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Appunti di diritto costituzionale, Appunti di Diritto Costituzionale

Gli argomenti trattati sono: la nascita della costituzione, lo stato, le norme e i contrasti tra norme, la revisione costituzionale, le regole internazionali, la legge ordinaria e il procedimento legislativo, il referedum abrogativo, il governo e i diritto fondamentali dell'uomo

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 26/11/2023

giorgia-grasso-20
giorgia-grasso-20 🇮🇹

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Scarica Appunti di diritto costituzionale e più Appunti in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! DIRITTO COSTITUZIONALE La nascita della Costituzione Il 2 giugno 1946 si ha un referendum in cui tutti i cittadini sono chiamati a votare per decidere quale ordinamento dare allo Stato, monarchia o repubblica. Il 22 dicembre 1947 viene approvata la Costituzione, che entra in vigore il 1° gennaio 1948, con la controfirma di Terracini (Presidente dell’Assemblea costituente), De Gasperi (Presidente del Consiglio dei ministri) e Grassi (Guardasigilli). Dopo il re di maggio, Umberto II, non si ha ancora un presidente della Repubblica, in quanto ancora effettivamente non si ha una Costituzione, pertanto Enrico De Nicola, in qualità di capo provvisorio, firma per la sua promulgazione. Una volta entrata in vigore, la Costituzione viene afflitta per un certo periodo di tempo in ogni comune perché tutti i cittadini potessero leggerla. Dunque, si ha sicuramente una grande attenzione alla diffusione, nonostante in quel periodo il tasso di analfabetizzazione fosse piuttosto alto e che quindi una parte davvero minima dei cittadini potesse effettivamente comprenderla. Vi è comunque stato un grande sforzo nell’utilizzo di un lessico che potesse il più possibile essere compreso da tutti, nonostante la presenza ovvia di termini specifici e tecnici dell’ambito giuridico. Inoltre, bisogna anche aggiungere che il 2 giugno è stato per le donne la prima occasione di voto. Tante hanno seguito le indicazioni del padre o del marito a cui erano in un certo senso sottoposte. Infatti, la riforma di diritto famigliare arriva solamente nel 1975 ed elimina le imparità tra coniugi. Per esempio, viene eliminato il principio secondo cui l’adulterio femminile avesse un peso più grave di quello maschile e che quindi andasse punito in modo diverso. Uno dei passaggi fondamentali che porta poi alla Costituzione si ha tra il luglio e il settembre 1943. Il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo, organo centrale in quanto non c’era un Parlamento, approva l’ordine di Grandi e sfiducia Mussolini, che viene sostituito dal generale Badoglio. Si tratta della premessa per quello che avverrà in maniera ufficiale l’8 settembre 1943, cioè l’armistizio dell’Italia con le potenze alleate. Questo armistizio, però, esprime in maniera poco chiara quale atteggiamento le truppe italiane avrebbero dovuto avere nei confronti della Germania, sua precedente alleata. Ci sono varie interpretazioni a causa della debolezza della catena di comando, che gestisce la situazione in un modo sicuramente poco autorevole. Questo è sicuramente un momento complesso in cui addirittura il re Vittorio Emanuele III si rifugia in Puglia perdendo credibilità e consensi. I governi transitori che in questo periodo si susseguono sono espressione del supporto delle forze antifasciste, che pur avendo idee politiche diverse tra di loro, comunque, si uniscono contro un nemico comune. Anche il periodo tra il 1945 e il 1946 è importante, infatti con il referendum i cittadini eleggono anche l’Assemblea costituente, cioè i deputati che hanno una chiara missione: un nuovo ordinamento repubblicano. Le prime forze rappresentano il partito comunista e popolare, seguito da socialista e poi alcuni altri partiti come quello liberale e il partito d’azione e si contengono i seggi secondo un sistema proporzionale. L’Assemblea costituente inizia subito a lavorare per poter presentare poi un testo costituzionale, ma funge anche da Parlamento, pertanto, per esempio, sostiene il governo e approva leggi. Dati gli importanti compiti da svolgere contemporaneamente, viene affidato il compito di elaborare una bozza di Costituzione a una commissione, la commissione dei settantacinque, parte dell’Assemblea costituente. A sua volta questa commissione si divide in tre sottocommissioni: • La prima riguardo i principi e i diritti fondamentali • La seconda sull’organizzazione istituzionale della Repubblica • La terza dei rapporti economico-sociali Tutte queste arrivano nella primavera del 1947 a proporre un testo costituzionale perché sia discusso. Su alcuni temi vi è sicuramente stato un confronto acceso, basta pensare alle discussioni riguardo i rapporti tra Stato e Chiesa. Infatti, in quest’occasione l’unità antifascista ha messo in luce le sue diverse visioni, ideali e principi. Vi è comunque stato uno sforzo di unità e compromesso. La rottura delle forze antifasciste, però, non tarda ad arrivare. Nel maggio 1947 l’Assemblea costituente discute l’assetto istituzionale incontrando le prime difficoltà. De Gasperi sancisce la posizione internazionale (Atlantica) dell’Italia e la sinistra esce dal governo. Il contesto prevede di trovare un accordo, per di più non si sapeva come l’elettorato si sarebbe espresso; infatti, gli equilibri del 1948 sono ben diversi rispetto a quelli del 1946. Vi sono discussioni accese e polemiche incentrate sul modello di società da costruire e sulla posizione internazionale da dare all’Italia. La campagna elettorale è ricca di immagini evocative. Il 22 dicembre 1947 quasi il 90% dell’Assemblea costituente vota per l’approvazione della Costituzione, che risulta essere una sintesi delle idee delle varie forze politiche. Vi sono quattro principi cardine legato a ciò, anche se ve ne sono anche molti altri. ▪ Principio personalista: è il principio secondo cui le istituzioni sono al servizio della persona. Prima viene la persona e in base ai suoi diritti si basano le istituzioni, le amministrazioni, l’apparato pubblico. Con il termine persona si intende il singolo non nella sua autonomia, come nel caso dello stato liberale di fine ‘700- inizio ‘800 (vedi Statuto Albertino), ma è l’individuo nelle sue relazioni sociali (familiari, religiose, politiche). Ciò, dunque, evoca un significato relazionale. Questo Qual è il rapporto tra regola giuridica e organizzazione sociale di riferimento? Questa è una domanda la cui risposta varia a seconda se si tiene fede a teorie normativiste oppure a teorie istituzionaliste. Per quanto riguarda le prime, possiamo dire che il principale punto di riferimento è Hans Kelsen che sostiene che le regole sono un insieme di prescrizioni che, quando le si studia con il metodo scientifico, sono isolate dalla comunità politica di riferimento. Mentre le seconde riguardano il concetto che le regole sono prodotte dall’organizzazione sociale di riferimento. Dunque, se per le teorie normativiste si parte dalla Costituzione, per quelle istituzionaliste si parte dal valutare come si è arrivati al testo costituzionale, per esempio queste tengono conto nel caso dell’Italia anche del referendum del 2 giugno 1946. Le norme sono il prodotto di fatti normativi intervenuti in un certo momento della storia. Da qui bisogna fare una distinzione tra common law e civil law. Infatti, se si pensa ai paesi anglosassoni, questi presentano una common law, per cui da comportamenti prevalenti accertati e verificati dalla Corte di giustizia scaturiscono la gran parte delle norme. In altri paesi, invece, è prevalente il peso delle norme scritte (civil law). I due apparati sul piano metodologico rappresentano verità: nel primo caso si sostiene che una legge sia valida se approvata tramite la procedura che prevede la Costituzione. Estremizzando questo, cosa che comunque Kelsen non fa, si arriverebbe a considerare soltanto l’avvenuto processo per l’approvazione di una legge e non il suo contenuto. Nel secondo caso, tenendo conto quindi che le regole sorgono come necessità, estremizzando si arriverebbe a osservare che ciò che la comunità fa è produttivo di regole. L’ordinamento giuridico è l’insieme di più elementi (prescrizioni, consuetudini e fatti normativi) accomunati dal fatto di essere espressione di una determinata organizzazione sociale coordinati secondo criteri sistematici (territorialità, tempo). L’ordinamento giuridico è completo, coerente e unitario. Dunque, esistono norme che vanno a risolverne altre che sono in conflitto tra di loro. Il punto di riferimento rispetto alle norme deve essere la carta costituzionale che dà coerenza e unità. Secondo C. Schmitt la vera Costituzione è la decisione fondamentale con cui il potere costituente determina attorno a valori comuni la forma dell’unità politica di un ordinamento. Dunque, bisogna fare una distinzione tra Costituzione formale e Costituzione materiale. La Costituzione in senso materiale è l’insieme dei fini e dei valori su cui poggiano e convengono forze politiche, mentre quella in senso formale ne è in qualche modo il precipitato. Secondo Schmitt e Costantino Morati la Costituzione materiale prevale su quella formale. L’unica eccezione si ha in una situazione di emergenza in cui la Costituzione formale prevale su quella materiale, di conseguenza vengono giustificate deroghe a regole ordinarie. Ne è un esempio l’articolo 48 della Costituzione di Weimar che prevedeva che in caso di emergenza i poteri si concentrassero nelle mani del capo dello stato (Presidente). Per Kelsen l’ordinamento giuridico si configura come una piramide dove in cima troviamo le norme più importanti. Ogni livello normativo è la base di legittimazione del livello successivo, per cui il livello inferiore giustifica quello superiore. Ad esempio, la Costituzione legittima la legge del Parlamento. Questo significa che la legge non può essere in contrasto con la Costituzione. Si tratta di un ordinamento gerarchico. Il principale punto debole è dato dalla domanda che cosa legittima il vertice? Al vertice Kelsen dice che vi è la norma giuridica fondamentale che viene data per presupposta e che è un concetto astratto. Questa norma giuridica si pone sopra la Costituzione e dunque la giustifica. Infatti, la Costituzione non si potrebbe dare per presupposta perché frutto di un processo di approvazione. Entrambe le visioni, istituzionaliste e normativiste, collegano la Costituzione a qualcosa (norma giuridica fondamentale), ma mentre per Kelsen è importante garantire la validità del sistema, per Schmitt bisogna concentrarsi sull’effettività del sistema. Tutte le costituzioni hanno un ruolo fondamentale all’interno di un ordinamento giuridico, ma il loro contenuto è diverso perché basato su idee, principi e valori diversi. Ogni volta che si ricerca il nucleo primigenio si ricerca qualcosa di ancora più ristretto, se si ricerca ciò che le regole dicono bisogna tenere presente che non tutte queste sono uguali, in quanto non tutte sono caratterizzate da un plusvalore assiologico. Da qui nasce il dibattito sulla possibilità di modificare la Costituzione, specialmente la parte sui principi fondanti. Se si toccano le norme fondanti, però, si tocca anche l’equilibrio dell’ordinamento giuridico. L’ordinamento costituzionale è il complesso di norme fondanti che danno forma a un ordinamento giuridico e ne rappresentano il codice genetico, l’identità. Queste norme possono essere scritte oppure no. L’ordinamento costituzionale italiano è collocato dentro la Costituzione, ma non tutto il testo evoca i principi fondamentali. Ci sono anche casi in cui alcuni principi fondanti sono codificati in atti. Dunque, non tutte le regole della Costituzione sono quelle fondamentali. Il nostro ordinamento deriva dalla tradizione precedente al 1948, come lo Statuto Albertino, che era una Costituzione flessibile, cioè in Parlamento approvando una legge ordinaria si poteva modificare una regola fondamentale. Oggi questo non può accadere perché la Costituzione è rigida e per poter cambiare una delle norme fondamentali bisogna effettuare un processo molto complicato. Alcune regole fondamentali ricevute in eredità sono codificate in leggi ordinarie approvate prima dell’ordinamento repubblicano. Ne è un esempio il Codice civile approvato nel 1942. Questo conteneva regole che rappresentavano principi generali sul nostro ordinamento chiamate preleggi. Come interpretare testi normativi È importante capire come interpretare testi normativi per trarne regole fissate in altri testi giuridici. Innanzitutto, bisogna iniziare facendo una distinzione tra norma e disposizione. La disposizione è il testo scritto (common law), l’enunciato linguistico, mentre la norma è l’esito dell’interpretazione dell’enunciato linguistico, cioè è la regola che si trae interpretando l’enunciato linguistico. Dunque, norma e disposizione sono due concetti distinti che sono da mettere in correlazione, esistono, però, norme senza disposizioni e disposizioni senza norme. Le prime sono sostanzialmente le consuetudini che si ripetono nel tempo. Le consuetudini esistono anche nel nostro ordinamento giuridico di common law. Ne sono un esempio parti della formazione di un nuovo governo. Le seconde sono ad esempio le premesse di uno statuto oppure le leggi di approvazione di bilancio consultivo, che viene approvato dal Parlamento e che, però, fa i conti di ciò che è entrato ed uscito dalle casse dello stato da un determinato esercizio. In questo bilancio non si ipotizza ciò che potrà avvenire, ma si dice ciò che è avvenuto. Sono delle tabelle che non hanno un significato prescrittivo. L’articolo 12 delle preleggi dice quali sono i tre criteri sistematici per interpretare testi normativi: ❖ Interpretazione letteraria: data dal significato proprio delle parole ❖ Interpretazione logico-sistematica: data dal mettere in connessione le parole tra di loro ❖ Interpretazione teleologica: mira alla valutazione dell’intenzione di chi ha scritto quel testo per chiarire il significato. L’interpretazione teleologica può essere soggettiva e quindi stare a indicare chi ha approvato quel testo oppure può essere oggettiva e quindi indicare quali sono i fini che emergono dal testo. In senso soggettivo è il fine perseguito dal legislatore al tempo in cui ha posto una determinata disciplina. È un’interpretazione che più attenta alla volontà, ma ha dei limiti; infatti, interpretare una legge approvata nell’attuale legislatura è un conto, interpretarne una di una legislatura precedente è un altro. Infatti in questo secondo caso bisognerebbe andare a ricostruire i dibattiti avvenuti nella Camera e in Senato, opera complicata che apre a un certo margine di discrezionalità. Il senso oggettivo è ricavato dal tenore dell’atto normativo e tiene conto del fatto che gli ordinamenti cambiano nel tempo. Dunque, si guarda alla finalità di una legge rispetto a quello che l’attuale ordinamento dice. Possiamo, quindi, dire che questa prima parte dell’articolo 12 riguardi il fatto che l’ordinamento debba essere univoco. Il secondo comma riguarda il fatto che dell'autorità. Bisogna evitare che il potere venga esercitato abusandone, pertanto questo deve essere distribuito tramite una separazione dei poteri tra più organi. Quest'ultima è un'idea inconcepibile per lo stato assoluto dove il potere è concentrato tutto nelle mani di un'unica autorità. Se un governo non garantisce più i diritti o va contro essi è diritto del popolo sostituirlo. • Lo stato liberal democratico si afferma principalmente dopo la Seconda guerra mondiale ed è una sorta di evoluzione rispetto allo stato liberale. Infatti, si arricchisce il catalogo dei diritti e si amplia il diritto al voto, che prima riguardava solamente una porzione limitata di persone. Il percorso che porta dal passaggio tra stato liberale e stato liberale democratico non è semplice e lineare; infatti, ad esempio, abbiamo regimi autoritari come quelli in Spagna e in Portogallo, fino agli anni 70, giustificati da dottrine completamente diverse rispetto a quelle degli stati liberale e liberale democratico. La dottrina hegeliana dello stato Per Hegel lo stato è una realtà spirituale. Lo stato è il tutto che logicamente precede le parti che lo compongono. Non sono le parti a creare il tutto, prima logicamente viene il tutto e poi si rilevano logicamente le parti. Lo stato è visto come stato totale, se l’individuo si percepisce come tale solo all’interno dello stato l’identità dell’individuo esiste solo all’interno dello stato. Il potere pubblico non deve essere limitato perché gli individui senza esso non si riconoscono come tali. L’idea che ci si dovesse identificare all’interno di un progetto al di fuori del quale non si è nulla è stata reinterpretata dai regimi totalitaristi per i quali non si potevano esprimere pensieri diversi dallo stato perché fuori da esso non si era nulla. Il sistema delle fonti Al centro del sistema delle fonti c'è la nostra Costituzione che è una Costituzione rigida, cioè è sovraordinata rispetto alle leggi ordinarie, che quindi non possono essere in contrasto con essa. Di conseguenza, possiamo dire che la Costituzione è un punto di riferimento essenziale. Secondo l'articolo 1 delle preleggi del Codice civile italiano del 1942 sono fonti del diritto le leggi, il regolamento e gli usi. Non viene evocato lo Statuto Albertino, che, in quel momento, era stato svuotato nelle sue previsioni liberali per instaurare un regime autoritario. Lo Statuto Albertino, comunque, non era una Costituzione rigida ma flessibile, cioè poteva essere modificata da leggi ordinarie, cosa che invece non è prevista per la nostra Costituzione. Infatti, questa può essere modificata solo attivando il processo di revisione. Con la Costituzione del 1948 tutto cambia, infatti bisogna leggere la gerarchia di leggi, regolamento e usi in modo diverso in quanto la legge è subordinata alla Costituzione. Quindi la schematica successione stabilita dall'articolo uno delle preleggi è stata sostituita da un complesso ordine gerarchico tra Costituzione, leggi costituzionali, leggi ordinarie e atti equiparati, regolamenti dell'esecutivo. L'elemento che caratterizza tutte queste è il fatto che tutte queste fonti sono primarie, cioè immediatamente subordinate alla Costituzione. Le fonti secondarie come il regolamento delle regioni, delle province e dei comuni sono subordinate alle fonti primarie. Ci sono anche altri due elementi che caratterizzano le leggi da altre manifestazioni di pubblico potere: generalità e astrattezza. Con generalità intendiamo il fatto che ciascuna regola sia efficace per tutti i cittadini, mentre con astrattezza il fatto che le regole prescrivano la possibilità di essere applicate a una serie illimitata di casi. Le fonti del diritto sono tutti quegli atti o fatti a cui l’ordinamento riconosce la capacità di produrre norme giuridiche. Le fonti del diritto si suddividono in fonti di produzione, cioè quegli atti o quei fatti a cui un ordinamento riconosce la capacità di produrre norme giuridiche; fonti sulla produzione rappresentano un nucleo più ristretto delle fonti di produzione e sono le regole che disciplinano le procedure di approvazione del diritto oggettivo. Il loro contenuto è la disciplina della modalità con cui si affermano le regole. Vi sono poi le fonti di fatto e le fonti di atto. Le prime sono regole che derivano dal comportamento della comunità di riferimento, cioè derivano da comportamenti che si ripetono costanti da tempo immemore e che si ritengono doverosi pur non essendo mai stai approvati da un Parlamento e codificati in atti formali. Le seconde sono regole prodotte secondo una precisa volontà e approvate nel rispetto della procedura e codificate in altre regole. Le fonti di cognizione, invece, sono atti che hanno il fine di far conoscere le regole prodotte e hanno effetti costitutivi, cioè hanno anche il compito di essere documenti da cui le regole producono efficacia. Ci sono due criteri di organizzazione delle fonti: • Gerarchia: le fonti primarie non possono essere in contrasto con la Costituzione, altrimenti sarebbero illegittime • Competenza: alcune fonti del diritto riguardano più ambiti, altre solo alcuni. Se c’è ripartizione di competenza va rispettata, altrimenti la fonte è illegittima. Ci sono casi in cui le fonti sono in concorrenza tra di loro a disciplinare la medesima materia. Questo è il caso di fonti primarie come gli atti con forza di legge che possono concorrere con le leggi del Parlamento a disciplinare la materia dello stato. In generale, si parla di forza di un atto normativo e per antonomasia di forza di legge, quando si ha a che fare con un dato formale, di conseguenza non ci si interroga sul contenuto, ma solo sull’aspetto formale. La forza evoca la capacità di quell’atto di produrre gli effetti di quell’atto. Bisogna, inoltre, fare una distinzione della forza di un atto tra il profilo attivo e quello passivo. Il profilo attivo è la capacità di innovare il diritto oggettivo abrogando e modificando atti comparati; mentre il profilo passivo è la capacità di resistere alle modifiche o abrogazioni che provengono da fonti subordinate. In certi casi la forza attiva può porre in essere la modifica e l’abrogazione del livello normativo subordinato (uso particolare) ma non può accadere il contrario. Le fonti primarie sono all’interno di un sistema chiuso, poiché sono solo quelle previste dalla Costituzione, mentre le fonti secondarie sono all’interno di un sistema aperto, in quanto sono nelle mani delle fonti primarie. Criteri per risolvere contrasti tra norme è possibile che una norma sia in contrasto con un'altra norma riguardante lo stesso argomento e dello stesso ordinamento giuridico anche se sul piano teorico l’ordinamento dovrebbe essere coerente, unito. Esistono, dunque, dei criteri di risoluzione di antinomie normative: il criterio cronologico, gerarchico e di competenza. Il criterio cronologico è l’unico indicato espressamente in una disposizione, l’articolo 15 e 11 delle preleggi del Codice civile italiano del 1942. Secondo questo criterio la regola più recente prevale su quella meno recente. Questo criterio può essere applicato solamente nel caso in cui il contrasto avvenga tra norme poste tra fonti di medesima forza e competenza. La fonte precedente sul piano teorico viene abrogata, pertanto perde efficacia. L’abrogazione è la circoscrizione nel tempo dell’efficacia, cioè la capacità di esprimere la forza del proprio livello normativo, di una determinata disciplina giuridica. L’articolo 11 delle preleggi dice che la legge di oggi non incide su ciò che è stato contratto nel passato, non è retroattiva. L’articolo 15 prevede tre tipologie di abrogazione: espressa, tacita o per incompatibilità e per nuova disciplina dell’intera materia. L’abrogazione espressa è disposta direttamente dal legislatore nel testo della legge, che indica la volontà di abrogare discipline espressamente. L’abrogazione tacita si ha nel momento in cui la nuova regola ha un contenuto incompatibile con la precedente ed è accertata per via interpretativa. L’abrogazione per nuova disciplina dell’intera materia, abrogazione tacita, già regolata da una legge anteriore per cui la nuova disciplina si sostituisce a quella precedente. Il criterio gerarchico si usa in caso di fonti collocate tra di loro in subordinazione o sovraordinazione tra di loro. La regola che prevale è quella sovraordinata. La subordinata viene annullata in quanto è invalida. Gli effetti dell’annullamento sono diversi rispetto a quelli dell’abrogazione. Infatti, l’annullamento ha effetti parzialmente retroattivi e non vale solo per il futuro come l’abrogazione. Inoltre, se l’abrogazione è essere caratterizzata dalla presenza di due date, una in cui vengono prese decisioni e l’altra in cui le si redige, è caratterizzata dalla presenza del fatto con cui viene richiamato che cosa è successo e del diritto con cui il giudice motiva come è arrivato all’esito delle sue considerazioni. Le argomentazioni di questa precisa sentenza pongono un tema: la legge di revisione ha dei limiti, il testo può essere modificato ma se è il testo stesso a porre dei limiti questi vanno rispettati. Questi limiti impliciti sono per esempio i diritti inviolabili della persona umana oppure il principio di laicità. Per quanto riguarda l’articolo 138 possiamo dire che questo sia considerato come un limite logico; infatti, ci si potrebbe chiedere se sia possibile modificarlo con la procedura che esso stesso prevede rendendo la Costituzione flessibile. La risposta è no, infatti dietro a questo articolo c’è il valore di rigidità che è alla base della Costituzione. La rigidità non può essere ridotta, ma può essere ampliata. Diritto internazionale Nel 1945 nasce l’Organizzazione delle Nazioni Unite e si cerca di smontare l’idea che ciascuno stato per risolvere controversie con altri stati possa usare la guerra come strumento legittimo. Bisogna specificare, comunque, che il ricorso alle armi non è del tutto bandito, ma è permesso solo nel caso in cui si debba rispondere a un attacco illegittimo oppure nel caso in cui il consiglio di sicurezza lo approvi. Il consiglio di sicurezza è costituito da stati permanenti e stati che ne fanno parte periodicamente e a turno. Le potenze permanenti, che non sono altro che le potenze vincitrici della II Guerra Mondiale, hanno un ruolo importante e possono porre il veto su determinate decisioni. Inoltre, la Carta di San Francisco dice che quando un paese subisce un attacco può chiedere sostegno e aiuto in difesa ad altri stati. L’ONU prevede anche di disporre di un esercito proprio la cui azione deve sempre essere approvata dal consiglio di sicurezza. In realtà questo manca nella sua attuazione, infatti il consiglio di sicurezza ha sempre abilitato gli stati ad usare il loro esercito in certe situazioni. Questi principi portanti sono il motivo per cui il nostro costituente ha guardato con grande fiducia all’ordinamento internazionale tanto da far in modo che un articolo della Costituzione postulasse che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (Art. 10). Dunque, il costituente così ammette che la sovranità nazionale sia limitata in un certo senso da organizzazioni nazionali che hanno come fine l’ordine sociale. La Costituzione va letta in conformità all’ordinamento interazionale. Vi sono altri articoli che riguardano il diritto internazionale come l’articolo 11 nato in riferimento all’ONU, ma che è stato valorizzato molto per dare una giurisdizione normativa al processo di integrazione all’Unione Europea. Il diritto internazionale è un diritto a sé i cui soggetti non sono i cittadini ma gli stati, in quanto il suo fine è regolare i rapporti tra stati. I cittadini assumono un ruolo importante quando si parla di diritti umani; infatti anche a livello internazionale c’è uno standard minimo di diritti umani che deve essere garantito. A occuparsi di ciò vi è una Corte, il Consiglio di Strasburgo, che ha il potere di condannare stati chiedendo loro riconoscimenti (strumento più morale che effettivo). Le norme di diritto internazionale Le norme di diritto internazionale si distinguono in: consuetudinarie e pattizie. Le norme consuetudinarie sono regole non scritte che riguardano i comportamenti che gli stati tengono in modo uniforme da così tanto tempo che sono diventati doverosi in base a una regola mai stata scritta. Ne è un esempio l’immunità diplomatica o l’immunità di uno stato nella giurisdizione di un altro stato. Per alcuni, c’è la regola pacta sunt servanda, cioè i patti devono essere rispettati in condizioni di una situazione che rimane immutata (limitazione). L’articolo 10 della Costituzione parla di conformità dell’ordinamento italiano rispetto a norme generalmente riconosciute, che non sono altro che regole di diritto internazionale consuetudinarie. Sentenza 238 del 2014 riguarda la possibilità dei giudici italiani di condannare tedeschi per le loro azioni durante la II Guerra Mondiale. È possibile per l’Italia condannare la Germania? No, perché significherebbe mettere in discussione la parità interazionale della Germania. La Corte internazionale dell’Aja aveva condannato l’Italia per aver violato l’immunità di uno stato dalla giurisdizione di uno stato estero. Alcuni giudici, però, dubitarono che quella regola fosse conforme al nostro ordinamento giuridico perché andava a contrastare l’articolo 24 che vedeva il diritto di difesa come un principio supremo. Interviene la Corte che dice che ogni volta che si afferma una consuetudine sulla basa dell’articolo 10 si crea sul piano del diritto interno una regola italiana che ha lo stesso contenuto ma non è la stessa, solo se non viola principi supremi del nostro ordinamento. Dunque, non dichiara illegittimo nulla, perché in realtà quella regola non si è mai formata, questo per non entrare in conflitto con la Corte internazionale. Per quanto riguarda le norme pattizie non vale l’articolo 10 che è solo per le norme consuetudinarie; per i trattati vi sono delle procedure diverse e specifiche per adattare il nostro ordinamento. Come si arriva a un trattato? Innanzitutto, bisogna produrre un testo condiviso che deve essere firmato da ministri degli esteri con una cerimonia solenne. A questo punto, bisogna che avvenga la ratifica che in Italia spetta al capo dello stato. La ratifica è l’atto con cui uno stato riconosce come propri i vincoli che sono stati sottoscritti dal proprio rappresentante. Dopo di che deve essere data prova della ratifica tramite la sia deposizione. Dunque, un trattato entra in vigore quando dopo essere stato firmato e dopo l’avvenuta ratifica e la sua deposizione, si raggiunge un numero prefissato minimo di deposizioni. Non c’è l’obbligo di ratifica, in questo caso il trattato diventa efficace dopo un certo periodo di tempo. Per quanto riguarda l’efficacia delle regole internazionali, un trattato vincola l’Italia ad altri stati solo sul piano internazionale e non su quello interno. Perché il trattato assuma validità anche sul piano interno c’è bisogno che sia data esecuzione, processo da fare volta per volta e non automatico. Dunque, quando un trattato entra in vigore bisogna dargli esecuzione con legge ordinaria del Parlamento rendendo efficace sul piano interno quelle regole. L’esecuzione prevede tempi lunghi, per questo esiste un’altra procedura, quella per ordine di esecuzione sul piano interno. Infatti, per alcuni trattati su materie importanti la ratifica deve essere preceduta dall’autorizzazione da parte del Parlamento (Art.80). Per queste materie il Parlamento rischierebbe di dover intervenire due volte, allora con una sola legge fa entrambe le cose, cioè autorizza la ratifica e ne dà esecuzione alla prima data utile. Pertanto, l’esecuzione riguarda poi il momento in cui il trattato entra in vigore. La collocazione delle regole internazionali Dal 2001 le cose sono cambiate con la modifica dell’articolo 117 I comma secondo cui la legge dello stato deve rispettare i vincoli derivati dagli obblighi internazionali, cosa che non era così chiara e immediata per i trattati. Prima del 2001 la forza normativa delle regole interne aveva forza normativa di legge ordinaria, cioè era pari all’atto. Oggi non è più così, per l’articolo 117 la legge parlamentare non può contrastare quella internazionale. La legge di esecuzione ha forza passiva rinforzata, vale a dire che una legge successiva del Parlamento non potrà mettere in discussione quei vincoli previsti dal trattato internazionale, altrimenti verrà dichiarata illegittima. Una modifica è possibile solo se anche il trattato è stato modificato (espressione della limitazione alla sovranità e fiducia). Sentenze gemelle 348 e 349 del 2007: affrontano due questioni a partire da controversie diverse, ma esprimono principi giuridici uguali. La Corte individua leggi dei trattati come idealmente collocate in una zona intermedia tra la Costituzione e le leggi ordinarie. Quando una legge va contro il trattato internazionale viola l’articolo 117 del 2001. Le leggi di esecuzione dei trattati devono essere completamente coerenti con la Costituzione a cui sono subordinati. Le norme scritte nei tratti, infatti, non sono parte automatica del nostro ordinamento, ma perché ne facciano parte è necessaria una legge di esecuzione che è subordinata all’intera Carta costituzionale. Lo strumento con cui la Corte dichiara illegittime le leggi di esecuzione del trattato è puramente teorico, se così non fosse metterebbe fuori dai vincoli internazionali il nostro paese. rappresentato dai principi supremi della nostra Costituzione. Questi sono definiti controlimiti. La modalità di espressione del primato del diritto dell’Unione cambia nel corso degli anni e lo dimostra la sentenza 170 del 1984. Quando un qualsiasi giudice deve risolvere conflitti tra regolamento e legge nazionale deve dare precedenza al diritto comunitario. La norma interna è sospesa della sua efficacia finché quella determinata materia è occupata dal regolamento dell’Unione pur rimanendo efficace e valida. Questo non vale per le norme dell’Unione non direttamente applicabili, in quel caso se la norma interna contrasta con la direttiva si solleva una questione di illegittimità data la violazione dell’articolo 11 e 117 I comma. La riforma costituzionale del 2001 prevederebbe che se la legge nazionale contrasta con un regolamento viola l’articolo 117. In realtà non è così, sarebbe come fare un passo indietro. In più, l’articolo 117 non dà fondamento alla nostra partecipazione all’UE. L’ordinamento fa valere i controlimiti dichiarando illegittima la legge di esecuzione dei trattati dell’Unione che consentirebbe di applicare quello specifico trattato. Questo è un caso difficile perché quegli stessi principi fanno parte anche dell’Unione. LEGGE ORDINARIA DELLO STATO La seconda sezione della seconda parte della Costituzione riguarda la formazione delle leggi ordinarie di cui si occupa il Parlamento, costituito da un sistema bicamerale paritario (come previsto dall’articolo 70). Il procedimento legislativo prevede cinque fasi: iniziativa legislativa, istruttoria, discussione/deliberazione, promulgazione e pubblicazione. Iniziativa legislativa: Secondo l’articolo 71 della Costituzione sono titolari dell’iniziativa legislativa: • Governo • Deputati o Senatori • Popolo (II comma) L’articolo 121 al II comma prevede anche che lo siano i consigli regionali e per l’articolo 99 lo è il Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro (CNEL), abilitato in un ambito più ristretto, quello riguardante il lavoro. Sempre secondo l’articolo 71 l’iniziativa legislativa deve essere presentata con un progetto redatto in articoli, come fosse una potenziale legge. Spesso le iniziative portate avanti dal governo riscuotono più successo rispetto a quelle portate avanti dai singoli deputati o senatori poiché hanno maggiore e rapida approvazione. Fase istruttoria L’istruttoria si svolge all’interno delle commissioni permanenti che svolgono un lavoro preparatorio rispetto alle decisioni che verranno prese successivamente. Le commissioni permanenti raggruppano un numero limitato di deputati e sono suddivise per materia. Alcune proposte, però, incidono su più ambiti, così spetta al presidente dell’assemblea assegnarle alle diverse commissioni. Innanzitutto, viene individuata la commissione della materia principale a cui il presidente dell’assemblea assegna la proposta, le altre commissioni forniscono un loro parere. Sono tre le commissioni che hanno un ruolo prevalente e il loro parere è sempre obbligatorio anche se non vincolante: o I commissione: affari costituzionali o V commissione: bilanci o XIV commissione: politica dell’Unione Europea La commissione, dato che su un tema possono esserci diverse soluzioni, lavora per arrivare alla stesura di un unico testo unificato, che può anche essere il risultato della fusione di più testi proposti. Dunque, la commissione discute, fonde e modifica testi presentati con il fine di proporre un unico testo all’assemblea. Le valutazioni non sono solo di natura politica, ma anche tecnica; infatti, bisogna individuare quale sia la soluzione più valida svolgendo audizioni con tecnici in cui si ascoltano le varie proposte. L’ultimo passaggio prima dell’inizio della discussione è l’approvazione del testo a cui segue la nomina di un relatore che illustra in assemblea le tappe dell’istruttoria. È espressione della maggioranza. Può succedere che l’opposizione non sia per nulla d’accordo con il testo proposto dalla maggioranza, quindi, può chiedere un relatore della minoranza che spieghi le ragioni per cui non concorda. C’è la possibilità che si facciano ancora delle modifiche in questa fase. A questo punto inizia la vera e propria discussione. Discussione o deliberazione Si inizia poi la discussione del disegno di legge come prescritto dall’articolo 72 per il quale ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale. A questo punto si possono presentare gli emendamenti da parte di senatori o deputati, governo o relatori. Le proposte di modifica si votano prima dei singoli articoli che potrebbero poi essere eliminati o sostituiti (emendamenti sostitutivi e modificatori). Bisogna votare gli emendamenti in ordine: prima i più incisivi. Vi sono delle modalità per rallentare l’approvazione da parte della maggioranza, cioè le pratiche ostruzionistiche. Ad esempio, negli anni 70- 80 il partito Radicale compie delle vere e proprie maratone oratorie in quanto si poteva parlare senza poter essere interrotti su qualunque tema per tutto il tempo che si restava in piedi. A seguire vi erano le votazioni dei singoli articoli e successivamente la votazione del testo nel suo insieme comprese le modifiche. A questo punto si esaurisce il processo legislativo. A questo punto il presidente della Camera (esempio) manda con un messaggio il disegno di legge approvato all’altro ramo del Parlamento, in questo caso il Senato. A questo punto anche in Senato avranno luogo i procedimenti già avvenuti nella Camera. La commissione può modificare il testo già approvato dalla Camera. Se il Senato approva un testo diverso il presidente invia il testo modificato alla Camera perché sia approvato ridiscutendo solo le modifiche avvenute. Questo procedimento si chiude nel momento in cui i due rami parlamentari concordano sullo stesso testo. Esistono delle varianti procedurali previste dal III comma dell’articolo 72 per cui regolamenti parlamentari possono stabilire in quali casi è possibile prevedere che la commissione svolga sia l’esame che la votazione, che spetterebbe all’Assemblea, cosa che semplifica e riduce i tempi. Esistono variabili di due tipi: ▪ Commissione in sede redigerete: alla commissione spetta discutere e approvare gli emendamenti, mentre all’assemblea spetta il voto sull’intero testo senza avere la possibilità di proporre modifiche, ma solo quella di approvare o respingere. ▪ Commissione in sede deliberante: tutta la procedura legislativa si svolge in Commissione e l’Assemblea ne è esclusa. Si tratta di varianti incisive per questo fino all’approvazione il procedimento è reversibile se richiesto dal governo, 1/5 dei componenti della Commissione e 1/10 dei componenti dell’Assemblea. Bisogna specificare, però, che queste variazioni non sono sempre possibili: la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi. Promulgazione Per l’articolo 73 le leggi approvate sono promulgate dal capo dello stato entro un mese. Il periodo può accorciarsi in caso che la legge abbia ottenuto l’approvazione a maggioranza assoluta e per urgenze si abbia la necessità di una promulgazione più veloce. il Parlamento approfittarsi dei 60 giorni per introdurre emendamenti che non avevano alcun riferimento al decreto. Ne è un esempio la sentenza 34 del 2014 che riguardava dei provvedimenti presi per le olimpiadi invernali del 2006 convertito in legge con emendamenti che riguardavano droghe leggere e pesanti. La Corte dichiara illegittima questa parte perché non omogenea al decreto né dal punto di vista contenutistico né dal punto di vista teleologico. Il decreto legislativo è disciplinato dall’articolo 76 e dal I comma dell’articolo 77. La capacità del governo di adottare decreti legislativi presenta a monte la richiesta da parte del Parlamento che con una legge sancisce che il governo abbia la possibilità di adottare uno o più decreti legislativi. Questo accade perché il Parlamento è ben consapevole che a volte intervengono in settori di rilevante ampiezza e di rilevante complessità tecnica. Secondo l’articolo 76 le leggi di delegazione devono avere un tempo limitato entro cui il governo deve esercitare la possibilità di adottare decreti legislativi; scaduto questo termine questa possibilità non c’è più. Inoltre, devono avere oggetti determinati indicati dal Parlamento per chiarire la materia specifica in cui il governo può intervenire. Il governo deve assolutamente rispettare le indicazioni del Parlamento che riguardano i principi a cui si dovrà ispirare quando adotterà il decreto legislativo e i criteri direttivi che sono più puntuali. L’articolo 14 della legge 400 del 1988 chiarisce come si arriva ai decreti legislativi. Innanzitutto, l’iniziativa legislativa parte dal governo che ha l’intenzione di farsi dare competenza su certe materie. Dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri si ha l’emanazione da parte del capo dello stato e la conseguente pubblicazione. Il contenuto della legge di delegazione è all’interno dell’articolo 76, ma la legge 400 evoca altri vincoli al governo prescritti nella singola legge di delegazione. Comunque, il contenuto obbligatorio riguarda il termine entro cui deve avvenire l’emanazione da parte del capo dello stato a cui il testo deve essere inviato almeno 20 giorni prima perché lo possa emanare in tempo. Come previsto dal III comma se la legge riguarda più materie e oggetti il governo può adottare anche più decreti legislativi informando il Parlamento dei criteri utilizzati nella suddivisione delle materie. Il decreto che verrà adottato deve sempre rispettare i criteri e i principi dati dal Parlamento e previsti dall’articolo 76, nel caso in cui ciò non accade il decreto viene considerato illegittimo proprio perché viola l’articolo 76 della Costituzione. Il governo, poi, deve rispettare anche gli altri vincoli presenti e prima di deliberare deve ottenere il parere del Parlamento riguardo il rispetto di questi ultimi, cosa che è obbligatoria anche se questi pareri non sono vincolanti. Se non viene chiesto il parere il decreto è considerato illegittimo perché contrasta lo schema previsto dall’articolo 76. Il IV comma prevede che In ogni caso, qualora il termine previsto per l'esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati. Si tratta di una previsione legislativa quindi una successiva legge di delegazione può abrogarla. Vi sono, poi, decreti legislativi integrativi e correttivi che appunto correggono o integrano ciò che si era scordato entro sei mesi dalla deliberazione dei decreti legislativi. Sono consentiti dalla singola legge di deroga, ma non è possibile tramite questi cambiare l’intero testo del decreto legislativo. Riserva di legge Si ha riserva di legge ogni volta che la Costituzione riserva alla legge di disciplinare una determinata materia, poiché alcune materie sono sensibili e sulla stessa vuole che si esprima l’assemblea rappresentativa del popolo. La riserva di legge ha finalità garantistica. Le riserve sono presenti soprattutto nella parte della Costituzione che riguarda i diritti. Le riserve possono essere soddisfatte anche da atti del governo equiparabili alla legge parlamentare in cui il Parlamento interviene sempre o prima (decreto legislativo) o dopo (decreto legge). Non tutte le riserve di legge sono uguali tra di loro, cambia la loro formulazione linguistica. Esse si dividono in: o Riserve di legge assolute: la legge disciplina la materia totalmente e non c’è spazio per fonti secondarie. Ne è un esempio l’articolo 13 o Riserve di legge relative: sono soddisfatte anche quando la legge è generale. Esempio: articolo 23 o Riserve di legge rinforzate in cui si impone al legislatore un certo tipo di disciplina. Esempio articolo 16 o 21 o Riserve di legge semplici Referendum abrogativo Il referendum è uno strumento di democrazia diretta in grado di modificare e abrogare leggi e atti con forza di legge a livello primario, esso però non ha effetti di innovazione sul nostro ordinamento giuridico; infatti, il referendum non può aggiungere nuove regole ma può solo abrogare le precedenti. Dunque, il referendum ha una duplice valenza, da un lato è un’anomala fonte di diritto, in quanto innova per sottrazione, dall’altra è uno strumento di democrazia diretta. Il nostro ordinamento è costituito prevalentemente da una democrazia rappresentativa, cosa che si basa sulla pericolosità di un'eccessiva democrazia diretta in riferimento al regime autoritario del secolo scorso. La legge determina le modalità di referendum attuato la prima volta nel 1970, cosa che dimostra la diffidenza nei confronti di questo istituto. Nel 1970 si approva la legge sul divorzio e la legge riguardo il referendum. Questo accade perché il partito maggioritario, la democrazia cristiana, era contrario al divorzio ma all'interno del Parlamento si era creata una corrente trasversale che ne era favorevole. Così si cede a questa maggioranza trasversale, ma si chiede che si è attivata la legge sul referendum, che si ha solamente nel 1974. L’iniziativa perché sia indetto un referendum è possibile che parta o da 5 consigli regionali o da 500 mila cittadini che devono elaborare una bozza di richiesta comune da proporre. Il modo che certifica la volontà da parte del popolo che sia indetto un referendum è la raccolta firme. La legge prevede che sia istituito un testo comune che devono sottoporre al popolo. L’ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione riceve i quesiti che i titolari dell’iniziativa vogliono proporre. Il quesito va depositato presso questo ufficio che si occupa di individuare un titolo adatto al contenuto della richiesta. Dopo di che parte la raccolta firme che va effettuata entro tre mesi. Le firme devono essere tutte valide e certificate allegando per ciascuna il certificato di iscrizione della persona in questione a una lista elettorale. Chi controlla che la procedura sia regolare e che le firme siano valide è sempre l’ufficio centrale per il referendum. Per quanto riguarda le tempistiche: entro aprile va depositato il quesito, dopo di che partano i tre mesi per la raccolta firme in seguito ai quali l’ufficio si esprime sulla loro validità. A questo punto, interviene la Corte costituzionale che giudica l’ammissibilità del referendum rispetto ai limiti costituzionali pronunciandosi entro i primi mesi dell’anno. I limiti costituzionali espressi sono presenti al II comma dell’articolo 75 e riguardano decisioni legislative fondamentali per il paese che richiedono valutazioni ponderate in assemblea legislativa (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali). Per quanto riguarda l’amnistia e l’indulto, queste sono provvedimenti di clemenza generalizzata disciplinati dall’articolo 79 modificato nel 1992. Vi sono, però, anche dei limiti impliciti individuati dalla Corte costituzionale nella sentenza 16 del 1978 dove spiega che vanno considerati limiti impliciti tratti dalla Costituzione, in quanto ci sono valori e principi che devono essere tutelati e che il referendum non può mettere in discussione: ❖ Richieste che non riguardano atti legislativi dello stato aventi forza di legge ordinaria. ❖ Disposizioni legislative ordinarie a contenuto costituzionale vincolato per cui non c’è libera scelta del legislatore. ❖ Categorie di legge espresse dall’articolo 75 e disposizioni strettamente legate ad esse ❖ Più domande eterogenee che mettono l’elettore davanti a una scelta forzata rendendo il suo voto non più libero fino in fondo. Esempio: abrogazione di circa cento articoli del codice militare di guerra. • parere del Consiglio di Stato, un organo chi ha una duplice funzione da un lato sta a indicare il giudice amministrativo di secondo grado, dall'altro funge da organo di consulenza tecnico giuridica. • emanazione da parte del capo dello Stato • pubblicazione e successiva entrata in vigore I regolamenti governativi possono essere di esecuzione, di attivazione/integrazione, di indipendenza o di organizzazione. Per quanto riguarda le prime due tipologie, queste sono diverse pur avendo stessa procedura di adozione. I regolamenti di esecuzione danno esecuzione a leggi, decreti legislativi e ai regolamenti comunitari. Questi si limitano a rendere tecnicamente attuabile una norma già completa. I regolamenti di attuazione attuano e integrano leggi e decreti legislativi recanti norme di principio. Dunque, integrano una fonte primaria di una disciplina che non è completa. I regolamenti di organizzazione sono caratterizzati dal fatto che disciplinino le pubbliche amministrazioni. I regolamenti indipendenti intervengono in materie in cui manca disciplina da parte di leggi e atti con forza di legge. Possono intervenire indipendentemente dalla disciplina primaria. Se una certa materia è libera da fonte primaria ma prevede una riserva non si può adottare un regolamento indipendente. Si tratta di un modello previsto sul piano teorico ma difficile da trovare sul piano fattuale. Il secondo comma dell'articolo 17 riguarda la delegificazione, cioè il processo per cui una materia prima oggetto di normazione primaria diventa oggetto di disciplina secondaria. Questo processo permette un'aggiunta della materia più rapida, infatti è necessaria solo una riunione dei ministri. Per quanto riguarda il processo bisogna specificare che delle leggi lo devono autorizzare e devono indicare un quadro di valori di riferimento a cui il governo deve tenere fede, cioè norme generali regolamentari della materia. Queste leggi di autorizzazione da un lato vincolano il governo, mentre dall'altro abrogano la disciplina legislativa vigente in quella materia. Gli effetti dell'abrogazione sono rimandati al giorno in cui entrerà in vigore il regolamento, fonte secondaria. Nella prassi questo schema non viene sempre rispettato, ad esempio può succedere che non venga individuata in maniera puntuale la norma legislativa abrogata. Un'altra fonte secondaria è data dalle consuetudini, queste hanno efficacia solo se il diritto scritto di qualunque livello la richiami. Sono ammissibili consuetudini costituzionali e consuetudini secundum legem, che sono coerenti e compatibili con le previsioni legislative. Non sono ammesse le consuetudini contra legem e secondo alcuni nemmeno le consuetudini preter legem. Le consuetudini si caratterizzano per due elementi: l'elemento materiale o oggettivo che consiste nella costante ripetizione nel tempo di un comportamento da parte di consociati e l'elemento soggettivo o ideale che è la convenzione che quel comportamento sia doveroso è obbligato sulla base di una regola giuridica. Non basta solo l'elemento oggettivo serve anche quello soggettivo. Mozione di sfiducia e questione di fiducia La costituzione prevede anche che il Parlamento possa sfiduciare il governo con votazione ad appello nominale e con mozione motivata prevista nell'articolo 92 al secondo comma. Il governo però non viene sfiduciato semplicemente se una sua proposta viene rifiutata dal Parlamento. Inoltre, può decidere di dimettersi autonomamente, ma è costretto a farlo soltanto se il Parlamento vota la mozione di sfiducia che deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni, periodo in cui è consentito alle forze politiche di ricucire lo strappo dato dalla notizia. La mozione di sfiducia prevede una maggioranza semplice se alla camera sono presenti il 50%+1 dei deputati. Nel settembre 1946 Perassi presenta l'ordine del giorno in cui si diceva che l'Assemblea costituente tra i vari modelli di governo avesse deciso che quello più adeguato fosse quello parlamentare. L’Assemblea costituente, dunque, doveva introdurre un meccanismo per evitare le degenerazioni del parlamentarismo, data la memoria delle esperienze con la Repubblica di Weimar e quella italiana. Fino ad oggi nessun governo è mai caduto in seguito a una mozione di sfiducia collegiale. Infatti, il motivo principale per cui i governi sono caduti è extraparlamentare. Fino ad oggi il governo si è dimesso per motivi politici diversi: per esempio alcune forze politiche non volevano più sostenere il governo oppure nel corso della legislazione vi è stata una votazione comunale o regionale che ha fatto emergere il cambiamento dei rapporti di forza da cui si è dedotto che il consenso tra il popolo fosse diminuito. Ci sono stati due casi in cui il governo ha proposto la questione di fiducia e in seguito ad essa è caduto. La questione di fiducia essendo di iniziativa governativa è completamente diversa rispetto alla mozione di sfiducia di iniziativa parlamentare. La questione di fiducia è un atto del governo con cui esso annuncia solennemente che subordinerà la sua permanenza in carica all'esito di una votazione. In questo caso il voto assume un significato fiduciario. Questo atto governativo serve a ricompattare la maggioranza ed è uno strumento molto utilizzato proprio perché è un modo con cui si ha la certezza dei tempi dell'approvazione delle leggi come la legge di bilancio. Si tratta quindi di uno strumento anti-ostruzionistico, che può anche essere utilizzato per rigettare proposte parlamentari. I due casi in cui la questione di fiducia è stata respinta sono entrambi legati alla fine nel governo Prodi. La questione di fiducia si è affermata in via di prassi ed è disciplinata all'interno dei regolamenti parlamentari a partire dal 1971. È possibile poi quella che è una sfiducia individuale nei confronti di un ministro. Questo è il caso del ministro Mancuso (sentenza 7/1996) che era apertamente in disaccordo rispetto alle delibere del Consiglio dei ministri e aveva adottato atti non condivisi dalla maggioranza. In seguito a questa situazione gli era stato chiesto di rassegnare le dimissioni dato che il Senato lo aveva sfiduciato. Mancuso ha l'obbligo di dimissioni ma solleva il conflitto di attribuzione verso il Senato, il presidente del consiglio il presidente della Repubblica. Infatti, l'allora presidente del consiglio vista la situazione aveva chiesto al presidente della Repubblica di trasferire ad interim il ministero della giustizia sotto la sua responsabilità. La Corte costituzionale dice che la mozione di sfiducia è implicita ed è incoerenza con la forma di governo a prescindere che sia prevista dal regolamento del Senato è una consuetudine costituzionale in parte codificata all'interno della Camera. Da questa sentenza possiamo anche capire come in realtà il presidente del Consiglio non possa sostituire uno dei suoi ministri senza passare dalla mozione di sfiducia, cioè non ha potere di revoca. IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA La nostra forma di governo è definita parlamentare, in quanto il Governo senza il sostegno della maggioranza del Parlamento non può agire. Nel caso in cui il Governo si ritiri non sempre si ha lo scioglimento delle Camere, infatti questo non avviene se la maggioranza del Parlamento dà il proprio appoggio a un’altra forza politica. Ogni volta che il Governo si dimette il Presidente della Repubblica lo invita a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti e delle vicende più urgenti. Il Presidente accetta le dimissioni nel momento in cui nomina un altro direttivo. Il processo di formazione del Governo è dato da norme consolidatesi sin dal 1948 e che sono diventate consuetudini costituzionali. Alcuni articoli della Costituzione regolano in parte questo procedimento. L’articolo 92 prevede che il capo dello stato nomini il Presidente del Consiglio e su consiglio di quest’ultimo i ministri. Secondo l’articolo 94 il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Non vi è traccia, però, di come il Presidente della Repubblica arrivi a individuare il presidente del Consiglio. Infatti, ci si può trovare davanti a situazioni diverse: un Governo nuovo che succede il precedente nella stessa legislatura o un Governo che nasce in seguito alle elezioni. Entrambe queste situazioni incidono sulla scelta del Presidente del Consiglio. Innanzitutto, il Presidente della Repubblica dà il via a quelle che vengono chiamate consultazioni presidenziali, in cui, appunto, si consulta prima con gli ex Presidenti della Repubblica, poi con i presidenti della Camera e del Senato che esprimono il loro punto di vista, i rapporti di forza e gli I DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UOMO I diritti fondamentali dell’uomo sono stati inseriti all’interno delle Carte costituzionali come reazione dei rivoluzionari liberali allo stato assoluto. L’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dice che ogni società i cui poteri non sono divisi e i diritti non sono garantiti non ha una costituzione. Inoltre, va specificato che i diritti all’interno della costituzione hanno una posizione privilegiata e sono collocati ancora prima dell’organizzazione dello stato. Il nostro costituente parte dall’articolo 2 per scrivere la parte dedicata ai diritti definiti inviolabili, in quanto si impongono ai cittadini stessi e allo stato e visto che sono sottoposti a garanzie. I diritti dell’uomo sono: ✓ Inalienabili: non possono essere trasferiti per atto di autorizzazione privata ✓ Imprescrittibili: non si perde la possibilità che uno di questi diritti sia riconosciuto se l’individuo non lo esercita. Ne è un esempio la libera associazione. ✓ Assoluti: possono essere fatti valere nei confronti di tutti, anche verso la pubblica autorità. Vi è poi una classificazione dei diritti: o Diritti civili: sfere di autonomia individuale dei singoli rispetto alle azioni dello stato, che per questo motivo sono anche chiamati diritti dallo stato. Si tratta di diritti di I generazione e sono il nucleo di diritti presenti già nello Statuto albertino. o Diritti politici: si affermano in contemporanea rispetto ai diritti civili, ma hanno un’estensione e diffusione più accidentata. Basta pensare al diritto di voto. Sono diritti di II generazione e vengono anche definiti diritti nello stato perché rappresentano l’impegno dei singoli alla partecipazione attiva nello Stato. o Diritti sociali: nascono con la Rivoluzione industriale quando emergono nuovi bisogni e richieste. Sono anche definiti libertà mediante lo stato, infatti esso deve farsi carico con interventi attivi della tutela di questi diritti. Basta pensare ai servizi sanitari, scolastici. Sono diritti che hanno un costo maggiore rispetto agli altri in quanto sono diritti di prestazione. Vi sono poi diritti di IV generazione legati a convenzioni internazionali da cui emergono tutele e bisogni aggiuntivi rispetto a quelli indicati dal costituente nel 1948. A tutela di questi abbiamo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, dove l’aggettivo europea è attinente a un concetto geografico, e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che inizialmente era un documento di importanza politica ma di dubbia valenza vincolante, ma che con il Trattato di Lisbona (2009) rappresenta lo standard da rispettare in materia di diritti umani, dunque assume lo stesso valore di un trattato. Il suo linguaggio è più elaborato rispetto a quello della Convenzione europea, che in certi punti viene ripresa, mentre in altri vengono evocati nuovi diritti come quelli legati alla tecnologia (tutela dei dati in rete). L’idea che emerge da questa carta è quella di una società multiculturale che promuove la diversità e la pluralità (attenzione a disabilità, tutela dell’ambiente…). L’articolo 51 stabilisce che la Carta si applica alle istituzioni e agli organi dell’Unione e agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Tornando all’articolo 2 della nostra Costituzione bisogna specificare l’interpretazione del concetto di diritti inviolabili dell’uomo. A questo proposito vi sono due diverse interpretazioni: • Si tratta di una clausola riassuntiva dei singoli diritti che la Costituzione disciplina dall’articolo 13 al 54. • È una norma a fattispecie aperta (interpretazione di A. Barbera). Vi è un richiamo anche a una categoria più ampia di nuovi diritti emersi dal 1948 in poi. Si tratta, quindi, di una copertura a nuovi diritti che non sono espressamente scritti nella Costituzione. Tutti questi diritti costituzionali spettano secondo l’articolo 2 a ciascun essere umano, ma si può notare che il costituente nella seconda parte della Costituzione, che si intitola diritti dei cittadini, faccia uso in alcuni articoli dell’impersonalità, mentre in altri specifichi che determinati diritti spettano ai cittadini. In dottrina ci sono interpretazioni diverse, secondo alcuni questi diritti spettano con tutela costituzionale solo ai cittadini, secondo altri spettano alle persone in generale indipendentemente dalla loro cittadinanza. A questo punto si apre una questione ancora calda oggi riguardo alla condizione giuridica degli stranieri. La condizione giuridica degli stranieri è necessariamente disciplinata da norme legislative specifiche adottate nel rispetto dei trattati internazionali. C’è un patrimonio di diritti che spetta a tutti gli esseri umani indipendentemente dalla loro cittadinanza, si tratta dei diritti di più antica generazione, cioè dei diritti civili. Altri diritti, invece, come è ragionevole che sia spettano solo ai cittadini come quelli politici (diritto al voto). In merito alla differenza tra cittadini e stranieri la Corte si è espressa nella sentenza 104 del 1969. Infatti, in questa sentenza veniva contestato che vi fosse una diversità tra cittadini e stranieri rispetto alla libertà di domicilio per cui questi ultimi dovevano essere registrati alla questura. La corte trova una certa ragionevolezza in questa procedura e la dichiara legittima perché fondata sulla necessità razionale di poter raggiungere lo straniero ovunque si trovi e ciò non solo allo scopo di sottoporlo a controllo, ma anche di assicurargli nelle forme di assistenza che gli sono dovute, ad esempio fornendogli informazioni e notizie urgenti con le quali le sue autorità consolari intendano raggiungerlo. Dunque, in linea di massima si può affermare che c’è un nucleo di diritti costituzionali previsti per tutti, altri che, invece, spettano solo ai cittadini, ma possono essere estesi anche agli stranieri attraverso norme modificabili con successive norme di legge (esempio le leggi sull’immigrazione). Inoltre, bisogna considerare che i cittadini degli stati membri dell’Unione Europea siano considerati anche cittadini dell’Europa. Questo vincolo di cittadinanza è possibile se si considerano gli stretti legami che vigono tra gli stati dell’Ue. Dunque, va fatta una distinzione tra cittadini italiani, cittadini europei che si trovano per motivi diversi (lavoro, studio) in Italia e stranieri. Con il decreto legislativo numero 286 del 1998 si fa proprio riferimento alla capacità legislativa di regolare la condizione giuridica dello straniero. Agli stranieri spetta un patrimonio di diritti inviolabili indipendentemente che siano regolari o meno. Al comma 2, però, viene specificato che lo straniero regolare gode anche dei diritti civili del cittadino italiano, dunque possiede un nucleo più ampio di diritti. Riguardo l’eventuale espulsione dello straniero, l’articolo 13 della Costituzione prevede che esso sia possibile solo in seguito a un provvedimento di un giudice scritto nella lingua dello straniero in modo tale che si possa difendere. Riguardo all’ingresso all’interno dello stato da parte di stranieri, ciascuno stato è sovrano nelle decisioni di tali modalità sempre in coerenza con i vincoli europei. Tutto questo non vale per gli stranieri che scappano da situazioni di pericolo quali guerre e persecuzioni, infatti vi è l’urgenza di dar loro tutela e protezione. Non tutti gli stranieri hanno i requisiti per ottenere lo status di asilo, per cui è richiesta una procedura di controllo lunga e complessa da cui derivano anche problemi legati al dove e come ospitare nel frattempo queste persone. La cittadinanza viene più volte citata nella Costituzione, che, però, non specifica come essa possa essere ottenuta o persa, anche perché in questo caso il concetto di irrigidirebbe troppo. L’articolo 22 postula che nessuno può essere privato della propria cittadinanza per motivi politici. Questo articolo fa sicuramente riferimento alle leggi raziali presenti instaurate in Italia nel 1938. Con la legge 91 del 1992, che sostituisce la legge del 1912, vediamo che l’attuale legislazione prevede tre modalità per ottenere la Costituzione: ▪ Nascita: si tratta di una modalità ispirata allo ius sanguinis per cui basta che uno solo dei genitori del neonato sia italiano perché anche quest’ultimo lo sia e che presenta correttivi dello ius soli per cui chi nasce da genitori ignoti o apolidi le distanze dall’organizzazione criminale a cui prima appartenevano. La Corte europea dei diritti dell’uomo per questo motivo ha condannato l’Italia nel 2019, cosa che ha aperto un problema di compatibilità con le norme interazionali non previsto dall’articolo 117. La Corte nel 2021 decide di rinviare di un anno la decisione riguardo la legittimità dell’ergastolo ostativo in modo tale che si potesse dare più tempo al Parlamento di intervenire per trovare una soluzione a questo strumento così efficace contro le mafie. Passato un anno, ancora nessuna decisione era stata presa dal Parlamento, il disegno di legge che riguardava l’argomento era stato approvato solo dalla Camera, per questo si è deciso di rinviare a un ulteriore anno la sentenza. Se il Parlamento non interviene la Corte deve dichiarare illegittima la disciplina attuale vista la condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. La nuova legislatura ha preso dei provvedimenti intervenendo con il decreto legge 162/2022. È stato stabiliti che anche se il soggetto non dovesse collaborare con le forze dell’ordine, ma è oggettivo che non abbia più contatti con quella determinata organizzazione criminale e che abbia tenuto sempre un comportamento corretto può comunque accedere ai benefici penitenziari. Si tratta di un decreto che riprende il disegno di legge approvato dalla Camera. La libertà di circolazione La libertà di circolazione è sancita dall’articolo 16, che prevede anche legittime limitazioni che possono essere adottate anche dall’autorità amministrativa e non necessariamente quella giudiziaria. Il contenuto di questo articolo riguarda la libertà di muoversi, di uscire ed entrare dal Paese, di fermarsi e individuare un proprio luogo di soggiorno o abitazione. I casi in cui la libertà di circolazione è limitata sono legati alla sanità e alla sicurezza (quarantena, misure di sicurezza…). Si tratta di una riserva di legge rinforzata ed è particolare il fatto che sia scritto “in via generale” secondo alcuni questo fa riferimento al fatto che vi sia pari efficacia per tutti, secondo altri è l’espressione della preoccupazione del costituente di prendere provvedimenti che facciano parte di una categoria collettiva. Inoltre, la riserva specifica anche che i casi di limitazione non possono essere ricondotti a motivi politici, questo viene chiaramente esplicitato vista l’esperienza passata del sistema precedentemente instaurato in Italia. Il cittadino, titolare di questo diritto, ha libertà di espatrio salvo obblighi previsti dalla legge; è il caso, per esempio, di obblighi legati al servizio militare obbligatorio oppure (art.30) gli obblighi dei genitori nei confronti dei figli. L’articolo 35, poi, riconosce la libertà di emigrazione, un espatrio con specifiche finalità, quali trovare un lavoro per dare sostegno a sé e alla propria famiglia. Il diritto di domicilio L’articolo 14 prevede che il domicilio sia inviolabile. Con domicilio si intende qualunque luogo in cui una persona può rinchiudersi separandosi dall’esterno a qualsiasi titolo per svolgere la propria personalità. La limitazione a questo diritto è prevista nei casi e modi previsti dalla legge, che ne è garante insieme alla riserva giurisdizionale (atto motivato da parte dell’autorità giudiziaria). In casi di urgenza possono intervenire le forze dell’ordine con un’azione che dovrà essere convalidata entro 48 ore dal giudice. Esiste anche un domicilio informatico legato ai documenti che inseriamo in rete. La riserva giurisdizionale viene meno nell’ultimo comma in specifiche situazioni: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”. In questo caso abbiamo provvedimenti presi dall’autorità amministrativa. Libertà di comunicazione privata L’articolo 15 prevede che la libertà di comunicazione privata sia un diritto inviolabile e che prevede legittime limitazioni garantite dalla riserva di legge e da quella di giurisdizione. Ciascuno di noi ha diritto alla libertà di comunicazione privata, il cui esercizio è plurimo; infatti le relazioni comunicative avvengono interagendo con più soggetti. La vera tutela di questo diritto è la segretezza, infatti nessuno diverso dai soggetti coinvolti può accedere a quel flusso comunicativo. L’articolo 15 tutela tutte le forme di comunicazione. Al contrario dell’articolo 13 e del 14 non sono previsti casi di urgenza in cui le forze dell’ordine possono intervenire. Inoltre, nel momento in cui un soggetto viene intercettato, la sua limitazione comporta la stessa cosa anche per gli altri coinvolti. Si tratta di un atto invasivo che limita la libertà di un numero illimitato di soggetti. Per questo motivo è necessario un atto motivato di un giudice. Tra l’articolo 15 e il 21 si collocano i social, per cui se un messaggio è diretto a un solo soggetto è tutelato dall’articolo 15, se, invece, è espressione di un pensiero pubblico lo è dall’articolo 21. Bisogna anche specificare che invii massivi di mail a un numero molto alto di soggetti, soprattutto a scopi promozionali, hanno finalità diverse dalle conversazioni private. Rientrano in questo discorso anche i tabulati telefonici, ciascun gestore deve tenere questi dati esteriori per un certo numero di mesi. Da essi si trae durata, ora e numero telefonico della chiamata. Non si può risalire al contenuto, ma alla collocazione spaziale in cui si trovava l’apparecchio dotato di SIM al momento della chiamata sì. L’acquisizione dei tabulati può avvenire per decreto di un pubblico ministero. Libertà di manifestazione del proprio pensiero Si tratta di una libertà prevista dall’articolo 21. Il tema è particolare, in quanto presupposto che alimenta il circuito democratico. Il primo e l’ultimo comma riguardano il tema in maniera generale, la parte centrale è più specifica che fa riferimento alla stampa periodica, che era lo strumento più utilizzato all’epoca. Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con diversi mezzi di diffusione con la finalità di raggiungere un numero più grande di persone possibile (differenza rispetto alle conversazioni private). Oltre al diritto di informare sono previsti il diritto di essere informati, a cui si lega il tema dell’importanza dell’imparzialità e della completezza delle informazioni che sono a disposizione di tutti (canali televisivi), e il diritto di informarsi, cioè di poter consultare documenti per trarne le informazioni volute. Il limite presente riguarda il buon costume, cioè il comune senso del pudore nella sfera sessuale, cosa che affonda le radici nella morale comune. Vi sono, però, anche dei limiti impliciti che sono riconducibili a due categorie diverse: il rispetto verso altre libertà (diritto all’onore) e l’interesse pubblico (segreto di stato). In particolare, vietare un’opinione di per sé contrasta con l’articolo 21. Vi sono delle limitazioni nel caso in cui il pensiero viene espresso in modo da suscitare un comportamento violento in chi ascolta. Dunque, non basta che l’idea sia espressa, essa deve determinare una certa reazione. Fare apologia è un delitto di opinione. Il diritto di riunione e il diritto di associazione Si tratta in entrambi i casi di diritti politici legati all’impegno partecipativo. Vi sono, però, delle differenze tra queste due libertà: ❖ La riunione è temporanea mentre le associazioni durano per un tempo che è potenzialmente illimitato (finché i soci lo vogliono) ❖ La riunione non è caratterizzata da vincoli giuridici presenti, invece, nell’associazione che presenta diritti e doveri per gli associati. Le due libertà sono distinte ma possono essere cumulate, per cui può esserci una riunione di soci, ma non bisogna per forza essere soci per riunirsi. Gli articoli di riferimento sono 17 (riunione) e 18 (associazione)
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