratteristiche che rendono allo stesso tempo l'errore determinante come nei casi dei numeri 2 e 3 del 1429, in altri casi però l'essenzialità dell'errore non si accosta al suo essere determinante. Ma l'essere un errore essenziale e l'essere un errore determinante sono cose diverse! In alcuni casi possono sussistere entrambe le caratteristiche, ma essenzialità e determinatezza dell'errore sono cose diverse! E ciò è importante perché il contratto è annullabile solo se l'errore è essenziale, non basta che sia determinante. Se l'errore quindi cade in circostanze altre non essenziali rimane un errore sul motivo, incapace pertanto di invalidare il contratto. L'errore essenziale invalida il contatto, l'errore determinante che non sia essenziale non invalida il contratto, ed essendo l'errore motivo un errore non essenziale, in quanto ricade su elementi esterni e di contorno rispetto al contratto e non sul contratto o su elementi di struttura del rapporto che dal contratto scaturisce, allora di conseguenza non è esso stesso sufficiente ad invalidare il contratto. Nelle donazioni invece l'errore sul motivo assume rilevanza ex 787, ma solo perché c'è l'art. 787 a proposito della donazione che gli fa esplicitamente assumere rilevanza. Se tutto ciò che abbiamo è detto è vero, dobbiamo chiederci: su cosa cade l'errore nel caso specifico? Perché per dire che il contratto sia annullabile dobbiamo individuare un errore essenziale. Qui abbiamo un errore sul valore di mercato del bene. L'errore sul valore di mercato è un errore essenziale? È un errore sulle qualità bene? No, perché il valore si forma sul mercato, ma non rappresenta una qualità intrinseca del bene. Il valore è qualcosa che passa all'esterno del bene, non è estrinseco. Questo per una interpretazione consolidata. L'errore sul valore non è un errore che ricade sulle qualità del bene, perché la qualità è un contenuto intrinseco, mentre in questo caso l'errore sul valore è invece su qualcosa di estrinseco. Qui c'è solo un errore sul valore o sulla paternità, ecc.? Si potrebbe andare all'infinito per trovare una risposta su cosa cada effettivamente l'errore. Ciò che appare dalla traccia è che Tizio se si è sbagliato su qualcosa e si è sbagliato sul valore. Quindi senza andare oltre il contenuto della traccia appare evidente che qui Tizio si sia sbagliato sul valore del bene. Un errore sul valore che comunque non è capace di condurre alla annullabilità del contratto, in quanto non essenziale. Ma l'errore sul valore è irrilevante se spontaneo, ma non se è indotto perché in tal caso rileverà il dolo. La funzione della disciplina del dolo qual è? Il dolo induce all'errore. Il dolo provoca l'errore. Ma il legislatore prevede una altra disciplina perchè l'errore che deriva da dolo rileva quale che ne sia oggetto. Quindi l'errore determinato da dolo rileva sempre ai fini annullabilità. La disciplina sull'errore rende rilevante l'errore essenziale, quella del dolo rende invece rilevante qualsiasi errore derivante dal dolo qualsiasi sia l'errore! Quindi se l'errore è indotto da una condotta dolosa, l'errore è sempre rilevante ai fini della invalidità e quindi della annullabilità del contratto, anche se non presenta le caratteristiche dell'errore essenziale ex 1429, perché poco importa, perché ciò che rileva è che sia un errore indotto da dolo. Quindi qui non c'è errore essenziale perché è un errore sul valore. Ma se è un errore derivante da dolo, cosa che qui è, il fatto che non sia essenziale ex 1429 non rileva, perché l'errore indotto da dolo rileva sempre, dolo che in questo caso sarebbe però omissivo. Lunedì 26/10/2015 Stavamo risolvendo il caso N. 5. Abbiamo imparato che non sempre l'errore è invalidante. Anzi nella prassi le sentenze di annullamento del contratto per errore non sono poi così frequenti. C'è si un errore, ma il fatto che vi sia un errore non significa che il contratto sia annullabile, ma l'errore deve avere caratteristiche precise per rendere il contratto annullabile. Deve essere essenziale, riconoscibile e deve ricadere su determinati oggetti o su elementi del rapporto che dal quale contratto scaturisce per poter invalidare il contratto medesimo. Se non cade su questi elementi, l'errore non può essere determinativo della annullabilità del contratto. Quindi bisogna davanti ad un errore spingere più in là il ragionamento e chiederci se l'errore è invalidante, perché non sempre lo è. Qui c'è un errore, un errore quanto meno relativo al valore del bene. Se Tizio avesse saputo del valore diverso o non avrebbe venduto il bene o comunque lo avrebbe venduto ad un prezzo La traccia non ce lo dice però. Ci possiamo qui arrestare evidenziando che ammettendo il dolo omissivo, poi dobbiamo chiederci se è determinante (annullabilità contratto) o incidente (no annullabilità ma risarcimento). Proviamo ora a seguire la strada più restrittiva della giurisprudenza. Dovremmo dire che non ci sia qui spazio per invalidare il contratto. Se non si è disposti ad ammettere che il dolo possa manifestarsi anche in forme omissive qui non vi sarebbe dolo, ma solo una violazione di obblighi della buona fede di informare l'altra parte delle circostanze rilevanti che questa abbia ignorato. Vi sarebbe una responsabilità in tale caso precontrattuale. Ex art. 1337 le parti debbono infatti comportarsi secondo correttezza. In questo caso, come in molti altri la legislazione pone una clausola generale, non dice cosa le parti debbono o meno fare ma pone nelle mani del giudice una regola di condotta generale. Buona fede come criterio di determinazione delle condotte ammesse e non nella fase delle trattative. A tal proposito, con riferimento alla responsabilità di cui all'art. 1337, ci si chiede la natura responsabilità, se sia contrattuale o extracontrattuale. Qui bisogna avere idee chiare: - La responsabilità contrattuale o responsabilità cosiddetta contrattuale è una responsabilità da inadempimento. È in ciò è in parte fuorviante l'espressione. Perché benché si parli di responsabilità contrattuale, non è necessario sussista un contratto e che questo sia rimasto inattuato, ma è necessario che sussista una obbligazione che sia rimasta inadempiuta. E come sappiamo le obbligazioni ex art. 1173 derivano non solo da contratto ma anche da fatto illecito e da ogni fatto o atto idoneo a produrle secondo l'ordinamento giuridico (promessa al pubblico, gestione fatti altrui, ecc). Si ha la responsabilità contrattuale ogni volta che sia inadempiuto un rapporto obbligatorio, quale che ne sia la fonte (che può dunque anche non essere un contratto). - La responsabilità extracontrattuale, di contro, è quella di cui all'art. 2043, secondo cui qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto al risarcimento del danno. Alcuni con riferimento alla responsabilità extracontrattuale parlano di responsabilità del passante, in quanto tra soggetti non legati sul piano del diritto. Che responsabilità è quella del 1337? - Alcuni hanno detto che sarebbe un terzus genus perché nella fase delle trattative il contratto non c'è ancora, non c'è il presupposto necessario per potersi parlare di responsabilità contrattuale, non c'è già una obbligazione che deve essere adempiuta, d'altro canto però le parti non sono tra loro del tutto estranee, non si può quindi nemmeno parlare di responsabilità del passante, perché c'è una relazione sulla base del diritto, tanto che vi è l'art. 1337 che richiede che le parti si comportino secondo buona fede. Quindi non c'è un contratto ancora, come nella responsabilità contrattuale, ma le parti non sono nemmeno del tutto estranee, come è invece nella responsabilità extracontrattuale. Ma la tesi del terzus genus è quella meno conclamata. Anche su questo è necessario registrare un divario tra giurisprudenza e dottrina. - La giurisprudenza va saldamente nel senso che la responsabilità in contraendo sia ascrivibile alla responsabilità extracontrattuale, sarebbe lo sviluppo logico del discorso che il legislatore fa ex 2043. Le parti, dice la giurisprudenza, sono in contatto tra loro ma ciò non ha ancora determinato un rapporto obbligatorio. Non può pertanto esserci una responsabilità da inadempimento, ma esiste una relazione di fatto in cui danno si produce e questa relazione di fatto determina la necessità di ricondurre la fattispecie al 2043. E poiché il 2043 parla di responsabilità per produzione di un danno ingiusto e poiché il danno ingiusto è un danno che deriva dalla lesione di una situazione giuridica giuridicamente protetta, la giurisprudenza individua questa situazione protetta nella fase precontrattuale in un cosiddetto diritto alla libertà negoziale. La giurisprudenza dice le parti non sono ancora legate da un rapporto obbligatorio e quindi ciò è riconducibile al 2043 che lega la responsabilità precontrattuale al verificarsi di un danno ingiusto, danno ingiusto come la lesione di una situazione giuridica protetta, che in tal caso sarebbe nei termini di un diritto alla libertà contrattuale, di manifestare cioè liberalmente il potere di vincolarsi negozialmente. - La dottrina è orientata in maniera diversa. La dottrina dice che non c'è ancora un contratto ma c'è un contatto, un contatto sociale qualificato, non un contato qualsiasi ma considerato dal diritto, dalla legge. Legge che ne fa un contatto produttivo di una situazione che richiede vengano osservati determinati obblighi per le parti, che sono quelli della buona fede. Il contatto, poiché qualificato ex 1337, è a sua volta capace di generare un rapporto obbligatorio tra le parti, una relazione in cui il contenuto è dato dagli obblighi che si radicano nel canone della buona fede. Questa relazione nascente dal contatto sociale e fondata su obblighi di buona fede è una relazione a sua volta obbligatoria, la quale fa si che il mancato adempimento di tali obblighi possa far qualificare la responsabilità come contrattuale. E ciò con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano ad esempio dell'onere della prova, che nella responsabilità contrattuale è invertito rispetto a quella extracontrattuale, essendo l'inadempiente che deve dimostrare che l'inadempimento derivi da causa a lui non imputabile. Vi sarebbe quindi una responsabilità speciale, ma riconducibile secondo la dottrina a quella di inadempimento. Rapporto che scaturisce da un contatto sociale qualificato instauratosi tra le parti. E oltre all'onere della prova sul piano della disciplina della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, vi sono altre differenze, come il fatto che le due responsabilità si distinguono anche sulla durata della prescrizione che prevede il termine ordinario nella contrattuale, mentre pari a soli 5 anni in quella extracontrattuale. In conclusione riassumendo la lezione di oggi possiamo dunque dire che abbiamo detto che Tizio si sbaglia su un errore circa il valore del bene e quindi non è un errore essenziale ma un errore motivo che è irrilevante, quindi non determina l'annullabilità del contratto. Però abbiamo detto che Caio tiene all'oscuro Tizio del suo errore, omette di comunicare alla controparte una circostanza che avrebbe cancellato tale errore in cui Tizio era incorso. Tale omissione è dolo? Secondo parte della dottrina la risposta potrebbe essere positiva e quindi se decidessimo di seguire tale strada dovremmo chiederci se sia però un dolo determinante o incidente. Nel primo caso si avrebbe l'invalidità del contratto, nell'altro caso non si avrebbe invalidità ma solo un risarcimento. La traccia non consente di dare risposta e quindi la questione rimane aperta. Secondo la giurisprudenza, che invece tende ad essere restrittiva e non lascia spazio a dolo omissivo, ecco che qui mancherebbe l'attività ingannatoria e dunque non si potrebbe parlare di dolo. Tizio non potrebbe impugnare il contratto, ma potrebbe fare valere l'art. 1337 rivendicando che Caio non ha seguito le regole della buona fede. Quindi Tizio anche se non potrà ottenere l'annullamento del contratto potrà chiedere il risarcimento danni per responsabilità precontrattuale. Ma che responsabilità è quella extracontrattuale? La giurisprudenza dice che è una responsabilità extracontrattuale, la dottrina dice che è una responsabilità contrattuale. Martedì 27/10/2015 Con riferimento al caso n. 5 abbiamo provato a seguire la soluzione giurisprudenziale, ma anche quella dottrinale, soluzioni differenti del caso. Abbiamo ieri detto che la giurisprudenza teoricamente ammette l'esistenza del dolo omissivo, però poi se si leggono le formule e se si guarda alla ratio decidendi dei singoli casi la giurisprudenza sembra essere ancora ancorata alla concezione di dolo come commissivo. Se si va su questa linea nel nostro caso non potrà parlarsi di possibilità di ottenere l'annullabilità del contratto in quanto qui non c'è una attività dolosa attiva, ingannatoria. La dottrina più moderna invece ragiona in termini diversi e dice che se c'è l'obbligo di informare l'altra parte e si omette di farlo allora ciò darà comunque origine ad un dolo omissivo con conseguente annullabilità. Quale di queste vie è perseguibile? È da sottolineare che qui da molti anni è in atto un processo europeo di uniformazione del diritto privato che tende ad una possibile uniformazione del diritto privato dei Paesi della U.E. Un processo segnato da fasi importanti ove si sono realizzati testi accademici, testi che non sono vincolanti ma che appartengono area della soft law, sono delle proposte, che acquistano un peso però sempre maggiore da parte dell'interpretazione dei diritti interni. Sono testi che appartengono alla soft law, che non é vincolante. Non vincolano gli ordinamenti ma hanno lo scopo di orientarli. È una sorta di metodo comparativo dei diritti e che spinge a chiedersi come vadano interpretate le norme di diritto interno. Alcuni anni fa sono stati elaborati i principi Lando, che in una fase successiva sono stati superati in un testo più evoluto con cui i componenti di una commissione rappresentativa dei Paesi europei hanno elaborato tale testo di riferimento in vista di una possibile elaborazione del diritto europeo e che rappresenta un utile strumento interpretativo per una ermeneutica moderna per interpretare i testi nazionali. Se fino a poco fa il nostro diritto era interpretato sulla base di principi romanistici, ad oggi prendono piede questi strumenti di soft law che prospettano una possibile unificazione del diritto privato europeo. Cosa il Draft dice a proposito del dolo? Dice che per fraud, dolo, si intende anche qualsiasi non comunicazione di qualsiasi informazione che secondo le regole della buona fede e della correttezza avrebbe dovuto una parte comunicare all'altra. Quando la buona fede o il negoziare in maniera leale avrebbero richiesto che una certa informazione fosse resa all'altra parte e il soggetto in questione non lo fa allora ciò è sufficiente ad integrare la fraud, cioè il dolo. Quindi si comprende nel dolo anche il dolo omissivo secondo la concezione internazionalizzata. Altro tema da evidenziare in ultimo è quello dell'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043. Abbiamo toccato la questione della responsabilità in contraendo e ci siamo chiesti se fosse riconducibile alla responsabilità contrattuale o extracontrattuale. È bene precisare, per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale, che non si risponde a titolo di illecito extracontrattuale quando si è commesso un danno. Il danno in sé non vuole dire nulla. La responsabilità sorge solo se sia stato provocato un danno ingiusto. Quindi l'essere ingiusto é un elemento essenziale che deve esserci. Quando un danno è ingiusto? - Secondo la teoria più tradizionale danno ingiusto voleva dire procurato ledendo una posizione giuridica soggettiva qualificabile nei termini di un diritto assoluto, lesione di un diritto assoluto. Si diceva che si avrebbe danno ingiusto e quindi responsabilità extracontrattuale quando si va violando un diritto assoluto. Per responsabilità contrattuale invece si intendeva la lesione di un diritto relativo. Quindi rispondere a titolo contrattuale significava essere inadempiente di un diritto di credito. Dunque secondo la teoria più tradizionale: responsabilità a titolo extracontrattuale per aver leso diritto assoluto (danno ingiusto); responsabilità a titolo contrattuale per aver leso un diritto relativo. Associata a tale idea era quella di responsabilità extracontrattuale come tipica, idea di tipicità della responsabilità extracontrattuale. Nel senso che per aversi responsabilità extracontrattuale doveva essere leso un diritto assoluto, quindi doveva esserci violazione di una norma che riconoscesse tale diritto assoluto che era stato violato. L'art. 2043 era pertanto qualificato come una norma secondaria, che individuava la sanzione nel caso di violazione di un diritto assoluto sancito da un altra norma privata. Ecco perché l'illecito extracontrattuale si diceva fosse caratterizzato dalla tipicità. Doveva esserci una norma primaria e l'art. 2043 quale norma secondaria che prevedeva la sanzione prevista dall'ordinamento in caso di lesione del diritto assoluto tutelato dalla norma primaria. Tale impostazione ha subito delle rielaborazioni tese a mitigarne la rigidità. - Ci si è chiesto perché non si potrebbe rispondere di illecito extracontrattuale anche nei casi in cui ad essere violato non sia diritto assoluto ma relativo. Ci si è chiesto perché non possa esserci un tutela aquiliana del credito, del diritto relativo appunto. Pensiamo ad esempio al caso relativo al giocatore del Torino Meroni: dopo la sua morte a seguito di un incidente, la società del Torino chiese di avere un risarcimento del danno in quanto, a seguito della morte del giocatore, egli non avrebbe potuto adempiere al contratto che aveva stipulato con il Torino. La giurisprudenza dopo una serie di casi analoghi, ad un certo punto ammette che la responsabilità extracontrattuale possa essere fatta valere anche se ad essere violato sia diritto relativo, sempre che la violazione provenga da un terzo e non da una parte, altrimenti sarebbe responsabilità contrattuale. fenomeno di formazione del contratto, ma ce ne sono anche altri. Il codice parla di quel particolare procedimento di formazione del vincolo con proposta e accettazione. Quindi abbiamo detto che: • Ai fini della forma scritta, se richiesta ai sensi 1350 n. 1, non occorre altresì la contestualità delle dichiarazioni. • La proposta e la accettazione sono una possibile modalità di perfezionamento del vincolo contrattuale, ma vi sono altri modi affinché il perfezionamento del vincolo contrattuale avvenga (pensiamo al consueto caso di stesura del contratto con conseguente apposizione di firme delle parti. • La responsabilità precontrattuale può associarsi anche ad un contratto valido, non sono quindi al caso in cui il contratto non vi sia. La proposta contrattuale è un atto revocabile e ce lo dice l'art. 1328, ove si dice che la proposta può essere revocata finché contratto non sia concluso (regola del nostro ordinamento perché ad esempio in altri Paesi come in Germania non è così). La proposta contrattuale dunque è un atto revocabile. Art. 1328 Revoca della proposta e dell'accettazione: La proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l'accettante ne ha intrapreso in buona fede l'esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per l'iniziata esecuzione del contratto. L'accettazione può essere revocata, purché la revoca giunga a conoscenza del proponente prima dell'accettazione. Quando cessa l'efficacia della proposta? Il secondo comma dell'art. 1326 dice che chi fa la proposta può prevedere il termine di efficacia. Se non ha previsto un termine di efficacia deve essere accettata entro un termine che sia congruo in relazione alle circostanze. Chi stabilisce se termine sia congruo oppure no? Il giudice. Concetto giuridico indeterminato o elastico che lascia discrezionalità al giudice. Qui non c'è una clausola generale rivolta al giudice, ma concetti elastici sempre rivolti al giudice. La proposta che giunge fuori termine non è efficace salvo che non sia il proponente a ritenere il contrario dandone avviso all'altra parte. Mercoledì 28/10/2015 L'atto recettizio è un atto che ha bisogno di essere portato a conoscenza del destinatario. Se ciò manca l'atto non può produrre i suoi effetti. Si distingue tra il perfezionamento della fattispecie dell'atto e il processo di messa a conoscenza dell'atto con riguardo al suo destinatario, processo che rende l'atto efficace quando di recettizietà si tratti. Non sempre ciò è carattere desumibile dalla disciplina dell'atto. A volte è necessaria un'analisi per dirsi se è necessario il procedimento di messa a conoscenza del destinatario. Già con riferimento alla procura ne avevamo parlato. Ci si era chiesto se la procura, con cui il rappresentante è investito del potere di compiere atti giuridici, fosse un atto recettizio visto che la legge nulla dice in proposito. E il problema è duplice perché bisogna anche dire verso chi tale carattere si esprima. Il dominus cioè a chi deve indirizzare la procura per renderla efficace? Solo al rappresentante o anche ai terzi? Si dice che sia un atto recettizio e la tesi prevalente dice che il destinatario della procura non sono i terzi ma il rappresentante stesso. È un negozio recettizio nei confronti del soggetto rappresentante. Anche la proposta e la accettazione sono negozi recettizi. L'oblato e il proponente debbono far quindi giungere l'atto al destinatario. Diverso è invece il caso dell'offerta al pubblico, che non è un atto recettizio. La proposta di conclusione del contratto è in tal caso rivolta ad una collettività indeterminata ex 1336. In Italia si dice valga il principio della ricezione, per cui l'atto recettizio produce ex 1334 effetti quando giunga a conoscenza della persona a cui l'atto medesimo sia destinato, principio della cognizione. Principio che è un principio della cognizione attenuata ex 1335. Quindi vale il principio della conoscenza o cognizione, che è però temperato dall'art. 1335, perché si dice salvo che il destinatario non dimostri che senza sua colpa non poteva esserne a conoscenza. Da noi serve la conoscenza, non basta che l'atto giunga nella sfera del destinatario, ma pur con un temperamento che viene dato dall'art. 1335. Tanto la proposta quanto l'accettazione sono configurati come atti recettizi nel nostro codice civile, quindi il contratto si conclude quando il proponente ha notizia della accettazione dell'oblato. Il contratto è concluso quando chi ha fatto la proposta riceve notizia della accettazione. Nel nostro ordinamento è così ma in altri ordinamenti giuridici è diverso. Da noi occorre la conoscenza della accettazione e finché ciò non si verifichi, tanto la proposta quanto l'accettazione stessa sono revocabili. Finché la conoscenza della accettazione, che comporta la conclusione del contratto, non si verifichi, sia la proposta che la accettazione sono revocabili. Però revocabili in maniera forse un po' diversa. La revocabilità della proposta e della accettazione è un po' diversa perché: • La revoca della accettazione è un negozio recettizio che debba avvenire prima che l'esistenza della accettazione giunga al proponente. Se l'accettazione è revocata prima della conclusione contratto, ma la dichiarazione di revoca giunge a conoscenza del proponente dopo l'accettazione il contratto, ormai si ha per concluso. La revoca deve giungere a conoscenza del proponente prima della accettazione ex 1328 comma 2. Altrimenti sarebbe intempestiva. Deve giungere a conoscenza del proponente prima della accettazione. • Invece così non è per la revoca della proposta. La revoca proposta è anche essa un atto recettizio che deve giungere a conoscenza dell'oblato prima che il proponente giunga a conoscenza della accettazione? L'oblato deve ricevere la revoca proposta prima che la accettazione sia giunta al proponente o no? Perché la revoca della accettazione abbiamo visto che deve giungere prima che giunga la accettazione ex 1328 comma 2. Per la revoca della proposta vale lo stesso principio? La risposta è no. La giurisprudenza infatti elabora una regola che è di tutto a favore per il proponente che è libero di manifestare il suo diritto di pentimento e revocare la proposta fino ad un istante prima che egli giunga a conoscenza della accettazione da parte dell'oblato. Assistiamo pertanto ad una asimmetria: l'oblato può revocare l'accettazione ma con l'onere di portare la revoca a conoscenza del proponente prima che il contratto si concluda con la venuta a conoscenza della accettazione dal proponente medesimo, mentre il proponente può revocare la proposta prima della conclusione del contratto. Ieri dicevamo che la proposta contrattuale è revocabile finché il contratto non sia concluso. Nel diritto dei consumatori, dei rapporti cioè contrattuali che legano un professionista ad un consumatore, diritto che trova la sua fonte nel codice di consumo, le cose stanno diversamente, perché in una serie di casi al consumatore è consentito un diritto di recesso entro breve termine. Recesso che impedisce il consolidarsi del rapporto contrattuale nel caso in cui il contatto è già stato stipulato. Quando invece parliamo di revoca della proposta parliamo di un caso ove il ciclo formativo non si è ancora completato, ove il proponente può revocare il proprio atto di proposta che è un atto prenegoziale, siamo ancora in un processo in itinere. La proposta è dunque revocabile in linea di principio ma esistono eccezioni rispetto a tale regola. E sono le tre stabilite nell'art. 1329, 1331, 1333 primo comma. • La proposta è irrevocabile quando il proponente si sia impegnato a mantenerla ferma per un certo tempo. È questa una irrevocabilità che consegue ad un atto bilaterale del proponente che compie una proposta e allo stesso tempo si impegna a non revocarla. Con la conseguenza che revoca se interveniva dovrà considerarsi inefficace e quindi incapace di revocare l'atto. L'art. 1329 sulla proposta irrevocabile dice infatti che se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto. Nell'ipotesi prevista dal comma precedente, la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta, salvo che la natura dell'affare o altre circostanze escludano tale efficacia. Non solo quindi non revoca l'atto ma addirittura nemmeno la morte del proponente non priverà di efficacia la proposta contrattuale. Cosa che invece in genere non si verifica nella normalità dei casi. Qui è importante sottolineare questo aspetto: proposta ferma vuole dire inefficienza della revoca successiva, con la conseguenza che l'oblato nonostante la revoca potrebbe comunque accettate la proposta, che è resa insensibile al pentimento del proponente che non potrebbe con revoca fare cadere la proposta. • Il secondo caso di proposta ferma e quello relativo al patto opzione di cui all'art. 1331. L'art 1331 dice che quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'articolo 1329. Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice. Qui una parte rimane vincolata alla sua dichiarazione e l'altra parte ha diritto di opzione. Anche in questo caso la parte vincolata non può revocare la sua dichiarazione. La parte che pone in essere la dichiarazione non può revocarla. L'opzione genera un rapporto giuridico particolare, non è un rapporto obbligatorio, non è rapporto che si articoli in debito e diritto di credito, che generi un dovere di prestazioni. È invece un rapporto in cui si contrappongono un diritto potestativo del l'opzionario, che ha il potere con la cui manifestazione di volontà di fare si che si costituisca il contratto finale, e una soggezione in cui viene a trovarsi il concedente, colui une va ponendo in essere la dichiarazione. In tale caso la irrevocabilità è conseguenza non già di un impegno unilaterale, ma discende da un patto, trova radice in un accordo, nel patto di opzione. Sempre come irrevocabilità, come inefficienza di una successiva revoca è dato parlare anche in questo caso. • La terza ipotesi è invece quella di cui all'art. 1333 primo comma: La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Nel 1333 si parla di contratti con obbligazioni a carico di una sola parte, e anzi più nello specifico di proposta di conclusione di un contratto da cui derivino obbligazioni per il solo soggetto proponente. Questi contratti che prevedono obbligazioni per una sola parte sono i contratti unilaterali, che non vanno confusi con i negozi unilaterali. Nei negozi la unilateralità attiene al dato strutturale, è carattere della fattispecie ove si ha una manifestazione di volontà soltanto. Quando si parla di contratti unilaterali la unilateralità si riferisce invece agli effetti. C'è sempre un accordo, ma gli effetti obbligatori sono obbligazioni che gravano su una parte soltanto. A questi contratti si riferisce la regola del 1333. E più in particolare ciò riguarda il caso in cui vi sia una proposta legata ad un soggetto legato alle obbligazioni nascenti da quel contratto. La regola non funzionerebbe se la proposta provenisse dalla parte destinata ad essere avvantaggiata dalla proposta unilaterale. Quella di cui al 1333 è una irrevocabilità ex lege, che non dipende né da un atto unilaterale o da un accordo, come nei due casi precedenti, ma lo stabilisce la legge. = In tutti questi casi irrevocabilità vuole dire inefficacia, inattitudine della revoca ad abbattere la proposta, la quale rimarrebbe in piedi nonostante il mutamento del pensiero. In altri casi il legislatore parla di irrevocabilità, ma non per significare che la revoca è priva di effetti, ma per dire che se la revoca interviene sarà produttiva di risarcimento. È il caso della revoca del contratto di mandato, disciplinato dagli art. 1703 ss. Il mandato è un contratto tipico con cui una parte si impegna a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra. Si parla di atti giuridici, produttivi dunque di effetti giuridici, atti giuridici per conto altrui, del mandante. Il mandato ai sensi dell'art. 1722 si estingue in diversi casi, tra cui quello di revoca da parte del mandante, come indicato nel medesimo articolo al punto numero 2). Ciò tranne nel caso in cui si tratti di mandato conferito in rem propriam, in tal caso la revoca non produrrà l'estinzione del mandato. Può darsi poi che il mandante e il mandatario abbiamo pattuito la irrevocabilità del mandato e in tal caso, dice il codice civile, può esservi revoca, ma il mandante dovrà rispondere dei danni provocati presuppone che le condizioni o le clausole non siano fatte proprie dal contraente attraverso la sottoscrizione del modulo, perché in tal caso vi sarà una formazione del vincolo del tutto normale. Nel caso del 1341 non vengono le condizioni trasferite all'interno di un modulo. Allora, in assenza di sottoscrizione di esse, bisognerà vedere se le clausole entrino nel contenuto del contratto, e lo fanno se sono note e conoscibili con l'uso ordinaria diligenza, dice il legislatore. Capita che ad esempio il documento delle condizioni siano rese conoscibili dal fatto che il soggetto che le dispone, le pubblicizza in un documento accessibile a tutti. Quindi è possibile ex art. 1341 che il contratto abbia un contenuto che l'aderente non conosce. Ma poiché non conosciute tali condizioni, basta siano conoscibili perché producano effetto. Se è vero che esistono contratti in cui figurano clausole che una parte ha predisposto e un'altra non conosce come fa ad esserci un accordo? Non c'è qui un accordo! Mentre nel 1333 secondo comma comprendiamo che vi sono contratti che hanno una manifestazione di volontà + il silenzio dell'altra parte; Dal 1341 comprendiamo che può capitare che parte del contenuto del contratto non sia conosciuto da entrambe le parti ma efficace comunque quando il predisponente si è premurato di renderle conoscibili con l'uso dell'ordinaria diligenza. Quale è l'area di disciplina del 1341? E quando quindi vi è distinzione rispetto ai contratti consumo? • L'art. 1341 si applica alle condizioni generali contratto, sistema cioè di clausole predisposte unilateralmente per regolare un insieme indefinito di rapporti. È descritto un fenomeno ex art. 1341. Non conta la qualità soggettiva parti del contratto, che possono anche essere due imprenditori. Si applica pertanto la disciplina del 1341, indipendentemente da chi siano i soggetti, ma è sufficiente che esista una parte che predisponga delle clausole per una serie indefinita di rapporti. Quindi il 1341 opera anche se ci siano due imprenditori, mentre il 1341 non opera se le clausole non sono predisposte per disciplinare in generale una serie infinita di rapporti, quindi è applicabile solo se una parte predispone clausole come generali. • Gli art. 33 e ss del codice del consumo invece hanno come presupposto il fatto che le parti siano i soggetti professionista e consumatore. Tale disciplina si applica su presupposto che sia un contratto che si applica tra professionista e consumatore secondo le definizioni date di essi dal codice del consumo. Quindi mentre l'art. 1341 si applica anche tra imprenditori, gli art. 33 e ss si applicano solo nei rapporti tra imprenditori professionisti e consumatori. Inoltre l'art. 1341 si applica solo se le clausole disciplinano un insieme indefinito di rapporti, gli art. 33 e ss invece esulano da ciò, perchè può trattarsi di clausole che vengono ad essere previste anche solo per quel singolo contratto. Le regole dell'art. 1341 sono: le condizioni generali entrano nel contenuto del contratto se sono note e conoscibili con uso ordinaria diligenza, ed inoltre il secondo comma dice una regola ulteriore, per cui un insieme di clausole vessatorie indicate dalla norma siano efficaci solo se esplicitamente approvate per iscritto. Qui dunque occorre che il contraente che aderisce alle clausole vessatorie di cui al secondo comma del 1341 formuli una specifica dichiarazione di approvazione per iscritto di tali clausole vessatorie, cosa che avviene attraverso l'apposizione della cosiddetta doppia firma. Siamo qui di fronte ad una tutela formale concessa dall'ordinamento a favore del soggetto che stipula il contratto con un altro soggetto che si avvale di clausole generali. Possono essere anche clausole svantaggiose per l'aderente, possono essere squilibrate e nondimeno sono valide se l'aderente le abbia approvate per iscritto. Le clausole vessatorie sono però solo quelle indicate dal 1341 secondo comma. L'elenco è tassativo e quindi è necessario siano solo quelle. E debbono essere approvate per iscritto. Se si tratta di un'altra clausola non vessatoria, non indicata cioè dall'art. 1341 secondo comma, allora vale la disciplina generale del primo comma e la clausola sarà efficace anche se non posta per iscritto, ma purché sussistano le caratteristiche richieste dal primo comma. Gli art. 33 e ss del codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206) invece contengono una disciplina che è aperta, sulla clausola generale, e che presta tutela sostanziale e non solo formale, come avviene invece nel 1341, nei confronti del consumatore. È una disciplina aperta a differenza di quella del 1341. Perché nel 1341 sono vessatorie solo le clausole di cui al secondo comma, quindi è disciplina che si regge sul principio di tipicità. Nei 33 e ss invece c'è una disciplina diversa, perché il primo comma dell'art. 33 dice che sono vessatorie le clausole che determinano uno significativo squilibrio nei diritti e negli obblighi a tutto svantaggio del consumatore. Cambia totalmente il regime linguistico utilizzato qui, rispetto al 1341, perché qui le clausole cono individuate con una disposizione a mani larghe, che non elenca le singole clausole, come nel 1341, ma il legislatore dice al giudice di valutarne la presenza se c'è uno squilibrio di diritti e di obblighi che scaturiscono dal contratto. Lo squilibrio deve attenere a diritti ed obblighi, si parla di rilevanza dello squilibrio normativo, che attiene alla regolamentazione del rapporto, mentre non ha rilievo lo squilibrio economico. Attenzione qui! È una disciplina questa che tutela si consumatore, ma nell'ottica dei diritti ed obblighi che scaturiscono, non in riferimento all'elemento economico. La seconda sottolineatura da fare è che qui abbiamo una tutela non formale come nel 1341, ma sostanziale. L'art. 33 fa al primo comma una considerazione generale, poi al secondo comma fa un elenco di clausole che si presumono essere vessatorie. Fa tutto un lungo elenco di clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria, il professionista dovrà cioè dimostrare che non siano clausole vessatorie oppure che, pur essendo una clausola indicata al 33 comma secondo, è stata fatta oggetto di una specifica trattativa col consumatore, cosa che non la renderebbe più vessatoria. Possiamo poi concludere il discorso guardando alla sanzione nel caso in cui sia una clausola vessatoria: l'art. 36 primo comma dice che le clausole vessatorie sono nulle, fatta salva parte del contratto rimanente (le clausole vessatorie sono nulle, ma solo le clausole, non tutto il contratto, perché la parte rimanente del contratto, privata delle clausole nulle, rimane comunque valida). Tale nullità opera però solo a vantaggio del consumatore, può essere quindi fatta valere solo da dal consumatore, che ne è l'unico ad essere legittimato, oltre che essere fatta valere dal giudice d'ufficio. = Quindi abbiamo una nullità relativa e parziale. Relativa perché fatta valere solo da una parte e cioè dal consumatore e parziale perché rende nulle solo le clausole e non il contratto tutto (quindi l'art. 1419 del codice civile non si applicherà: l'art. 1419 dice che la nullità parziale si estende a tutto il contratto se le parti dimostrano che non avrebbero concluso il contratto senza la clausola nulla. Invece nel caso dell'art. 33 del codice del consumo la nullità della clausola vessatoria non si ripercuote mai sull'interezza del contratto). E questi due profili di nullità parziale e relativa costituiscono la figura speciale di nullità di protezione, all'interno della figura generale della nullità contrattuale. Torniamo al caso n. 6 e alla risoluzione di questo. La revoca quindi è efficace oppure no? Si è efficace, perché vi è una regola frutto della interpretazione giurisprudenziale, per cui è valida la revoca purché giunga presso l'altra parte prima che sia concluso il contratto. Quindi in questo caso è fatta prima del momento in cui proponente abbia notizia dell'accettazione dell'oblato e quindi è tempestiva. Ma l'atto di revoca è sempre lecito oppure no? L'art. 1328 dice che ci sono casi in cui legislatore prevede un obbligo di indennizzo, perché ciò che viene fatto è lecito, ma essendovi un danno il legislatore ritiene comunque esservi la necessità di temperare l'altra parte dalle conseguenza negative che potrebbero derivarle dalla revoca. Quindi si dice che si ha comunque un atto lecito, l'atto di revoca è lecito, ma con un obbligo di indennizzo. Non si parla di risarcimento, perché non c'è nulla di illecito qui, l'atto è lecito e dunque non si può parlare di risarcimento, ma di indennizzo. Indennizzo nel senso che l'altra parte sarà indennizzata a seguito della revoca, qualora questa, seppur lecita, abbia comportato un danno perché magari l'altra parte aveva già posto in essere delle spese. Ma tale revoca che l'art. 1328 presenta come atto lecito è sempre lecita? O può essere illecita e le conseguenze saranno altre, quindi di ordine risarcitorio? La revoca del 1328 è lecita e caso mai può provocare conseguenza indennità. Ma può anche esservi anche una revoca illecita la quale determinerà la conseguenza risarcitoria! Qual è il discrimen tra le due? L'art. 1337 non stabilisce quali atti siano leciti e quali illeciti, ma offre al giudice una chiave di lettura, dice chiediti giudice se siano conformi alla correttezza oppure no. Non c'è però una tipizzazione. Quindi c'è da chiedersi, ma la rottura delle trattative è un atto sempre consentito oppure è un atto che potrà comportare conseguenze sul piano risarcitorie? La giurisprudenza dice di si. La rottura delle trattative con revoca della proposta, che genera un affidamento forte dall'altro lato, costituirà illecito ogni volta che non trovi una giustificazione, senza tener conto dell'interesse dell'altra parte o addirittura con l'intenzione di recare pregiudizio, tradendo pertanto l'affidamento a che il rapporto si sarebbe costituito, può assumere valore di atto illecito compiuto in sede precontrattuale, con conseguenze di risarcimento del 1337. Quindi la revoca è sempre possibile. Se però la controparte ha posto in essere delle spese ex 1328 ha diritto ad una indennità. Se però la revoca è illecita, perché contraria alla buona fede ex 1337, allora qui c'è un illecito con atto produttivo di risarcimento. Che danno risarcisce colui che ha commesso un illecito precontrattuale? Risarcisce un danno calibrato sull'interesse negativo, danno corrisponde alle spese poste in essere e alle occasioni perse a causa di quelle trattative. Interesse negativo che si distingue da quello positivo. Sul piano risarcitorio ad essere preteso non è il danno corrispondente a ricevere la prestazione non avvenuta, ma la lesione dell'interesse negativo a non venire coinvolti in una trattativa priva di utilità. Quindi la revoca è efficace. La revoca non è costitutiva di illecito, non lo si può dire dalla traccia, mancano elementi per risolvere tale problema. Se tale revoca dovesse essere considerata lecita ne seguirà, se sono state sostenute spese di cui al 1328, un indennizzo. Martedì 03/11/2015 CASO N. 7 In base ad un accordo scritto concluso con Tizio, Caio concede a Sempronio un diritto di opzione relativo all'acquisto per un prezzo determinato di un bene di sua proprietà (opzione col = di acquisto / contrario è l'opzione put = di vendita). Nell'accordo il cui testo è affidato ad un documento, una copia del quale viene affidata a Sempronio si prevede che l'opzione debba essere esercitata entro 10 giorni. Prima della scadenza di tale termine Sempronio comunica per iscritto a Tizio e Caio il proprio gradimento circa la stipulazione in suo favore, ma poi non provvede entro il termine ad esercitare l'opzione. A quel punto Tizio vorrebbe essere lui ad acquistare il bene offerto in vendita da Caio e dunque invia a quest'ultimo una propria dichiarazione di accettazione. Si dica se il contratto di compravendita possa dirsi concluso tra Tizio e Caio. RISOLUZIONE DEL CASO N. 7 Nel caso in questione possiamo dire di avere un contratto a favore di terzi, con una opzione a favore di terzo, il quale manifesta il suo gradimento con la manifestazione di voler accettare, ma poi non esercita il diritto di opzione e pertanto non si può dire che il contratto finale tra lui e promittente possa dirsi concluso. Ci si potrebbe chiedere se l'opzione che era indirizzata a beneficio del terzo possa valere a favore dello stipulans. Ma la risposta è negativa perchè il tempo per l'esercizio del diritto di opzione era già trascorso. La causa deve essere lecita, non manifestarsi cioè come contraria a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume ex art. 1343. Se l'art. 1343 pone limiti negativi alla causa, il 1322 ne pone di positivi. Il 1322 secondo comma dice infatti che deve avere interessi meritevoli di tutela, aspetto proprio dei contratti atipici. E ci si chiede se ciò abbia portata generale, non solo riferibile ai contratti atipici. L'idea che prevale è quella per cui il 1322 sia espressione di un principio generale di qualunque contratto. Inoltre ci si chiede se l'interesse meritevole di tutela non sia altro che una formula ad indicare che non deve essere illecita la causa, oppure che siano elementi diversi per cui sia necessaria una causa non illecita sia un interesse che sia apprezzabile, meritevole di tutela. Ci stiamo ora chiedendo se, una volta messi in relazione gli art. 1343 e 1322, assunto che l'interesse meritevole di tutela è un interesse che deve ricorrere in qualunque contratto, se allora in definitiva dire interesse meritevole di tutela sia solo dire che la causa non deve essere illecita come già dice il 1323, oppure se significa che non basta che la causa sia lecita ma occorre che la causa sia apprezzabile, che l'autonomia privata si svolga in un senso socialmente utile. Qui non è facile trarne una conclusione certa. Ci sono sul punto due interpretazioni differenti, una di stampo che mortem o dire liberista e una di stampo socialista. - Coloro che danno una interpretazione di stampo liberista dicono che l'interesse perseguito dalle parti nel contratto debba non essere illecito, quindi l'interesse apprezzabile è ogni interesse che non sia illecito. Ciò sarebbe sufficiente, senza dover poi andare ulteriormente a sindacare se l'autonomia provata si svolga o meno in un senso socialmente utile. - Coloro che danno un'altra interpretazione intesa in senso più socialista, dicono che non basta che gli interessi siamo illeciti, ma è necessario siano improntati in ottica utile per la società. L'utilità sociale è proprio un altro elemento che deve esserci e che deve affiancare la liceità della causa. Ma occorrono entrambi questi elementi. L'art. 1411 non fa altro che richiamarsi al requisito della causa. Perché si parla del solo interesse dello stipulante. Perché lo stipulans è come se disponesse di un proprio diritto. È come se lo stipulans rinunciasse al diritto che gli spetterebbe da contratto, per convogliarlo verso un terzo. Quindi è un suo interesse qui e il suo interesse deve essere un interesse sussistente come dice l'art. 1411, ma poi l'interesse deve essere lecito e comunque apprezzabile secondo un orientamento sulla scorta della combinazione degli art. 1323 e 1322 secondo comma. E quali sono gli interessi che potranno essere considerati come sufficienti per un contratto a favore di terzi? Ad esempio un interesse liberale: perché voglio arricchire il terzo e per qualche ragione invece di fare ad esempio una donazione preferisco fare una stipulazione a favore di terzi. Oppure un interesse all'adempimento: sono debitore di Caio, vendo un mio bene a Tizio, avrei diritto a ricevere il prezzo del bene, ma stipulo invece un contratto a favore altrui. Questo per ciò che riguarda il profilo dell'interesse dell'art. 1411 primo comma. Il secondo comma dell'art. 1411 dice che la stipulazione è sufficiente a determinare l'acquisto del terzo e quindi siamo di fronte ad un evidente caso di deroga al principio di relatività, perché abbiamo un contratto qui che incide nella sfera giuridica altrui. Ciascuno è signore sulla sua sfera giuridica, ma qui ciò, tale dominio, è assicurato con l'attribuzione del potere di rifiuto. Non è a favore del terzo qualunque contratto capace di produrre beneficio ad un soggetto estraneo alla sua stipulazione. Pensiamo ad esempio al caso in cui un soggetto è proprietario di una villa in una località però rovinata dalla presenza di un sito industriale inquinato, sito confinante con la villa. Certo che se il proprietario del sito industriale stipula un contratto di appalto, il proprietario della villa ne approfitta e ne giova sul piano patrimoniale, perché se ho una tenuta che confina con un sito industriale inquinato o con una discarica e poi questa viene bonificata poi il prezzo della mia proprietà salirà. Possiamo dire che qui il contratto sia a favore di terzi? No, perché qui manca il diritto. Non vogliono qui le parti rendere il proprietario della villa titolare di un diritto. Il vantaggio qui è un vantaggio di riflesso. Ok che il proprietario della villa ne trae indirettamente vantaggio, ma non è titolare di alcun diritto. Lui qui è proprio terzo rispetto al contratto. Il contratto stipulato da altri non produce in linea di principio alcun tipo di svantaggio o vantaggio per il terzo. Qui il terzo è tale e non viene reso titolare di alcun diritto. Altro esempio: un genitore stipula un contratto con un maestro di tennis che ha ad oggetto che al figlio già maggiorenne venga impartito un certo numero di lezioni. È questo un contratto a favore del terzo? Rispetto all'esempio dell'appalto, in quel caso il proprietario dell'area non era toccato direttamente dal rapporto contrattuale, assisteva solo all'esecuzione del rapporto e di riflesso se ne giovava, qui invece abbiamo un terzo che giova direttamente della prestazione. Siamo di fronte qui ad una prestazione eseguita avendo come punto di riferimento un soggetto, il figlio, in relazione al quale la prestazione va commisurata. È eseguita in modo tale che si realizzi come interesse creditorio verso un soggetto che è punto materiale della prestazione, ma che non è titolare del diritto alla prestazione. Secondo ciò che accade normalmente il figlio non è titolare del diritto a ricevere la prestazione, ma è il soggetto in relazione a quale la prestazione si realizza e va commisurata, perché le sue capacità offriranno un metro di giudizio del valore della prestazione. Quindi non siamo in tali esempi in casi ove abbiamo un contratto a favore del terzo, ma in tali esempi abbiamo un contratto con prestazione al terzo. Nel contratto con prestazione al terzo il diritto alla prestazione rimane in capo allo stipulans e il terzo rimane solo destinatario della prestazione e offrirà il criterio di determinazione della qualità della prestazione. Ma non è il titolare del diritto alla prestazione. Sono contratti non a favore del terzo ma a prestazione al terzo. E non c'è mai la volontà di rendere il terzo titolare di un diritto. Ed essere titolare di un diritto significa avere una azione nel caso di inadempimento, con conseguente possibilità di chiedere il risarcimento. Quindi stabilire se si tratta di un contratto a favore del terzo o di un contratto con prestazione al terzo è importante sotto tale profilo! Vi è poi il contratto con effetti protettivi verso il terzo. Sul piano della struttura del rapporto obbligatorio in generale, la dottrina è andata a prevedere una serie di obblighi secondari definiti di protezione o salvaguardia. Ci riferiamo al rapporto obbligatorio in generale, disciplinato nell'incipit del libro IV del codice civile. Il rapporto obbligatorio ha per contenuto un dovere di prestazione, il debitore è tenuto ad una condotta volta a soddisfare l'interesse creditorio. Può essere una condotta attiva od omissiva. Il creditore ha la pretesa di ricevere la prestazione dovuta, funzionale a vedersi soddisfatto l'interesse dal comportamento dovuto dal creditore. Accanto all'obbligo primario di porre in essere la prestazione, la dottrina ha elaborato obblighi secondari di protezione o salvaguardia, fondati sulla buona fede, a cui sia il debitore che il creditore, quindi entrambe le parti, debbono ex art. 1175 conformare la loro condotta. Quindi nel rapporto obbligatorio non c'è solo l'obbligo di prestazione del debitore, ma accanto ad esso stanno gli obblighi reciproci del debitore e del creditore, obblighi reciproci che si radicano nella necessità di tutelare il rapporto obbligatorio nella sua correttezza: sono obblighi di salvaguardia e protezione, adempiere cioè a tutte le condotte che non pregiudichino gli interessi dell'altra parte. Esistono delle disposizioni direttive che danno attuazione all'art. 1175 in modo diretto: - Art. 2087 dedicato al rapporto di lavoro: si dice che l'imprenditore è tenuto ad adottare misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Quindi dal contratto di lavoro scaturiscono non solo gli obblighi di lavorare per il lavoratore e di adempiere al pagamento per il datore di lavoro, che costituiscono obblighi di prestazione delle parti, ma ci sono una serie di obblighi altri, come quello del 2087, che appartengono al novero degli obblighi secondari che completano quello primario di prestazione. E con ciò il legislatore dà attuazione al 1175. - Art. 1681 è un'altra disposizione attuativa della direttiva generale del 1175, relativa al trasporto di persone ed in particolare sulla responsabilità del vettore. Il nucleo del contratto di trasporto di persone sono le prestazione di facere del vettore e quella di dare il corrispettivo da parte del soggetto trasportato. Ma esistono anche obblighi secondari per il vettore e cioè quelli previsti dall'art. 1681. Qual é la ricaduta di queste disposizioni sul piano della responsabilità? Prendiamo come esempio quello dell'imbianchino che pur avendo imbiancato la casa della signora Tizia in maniera impeccabile, rompe un vaso del,a signora. Possiamo dire essere l'imbianchino adempiente? No. L'imbianchino risponderà della rottura del vaso, ma non già a titolo di responsabilità extracontrattuale, ma a titolo di responsabilità contrattuale, risponderà per inadempimento in relazione ad obblighi secondari del rapporto obbligatorio, che esigevano prestasse attenzione e non recasse danno ai beni della controparte in esecuzione della sua prestazione. Altro esempio riconducibile all'art. 2087: lavoratore che svolge la sua attività lavorativa in locali malsani. Il datore di lavoro versa i contributi dovuti come controprestazione all'attività lavorativa del lavoratore. Il lavoratore si ammala. Possiamo dire che il rapporto obbligatorio sia stato correttamente eseguito e che il datore risponda della malattia sul versante extracontrattuale? No. Perché comunque ex 2087 il datore di lavoro era tenuto anche a fare in modo che il lavoratore lavorasse in luoghi non malsani ed evitare dunque la malattia. Esempio relativo all'art. 1681: il soggetto viene ad essere trasportato ma i suoi bagagli risultano danneggiati. Il vettore, anche in questo caso, risponde a titolo di responsabilità contrattuale e dunque di inadempimento perché é rimasto inattuato l'obbligo secondario fondato sulla buona fede che consiste nell'assicurare alla salvezza i beni che il viaggiatore portava con sé. Quindi si dice che il rapporto obbligatorio è un organismo complesso, perché fatto dall'obbligazione della prestazione e da un ulteriore corredo di altri obblighi secondari. Se violo tali obblighi secondari sarò inadempiente e responsabile sul versante contrattuale tanto quanto nel caso in cui non avessi svolto la prestazione principale. Alla luce di ciò dottrina e giurisprudenza si sono posti una domanda: possono esserci rapporti obbligatori privi delle prestazioni principali ma formati solo da obbligazioni secondarie di protezione e salvaguardia? La risposta è stata affermativa. Un caso in cui ciò avviene è quello della responsabilità precontrattuale. A tal proposito abbiamo già detto che alcuni indicano la responsabilità precontrattuale come responsabilità contrattuale e altri come extracontrattuale. La prima la indica responsabilità contrattuale come fondata dal rapporto che si innesca in virtù della trattativa individuata come contratto sociale tra le parti. Essa sarebbe secondo la dottrina in questione, un rapporto obbligatorio costituito da soli e semplici obblighi secondari di protezione in difetto di un obbligo centrale e primario di protezione. La responsabilità precontrattuale allora, secondo tale prospettiva, è derivante dall'inadempimento del rapporto obbligatorio scaturente dal contatto sociale tra le parti. Quindi possiamo dire di aver individuato fino ad ora due paradossi: Abbiamo parlato di contratto senza accordo ex art. 1333. Oggi abbiamo parlato di obbligazioni senza obbligo primario di prestazione ma con soli obblighi secondari di protezione. Lunedì 09/11/2015 Stavamo la settimana scorsa parlando del contratto con effetti protettivi verso il terzo. Abbiamo detto che il rapporto obbligatorio non è solo l'obbligo di prestazione ma è un organismo complesso. Il debitore deve porre infatti in essere la prestazione dovuta, ma con la diligenza media richiesta secondo l'art. 1175 e con la diligenza professionale secondo il secondo comma dell'art. 1176 se si tratta di una prestazione legata a qualità professioniste. Ma il debitore deve anche tenere in considerazione gli interessi del creditore con cui entra in contatto. E viceversa, perché anche il creditore deve tenere in considerazione gli interessi del debitore con cui entra in contatto. Esistono infatti obblighi di salvaguardia e protezione fondati sulla correttezza e questi obblighi sono funzionalmente orientati a far si che vengano preservati beni con cui la controparte entra in contatto nell'attuazione del rapporto. Si era fatto riferimento ad una serie di disposizioni normative in cui ciò si evince, come ad esempio gli art. 2087 e 16821. Rimane solo da evocare la disposizione del 1326 che parla della accettazione tardiva, per dire che essa sarà inefficace, salvo che il proponente non dichiari il contrario verso l'oblato. Nella norma si dice cioè che il proponente può ritenere efficace la accettazione tardiva purché ne dia avviso alla altra parte. Potrebbe applicarsi nel caso? No perché non è una accettazione a cui si applichi il 1326 terzo comma, per la semplice ragione che Tizio qui non è l'oblato. La proposta inglobata nel patto di opzione vede come proprio destinatario il terzo. Quindi l'accettazione tardiva di Tizio non è una accettazione ma può essere ritenuta tuttalpiù come una proposta, che a sua volta avrà bisogno di una accettazione da parte dal proprietario dell'immobile. Quindi riassumiamo: Abbiamo un contratto a favore di terzi, il quale ne genera un beneficio economico, ecc ma è proprio un contratto a favore di terzi, perché le parti vogliono attribuire con una clausola contrattuale un diritto in capo al terzo. Problema: se si esamina la disciplina del contratto a favore di terzi notiamo che qui non abbiamo un diritto di credito. Può essere dunque utilizzato per attribuire un diritto di opzione? Si, perché si richiede che per il terzo si attribuisca un vantaggio. Quindi non può essere utilizzato il contratto a favore di terzi per attribuire proprietà e usufrutto del bene perché ciò attribuirebbe anche oneri per terzo. Si invece per diritti credito e anche potestativi, quindi si per il diritto di opzione. Il terzo dichiara di voler profittare e quindi con l'acquisto consolida l'opzione nella sua sfera e rifiuta pertanto il diritto di revoca. Il contratto finale non è però perfezionato perché il terzo ha si acquistato diritto di opzione, ma è necessario poi esercitare l'opzione per consolidare il rapporto, cosa che qui non avviene. Il diritto si opzione si estingue quindi per il mancato esercizio entro il termine. Non c'è poi da parte di Tizio una accettazione, ma non perché non tempestiva, ma perché l'accettazione può provenire solo dall'oblato e l'oblato qui era il terzo non Tizio. Lui al massimo può fare una proposta contrattuale con la conseguenza che il proprietario dovrebbe dichiarare la volontà di accettare la proposta. Martedì 10/11/2015 Ci soffermiamo oggi sulle obbligazioni senza prestazione per terminare il discorso sul punto. E in particolare andiamo ad individuare un settore in cui troviamo tali obbligazioni senza prestazione: il settore della responsabilità medica. Il settore della responsabilità medica è un settore in cui troviamo molti casi di obbligazioni di protezione e salvaguardia, senza che vi sia la prestazione principale. Qui bisogna ragionare su come si strutturino i rapporti quando una prestazione sanitaria si svolga all'interno di una struttura ospedaliera. Il contratto e il rapporto contrattuale si instaurano tra paziente e struttura sanitaria. La struttura sanitaria è il soggetto che si impegna a porre in essere la prestazione di cura attraverso un proprio dipendente con cui il paziente entra in contatto. Ed è questo un contatto qualificato perché il paziente si attende che l'attività del sanitario venga ad essere svolta con diligenza. C'è pertanto un affidamento che si fonda sulla qualità professionale del sanitario. La buona fede fa si che vi sia tale affidamento sulla base della qualità professionale fondata su perizia e diligenza. Ma il rapporto contrattuale è tra paziente e struttura. Dunque il sanitario che cagiona un danno dovrebbe rispondere per responsabilità extracontrattuale perché non c'è contratto tra paziente e sanitario. Non si può fare riferimento alla diligenza professionale ex art. 1176 perché non c'è un contratto tra le parti. Il primo comma dell'art. 1176 dice il metro secondo il quale va misurato il comportamento della parte, ovvero secondo la diligenza del buon padre di famiglia. Ma quando la prestazione si inserisce nell'esercizio di una attività professionale allora si fa riferimento al secondo comma del 1176, ove non c'è più il buon padre di famiglia, ma sarà il buon medico, il buon banchiere, il buon avvocato. Prestazione non più commisurata all'uomo medio, ma all'uomo che esercita tale professione. Il sanitario non è obbligato a curare il paziente e non dovrebbero funzionare tali criteri di commisurazione della prestazione, perché tra le parti non c'è un rapporto obbligatorio. Ma se non c'è un contratto, c'è comunque un contatto che stimola un affidamento con il sanitario che esercita l'attività professionale. Quindi è vero che non c'è un obbligo di prestazione ma per il contatto che si instaura sussiste un obbligo di protezione. C'è un rapporto obbligatorio senza prestazione ma con obblighi di protezione e salvaguardia. L'attività di cura quindi che sia eseguita in maniera difforme sarà una prestazione che se produce un danno determinerà l'insorgenza di risarcimento per responsabilità contrattuale, perché vi è un inadempimento non della prestazione contrattuale che qui manca, ma degli obblighi di protezione e salvaguardia che dal contatto sociale scaturiscono. Cosa che facilita il paziente sul piano dell'onere della prova, perché sarà dunque il sanitario che dovrà provare che ciò è dipeso da cause a lui non imputabili, da un fattore estrinseco che non ha permesso a lui di svolgere la prestazione. Il paziente potrà ovviamente rifarsi anche sulla struttura, proprio perché con essa corre un rapporto contrattuale. E la struttura risponderà del cattivo operato dei medici sulla scorta del 1228 a proposito della responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari. Il caso più importante sul piano pratico di obbligazione senza prestazione è proprio questo. CASO N. 8 Tizio, residente a Roma, è proprietario di un appartamento situato nel centro di Torino. Essendo interessato ad alienarlo, conferisce all'amico Caio, esperto del mercato immobiliare ed avente varie relazioni di affari a Torino, una procura a vendere l'appartamento. Nella procura, che viene rilasciata per atto pubblico, RISOLUZIONE DEL CASO N. 8 Abbiamo qui una procura. Ma non c'è un mandato. Quindi c'è il conferimento di un potere rappresentativo, ma la traccia non dice se esso si accompagna ad un rapporto gestorio o meno. Ma poiché la traccia non ne parla non possiamo dire che vi sia mandato. Quindi c'è la procura ma non c'è il mandato. Quindi c'è un rapporto rappresentativo ma non un rapporto gestorio. È palese che qui inoltre vi sia una situazione di confitto di interessi, conflitto che ad alcune condizioni genera l'annullabilità contratto. Domanda di annullamento del contratto che però non potrebbe essere opposto al terzo acquirente se egli dovesse avere già trascritto. Quindi fino ad ora abbiamo notato che: C'è una procura ma non c'è un mandato. Non c'è la miglior cura dell'interesse del dominus e dunque il rappresentante risponderà dei danni, poi vedremo a titolo di quale responsabilità. Poiché c'è un conflitto di interesse allora l'atto può essere annullabile, ma non opposto al terzo qualora questo dovesse avere già trascritto. Concentriamoci un momento sul tema della procura che non si appoggia ad un rapporto contrattuale, ma è isolata, sganciata cioè da un sottostante rapporto contrattuale che qui manca. L'art. 1388 è a proposito del contratto concluso dal rappresentante e dice che il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato. L'elemento della cura e dell'interesse altrui viene dal legislatore essere configurato come uno degli elementi della fattispecie. Questo nel caso specifico però non avviene, il rappresentante sembra più interessarsi dell'interesse dell'acquirente più che del dominus, dunque c'è una responsabilità in capo al rappresentante, che però bisogna dire di che tipo sia, se extracontrattuale o contrattuale. La responsabilità cosiddetta contrattuale presuppone l'esistenza di una obbligazione. Qui c'è una obbligazione? Il procuratore è obbligato a compiere l'atto che costituisce oggetto della procura oppure no? No, non c'è un obbligo di provvedere all'alienazione dell'appartamento di Tizio, c'è il potere di alienarlo, ma non un obbligo, perché Caio ha ricevuto la procura che lo legittima a compiere atti, ma non c'è un obbligo di provvedere alla alienazione. L'obbligo vi sarebbe se avessimo qui un contratto di mandato, con cui una parte incarica l'altra di compiere per suo conto atti giuridici. Quindi se manca il mandato manca l'obbligo di compiere l'atto richiesto dal dominus, sussiste il potere di compierlo ma non vi è il vincolo giuridico di vendere. Il fatto che non vi sia una obbligazione di vendere vuole dire che manchi del tutto il rapporto obbligatorio tra procuratore e dominus? Perché non può essere anche questo un caso da contatto sociale con conseguente obbligo di protezione e salvaguardia? Se Caio esercita il potere, che è libero di esercitare o meno, sussisteranno anche qui gli obblighi di salvaguardia e protezione che caratterizzano i rapporti scaturenti non già da contratto ma da contatto sociale qualificato affinché non derivi danno al procuratore. E la riflessione sul punto della dottrina si svolge proprio in tale direzione. Si è passato infatti dal dire che poiché non c'è un contratto non può esserci responsabilità contrattuale ma tuttalpiù sarà una responsabilità extracontrattuale, al dire ok manca il contratto ma comunque c'è un contatto sociale e quindi anche gli obblighi di salvaguardia e protezione da esso scaturenti, con la conseguenza che il soggetto non tenuto a compiere atti per il dominus, perché non ha l'obbligo ma il potere di compierli, ma se lo fa dovrà farlo in modo da non pregiudicare e non recare danno al patrimonio del dominus. Quindi tale categoria delle obbligazioni senza prestazione a costituita da obblighi di protezione e salvaguardia rileva anche in questo caso. Di fronte ad una attività dannosa di Caio, Tizio potrà far valere che sia stata violata la sua aspettativa a che si agisse secondo buona fede, giacché invece gli sia stato procurato un danno. Torniamo però al discorso che avevamo iniziato in materia di procura isolata. Abbiamo ipotizzato che qui vi sia una procura senza però mandato, dato questo che abbiamo preso per buono ma che richiede un approfondimento: è possibile immaginare che la procura possa presentarsi come procura isolata? Può esservi una procura senza però che vi sia anche un mandato o si dovrà ritenere che ogni volta in cui vi sia un potere rappresentativo si crei sempre un rapporto gestorio equivalente a quello che scaturisce da mandato? • La dottrina meno recente diceva che la rappresentanza non poteva che costituire un aspetto del mandato. E anzi che la fonte della rappresentanza era costituita sempre nei termini di un mandato, contratto ove la rappresentanza poteva inserirsi oppure no. Si diceva che anche nei casi in cui il rapporto di mandato non è visibile bisognerà intendere la procura come un atto che si associa ad una proposta di mandato che si costituirà ex art. 1327. Quella del 1327 è la fattispecie di formazione del vincolo contrattuale ancora diversa rispetto a quelle già viste. Qui non abbiamo né un caso di proposta e accettazione, né un caso di proposta e silenzio, ma abbiamo una proposta seguita dallo svolgimento della prestazione richiesta. Si diceva che anche se il mandato non si vede comunque sarebbe presente perché la procura dovrebbe associarsi al mandato formulato per implicito, e l'accettazione dell'oblato si realizzerebbe nelle forme del 1327 con l'avvio delle prestazioni richieste. Secondo tale teoria più antica mai potrebbe esserci una procura senza un sottostante mandato e quindi senza un sottostante rapporto obbligatorio. Quindi in tal caso dovremmo dire che dato che sussiste il rapporto contrattuale la attività del soggetto lascia inadempiuta la prestazione che scaturisce dal rapporto di mandato. • Secondo la teoria più recente invece non necessariamente se c'è una procura c'è anche un mandato. In tal caso avremmo il mandatario che agisce per il mandante a nome proprio secondo una rappresentanza indiretta. Il mandatario acquista nella sua sfera giuridica gli atti che compie e dovrà poi riversarli sulla sfera del dominus. È il caso di mandato senza rappresentanza. E la dottrina dice che così come è previsto che il mandato viva senza rappresentanza, altrettanto bene può esservi la procura senza mandato, una rappresentanza senza mandato, definita procura senza mandato. Pensiamo ad esempio alla procura ad alienare un bene e che il rappresentante sia stato investito del potere di concludere il contratto secondo lo schema della stipulazione a favore altrui indirizzando il prezzo a favore del rappresentante medesimo. Proviamo ad analizzare le figure: Il rappresentante (parte formale) stipula in nome e per conto del dominus. E il rapporto di compravendita correrà dunque tra dominus e terzo acquirente. È un rapporto che prevede che la proprietà del bene passi dal dominus (parte sostanziale) al terzo acquirente e che prevede che il diritto al prezzo sia acquistato dal dominus (parte sostanziale) dal terzo compratore. Nulla impedisce che il contratto sia stipulato, nella misura in cui il dominus nella procura lo abbia previsto, secondo lo schema della stipulazione a favore del terzo. Quindi in tal caso il rappresentante (parte formale) potrà prevedere di indirizzare il prezzo del bene, diritto di credito, ad un soggetto terzo rispetto alle parti sostanziali del contratto, e che quindi a ricevere il prezzo non sia il dominus ma un soggetto terzo. Soggetto terzo che potrebbe però essere il rappresentante stesso. Perché il rappresentante, abbiamo detto, benché stipuli lui il contratto, non ne è parte sostanziale ma formale. Quindi così come può stipulare il contratto secondo lo schema del contratto a favore del terzo indirizzando il diritto di credito a ricevere il prezzo ad un soggetto terzo, può indicare lui stesso come il soggetto terzo al quale verrà dirottato il diritto a ricevere il prezzo. Sempre ovviamente che ciò sia indicato dal dominus. Quindi se il contratto è stipulato con lo schema della stipulazione a favore del terzo tale terzo può essere proprio il rappresentante! L'art. 1388 indica gli elementi essenziali dell'agire rappresentativo e tali elementi nella dicitura del legislatore sembrano essere tre: agire in nome, nell'interesse altrui e nel limite delle facoltà ricevute. Due di tali elementi sono essenziali all'agire rappresentativo. Nel senso che nel caso di loro difetti la stipulazione con effetti per il dominus non sono possibili. Un altro elemento più che essenziale ai fini dell'agire rappresentativo, costituisce un requisito a cui l'agire rappresentativo normalmente si impronta, ma senza che la mancanza di tale elemento e cioè senza che la mancanza di cura dell'interesse del rappresentante faccia venir meno i presupposti dell'agire rappresentativo. Analizziamo tutti e tre questi elementi: • L'agire nel limite delle facoltà ricevute. Il legislatore parla di facoltà ma in realtà è il potere di agire. Perché la procura serve ad investire di un potere, quindi si tratta di capire se l'atto sia compreso nel potere ricevuto, bisogna confrontare l'atto con l'oggetto della procura, procura che è il perimetro del potere che al rappresentante viene conferito dal dominus. L'atto che va oltre i limiti del potere che il dominus ha conferito al rappresentante è inefficace. È inefficace e dunque non produttivo di effetti. L'atto porto in essere dal rappresentante in assenza di poteri od oltre i limiti dei poteri di cui è stato investito è inefficace e non produce effetti. E poiché inefficace non potrà nemmeno esordire i suoi effetti verso il rappresentante stesso! L'atto inefficace non produce effetti per il dominus ma neppure verso il rappresentante stesso. Le prestazioni pattuite in base al contratto non debbono essere rese dal dominus ma nemmeno dal rappresentante. Se l'atto è improduttivo verso il dominus idem per rappresentante e se questo risponde lo fa nei limiti della responsabilità precontrattuale e quindi nei limiti dell'interesse negativo. La prestazione non può essere domandata dal terzo al dominus, ma nemmeno al rappresentante perché l'atto è inefficace. Al massimo il rappresentante potrà rispondere per responsabilità precontrattuale al terzo, nei limiti dell'interesse negativo. • L'agire in nome altrui o spedita del nome altrui o contemplatio dominus. L'agire in nome altrui è l'atto di volontà con cui il rappresentante esplica all'altra parte, al terzo, che gli effetti del negozio abbiano da svolgersi non verso se stesso ma verso il dominus. È un atto in realtà ambivalente, che ha una componente positiva, la svendita del nome altrui, ma prima ancora ha un valore valore negativo, perché chi spende il nome altrui dice di non voler essere lui il destinatario degli atti che compie. Il rappresentante dichiara che gli effetti dell'atto non sono per sé (valore negativo) ma per il dominus (valore positivo). Proprio questo elemento che è essenziale all'agire rappresentativo, spiega come mai la responsabilità del rappresentante sia una responsabilità precontrattuale e non da inadempimento del contratto concluso in nome altrui. Gli effetti dell'atto non possono essere riconducibili al rappresentante perchè lui ha chiarito che ricadranno al dominus, cosa che avviene se vi è veramente il potere rappresentativo, mentre verso invece nessuno ricadranno se non c'è tale potere rappresentativo. Chi interviene spendendo il nome altrui nell'indirizzare gli effetti dell'atto verso il dominus sta allo stesso tempo dicendo che gli effetti non devono ricadere su di lui. E gli effetti ricadranno sul dominus se c'è la procura, se manca ovviamente gli effetti non si avranno in capo a nessuno, non al dominus perché manca la procura, ma nemmeno al rappresentante perché il rappresentante ha già detto che non ricadranno su di lui. In tal caso il terzo potrà rivolgersi al rappresentante per responsabilità precontrattuale e non contrattuale perché il rapporto non si è mai costituito in capo al rappresentante! Tali elementi positivo e negativo possono anche essere tra loro dissociati e non compresenti, nel momento in cui l'atto rappresentativo è compiuto. Può essere che rappresentante dica di non essere il destinatario degli effetti dell'atto, ma può riservarsi di nominare in un momento successivo il dominus. Può essere che la rappresentanza sia dunque in incertam personam, perché il dominus non è ancora stato nominato. Normalmente la contemplatio ha assieme entrambi gli elementi, ma non è detto, è possibile che gli elementi si trovino dissociati. Questo fenomeno della rappresentanza per incertam personam è ciò che si realizza a proposito della figura del contratto per sé o per persona da nominare. Nel contratto per sé o persona da nominare lo stipulans si riserva il potere di nominare in un termine se non previsto di tre giorni una persona che assumerà i diritti e gli obblighi che dal contratto scaturiscono. Dopodiché si apre una alternativa: se la nomina non segue allora gli effetti del contratto si radicheranno tra i soggetti che hanno stipulato cioè tra lo stipulans e il promittens, se invece la nomina segue gli effetti si avranno tra il promittens e il terzo sempre che questo accetti la nomina o avesse posto in essere una procura allo stipulans. Che fenomeno si realizza quando la nomina è compiuta? E gli effetti si producono nel soggetto designato? Si realizza il fenomeno della rappresentanza per incertam personam. Una volta che la nomina ha luogo successivamente gli effetti si radicheranno in capo al terzo. Ma prima sarà una rappresentanza per incertam persona. La legge parla di necessità che sussista una procura o che in alternativa intervenga una accettazione che sarà evidentemente nel caso di specie una ratifica. Quindi la rappresentanza richiede la spendita del nome altrui. La dottrina più convincente in riferimento alla in certam personam trova il suo riferimento nel contratto per persona da nominare. • Agire nell'interesse altrui. Rimane il profilo dell'interesse. È un profilo essenziale al fine rappresentativo che il rappresentante curi interesse del dominus? La risposta è negativa, nel senso che un agire rappresentativo che si svolga in senso distonico rispetto all'interesse del dominus è un agire rappresentativo di per sé pur sempre efficace. La prova si rintraccia nell'art. 1394, disposizione che si occupa del conflitto di interessi tra rappresentante è rappresentato. Tale norma ci dice che il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo. In caso di conflitto di interessi dunque il contratto sarà impugnabile ma solo sotto certe condizioni e in particolare che il conflitto di interessi sia noto o comunque riconoscibile dal terzo. Ma comunque non potrà essere affermata l'invalidità del contratto. Perché il legislatore lo qualifica come eventualmente annullabile. E l'annullabilità è una invalidità che comunque fa si che gli effetti si abbiamo. Non può parlarsi di invalidità come nullità nella sua forma quindi più radicale, ma il contratto potrà essere annullato. Quindi nel caso specifico tale agire rappresentativo genera un contratto quanto meno efficace. Potrà essere annullabile ma comunque è efficace. Quindi la cura dell'interesse del rappresentato non è un elemento essenziale perché, anche quando manca, il contratto può essere annullabile ma comunque sarà efficace. La mancata cura genera in qualche caso l'annullabilità ma non mai l'inefficacia contratto. Quindi si ricava dal 1394 che la mancata cura dell'interesse del dominus ha delle conseguenze, ma tali conseguenza non incidono sul potere rappresentativo e non lo fanno venir meno, ma casomai rendono il contratto concluso annullabile. Dunque se sei un rappresentante sfornito dei poteri l'atto è inefficace, ma se sei un cattivo rappresentante perché hai i poteri ma non agisci nell'interesse del dominus per un conflitto di interessi in cui ti trovi con esso allora l'atto non è inefficace ma potrà essere annullato. E quando l'atto potrà essere annullato? Uno dei presupposti per ottenere l'annullabilità dell'atto è il presupposto che ha a che vedere con la tutela dell'affidamento altrui. Ma non è solo una questione di tutela dell'affidamento del terzo, non bisogna solo provare che il terzo sapeva o avrebbe potuto conoscere la presenza del vizio, ma occorre che possa parlarsi di contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col dominus. Quindi occorre non solo che il rappresentante non abbia curato al meglio gli interessi del dominus ma occorre che si sia verificato una situazione di conflitto di interessi, che l'attività del rappresentante sia stata fatta per un interesse oppositivo rispetto a quello del dominus. L'art. 1394 sanziona allora un comportamento che è di abuso del potere rappresentativo ma qualificato dall'esistenza del conflitto. Dopodiché potrebbero darsi situazioni di abuso del potere rappresentativo ma non qualificate dal conflitto. Può essere che il rappresentante abbia abusato del potere rappresentativo ma in una situazione che non è di conflitto di interessi, non perché mosso da un interesse antagonista ma per altre ragioni quali disattenzione, imperizia, ecc. In tali casi la conseguenza non potrà essere l'annullabilità ma sarà il risarcimento del danno. Quindi alla fine abbiamo necessità di distinguere tra: - Eccesso di potere, quale situazione in cui al rappresentante manchi la legittimazione, quale situazione in cui il contratto non può produrre effetti verso il dominus, perché manca il conferimento del potere, ma nemmeno verso il rappresentante, che ha manifestato l'intento per cui gli effetti non si producessero nei suoi confronti. - Abuso di potere qualificato da sussistenza di conflitto di interessi, quale cattivo uso del potere rappresentativo che trova radice in una situazione di conflitto di interessi, con conseguente annullabilità dell'atto se vi è abuso e conoscibilità del conflitto da parte del terzo ex art. 1394. - Abuso semplice dato dal cattivo uso del potere rappresentativo ma senza conflitto di interessi. In tale caso l'atto sarà efficace, valido, con l'unico rimedio di esercitare verso il rappresentante una pretesa risarcitoria. Quindi il rappresentante risponderà a titolo risarcitorio e l'atto da lui compiuto sarà impugnabile ma sempre efficace. Qui abbiamo l'indicazione del dominus che dice al rappresentante vendi ma a non meno di 400.000 €. È un'indicazione contenuta nella procura, ma è un elemento limitante potere del rappresentante. È un limite al potere del rappresentante. Abbiamo già detto che la violazione di tale limite, l'agire del rappresentante oltrepassando il limite individuato dal dominus nella procura, comporta un eccesso di potere che rende l'atto inefficace. Cosa sarebbe accaduto se l'indicazione non fosse stata scritta nella procura ma solamente detta a voce dal rappresentante? Cambierebbe qualcosa? Se la limitazione è inserita nella procura abbiamo un limite al potere e abbiamo efficacia o inefficacia dell'atto nel caso di eccesso del limite. Se però la procura si presenta senza limitazioni, ma con l'istruzione sul piano interno, essa sarebbe servita a chiarire al cospetto del rappresentante i termini entro i quali l'interesse del dominus poteva dirsi realizzato, quindi anche se non osservata tale istruzione comunque possiamo dire essere sussistenti l'efficacia e la validità contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno spettante al dominus verso il rappresentante che non ha seguito l'istruzione. Vediamo quindi come gli stessi identici paletti possono a seconda delle circostante tradursi in una limitazione del potere o risolversi in mere istruzioni sul piano interno che se non seguite avranno una conseguenza risarcitoria ma non più di questo. Risolviamo dunque il caso: Il contratto nullo è un contratto affetto da una invalidità di tipo radicale, è colpito da una invalidità tale da essere del tutto improduttivo dei suoi effetti giuridici. Il contratto annullabile è affetto da una invalidità meno grave, tanto che è efficace fino ad eventuale sentenza di annullamento, è in via transitoria efficace, efficacia che potrebbe consolidarsi in caso ad esempio della prescrizione azione annullamento (che ricordiamo essere di 5 anni con dies a quo variabile a seconda casi, mentre l'azione di nullità è invece imprescrittibile), oppure nel caso di convalida (la cui disciplina la ritroviamo all'art. 1444). Inoltre la legittimazione a far valere la nullità è assoluta, poiché può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, mentre l'azione di annullamento può essere fatta valere dal solo soggetto che ne abbia interesse. Ancora, l' azione di nullità è surrogabile dall'intervento del giudice che può rilevarla d'ufficio, mentre l'annullamento del contratto può essere determinato solo su domanda di parte. È importante sul punto fare cenno alla nullità di protezione in materia di diritto dei consumatori, con riferimento alle clausole vessatorie che possono essere dichiarate nulle, ma la domanda di nullità, essendo la nullità solo sancita per l'interesse consumatore, potrà essere proposta solo dal consumatore, a differenza di quanto generalmente avviene. Nullità non vuol dire però inesistenza. Il contratto nullo non è inesistente. La nullità si esprime con una qualificazione negativa del contratto. La nullità è una qualificazione negativa del contratto. Mentre il contratto inesistente non c'è e non è suscettibile a ricevere alcuna qualificazione. Tutto ciò ci fa capire come in alcuni casi il contratto nullo possa porsi come elemento di una fattispecie produttiva di un evento giuridico, proprio perché il contratto nullo non è inesistente, ma valutato negativamente dal sistema. Per capirlo pensiamo ad esempio all'art. 2652 n. 6 in materia di pubblicità sanante. La norma dice che vanno trascritte le domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunciare l'annullamento del contratto soggetto a trascrizione. Con che effetti? Con l'effetto che se la domanda viene trascritta dopo 5 anni dalla data di trascrizione dell'atto impugnato, non si pregiudicano i diritti dei terzi nel frattempo maturati. Proviamo ad applicare regola del 2652 al caso del contratto nullo: A trasferisce a B un bene immobile ma sulla base di un contratto nullo. Il contratto viene comunque trascritto. B è diventato proprietario? No se il contratto è nullo. Che succede se B a sua volta aliena un bene? Succede che nemmeno C potrà acquistarne la proprietà perché B è privo di legittimazione perché la proprietà è rimasta ad A dal momento che il contratto è nullo. B non può trasferire un diritto che non ha e, poiché non ha lui acquistato la proprietà, nemmeno C può acquistare da B. A potrebbe dunque rivendicare il bene perché non ha mai perso la proprietà. Il legislatore nel 2652 dice però attenzione perché se la domanda diretta a dichiarare la nullità è trascritta oltre 5 anni dalla trascrizione dell'atto nullo, allora la nullità non potrà essere opposta ai terzi acquirenti o subacquirenti che abbiano acquistato in buona fede a seguito ad un atto preventivamente trascritto. Quindi in tal caso l'acquisto di C sarà fatto salvo. Quali sono gli elementi che compongono la fattispecie della pubblicità sanante? Sono: - esistenza del contratto nullo, - seguito da un atto di alienazione successivo, - seguite le vicende dalla trascrizione dei due atti, - in una situazione ove intervenga la trascrizione della domanda di nullità, - ma ad oltre 5 anni dalla trascrizione dell'atto nullo, - e in una situazione in cui il terzo sia in buona fede. Se ci sono tutti questi elementi allora C ha acquistato il diritto. È una fattispecie di acquisto al cui interno si colloca un contratto che è nullo. Ecco che il contratto nullo non è del tutto privo di rilevanza sul piano diritto, ma è un contratto che riceve una qualificazione negativa. Quindi contratto nullo non vuol dire inesistente! Sono due cose diverse! Nel caso specifico se il contratto è nullo il concessionario sarebbe ancora proprietario del bene, se il contratto è annullabile non lo è più. Ma prima di continuare il discorso, soffermiamoci sul primo quesito, che chiedeva se i contratti sono governati dal principio consensualistico. Tutti e due i contratti qui sono determinati dal principio consensualistico? Sul punto l'art. 1376 dice che il consenso è sufficiente a determinare il passaggio della proprietà. Principio consensualistico significa del consenso, nel senso che per passare la proprietà basta il consenso, l'accordo tra le parti. Mentre tutto ciò che riguarda il pagamento prezzo e la consegna del bene non sono essenziali nel determinare il passaggio della proprietà, a differenza di quanto potrebbe erroneamente pensare l'uomo della strada. Il consenso è sufficiente MA se la cosa è determinata. Perché se non è determinata no! Se la cosa non è determinata non vige il principio consensualistico, perché non può passare la proprietà di qualcosa non stabilito e individuato. Nel caso specifico la cosa ad oggetto del primo contratto non è determinata. Ma l'oggetto del contratto è determinato o determinabile? Ci lasciamo con questa domanda e domani proveremo a darne una risposta. Mercoledì 18/11/2015 Ci siamo ieri lasciati con la domanda relativa all'oggetto, se fosse esso determinato o determinabile. Attenzione: dire che il contratto non è perfezionato perché la cosa è generica è sbagliato! Perché una cosa è l'accordo, il consenso delle parti che si forma quando le parti parlano e sono d'accordo. Se poi l'accordo prevede una cosa determinata solo nel genere, ciò non ha a che vedere col vincolo contrattuale, con la formazione e il perfezionamento di questo, ma è un aspetto che è legato all'esecuzione del rapporto. Esistono vendite di cose determinate, come di cose determinate solo nel genere e queste non sono meno perfezionate delle prime. Vi sarà una differenza nella esecuzione. Se la cosa è generica manca qualcosa ma non perché il contratto non sia perfezionato, ma l'effetto traslativo è impedito nel suo svolgersi da un aspetto legato al fatto che è stato stabilito solo il genus a cui la cosa appartiene, non la cosa nello specifico. Le parti fissano un programma di un bene che è da individuarsi all'interno di un genus. Le cui caratteristiche sono però determinate dal soggetto che si reca in concessionaria. Possiamo nel caso specifico parlare di vendita di cosa futura come suggerisce una nostra collega? Può essere che l'automobile non sia ancora prodotta, ma comunque al di là di ciò rimane una vendita di cosa generica, non futura, perché le parti non si sono poste problema dell'esistenza del bene, ma solo della determinazione oggetto bene. Non sappiamo se la cosa sia già stata prodotta, potrebbe essere già esistente o ancora in via di costruzione, ma ciò non importa, non rileva, perché le parti non si sono poste il problema, ma ciò che qui appare è che le parti si sono soffermate non già sul problema dell'esistenza del bene ma sulla determinazione dell'oggetto. Ieri ci siamo proprio detti che se la cosa, l'automobile, il bene è relativamente determinato, nella sua appartenenza ad un genus. Ci siamo però chiesti, se ciò è vero, se la stessa cosa valga per l'oggetto contratto. La cosa è determinata si e no, si perché è presa in un genus e no perché ancora non si sa il bene specifico, quindi è una determinazione fatta per relationem, per rapporto ad un genus. Ma l'oggetto del contratto è a sua volta determinato o determinabile? Qui l'oggetto è determinato. L'oggetto è determinato, ma ancora non si sa quale sia la cosa oggetto del contratto. La cosa non è determinata ma l'oggetto si. Possiamo arrivare a tale risultato solo a patto che l'oggetto del contratto e la cosa materiale non siano la stessa cosa. Perché se si identificassero non potremmo predicare qualità diverse. Possiamo farlo solo se l'oggetto e la cosa non si identificano. - La cosa è il bene su cui gli effetti del contratto dovranno prodursi. - L'oggetto è invece il contenuto sostanziale del regolamento di interessi, la prestazione, la attribuzione che attraverso il contratto é realizzata. E tale prestazione o attribuzione è determinata tanto dal punto di vista del compratore, tanto dal punto di vista del venditore. Il programma è definito in tutti i suoi elementi. Non è necessaria operi una qualche fonte di integrazione complementare, il contenuto contrattuale è deciso, le prestazioni hanno un grado di definitezza completo. Non dobbiamo quindi parlare di oggetto indeterminato perché è determinato. Se l'oggetto è determinato e la cosa è invece determinata relativamente solo per la sua appartenenza ad un genere, di conseguenza il principio consensualistico non sarà dunque operante. Il dettato dell'art. 1376 dice che io consenso basta per trasferire proprietà. Basta l'accordo. È questa una disposizione importante perché non in tutta Europa ci si regola nel trasferimento dei diritti con tale sistema. In Germania ad esempio il contratto non è mai traslativo della proprietà, ma ha sempre e solo effetti obbligatori e poi bisognerà trasferire la proprietà con un altro atto. In Italia come in Francia invece il consenso è sufficiente a trasferire il diritto, sempre che sia riferito ad un bene determinato, perché se la cosa non è determinata il consenso non può dirsi sufficiente. L'art. 1378 infatti dice che se cosa è determinata solo nel genere non basta il consenso, ma è necessaria l'individuazione del bene. L'individuazione è l'attività che consente di individuare nel genus il bene specifico. È da precisare come in vero con riferimento agli stessi beni fungibili possiamo avere sia una vendita di bene generico in taluni casi (vado in libreria e dico voglio comprare un libro di diritto civile) o specifico (vado in libreria e dico voglio comprare quel libro di diritto civile), a seconda quindi della volontà della parti nell'individuazione del bene. Abbiamo così risposto alla prima domanda: la prima compravendita è una compravendita di cosa generica, quindi non si applica il principio consensualistico, la seconda invece è di cosa specifica, quindi si applica il principio consensualistico. In materia di effetto traslativo dei diritti esiste la compravendita di cosa specifica e poi le compravendite obbligatorie, che non sono capaci di trasferire immediatamente la proprietà dal venditore al compratore. Casi di compravendita obbligatoria sono: - la compravendita di cosa generica, ove senza l'individuazione non si avrebbe logicamente la determinazione bene; - la vendita cosa futura, finché il bene non viene ad esistenza l'effetto traslativo non può prodursi e si produrrà solo quando bene verrà ad esistenza; - anche la vendita di cosa altrui non produce direttamente effetto traslativo: qui la vendita anche se di cosa specifica non produce effetto traslativo perché il venditore non è ancora il proprietario del bene; ciò non significa che sia un contratto inefficace perché a contrario si avrà un effetto obbligatorio e nel momento in cui il venditore acquisterà la proprietà del bene alienato allora la proprietà si consoliderà in capo al compratore; - o ancora la vendita con riserva della proprietà, ove il trasferimento della proprietà si realizza solo con il pagamento dell'ultima rata del prezzo. Confrontiamo ora tali ipotesi di vendita ad efficacia obbligatoria con un'altra figura di vendita obbligatoria in cui ci siamo imbattuti a proposito del discorso svolto sulla natura del contratto preliminare. Abbiamo già parlato delle diverse teorie relative al preliminare proprio e nello specifico abbiamo citato quella tradizionale, per la quale dal preliminare scaturisce solo l'obbligo di fare, e quella di Gazzoni, per il quale invece il preliminare di compravendita altro non è che contratto di vendita che però in deroga al 1376 per le parti produce solo un'obbligazione di dare e non determina il passaggio immediato proprietà dal venditore al compratore, così come invece dice l'art. 1376. Questo accade anche in queste vendite oppure no? Sono queste di cui stiamo parlando vendite che hanno solo un obbligo di dare o no? No! Le vendite obbligatorie in questione sono vendite ad efficacia reale differita nel tempo. Le abbiamo per comodità chiamate vendite obbligatorie, ma è più proprio chiamarle vendite ad efficacia reale differita nel tempo. E ciò perché qui la volontà di trasferire è già insita nel contratto di compravendita, solo che è una volontà traslativa che non può realizzare il trasferimento diritto per l'esistenza di un ostacolo a che ciò si produca, che differisce a seconda dei casi (assenza di una cosa individuata nella vendita di cosa generica; assenza della cosa nella vendita di cosa futura; assenza della proprietà della cosa in capo al dante causa nella vendita di cosa altrui, ecc.). Quindi anche quando troviamo le cosiddette vendite obbligatorie, in realtà si tratta di contratti reali dichiarati inefficaci nei confronti del creditore, lo scopo è quello di ottenere l'inopponibilità nei suoi confronti di tali atti del debitore che pregiudicano le sue ragioni. A tal proposito, con riferimento al fondamento dell'azione revocatoria, in dottrina si sono formate due tesi: - La prima tesi della dottrina indica il fondamento della azione revocatoria come una limitazione potere di dia pozione del debitore. Tale tesi dice che a seguito della disposizione dei beni da parte del debitore si crea un vincolo di indisponibilità e gli atti sarebbero di conseguenza inefficaci poiché compiuti da un soggetto privo di legittimazione. Il debitore in quanto tale è privo del potere di disporre dei propri beni, atti di disposizione che saranno pertanto inefficaci. Tale tesi è stata però criticata perché allora con tale logica qualsiasi atto posto in essere dal debitore sarebbe da ritenersi inefficace e il debitore non potrebbe compiere atti e per qualsiasi atto di disposizione posto in essere dal debitore il creditore potrebbe opporsi sempre, cosa che non è vera perché per agire con la revocatoria al creditore servono alcuni presupposti che il codice va individuando; solo se il comportamento del debitore integra tutti i presupposti indicati dalla legge l'atto è suscettibile di essere revocato. - Secondo una seconda tesi della dottrina, la revocatoria sarebbe invece una sanzione ad un illecito compiuto dal debitore, una sanzione che l'ordinamento prevede per il creditore per agire contro un comportamento illecito del debitore. L'azione revocatoria è una sanzione prevista dall'ordinamento contro gli atti di disposizione del debitore sia anteriori che successivi al sorgere del credito. E la dottrina fa una distinzione che riguarda al momento in cui il debitore pone in essere tale atto: se l'atto è anteriore al sorgere del credito il debitore pone in essere un illecito di tipo extracontrattuale, quando invece il debitore pone in essere un atto successivamente al sorgere del credito l'illecito è di tipo contrattuale. Si parla in questo ultimo caso di illecito contrattuale perché il debitore si renderebbe inadempiente al dovere di buona fede ex art. 1175 che caratterizza tutto il rapporto obbligatorio. A noi questa seconda tesi pare essere la più accreditabile. L'azione revocatoria ha natura di diritto potestativo. Il potere del creditore di agire è un diritto potestativo perché nulla può fare, si trova in uno stato di soggezione rispetto al potere del creditore. Per ottenere la dichiarazione di inefficacia di tali atti è necessaria la sentenza del giudice. Il debitore se ricorrono i presupposti dell'art. 2901 non può sottrarsi all'azione. Art. 2901. Condizioni: Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione. Agli effetti della presente norma, le prestazioni di garanzia, anche per debiti altrui, sono considerate atti a titolo oneroso, quando sono contestuali al credito garantito. Non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto. L'inefficacia dell'atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione. La legge indica infatti quali siano i presupposti affinché il creditore possa esercitare l'azione. Tali presupposto sono sono individuati dall'art. 2901. I presupposti sono quattro: • esistenza del credito del soggetto revocante, • compimento dell'atto di disposizione del patrimonio da parte del debitore, • che deve aver determinato pregiudizio alle ragioni creditore, • elemento psicologico della partecipatio fraudis. Notiamo come quindi vi siano elementi oggettivi e un elemento soggettivo che debbono sussistere affinché il creditore possa agire in revocatoria. • Tra gli elementi oggettivi della fattispecie è necessario innanzitutto che il creditore abbia un credito verso il debitore. • Il secondo elemento oggettivo è il compimento di un atto di disposizione nel cui concetto sono compresi sia atti giuridici negoziali che gli atti giuridici in senso stretto. In particolare sono da considerarsi atti di disposizione le alienazioni, le rinunce da parte del debitore ad un proprio diritto, la modifica di diritti sempre patrimoniali da parte del debitore, sono da considerarsi anche gli atti di estinzione dell'obbligazione diversi dall'adempimento, anche tali atti possono essere revocati. L'art. 2901 stabilisce al suo terzo comma però che vi sono atti irrevocabili. Non può ad esempio essere revocabile l'adempimento di un debito scaduto, in tale caso l'atto non è revocabile. La ragione è quella per cui il pagamento del debito scaduto è un atto dovuto e la ratio sottesa è che l'adempimento di questo debito è dovuto e nulla con tale adempimento è sottratto ai debitori. Così non è però per il pagamento di debiti che non siano scaduti per i quali la norma nulla dice e quindi si applica la regola generale della revocabilità. La ratio è che in tale modo l'anticipazione del pagamento rispetto alla scadenza conferisce all'accipiens un vantaggio. La revoca invece della irrevocabilità si estende in via analogica a tutti gli atti dovuti, come ad esempio alla stipulazione del contratto definitivo a seguito del contratto preliminare, oppure a. ritrasferimento del bene dal fiduciario a fiduciante nel caso di contratto fiduciario. Irrevocabili sono anche gli atti che hanno ad oggetto beni impignorabili e qui l'irrevocabilità si giustifica perché essendo beni impignorabili non ha senso revocare gli atti aventi ad oggetto tali beni sui quali comunque in sede di esecuzione il creditore potrebbe fare valere il suo credito. Irrevocabili sono anche quegli atti compiuti relativamente alle modalità godimento e amministrazione del patrimonio che rientra nel godimento personale del patrimonio del debitore. • Terzo elemento è quello del pregiudizio, stato di incapienza del patrimonio del debitore, il pregiudizio che si vuole evitare è quello che il patrimonio del debitore venga svuotato e che quindi non possa soddisfare il credito sul suo patrimonio in misura sufficiente. Da questo punto di vista la giurisprudenza è unanime ad ammettere che nel pregiudizio non rilevano solo le variazioni quantitative ma anche quelle qualitative. In particolare può esercitare l'azione di revocazione non solo quando l'esecuzione forzata è impossibile perché non vi sono più beni, ma anche quando il debitore abbia messo in pericolo il vittorioso esperimento della azione. La ragione è data dal fatto che ad esempio il denaro è più facilmente occultabile e quindi non dà la stessa tranquillità al creditore di esperire esecuzione forzata. Ecco perché rilevano anche le variazioni qualitative del patrimonio per quanto determinino un pericolo di incapienza del patrimonio. La valutazione sulla incapienza viene fatta con riferimento al singolo creditore. • La legge prevede però anche un profilo soggettivo, lo stato psicologico con cui il debitore pone in essere l'atto di alienazione patrimoniale. Il debitore perché si trovi nel fattispecie deve compiere l'atto di disposizione in maniera consapevole, deve essere consapevole che stia andando contro le ragioni del creditore. Il comportamento del debitore deve essere in frode al creditore. Su ciò la legge distingue due ipotesi: distingue tra atti a titolo oneroso e a titolo gratuito. - Se l'atto è a titolo gratuito la legge dice che non rileva lo stato soggettivo del terzo. Si deve in questo caso distinguere se l'atto è successivo al sorgere del credito allora è richiesta la semplice consapevolezza del debitore di recare pregiudizio alle ragioni del creditore. Se l'atto è invece anteriore al sorgere del credito invece non basta la consapevolezza ma si richiede che l'atto fosse dolosamente preordinato in danno al creditore. - Se l'atto è a titolo oneroso invece anche qui si distingue tra atti di disposizione antecedenti o successivi al sorgere del credito, con la differenza che si guarda anche il terzo. Nel caso di disposizione successiva al sorgere del diritto si richiede che il terzo fosse consapevole del pregiudizio, se anteriore si richiede che il terzo fosse consapevole della dolosa preordinazione. Quindi solo se sussistono tutti questi elementi il creditore può esercitare l'azione con successo. L'art. 2091 detta una presunzione di onerosità al suo quarto comma. Quando parla la norma di prestazione contestuale, la prestazione contestuale non è intesa in senso temporale, ma la contestualità rileva sul fatto che prestazione di garanzia deve essere la causa che induce il creditore. Quando è il presupposto che ha indotto il creditore ad assumere c'è contestualità funzionale e la prestazione si considera onerosa. Art. 2902. Effetti: Il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato. Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall'esercizio dell'azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell'atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto. Quanto agli effetti dell'azione revocatoria, sono essi disciplinati dall'art. 2902. L'effetto è l'inefficacia, una inefficacia però relativa. Ciò significa che l'atto è inefficace nei confronti del creditore revocante e del solo creditore revocante. L'atto è inopponibile nei suoi confronti. A seguito della sentenza che dichiara l'inefficacia, l'atto di disposizione rimane valido ed efficace erga omnes, rispetto a qualsiasi altro soggetto diverso dal creditore. L'azione revocatoria non ha effetti restitutori, il bene non torna a fare parte del patrimonio di Tizio debitore, ma rimane in quello di Caio terzo acquirente, ma la vendita è inopponibile al creditore, che può far valere le sue ragioni come se il bene non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore. In tale senso si parla di inefficacia relativa. Non vi è alcun effetto restitutorio, ma l'atto rimane valido ed efficace erga omnes, l'inefficacia è relativa perché giova solo al creditore. All'esecuzione forzata infatti non possono partecipare i creditori che non hanno esperito l'azione revocatoria. È una sentenza, quella che segue l'azione revocatoria, di tipo costitutiva. Finché non interviene la sentenza l'atto conserva la sua efficacia anche nei confronti del creditore, solo per effetto della sentenza l'atto diviene inefficace nei suoi confronti. L'art. 2902 secondo comma si occupa del terzo acquirente del bene. È diretta conseguenza del fatto che l'atto rimane valido ed efficace erga omnes. La ragione di credito che il terzo acquirente vanta a seguito del vittorioso esperimento della azione revocatoria deriva dalla perdita totale o parziale del bene. Quando il creditore fa espropriare il bene e ottiene il denaro, il terzo acquirente non può concorrere in tale esecuzione e non può ottenere il denaro. Perché non è creditore del debitore, rispetto i beni dell'atto revocato è proprietario. La norma parla di concorso ma è improprio. Una volta che il creditore è soddisfatto la norma sembrerebbe lasciare spazio ad un concorso. In realtà è vero che il terzo ha diritto a trattenere quanto rimane, ma non è un concorso perché il terzo se ne appropria perché è proprietario. Non concorre il terzo acquirente con il creditore, ma poi, dopo che il creditore ha soddisfatto il suo credito, il terzo trattiene il residuo in quanto proprietario. L'art. 2901 si occupa invece degli effetti della revocatoria nei confronti dei subacquirenti, cioè di coloro che acquistano un diritto o un bene oggetto dell'atto revocato dal terzo acquirente. La norma introduce dei requisiti che prima non considerava. I terzi subacquirenti possono opporsi a che vi sia inefficacia della revocatoria nei confronti del suo acquisto solo se l'acquisto di essi è a titolo oneroso e se è stato fatto in buona fede. Solo in tale caso i subacquirenti possono dire no l'atto è efficace e il creditore non può porre in essere esecuzione forzata sul bene. La prescrizione della azione revocatoria è quinquennale. L'azione surrogatoria L'azione surrogatoria consiste nel potere in capo al creditore di esercitare in luogo del debitore diritti che il debitore ha verso i terzi e che trascura di esercitare. Anche l'azione surrogatoria consiste in un diritto potestativo in capo al creditore. Ma non è fenomeno rappresentativo, perché il creditore agisce a nome proprio, non per norme e per conto del debitore. La legge autorizza il creditore ad esercitare diritti che sono del debitore. Ma il creditore non agisce per il debitore, a nome del debitore, ma agisce a nome proprio. La ratio è quella di fornire al creditore uno strumento per evitare mancati incrementi del patrimonio del debitore. Strumento che consente al creditore di reagire al mancato incremento del patrimonio del debitore, che è inerte nell'esercizio di alcuni suoi diritti. causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice. In tale caso il legislatore non parla di fatto illecito ma di fatto dannoso. Intendendo che se ricorrono tutti elementi del 2043 ma in più sia sussistente il fatto che il fatto dannoso in questione sia stato provocato a seguito di un pericolo attuale di danno grave alla persona e cioè per salvare se stessi o altri dal pericolo, se agli elementi del 2043 si aggiunge quello di necessità, il fatto illecito non è più tale ma degrada a mero fatto dannoso. Quindi lo stato di necessità funziona come esimente, elimina il carattere antigiuridico della condotta e depura il fatto dannoso dalla sua qualificazione di illiceità. Nel caso in cui il fatto con le stesse caratteristiche del 2043 è compiuto in stato necessità vi è l'esimente che rende il fatto non più antigiuridico e quindi non più illecito. E il fatto che il fatto in questione da illecito diventi meramente dannoso, ciò provoca cambiamenti sul piano giuridico in materia di conseguenze, perché diviene un fatto produttivo non più di risarcimento ma di indennizzo! Stiamo quindi parlando di fattispecie diverse! La distruzione della pelliccia fatta per disattenzione avrebbe portato a ricondurre il fatto al 2043 con la conseguente insorgenza del risarcimento; il fatto che vi sia stato lo stato di necessità, la presenza di causa giustificativa invece sottrae il fatto dall'art. 2043 e lo riconduce all'art. 2045 che individua una conseguenza diversa dalla obbligazione risarcitoria, ne consegue sempre una obbligazione che non è più risarcitoria, ma è una obbligazione indennitaria quella che scaturisce. È sempre una obbligazione ma non risarcitoria ma indennitaria. Quando si registra questa variazione linguistica da risarcimento a indennità, vuol dire che la considerazione del legislatore per il fatto non è più negativa, ma l'obbligazione indennitaria trova radici nel fatto che il fatto può essere ed è dannoso ma non è illecito. Siamo di fronte ad una responsabilità ma da fatto lecito, che sul piano dell'equilibrio dei rapporti genera una obbligazione che vuole compensare la vittima del fatto dannoso, ma non negli stessi termini del danno da fatto illecito. Sospendiamo un attimo il discorso per chiederci: può qui parlarsi di risarcimento in forma specifica, come suggerito dalla prima collega, in ragione del fatto che sia stato dato non denaro ma un bene determinato? È un profilo questo che va considerato in limine per negare l'esattezza di questa impostazione. Ragionando in astratto possiamo considerare il risarcimento specifico perché è qui stato dato un orologio? No! Perché risarcimento in forma specifica significa riporre sogg nella situazione iniziale. Quindi in questo caso vi sarebbe stato un risarcimento in forma specifica se Tizio avesse dato a Sempronia una pelliccia uguale a quella andata distrutta. Ma dando un orologio non c'è un risarcimento in forma specifica. Qui non c'è risarcimento in forma specifica. Qui c'è un fatto produttivo di una conseguenza risarcitoria o indennitaria, quale lo vedremo dopo, e a fronte di tale conseguenza il soggetto debitore offre una prestazione diversa da quella dovuta. Quindi non c'è risarcimento in forma specifica, semmai si potrà parlare di datio in solutum. Non possiamo qui parlare di risarcimento in forma specifica ma casomai possiamo individuare una datio in solutum. Ma al di là di questa parentesi aperta sul risarcimento in forma specifica, che abbiamo detto non esserci perché c'è invece una datio in solutum, si tratta di un fatto illecito o di un mero fatto dannoso con causa di giustificazione quale lo stato di necessità? Dalla traccia non emerge chiaramente la situazione in cui i soggetti si trovavano e quindi se vi fossero possibilità di salvezza altre (cosa questa che escluderebbe lo stato di necessità). Di conseguenza possiamo dire che ai fini dell'esame entrambe le risposte avrebbero potuto essere corrette se giustificate a dovere. La risposta preferibile è però quella relativa al fatto che si tratterebbe di un mero fatto dannoso a cui applicarsi la norma di cui all'art. 2045. Ammettiamo dunque che qui l'esimente sussista e quindi il sacrificio della pelliccia non costituisca un fatto illecito ma un mero fatto dannoso con necessità se nel caso di indennizzare chi ha subito il sacrificio. Ma l'indennità è diversa dal risarcimento, anche in termini di contenuto. • L'obbligazione risarcitoria si estende al ripristino della consistenza patrimoniale precedente. Risarcire significa porre il soggetto danneggiato da fatto illecito nella stessa situazione in cui il suo patrimonio si trovava prima che l'illecito fosse compiuto. Considerando sia il danno emergente che il mancato guadagno. • L'obbligazione indennitaria si traduce invece nel fatto che chi ha subito il fatto dannoso venga si indennizzato ma non con la medesima ampiezza del risarcimento. L'art. 2045 dice che la misura dell'indennità è rimessa all'equo apprezzamento del giudice. Al soggetto danneggiato spetterà un indennizzo che sarà determinato secondo il criterio dell'equo bilanciamento degli interessi in gioco. Mentre invece nel risarcimento il danno dovrà essere risarcito nella sua interezza. Dunque l'obbligazione risarcitoria e quella indennitaria si differenziano sotto due profili: • nella fonte: che è il fatto illecito nel caso dell'obbligazione risarcitoria, il fatto dannoso ma non antigiuridico nel caso dell'obbligazione indennitaria; • nel contenuto: l'obbligazione risarcitoria obbliga ad una prestazione di valore monetario congruo all'intera entità del danno prodotto nelle componenti del danno emergente e del lucro cessante, mentre l'indennità è rimessa all'apprezzamento del giudice che non terrà conto solo del danno ma di vari elementi quali la capacità patrimoniale del soggetto danneggiante. L'obbligazione risarcitoria è quella indennitaria hanno elementi diversi e nella fonte e nel contenuto. Dopodiché qualunque obbligazione, e che sia risarcitoria e che sia indennitaria, può essere soddisfatta con qualunque prestazione in nome dell'adempimento, quindi la datio in solutum potrebbe funzionare tanto in caso di obbligazione risarcitoria che indennitaria. La datio in solutum altro non è che la prestazione in luogo dell'adempimento dell'obbligazione risarcitoria o indennitaria. Si tratta di una modalità diversa di adempimento, ma di carattere stisfatorio perché realizza l'interesse che si surroga al primo e realizza l'interesse al ricevimento della prestazione in grado di soddisfare comunque il danneggiato. Soffermiamoci però sul concetto di dazione in pagamento o datio in solutum e sulla disciplina normativa di essa che troviamo ai sensi dell'art. 1197. Dal punto strutturale la datio in solutum è un contratto perché per realizzarsi ha bisogno del consenso del creditore oltre che del debitore. L'effetto è quello di estinguere il rapporto obbligatorio. Si tratta di un contratto reale perché l'effetto estintivo, alla cui produzione il contratto è diretto, non si realizza se l'accordo non è accompagnato dall'esecuzione della prestazione diversa. Non è la stessa realità che abbiamo visto per i contratti reali. Abbiamo visto che i contratti per il perfezionamento si distinguono tra congratti consensuali e contratto reali, a seconda che il solo accordo perfezioni il contratto o che sia necessaria anche la consegna. Nella datio in solutum l'esecuzione della prestazione diversa non serve ai fini del perfezionamento del vincolo, ma la produzione dell'effetto estintivo del rapporto originario non si verifica finché la prestazione diversa non è eseguita. Quali sono gli effetti del contratto di datio in solutum finché non sia seguito dall'esecuzione della prestazione diversa? Quali sono gli effetti di ciò che viene definito come patto di futura d'azione in pagamento o pactum de in solutum dando? Se viene stipulato un contratto che prevede in futuro una prestazione a titolo di datio in solutum, il contratto in questione trasformerà il rapporto da obbligatorio in un semplice rapporto obbligatorio con facoltà alternativa. Il debitore rimarrà sempre tenuto alla prestazione originaria, ma potrà liberarsi dall'obbligazione eseguendo la prestazione diversa. Quindi la datio in solutum è un contratto, un contratto reale perché l'esecuzione della prestazione è necessaria per l'estinzione del rapporto obbligatorio, ma ciò non esclude che l'esecuzione della prestazione diversa possa essere rinviata ad momento successivo. Il pactum de in solutum dando, con cui si pattuisce di rinviare la diversa prestazione ad un momento successivo, trasforma l'obbligazione da semplice ad una obbligazione con facoltà alternativa, sicché il debitore sarà pur sempre tenuto ad eseguire la prestazione originaria ma può liberarsi anche eseguendo la prestazione diversa. Nella prestazione in luogo dell'adempimento non c'è alcun momento in cui la prestazione diversa possa considerarsi come prestazione dovuta, è un fenomeno nel quale il debitore si libera ponendo in essere la prestazione diversa da quella dovuta, prestazione diversa che però non diviene mai oggetto dell'obbligo! Il debitore o la esegue subito e determina l'estinzione del rapporto. Oppure il debitore in base ad un accordo, al pactum de in solutum dando, si riserverà di eseguire una prestazione diversa nel futuro, ma essa non entra a fare parte del rapporto obbligatorio. Il debitore potrà liberarsi con l'esecuzione prestazione diversa. Ma la prestazione diversa non entra a far parte del rapporto obbligatorio, il cui oggetto rimarrà la prestazione dovuta fin da principio. Ecco che il creditore non potrà esigere la prestazione diversa da quella dovuta, ma solo quella originaria. Il debitore potrà invece liberarsi eseguendo o la prestazione originaria o quella alternativa. Da rapporto obbligatorio semplice diviene un rapporto obbligatorio con facoltà alternativa (non con prestazione alternativa! Attenzione: rapporto obbligatorio con facoltà alternativa e a prestazione alternativa sono cose diverse!). Diverso è invece il fenomeno della novazione, ove il debitore si libera assumendo un rapporto obbligatorio nuovo. Nel caso del rapporto obbligatorio con facoltà alternativa la prestazione diversa non è mai dovuta, o viene eseguita contestualmente o se in un momento posteriore sarà perché il debitore guadagna la facoltà di liberarsi attraverso l'esecuzione di essa. Nella novazione invece il fenomeno estintivo si regge sul passaggio dal rapporto obbligatorio vecchio a quello nuovo per titolo o per oggetto. Se la prestazione oggetto della obbligazione è diversa allora siamo nel primo caso, se il rapporto obbligatorio tutto è diverso allora è novazione. Mercoledì 25/11/2015 Nel diritto civile non ogni danno comporta un'obbligazione risarcitoria, ma per comportare un'obbligazione risarcitoria deve trattarsi di un danno ingiusto. Se non è un danno lesivo di un interesse giuridicamente protetto non si apre la porta della risarcibilità. Quindi possono esserci danni che non sono risarcibili perché a monte non è leso un interesse giuridicamente protetto. Nella responsabilita extracontrattuale il cosiddetto danno non patrimoniale è un danno che rimane irrisarcibile. Neppure risarcibile è il danno che lede una situazione giuridica protetta, ma nel caso in cui vi sia una causa di giustificazione. In questo caso tutto vi è affinché vi sia un danno risarcibile, ma la fattispecie è arricchita dalla presenza di una causa di giustificazione. Quindi il comportamento non è antigiuridico ma è consentito per il bilanciamento degli interessi in gioco che il legislatore prevede nel caso specifico. Quindi non tutti i danni sono risarcibili ma solo i danni ingiusti e sempre che la fattispecie non sia arricchita da una causa di giustificazione. Avevamo ieri osservato come più chiavi di soluzione del caso possono essere ammissibili purché spiegate in modo coerente. Qui però abbiamo una fattispecie che al più potrà assortire un'obbligazione indennitaria che è diversa da quella risarcitoria non solo per la fonte ma anche per il contenuto. Perché risarcire vuol dire versare valore monetario tanto quanto serve per colmare la perdita subita come danno emergente e lucro cessante, sempre ovviamente che sia tutto nel limite in cui possa riconoscersi un rapporto di causalità adeguato, perché se non c'è sarà una conseguenza non risarcibile. Nel nostro caso abbiamo invece un'obbligazione indennitaria, sarà il giudice però a stabilire se l'indennità sia dovuta. E abbiamo il comportamento del soggetto che ha provocato il danno che pone in essere una datio in solutum. Non abbiamo qui un risarcimento in forma specifica, ma si vuole eseguire una prestazione altra in luogo di quella dovuta. Quella dovuta è una prestazione indennitaria, però il nostro Tizio sembra abbia in mente di risarcire il danno e a tale titolo pone in essere la prestazione risarcitoria diversa da quella che dovrebbe eseguire. Vi è un'obbligazione indennitaria ma Tizio pone in essere la prestazione in luogo di un risarcimento. La prestazione traslativa dell'orologio è imputata dunque ad un rapporto obbligatorio la cui sussistenza noi abbiamo negato. Quindi nella datio in solutum la prestazione diversa non è mai dovuta, nemmeno nel caso del pactum in solutum dando, perché rimarrà eseguibile solo se lo vuole il debitore e il creditore non può esigerlo. Negli altri casi si. Qui però, e torniamo al discorso precedentemente iniziato, la prestazione diversa viene messa in relazione ad un rapporto che non c'è. Sempronia vuole essere risarcita. Sempronia vuole il risarcimento, non l'indennità. E a soddisfazione di questa pretesa Tizio consegna l'orologio di valore pressoché equivalente alla pelliccia distrutta a Sempronia. Ci si trova quindi nella casella numero 1 di quelle appena viste: abbiamo una datio in solutum. Debitore e creditore concordano che il debitore esegua una prestazione diversa da quella prevista. Qui però si pone un problema perché il rapporto da cui nasce la pretesa di Sempronia e la conseguente consegna dell'orologio da parte di Tizio è una obbligazione di risarcimento del danno, un rapporto risarcitorio che qui è insussistente. Cosa succede se la prestazione alternativa viene eseguita in una situazione in cui obiettivamente manca il rapporto obbligatorio di cui essa dovrebbe determinare l'estinzione? Sul piano di una prima approssimazione sembrerebbe che se viene eseguita una prestazione in assenza del rapporto obbligatorio essa sarà ripetibile per il principio di cui all'art. 2033 che in materia di indebito oggettivo dice che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda. Quando viene dunque eseguita una prestazione non dovuta, la conseguenza sarà che l'accipiens dovrà restituire quanto ha ricevuto. Non fa differenza se la prestazione eseguita sia quella costituente l'oggetto obbligatorio che manca o quella sostitutiva compiuta a titolo di datio in solutum. Ciò che viene pagato sarà ripetibile se il rapporto obbligatorio mancava. Qui però il tema si fa più complicato perché a ben vedere ciò che Tizio ha fatto non è stato semplicemente consegnare l'orologio a Sempronia, sicché possa dirsi che il problema sia quello di ottenere la restituzione dell'oggetto. La sua non è un'attività puramente materiale, ma Tizio ha non solo consegnato l'orologio sul piano materiale, ma ha inteso trasferire a Sempronia la proprietà dell'orologio. Orologio che è diventato dunque di Sempronia. Ti trasferisco la proprietà dell'orologio a soddisfazione della tua richiesta risarcitoria. Qui l'effetto è quindi anche traslativo, l'orologio sarà del soggetto danneggiato. Vi è stato un trasferimento della proprietà. Sempronia non ha solo ricevuto la datio materiale dell'orologio, ma a lei è stata manifestata la volontà traslativa dell'orologio. Ora, se la prestazione non è sorretta da un rapporto obbligatorio c'è una pura consegna materiale e la conseguenza sarà la restituzione bene. Ma in tal caso che ne è se vi è stato trasferimento proprietà pur essendo l'obbligazione risarcitoria insussistente? Qui nella datio in solutum non sta solo la volontà di fare si che si estingua il rapporto obbligatorio tra i soggetti che compiono e ricevono la datio, ma tale estinzione si realizza con l'effetto che è attributivo della proprietà del bene a colui che avanza la pretesa risarcitoria. Qui il tema non è solo quello del recupero materiale del bene con l'azione di ripetizione, ma diventa quello della considerazione della validità della datio in solutum e dell'effetto traslativo, visto che manca il sostegno giustificativo della dazione dell'orologio. Il tema è un tema che noi già conosciamo perché è quello delle prestazioni traslative isolate. Ci siamo ad esempio già chiesti cosa succede se viene dato un oggetto sulla base di un dovere morale sociale scoperto poi inesistente. E potremmo qui allargare il discorso ad un'altra figura di prestazione traslativa isolata che è quella nel caso di legato di cosa altrui, la cui disciplina è dettata art. 651 del nostro codice civile. La norma dice che se dispongo un legato di cosa altrui esso è nullo, ma non sempre, perché si fa salvo il caso in cui dal testamento o da altra dichiarazione emerge che il testatore lo sapeva e se lo sapeva allora ne deriva che il soggetto onerato dovrà acquistare la cosa dal terzo e trasferirla poi al legatario. Ma cosa succede se il legato è nullo e ciò non di meno colui che si ritiene onerato acquista la cosa al vero proprietario e la trasferisce al legatario? Cosa succede analogamente se effettuo una datio in solutum traslativa e poi si scopre che l'obbligazione che intendevo estinguere in realtà non c'è? Nel diritto tedesco in cui vige il principio di astrazione, gli atti sarebbero efficaci nonostante il difetto del loro fondamento causale rappresentato dalla mancanza dell'obbligazione che il dans voleva estinguere. Sarebbero atti efficaci. Il nostro sistema non conosce il principio di astrazione ma è basato sulla causalità delle traslazioni patrimoniali, per il quale se manca la causalità del trasferimento esso non può produrre i suoi effetti. In questo caso noi dovremmo dunque predicare la nullità dell'atto traslativo per il principio causale da cui è governato il nostro sistema di trasferimento della ricchezza. Mancando la causa, l'obbligazione che il soggetto intendeva adempiere, l'atto sarà da giudicare privo di causa, con la conseguenza che il bene non transiterà nella sfera di Sempronia. Il nostro Tizio potrà qui far valere la nullità dell'atto di trasferimento dell'orologio per insussistenza dell'obbligazione e potrà poi Tizio sul presupposto della nullità del trasferimento della proprietà dell'orologio esercitare l'azione di ripetizione dell'indebito per il recupero materiale del bene. Rimane però il fatto che nella specie l'orologio è stato alienato a terzi. In relazione ai casi in questione se ne occupa l'art. 2038 che dice: Art. 2038 Alienazione della cosa ricevuta indebitamente: Chi, avendo ricevuto la cosa in buona fede, l'ha alienata prima di conoscere l'obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l'indebito subentra nel diritto dell'alienante. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito. Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l'obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l'indebito può però esigere il corrispettivo dell'alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l'alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l'acquirente, qualora l'alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell'arricchimento, verso colui che ha pagato l'indebito. Riassumendo qui dunque non c'è un fatto illecito ex 2043 ma c'è un fatto dannoso ex 2045 per la presenza di un esimente quale è lo stato di necessità, e quindi non vi è un obbligo di risarcimento ma vi è un obbligo indennizzo. Nonostante l'insussistenza di un'obbligazione risarcitoria, Tizio consegna e trasferisce la proprietà dell'orologio a Sempronia. Tale datio in solutum traslativa in base al principio di causalità, secondo la quale l'atto traslativo non sostenuto dalla causa è nullo, è incapace di trasferire la proprietà del bene. Tizio non ha quindi perduto la proprietà dell'orologio, quindi potrà agire per riceverlo in restituzione con l'azione di ripetizione dell'indebito. Tizio ancora proprietario potrà esercitare l'azione di restituzione sulla base del 2033. Ma qui l'accipiens indebiti ha trasferito nel frattempo il bene a terzi. Si applicherà dunque il 2038. Lunedì 30/11/2015 CASO N. 11 La società Alfa, organizzatrice di congressi, essendo stata incaricata di affrontare quanto necessario ad un'importante iniziativa convegnistica, commissiona all'impresa Beta la stampa dei programmi sul cartoncino da distribuire ai partecipanti al convegno. Contestualmente al perfezionamento dell'accordo tra Alfa e Beta, la prima versa all'altra la somma di €1000 a titolo di "acconto e caparra" come le parti precisano. A causa del cospicuo carico di lavoro accumulato in quel periodo, l'impresa Beta non riesce tuttavia a soddisfare tutti gli ordini ricevuti, sicché la società Alfa non ottiene la consegna dei programmi alla data prevista per lo svolgimento del convegno. Una settimana dopo Alfa intima a Beta di pagare una somma pari al doppio della caparra versata. Quid iuris? RISOLUZIONE CASO N. 11 Le disposizioni di riferimento sono l'art. 1385 sulla caparra confirmatoria e l'art. 1457 sul termine essenziale. Proviamo allora ad analizzarle. Art. 1385. Caparra confirmatoria: Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra. Se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali. La prima parte dell'art. 1385 non ci interessa perché si tratta del comma che disciplina la sorte della caparra nel caso in cui il contratto dovesse avere regolare esecuzione. È un comma che in parte si riferisce al concetto di caparra ed è un comma che si riferisce anche al caso dell'adempimento del contratto, caso in cui la caparra va restituita o deve essere imputata alla prestazione dovuta. Una parte della disposizione è relativa alla definizione di caparra e l'altra parte alla regola della sorte della caparra in caso di adempimento. È una definizione che riguarda propriamente la caparra confirmatoria. La caparra penitenziale è un'altra caparra regolata dalla norma successiva. Quindi esiste una caparra la cui funzione è quella di rappresentare il corrispettivo del recesso ed una rafforzativa del vincolo, non prevista per il caso di diritto di recesso ma destinata a rafforzare il vincolo ed è quella dell'art. 1386. La caparra confirmatoria è la dazione di denaro o di altre cose fungibili, la quale viene riqualificata in caso di rapporto tra le parti, poiché sarà essa o restituita o andrà a scomputo della prestazione. Ciò che è dato a titolo di caparra viene considerato parte dell'adempimento nel caso in cui il contratto sia regolarmente adempiuto. Il secondo comma si riferisce invece al caso di inadempimento nei due casi di inadempimento da una parte o dall'altra. La funzione della caparra nel caso di inadempimento è una funzione diversa rispetto al caso opposto di adempimento. Se vi è adempimento la caparra viene riqualificata e calcolata nel computo. Se vi è invece inadempimento, la parte adempiente potrà recedere dal contratto e la caparra avrà il ruolo di liquidazione forfettaria del danno a seguito dell'inadempimento altrui. Alcune cose vanno messe in luce per il diritto di recesso di cui si parla nel secondo comma. È questo un diritto di recesso fondato sull'inadempimento altrui. Non ha nulla a che vedere con il recesso del 1386. Il contratto ha forza di legge tra le parti ex art. 1372 e non si scioglie per mutuo consenso. A meno che diritto di recesso non sia stato previsto a vantaggio di una parte o di entrambe. Può essere che la caparra sia consegnata in funzione di corrispettivo di diritto di recesso che una parte si sia riservata o che possa spettare ad entrambe le parti. Quando questo sia il caso il recesso sarà libero perché non condizionato nei suoi presupposti ma potrà venire secondo il desiderio della parte che abbia compiuto una valutazione diversa all'opportunità di rimanere vincolata dal contratto e la caparra rappresenterà il corrispettivo al diritto di recesso. Bisognerà dire che il 1384 è eccezionale e non estendibile a casi altri come nel caso della caparra? Oppure sulla scorta dell'ultima teoria che il 1384 è espressione di un principio generale per cui ogni volta che il contratto è generato allora l'intervento cel giudice potrà giustificarsi? Anche la giurisprudenza è incerta su tale tema. Vi è stata una pronuncia recente del Supremo Collegio che dice che la caparra non è mai toccabile dal giudice. La Corte Costituzionale invece ha parlato della legittimità del fatto che per la caparra non è previsto ciò che è previsto per la penale. La Corte ha liquidato la questione sulla base di un ragionamento per cui il potere giudice di intervenire nel contratto per ricondurlo ad equità sarebbe un potere generale, discendente dal principio di solidarietà sociale che si ricava ex art. 2 della Costituzione. Quindi esistono prospettive rigorose e tese a salvaguardare volontà parti ponendo la primazia della volontà privata salvo che le parti non prevedono il contrario. E vi sono prospettive invece meno liberiste secondo le quali il giudice può sempre intervenire nel contratto e dichiarare l'inefficacia di quelle clausole che in senso lato possano dirsi lesive degli interessi di una parte. Le parti sono vincolate dal vincolo contrattuale, ma il codice prevede una serie di casi ove vi sono delle deroghe a tale regola generale. Pensiamo ad esempio al caso dell'appalto, nel cui caso la legge dispone il potere di recesso per il committente. Quindi la regola generale è quella per cui il contratto ci si scioglie solo per mutuo consenso. Vi è poi la previsione che le parti prevedano il recesso di pentimento ex art. 1373. Vi è la possibilità che questo pentimento sia gravato da penale. Abbiamo ancora il recesso per pentimento che si realizza per caparra penitenziale. Abbiamo il recesso previsto per l'appalto. E poi vi è un recesso diverso come rimedio per l'altrui inadempimento nel caso di dazione di una caparra confirmatoria. Adesso dobbiamo interrogarci sulla seconda disposizione normativa prevista ai sensi dell'art. 1457 in materia di termine essenziale. Art. 1457. Termine essenziale per una delle parti: Se il termine fissato per la prestazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell'interesse dell'altra, questa, salvo patto o uso contrario, se vuole esigerne l'esecuzione nonostante la scadenza del termine, deve darne notizia all'altra parte entro tre giorni. In mancanza, il contratto si intende risoluto di diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione. Tale articolo disciplina uno dei casi di risoluzione stragiudiziale del contratto. La risoluzione è normalmente conseguenza di un provvedimento del giudice, di una sentenza costitutiva. La disposizione normativa centrale a proposito dell'istituto di risoluzione del contratto per inadempimento è dettata dalla norma in materia di contratti a prestazioni corrispettive, in cui ogni parte assume prestazioni, nei contratti ciò sinallagmatici, quindi la risoluzione per inadempimento è prevista con riguardo a questa categoria contrattuale. In tali casi la parte può chiedere o la domanda di condanna all'adempimento o la domanda di risoluzione del contratto. Nel primo caso la domanda è volta ad ottenere una sentenza di condanna per avere l'adempimento. Nel secondo caso si vuole disconoscere il contratto con una sentenza costitutiva del giudice. La risoluzione però se per regola generale segue un provvedimento del giudice, in casi particolari si determina in via stragiudiziale. Questi casi sono quelli: - della diffida ad adempiere, - della clausola risolutiva espressa e - del termine essenziale. In caso di inadempimento, dice l'articolo in materia di diffida ad adempiere, la parte che subisce può intimare l'altra parte di adempiere entro un congruo termine non inferiore a 15 giorni, con l'intendimento che decorso tale termine il contratto si considera risolto. La diffida ad adempiere non è una semplice costituzione in mora ex 1219 ma è qualcosa di più di una semplice costituzione in mora. La diffida è qualcosa di più. Non ci si limita ad intimare la controparte ad adempiere, ma lo si fa con l'intendimento che in caso contrario il contratto si intenderà risolto. Vi è una tesi della dottrina per la quale la costituzione in mora é un atto giuridico in senso stretto, mentre si parla di semplice atto negoziale per la diffida ad adempiere. Perché con la costituzione in mora il creditore si limita ad esigere adempimento, mentre con la diffida oltre ad esigere il pagamento si dice altresì in caso contrario il contratto si risolverà. La differenza di contenuti e una maggior articolazione del contenuto della diffida giustifica la natura diversa degli atti. Il contratto non si può però risolvere né attraverso la domanda giudiziale né con diffida se l'inadempimento è di scarsa importanza per l'interesse parte che lo ha subito. Vi è una valutazione circa l'importanza o meno dell'inadempimento che deve farsi. La diffida non sarà necessaria ex art. 1456 quando sia prevista una clausola risolutiva espressa in cui parti espressamente prevedono che il contratto si risolva se una prestazione non sia adempiuta secondo modalità prestabilite. Qui la valutazione dell'importanza è assorbita della previsione stessa della clausola che individua l'inadempimento di una o più obbligazioni come causa di risoluzione del contratto. È importante aggiungere che in caso di clausola risolutiva espressa, tale inadempimento non è di per se stesso già capace di distruggere il contratto, non è idoneo a determinare lo scioglimento del vincolo, perché funzionerà come presupposto legittimante della risoluzione del contratto per il soggetto che ha subito l'inadempimento, come si ricava secondo comma dell'art.1456. La risoluzione si ha di diritto quando una parte dica all'altra che intende valersi della clausola risolutiva. Bisogna dunque che la parte lo dichiari alla controparte! Martedì 01/12/2015 Riprendiamo la discussione sul caso numero 11. Ma la dicitura "acconto e caparra" cosa significa? Secondo taluno non possiamo sapere per quale parte valesse l'una o l'altra e quindi, poiché è un'espressione indeterminata, si tratterebbe di una clausola nulla. Perché non possiamo sapere quale clausola vuole l'acconto quale la caparra e quindi per indeterminatezza e indeterminabilità dell'oggetto sarebbe da ritenersi nulla. Questo tema è un tema reale che si è verificato e sul quale si è discusso. Un giudice aveva infatti respinto il ricorso per oggetto indeterminato e impossibilità dei stabilire il discrimine all'interno della somma versata su quale parte considerare come acconto e quale come caparra. Esiste sul punto una pronuncia della Corte di Cassazione che su tale tema dice che se la dicitura è assimilabile a questa vi sarebbe un problema di validità della clausola. Secondo Delle Monache in realtà la dicitura vale a segnalare una qualificazione ambivalente di dazione, nel senso che se il contratto avrà esecuzione ciò che è stato dato andrà imputato alla dazione come acconto, se invece il contratto non sarà eseguito fungerà da caparra legittimando il contraente fedele al recesso e ad esigere il doppio se l'inadempimento proviene da colui che ha ricevuto la caparra, a trattenerla se l'inadempimento proviene da colui che ha conferito la caparra. La clausola è destinata a mettere in luce la qualificazione ambivalente della dazione, perché comunque se vi è adempimento a norma di legge la caparra si tramuta in un acconto, perde la funzione di caparra e sarà un acconto. Ecco che secondo Delle Monache la clausola non è nulla ma la dicitura vale a segnalare una qualificazione ambivalente della dazione che prima è caparra e poi in caso di adempimento sarà acconto. Quindi non significa che una parte della dazione é acconto e una parte è caparra, ma significa che sarà considerata uno o l'altro a seconda che vi sia adempimento o meno. Però il dubbio in astratto può anche porsi e addirittura ha ricevuto risposte nel senso di nullità della clausola, diversamente da quanto dice Delle Monache. Ieri abbiamo discusso sul significato delle disposizioni ritenute rilevanti. Abbiamo parlato del recesso, della caparra e della clausola penale. Abbiamo distinto il recesso come pentimento e il recesso come rimedio all'altrui inadempimento. Il recesso di pentimento incide sul rapporto determinandone lo scioglimento. Il contratto è regolarmente stipulato dalle parti. Con la fattispecie si produce il rapporto, il recesso lo fa venire meno. Il recesso non tocca il contratto come può essere con la revoca e altri atti che impediscono il vincolo, recesso presuppone invece il vincolo! Ancora diversa sarebbe l'impostazione se noi parlassimo del recesso del consumatore. Sappiamo che il consumatore, in svariate situazioni che sono previste da codice del consumo per contratti conclusi a distanza, ha diritto di recesso. Questo non è un recesso che si strutturi o funzioni da reazione all'altrui inadempimento, non è un recesso come rimedio all'inadempimento, ma non è nemmeno quello di pentimento del 1173, o quello del 1681 sull'appalto. Il recesso del consumatore incide su una fattispecie ancora in sospeso. Affinché la fattispecie possa dirsi davvero produttiva di effetti occorre che il consumatore non eserciti il diritto recesso che assomiglia molto ad una revoca della dichiarazione contrattuale. Il recesso vero e proprio del 1173 non ha a che vedere con la fattispecie in questione del recesso del consumatore. Quello del consumatore incide su una fattispecie che è si completa ma in sospensione. Il recesso del consumatore agisce quasi come una revoca, perché è un atto che colpisce una fattispecie e la rende inidonea a produrre effetti. E ciò è possibile nonostante il contratto sia già concluso. Io consumatore stipulo un contratto che è già concluso, ma è come se il contratto fosse sospeso, è solo se io non esercito il mio diritto di recesso il contratto potrà dirsi produttivo di effetti. Quindi il mondo del diritto di recesso è molto variegato. Ma a noi interessa, più che il recesso di pentimento, il recesso come rimedio all'altrui inadempimento guadagnato a seguito di dazione di una caparra confirmatoria. L'importanza dell'effetto che la legge ci fa considerare è che, se ne segue l'inadempimento di una delle parti, il contraente può sciogliersi dal contratto stragiudizialmente, anche se non si è in presenza di alcuna delle fattispecie di risoluzione contratto per inadempimento in sede stragiudiziale. Solitamente ci si libera dal contratto per risoluzione a seguito di una pronuncia del giudice, tranne nei casi espressamente previsti da legge. Nel caso di dazione della caparra confirmatoria è possibile nondimeno sciogliersi dal contratto, senza pronuncia del giudice, con il rimedio del recesso. Manca però da analizzare una delle situazioni tra le tre già indicate che consentono che il contratto si risolva stragiudizialmente ed è quella dell'art. 1457 sul termine essenziale. Nell'art. 1457 Si parla di termine fissato da una delle parti. Attenzione però! Perchè parlare di termine essenziale o non essenziale è una distinzione totalmente differente da quella che si fa parlando di termine iniziale o finale. Quando si parla di termine finale o iniziale? Quando si guarda agli effetti. Il termine iniziale o finale è relativo agli effetti e rappresenta uno degli elementi accidentali del negozio giuridico. Termine di efficacia significa quel momento nel tempo certo nel suo verificarsi, a partire dal quale o fino al quale gli effetti del contratto si produrranno tra le parti. Così come la condizione è l'evento futuro e incerto a cui è subordinata l'efficacia del contratto o la sua risoluzione. Stiamo parlando del caso in cui il termine è, come la condizione sospensione o risolutiva, uno degli elementi accidentali del negozio che ne arricchiscono i contenuti e che hanno a che fare con effetti. Ma se noi dicessimo "ti concedo in locazione un immobile dal 1 gennaio al 31 febbraio con canone mensile da pagarsi entro il 5 di ogni mese". Quanti termini ci sono? Ci sono due termini di efficacia e 12 termini di adempimento. Quindi 14 termini, due di efficacia e 12 di adempimento.
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