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Appunti di diritto della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Appunti di Diritto fallimentare

Appunti inerenti il nuovo Codice della crisi d'impresa ed integrati con Nigro-Vattermoli "Diritto delle crisi d'imprese"

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 20/09/2022

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Scarica Appunti di diritto della crisi d'impresa e dell'insolvenza e più Appunti in PDF di Diritto fallimentare solo su Docsity! 23/02/2022 Nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (entrata in vigore Maggio 2022). Si riferisce a tutti i debitori: grandi imprenditori commerciali, piccoli imprenditori e imprenditori agricoli, soggetti non imprenditori professionisti (debitore civile). Il D.L.118/2021 ha differito l’entrata in vigore al 2023 della parte del Codice dedicata alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi ed ha introdotto l’istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa. Il Codice si occupa di trattare la condizione di incapacità di soddisfare le pretese dei creditori ( insolvenza) o si tema possa diventare incapace (crisi). Ci occupiamo di crisi di carattere patrimoniale e finanziario  incapacità di soddisfare le obbligazioni. Gli strumenti di risoluzione della crisi riguardano i debitori, imprenditori o meno. Tutti gli ordinamenti prevedono procedure di risoluzione dell’insolvenza delle imprese, che hanno un carattere maggiormente incisivo nell’economia; non sempre sono dettati istituti di risoluzione della crisi di soggetti non imprenditori, in questi casi gli effetti dell’insolvenza sono più limitati e quindi si applicano gli istituti del processo esecutivo. La crisi dell’impresa può avere ripercussioni di carattere sociale ed economico molto rilevanti, ciò giustifica procedure complesse e costose per risolverla. Il sistema della legge fallimentare si limitava, poi, ai soli grandi imprenditori commerciali e non erano dettate regole apposite per i piccoli imprenditori commerciali, imprenditori agricoli e consumatori. Con la legge 3/2012 si introducono degli istituti di regolazione delle crisi e dell’insolvenza dedicati anche a coloro che erano esclusi dall’applicazione della legge fallimentare. Ciò si è inserito in un percorso più ampio che ha portato oggi al nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, che si riferisce a tutte le tipologie di debitori. Art.1.1: “Il presente codice disciplina le situazioni di crisi o insolvenza del debitore, sia esso consumatore professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un'attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici.” Le procedure di risoluzione della crisi di impresa e dell’insolvenza sono poi differenziate a seconda del soggetto debitore coinvolto. Il nucleo portante degli istituti di regolazione e composizione della crisi sono le procedure concorsuali, di carattere pubblico in cui vi è un totale o parziale spossessamento del debitore. La loro finalità principale è il soddisfacimento degli interessi dei creditori che non ricevono il soddisfacimento dei propri crediti. Sono accostabili dal punto di vista funzionale al procedimento di espropriazione forzata disciplinato al libro III CPC. La “concorsualità” va posto in relazione con l’insolvenza attuale o probabile del debitore che delinea un’incapacità di soddisfare le obbligazioni verso tutti i creditori. La concorsualità si articola poi in un profilo soggettivo ed uno oggettivo. In senso soggettivo queste procedure regolano le procedure di composizione della crisi nei confronti di tutti i creditori del debitore, in applicazione della responsabilità patrimoniale del debitore e del pari diritto dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore, salvo le cause legittime di prelazione (Art.2740 e 2741 CC). In senso oggettivo si fa riferimento all’intero patrimonio del debitore, le procedure investono in modo automatico tutti i diritti sui beni del debitore, salvo alcune eccezioni. Diversamente, l’espropriazione forzata ha ad oggetto un singolo diritto su di un bene, indicato con l’atto di pignoramento. Tuttavia, tra gli istituti di regolazione della crisi vi sono anche altri istituti che non rispondono al carattere della concorsualità: le procedure negoziali, che non sono di natura pubblicistica ma privatistica, con carattere stragiudiziale. Sono essenzialmente dei contratti nei quali dove è previsto l’intervento del giudice esso ha solo carattere omologatorio, donando ad essi effetti ulteriori a quelli tipici (istituire, modificare o estinguere rapporti giuridici). Queste procedure non comportano forme di spossessamento dell’imprenditore e non si riferiscono al suo intero patrimonio. Essendo le procedure negoziali volte a risolvere la crisi si fa avanti una nozione evoluta di concorsualità che si riferisce a tutte le procedure di composizione della crisi d’impresa e dell’insolvenza in cui è potenzialmente possibile il coinvolgimento di tutti i creditori ed in cui vi è un intervento pubblicistico, anche solo omologatorio (nozione derivante dal diritto UE)  avallata dalla Cassazione. Fonti: D.lgs. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza  fonte primaria nazionale. Vi sono poi fonti sovranazionali, le principali sono: Regolamento UE 848/2015, Direttiva UE 1023/2019. Vi sono poi altre fonti di minor rilevo, anche di soft law. Il Codice è diviso in 4 parti: I – parte dedicata al codice della crisi e dell’insolvenza; II – regole in materia di organizzazione dell’impresa che incidono sul Codice Civile; III – garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire; IV – disposizioni finali e transitorie. L’ambito di applicazione del Codice è delineato dall’Art.1  il codice ambisce a disciplinare tutta la materia delle procedure concorsuali e degli strumenti di risoluzione della crisi, sia dal punto di vista: Soggettivo  regole applicabili a tutti i debitori: consumatori, professionisti o imprenditori; indipendentemente dalla forma con cui operano; persona fisica, persona giuridica o ente collettivo. Rimangono esclusi lo stato e gli enti pubblici, il legislatore vuole che le crisi patrimoniali degli enti pubblici siano sottratti all’ingerenza dell’autorità giudiziaria e seguano regole proprie amministrative. Sono sottratte dall’applicazione del codice anche le banche, le assicurazioni e tutte le istituzioni finanziarie (Art.2), che hanno procedure proprie. Oggettivo  il corpus normativo ha pretesa di esaustività perché disciplina tutte le procedure di regolazione della crisi; resta esclusa solo l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese e le disposizioni in materia di liquidazione coatta amministrativa. Riunisce in un unico corpus la materia della legge fallimentare e della legge 3/2012. La direttiva generale su cui è costruito il codice è quella di perseguire, fintanto che è possibile, la conservazione e la continuità dell’attività d’impresa in crisi, adottando strumenti di carattere liquidatorio solo come extrema ratio (quando vi è un’insolvenza irreversibile e l’impresa è irrecuperabile). Sono privilegiati strumenti conservativi che assicurino la continuità aziendale ed il risanamento dell’attività d’impresa. L’obiettivo del risanamento dell’impresa in crisi richiede un’emersione precoce della crisi per evitare che si trasformi in un’insolvenza irreversibile. Per questo il Codice è incentrato sul sistema di allerta, volto a far emergere precocemente la crisi, dando la possibilità all’imprenditore di accedere ai procedimenti di allerta e composizione assistita della crisi. Questi sistemi sono però pensati per un contesto economico ordinario e a causa della situazione pandemica sono stati rimandati nella loro entrata in vigore al 2023. L’obiettivo di fondo di far emergere la crisi precocemente ed evitare che si passi dalla crisi all’insolvenza, resta valido; infatti, il legislatore per questo periodo transitorio ha introdotto l’istituto della composizione negoziata della crisi d’impresa (D.L.118/2021). Gli strumenti e le procedure disciplinate dal codice, ed il loro ambito di applicazione (presupposti oggettivi e soggettivi di applicazione degli istituti previsti dal codice): oggetto dell’intera disciplina sono le situazioni di crisi o di insolvenza del debitore, è necessario capire cosa si intende per crisi e per insolvenza. L’Art.2 del Codice contiene tutte le definizioni normative rilevanti utilizzate all’interno del Codice stesso. Se si parla di crisi in senso ampio ci si riferisce sia allo stato di crisi che a quello di insolvenza. CRISI: stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate . Questa situazione è meno grave dell’insolvenza ma vi è un’oggettiva probabilità che il debitore si possa trovare in futuro in una condizione di insolvenza. Questa definizione vale per tutti i debitori. Per quanto riguarda i debitori che sono anche imprenditori si ha una specificazione (inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici per far fronte alle obbligazioni programmate rispettando le scadenze ed utilizzando un mezzo normale di pagamento), ciò è un sintomo di una situazione di crisi  questo è un sintomo a cui però si possono affiancare anche altri indici (carattere esemplificativo e non tassativo). INSOLVENZA: stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Questa definizione era già prevista nella Legge fallimentare. È una condizione di impotenza economico, patrimoniale e finanziaria dell’imprenditore, che lo rende incapace di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. Non rileva lo stato psicologico del debitore (cause dell’insolvenza come colpa, dolo o forza maggiore) ma rileva oggettivamente il fatto di non essere in grado di adempiere. Questa situazione di impotenza deve essere attuale, se è prospettica si rientra nello stato di crisi, ed inoltre non deve avere carattere transitorio. Regolarità nell’adempimento delle obbligazioni significa guardare al dato temporale ed al dato oggettivo  pagare i debiti alla scadenza, quando diventano esigibili (30/60/90 gg), ma anche con mezzi normali di pagamento (denaro per obbligazioni pecuniarie), la datio in solutum in alcuni casi cessa di essere un fatto neutro per l’ordinamento nel momento in cui sottende un’indisponibilità finanziaria (andando a pregiudicare la par conditio creditorum). Liquidità significa disponibilità di denaro o crediti di facile liquidabilità (es. titoli di stato); si può avere anche insolvenza nel caso in cui il patrimonio attivo è superiore al montante complessivo dei debiti ma l’attivo non è facilmente liquidabile. Anche se liquidatorie: la liquidazione giudiziale e la liquidazione controllata del sovra-indebitato, il concordato minore con effetto liquidatorio, il concordato preventivo nella forma liquidatoria. Il consumatore, non svolgendo attività economica, non vede la distinzione tra procedure conservative e liquidatorie. Vi sono una serie di disposizioni a livello di presupposti delle procedure e disciplina dei rapporti tra i vari procedimenti che ci permettono di capire in che relazione si pongono i due tipi di procedure. La conservazione dell’impresa è un elemento importante che consente di soddisfare interessi anche generali (dell’imprenditore, dei dipendenti, della società)  tuttavia la conservazione dell’attività d’impresa non è mai la finalità prevalente degli istituti poiché essa è la soddisfazione dei creditori. Si può avere continuità nel momento in cui il soddisfacimento dei creditori può essere meglio perseguito attraverso la continuità aziendale. L’unica eccezione è l’amministrazione straordinaria, dove sembra che la finalità primaria sia la conservazione dell’attività d’impresa (ed il soddisfacimento dei creditori è di rango comparato o addirittura sub-valente). III. Distinzione tra istituti che prevedono o meno l’intervento del giudice: l’intervento può essere solo di verifica dei presupposti di ammissibilità della procedura oppure la verifica della fattibilità economica della proposta fatta dal debitore ai creditori. Il Codice disciplina strumenti che prevedono intervento del giudice in tutti i casi; solo in un caso non vi è neppure l’intervento minimo di carattere regolatorio del giudice: piano di risanamento attestato (accordo stragiudiziale che non prevede nemmeno l’omologazione), oltre alla composizione negoziata della crisi d’impresa (D.L.118/2021). Tutti gli altri istituti prevedono l’intervento del giudice in veste di vigilazione e controllo (procedure giudiziali) o di mera omologazione (accordi stragiudiziali soggetti ad omologazione). I concordati stragiudiziali sono contratti atipici (che perseguono finalità meritevoli di tutela), soggetti alla disciplina di diritto comune dei contratti e quindi con gli effetti dei contratti  non presentano quindi talune garanzie ed effetti favorevoli che possono limitare il ricorso a questi istituti di regolazione concordata della crisi d’impresa. Il legislatore con le ultime riforme della legge fallimentare ha modificato questi istituti, introducendo l’omologazione del giudice per conferire a questi accordi una serie di effetti (che presentato garanzie e vantaggi a favore del debitore e dei creditori) al fine di indurre ad utilizzare questi strumenti così da risolvere la crisi in via stragiudiziale (economia processuale) e favorire un’emersione anticipata dello stato di crisi stesso. Gli effetti ulteriori non sono comuni a tutti gli strumenti (alcuni li presentano tutti, altri solo alcuni). Normalmente il contratto ha effetto solo tra le parti, qui abbiamo strumenti negoziali che a certe condizioni possono avere effetto anche verso creditori (terzi) che non prestano il loro consenso. Quando l’imprenditore è in crisi è soggetto a procedure di carattere esecutivo (pignoramenti) o cautelare (sequestri) che potrebbero ledere la composizione della crisi, con questi istituti si può evitare queste procedure. L’imprenditore può sciogliere unilateralmente contratti non funzionali all’attività. Questi strumenti prevedono anche la possibilità, con l’autorizzazione del tribunale, di concedere finanziamenti (da parte tipicamente di istituti di credito) all’impresa in crisi i quali, in una eventuale procedura di liquidazione, avranno il beneficio della pre-deducibilità e gli eventuali ratei ricevuti (rimborsi) non saranno soggetti all’azione revocatoria. Un altro rischio di operare con un’impresa in crisi è quello di incorrere, nel caso di apertura di una procedura di liquidazione, in responsabilità penali; questi accordi possono (con l’omologazione) esentare da questa responsabilità i finanziatori o coloro che trattano con l’impresa in virtù di un accordo di risoluzione della crisi e vi è l’autorizzazione del giudice. IV. Distinzione tra strumenti giudiziali e stragiudiziali: è diverso dal III criterio perché per strumenti negoziali stragiudiziali intendiamo gli accordi disciplinati al capo I del Codice, che non sono procedure giudiziali ma accordi di carattere privatistico con carattere stragiudiziale, i quali possono essere, una volta stipulati, soggetti ad omologazione. A questi contrapponiamo gli strumenti giudiziali, che danno luogo ad una procedura giudiziale di risoluzione della crisi (vigilata e diretta dall’autorità giudiziale): concordato preventivo e liquidazione giudiziale per l’imprenditore maggiore. Vi possono essere anche strumenti amministrativi, con procedure di risoluzione della crisi in procedure vigilate e dirette dall’autorità amministrativa: liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.  questi criteri si intersecano: es. il concordato preventivo se guardiamo alla struttura è una procedura concordata (e si contrappone alla liquidazione); se guardiamo alla natura è una procedura giudiziale (e si contrappone agli accordi). Procedura negoziata di risoluzione della crisi d’impresa  procedura stragiudiziale in cui non è previsto l’intervento del giudice. È un istituto molto nuovo, introdotto dal D.L. 118/2021 (che ha differito le misure di allerta e composizione assistita della crisi a fine 2023 ed ha posticipato l’entrata in vigore del Codice a maggio 2022). L’idea del Codice è quella di operare quanto più possibile per il salvataggio dell’impresa in crisi; questo è possibile solo se la crisi emerga tempestivamente e precocemente, prima che si trasformi in uno stato di insolvenza che porterebbe alla liquidazione. Sono necessarie delle regole preventive circa il modo di affrontare la crisi  le possibilità di risanare un’impresa sono direttamente proporzionali alla tempestività della rilevazione della crisi. Tutto ciò trova anche riscontro nelle fonti sovranazionali (Direttiva UE 1023/2019) il cui principale obiettivo è quelli di rimuovere gli ostacoli per gli imprenditori sani in crisi ad accedere a quadri di ristrutturazione preventiva che devono essere predisposti dagli Stati membri al fine di impedire l’insolvenza al fine di tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale. Gli studiosi delle scienze aziendalistiche evidenziano una tendenziale incapacità delle imprese italiane a predisporre delle procedure di rilevazione anticipata della crisi (che emerge sempre troppo tardi quando non è più possibile agire in ristrutturazione)  il Codice al Titolo II disciplina le procedure di allerta e composizione assistita della crisi. Con i doveri di allerta vi sono anche i nuovi assetti organizzativi dell’impresa introdotti dall’Art.3 del Codice ed inserite nell’Art.2086 CC, che devono essere adeguati alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, ed attivarsi all’adozione dei modelli di composizione della crisi previsti dal Codice. L’obiettivo è l’emersione anticipata della crisi e l’adozione delle procedure per preservare il “going concern” dell’impresa. Abbiamo i procedimenti di allerta e di composizione nel Codice, ma ancora prima norma di diritto sostanziale contenenti i doveri dell’imprenditore (che sono già entrate in vigore nel 2019 con l’emanazione del Codice). Il Titolo II del Codice, però, entrerà in vigore a fine 2023 poiché il sistema dell’allerta è molto elaborato (fondato su indici rilevatori della crisi) e questi indici sono pensati per un contesto economico ordinario (non come quello attuale di grande dovuto alla pandemia)  se non vi fosse stata questa proroga ci sarebbero state numerose allerte per imprese sane che si trovano solamente in una difficoltà transitoria. Inoltre, le procedure sono molto complesse e potrebbero sfociare in una segnalazione al PM per l’apertura della liquidazione giudiziale (non induce gli imprenditori ad accedere alle procedure di allerta). Per rinviata l’entrata in vigore delle procedure di allerta e di composizione, l’obiettivo di fondo non viene meno. Il legislatore con il D.L. 118/2021 introduce lo strumento della composizione negoziata della crisi d’impresa, al fine di sostenere le imprese ad eliminare gli effetti negativi dovuti alla crisi pandemica. Questo istituto è oggi operativo, i rinvii fatti dalle nuove norme sono fatti alla Legge fallimentare, poiché è ancora in vigore. Questo istituto è destinato a permanere nell’ordinamento, anche se nelle parole della commissione ministeriale che l’ha progettato non da piena attuazione alla Direttiva UE, sono attese modifiche al Codice che probabilmente saranno sulla falsariga di questo istituto. Caratteri generali dell’istituto: l’imprenditore che si trova in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico- finanziario può richiedere alla camera di commercio la nomina di un esperto che coadiuvi l’impresa nell’affrontare la crisi e l’accompagni ad adottare uno degli istituti di risoluzione della crisi (previsti oggi dalla Legge fallimentare e da maggio del Codice). La finalità dell’istituto è il risanamento dell’impresa ai fini della continuità aziendale (in forma diretta o indiretta, ovvero l’azienda o i rami d’azienda vengono trasferiti a terzi quindi l’impresa viene conservata ma in capo ad un soggetto diverso dall’imprenditore). È un provvedimento stragiudiziale che consiste in una serie di misure (protettive, di garanzia, sospensione di alcuni obblighi per l’imprenditore) volte a favorire il buon esito delle trattative di risoluzione della crisi d’impresa, misure che non si possono avere con accordi privati che non seguano il procedimento di legge. In questo procedimento non è previsto l’intervento del giudice (a meno che in casi in cui si vogliano ottenere particolari misure protettive); non è una procedura concorsuale (nemmeno nell’accezione moderna) e forse non costituisce in senso proprio un istituto di risoluzione della crisi (la legge delinea un procedimento volto a far emergere la crisi ma è poi l’accordo o un altro strumento l’istituto di risoluzione della crisi) ma è più precisamente un processo per giungere alla risoluzione della crisi. In questo procedimento non è previsto uno spossessamento, nemmeno parziale, del patrimonio del debitore e non prevede l’intervento di tutti i creditori (intervento selettivo). Ambito di applicazione: dal punto di vista soggettivo si applica all’imprenditore, sia commerciale che agricolo (tutti gli imprenditori, anche piccoli ma con procedimento semplificato dell’Art.17); non si applica debitori non imprenditori, professionisti e consumatori. Il presupposto oggettivo è la condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi o l’insolvenza  rileva la crisi (che rende probabile l’insolvenza) ma anche una condizione di pre-crisi (novità introdotta nell’ordinamento), in questo modo è possibile affrontare anche situazioni prodromiche alla crisi (twilight zone). Dall’Art.9.1 ricaviamo che il procedimento è accessibile anche da imprenditori insolventi (l’insolvenza non preclude il ricorso a questo procedimento), ma questa situazione non deve essere irreversibile, devono sussistere concrete prospettive di risanamento (anche nello stato di crisi). Se l’esperto nominato si accorge che non sussistono concrete prospettive di risanamento può immediatamente chiudere il procedimento in qualsiasi momento della procedura (Art.5.5). L’obiettivo dell’istituto è infatti la risoluzione della crisi ed il risanamento dell’impresa  se non vi è possibilità di risanamento la procedura si chiude. Il perno della procedura è l’ESPERTO. Esso è un soggetto con specifici requisiti di professionalità e con una formazione specifica in tema di ristrutturazione dell’impresa, nominato dalla camera di commercio. Opera in una situazione di imparzialità, terzietà ed indipendenza. L’esperto ha dovere di riservatezza (come anche le parti coinvolte) circa le informazioni acquisite durante la procedura, ciò è garanzia fondamentale per il buon esito della procedura stessa. L’esperto gode anche del privilegio del segreto professionale (se chiamato a deporre) e l’immunità da perquisizioni e sequestri. Il suo compito è quello di agevolare le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed altri interessati al fine di risolvere la situazione di crisi  il suo ruolo è analogo a quello del mediatore, agevola le trattative ma non impone delle soluzioni. Può avere anche un ruolo più attivo, si può spingere fino formulare una proposta di soluzione della crisi e poi spetterà al debitore e ai suoi creditori se accoglierla o meno. L’esperto funge da catalizzatore, nel momento in cui vi è l’accordo tra debitore e creditori il suo lavoro è terminato. Il ruolo dell’esperto è fondamentale per costruire un canale comunicativo di risoluzione della crisi, agevolata anche dalle sue competenze. Uno strumento importante che aiuta imprenditore, creditori e l’imprenditore è una piattaforma online della camera di commercio che contiene una lista di buone pratiche per il risanamento, un protocollo ed anche un simulatore per la verifica del buon esito della procedura, oltre ad un algoritmo che elabora una rateizzazione del debito. La procedura inizia solo su istanza dell’imprenditore-debitore, che può chiedere la nomina dell’esperto, e non dai soggetti terzi (nella composizione assistita della crisi del Codice l’istanza poteva, ed in alcuni casi doveva, essere proposta da terzi). Nelle società è l’organo di controllo ad indicare agli amministratori la necessità di aprire la procedura (i sindaci hanno responsabilità se non segnalano ma se l’amministratore non dà seguito all’istanza non vi è dovere di supplenza da parte dei sindaci). I creditori qualificati (INPS, AE) possono segnalare all’imprenditore di proporre l’istanza (ma l’omessa segnalazione non ha conseguenze negative). L’istanza è presentata alla camera di commercio del luogo dove l’impresa ha sede. L’Art.5 indica il contenuto dell’istanza, riferendosi ad un decreto del Ministero della giustizia, che deve essere presentata attraverso la piattaforma telematica. Viene nominato l’esperto, se accetta l’incarico deve convocare l’imprenditore in una riunione per verificare la concreta prospettiva di risanamento (se non vi sono, l’esperto da notizia alla camera di commercio e viene disposta l’archiviazione). Se le possibilità di risanamento inizia la ricerca del mezzo più adatto; l’esperto convoca le parti interessate (creditori, potenziale acquirente dell’azienda). Non necessariamente devono essere convocati ed informati tutti i creditori; una delle peculiarità della procedura è quella di poter essere selettiva (fornitori, creditori non strategici, creditori finanziari). Durante le trattative le parti hanno il dovere di correttezza, l’imprenditore deve dichiarare la sua situazione con trasparenza e gestire l’impresa senza pregiudicare l’interesse dei creditori. In questa procedura l’imprenditore non subisce lo spossessamento dell’impresa (liquidazione giudiziale) od è soggetto a limiti e controllo da parte dell’autorità (concordato preventivo). L’imprenditore nel corso delle trattative conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, potendo compiere qualsiasi atto (non vi è spossessamento neppure parziale). La gestione in stato di crisi deve essere volta ad assicurare la continuità dell’impresa; in stato di insolvenza deve essere diretta all’interesse dei creditori. A ciò consegue una responsabilità dell’imprenditore nel caso di gestione dell’impresa in contrasto con i doveri disposti dalla legge, non seguono regole di favore per l’imprenditore ad escludere responsabilità di carattere civile o penale a seguito della presentazione dell’istanza (in altre procedure alla presentazione della domanda seguono effetti premiali). L’imprenditore può anche pagare liberamente i debiti anteriori alla presentazione dell’istanza; nel caso di atti di straordinaria amministrazione ha l’onere di comunicare preventivamente e per iscritto l’intenzione all’esperto (es. concessione di garanzie reali, alienazione di immobili). Se l’atto pregiudica l’interesse dei creditori l’esperto lo segnala esprimendo il proprio dissenso e viene annotato nel R.I. amministrazione, l’autorizzazione non serve per compiere l’atto ma per far conseguire al negozio giuridico di trasferimento degli effetti che non potrebbe avere con la disciplina ordinaria. Non vi è una responsabilità del cessionario per i debiti dell’azienda e relativi al suo esercizio pregressi al trasferimento che risultano dalle scritture contabili (non si applica l’Art.2560.2); ciò va a vantaggio ed è un incentivo al trasferimento di azienda all’interno della procedura regolata e protetta. Il limite di questa disposizione è che ciò non si applica ai rapporti di lavoro, la responsabilità resta sia del cessionario che del cedente. Anche qui opera l’esenzione dall’azione revocatoria ex Art.12.1 Art.10.2 – Rinegoziazione dei contratti: disciplina un rimedio applicabile ai contratti ad esecuzione continuata, periodica (contratti di durata) o differita  Art.1467 CC – quando si verifica una causa di eccessiva onerosità sopravvenuta, il contraente svantaggiato ha il diritto di richiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, ma non è possibile accedere ad un rimedio manutentivo, mantenendo il rapporto ma rideterminandone le condizioni riportandolo all’equilibrio delle prestazioni contrattuali. Si dibatte molto sull’esistenza di un rimedio manutentivo di applicazione generalizzata (alcuni lo ritengono sempre applicabile, altri solo in presenza di apposite clausole contrattuali). La maggior parte della dottrina e giurisprudenza ritiene che non vi sia un obbligo di rinegoziazione del contratto né l’obbligo di contrarre la modifica una volta raggiunto un’eventuale accordo di rinegoziazione. L’Art.10.2 introduce un rimedio manutentivo che si applica all’interno della composizione negoziata della crisi d’impresa e solo nel caso in cui la causa di eccessiva onerosità sopravvenuta sia effetto della pandemia da Covid-19. Prima le parti hanno l’obbligo di contrattare in buona fede per modificare le condizioni contrattuali; se non si raggiunge l’accordo, su domanda dell’imprenditore, il Tribunale può rideterminare equamente le condizioni del contratto. Questa misura deve essere di carattere indispensabile (residuale). Al giudice è lasciata ampia discrezionalità, la sua rideterminazione deve essere equa e tale da assicurare il riequilibrio delle prestazioni, può intervenire sia sull’oggetto, il termine ed il contenuto della prestazione caratteristica o secondaria. Il tribunale può anche prevedere un indennizzo a carico di una o l’altra parte, sempre al fine di riequilibrare le prestazioni. La misura è comunque provvisoria, dura per il tempo necessario ad assicurare la continuità aziendale. Anche qui sono esclusi i rapporti di lavoro. Sia le autorizzazioni che la rideterminazione giudiziale delle prestazioni contrattuali sono compiute all’interno di un procedimento giurisdizionale nel contraddittorio tra le parti, provvedendo secondo le norme relative ai procedimenti in camera di consiglio e con un provvedimento reclamabile. Esiti del procedimento di composizione negoziata della crisi. Al termine del suo incarico l’esperto redige una relazione finale, che inserisce nella piattaforma telematica ed è comunicata all’imprenditore ed al giudice, se sono state disposte delle misure protettive che devono essere dichiarate inefficaci poiché strumentali al procedimento (Art.5.8). L’esito del procedimento può essere di senso positivo o negativo, presupponendo un accordo tra le parti questo può essere raggiunto o meno. L’Art.11 disciplina la conclusione delle trattative, occupandosi di entrambe le possibilità (esito positivo o negativo). L’opzione auspicabile è quella di un esito positivo: le parti, con l’aiuto dell’esperto, individuano una soluzione concordata alla crisi che deve essere formalizzata in un contratto. Esiste il principio dell’autonomia privata, quindi le parti possono concludere liberamente sia contratti tipici che atipici (Art.1322 CC), quindi è possibile stipulare un contratto (o più contratti) atipico per la soluzione della crisi d’impresa; questi contratti sono soggetti alla disciplina ordinaria per i contratti e ciò può presentare alcuni inconvenienti o non conferire alcuni vantaggi, rendendo poco appetibile risolvere la crisi d’impresa con un contratto. Per questa ragione, ferma la libertà per le parti di seguire le regole di diritto comune, la legge predispone una serie di misure tipiche che presentano una disciplina particolare che prevede una serie di requisiti di questi contratti e spesso ne indica anche il contenuto ed un controllo di carattere omologatorio del Tribunale sull’accordo stipulato  perché a questi contratti vengono attribuiti effetti giuridici speciali che un accordo di diritto comune non potrebbero garantire, rendendo più appetibile risolvere la crisi con il procedimento concordato. L’Art.11.1 prevede una serie di contratti che prevedono la continuazione dell’attività d’impresa (anche indiretta) e non la liquidazione dei beni aziendali e la cessazione dell’attività d’impresa. A) contratto tra l’imprenditore ed uno o più creditori (non è richiesta la partecipazione di tutti i creditori) con contenuto liberamente determinato dalle parti (rispettando le norme inderogabili e la meritevolezza); con questo contratto, per esempio si può predisporre un adempimento dilazionato dei debiti verso i creditori. Questo contratto ha effetto solo tra i creditori che ne sono parte e nessun effetto si ha a danno di creditori estranei. Produce gli effetti speciali di cui all’Art.14 (effetti premiali in relazione alle obbligazioni tributarie, se secondo la relazione dell’esperto il contratto è idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno 2 anni). Il contratto può essere pubblicato al RI, con conseguente misura premiale di rateizzazione delle imposte da corrispondere all’erario (questi effetti premiali non si avrebbero con un contratto di tipo privatistico, qui si hanno perché l’esperto attesta l’idoneità ad assicurare la continuità aziendale). B) convenzione moratoria (come disciplinata dalla L.Fall.), accordo stipulato dall’imprenditore con i creditori e sottoscritto dall’esperto (che non è parte) che può avere contenuto predeterminato dalla legge: dilazione della scadenza dei crediti, rinuncia agli atti, sospensione esecutive e conservative che non comportino rinuncia al credito. Un elemento significativo è che la convenzione moratoria produce effetti tra i creditori che l’hanno stipulata ma anche contro creditori che non l’hanno stipulata (in deroga agli Artt.1372 e 1411 CC). Ai creditori non aderenti deve essere comunicata la convenzione, i quali entro un certo termine possono chiedere il controllo del Tribunale (eventuale). C) accordo sottoscritto da imprenditore, creditori ed esperto che produce gli effetti dell’Art.67.3 lett.d) L.Fall. che prevede che un piano di risanamento formulato da un imprenditore in cui un professionista indipendente produce l’effetto di esenzione da revocatoria degli atti, pagamenti e garanzie concesse sulla base del piano attestato. Il piano attestato può essere un atto unilaterale, qui abbiamo un accordo con i creditori ed essendo stipulato all’interno della procedura negoziale non è richiesta l’attestazione da parte del professionista indipendente.  in questi atti non è previsto come necessario l’intervento di omologazione da parte del Tribunale. All’Art.11.2 sono disciplinati una serie di accordi stragiudiziali ma soggetti ad omologazione da parte del Tribunale, sono istituti contenuti nella L.Fall. (ed oggi trasposti nel Codice) che non presentano particolari previsioni di favore perché conclusi all’interno della procedura negoziale di composizione della crisi d’impresa. Sono: l’accordo di ristrutturazione dei debiti (accordo del debitore con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei debiti, qui dovrebbe poter avere solo finalità di continuità), l’accordo di ristrutturazione dei debiti agevolato (accordo del debitore con i creditori rappresentanti almeno il 30% dei debiti e non può essere prevista la moratoria dei creditori non aderenti) e gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (che possono produrre effetti, diversi dalla mera dilazione del credito, anche a carico di creditori non aderenti all’accordo  qui è richiesta la partecipazione di almeno il 60% dei creditori e non il 75% come nella disciplina ordinaria). Se non si giunge all’accordo (esito negativo), ricordiamo che l’esperto, se non ravvisa prospettive di risanamento, in qualsiasi momento, ne dà avviso alle parti e si va verso l’archiviazione della procedura; in ogni caso l’incarico dell’esperto si considera concluso entro 180gg se le parti non trovano una soluzione alla crisi (Art.5.7). In entrambi i casi, l’Art.11.3 dice che l’imprenditore può predisporre il piano attestato di risanamento oppure accedere alle procedure di cui alla L.Fall. o alla legge sul sovraindebitamento (oggi riunite nel Codice). La lett.b) del c.3 prevede la possibilità di presentare domanda per il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio di cui all’Art.18 (istituto classico del concordato la cui domanda è però presentata all’esito delle trattative del procedimento negoziato di risoluzione della crisi d’impresa, con procedure semplificate, che è un concordato liquidatorio). Art.12: è una delle disposizioni più rilevanti del D.L.118/2021; prevede la conservazione degli effetti degli atti compiuti dall’imprenditore nell’ambito della procedura di composizione negoziale, ciò dovrebbe indurre l’imprenditore ad iniziare il procedimento ed i creditori a parteciparvi, eliminando alcune delle condizioni negative in cui questi soggetti potrebbero incorrere in trattative al di fuori della procedura ed il tentativo di risanamento non andasse a buon fine (vedendosi esposti alle azioni di inefficacia e revocatoria). Il c.1 prevede un’esenzione da revocatoria per gli atti autorizzati dal Tribunale, se successivamente interviene una senza di chiusura di una procedura concorsuale liquidatoria. Al c.2 si ha una limitazione alla soggezione all’azione revocatoria fallimentare (resta possibile la revocatoria ordinaria e quella per gli atti anomali), che riguarda non solo gli atti autorizzati ma tutti gli atti e i pagamenti dell’imprenditore posti in essere dopo l’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto (formulazione molto ampia), coerenti però con lo stato delle trattative e le prospettive di risanamento allo stato del compimento dell’atto. Quando si ha l’autorizzazione del Tribunale essa è preventiva al compimento dell’atto, quindi, si sa che è possibile beneficiare della revocatoria; nel caso in cui non vi stata l’autorizzazione (c.2) bisogna poi verificare che l’atto sarà ritenuto coerente per beneficiare della revocatoria (vi è meno certezza). Il c.3 prevede un caso in cui l’esenzione di revocatoria non opera: atti di straordinaria amministrazione per cui l’esperto ha iscritto il proprio dissenso al RI o se il Tribunale non ha autorizzato il compimento dell’atto. C.4: l’imprenditore conserva la gestione dell’impresa, può andare esente da revocatoria ma resta ferma la sua responsabilità  con l’esenzione da revocatoria si tutela l’imprenditore e anche i terzi; con l’azione di responsabilità si “sanziona” l’imprenditore per un atto che risulti dannoso per gli altri creditori. C.5: non si applicano le disposizioni penali circa la bancarotta né ai pagamenti ed operazioni compiute con autorizzazione del Tribunale, né a quelli compiuti nel periodo successivo all’accettazione dell’incarico da parte dell’esperto. Art.14 – misure premiali: si prevedono una serie di effetti favorevoli per l’imprenditore, ricollegati alla proposizione dell’istanza di composizione negoziata e che non potrebbero prodursi in caso di trattative svolte al di fuori del D.L.118/2021. Alcuni di questi effetti rimangono fermi anche se le trattative non vanno a buon fine, altri si producono solo se le trattative vanno a buon fine. Queste misure premiali riguardano le obbligazioni tributarie (norme di favore su interessi, sanzioni, rateizzazioni). [vedi dispensa] Art.13 – disciplina della conduzione delle trattative in caso di gruppo di imprese: il legislatore prende in considerazione un fenomeno molto rilevante e che nella L.Fall. non è considerato, ma è preso in considerazione dal Codice (non nella disciplina della composizione assistita): il gruppo d’imprese (che interessa sia multinazionali che moltissime PMI). Per la composizione negoziata nel caso di gruppi di imprese vi sono regole aggiuntive, volte a consentire lo svolgimento di una procedura unitaria. Può essere richiesta la nomina di un unico esperto, esso svolge unitariamente le attività di composizione negoziata (a meno che lo svolgimento congiunto non sia eccessivamente gravoso). Nel caso di presentazione di istanze separate è possibile la riunione dei procedimenti ed, infine, poiché le sedi del gruppo possono essere differenti e portare all’individuazione di Tribunali diversi per la concessione delle misure protettive e cautelari vi è la possibilità di chiederle ad un solo Tribunale (deroga alle norme sulla competenza). Ciò vale quando tutte le imprese del gruppo sono in situazione di squilibrio; se vi sono imprese non in stato di squilibrio esse non sono assoggettate alla procedura direttamente ma possono parteciparvi come interessati. C.9: deroga alla disciplina ordinaria dei finanziamenti infragruppo; quelli pattuiti dopo la presentazione dell’istanza sono esclusi dalla postergazione del credito di rimborso del gruppo (come quello del socio). C.10: al termine delle trattative le imprese del gruppo possono stipulare in via unitaria i contratti di cui all’Art.11.1 (contratti stragiudiziali non soggetti ad omologazione), oppure accedere separatamente alle soluzioni di cui all’Art.11 (accordi omologati o procedure concorsuali)  poiché si fa riferimento alle norme della L.Fall. dove non vi è una disciplina per accedere alle procedure unitariamente per il gruppo (possibile con il nuovo Codice). Art.17: per le imprese sotto soglia (imprese minori) il D.L.118/2021 detta delle disposizioni speciali con procedure semplificate e derogatorie, con una differenza tra gli schemi giuridici attraverso i quali la soluzione della crisi può essere esperita poiché alcuni istituti non sono accessibili al piccolo imprenditore. Torniamo ora al Codice della Crisi (D.lgs.14/2019). Il Titolo III del Codice detta le disposizioni processuali applicabili agli istituti disciplinati poi al Titolo IV (strumenti concordati di regolazione della crisi) e al Titolo V (liquidazione giudiziale). Viene disciplinata la giurisdizione, la competenza e l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (su domanda di quali soggetti si può accedere alle procedure e procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, applicabile per tutte le procedure sebbene con alcune regole differenziate). Giurisdizione: Art.11 attribuisce come regola generale la giurisdizione al giudice italiano quando il debitore ha in Italia il centro dei propri interessi principali. L’Art.26 è volto a attribuire la giurisdizione italiana se il trasferimento all’estero della sede dell’impresa è avvenuto nell’anno precedente al deposito della domanda. Competenza: per i procedimenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza è competente il Tribunale nel cui circondario il debitore ha sede il centro degli interessi principali (presunzione di coincidenza con la sede legale Il Codice detta, prima, le regole processuali delle singole fasi (accesso, apertura, votazione, omologazione), poi in sede di disciplina del concordato preventivo disciplina presupposti ed effetti delle singole fasi del concordato. Art.47 – Apertura del concordato preventivo: dopo che viene depositata la proposta ed il piano di concordato vi è una fase di apertura della procedura stessa. I presupposti della apertura della procedura di concordato sono previsti al c.1: il tribunale verifica l’ammissibilità della proposta e la fattibilità economica del piano e, se non dispone già degli elementi necessari, acquisisce anche il parere del commissario giudiziale. I creditori devono aver formato il proprio consenso sulla proposta in modo corretto, è necessario però anche tutelare i creditori dissenzienti  il legislatore fissa delle regole inderogabili finalizzate all’accordo debitore-creditori. La proposta di concordato è ciò che l’imprenditore propone ai suoi creditori per la regolazione della crisi, ovvero cosa prevede il debitore per la ristrutturazione dei suoi debiti ed il soddisfacimento dei crediti. Il piano è invece lo strumento attraverso cui il debitore si propone di adempiere alla proposta (indicandone modalità e tempi). Il tribunale verifica preventivamente l’ammissibilità della proposta, il tribunale deve compiere un controllo sulla conformità a legge della domanda di concordato, della proposta e del piano. La domanda, la proposta ed il piano devono essere conformi alle regole della disciplina prevista per il concordato preventivo (imprenditore commerciale maggiore, stato di crisi, requisiti speciali). vi rientra anche la fattibilità giuridica del piano: quanto previsto nel piano per attuare la proposta deve essere conforme alle norme dell’ordinamento. Il tribunale non può controllare la convenienza economica della proposta del debitore ai suoi creditori; la valutazione di convenienza ed opportunità è rimessa ai creditori, che si esprimono votano, a favore o contro, la proposta di concordato. Il controllo sulla convenienza può però esservi nel caso di opposizione da parte del creditore dissenziente con particolari requisiti di legittimazione. Nucleo discusso è se il tribunale potesse effettuare un giudizio prognostico circa l’effettiva realizzabilità del piano. Su questo punto intervennero la SU con la Sent.1521/2013: il tribunale può intervenire con una verifica sulla fattibilità economica del piano già compiuto dall’attestatore; secondo le SU questo controllo è una delibazione in ordine all’attestazione del piano stilato professionista, circa la logicità e la coerenza della motivazione con cui l’attestatore è arrivato al giudizio di fattibilità (controllo indiretto del tribunale). Oggi il Codice ha inserito la verifica della fattibilità economica del piano tra i compiti del tribunale, qui sembra che la legge abbia voluto considerare il controllo del tribunale come pieno e diretto (rifacimento da capo del giudizio di fattibilità). Se queste verifiche hanno esito positivo, con decreto il tribunale apre la procedura di concordato (decreto di apertura). Viene nominato il giudice delegato, il commissario giudiziale e la data per la votazione da parte dei creditori della proposta di concordato (fase successiva). Se, invece, il tribunale accerta la mancanza delle condizioni con decreto dichiara inammissibile la proposta e la procedura di concordato non si apre. Se le verifiche hanno esito positivo si passa ala fase della votazione; se vengono raggiunte le maggioranze richieste si procede con la fase di omologazione del concordato. Art.48 – omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti: se il concordato è stato approvato dai creditori viene fissata l’udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti dove i creditori che si erano opposti o non hanno potuto votare possono interloquire con il giudice ed il commissario. Si verifica il rispetto delle procedure, l’esito della votazione e viene di nuovo compiuto il giudizio di fattibilità ed ammissibilità (identico a quello della fase di apertura in quanto al contenuto, ma qui il tribunale può avvalersi dei rilievi del commissario giudiziale e dei creditori opponenti). Se le verifiche hanno esito positivo il tribunale omologa con sentenza il concordato; se le verifiche hanno esito negativo, sempre con sentenza, rigetta la richiesta di omologazione. Questa sentenza segna la fine della procedura di concordato ed è immediatamente efficace (c.6), potendo dare corso subito all’esecuzione del concordato, ma gli effetti in capo dei terzi si producono dalla sua iscrizione nel RI. I c.4-5 disciplinano la procedura di omologazione degli accordi: dopo il deposito della domanda non si hanno fasi ulteriori, si va subito al giudizio di omologazione dell’accordo già stipulato dai creditori. Entro 30gg dall’iscrizione degli accordi nel RI i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. La legge non indica né il procedimento né le verifiche che il tribunale deve compiere in sede di omologazione  sono sicuramente verifiche circa la fattibilità ed ammissibilità giuridica del piano (legalità) ed anche il giudizio di fattibilità economica come nel concordato. Il provvedimento del tribunale sulla domanda di omologazione assume sempre la forma di sentenza (= concordato). Ora dobbiamo tornare al tema la cui disciplina è uno degli elementi fondamentali che hanno indotto il legislatore a disciplinare un procedimento unitario  è necessario dare priorità nella trattazione alle procedure diverse dalla liquidazione giudiziale. Questo principio è volto a dar attuazione ad una norma sostanziale: è necessario dare prevalenza delle soluzioni concordate ed in continuità rispetto alla liquidazione giudiziale. Nel corso degli anni, nell’interesse generale di mantenere un’attività produttiva e nell’interesse speciale dei lavoratori, è cresciuta la sensibilità cica questo problema. Con l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi il legislatore si è fatto carico per la prima volta di questo problema ma questa procedura ha carattere settoriale. Dal 2005, riformando il concordato preventivo nella sua forma di concordato con continuità, il legislatore ha ampliato il sistema. Oggi, con il sistema dell’allerta e composizione negoziata della crisi d’impresa oltre agli accordi di ristrutturazione, il concordato preventivo in continuità (applicazione tendenzialmente generalizzata) e l’amministrazione straordinaria, all’interno del codice, con limiti e presupposti diversi, il legislatore si è presupposto di risolvere le crisi d’impresa con continuità aziendale. La procedura liquidatoria è oggi riservata alle sole ipotesi in cui questi strumenti non sono perseguibili, direttiva che proviene anche dalla Direttiva 1023/2019 UE. Oggi il Codice, in virtù di ciò, segue anche un ordine opposto alla L.Fall.  prima sono presentati gli istituti che prevedono procedure concordate ed in continuità e poi la liquidazione giudiziale. Vi sono delle regole processuali affinché si dia praticamente attuazione a questa preferenza delle procedure negoziate ed in continuità rispetto alle procedure liquidatorie. Secondo le SU dal punto di vista “statico” vi è una incompatibilità tra concordato e liquidazione giudiziale, se è aperto l’uno non può essere aperto l’altro, l’imprenditore non può essere soggetto ad entrambi; inoltre, vi è una prevalenza nella trattazione della domanda di concordato rispetto al ricorso per apertura del fallimento. È necessario, però, avere delle regole processuali in grado di assicurare queste condizioni (solo se il concordato non può essere aperto od omologato si apre il fallimento).  questi principi sono stati trasferiti nella legge delega ed al legislatore delegato. Affinché questi principi vengano tradotti il legislatore delegato ha introdotto l’Art.7 del Codice. Art.7: vi è un obbligo di trattazione simultanea delle domande dirette alla regolazione della crisi o dell’insolvenza (cumulo iniziale o successivo se la domanda sopravviene). Nel caso di proposizione di più domande, il tribunale tratta in via preventiva la domanda volta a risolvere la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi alla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, a meno che la domanda non sia manifestamente iniqua od infondata (in questo caso si sovverte l’ordine di trattazione, trattando subito la domanda di apertura della liquidazione giudiziale). Se eventuali domande alternative non sono accolte (es. rigetto della domanda di concordato) si può aprire la procedura di liquidazione giudiziale. Le ipotesi in cui si ha un esito negativo della domanda di risoluzione concordata sono plurimi, in questo caso e nel momento in cui vi è anche una domanda di liquidazione giudiziale quest’ultima sarà aperta.  Art.49: il tribunale, definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi o dell’insolvenza eventualmente proposte, su ricorso di uno dei soggetti legittimati ed accertati i presupposti, dichiara con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale. La regolazione della crisi in modo diverso alla liquidazione giudiziale è prevalente rispetto alla liquidazione stessa e tra questi strumenti vi è un rapporto di incompatibilità. Poiché la proposizione di una domanda per una procedura concordata non impedisce la proposizione di una domanda per la liquidazione giudiziale è necessario disciplinare cosa accade se vengono proposte entrambe: è privilegiato il simultaneous processus e l’apertura della liquidazione giudiziale si ha solo se si è avuto un esito negativo della domanda per la procedura di regolazione concordata della crisi. Uno degli aspetti su cui la legge delega indicava al legislatore delegato di intervenire era relativo all’emissione dei provvedimenti da parte del tribunale nelle varie procedure. Si ha un imponente elaborazione giurisprudenziale sull’impugnazione di tali provvedimenti (varie sentenze delle SU negli ultimi anni)  il Codice detta una serie di regole complesse rifacendosi a questi orientamenti giurisprudenziali. Concordato e accordi di ristrutturazione: il decreto di revoca non è soggetto a reclamo; il provvedimento di revoca di ammissione al concordato preventivo per atti di frode è adottato con decreto non impugnabile, come il decreto di apertura; il decreto che nega l’apertura è reclamabile dinanzi la corte d’appello da parte del debitore entro 15gg, poi non impugnabile con ricorso straordinario per Cassazione (perché non definitivo, potendo sempre riproporre la domanda di concordato dichiarata inammissibile, ma oggi solo se si verificano mutamenti delle circostanze). Sull’omologazione di accordi e concordato il tribunale provvede con sentenza reclamabile in corte d’appello, la cui sentenza sarà ricorribile in Cassazione. Liquidazione giudiziale: il provvedimento di rigetto della domanda assume la forma del decreto, impugnabile dal ricorrente che si è visto rigettare la domanda o dal PM con reclamo alla Corte d’appello, il cui decreto di rigetto non è impugnabile con ricorso in Cassazione (privo di carattere definitivo). Se la Corte d’appello riforma la decisione (ricorrono i presupposti per l’apertura della liquidazione), riapre il procedimento e rimette al tribunale la causa, questa sentenza è impugnabile per Cassazione.  La sentenza del tribunale che apre la liquidazione giudiziale o che si pronuncia sull’accoglimento della domanda di concordato preventivo o di omologazione degli accordi è impugnabile con reclamo a critica libera dinanzi alla Corte d’appello (ammesse anche nuove allegazioni di fatto e mezzi di prova). Le sentenze che provvedono sull’omologazione del concordato o degli accordi sono impugnabili dalle parti e legittimato è chi ha riportato una soccombenza (sentenza che rigetta l’omologazione è impugnabile dal debitore, sentenza che provvede sull’omologazione è impugnabile dai creditori che si erano opposti). La sentenza che provvede sulla liquidazione giudiziale è impugnabile dalle parti (debitore, creditori o intervenuti) ma anche da qualunque altro interessato che non ha preso parte al giudizio del tribunale (chiunque è stato colpito dal fallimento: amministratori, soci, creditori che hanno ricevuto un pagamento revocabile). Art.52: tutte le sentenze di omologazione e apertura della liquidazione giudiziale sono immediatamente efficaci, la proposizione del reclamo non ha quindi automatica efficacia sospensiva degli effetti della sentenza. Il legislatore ha tuttavia previsto che in caso di proposizione del reclamo la Corte d’appello, se sussistono giustificati motivi e su richiesta del reclamante o del curatore, può disporre la sospensione degli effetti della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di omologazione del concordato preventivo o degli accordi. La Corte d’appello può anche disporre le opportune tutele per i creditori e la continuità aziendale, in relazione all’inibizione degli effetti dell’apertura delle procedure di cui sopra. Art.53: il provvedimento della Corte d’appello che accolga l’impugnazione e revochi l’apertura della liquidazione giudiziale o dell’omologazione del concordato o degli accordi, ha effetti particolari: gli organi della procedura restano in carica finché non passa in giudicato la sentenza ma con compiti ed attribuzioni depotenziate (le attribuzioni di gestione dell’impresa tornano all’imprenditore, sotto la vigilanza del curatore e del tribunale); il debitore è assoggettato ad obblighi informativi periodici (situazione simile a quella in cui si trova l’imprenditore nel caso di attuazione del concordato preventivo). Quanto alla revoca dell’omologazione, la Corte d’appello può immediatamente dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale (anche se la revoca non è ancora passata in giudicato); vengono subito meno gli effetti dell’omologa, con l’unico correttivo di prevedere che, su istanza del debitore e se sussistono gravi motivi, vengano sospese le attività di accertamento del passivo e le attività di liquidazione finché la revoca non passa in giudicato (se la Cassazione riforma la revoca si ritorna all’omologazione ma gli atti di liquidazione restano fermi). 16/03/2022 Titolo III – Capo IV – Sezione III – Misure cautelari e protettive (Artt.54 e 55). Le forme di protezione del patrimonio del debitore accompagnano le iniziative assunte per regolare la crisi. Le misure protettive inibiscono l’avvio o prosecuzione di iniziative esecutive sul patrimonio del debitore. Questo tema si intreccia con le misure cautelari, richiesta dai creditori durante il procedimento di accesso alla procedura e volte ad assicurare la fruttuosità della sentenza di omologazione del concordato o di apertura della procedura. Queste misure presuppongono l’apertura di un procedimento di regolazione della crisi ed è sempre richiesta l’istanza di parte (non possono essere disposte d’ufficio). L’ambito di applicazione di entrambe le misure sembra sovrapponibile (applicabili a tutte le procedure, formalmente): le misure protettive possono essere richieste dal solo debitore mentre le misure cautelari possono essere richieste da tutte le parti. Il terreno di elezione delle misure protettive sono le procedure del concordato e degli accordi perché il debitore vuole mantenere il suo patrimonio intatto. D’altra parte, le misure cautelari vengono richieste perlopiù durante il processo di liquidazione giudiziale al fine di conservare il patrimonio, assicurando la fruttuosità della liquidazione giudiziale; nelle procedure di omologazione del procedura concorsuale vanno esenti dalla procedura revocatoria; contratti a cui è ricollegata l’esenzione da bancarotta preferenziale e bancarotta semplice per gli atti compiuti. Il controllo omologatorio non è una novità nel nostro sistema (es. giurisdizione volontaria nei confronti di interdetto o incapaci) ma una novità è averlo su contratti privati. Altra novità è che abbiamo dei contratti, ma la legge prevede qualcosa di insolito per la disciplina di un contratto tipico: sono previsti dei requisiti di forma-contenuto di questi rapporti, ovvero una serie di elementi e documenti che devono possedere che un contratto di diritto comune di pari contenuto non dovrebbe presentare. Le legge, molto spesso, non dà all’autonomia privata la libertà di stabilire il contenuto degli accordi, disponendo quali effetti deve avere il contratto.  questa regolamentazione è dovuta alla produzione degli effetti giuridici speciali da parte dei contratti. Strumenti negoziali stragiudiziali: accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento presentanti dall’imprenditore (ed attestati da professionisti). È l’unico degli strumenti disciplinati dal Codice, insieme alla composizione assistita, per cui non è prevista l’omologazione da parte del Tribunale. Oggi il Codice definisce compiutamente i piani attestati di risanamento (non lo faceva la L.Fall.). Presupposto soggettivo: debitore – imprenditore (commerciale o agricolo, grande o piccolo). Presupposto oggettivo: situazione di crisi o di insolvenza reversibile, poiché la finalità del piano è il risanamento dell’impresa e il riequilibrio della situazione economico- finanziaria (finalità conservativa e non liquidatoria). Non rileva la twilight zone, lo stato di pre-crisi (come per la composizione negoziata), è necessario che l’imprenditore sia quanto meno in crisi. L’elemento fondamentale di questo istituto è il “PIANO”, elemento presente in tutti gli strumenti di regolazione della crisi diversi dalla liquidazione giudiziale. Questo è un documento in cui il debitore illustra la sua situazione economico-patrimoniale-finanziaria del debitore, le principali cause della crisi, le azioni che si vuole intraprendere per risolvere la crisi, i tempi necessari, i creditori (anche quelli estranei alle trattative, che dovranno essere soddisfatti integralmente alla scadenza) e l’ammontare dei crediti di cui si propone la rinegoziazione, gli eventuali apporti di nuova finanza, gli strumenti di controllo per verificare il superamento della crisi e, infine, il piano industriale indicante le azioni organizzative che si propone di compiere per risanare l’impresa in crisi e i suoi effetti sul piano finanziario. I creditori, sulla base del piano, acconsentiranno o meno alla proposta, verificando se sia attendibile e se le azioni indicate consentono ragionevolmente al debitore di assicurare il soddisfacimento dei propri crediti. Il piano può prevedere il soddisfacimento dei creditori sia con la liquidazione delle attività, sia con la continuità dell’impresa (come nel caso dei piani attestati di risanamento). Il piano deve essere “attestato” da un professionista indipendente (definito dall’Art.2, lett.o)) con particolari requisiti di professionalità. Egli deve fornire un’attestazione circa la veridicità dei dati aziendali (elementi patrimoniali, economici e finanziari) oltre a verificare la fattibilità economica del piano. Questo è uno strumento posto dalla legge in funzione di garanzia degli interessi dei creditori e condizione per la produzione degli effetti speciali. Il professionista rende un’attestazione in senso proprio circa la veridicità dei dati aziendali, mentre sulla fattibilità economica del piano rende una valutazione secondo le regole della scienza e della tecnica e sulla base dei dati disponibili (prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini previsti dall’imprenditore). Il corretto e puntuale adempimento da parte del professionista attestatore è reso effettivo attraverso la sua responsabilità civile (verso il debitore e i creditori) e penale (Art.342 del Codice) in relazione alla violazione del dovere di verità (reclusione da 2 a 5 anni e multa da 50.000 a 100.000€). Il piano deve avere data certa (quindi fatto per iscritto) e gli accordi devono avere forma scritta ai fini della prova. Volendo, il piano può essere iscritto al RI. Il piano attestato di risanamento (non essendo omologato) ha effetti speciali limitati:  Opera un’esenzione dall’azione revocatoria ordinaria e speciale per gli atti, le garanzie concesse nei confronti dei beni del debitore e i pagamenti effettuati nei confronti del debitore in esecuzione del piano (indicati nel piano). L’esenzione non opera in caso di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore. È dubbio se il giudice dell’azione revocatoria debba arrestarsi nel momento in cui l’atto è compreso nel piano o se debba compiere di nuovo una verifica sulla veridicità e fattibilità del piano (ciò non è più previsto dal Codice ma era previsto nella L.Fall.).  Esenzione dai reati di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice per gli atti e i pagamenti compiuti in esecuzione degli accordi stipulati in base al piano. Nell’ambito della composizione negoziata si può giungere alla redazione di un piano attestato ma non vi è l’attestazione del professionista indipendente poiché il ruolo di garanzia è assolto dall’esperto. Strumenti negoziali stragiudiziali sottoposti ad omologazione: vi sono varie figure di contratti (ai sensi dell’Art.1321 CC) sottoposti, però, ad un giudizio di omologazione da parte del Tribunale (ex Art.48 del Codice). *Accordi di ristrutturazione dei debiti (Art.57): figura generale di questo tipo di accordi. Si disciplina il caso in cui un imprenditore stipula con i suoi creditori (rappresentanti almeno il 60% dei debiti) un contratto di ristrutturazione dei debiti soggetto ad omologazione, poggiato su un piano che indichi come ciò che è stato pattuito effettivamente abbia esecuzione. Per i creditori che non partecipano all’accordo, questo ha un’efficacia limitata di moratoria (dilazione del termine di adempimento da 120gg dall’omologazione dell’accordo o dalla data di scadenza del credito, se successiva) ma non è ridotta l’entità del credito (soddisfacimento integrale). L’accordo di ristrutturazione dei debiti è un contratto soggetto alle regole generali in tema di validità ed efficacia; tuttavia, il Codice prevede per questi accordi requisiti speciali, oltre all’omologazione, per garantire effetti ulteriori che un normale accordo non avrebbe. Le legge non predetermina il contenuto degli accordi, ovvero gli effetti giuridici che questi accordi possono comportare  l’imprenditore potrà liberamente pattuire con i creditori le modificazioni di loro rapporti, es. moratoria pagamenti, riduzione dei crediti, blocco del decorso degli interessi, posticipazione interessi maturati, blocco azioni esecutive cautelari, soddisfacimento dei crediti con modalità diverse da quella normale). Spesso a questi accordi, oltre alla ristrutturazione dei debiti, si ricollegano altri effetti: impegno di dismettere alcuni beni, rilascio di garanzie, operazioni sull’attività aziendale (es. chiusura rami, interventi sulla governance, nuovi progetti), previsione di strutture di monitoraggio dei creditori rispetto all’attività d’impresa. Presupposto soggettivo: debitore – imprenditore (commerciale o agricolo, ma solo maggiore). Presupposto oggettivo: situazione di crisi o di insolvenza reversibile, la finalità dell’accordo può essere sia di risanamento, sia di liquidazione. Requisiti speciali: devono aderire i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (non il 60% del numero dei creditori) e deve esservi idoneità a pagare integralmente i creditori non partecipanti all’accordo (nei termini dilatati di 120gg – effetto ex lege ulteriore in capo agli estranei all’accordo). È necessaria l’indicazione degli elementi del piano economico finanziario che ne consente l’esecuzione. Il piano deve prevedere ed indicare le modalità con cui assicurerà l’adempimento integrale alla scadenza dei creditori non aderenti, oltre ad altri documenti (es. scritture contabili). Qui, l’attestazione deve verificare che il piano sia idoneo ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei. Il Tribunale, in sede di giudizio di omologazione, verifica l’ammissibilità (rispetto dei presupposti di legge) e la fattibilità giuridica (accordo conforme alle norme di legge) e la fattibilità economica (non si capisce se indirettamente o andando a ricompiere tutto il lavoro dell’attestatore) del piano attestato dal professionista. L’Art.59 si occupa di un aspetto importante che si trova anche nel concordato e la liquidazione giudiziale  effetti nei confronti dei coobbligati dei soci illimitatamente responsabili. Normalmente vi è un debitore (imprenditore) ed una serie di coobbligati (terzi che hanno rilasciato garanzie reali o coloro che hanno prestato garanzie personali nell’interesse di un creditore o fideiussorie). L’Art.1239 CC si applica anche qui, se i creditori rimettono (in tutto o in parte) il loro credito il coobbligato è corrispondentemente liberato. Il creditore estraneo che subisce gli effetti dell’accordo mantiene inalterate le sue garanzie anche nei confronti del coobbligato. Se il debitore è una società di persone vi sono dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali; gli accordi di ristrutturazione hanno effetto anche nei confronti di essi (riduzione del debito), tuttavia se hanno prestato una garanzia (ovvero sono tenuti in base ad un titolo diverso) continuano a rispondere in modo integrale. L’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ha i seguenti effetti speciali:  Effetto nei confronti di soggetti non aderenti all’accordo  dilazione del termine di pagamento di 120gg.  Effetti ex lege ricollegati all’omologazione dell’accordo: 1) i finanziamenti contratti in esecuzione di un accordo omologato (Art.101 dedicato al concordato preventivo), e previsti nel piano sottoposto ai creditori, sono considerati crediti prededucibili (credito di rimborso del finanziamento) in caso di apertura di una procedura concorsuale, il finanziatore assumendo il rischio di finanziare un’impresa in crisi acquisisce un rango “privilegiato” rispetto agli altri creditori (vi è un fatto impeditivo della prededucibilità: quando il piano omologato è basato su dati falsi o con l’omissione di dati rilevanti oppure in presenza di atti di frode dei creditori)  ciò accade solo quando è prevista la continuità aziendale, poiché il finanziamento serve a favorire la continuità stessa. 2) Non sono soggetti a revocatoria ordinaria e speciale (Art.166 lett.e)) gli atti, le garanzie concesse nei confronti dei beni del debitore e i pagamenti effettuati nei confronti del debitore indicati nell’accordo di ristrutturazione. In questo caso, avendo la sentenza di omologazione, non è possibile discutere dei presupposti del compimento dell’atto, quindi, non vi sono cause di esclusione della revocatoria. 3) I finanziamenti erogati dai soci in esecuzione di un accordo omologato non sono postergati (deroga alla disciplina del CC) e beneficiano della prededuzione fino all’80% del loro ammontare. 4) finanziamenti interinali (erogati tra la domanda e l’omologazione) e finanziamenti ponte (erogati prima della presentazione della domanda e in funzione della sua presentazione) autorizzati, insieme ai finanziamenti contratti in esecuzione dell’accordo, sono esentati dai reati di bancarotta preferenziale e semplice per gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo di risanamento omologato.  Effetti eventuali che possono prodursi anche prima dell’omologazione sulla base della proposizione della domanda, prescindendo dall’omologazione del concordato (e ricollegati ad un provvedimento del giudice che li dispone); proposta la domanda il Tribunale può nominare un commissario giudiziale (lo deve nominare se è proposta anche la domanda di liquidazione) ed egli ha funzione di vigilanza. 1) Il primo effetto (Art.64) non presuppone un provvedimento del giudice, dalla data di presentazione della domanda per l’omologazione degli accordi (ovvero di richiesta di misure cautelari e protettive) non si applicano una serie di disposizioni dettate in materia di società (previsione per le s.p.a. e le s.r.l. dell’obbligo di riduzione del capitale o di ricapitalizzazione al verificarsi di certe condizioni; per il periodo anteriore al deposito della domanda non si applica nemmeno l’Art.2486 CC – obbligo per gli amministratori di gestire l’impresa con l’obiettivo di conservare il patrimonio nel momento in cui si verifica una causa di scioglimento). 2) Sono esentati da revocatoria anche atti, pagamenti e garanzie posti in essere prima dell’omologazione ma dopo la proposizione della domanda d’accesso all’omologazione (in una fase anteriore). Qui vengono in campo i finanziamenti interinali erogati tra il deposito della domanda (anche in bianco) e l’omologa  Art.99 (contenuto nel capo del concordato ma applicabile espressamente anche agli accordi di ristrutturazione), anche i crediti di rimborso dei finanziamenti interinali godono del carattere della prededuzione. Questi finanziamenti devono essere funzionali all’esercizio dell’attività aziendale fino all’omologazione oppure funzionali all’apertura e lo svolgimento delle procedure, oltre al miglior soddisfacimento dei creditori. 3) Anche i finanziamenti erogati in funzione di presentazione della domanda di ammissione alla procedura di omologazione (del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti), ovvero i finanziamenti ponte, godono degli stessi privilegi (prededuzione e esenzione da revocatoria) se sono indicati nel piano; anche qui occorre un provvedimento del giudice che autorizzi ciò (all’atto della presentazione della domanda o all’atto dell’omologazione). 4) Ultimo effetto che si può avere con la presentazione della domanda di omologazione degli accordi è la concessione delle misure protettive, per espressa previsione dell’Art.54.3, le misure protettive possono essere chieste dall’imprenditore anche prima della domanda di omologazione degli accordi, nel corso delle trattative che sono in corso con i creditori per la stipula dell’accordo stesso (quantomeno sembra necessaria la domanda in bianco). È necessario allegare la documentazione ex Art.39 oltre alla proposta di accordo, corredata dall’attestazione di un professionista che indiche che sono in corso trattative con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e che vi siano risorse per pagare integralmente gli altri creditori. La concessione delle misure presuppone un provvedimento del giudice reso nel contraddittorio tra le parti (debitore e creditori), con lo stesso procedimento previsto per le misure cautelari. Le misure protettive non vengono meno se vi è un “cambio di strategia” dell’imprenditore, es. aveva presentato domanda di omologazione degli accordi e poi presenta una domanda di accesso al concordato preventivo. 17/03/2022 *Accordi di ristrutturazione dei debiti agevolati (Art.60): questa non è una figura autonoma degli accordi di ristrutturazione, ma una variante degli accordi ex Art.56. Sono “agevolati” perché la percentuale di adesione dei creditori all’accordo può essere ridotta della metà (30%), a due condizioni: si esclude la moratoria di 120gg dei creditori estranei all’accordo e si rinunci a richiedere le misure protettive del patrimonio. *Accordi di ristrutturazione dei debiti ad efficacia estesa (Art.61): si è sempre in presenza di accordi di ristrutturazione dei debiti, a cui si applicano le disposizioni generali, salvo alcune regole specifiche. La peculiarità di questi accordi è la loro “efficacia estesa”, ovvero l’idoneità a produrre effetti giuridici ulteriori rispetto alla moratoria nei confronti dei creditori non aderenti (terzi). Questi, sussistendo delle condizioni più rigorose rispetto a quelle generali, possono subire degli effetti giuridici importanti anche se non hanno prestato il consenso all’accordo né possono opporsi. L’Art.61 deroga all’Art.1372 (contratto ha effetto solo tra le parti) e 1411 (contratto a favore di terzo, solo effetti favorevoli e possibilità di rifiutare) CC. In questo caso dei terzi, che non sono né successori né aventi causa, subiscono effetti giuridici anche senza il loro consenso. La legge non predetermina questi effetti ma si meritevolezza rispetto alle cause della crisi e la condotta dell’imprenditore, ciò perché era un’alternativa di beneficio rispetto alla liquidazione giudiziale. A partire dal 2006 (poi nel 2012 e 2015) la disciplina del concordato viene notevolmente modificata dal legislatore, che prende consapevolezza dell’importanza della continuità dell’azienda (non solo finalità liquidatorie), l’estensione già al momento della crisi e dà un’importanza maggiore all’autonomia privata (circa la valutazione da parte dei creditori della convenienza della proposta), limitando i controlli a profili di legalità. La finalità prioritaria del concordato preventivo è il soddisfacimento dei creditori; gli strumenti per raggiungere questa finalità sono la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio. Vi sono altre finalità subordinate (altri interessi tutelati) di cui occorre tenere conto, possono essere perseguite solo se il loro soddisfacimento è compatibile con la finalità primaria: conservazione dell’impresa e il suo risanamento (sempre funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori – Art.87.2 lett.f)). Che vi sia un sacrificio dell’interesse die creditori è ineliminabile (l’impresa è in stato di crisi), ma si deve avere un soddisfacimento maggiore rispetto a quello ottenibile nella liquidazione giudiziale (almeno del 10% superiore per il concordato liquidatorio). I commi successivi dell’Art.84 specificano cosa si intende per continuità e per concordato liquidatorio. Il concordato può attuare il soddisfacimento dei creditori con una di queste due modalità secondo le regole previste dalla legge, non è prevista una terza via, uno schema di concordato atipico che non risponda a nessuno dei modelli legali (concordato misto previsto dalla L.Fall.). Se sussistono i requisiti per una modalità si applica la relativa disciplina, se non sussistono i presupposti si può utilizzare l’altra disciplina (Es. se non sussistono i presupposti per la continuità si apre il concordato liquidatorio); se non sussistono i presupposti per entrambi l’imprenditore può rivolgersi ad altri strumenti: un accordo o, più spesso, la liquidazione giudiziale.  sempre con la preferenza del legislatore per le procedure concordate. Concordato con continuità aziendale (c.2-3): prevede la continuazione dell’impresa e che i mezzi per il soddisfacimento dei creditori siano ritratti preventivamente dall’attività d’impresa. Se è prevista la continuità d’impresa ma i creditori non vengono soddisfatti prevalentemente dal ricavato di essa il concordato potrà aversi solo nella forma di concordato liquidatorio, se ne sussistono i presupposti. La continuità può essere diretta oppure indiretta, ovvero l’impresa viene esercitata da un soggetto giuridico diverso dal debitore che ha presentato la domanda di concordato  la legge guarda alla continuità dell’attività d’impresa in quanto tale, a prescindere dal soggetto-imprenditore. La continuità indiretta può avvenire in forza di cessione di azienda, usufrutto di azienda, affitto di azienda ed altri schemi giuridici (elencazione esemplificativa e non esaustiva). La continuità indiretta deve essere prevista dal piano sottoposto ai creditori, inoltre, deve essere previsto dal contratto o dal titolo la riassunzione di un certo numero di lavoratori (mantenimento di certi livelli occupazionali). In caso di continuità diretta il piano deve prevedere che l’attività d’impresa è funzionale ad assicurare il rispristino dell’equilibrio economico e finanziario, superando lo stato di crisi o insolvenza, nell’interesse dei creditori. Il c.3 disciplina il requisito della “prevalenza”: il concordato si qualifica di continuità se è prevista la continuazione dell’attività d’impresa ma i creditori devono essere soddisfatti in maniera prevalente dal ricavato dedotto dalla continuità (cash flow derivante dalla continuità è maggiore rispetto a quello di un eventuale liquidazione di beni). Anche nel concordato con continuità può essere prevista la liquidazione dei beni ma solo se sono non strumentali all’attività aziendale. Il legislatore vuole che sia conservato il valore dell’azienda e non via sia una continuità solo apparente per aggirare le disposizioni più stringenti previste per il concordato liquidatorio. A ciascun creditore deve essere assegnata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile (es. percentuale di soddisfacimento dei crediti), anche diverse dal pagamento di una somma di denaro. Concordato liquidatorio (c.4): i creditori vengono soddisfatti mediante la liquidazione del patrimonio del debitore. Il concordato liquidatorio non è ammesso in tutti i casi in cui non è possibile la continuità, vi sono dei requisiti specifici: l’apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il 10% il soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale e il soddisfacimento dei creditori chirografari non può essere inferiore al 20% (anche per creditori non aderenti  se viene omologato i crediti vengono ridotti per come è previsto nella proposta). Se i requisiti del concordato liquidatorio o del concordato in continuità non ricorrono, l’imprenditore può ricorrere solo alla liquidazione giudiziale o agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Il legislatore ha inserito presupposti rigorosi per accedere alla procedura di concordato rispetto alla liquidazione giudiziale, che di solito è più costosa. Il vantaggio dell’imprenditore di ricorrere alla procedura di concordato deve coniugarsi con una maggiore soddisfazione dei creditori rispetto alla soluzione liquidatoria. Il concordato preventivo è lo strumento generale per la soluzione della crisi e insolvenza con la continuità dell’impresa; la liquidazione giudiziale è lo strumento generale per la soluzione della crisi e insolvenza con la liquidazione delle attività dell’impresa. Tra di essi si ha il concordato liquidatorio, soggetto a stringenti presupposti; si può avere solo se garantisce una soddisfazione maggiore dei creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. Presupposti soggettivi: solo il debitore può assumere l’iniziativa di aprire una procedura di concordato e formulare la proposta di regolazione concordata della crisi. Il debitore deve essere un imprenditore commerciale maggiore. Può ricorrervi anche l’imprenditore soggetto a liquidazione coatta amministrativa, salvo disposizioni espresse di legge. Non può presentare domanda di concordato l’imprenditore cancellato dal RI, che potrebbe entro l’anno proporre domanda di liquidazione giudiziale. Presupposti oggettivi: stato di crisi o stato di insolvenza. Nella procedura di concordato convivono due momenti: uno privatistico (che ha il suo principio nel fatto che l’imprenditore sottopone ai suoi creditore una proposta di ristrutturazione dei debiti e soddisfacimento dei loro crediti, chiedendo di approvarla) e uno pubblicistico (omologazione). PROPOSTA: deve fondarsi su un PIANO di concordato fattibile, contenente la descrizione analitica della modalità e dei tempi di adempimento della proposta e, se è un concordato in continuità, anche il piano industriale, con concrete possibilità di realizzazione. Concettualmente piano e proposta sono atti giuridici diversi, la prima è ciò che l’imprenditore propone ai creditori per il soddisfacimento dei loro crediti, il piano è invece un documento che deve indicare la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di soddisfacimento della proposta ed eventualmente anche il piano industriale (Art.87). Il piano è un documento fondamentale nell’ambito della procedura di concordato perché è sulla base di esso che i creditori decidono di dare o negare il proprio consenso alla proposta sottopostagli dall’imprenditore. Nei fatti ed a livello normativo i due atti si sovrappongono; l’Art.240 sul concordato nella liquidazione giudiziale chiarisce che ciò che è previsto dall’Art.85.3 (“il piano può prevedere”) è riferito alla proposta, invece, il piano vero e proprio ed il suo contenuto è disciplinato nell’Art.87. Anche nella prassi proposta e piano non sono nettamente distinti ed il piano finisce per essere una proposta più articolata. 23/03/2022 Art.85.3 - la Proposta può contenere: a) la ristrutturazione dei debiti e la misura di soddisfacimento dei crediti (in misura percentuale sull’ammontare del credito) ed il termine entro cui verranno saldati  la percentuale corrispondente è la cd. “falcidia” ovvero la consistenza dell’esdebitazione, per i creditori chirografari nel concordato senza continuità la percentuale di soddisfacimento non può essere inferiore al 20%; i creditori muniti di causa di prelazione (pegno o ipoteca) devono essere normalmente soddisfatti integralmente (possono essere soddisfatti non integralmente se in misura maggiore del ricavato derivante dalla liquidazione del bene oggetto di garanzia). Generalmente il soddisfacimento avviene attraverso il pagamento di una somma di denaro, la legge prevede però che possa avvenire in qualsiasi forma (elenco esemplificativo: cessione dei beni, accollo, fusioni, scissioni, attribuzione di azioni, obbligazioni o altri titoli di debito). b) la proposta può attribuire le attività dell’impresa (beni) a favore di un assuntore, che nell’acquisire l’attivo acquisisce anche le obbligazioni del debitore con un accollo liberatorio o meno (con certi tempi e certe modalità).  realizzazione di continuità in forma indiretta. c) la proposta può stabilire la suddivisione dei creditori in classe (solitamente i concordati la presentano sempre), l’Art.2 lett.r) definisce la “classe di creditori” come l’insieme dei creditori aventi posizione giuridica ed interessi economici omogenei  categorie di creditori: creditori muniti di cause di prelazione, creditori chirografari strategici, creditori finanziari, ecc. I creditori della classe devono avere un trattamento omogeneo circa misura, modalità e tempi di soddisfacimento. La conseguenza fondamentale delle classi è che a classi diverse possono essere riservati trattamenti differenziati (lett. d)), ciò non vuol dire che si debba dare per forza trattamenti differenziati alle classi. L’Art.109.1 ci dice che se si ha una suddivisione in classi dei creditori, il concordato si approva se sussiste la maggioranza dei creditori ammessi al voto e la maggioranza deve essere raggiunta anche all’interno del maggior numero di classi. Si ha una deroga alla par conditio creditorum, potendo alterare la percentuale di soddisfacimento dei creditori anche al di là delle cause di prelazione. L’omogeneità degli interessi all’interno della classe giustifica il principio di maggioranza e il vincolo dei creditori dissenzienti. Vi sono dei limiti nella formazione delle classi: vi è la verifica sulla loro omogeneità da parte del Tribunale; c.5: per i creditori titolari di crediti fiscali o previdenziali per cui non è previsto l’integrale pagamento, per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi o per i creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro vi è un obbligo nella formazione delle classi; c.6: il trattamento stabilito per ciascuna classe non può alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione (i creditori privilegiati devono avere un trattamento migliore). L’Art.85 ci dice che la proposta deve essere fondata su un piano fattibile. L’Art.87 ci dice che è un documento contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. Se abbiamo un concordato in continuità il piano deve contenere anche il piano industriale e l’evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario; il piano industriale evidenzia le strategie imprenditoriali che ci si propone per superare la crisi, indicando anche le prospettive reddituali (costi-ricavi) attese dalla prosecuzione dell’attività, è necessario evidenziare come questo piano vada ad incidere sulla situazione debitoria dell’imprenditore (effetti sul piano finanziario), che in caso di concordato si trova quanto meno in crisi. È sulla base del piano che i creditori possono decidere o meno se approvare la proposta, i creditori vogliono sapere come si continuerà l’attività e quali interventi vi saranno (solitamente devono essere interventi che propongano una netta discontinuità per riprendere fiducia nell’impresa). Requisiti di forma-contenuto del piano: a) cause della crisi. b) strategie d’intervento e tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria (se in continuità). c) apporti di finanza nuova, se previsti.  gli istituti di credito sono frenati delle conseguenze negative che potrebbe avere nel caso di apertura della liquidazione giudiziale (il credito da rimborso rischia di divenire credito chirografario, rischio di revoca dell’ipoteca sui beni, rischio revocatoria dei rimborsi parziali ricevuti, rischio della responsabilità penale per il concorso in reati fallimentari). Se i finanziamenti sono indicati nel piano sottostante al concordato preventivo omologato essi sono però sottoposti ad un regime preferenziale: il credito di rimborso è prededucibile (per il concordato in continuità); sono esentati da revocatoria anche atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione del concordato omologato; esenzione dai reati di bancarotta. Ciò vale anche per i finanziamenti erogati dai soci, che sono però considerati prededucibili solo fino all’80%. d) azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle proponibili solo nel caso di apertura della liquidazione giudiziale e delle prospettive di recupero.  azioni che porterebbero ad un aumento o realizzazione dell’attivo, indicando anche la prospettiva di recupero dei crediti sociali. È necessario indicare anche quelle esperibili solo se si apre la liquidazione giudiziale (azioni revocatorie ex Art.166 ed azioni di responsabilità esperibili dal curatore oltre all’azione sociale di responsabilità) per dare un elemento informativo ai creditori al fine della votazione, potendo effettuare la valutazione di convenienza del concordato rispetto alla liquidazione giudiziale (che non è eseguita dal Tribunale d’ufficio). e) cronoprogramma delle attività da compiersi ed iniziative da adottare in caso di scostamento tra obiettivi pianificati e quelli effettivamente raggiunti. f) in caso di concordato in continuità è necessario indicare la ragioni per le quali la continuità aziendale è più favorevole al soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. g) sempre in caso di concordato con continuità in forma diretta è necessario indicare costi e ricavi attesi dalla continuazione dell’attività e delle risorse finanziarie necessarie (e la loro copertura). C.2: il debitore con la domanda deve depositare l’attestazione di un professionista indipendente circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, che deve essere effettuata secondo un criterio di verosimiglianza (Sent. Cass SU 1521/2013) adottando le migliori regole della scienza e della tecnica. L’attestatore per la mancata corretta esecuzione del suo compito può incorrere in responsabilità civile, mentre in caso di falsità negli atti in responsabilità penale. In caso di concordato in continuità il professionista attestatore deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (c.3). Art.90 – Proposte concorrenti: chi può proporre la domanda di concordato è soltanto l’imprenditore, quindi solo lui formula la proposta di concordato ai creditori. Ferma la legittimazione esclusiva dell’imprenditore nel formualre la domanda e la proposta, il creditore o i creditori rappresentanti almeno il 10% dei crediti possono formulare all’interno della procedura una proposta concorrente con quella dell’imprenditore, sottoposta anch’essa alla votazione dei creditori. La proposta che riceve maggiori consensi è quella che viene approvata e sottoposta ad omologazione (a parità di voti prevale quella dell’imprenditore)  la finalità dell’istituto è di dare un’opportunità in più ai creditori e garantirgli una migliore soddisfazione (la proposta alternativa dovrebbe essere migliore sotto vari profili, es. percentuali di soddisfazione maggiori, tempi minori, …). Qui viene meno l’accordo tra proposta del debitore e creditori ma la procedura non perde i suoi caratteri fondamentali. La proposta dei creditori è soggetta alla controparte è destinata a subire questo effetto giuridico, che dipende da eventi e fattori del tutto indipendenti dalla propria attività e dalla propria volontà. C.2: la sospensione opera solo su istanza di parte, del solo debitore; l’istanza di sospensione può essere proposta anche sulla base della sola domanda mentre lo scioglimento del contratto necessita di essere valutato sulla base del piano del debitore, per valutare la coerenza della prosecuzione del contratto con il piano stesso. L’istanza viene presentata al giudice (tribunale prima del decreto di apertura; giudice delegato dopo) ed è lui poi, dopo l’instaurazione del contraddittorio, che con provvedimento decide se concederla o meno. La sospensione autorizzata prima del deposito del piano non può avere un termine eccedente quello per il deposito del piano e della proposta; se autorizzata dopo la presentazione della proposta non può eccedere 30gg (perché si può valutare se è coerente o meno e quindi sciogliere il contratto). La mancata esecuzione delle prestazioni può avere effetti pregiudizievoli per la controparte, ad essa è dovuto un indennizzo (non è un’attività contra ius) commisurato nel quantum al risarcimento (che si avrebbe per un’attività contra ius). Se l’indennizzo non è accettato è commisurato dal giudice in via ordinaria. CC.12-14 – disposizioni dettate per contratti specifici: nel caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria vi sono disposizioni particolari, per la sua diffusione. La possibilità di sospensione-scioglimento non si applica per una serie di contratti (rapporto di lavoro subordinato, contratti preliminari di compravendita per abitazioni principali, contratti di locazione di immobili quando ammesso alla procedura è il locatore), ciò per dare maggiore tutela alle controparti di questi rapporti.  Nel contratto di finanziamento bancario (C.14) costituisce prestazione principale anche la riscossione diretta da parte del finanziatore nei confronti dei terzi debitori della parte finanziata. Se pensiamo al contratto di mutuo non si ha un contratto pendente perché la datio da parte del finanziatore avviene subito; vi sono però anche contratti di finanziamenti atipici (anticipo di liquidità): anticipo su fatture o su Ri.Ba., operazioni di sconto. Attraverso questi contratti la banca rende disponibile immediatamente liquidità in ragione di crediti non ancora scaduti dell’imprenditore ed il cliente finale pagherà il suo credito sul c/c acceso presso la banca anticipataria  si ha un diritto della banca ala restituzione dell’importo anticipato ed un debito verso l’imprenditore delle somme anticipate (vi è un patto di compensazione tra imprenditore e banca  linee autoliquidanti). Se la banca ha anticipato la somma e durante la pendenza del termine di pagamento concesso al debitore (cliente dell’imprenditore) viene presentata la domanda di concordato il patto di compensazione imprenditore-banca continua ad operare, vi sarebbe astrattamente la possibilità di sciogliere questo rapporto giuridico pendente arrivando ad una situazione in cui la banca ha un credito vero l’imprenditore (sottoposto a falcidia) ed un credito dell’imprenditore verso il cliente per cui la banca subisce un danno. Vi era contrasto in giurisprudenza se lo scioglimento potesse operare anche sul rapporto banca-imprenditore, il correttivo è intervenuto qualificando come prestazione principale anche la riscossione diretta dai terzi debitori (cliente) della parte finanziata (imprenditore). Questo contratto si può quindi sciogliere, ma in caso di scioglimento il finanziatore ha diritto di riscuotere e trattenere le somme corrisposte dai terzi debitori fino al rimborso integrale delle anticipazioni effettuate (fino ai 120gg antecedenti il deposito della domanda d’accesso, per evitare che il finanziatore si possa avvantaggiare troppo nei confronti degli altri creditori), sostanzialmente dal punto di vista economico la vicenda dello scioglimento è neutra per la banca. L’Art.95 disciplina i contratti con le PA; storicamente vi era un problema per le imprese che operano con le PA circa la continuazione dei contratti nel caso di concordato in continuità (poiché i contratti con le PA presentano anche interessi pubblicistici). I contratti in corso di esecuzione con la PA non si risolvono con la proposizione della domanda di concordato, ciò richiede l’attestazione della conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. L’imprenditore che ha depositato la domanda ex Art.40 può partecipare alle procedure di affidamento di contratti pubblici, purché autorizzati dal tribunale o dal giudice delegato e alla presenza di determinate condizioni. 2) FASE DI APERTURA DEL CONCORDATO: si parla anche di “fase di ammissione”. L’Art.47 indica le condizioni in presenza delle quali il Tribunale dispone l’apertura del concordato: ammissibilità della proposta e fattibilità economica del piano. Se la verifica dei presupposti ha esito positivo viene emesso il decreto di apertura del concordato e la procedura va avanti; se la verifica ha esito negativo viene emesso il decreto di inammissibilità, e se vi è stata la richiesta da parte di un soggetto legittimato si apre la liquidazione giudiziale. Decreto di apertura: con questo decreto il Tribunale nomina il giudice delegato; nomina o conferma il commissario giudiziale; stabilisce, in ragione del numero dei creditori e dell’entità del passivo, la data iniziale e finale per l’espressione del voto dei creditori (la procedura procede con la fase della votazione); si fissa il termine per il deposito del fondo spese delle procedure (se non si deposita è causa di revoca del concordato). Dopodiché, il decreto è comunicato e pubblicato. Gli effetti del decreto di apertura non sono particolari perché gli effetti giuridici sono ricollegati alla presentazione della domanda. Troviamo, qui, gli ORGANI DELLA PROCEDURA. Questa è una procedura giudiziale (negli Accordi si può avere la nomina di un Commissario giudiziale ma non si hanno degli organi della procedura in senso proprio). Gli organi della procedura sono: Tribunale, Giudice delegato e Commissario giudiziale. Vi possono essere, conclusa la procedura e dopo l’omologazione, in fase di esecuzione del concordato: il Liquidatore giudiziale e il Comitato dei creditori. Commissario giudiziale: è al centro dello scambio dei flussi informativi imprenditore-creditori, è interfaccia del giudice delegato ed è dotato di poteri di vigilanza e controllo. Al fianco di questi poteri e doveri si affianca una disciplina sulla sua responsabilità in caso di inadempimento. Non vi è una norma ad hoc sul commissario giudiziale e la disciplina è da ritrarsi dalle norme che si occupano dei suoi poteri. Ha due tipi di poteri: 1) vigilanza e controllo; 2) consulenza, informazione e collaborazione con il giudice delegato. Al commissario giudiziale è attribuita la qualifica di pubblico ufficiale quando esercita le sue funzioni. Il commissario giudiziale NON ha poteri di amministrazione ed esercizio dell’impresa, poiché nel concordato il debitore conserva la disposizione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa  ciò lo distingue dal curatore nella liquidazione giudiziale, che ha l’amministrazione del patrimonio del debitore ricompreso nella liquidazione giudiziale. Coerentemente il commissario giudiziale non ha neppure il potere di stare in giudizio per l’imprenditore, che conserva la capacità processuale. Il ruolo ed i poteri del Commissario giudiziale non possono che essere poteri di vigilanza e controllo dell’operato dell’imprenditore nel corso della procedura e dell’esecuzione del concordato. Al potere di vigilanza si associa un potere di segnalazione in caso di condotte antigiuridiche dell’imprenditore, che possono portare anche alla revoca del decreto di ammissione dell’imprenditore alla procedura di concordato oppure alla revoca dei termini nel caso di presentazione della domanda in bianco. L’Art.106, in tema di potere di segnalazione del commissario giudiziale per condotte antigiuridiche dell’imprenditore, prevede le cause tipiche in presenza delle quali il Commissario giudiziale deve effettuare la segnalazione al tribunale. Se queste cause sono accertate portano alla revoca del decreto di ammissione e se vi è stata richiesta all’apertura della liquidazione giudiziale. Queste cause sono: 1) debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, ha dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti oppure ha indicato suoi debiti inesistenti, o in generale ha commesso altri atti di frode in pregiudizio ai creditori (minando l’interesse dei creditori a formarsi un convincimento tale da permettergli di esprimere il loro voto in modo informato)  fatti anteriori alla domanda scoperti successivamente; 2) debitore non ha depositato il fondo spese, ha compiuto atti non autorizzati diretti a frodare le ragioni dei creditori o comunque quando risulta che manchino le condizioni di apertura previste dagli Artt.84-88  atti compiuti, o situazioni che si verificano, nel corso della procedura. Art.92.5: il Commissario giudiziale deve segnalare anche al PM fatti penali che vengono in rilevo durante l’esercizio delle sue funzioni. Durante la fase di esecuzione del concordato il Commissario accerta che il debitore provveda agli atti ncessari a dare esecuzione alla proposta, riferendone al Tribunale se non li sta compiendo o li sta ritardando. Il Tribunale può autorizzare il Commissario a surrogarsi nei poteri del debitore nella disposizione del patrimonio e di amministrazione dell’impresa nell’interesse dei creditori ed in attuazione della proposta. Funzioni di consulenza dei creditori e di collaborazione con il giudice delegato  Art.104.1: il Commissario procedere alla verifica dell’elenco dei creditori e dei debitori, apportando le necessarie rettifiche. Comunica ai creditori un avviso contenente la data iniziale e finale del voto dei creditori, la proposta del debitore ed il piano. Il commissario redige l’inventario del patrimonio del debitore, forma una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato (anche successive), oltre che le garanzie e le utilità che in caso di liquidazione giudiziale possono essere apportate dalle azioni risarcitorie o recuperatori che potrebbero essere promosse in capo a terzi solo nel caso di apertura della liquidazione giudiziale. La relazione deve pervenire almeno 45gg prima di quando è programmata la votazione dei creditori. A questo punto si apre una fase di contraddittorio tra imprenditore, chi ha formulato le propGiuoste concorrenti, i creditori e gli altri coobbligati  all’esito di questa fase di contraddittorio viene depositata la relazione definitiva del Commissario, comunicata ai creditori, ai debitori e agli altri interessati almeno 7gg prima della data stabilita per il voto. La relazione del commissario è un atto di notevole importanza; nel concordato è essenziale che i creditori siano adeguatamente informati per poter esprimere in modo consapevole il proprio voto sulla proposta, per questo deve essere completa ed esaustiva. Il Commissario, poi, depositerà un parere motivato anche nella fase di omologazione del concordato. Si ha un sistema di controlli o rimedi verso le azioni del commissario, a cui si applica l’Art.133 dettato per il curatore; vi è la possibilità di revoca del Commissario ex Art.134 e l’Art.136 in tema di responsabilità. Giudice delegato: anch’egli è nominato con il decreto di apertura. Non vi è anche qui una disposizione ad hoc. A partire dalle riforme del 2005 che hanno accentuato il carattere privatistico del concordato, il giudice delegato ha perduto il potere di amministrazione e gestione dell’impresa oltre che al potere di sorveglianza del concordato (passato al Commissario giudiziale). Il Giudice delegato non ha più funzioni atipiche ma sono ben delineate dalla legge. Si hanno funzioni inerenti l’autorizzazione al compimento di atti (es. di straordinaria amministrazione o in relazione ai contratti pendenti), funzioni inerenti lo svolgimento della procedura (gestisce le operazioni di voto) ed infine ha funzioni di controllo sull’operato del Commissario giudiziale (competente anche per i reclami avverso al Commissario). Manca uno strumento di controllo avverso agli atti del Giudice delegato (nella L.Fall. era previsto un controllo da parte del Tribunale, si dovrebbe estendere l’Art.124 previsto per la liquidazione giudiziale). Tribunale: anche questo organo non ha competenza generale ma esercita le funzioni disciplinate dalla legge. Ha competenza a provvedere sulla domanda di accesso alla procedura, per l’omologazione del concordato e anche per la sua risoluzione ed annullamento; oltre ad essere competente ad aprire la liquidazione giudiziale su istanza di un soggetto legittimato. È competente per la nomina e revoca del Commissario e del Giudice delegato. Gli sono riservati alcuni compiti circa alcune autorizzazioni (es. per contrarre finanziamenti prededucibili; a pagare creditori anteriori). Nel caso di concordato liquidatorio il Tribunale all’esito dell’omologazione deve nominare il Liquidatore giudiziale e il Comitato dei creditori. Se il concordato viene aperto la procedura è in grado di procedere alla fase successiva. 3) FASE DI DELIBERAZIONE DEL CONCORDATO: i creditori sono chiamati a votare sulla proposta di concordato (proposta dall’imprenditore o da altri soggetti legittimati). All’esito il concordato può essere approvato o respinto; se viene approvato si passa alla fase di omologazione, in caso contrario se vi è l’istanza si apre la liquidazione giudiziale. Il Tribunale fissa le modalità di espressione del voto ed il Commissario giudiziale porta a conoscenza dei creditori tutto il necessario. L’espressione del voto è disciplinata dall’Art.107: il voto avviene per via telematica (non vi è più l’adunanza dei creditori), tutte le contestazioni vengono sollevate e trattate mediante il deposito e lo cambio di documenti prima della votazione. È prevista la comunicazione della relazione e l’illustrazione delle proposte, la possibilità per i creditori proponenti e gli altri interessati di svolgere contestazioni e osservazioni (es. ritenuta inammissibile la proposta di concordato, possibilità di contestare i crediti e i diritti di prelazione dei creditori concorrenti), la possibilità di replica da parte del debitore e la possibilità di contestare determinati crediti (circa la loro esistenza, eventuale prelazione ed ammontare). Il Commissario documenta tutte queste azioni, deposita la sua relazione definitiva ed a seguire si esprime il voto per via telematica via PEC. Una volta espresso il voto, il concordato viene approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei creditori ammessi al voto. Possono essere ammessi al voto solo i creditori anteriori alla presentazione della domanda, essi sono inseriti nell’elenco redatto dal Commissario; se il loro credito non è contestato durante le operazioni di voto sono senz’altro ammessi al voto, se il creditore è contestato (circa l’esistenza o l’ammontare del suo credito) occorre stabilire se questi creditori possono essere ammessi al voto o meno  Art.108 - Ammissione provvisoria dei crediti contestati: il Giudice delegato può ammettere in via provvisoria i crediti contestati ai fini del voto e del computo delle maggioranze (verifica endo-procedimentale con effetti limitati solo all’ammissione al voto e al calcolo della maggioranze), il provvedimento non ha effetto al di fuori del concordato né all’interno del concordato circa la possibilità di soddisfacimento del credito. Il giudizio sull’esistenza ed il rango prelazionario di questi crediti è riservato ad un giudizio ordinario fuori dal procedimento concorsuale; se si giunge ad una decisione differente è in base a ciò se il creditore avrà diritto o meno di essere soddisfatto  nel procedimento di concordato non vi è una fase di verifica dei crediti ai fini della partecipazione o meno al concorso. Se i creditori vengono ammessi al voto dal giudice delegato (o non si pronuncia) possono votare. I creditori esclusi dal voto non possono votare e non vengono calcolati i loro crediti ai fini del computo delle maggioranze; questi creditori possono opporre la loro esclusione al voto in sede di omologazione del concordato (opposizione all’omologazione), ma solo se nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze (cd. “prova di resistenza della maggioranza”  se il voto sarebbe stato ininfluente per il Al concordato omologato seguono una serie di effetti ex lege: i finanziamenti compiuti in esecuzione del piano di concordato omologato godono della prededuzione; atti e garanzie previsti dal piano sono esenti da revocatoria; pagamenti in esecuzione del piano sono esenti dai reati di bancarotta. Esecuzione del Concordato. Con la sentenza di omologazione si chiude la procedura di concordato e dalla sua pubblicazione si può iniziare l’esecuzione (se non è previsto diversamente dalla proposta) del piano. Si può avere l’esecuzione del concordato prima che la sentenza di omologazione divenga irrevocabile (passata in giudicato). La revoca della sentenza in appello, però, non provoca la caducazione degli atti legalmente compiuti. Art.118: disposizione generale che si applica al concordato in continuità ed al concordato con cessione di beni (liquidatorio). Spetta al debitore adempiere al concordato, egli ha l’obbligo di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato approvata ed omologato (anche se la proposta proviene da un creditore). L’imprenditore deve soddisfare i debiti nei tempi e nelle misure indicate dalla proposta. L’esecuzione del concordato in realtà non è data solo da ciò poiché l’attività esecutiva comprende ogni atto funzionale a dare attuazione alla proposta, previsto nella proposta stessa e nel piano. Per il concordato in continuità rientra nell’esecuzione anche la gestione dell’impresa; nel concordato liquidatorio rientra nell’esecuzione anche la liquidazione dei beni non strategici. Il commissario giudiziale mantiene poteri di controllo e deve riferire al giudice delegato ogni fatto che può arrecare pregiudizio ai creditori. Il debitore può anche non adempiere alla proposta di concordato, ritardando il compimento degli atti necessari a dare attuazione alla proposta  il Codice ai cc.4-6 prevede che quando il commissario rileva ciò deve riferire al Tribunale che, sentito il debitore, può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari al compimento degli atti (unico caso in cui il commissario acquista poteri di disposizione ed amministrazione del patrimonio del debitore, diventando un’esecuzione in via coattiva con surrogazione nella sua attività di un terzo); se la proposta omologata è stata presentata da uno o più creditori l’iniziativa per rilevare i ritardi può provenire anche dal creditore proponente. C.7: nel caso di trasferimento dei beni nell’ambito del concordato si ha un effetto giuridico speciale, ovvero l’estinzione delle formalità iscritte sui beni trasferiti (es. effetto purgativo delle ipoteche, che non ha qui diritto di sequela). C.8: l’acquirente o il cessionario dell’azienda non risponde dei debiti pregressi, salva diversa previsione del piano di concordato  procedura di favore per il trasferimento dell’azienda all’interno della procedura di concordato. Art.116: il piano può prevedere anche il compimento di operazioni straordinarie nel corso della procedura o nel corso dell’esecuzione (trasformazione, fusione o scissione delle società debitrici)  queste operazioni possono essere contestate dai creditori solo con i processi di impugnazione del concordato e non si applicano le regole del CC. Questi effetti sono poi irreversibili, queste operazioni non vengono meno anche nel caso di revoca del concordato. Al solo concordato liquidatorio si applicano gli Artt.114 e 115, in aggiunta alle disposizioni precedenti. Art.114: se il concordato consiste nella cessione dei beni nella sentenza di omologazione il tribunale nomina il liquidatore giudiziale, il comitato dei creditori (3 o 5 membri) e fissa le modalità della liquidazione. Liquidatore giudiziale: figura deputata alla vendita dei beni, attraverso cui si ricava una somma di denaro poi da distribuire ai creditori in ragione delle loro pretese. Comitato dei creditori: ha il compito di assistere alla liquidazione (consulenza) e, inoltre, ai sensi dell’Art.140 ha funzioni di vigilanza e autorizzazione al compimento di atti da parte del liquidatore quando sia previsto dalla legge o autorizzato dal Tribunale o Giudice delegato. Si dibatte se queste due figure siano “organi” della procedura di concordato (ma la procedura si chiude con l’omologazione), ma sono sicuramente soggetti del concordato preventivo. Il Liquidatore acquista la disponibilità materiale e giuridica dei beni messi a disposizione dall’imprenditore, procede alla liquidazione e poi alla ripartizione del ricavato tra i creditori. Ha il dovere di compiere tutti gli atti necessari alla liquidazione dei beni (tramite procedure competitive al fine di aumentare le percentuali di realizzo, come nella liquidazione giudiziale). Le vendite hanno effetto estintivo dei gravami esistenti sul bene. Vi sono dei problemi in ordine alla figura del liquidatore e ai suoi poteri. Il concordato con liquidazione dei beni può configurarsi con il trasferimento della titolarità dei diritti in capo al liquidatore (effetto esdebitatorio si produce immediatamente) oppure la cessione dei beni può essere eseguita attraverso un mandato al liquidatore di compiere gli atti necessari per la liquidazione dei beni e poi distribuire il ricavato ai creditori (effetto esdebitatorio si produce al ricevimento delle somme dai creditori). Ciò rileva per la ricostruzione dei poteri del liquidatore in ordine alla legittimazione ad agire e resistere in giudizio. L’Art.115 risolve, in parte, il problema, occupandosi del profilo della legittimazione attiva: il liquidatore è legittimato ad esercitare e proseguire ogni azione finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni nel patrimonio del debitore ed ogni aione diretta al recupero dei crediti. Nella viene detto con riguardo alla legittimazione passiva (quando vi sono domande di terzi relativi a beni ricompresi nel patrimonio ceduto o di crediti dell’imprenditore), secondo la giurisprudenza il liquidatore ha sicuramente legittimazione passiva in azioni con cui i terzi rivendicano diritti sui beni ceduti alla liquidazione; nel caso di domande relative a crediti in caso di concordato con immediato effetto traslativo il liquidatore è legittimato passivo, nel caso contrario l’imprenditore è legittimato passivo ed il liquidatore è litisconsorte necessario. Il liquidatore è sicuramente legittimato passivo nelle controversie sulla redistribuzione del ricavato. Il C.2: dice che nell’azione di responsabilità verso gli amministratori il liquidatore è un legittimato attivo, ed è nullo ogni patto contrario. C.3: per l’azione di responsabilità ex Art.2394 CC la legittimazione resta in capo ai creditori. Eventi patologici del concordato omologato. Art. 119 – Risoluzione del concordato: il concordato si può risolvere per inadempimento degli obblighi assunti dall’imprenditore con la proposta ed il piano. Il concordato non si può risolvere se l’inadempimento è di scarsa importanza (es. percentuale di poco minore a quanto è stato proposto) né se il concordato liquidatorio non soddisfa a pieno le promesse ai creditori (si ha inadempimento se l’imprenditore non rende disponibili i beni da liquidare). Quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore non si può risolvere il concordato. Anche un solo creditore può agire per ottenere la risoluzione oppure è legittimato anche il commissario giudiziale, che può proporre l’iniziativa solo su istanza di uno o più creditori. L’azione di risoluzione ha un termine perentorio di 1 anno dal termine fissato per l’esecuzione dell’ultima previsione del concordato. Se nella fase di esecuzione del concordato si acclara uno stato di insolvenza vi è pregiudizialità della risoluzione del concordato rispetto all’apertura della liquidazione giudiziale (a meno che sia dovuta a debiti successivi alla proposizione della domanda di concordato – insolvenza sopravvenuta). Art.120 – Annullamento del concordato: il concordato può essere annullato su istanza del commissario o di qualunque creditore quando vi è una dolosa esagerazione del passivo o la sottrazione/dissimulazione dell’attivo (fatti che sen vengono scoperti durante la procedura sono causa di revoca del concordato). Questa è una previsione tipica, non vi sono ulteriori cause di annullamento o nullità del concordato. Si ha un termine di proposizione di 6 mesi dalla scoperta del dolo ed entro 2 anni dalla scadenza de termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato. Titolo V - LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE (Artt.121-267). È una procedura giurisdizionale di liquidazione del patrimonio dell’imprenditore in ordine alla soddisfazione dei creditori. Questa è la procedura più rilevante per la risoluzione dell’insolvenza degli imprenditori ed è l’istituto che subisce meno mutamenti con il Codice rispetto al fallimento di cui al R.D.267/1942. Vi è una vistosa novità lessicale: si parla di liquidazione giudiziale e non più di fallimento (primo principio della legge delega), ma non è un’operazione meramente nominalistica, è un indice del mutato atteggiamento del legislatore di attenuare i caratteri più afflittivi del fallimento sulla persona del debitore, evitando la carica di disvalore sociale del termine e caratterizzando l’insolvenza come un “incidente di percorso” ed a ciò segue anche l’estensione del beneficio dell’esdebitazione. È un procedimento giudiziale che attua la responsabilità patrimoniale del debitore ex Art.2740 CC nell’interesse prioritario dei creditori in modo da perseguire il loro massimo soddisfacimento nel minor tempo possibile. Vengono tutelati anche gli interessi del debitore, essi non devono essere pregiudicati per ciò che non sia strettamente necessario al soddisfacimento dei creditori. Il Fallimento è una creazione del diritto italiano intermedio (Statuti commerciali dei comuni italiani del XIII secolo), da ciò si diffonde all’ambiente francese sotto l’influenza dei mercanti italiani. Il Fallimento è tradizionalmente riservato ad un debitore qualificato: l’imprenditore commerciale. Questa non è una scelta ontologica, altri ordinamenti (Germania o anglosassoni) prevedono il fallimento come strumento di applicazione generalizzata a tutti i debitori. Nel Codice, la Liquidazione giudiziale è prevista per l’imprenditore commerciale maggiore ma è introdotta la procedura di Liquidazione controllata del sovraindebitato applicabile agli altri debitori. La Liquidazione giudiziale comporta effetti gravosi sul piano personale per il debitore, oltre alle conseguenze penali, anche se oggi non esiste più il pubblico registro dei falliti a cui erano collegate delle incapacità non di settore (es. privazione dell’elettorato attivo); non vi sono più effetti puramente afflittivi ma solo quelli ricollegati al buon esito della procedura. Subisce degli effetti patrimoniali: lo spossessamento, ovvero subisce l’indisponibilità materiale e giuridica dei propri beni; dissoluzione dell’impresa. La liquidazione giudiziale può iniziare su istanza dello stesso imprenditore ma anche su istanza di soggetti diversi: PM e i creditori  ciò evidenzia il carattere coattivo della liquidazione giudiziale come strumento dei creditori di soddisfarsi sui beni del debitore (accostabile all’Art.2910 CC). Qual è la natura giuridica della liquidazione giudiziale? È una procedura complessa non etichettabile con le categorie tipiche (procedura di esecuzione forzata, giurisdizione contenziosa, …). L’etichetta che più coglie gli aspetti caratterizzanti della liquidazione giudiziale è l’esecuzione forzata poiché è un procedimento volto ad assicurare la responsabilità patrimoniale del debitore nell’interesse dei creditori ed a ciò si procede in via coattiva, ma questa etichetta non esaurisce tutte le caratteristiche del procedimento di liquidazione giudiziale. Tuttavia, la liquidazione giudiziale presenta una complessità ed articolazione non ravvisabile nell’espropriazione individuale dovuta al fatto che il presupposto sia l’insolvenza (e non il mero inadempimento di un obbligazione) che può pregiudicare tutti i debitori e che chi è insolvente è un soggetto che svolge un’attività imprenditoriale. Per riassumere l’essenza del fallimento bastano due termini: insolvenza e concorsualità. L’insolvenza è un presupposto della liquidazione giudiziale e perpetua la sua influenza sulle caratteristiche della procedura in sé (stato duraturo), andando a colpire tutti i creditori è necessario rispettare la par condito creditorum (facendogli sopportare in modo paritario le perdite). Da ciò deriva la presenza di una serie di istituti che vanno a ristabilire questa par conditio, tra cui le azioni revocatorie (che presuppongono l’insolvenza). Il fallimento è diretto a realizzare l’interesse Gli effetti si producono immediatamente e non è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza di apertura. La sentenza è soggetta ad impugnazione con il reclamo dinanzi alla Corte d’appello e poi di fronte alla Cassazione, ma ciò non sospende l’efficacia della sentenza. Se ricorrono gravi e fondati motivi, su istanza di parte la Corte può disporre l’inibitoria degli effetti della sentenza. Anche se la sentenza di apertura è stata revocata gli effetti hanno carattere ultra-attivo e restano efficaci fino al passaggio in giudicato della sentenza di revoca (diversamente dalla sentenza di riforma in appello della sentenza di apertura dell’esecuzione forzata). I cc.1-3 dell’Art.53 dettano un regime interinale per il periodo tra la revoca della sentenza di apertura ed il passaggio in giudicato della sentenza di revoca: gli organi della procedura restano in carica ma con effetti depotenziati (l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa tornano al debitore, che deve essere autorizzato però per gli atti di straordinaria amministrazione). Quando la revoca della sentenza di apertura diviene definitiva restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura  la revoca non ha efficacia retroattiva rispetto agli atti compiuti in esecuzione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Vi sono degli atti che hanno efficacia immediata extra-processuale (es. scioglimento dei rapporti pendenti, alienazione di un bene compreso nella procedura), quindi si sceglie di non far venire meno questi atti anche se viene meno la loro base giuridica. Se gli effetti dipendono dalla sentenza, una volta che passa in giudicato diventano stabili anche gli effetti (giudicato formale); la sentenza di apertura è soggetta anche al giudicato sostanziale: accerta con autorità di cosa giudicata la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivo per accedere alla procedura e quindi è accertato anche il diritto processuale a partecipare alla procedura. Chi dovesse subire effetti dannosi dalla procedura non può attuare i rimedi previsti per far valere una responsabilità processuale per il pregiudizio subito se la sentenza di apertura è passata in giudicato poiché è chiara la legittimità della procedura stessa. Contenuto della sentenza di apertura: la sentenza da avvio alla procedura, quindi l’Art.49 dispone che essa contenga dei provvedimenti accessori: la nomina del giudice delegato per la procedura; la nomina del curatore e degli eventuali esperti; l’ordine al debitore di deposito dei bilanci, scritture contabili e fiscali obbligatorie; stabilisce il luogo e l’ora in cui si procederà all’esame dello stato passivo; assegna il termine per i creditori di proporre la domanda di insinuazione al passivo; autorizza il curatore a compiere una serie di atti necessari alla procedura.  la sentenza, oltre al contenuto giurisdizionale, contiene una serie di provvedimenti amministrativi di carattere ordinatorio (non decisorio) e che quindi possono essere modificati o revocati nel corso della procedura. ORGANI della procedura di liquidazione giudiziale (Capo I – Sez. I – Artt.122-142). Gli organo sono le persone o le formazioni collegiali a cui la legge assegna funzioni (poteri e doveri) all’interno della procedura di liquidazione giudiziale e finalizzate allo svolgimento di essa. Il sistema delle funzioni e dei rapporti tra gli organi del fallimento, con le riforme a partire dal 2005 è mutato radicalmente, delineando un nuovo assetto mutuato poi dal Codice. Il giudice delegato, originariamente perno della procedura (dirigeva il fallimento), oggi ha una mera funzione di vigilanza e controllo sull’andamento della procedura e gli è precluso un sindacato di merito sulle scelte del comitato e del curatore. A ciò si accompagna un simmetrico aumento delle attribuzioni del curatore e del comitato dei creditori. Oggi è il curatore ad avere la funzione direttiva della procedura. 1) Tribunale concorsuale (Art.122): non è una sezione del Tribunale, né un ufficio con una forma di autonomia, è il Tribunale stesso che ha dichiarato aperta la procedura di liquidazione giudiziale. Ha funzione di vigilanza generale sugli altri organi della procedura ma non può avocare a sé funzioni ed attribuzioni spettanti ad altri organi. Ha delle competenze diffuse su tutta la procedura, ma limitate: a) funzioni di carattere amministrativo (nomina e revoca gli organi della procedura); b) funzione di vigilanza sulla procedura (può sentire le parti e gli altri organi); c) decide le controversie relative alla procedura che non siano di competenza del giudice delegato e decide i reclami avverso i provvedimenti di quest’ultimo. Si pronuncia con decreto motivato, se non è previsto diversamente dalla legge e giudice sempre in composizione collegiale di 3 magistrati. A questi poteri si aggiungono quelli di volta in volta previsti da singole disposizioni. Art.32: il tribunale che ha aperto la procedura di liquidazione è competente (verticalmente e orizzontalmente) a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore. Queste azioni non sono le controversie relative alla procedura stessa (Art.122 lett. c)) ma sono azioni di cognizione esterne alla procedura ma collegate ad essa perché ricollegate alla ricostruzione del patrimonio dell’imprenditore. Questa regola di competenza ci aiuta a capire come funziona l’istituto della liquidazione giudiziale  opera per le azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale, quindi, non opera per tutte le azioni e le controversie di cui i l curatore come organo della procedura sia parte ma solo tra le azioni qualificabili come derivanti dalla liquidazione giudiziale. Le controversie di cui il curatore è parte non derivano dalla procedura sottostanno alle regole ordinarie. Per capire quali azioni derivano dalla procedura di liquidazione giudiziale è necessario guardare all’oggetto del processo: azioni che se la procedura non fosse stata aperta non esisterebbero e sorgono solo a seguito della stessa (es. azioni di inefficacia degli Artt.163, 164 e 166 se manca la sentenza di apertura o la dichiarazione di fallimento non hanno un presupposto). L’Art.165 disciplina l’azione di revocatoria ordinaria, che non ha come suo presupposto la procedura di liquidazione giudiziale, ed essa si propone dinanzi al tribunale competente ex Art.27 che è il tribunale concorsuale  da questa regola capiamo che per azioni che pur non richiedendo come presupposto la liquidazione giudiziale (poiché preesistenti ad essa) ma comunque derivano da essa e con cui il curatore fa valere dei diritti dei creditori (l’azione revocatoria è azione dei creditori ma l’Art.165 la estende anche al curatore) vi è sempre la competenza del tribunale concorsuale. Quindi, le azioni che derivano dalla apertura della liquidazione giudiziale sono le azioni “di massa”, rispetto alle quali il curatore ha: 1) una legittimazione propria ed originale (azioni che hanno il loro presupposto nella liquidazione giudiziale e non preesistenti ad essa); 2) azioni che preesistono alla liquidazione ma vi è una deviazione al loro schema legale tipico con attribuzione al curatore di una legittimazione ad agire sostitutiva di quella dei creditori. 2) Giudice delegato (Art.123): esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura (ripreso dalla Legge Fallimentare per come riformata negli ultimi anni). Non vi è un potere di direzione della procedura da parte del giudice delegato, le scelte di convenienza ed opportunità sono in capo al curatore. Il potere del giudice delegato si riduce, aumentando simmetricamente l’autonomia e le funzioni del curatore e del comitato dei creditori (accentuazione dei caratteri privatistici della disciplina della liquidazione giudiziale rispetto ai caratteri pubblicistici). Solo in casi previsti dalla legge compie valutazioni e prende decisioni volte al regolare svolgimento della procedura. L’elenco dei poteri presente nell’Art.123 non è esaustivo: a) Riferisce al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento del collegio; b) Emette provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio sottomesso alla procedura di liquidazione (atti di amministrazione del patrimonio), a meno che i provvedimenti incidano su terzi che rivendichino diritti incompatibili con l’acquisizione  il giudice delegato può emettere decreti di acquisizione dei beni (avocando all’amministrazione fallimentare beni nella disponibilità di terzi), ma questi provvedimenti urgenti possono incidere solo su beni nella materiale disponibilità dell’imprenditore oppure di terzi che acconsentono alla consegna di beni alla procedura, non rivendicando propri diritti sul bene incompatibili con l’acquisizione. c) Convoca curatore e comitato dei creditori. d) Liquida i compensi degli esperti. e) Provvede sui reclami proposti contro gli atti del curatore o del comitato dei creditori. f) Autorizza il curatore a stare in giudizio come attore o convenuto quando è utile al miglior soddisfacimento dei creditori (atto con valutazione di convenienza). g) Procede all’accertamento dei crediti e dei diritti vantati da terzi sui beni compresi nella procedura  procedura di accertamento del passivo (giurisdizionale) in cui opera con funzione decisoria. Il giudice delegato si pronuncia sempre con decreto motivato, revocabili o modificabili dal giudice delegato fino a che non hanno avuto esecuzione. I decreti del giudice delegato sono sottoponibili a reclamo con lo strumento dell’Art.124. Art.124 – RECLAMO contro i decreti del giudice delegato e del tribunale. È proponibile al Tribunale avverso i decreti del giudice delegato e alla Corte d’appello avvero i decreti del Tribunale. Questo è uno strumento di controllo di carattere impugnatorio contro gli atti del giudice delegato e del Tribunale, frutto di una lunga elaborazione dovuta anche a molteplici interventi della CCost e della Cassazione sul teso dell’ex Art.26 L.Fall. Vi sono una serie di regole circa gli atti degli organi della procedura, è quindi necessario avere uno strumento di controllo per consentire all’interessato che ritenga vi sia un atto non conforme alla regola processuale che lo disciplina di far accertare che sia viziato. Poiché la liquidazione è un processo di esecuzione forzata e salvo incidenti cognitivi (previsti per altre circostanze) non è idoneo a risolvere le controversie, occorre creare un ambiente idoneo ad un giudizio contenzioso per la verifica del rispetto delle regole processuali. Questo giudizio contenzioso è appunto il reclamo ex Art.124, funzionalmente omologo al giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex Art.617 CPC. Mentre l’Art.617 per decidere della regolarità degli atti è un giudizio a cognizione piena ed esauriente, nella sua formulazione originaria l’Art.26 L.Fall. prevedeva un giudizio in camera di consiglio ed a cognizione sommaria per cui varie pronunce della CCost hanno definito la disciplina incostituzionale poiché il procedimento sommario non è idoneo a risolvere controversie di carattere contenzioso. Essendo una controversia relativa ad un diritto soggettivo, richiede una cognizione piena ed esauriente. Oggi l’Art.124 disciplina un giudizio speciale ma a cognizione piena ed esauriente. Tutti gli atti del Giudice delegato e del Tribunale sono assoggettati a reclamo ma sono distinti in categorie:  Atti decisori , che incidono su diritti soggettivi.  Atti ordinatori o di mera amministrazione , che non incidono su diritti soggettivi. Motivi per cui si può proporre il reclamo: mezzo a critica libera, quindi, possono essere mosse tutte le forme di contestazione ipotizzabili avverso l’atto (vizi di legittimità, vizi di merito, violazioni di opportunità). Legittimati a proporre il reclamo sono: il Curatore, il Debitore, il Comitato dei creditori e ogni altro interessato (creditori). Il reclamo risolto dal Tribunale non è poi ricorribile in Corte d’appello ma solo in Cassazione. Il termine per proporre reclamo è di 10gg ed in ogni caso non può proporsi decorsi 90gg (se non vi sono le condizioni per il termine breve). Gli atti non impugnati entro il termine perentorio si stabilizzano, salvo la revoca o la modifica (se ne ricorrono i presupposti) da parte dell’organo che li ha emessi. Il procedimento di liquidazione giudiziale è dato da una concatenazione di atti, se un atto è viziato si deve proporre il reclamo, se non si propone, gli atti successivi non possono essere impugnati per un vizio derivato dal precedente atto non impugnato (ma solo per vizi propri). 06/04/2022 3) Curatore (Artt.125-132): organo principale della liquidazione giudiziale, egli ha la competenza generale sulla gestione della procedura. A lui spetta l’amministrazione del patrimonio compreso nella liquidazione giudiziale e compie tutte le operazioni della procedura. Predispone il programma di liquidazione dei beni e compie le attività necessarie per la sua attuazione, oltre alla liquidazione e la distribuzione del ricavato ai creditori (predisposizione dei piani di riparto e pagamenti). Il Curatore è nominato dal tribunale nella sentenza di apertura della liquidazione giudiziale tra soggetti con determinati requisiti soggettivi e non devono incorrere in cause ostative. Il curatore nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni è un pubblico ufficiale ed esercita una pubblica funzione giurisdizionale. Attribuzioni del curatore (Art.128): spetta al curatore compiere gli atti di amministrazione del patrimonio (oltre a compiere gli atti della procedura) e a lui spetta la rappresentazione del patrimonio soggetto a liquidazione (centro autonomo di diritti). Con riguardo dei beni dell’imprenditore si ha una scissione tra la titolarità dei beni che è dell’imprenditore e amministrazione dei beni che spetta al curatore (legittimazione di carattere esclusivo). La legittimazione esclusiva del curatore ha anche carattere universale, riguardando tutti i diritti ricompresi nel patrimonio sottoposto a liquidazione giudiziale. Il curatore identifica il patrimonio da sottoporre a liquidazione giudiziale poiché la sentenza di apertura della liquidazione non indica i beni sottoposti ad esecuzione forzata (come l’atto di pignoramento nell’esecuzione forzata individuale)  il curatore, seguendo i criteri di legge, identifica i singoli beni e forma il patrimonio sottoposto a liquidazione giudiziale. Il curatore provvede poi alla gestione e alla conservazione dei beni (attribuzione esclusiva, la custodia non può mai spettare al debitore). I beni organizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa (azienda) rientrano nel patrimonio dell’imprenditore, quindi, il curatore deve gestire anche il problema della dimensione dinamica del patrimonio (gestione attiva dei diritti e dei beni ricompresi nello stesso), ponendosi nelle vesti dell’amministratore di questi beni con l’obiettivo di liquidarli. Il potere di amministrazione del patrimonio ricompreso nella procedura si estende anche all’ ambito processuale, il curatore sta in giudizio sia nei giudizi pendenti che successivi all’apertura della liquidazione giudiziale riguardanti i rapporti patrimoniali del debitore (sia nel caso in cui si tratti di controversie con cui si fa valere diritti verso i terzi sia in controversie “passive”). L’amministrazione del patrimonio è preordinata sia alla conservazione che alla ricostituzione del patrimonio, quindi, il curatore può esercitare i poteri processuali sia in controversie che possono agire in modo negativo sul patrimonio (promosse da terzi) sia in controversie attive in cui si cerca di ottenere il riconoscimento di ulteriori elementi attivi (volte alla ricostituzione del patrimonio per incrementare le possibilità di soddisfacimento dei creditori). Tra le controversie attive che possono essere proposte dal curatore vi sono: azioni con cui si esercitano diritti di credito per ottenerne il soddisfacimento (curatore esercita un diritto dell’imprenditore); azioni revocatorie speciali (revocatoria fallimentare, che presuppone la liquidazione giudiziale); azioni di simulazione Per quanto riguarda i pagamenti eseguiti dal debitore (atto giuridico in senso stretto di carattere dovuto con effetto traslativo) se vengono compiuti dal debitore sono inefficaci nei confronti del creditore, differentemente che nell’azione esecutiva individuale poiché nella procedura concorsuale non si permette che uno dei concorrenti possa soddisfarsi in via preferenziale rispetto agli altri (attuazione della par conditio creditorum). Ciò vale sia per i pagamenti volontari che per i pagamenti coattivi. I pagamenti ricevuti dal debitore (creditore nei confronti di un terzo debitor debitoris) sono inefficaci, qui questo effetto è ricollegato alla pubblicazione della sentenza di apertura nel RI, non vi è una notificazione ad hoc come nell’esecuzione forzata individuale  le esigenze di tutelare la massa dei creditori prevalgono sulle esigenze di tutelare il terzo. Art.145: rinvia al problema affrontato dall’Art.2914 CC (alienazioni anteriori al pignoramento)  la liquidazione giudiziale ha attitudine a ricomprendere nel patrimonio della procedura anche diritti appartenenti a soggetti terzi che seppure abbiano acquistato un diritto prima della liquidazione giudiziale questo non è opponibile ai creditori concorsuali se non sono state compiute le formalità previste dal CC (Art.2914 e ss. CC). Ai fini della risoluzione del conflitto tra i creditori che si vogliono soddisfare sul bene ed il terzo che sul bene ha acquistato un diritto si applicano le stesse regole dell’esecuzione forzata  non hanno effetto nei confronti dei creditori: le alienazioni di beni immobili o mobili registrati anteriori alla data della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale se la trascrizione è avvenuta dopo la sentenza di liquidazione giudiziale; le cessioni di crediti che siano state notificate al debitore ceduto o accettate dal medesimo successivamente alla sentenza di apertura; le alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso anteriormente alla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (salvo che risultino da atto a data certa). Differentemente dal pignoramento (che si esegue nelle stesse forme delle alienazioni private, quindi se si stratta, per esempio, di immobili viene trascritto) la sentenza di apertura non è trascritta immediatamente (rileva la data della sua iscrizione nel RI)  non necessita di formalità omologhe a quelle necessarie per la circolazione dei diritti e questo rende maggiormente gravosa la verifica. 07/04/2022 Art.2915.2: disciplina il tema dell’opponibilità delle domande giudiziali ai creditori pignoranti le quali sono inopponibili se trascritte successivamente al pignoramento. Nell’ambito della liquidazione giudiziale le domande giudiziali per le quali la legge prevede la trascrizione, per essere opponibili ai creditori devono essere trascritte prima dell’iscrizione nei pubblici registri della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale (Art.145). Questa è una regola di carattere generale: se il terzo ha proposto una domanda giudiziale avente ad oggetto un bene ricompreso nel patrimonio attivo della procedura, la sentenza che sarà emessa all’esito del processo di pignoramento sarà opponibile ai creditori nella liquidazione giudiziale se verrà trascritta prima della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. La domanda di risoluzione del contratto del terzo che ha venduto un bene all’imprenditore fallito se viene trascritta prima della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale prevale, il terzo avrà diritto a riavere il suo bene. Per le domande per cui è prevista la trascrizione è necessaria l’anteriorità ella trascrizione; per le domande per cui non serve la trascrizione (es. per i beni mobili) la formalità che rende opponibile ai terzi è la proposizione della domanda giudiziale (Art.111 CPC)  al terzo che acquista dopo la proposizione della domanda è opponibile il contenuto della sentenza, fatte salve le norme che prevedono la trascrizione. Nel caso di azione revocatoria proposta contro il fallimento da un altro imprenditore fallito le SU nel 2018 e 2020 hanno ribadito alcuni principi: opponibilità della sentenza se la domanda è proposta o se necessario trascritta; per le domande proposte o trascritte dopo l’apertura della liquidazione giudiziale il terzo, se si tratta di un’azione costitutiva (come l’azione revocatoria), soccombe sempre  l’azione costitutiva non può essere proposta in pregiudizio dei creditori perché con l’apertura della liquidazione giudiziale cristallizza il passivo e rende intangibile l’attivo, quindi non è ammessa l’azione revocatoria da parte di terzi in pregiudizio dei creditori procedenti. Art.143: prevede che nelle controversie relative a rapporti patrimoniali del debitore compresi nella liquidazione giudiziale, anche in corso, sta in giudizio il curatore  nella gestione del patrimonio in curatore ha anche questo potere sia per le controversie volte alla conservazione del patrimonio che quelle volte alla ricostituzione. La competenza del curatore riguarda sia l’esercizio di azioni e diritti preesistenti alla liquidazione, sia che prevedono la liquidazione, sia di competenza dei creditori. Si ha, quindi, la distinzione tra il curatore che agisce come sostituto o avente causa dell’imprenditore (subentrando nella sua stessa posizione e non agendo come terzo quando si tratta di diritti già nel patrimonio dell’imprenditore); può agire come titolare con poteri propri (nel caso di azioni che presuppongono l’apertura della liquidazione giudiziale, come la revocatoria fallimentare) oppure con poteri che spetterebbero ai creditori. Secondo una prima teoria il debitore perde la capacità processuale (legittimazione processuale), secondo altri l’imprenditore perde la legittimazione ad agire ed il curatore agisce come sostituto processuale ex lege. I poteri processuali passano dall’imprenditore al curatore, che ne è titolare e li esercita in via esclusiva, tranne i poteri che presuppongono di disporre del diritto (es. confessione o deferimento del giuramento) perché il curatore non è un sostituto dell’imprenditore e non ha la capacità di disporre i diritti oggetto del processo. L’assunzione della qualità di parte del curatore è condizione necessaria affinché la sentenza emessa all’esito del processo sia efficace nei confronti dei creditori. Le sentenze emesse nei confronti del debitore sulla base di domande proposte ed eventualmente trascritte prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili ai creditori, se il curatore però ha acquisito la qualità di parte (garanzia per i creditori). L’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo. L’interruzione qui è posta a tutela non del soggetto colpito dall’evento (debitore) ma a tutela della controparte processuale (che vede fallire il suo contraddittore). L’interruzione opera automaticamente quando è pubblicata la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Il processo interrotto può essere riassunto nei confronti o dal curatore in modo che esso prosegua e si possa avere una sentenza opponibile alla massa dei creditori. Se il processo non viene riassunto entro un termine perentorio (che decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice e non automaticamente dall’interruzione dovuta all’apertura della liquidazione giudiziale) il processo si estingue. Sent.12154/2021 SU: la dichiarazione del giudice deve anche essere portata a conoscenza legale di ciascuna parte affinché l’interruzione operi. Nell’esecuzione individuale la legge non si a carico di tutti questi problemi relativi ai giudizi in corso perché il debitore pignorato conserva la legittimazione a stare in giudizio e la sentenza emessa al termine del giudizio avrà effetto nei confronti dei creditori pignoranti ed intervenuti. Vi sono alcuna particolari tipologie di domande che possono essere proposte nei confronti del debitore che non possono essere esercitate in un giudizio ordinario e sono da proporre in un procedimento endo-fallimentare: domande di restituzione di beni o domande con cui un soggetto vuole far valere un suo credito pecuniario nei confronti del curatore. - Effetti personali: oggi sono più limitati di quelli originariamente previsti; sono limitati agli effetti personali che siano funzionali all’espropriazione e che siano conseguenza strettamente necessaria dell’apertura della liquidazione giudiziale (essendo stati eliminati gli effetti di carattere puramente afflittivo, es. pubblico registro dei falliti a cui seguivano varie incapacità tra cui la privazione dell’elettorato attivo). Permangono ora alcuna incapacità di settore per il soggetto sottoposto a liquidazione giudiziale: impossibilità di assumere la carica di amministratore, di tutore, amministratore di sostegno. Tra gli effetti funzionali allo svolgimento della procedura, limitati temporalmente, vi è l’obbligo di consegna della corrispondenza (Art.148) e l’obbligo di comunicazione della residenza e del domicilio, oltre ad ogni loro cambiamento (Art.149). Titolo V - Capo I - Sezione III – Effetti della liquidazione giudiziale nei confronti dei creditori. (Artt.150-162) Art.151: la liquidazione giudiziale apre il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore, vi sono poi regole di carattere specifico volte a favorire il realizzarsi del concorso dei creditori secondo il principio della par conditio creditorum (Art.198: il curatore deve compilare l’elenco dei creditori; Art.200: curatore deve dare avviso ai creditori della possibilità di partecipare al concorso trasmettendo la domanda di insinuazione al passivo). A questa nozione di concorso sostanziale di affianca la nozione di concorso formale al c.2 il quale prescrive che i diritti dei creditori sul patrimonio del debitore devono essere accertati secondo le regole della liquidazione giudiziale (procedimento di verifica del passivo nel contraddittorio tra tutti i creditori). Art.150: divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sui beni ricompresi nella procedura. L’azione esecutiva individuale si trasforma in una pretesa di soddisfacimento che può essere esercitata solo all’interno della liquidazione giudiziale, mediante la domanda di insinuazione al passivo.  queste regole sono preordinate alla più esatta e rigorosa realizzazione del diritto dei creditori di soddisfarsi sui beni ricompresi nella liquidazione giudiziale, salve le cause legittime di prelazione. L’Art.151 c.1 è fermamente interpretato nel senso che alla procedura possono partecipare solo i creditori anteriori all’apertura della procedura (cristallizzazione del passivo alla data di apertura della liquidazione giudiziale). Questi crediti sono funzionalmente e geneticamente legati alla procedura. Quindi, gli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale per i creditori sono il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali (Art.150), ciò impedisce la frantumazione del patrimonio dell’imprenditore in singoli processi di esecuzione individuale e si assicura che i creditori siano parimenti soddisfatti all’interno del concorso. Le azioni pendenti non possono proseguire salvo che il curatore decida di subentrarvi (e se non lo fa il giudice dell’esecuzione dichiara l’improcedibilità dell’azione, restano salvi gli effetti conservativi legati al pignoramento). Questo divieto riguarda sia i crediti anteriori che i crediti di massa. Se vi sono dei beni non acquisiti alla procedura, le azioni su quei beni possono proseguire. Il divieto riguarda sia le azioni esecutive per esecuzione forzata (a cui corrisponde il potere- onere di proporre domanda di insinuazione al passivo), sia le azioni di esecuzione diretta per consegna o rilascio (a cui corrisponde l’onere-potere di proporre la domanda di rivendica sempre nel procedimento di liquidazione giudiziale). Anche le azioni cautelari sono oggetto di divieto. L’Art.151 si occupa, invece, del concorso dei creditori (concorso sostanziale al c.1 e concorso formale al c.2). Ogni credito, per essere prededucibile, deve essere accertato secondo il procedimento di verifica del passivo; questo onere riguarda oltre ai crediti ogni diritto reale avente ad oggetto beni mobili o immobili  principio di esclusività del procedimento di accertamento del passivo, il creditore pecuniario che voglia ottenere il soddisfacimento del suo diritto nel concorso ha l’onere di proporre la domanda di insinuazione nel passivo (procedimento di accertamento endo-concorsuale). Tali domande non possono essere proposte o proseguite in un ordinario processo di cognizione, se vengono proseguite o proposte saranno soggette ad una pronuncia di rito di inammissibilità. Anche il creditore fondiario, a cui non si applica il divieto di continuare azioni esecutive, deve comunque presentare domanda di insinuazione al passivo per avere il diritto ad ottenere le somme ricavate dal procedimento di esecuzione individuale. Alle disposizioni seguenti la legge si occupa di dettare disposizioni specifiche per talune categorie di crediti, indicando le modificazioni di diritto sostanziale rispetto alla disciplina ordinaria di questi diritti che conseguono all’apertura della liquidazione giudiziale. Art.153 – Creditori muniti di causa di prelazione (ipoteca, pegno o privilegio): questi creditori devono essere soddisfatti in via prioritaria e per la parte non soddisfatta sono trattati come chirografari Art.154 – Crediti pecuniari: dall’apertura della liquidazione giudiziale vengono sospesi il corso degli interessi convenzionali e legali, ai soli fini del concorso e fino alla chiusura della procedura (le somme possono fatte valere dopo la chiusura della procedura). Sono sottratti alla sospensione del corso degli interessi i crediti privilegiati. Se il credito non è ancora esigibile alla data di apertura della liquidazione giudiziale, si considera comunque scaduto a tale data e può essere fatto valere all’interno della liquidazione giudiziale. Si considera credito concorsuale il credito preesistente alla presentazione della domanda giudiziale, ancorché non scaduto. Anche i crediti condizionali (se sottoposti a condizione risolutiva il credito è comunque esistente; se sottoposti a condizione sospensiva la disposizione è importante poiché in questo caso il credito non è ancora sorto) partecipano al concorso secondo le regole dell’ammissione con riserva  dato che la condizione non si è ancora realizzata il credito viene ammesso con riserva della verificazione dell’evento dedotto a condizione, se si verificherà il creditore potrà partecipare al riparto. La seconda parte del c.3 deroga al principio della cristallizzazione perché si possono far valere pretese non ancora esercitabili nei confronti dell’imprenditore, perché lo saranno solo previa escussione di un obbligato principale. Art.155 – Compensazione: i creditori possono opporre in compensazione dei loro debiti verso il debitore il cui patrimonio è sottoposto alla liquidazione giudiziale i propri crediti verso quest’ultimo  secondo alcuni ciò attua una deroga alla regola della soddisfazione concorsuale, poiché il credito compensato si sottrae alla falcidia del concorso. È pacifico che per operare la compensazione le due contrapposte pretese devono essere entrambe preesistenti all’apertura della liquidazione giudiziale, ovvero i due controcrediti devono avere il loro fatto costitutivo in un momento anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale. Non è invece necessario che il credito sia esigibile anche prima dell’apertura della liquidazione giudiziale (possono anche essere non scaduti). Ex Art.1243 per la compensazione è necessario il requisito dell’omogeneità dei crediti (entrambi relativi a somme di denaro o altre cose fungibili), ma qui non operano i requisiti dell’esigibilità (Art.155) e della liquidità (interpretazione pacifica). poiché l’azione vuole ricostituire la par conditio creditorum, in modo da evitare che un creditore si possa avvantaggiare in danno degli altri nella sua stessa posizione giuridica. La ragione di questa teoria la rinveniamo nel fatto dello stato di insolvenza, di per sé in grado di alterare la par conditio creditorum poiché il debitore non è in grado di soddisfare le proprie obbligazioni. Teoria indennitaria: revocatoria come azione che mira a conservare nell’interesse dei creditori il patrimonio del debitore. Le azioni di inefficacia e di revocatoria previste agli Att.163-171 del Codice contemplano la revocatoria ordinaria ed altre azioni di inefficacia esperibili per atti compiuti durante il cd. “periodo sospetto” intercorrente tra il momento in cui l’impresa entra in stato di insolvenza (incerto) e l’apertura della liquidazione giudiziale. Il legislatore, per esigenze di certezza, ha inserito periodi in cui con una presunzione è ritenuta sussistente la condizione di insolvenza prima del deposito della domanda a cui conseguirà l’apertura della liquidazione giudiziale. Si ha un periodo sospetto di soli 6 mesi prima della domanda per gli atti meno gravi, un periodo di 1 anno per gli atti gravi e di 2 anni per gli atti gravissimi. Il nuovo Codice fissa il dies a quo da cui decorre a ritroso il periodo sospetto nel giorno in cui è depositata la domanda per la liquidazione giudiziale e non dalla data della sentenza di apertura (successiva), come era previsto nella L.Fall. L’apertura della liquidazione giudiziale può seguire anche in seguito al deposito di una domanda di omologazione degli accordi o di apertura del concordato, in questo caso di consecuzione di procedure i termini di decorrenza del periodo sospetto è calcolato dalla domanda di omologazione degli accordi o di accesso alla procedura di concordato (Art.170). Anche il rilievo dato allo stato soggettivo del terzo (mala o buona fede) varia a seconda di tre gradazioni:  Per gli atti gravissimi (periodo sospetto fino a 2 anni) non è data rilevanza allo stato di buona o mala fede del terzo (Artt.163 e 164), il terzo ha ricevuto un vantaggio senza costo (atto a titolo gratuito) oppure ha ricevuto un pagamento del proprio credito prima della scadenza (se fosse stato pagato alla scadenza sarebbe stato soggetto a falcidia). Questo regime si applica anche ai rimborsi ai finanziamenti dei soci (che sarebbero postergati) eseguiti fino ad un anno dalla presentazione della domanda (riprende Art.2467 CC).  Per gli atti di carattere oneroso ma sintomatici della mala fede del terzo lo stato soggettivo del terzo rileva ma si ha una presunzione legale relativa di conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza (è il terzo che deve dimostrare la sua buona fede e non il curatore a dimostrare la mala fede). Sono gli atti dell’Art.166.1, i cd. “atti anormali”, per cui il terzo subisce un pregiudizio ma si sospetta conoscesse lo stato di insolvenza dell’imprenditore. In questo caso si colpiscono atti compiuti in un periodo sospetto di 1 anno o 6 mesi anteriore.  Per gli atti ordinari (normali) a titolo oneroso, la cui conoscenza dello stato di insolvenza del terzo non è presunta spetta al curatore dimostrare la mala fede del terzo (Art.166.2). In questo caso è lo stato di insolvenza che connota questi atti come pregiudizievoli alla par conditio, solo nel caso di mala fede del terzo non viene tutelato il suo affidamento. Tutte queste azioni sono esperibili per gli atti compiuti prima della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, dopo di essa scattano gli Artt.142 e ss. per cui gli atti successivi sono sempre inefficaci. Art.163 – Atti a titolo gratuito: qualsiasi atto a cui consegue un arricchimento del terzo senza che abbia subito un corrispondente sacrificio (e che vi sia stato un vantaggio per l’imprenditore) eseguito nei 2 anni precedenti al deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale sono privi di effetto rispetto ai creditori. Es. atti connotati da liberalità o meno (donazioni indirette), non vi rientrano i regali d’uso (proporzionati al patrimonio del donante). Questi atti sono inefficaci ex lege in consecuzione alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale, non occorre la proposizione di un’azione volta a determinare l’effetto di inefficacia. L’effetto di acquisizione al patrimonio della liquidazione giudiziale dei beni avviene immediatamente con la trascrizione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale; il terzo potrà contestare la gratuità dell’atto con il reclamo contro gli atti del curatore ex Art.133 (inversione dell’iniziativa processuale). Il presupposto di questa disposizione è la gratuità dell’atto, si pone il problema di capire come si debba qualificare l’atto (gratuito o oneroso) in caso di atti che possono essere gratuiti per una parte e onerosi per l’altra, es. donazione è per definizione atto a titolo gratuito; pagamento del debito di un terzo può essere per il debitore a titolo gratuito o oneroso, mentre per il creditore che riceve il pagamento è sicuramente a titolo oneroso. La gratuità dell’atto discende direttamente dallo scopo od oggetto dell’atto, ovvero alla sua causa concreta. In altri casi è la legge che qualifica un atto come a titolo oneroso o gratuito: prestazione garanzia da parte dell’imprenditore insolvente ad un terzo sono considerati a titolo oneroso se contestuali al credito garantito. Art.164 – Pagamenti di crediti non scaduti e postergati: si rimette il creditore che ha percepito il pagamento di un credito non scaduto alla data di apertura della liquidazione giudiziale nella condizione che si sarebbe trovato se il debitore non avesse pagato in anticipo; in base all’Art.144 i pagamenti eseguiti dall’imprenditore dopo l’apertura della liquidazione giudiziale sono inefficaci, se il debito non fosse stato pagato prima il suo pagamento sarebbe risultato inefficace (qui si vede bene la funzione redistributiva della revocatoria). Il creditore ha ricevuto ciò che gli spettava ma questo pagamento, in una situazione di insolvenza, lede la par conditio creditorum. Il pagamento deve essere avvenuto nei 2 anni precedenti il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale e l’attribuzione patrimoniale diviene inefficace ex lege con il deposito della domanda. I pagamenti dei creditori postergati (soci creditori del rimborso del finanziamento eseguito) nell’anno anteriore al deposito della domanda di liquidazione giudiziale (anche se il credito era scaduto) sono privi di effetto e devono essere restituiti. Ciò si applica anche al rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società assoggettata alla liquidazione giudiziale da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti. Art. 166 - Revocatoria degli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie: fatti costitutivi dell’azione sono il compimento dell’atto durante il periodo sospetto di 6 mesi o 1 anno (che è onere del curatore di dimostrare e provare), l’elemento oggettivo della lesione della par conditio creditorum e l’elemento soggettivo in capo al terzo (conoscenza dello stato di insolvenza) nei cui confronti l’atto giuridico posto in essere produce effetti. A seconda che si tratti di un atto anormale (c.1) o normale (c.2) opera o meno una presunzione legale relativa di conoscenza dello stato di insolvenza in capo al terzo. Gli atti anormali sono normalmente estranei alla condotta dell’imprenditore mentre gli atti normali sono conformi alla prassi commerciale, non indicativi della minorata condizione dell’imprenditore insolvente (in questo caso il curatore deve provare la conoscenza effettiva da parte del terzo dello stato di insolvenza). Sono fatti impeditivi dell’azione revocatoria (che ne impediscono l’accoglimento) le ipotesi elencate nei cc.3 e 4 in cui vi sono determinati fatti e situazioni in presenza dei quali la revocatoria non può essere esercitata. L’azione revocatoria ex Art.166, a differenza delle azioni di inefficacia ex Artt.163 e 164, ha natura costitutiva (come la revocatoria ordinaria) in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano conseguito piena efficacia. Revocatoria degli atti anormali (c.1): sono revocati: a) gli atti sproporzionati (di almeno ¼) in danno del debitore tra prestazione e controprestazione, se compiuti nell’anno precedente al deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale  prestazione eseguita o obbligazione assunta dal debitore è superiore di almeno ¼ di quanto ricevuto; b) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili fatto non con denaro o altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno precedente  l’atto è sospetto per il contenuto della prestazione (effettuata con un mezzo normale di pagamento); c) pegni, anticresi o ipoteche volontarie per debiti preesistenti non scaduti dati nell’anno precedente; d) pegni, anticresi o ipoteche volontarie o giudiziali per debiti preesistenti scaduti dati nei 6 mesi precedenti  le garanzie diverse o sono atti gratuiti (regime Art.163) o sono atti a titolo oneroso (si applica c.2), si tratta di garanzie per debiti propri e non è chiaro se possa trattarsi anche di garanzie per debiti altrui. Revocatoria degli atti normali (c.2): sono revocati, se il curatore prova che la controparte conosceva lo stato di insolvenza del debitore (giovandosi anche di presunzioni semplici): i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso (tutti, indipendentemente dal fatto che sia vantaggioso o meno, ed efficacia reale o obbligatoria) e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale (Art.142 e ss.) o nei 6 mesi precedenti  vi rientra qualsiasi atto, anche non sproporzionato e favorevole per il debitore. Nessun atto giuridico, in astratto, si sottrae alla possibilità di revoca, alla condizione che il curatore dimostri la mala fede del terzo (conoscenza dello stato di insolvenza). Es. una vendita a giusto prezzo o a prezzo favorevole per il debitore, gli atti solutori di debiti scaduti e qualsiasi contratto anche non ad efficacia reale (transazioni, garanzie personali, locazioni, …)  non rileva il fatto che l’atto non abbia prodotto un danno al patrimonio, che non è elemento per la revocabilità degli atti di cui al c.2. Art.165 – Azione revocatoria ordinaria nella liquidazione giudiziale: “Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. L'azione si propone dinanzi al tribunale competente ai sensi dell'articolo 27 sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro.” Se un atto era astrattamente revocabile secondo le norme del CC da parte dei creditori, dichiarata la liquidazione giudiziale la legittimazione passa dai creditori al curatore (legittimazione esclusiva). Questa è un’azione derivante dalla liquidazione giudiziale, la cui legittimazione passa al curatore ed il foro speciale è quello competente per decidere sulla liquidazione giudiziale. La revocatoria speciale è uno strumento molto potente, con un ambito di applicazione più ampio rispetto alla revocatoria ordinaria. La revocatoria ordinaria però consente di rendere inefficaci degli atti che non potrebbero essere colpiti dalla revocatoria speciale, come: gli atti compiuti prima dello stato di insolvenza e che hanno contribuito a causarlo (revocatoria speciale colpisce atti in un periodo in cui vi è presunzione di insolvenza); gli atti compiuti in stato di insolvenza ma prima del periodo sospetto; può essere esercitata anche in danno del terzo sub-acquirente. I presupposti sono diversi da quelli della revocatoria speciale, il CC prevede che ricorra l’elemento del pregiudizio, che non può considerarsi in re ipsa nella lesione della par conditio creditorum. È necessario che il curatore dimostri, sotto il profilo del pregiudizio, la consistenza dei crediti vantati dai creditori concorsuali e lo svantaggioso mutamento (qualitativo e/o quantitativo) del patrimonio sottoposto alla liquidazione giudiziale. L’elemento soggettivo di arrecare pregiudizio ai creditori deve sussistere sia in capo al debitore disponente (sussiste sempre) sia in capo al terzo (conoscenza che l’atto leda le ragioni dei creditori). Nel caso di atti a titolo gratuito l’elemento soggettivo rileva solo in capo al debitore disponente, perché non rilevano le ragioni del terzo che ha ottenuto un vantaggio gratuito. La revocatoria ordinaria è esperibile nel termine ordinario di 5 anni dal compimento dell’atto della cui revoca si tratta, non è soggetta al termine speciale previsto dall’Art.170.1 per l’esercizio delle revocatorie speciali. Fatti impeditivi dell’azione revocatoria  c.3 e 4 Artt.166 + leggi speciali. Ratio delle esenzioni: la revocatoria speciale è volta a ristabilire la par conditio creditorum, la revocatoria ordinaria è volta a eliminare il pregiudizio ai creditori. Vi sono, parimenti, altre esigenze e interessi di tutela: tutela degli interessi del terzo che viene in contatto con l’imprenditore; tutela degli interessi dei dipendenti o creditori strumentali all’attività d’impresa; interesse a favorire le soluzioni alternative di risoluzione della crisi d’impresa (strumenti di regolazione concordata) che non sono esperibili se i terzi in caso di insuccesso dello strumento di trovano esposti alle azioni revocatorie. Si vuole tutelare creditori portatori di interessi meritevoli di tutela o favorire la continuazione dell’impresa e le soluzioni alternative della crisi d’impresa. 21/04/2022 Come fatti impeditivi, il relativo onere della prova incombe sul terzo nei cui riguardi l’azione revocatoria è esercitata. Le esenzioni da revocatoria del c.3 Art.166 si applicano a tutti i tipi di revocatoria (ordinaria e speciale), l’esenzione del c.4 vale solo per la revocatoria speciale. C.3 lett.a): il fornitore che esegue delle forniture di beni o servizi secondo cadenze e modalità normali non deve monitorare la situazione economica del proprio debitore; non sono soggetti a revocatoria i pagamenti di beni o servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. Se un fornitore continua ad effettuare prestazioni nei confronti dell’imprenditore facendo credito a lui per cui i termini scadono non si ha l’esenzione dalla revocatoria. C.3 lett.f): disposizione a protezione dei prestatori di lavoro (dipendente o autonomo), i cui pagamenti a titolo di corrispettivo sono esenti da revocatoria. C.3 lett.b): non sono soggette a revocatoria le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera durevole l'esposizione del debitore nei confronti della banca  il problema è quello degli accrediti di somme di denaro su un c/c del debitore, in prima approssimazione considerati pagamenti se effettuati su un c/c con un saldo negativo. La revocatoria delle rimesse in c/c bancario fino al 2005 era ammessa e questo strumento era penalizzante per l’istituto di credito poiché era possibile che l’imprenditore prelevasse subito quanto accreditato e venissero revocati gli accrediti (doppia perdita). Fino al 2005 si riteneva che la rimessa in c/c fosse un pagamento (atto estintivo/solutorio di un debito del correntista nei confronti della banca) se si fosse avuto un conto passivo scoperto, in caso contrario, sarebbe stata considerata una mera operazione contabile. Nel caso delle operazioni bilanciate, ovvero la somma era subito utilizzata per pagare un terzo, l’operazione non era considerato un pagamento perché la banca era solo intermediario. La revoca era immediata su tutte le rimesse effettuate in scoperto di c/c. Su ciò si innesta la teoria anti-indennitaria della revocatoria, perché l’atto è lesivo della par conditio; all’atto pratico però la revocazione di tutte le rimesse effettuate nel periodo sospetto determinava l’allocazione della perdita a carico della sola banca e non una redistribuzione in capo a tutti i creditori. un contratto di compravendita se anche residua in capo al venditore la consegna del bene ed al compratore il pagamento del prezzo il trasferimento del diritto è già avvenuto (avviene immediatamente con il solo consenso). La causa della manca esecuzione è irrilevante, ciò che conta è che il contratto non sia stato eseguito. L’esecuzione del contratto resta sospesa ex lege, il contraente in bonis non deve più eseguire la prestazione né ha diritto che l’imprenditore insolvente esegua la sua. Il contraente in bonis può mettere in mora il curatore, assegnandoli un termine non superiore a 60gg entro cui deve esercitare il potere di scioglimento, se non esercita il potere il contratto si considera risolto e privo di effetti. La scelta del curatore è rimessa ad una scelta di opportunità e convenienza del comitato dei creditori. La facoltà di scioglimento è un diritto potestativo che il curatore esercita con una semplice dichiarazione stragiudiziale, esercitabile anche se il processo della liquidazione giudiziale è in corso. I Cc.3 e 4 si occupano delle conseguenze che derivano in caso di prosecuzione (c.3) o scioglimento del contratto (c.4)  la legge si limita in caso di scioglimento del contratto a considerare prededucibili i crediti maturati nel corso della procedura e nell’altro caso si occupa di escludere il diritto al risarcimento del danno al contraente in bonis in caso di scioglimento. C.3: il curatore con la dichiarazione di subentro, subentra nell’insieme delle situazioni giuridiche (diritto, obbligo, potere o soggezione) che erano in capo all’imprenditore; si ha una prosecuzione del rapporto secondo le regole ordinarie. Sono prededucibili solo i crediti maturati nel corso della procedura, i crediti maturati anteriormente non sono prededucibili (vedi Art.179 sui contratti ad esecuzione continuata e periodica: il corrispettivo per le consegne e i servizi erogati prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono crediti concorsuali per cui il creditore deve chiedere l’ammissione al passivo). La ratio di tutela del creditore è venuta meno. C.4: l’esercizio del potere di scioglimento del contratto determina il venire meno degli effetti del contratto (scioglimento di diritto sostanziale del rapporto). In caso di revoca della liquidazione giudiziale in grado di impugnazione, successiva all’intervenuto scioglimento del contratto, lo scioglimento rimane fermo (la revoca fa salvi gli atti legalmente compiuti durante la procedura). A seguito dello scioglimento del contratto, in caso di contratti ad esecuzione istantanea, sorge il diritto alla restituzione delle prestazioni eseguite. Il contraente in bonis ha diritto a far valere nel passivo della liquidazione giudiziale il credito conseguente al mancato adempimento dell’imprenditore ma l’atto di scioglimento del curatore è un atto lecito e non può essere causa di risarcimento del danno (può avere causa solo nell’eventuale inadempimento dell’imprenditore anteriore all’apertura della liquidazione giudiziale). Le clausole negoziali che fanno dipendere l’esecuzione del contratto dall’apertura liquidazione giudiziale (risolto automaticamente se una parte viene sottoposta a liquidazione) sono dichiarate inefficaci dal c.6, ciò per rendere effettiva la disciplina dettata dal Codice circa la sorte del contratto in caso di apertura della liquidazione (attribuendo al curatore la scelta). Il c.7 fa poi salve le norme speciali in materia di contratti pubblici. C.5: la domanda di risoluzione (anche per cause stragiudiziali come la diffida ad adempiere) del contratto promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale è opponibile ai creditori concorsuali e spiega i suoi effetti nei loro confronti. Sarà sufficiente riassumere il processo nei confronti del curatore affinché la sentenza che sarà emessa abbia effetti anche nei confronti dei creditori. Ciò è espressione di un principio generale, che vale per tutte le domande relative al contratto (annullamento, rescissione, revocatoria). Anche in base a questa disposizione, l’opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza ricava che, all’opposto, le domande di impugnazione contrattuale che non sono state proposte prima dell’apertura della liquidazione giudiziale non possono esperite con effetti nei confronti dei creditori (principio della cristallizzazione del passivo). Se oltre all’azione di risoluzione di vuole ottenere anche la restituzione della somma pagata o del bene consegnato in forza dell’esecuzione del contratto ciò deve essere fatto valere nel procedimento di insinuazione al passivo. Si ha poi una serie di regole speciali per singoli tipi o tipologie di contratti. Si hanno regole differenziate dove il legislatore del codice interviene dettando delle regole che non erano preiste nella L.Fall. per due tipi contrattuali ricorrenti nella prassi che avevano dato luogo a problemi interpretativi: contratti preliminari (Artt.173 e 174) e rapporti di lavoro (Artt.189 e 190). Queste regole speciali hanno un duplice contenuto: in modo costante dettano la disciplina del singolo rapporto secondo le alternative: 1) scioglimento automatico ipso iure del rapporto con la domanda di apertura (in alcuni casi salva dichiarazione di prosecuzione del curatore); 2) necessaria prosecuzione senza possibilità di scioglimento; 3) facoltà del curatore di scioglimento in alternativa alla prosecuzione del rapporto. Talvolta, le disposizioni speciali disciplinano anche gli effetti speciali dello scioglimento o del subentro. Art.192: se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto, il procedimento arbitrale pendente non può proseguire o avere inizio, se non ancora iniziato. Art.173 – Contratti preliminari: il curatore può sciogliersi dal contratto preliminare ma ciò non impedisce l’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica proposta e trascritta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale. Per i contratti preliminari di vendita trascritti che hanno ad oggetto un immobile ad uso abitativo dell’acquirente o suoi famigliari oppure utilizzati come sede principali dell’impresa, questi non si sciolgono anche se non è stata proposta e trascritta la domanda di liquidazione giudiziale. 27/04/2022 Titolo V - Capo II - Custodia ed amministrazione dei beni ricompresi nella liquidazione giudiziale. (Artt.193-199) Titolo V - Capo III – Procedimento di ACCERTAMENTO DEL PASSIVO e dei diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale. (Artt.200-210) Questa è una fase nevralgica del procedimento di liquidazione giudiziale che si estrinseca in un subprocedimento volto ad accertare i crediti dei pretesi creditori dell’imprenditore o dei diritti che i terzi fanno valere verso l’imprenditore. L’Art.151.1 dice che la liquidazione giudiziale apre il concorso dei creditori sui beni del debitore (concorso sostanziale), il c.2 spiega la ratio dell’istituto: “ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ciascun diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo III del presente titolo V, salvo diverse disposizioni della legge.”  concorso formale. I diritti dei terzi che rilevano ai fini della responsabilità patrimoniale del debitore devono essere fatti valere all’interno della procedura ed accertati in un procedimento che realizza un contraddittorio incrociato di tutti gli interessati al fine di avere un accertamento sui loro diritti. Ai fini di agevolare il concorso e la partecipazione di tutti i creditori alla liquidazione giudiziale il curatore deve avvisare coloro che in base ai documenti esaminati gli appaiono essere creditori di somme di denaro nei confronti dell’imprenditori oppure titolari su beni mobili o immobili acquisiti all’attivo della procedura (Art.200)  con questo avviso si informano i creditori che possono partecipare al concorso con la domanda di accertamento del (o insinuazione al) passivo. La funzione di questo procedimento, che ha funzione cognitiva e di giurisdizione contenziosa, è quella di accertare diritti di terzi che rilevano ai fini dell’attuazione della responsabilità patrimoniale del debitore. Si accerta la massa passiva, ovvero chi è creditore e ha diritto di soddisfazione nella liquidazione giudiziale; sempre nello stesso procedimento sono accertati anche i titolari di diritti reali o personali su beni mobili o immobili acquisiti alla procedura, che sono legittimati a sottrarre questi beni dalla massa attiva e all’espropriazione concorsuale. Si vuole attuare il principio del pari trattamento dei creditori nel rispetto delle cause di prelazione. Un principio importante da chiarire è quello di esclusività o inderogabilità, ricavato dal c.2 dell’Art.151  si prevede un procedimento di cognizione endo-esecutivo per l’accertamento di questi diritti, questo procedimento ha carattere esclusivo ed inderogabile, chi vuole far accertare il proprio diritto ha l’onere di farlo all’interno di questo procedimento. Per ottenere la tutela di questi diritti all’interno o nei confronti del concorso non è possibile proporre degli ordinari giudizi ma il creditore o il titolare di diritti reali o personali ha l’onere di presentare la domanda di insinuazione al passivo e questi diritti devono essere riconosciuti esistenti all’interno di questo procedimento, se la domanda non è proposta in questi modi il creditore non ha diritto di prendere parte alla distribuzione del ricavato e di soddisfarsi sulla liquidazione giudiziale (potrà far valere il suo diritto solo alla chiusura della procedura nei confronti dell’imprenditore ritornato in bonis, salvo che si sia esdebitato). Nella tutela esecutiva ordinaria la previsione di un procedimento di cognizione esecutivo per l’accertamento dei diritti di credito non è previsto mai come condizione necessaria ai fini della percezione delle somme in sede di ricavato; nell’espropriazione individuale un procedimento di accertamento, al di fuori però del procedimento esecutivo, è previsto nel caso di contestazioni (Art.615 CPC), le quali sono solo eventuali. L’esercizio di questi diritti in sede ordinaria nei confronti del curatore non è possibile; se viene proposta la domanda di accertamento di un credito o di un diritto reale o personale su un bene ricompreso nella liquidazione giudiziale, il giudice deve rigettarla in rito con una pronuncia di inammissibilità. Se la domanda era già stata esercitata prima della liquidazione giudiziale questo giudizio è interrotto e non può essere proseguito nei confronti del curatore ma deve essere proposta domanda per l’accesso allo specifico procedimento di accertamento del passivo. L’errore sul rito, a differenza del processo ordinario, è insanabile e determina il rigetto della domanda.  non si applica l’Art.143 per cui: “Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del debitore compresi nella liquidazione giudiziale sta in giudizio il curatore.”. Se abbiamo dei processi oggettivamente o soggettivamente cumulati il cumulo in sede ordinaria si scinde, la domanda relativa ai diritti sottoposti al rito esclusivo viene attratta a questo rito, lasciano proseguire il procedimento in sede ordinaria per le restanti domande. Es. Tizio chiede il pagamento delle somme per un contratto di appalto verso Caio che sostiene che non deve pagarlo perché il lavoro è inesatto e chiede il risarcimento del danno  Caio fallisce  la domanda di Tizio è attratta al rito speciale (non può proseguire in sede ordinaria) mentre il curatore proseguirà, se lo ritiene necessario, il processo per il risarcimento nei confronti di Tizio. L’ambito di applicazione di questa disposizione è:  Diritti di credito anche se muniti di causa di prelazione (pegno, ipoteca o privilegi) o prededucibili (che nell’ordine di ripartizione sono soddisfatti per primi, prima dei crediti concorsuali di massa). Sono esclusi i crediti prededucibili non contestati e i crediti dei professionisti liquidati dal giudice delegato. Per regola generale le azioni esecutive individuali non possono essere proposte nei confronti del liquidato, vi è però un’eccezione (creditore fondiario garantito da ipoteca, es. banca che concede un mutuo ipotecario) in cui il creditore può promuovere o continuare l’esecuzione individuale nei confronti del liquidato  anche qui è necessario sottostare alle regole sull’accertamento del passivo (per ottenere o trattenere le somme ricavate dall’espropriazione individuale il creditore ipotecario deve far accertare il suo credito nel concorso). La banca ha diritto di soddisfarsi con preferenza, se il suo diritto e la sua prelazione è esistente (e ciò deve essere accertato insieme al diritto di tutti gli altri nel concorso sostanziale). Nel caso di creditore con pegno o privilegio in via di ritenzione possono soddisfare il loro credito con la vendita diretta del bene ma devono comunque proporre la domanda di insinuazione al passivo e deve essere riconosciuto il loro credito e il loro diritto di garanzia. Nel caso in cui l’imprenditore sottoposto a liquidazione giudiziale ha concesso un’ipoteca per un debito di un terzo (imprenditore è terzo datore di ipoteca), egli non è creditore ma solo garante per un debito altrui.  il terzo creditore ha un diritto di garanzia (non un credito) nei confronti dell’imprenditore, l’Art.201 (c.2 lett.b)) ci dice che il procedimento si applica anche ad egli, che proporrà una domanda con cui indica il proprio credito nei confronti dell’altro soggetto poiché su quelle somme vuole ottenere soddisfacimento dalla liquidazione del bene ipotecato. Il bene dell’imprenditore viene liquidato nella procedura di liquidazione giudiziale (e su di esso non possono essere proposte domande) ma su questo bene il terzo ha diritto di essere soddisfatto.  Diritti reali o personali (obbligazionari) aventi ad oggetto beni immobili o mobili. Vi sono delle ipotesi in cui vi è l’onere per il soggetto titolare di un diritto di credito o reale/personale su beni ricompresi di proporre la domanda di insinuazione al passivo ma per cui la cognizione del giudice delegato è limitata  non si verificano gli elementi costitutivi, impeditivi o modificativi del diritto (se il diritto esiste e a quanto ammonta) ma si guarda ai profili del “diritto al concorso”, che rilevano soltanto ai fini del suo soddisfacimento nel concorso (rango del diritto, opponibilità al concorso di quel diritto). Le fattispecie in cui si ha l’onere di proporre la domanda ma la cognizione del giudice delegato è limitata ai profili di opponibilità sono: 1) crediti accertati con sentenza passata in giudicato (Art.204.2 lett.c)), questa sentenza è vincolante a meno dell’esercizio dell’opposizione di terzo revocatoria; 2) crediti sottoposti alla giurisdizione speciale (tributaria o esclusiva del GA) devono essere fatti valere nel procedimento di accertamento del passivo ma se sorge contestazione su di essi il credito deve essere accertato nel processo speciale (ammissione al passivo con riserva). L’Art.151.2 ammette delle eccezioni all’inderogabilità del procedimento se ciò è previsto dalla legge: 1) eccezione di compensazione (credito è accertato al di fuori del procedimento di accertamento del passivo), non si ha l’onere di insinuarsi al passivo (a meno che il proprio credito sia superiore al debito vantato nei confronti dell’imprenditore); 2) Art.196 – Restituzione in via breve dei beni: “In deroga a quanto previsto dagli articoli 151, comma 2, e 210, il giudice delegato, su istanza della parte interessata, può, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, se già costituito, disporre che non siano inclusi nell'inventario o siano restituiti agli aventi diritto i beni mobili sui quali terzi vantano diritti reali o personali chiaramente e immediatamente riconoscibili.”  il curatore deve acquisire all’attivo tutti i beni mobili che si trovino in luoghi nella disponibilità dell’imprenditore; possono non essere inclusi nell’inventario ed appresi all’attivo (oppure possono essere restituiti senza proporre la domanda nel procedimento di verifica) i beni dall’attività svolta dal terzo (es. azienda di noleggio di macchinari) o dalla professione svolta dal debitore (es. imprenditore che svolge l’attività di riparazione di macchinari). Sviluppo processuale del procedimento di accertamento del passivo. Il procedimento inizia con il ricorso. Una prima fase (necessaria) si svolge a cognizione sommaria di fronte al giudice delegato; ad essa può seguire (a seguito di opposizione) un giudizio a cognizione piena ed esauriente dinanzi al Tribunale, contro la cui decisione è ammesso il ricorso in Cassazione. Il giudice risolve una controversia sui diritti, avviata sulla base di una domanda di parte  il processo è a parti contrapposte e si svolge nel loro contraddittorio: creditori attori e litisconsorti / curatore convenuto. Il curatore non è più un ausiliario del giudice delegato ma è una vera e propria parte processuale (non era così prima delle riforme del 2005). Il giudice è terzo imparziale rispetto alle parti. Proposta la domanda ai sensi dell’Art.201, il curatore (Art.203) esamina le domande e predispone elenchi separati dei creditori e dei titolari di diritti di beni mobili o immobili di proprietà o in possesso del debitore. Il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere nonché l’inefficacia del titolo su cui cono fondati il credito o la prelazione. Il curatore può concludere per un’ammissione totale o parziale del credito o delle pretese del terzo oppure per una sua esclusione (tutto deve essere motivato). Queste attività del curatore sono espresse nel documento del progetto di stato passivo (depositato in cancelleria almeno 15gg prima dell’udienza di verifica e trasmesso ai creditori). Il curatore si trova nella stessa posizione del convenuto: può riconoscere l fondatezza della domanda (riconosce il credito nello stato passivo) oppure potrà eccepire la fondatezza della domanda, l’inefficacia del titolo sui cui è fondato il credito o la prelazione oppure fatti modificativi, impeditivi od estintivi del credito (ma non domande riconvenzionali). Le eccezioni che può proporre il curatore sono di diversa tipologia: eccezioni in senso stretto (es. di inadempimento, di prescrizione, di compensazione che non possono essere rilevate d’ufficio) od in senso lato / eccezioni che il curatore esercita in sostituzione del debitore (es. eccezione di inadempimento, di annullamento, di prescrizione  eccezioni di diritto comune) oppure eccezioni che esercita quale terzo in posizione di sostituzione dei creditori (es. eccezione di simulazione o di revocazione ordinaria) oppure eccezioni espressione di particolari poteri del curatore nel procedimento di liquidazione ( es. eccezioni di massa o revocazione speciale). Nei 5gg prima dell’udienza fissata i creditori possono presentare le loro osservazioni e documenti integrativi (se il curatore ha concluso per l’accoglimento della loro domanda non faranno nulla) se il curatore ha rigettato totalmente o parzialmente la loro domanda  possono dedurre una contro-eccezione, formulare richieste istruttorie o osservazioni, non possono però far valere un credito diverso dal ricorso introduttivo o richiedere il riconoscimento di una prelazione non richiesta nell’atto introduttivo. Nelle osservazioni si può esercitare anche lo ius penitendi (precisare le domande o allegare fatti integrativi o secondari del diritto, non si precludono nemmeno i poteri istruttori, anche se non occasionati dalle difese del curatore). All’udienza fissata per l’esame dello stato passivo è consentito al curatore di replicare alle difese svolte dal creditore nelle sue osservazioni, rilevare nuove eccezioni o produrre nuovi documenti. Il creditore in questa sede non potrà compiere attività che non siano giustificate dalle difese del curatore svolte in questa udienza. Inoltre, a questa udienza (ma lo avrebbero potuto fare anche nelle osservazioni) posso anche prendere posizione sulle domande esercitate da altri creditori concorrenti o da terzi pretendenti, oltre che sulle loro domande, potendo per esempio contestare o rilevare eccezioni sui diritti fatti valere da altre parti private (potendo produrre documenti o richieste istruttorie a loro sostegno).  qui si vede il contraddittorio incrociato (all’esclusione/riduzione della pretesa di un creditore aumentano le possibilità di soddisfacimento per gli altri). Il concorso formale (processo litisconsortile) è preordinato alla più rigorosa attuazione del concorso sostanziale (soddisfacimento delle pretese creditorie in concorso tra loro). Il giudice all’udienza fissata per l’esame dello stato passivo decide su ciascuna domanda nei limiti delle conclusioni formulate e avendo riguardo alle eccezioni del curatore e quelle rilevabili d’ufficio (es. eccezione di nullità). Il giudice delegato può anche procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti, compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento  cognizione sommaria perché superficiale. Il debitore non è una parte processuale, in sua sostituzione agisce nel processo il curatore; il debitore può solo essere sentito, fornendo al giudice elementi utili per la decisione (funzione in senso lato istruttoria). Art.204: il giudice delegato, con decreto succintamente motivato, decide su ciascuna domanda, potendo: 1) accogliere integralmente la domanda di ammissione o di rivendica/restituzione del bene; 2) accogliere in parte la domanda (credito ritenuto esistenze ma in un ammontare inferiore a quello richiesto oppure senza causa di prelazione); 3) domanda respinta nel merito (credito inesistente o non opponibile alla procedura); 4) domanda rigettata in rito, dichiarandola inammissibile. Il rigetto nel merito deve essere impugnato per non perdere la possibilità di proporre la domanda, il rigetto in rito non preclude la riproposizione della domanda (che sarà però tardiva). C.2 – Ammissione con riserva: si ha un provvedimento condizionale in cui abbiamo un accoglimento della domanda sotto condizione; a seguito del verificarsi dell’evento soggetto a riserva la domanda sarà accolta definitivamente oppure al mancato verificarsi dell’evento la domanda sarà respinta  scioglimento della riserva e modificazione dello stato passivo. Il provvedimento con riserva garantisce al creditore il diritto di voto nel concordato ed il diritto agli accantonamenti. Le ipotesi di riserva hanno carattere tipico e tassativo (es. ammissione con riserva dei crediti contestati quando devono essere accertati da un giudice speciale come il giudice tributario) ed alcune sono indicate nell’Art.204.2: crediti condizionati (sottoposti a condizione sospensiva, ammessi in attesa che si verifichi la condizione); crediti che non possono esser fatti valere dal creditore se non previa escussione di un obbligato principale (in cui il debitore-imprenditore è fideiussore); crediti per cui la mancata produzione del titolo dipende da fatto non imputabile al creditore; crediti accertati con sentenza non passato in giudicato ma pronunciata prima della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Il giudice, terminato l’esame di tutte le domande, formula lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria. C.5 - Efficacia del decreto del giudice delegato che rende esecutivo dello stato passivo o delle decisioni assunte dal Tribunale all’esito del giudizio di impugnazione (decreto del giudice delegato è stato impugnato)  ha carattere decisorio rispetto al diritto del creditore di partecipare al concorso, una volta divenuto definitivo, il contenuto di questa decisione diviene incontrovertibile (accertamento stabile e non discutibile circa il diritto del creditore di partecipare al concorso); in fase di distribuzione del ricavato, se il credito è stato accolto, si potrà discutere solo delle collocazione del credito nell’ordine delle preferenze ma non si potrà più discutere dell’esistenza della prelazione e del credito né del suo ammontare. Se il credito non è stato accolto nel merito, ciò impedisce al creditore di partecipare alla distribuzione del ricavato e non potrà produrre una domanda di insinuazione tardiva (non se si ha rigetto in merito). Il decreto può avere effetti anche al di fuori del procedimento di liquidazione giudiziale? Se il creditore ammesso è stato solo parzialmente soddisfatto potrà utilizzare quella decisione di ammissione come accertamento del proprio credito al di fuori della procedura nei confronti dell’imprenditore? NO, il decreto non ha efficacia di giudicato ma ha un’efficacia probatoria limitata alla concessione di un decreto ingiuntivo, non ha effetti contro l’imprenditore tornato in bonis. | Il creditore che ha ricevuto un pagamento all’interno della procedura può essere chiamato dall’imprenditore (o dal curatore) a restituire quanto ha ricevuto? Ex Art.229 i pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti, salvo il caso di impugnazione straordinaria contro il decreto di ammissione (preclusione). Effetti nei confronti della curatela: la legge dice che il decreto ha effetti soltanto ai fini del concorso, ciò significa che rende incontrovertibile il diritto del creditore di ottenere il soddisfacimento all’interno della procedura della propria pretesa e di conseguire stabilmente ciò che ha ottenuto  ciò può avere effetti anche in processi formalmente esterni alla procedura, quando tali giudizi pongano in discussione il diritto del creditore a partecipare al riparto e di conseguire il soddisfacimento del proprio diritto nella misura stabilita dal decreto. Es. nel caso della compensazione il curatore non potrà azionare fuori dalla procedura il controcredito oggetto di compensazione; né potrà impugnare il titolo da cui il controcredito deriva se ciò ponga in contestazione il risultato utile del creditore. Per i diritti relativi a beni valgono regole diverse. La legge delega indicava al governo di assicurare la stabilità sulle decisioni su diritti reali immobiliari; l’efficacia ai fini del concorso vale per l’accertamento dei crediti mentre hanno efficacia di giudicato le statuizioni sulle domande di revoca o restituzione di beni (da relazione al Codice). Il decreto che accoglie la domanda di revoca o restituzione impedisce ai creditori concorrenti di soddisfarsi sul bene. Il problema che sorgeva nel vigore della legge fallimentare quando anche le decisioni sui diritti sui beni avessero efficacia solo ai fini del concorso è che nel caso di rigetto ciò non impediva al terzo di agire in rivendica nei confronti dell’aggiudicatario. Oggi, in base all’interpretazione del testo normativo, la decisione su un diritto su un bene avviene con autorità di cosa giudicata  chi si è visto rigettare la domanda di rivendica all’interno del concorso non potrà agire successivamente in rivendica. Artt.206 e 207 – Impugnazioni avverso il decreto del giudice delegato. I mezzi di impugnazione avverso il decreto che rende esecutivo lo stato passivo sono: l’opposizione, l’impugnazione dei crediti ammessi e la revocazione. Questi mezzi di impugnazione rimettono al Tribunale la verifica del decreto del giudice delegato e legittimato all’esercizio delle impugnazioni è la parte soccombente al decreto del giudice delegato. Opposizione (Art.206.2): il ricorrente (creditore o colui che si afferma titolare di un diritto su un bene), soccombente totale o parziale, impugna il decreto con cui la sua domanda è stata accolta parzialmente o non è stata accolta. Legittimazione passiva è del curatore (il debitore non sta in giudizio). Impugnazione (Art.206.3): si impugna il provvedimento di accoglimento della domanda di insinuazione al passivo o di rivendica/restituzione dei beni. Legittimati attivi sono il curatore oppure il creditore/titolare di diritti concorrenti  rileva l’interesse ad impugnare (creditore ammesso al passivo e contestato deve essere di pari grado o di grado superiore; interesse a che il bene non venga sottratto all’esecuzione concorsuale). Legittimato passivo è la parte nei cui riguardi sono svolte contestazioni (la cui domanda è stata accolta).  dal punto di vista strutturale si configurano come istituti unitari: sono entrambi mezzi di impugnazione a critica libera, sono entrambi dei mezzi devolutivi ad effetto sostitutivo (gravami) ed ordinari (da proporre entro 30gg dalla comunicazione del decreto che rende esecutivo lo stato passivo). Ambito della devoluzione: l’oggetto dell’impugnazione è costituito dal diritto dedotto in ordine al procedimento di verifica dal quale si vuole ottenere una riforma del provvedimento del giudice delegato (in caso di pluralità di decisioni da parte del giudice delegato la parte deve impugnare specificatamente le parti contestate, es. su due crediti, per evitare che su di esse si formi acquiescenza). All’interno del capo di decisione il riesame della statuizione del giudice delegato avviene sulle questioni specificatamente devolute dall’attore con i motivi di impugnazione e dal convenuto mediante impugnazione incidentale (sulle eccezioni sollevate) e la riproposizione (per le questioni rimaste assorbite). Al di fuori delle questioni devolute il Tribunale non può decidere ma può solo rilevare d’ufficio le eccezioni non rilevate in primo grado. I motivi di impugnazione hanno una duplice valenza: individuano l’oggetto (diritto sul quale si richiede una decisione), delimitano all’interno dell’oggetto le questioni che possono essere riesaminate dal giudice. Una specifica attività di parte è necessaria anche per i documenti prodotti nella fase dinanzi al giudice delegato e le istanze istruttorie formulate, se si vuole che siano esaminate dal tribunale devono essere oggetto di riproposizione. Novità introducibili in grado di impugnazione: vi è la possibilità che in grado di impugnazione possano essere proposte nuove attività difensive (perché dinanzi al giudice delegato abbiamo un giudizio sommario), esercitando nuove attività istruttorie e producendo nuovi documenti rispetto a quelli proposti dinanzi al giudice delegato, con il limite di non proporre nuove domande. L’Art.207 (c.2 lett d) per l’attore e c.7 per il convenuto) dà il potere ad attore e convenuto di proporre nuove eccezioni di merito, anche non rilevabili d’ufficio, purché ciò non muti l’oggetto del processo. Questi giudizi sono quindi aperti a nuove attività difensive (di tipo assertivo e di spendita di nuovi poteri istruttori). Queste attività debbono essere compiute, a pena di preclusione, negli atti introduttivi (che ha la forma del ricorso) in cui vanno proposti i motivi di impugnazione (riproposizione delle prove già richieste), le eccezioni processuali di merito non rilevabili d’ufficio, i documenti e i mezzi di prova (nuove prove). Il convenuto, a pena di decadenza, deve proporre con la memoria difensiva (10gg prima dell’udienza) le eccezioni processuali di merito nonché l’indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti. Nel successivo corso del giudizio nuove attività saranno ammesse solo nella misura in cui siano necessarie per l’attuazione del principio del contraddittorio. Aspetti procedimentali: queste impugnazioni si sviluppano secondo un procedimento uniforme ex Art.207 che si svolge davanti al Tribunale in composizione collegiale di cui non può far parte il giudice delegato. Questo è un giudizio speciale a cognizione piena ed esauriente. Il legislatore stabilisce il contenuto degli atti, lo svolgimento del procedimento ed i termini legali del procedimento. Revocazione (Art.206.5): mezzo di impugnazione straordinario del decreto del giudice delegato (proponibile nel termine di 30gg dalla scoperta del fatto che legittima la proposizione della revocazione). È un mezzo di impugnazione conclude con un contratto di compravendita l’effetto traslativo del diritto avviene anche contro la volontà del titolare del diritto (imprenditore proprietario del bene). La vendita è un atto processuale ad effetti sostanziali. Questa vendita coattiva avviene a titolo derivativo, trasferisce il diritto sul bene spettante all’imprenditore al terzo acquirente e si applica la disciplina degli Artt.2919 e ss.  la vendita avviene sempre a titolo derivativo salvo che si tratti di un bene mobile, nel qual caso si può perfezionare un acquisto a titolo originario (atto idoneo, buona fede acquirente e trasferimento del possesso materiale). L’acquisto del terzo dopo la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale è inopponibile ai creditori ma anche all’aggiudicatario (Art.2919 CC). Se l’acquisto avviene a titolo derivativo un terzo può rivendicare la proprietà del bene (terzo acquirente in espropriazione forzata subisce l’evizione da parte del terzo), ciò può avvenire anche nella vendita nella liquidazione giudiziale perché non vi è una previa verifica della titolarità del bene in capo all’imprenditore. Se è stata proposta e rigettata una domanda di revoca e restituzione (facendo valere il diritto restitutorio) da parte del terzo il decreto ha autorità di cosa giudicata ed impedisce al terzo di andare a rivendicare (facendo valere il diritto reale) il bene nei confronti del terzo acquirente. Art.2921 CC: il terzo evitto potrà ripetere il prezzo non ancora distribuito e presso ciascun creditore la somma già distribuita, facendo valere le proprie ragioni  ma l’Art.2929 dice che i pagamenti fatti in base alla liquidazione giudiziale dice che sono intangibili, ciò vale anche per il terzo? Non vi è risposta. La vendita nella liquidazione giudiziale, nella disciplina circolatoria, ricalca una vendita di diritto comune ma ha anche un effetto speciale rispetto alla vendita ordinaria: ha effetto purgativo dei diritti reali di garanzia e delle prelazioni gravanti sul bene liquidato (Art.217.2)  effetto correlato al fatto che la vendita nell’espropriazione forzata ha la funzione di attuare la responsabilità patrimoniale, pegno e ipoteca si estinguono quando è attuata la responsabilità patrimoniale. Il curatore deve dare avviso ai creditori titolari di diritti di garanzia iscritti della vendita, poiché avviene l’estinzione del loro diritto. Le invalidità processuali degli atti non possono essere ragione di caducazione dell’atto di vendita, poiché devono essere fatte valere con gli appositi strumenti di opposizione agli atti esecutivi. Se la vendita è legalmente compiuta l’effetto espropriativo rimane fermo anche se la sentenza di apertura venga successivamente revocata (Art.53). Ripartizione dell’attivo – Capo V (Artt.220-232). Fase distributiva del ricavato dalle attività di liquidazione ai creditori ammessi al passivo. Qui si giunge allo scopo della procedura  attribuzione della somma ricavata dall’attuazione della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore. L’Art.219 (nel capo dedicato alla liquidazione) dice che il giudice delegato provvede alla distribuzione della somma ricavata, secondo le disposizioni del capo successivo. Art.221: si ripartiscono le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo, primo problema è l’ordine di ripartizione: 1. Pagamento dei crediti prededucibili (crediti che come tali sono qualificati dall’Art.6 + quelli così qualificati dalla legge). Godere della prededuzione significa essere soddisfatti in via prioritaria e non residuale, rispetto agli altri crediti anche se muniti di causa di prelazione, sul ricavato della liquidazione giudiziale (con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione di beni oggetto di pegno o ipoteca). Sono crediti prededucibili: le spese di procedura, perché costituiscono il “corrispettivo” di quanto è stato necessario fare per giungere alla liquidazione; crediti di soggetti che hanno prestato la loro opera nell’ambito della procedura; crediti così qualificati dalla legge (es. per finanziamenti approvati). Ai crediti prededucibili sono contrapposti i cd. crediti concorsuali. 2. Pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute, secondo l’ordine assegnato dalla legge nel caso di concorso di cause di prelazione (ipoteca, pegno, privilegio) sullo stesso bene. Il pagamento è preferenziale sulle cose vendute su cui insiste la prelazione, se il creditore con prelazione non è interamente soddisfatto con la liquidazione del bene su cui aveva prelazione concorre come un chirografario per la parte non soddisfatta. 3. Pagamento dei crediti chirografari, ovvero dei creditori che non hanno cause di prelazione. Dopo aver soddisfatto crediti prededucibili e chirografari, se residua qualcosa si soddisfano gli altri creditori, in proporzione al credito per il quale sono stati ammessi al passivo. 4. Pagamento dei crediti postergati, ovvero i creditori che hanno una posizione peggiore agli altri, che possono soddisfarsi solo quando sono stati integralmente soddisfatti i chirografari. Sono postergati, ad esempio, gli intervenienti tardivi o i soci per i finanziamenti eseguiti. 5. Se residua qualcosa (rarissimo) la somma residuale viene corrisposta all’imprenditore. In sede di riparto delle somme occorre soltanto stabilire l’ordine di soddisfacimento dei crediti e la quota del ricavato che deve essere attribuita a ciascun creditore. L’esistenza del credito, l’ammontare del credito, la sussistenza dell’eventuale causa di prelazione o attributo della prededucibilità sono aspetti oggetto del provvedimento di ammissione, che ha effetti all’interno del concorso e non potrà più essere rivisto. Il curatore ex Art.220, ogni 4 mesi dal a partire dal decreto di accertamento del passivo, trasmette a tutti i creditori un prospetto delle somme disponibili. Si hanno dei piani di riparto di periodo (parziali) che si collocano tra la formazione dello stato passivo e il compimento della liquidazione dell’attivo. Nel progetto di ripartizione il curatore tiene in considerazione tutti i creditori ammessi, anche quelli per i quali sono stati proposti giudizi di impugnazione dello stato passivo ed i crediti per i quali non si applica il divieto delle azioni esecutive e cautelari ex Art.150. Il Codice vuole accelerare il soddisfacimento dei creditori, ma l’esigenza di speditezza del riparto deve tenere conto di esigenze di tutela: deve indicare le somme immediatamente distribuibili ai creditori ammessi al passivo (nei limiti dell’80%, il 20% deve essere accantonato); devono essere effettuati degli accantonamenti specifici per soddisfare eventuali ragioni di creditori potenziali non ancora ammessi al passivo per ragioni processuali (a loro non imputabili) o per altre ragioni pratiche (Art.227: creditori ammessi con riserva, creditori opponenti che hanno richiesto misure cautelari, creditori nei cui confronti sono stati proposti giudizi di opposizione, spese eventuali per la procedura). Il piano di riparto è un atto del curatore, che predispone e comunica ai creditori ammessi, inclusi quelli per i quali è in corso un giudizio di impugnazione. Il giudice delegato si limita a dichiarare esecutivo il progetto predisposto dal curatore, senza la possibilità di fare modifiche. Sono i creditori che, entro 15gg dalla ricezione della comunicazione, possono contestare il piano di riparto, potendo proporre reclamo al giudice delegato ex Art.133 (reclamo contro gli atti del curatore). Se nel termine di 15gg non è proposto reclamo da parte di nessun creditore non vi sono contestazioni e decorso il termine di 15gg il giudice delegato dichiara esecutivo il progetto di ripartizione e provvede al pagamento delle somme ex Art.230. Il decreto di esecutività del giudice delegato è impugnabile solo per vizi propri, se vi era un errore del curatore nel piano di riparto il creditore doveva proporre reclamo entro i 15gg. 12/05/2022 Se è proposto reclamo, entro 15gg dalla notificazione del piano di riparto, da parte di uno o più creditori. Questo è un reclamo ex Art.133 proponibile per motivi di violazione di legge, che si configura come uno strumento di contestazione di un atto che ha natura e funzione esecutiva (deve essere sottoposto ad un controllo volto a verificare che sia formato nel rispetto delle norme di legge che lo disciplinano). Ciò è simile all’opposizione in sede esecutiva ex Art.512 CPC nel processo di esecuzione individuale. Qui però l’esistenza, l’ammontare dei crediti e l’esistenza di eventuali cause di prelazione sono già stati accertati, quindi, in sede di riparto un creditore non può contestare ciò (era da dedursi in sede di accertamento del passivo). Oggetto di contestazione con il reclamo possono essere soltanto vizi propri del piano di riparto: consistenza ed ammontare della quota, graduazione del credito in base alle prelazioni, errori nella formazione del riparto, discrasie tra stato passivo e riparto, vizi procedurali (es. mancata comunicazione ai creditori). Legittimati sono solo i creditori, mai il debitore (può invece farlo ex Art.512 CPC), sicuramente quelli ammessi in via definitiva, quelli ammessi con riserva ma anche gli esclusi che abbiano proposto impugnazione e quelli contestati. Al requisito della legittimazione ad agire si affianca quello dell’interesse ad agire, la contestazione deve essere astrattamente idonea a dare un risultato utile, ovvero a dare una posizione migliore nel riparto. Le parti in questo giudizio (Cass. SU 24068/2019) sono il creditore contestante, il curatore, il creditore contestato e anche tutti gli altri creditori ammessi al riparto (che dall’accoglimento possono subire una modificazione peggiorativa della loro posizione). Proposto il reclamo il giudice delegato dichiara esecutivo il piano di riparto con accantonamento delle somme corrispondenti ai crediti contestati. Sul reclamo il giudice decide con decreto e se è modificato il curatore deve modificare il piano di riparto, conformandosi a quanto statuito dal giudice delegato. Il decreto è impugnabile di fronte al Tribunale ed il decreto del Tribunale è ricorribile in Cassazione con ricorso straordinario poiché ha gli attributi della decisorietà e definitività, come atto risolutivo di una controversia su di un atto esecutivo (come l’opposizione agli atti esecutivi ex Art.617 CC). Esecuzione dei pagamenti e stabilità della distribuzione. Se piano di riparto è approvato il curatore provvede al pagamento dei creditori (Art.230). Nell’espropriazione forzata non vi è una norma ad hoc, secondo la dottrina e giurisprudenza maggioritaria il pagamento diviene incontestabile mentre secondo una dottrina minoritaria (Luiso) il pagamento è come un pagamento spontaneo e quindi ripetibile. Nella procedura di liquidazione giudiziale abbiamo una norma, che risolve il problema, che sancisce che i pagamenti effettuati in esecuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti (Art.229)  opera la preclusione a carico dell’imprenditore ritornato in bonis ma anche nei confronti del curatore (prima che sia chiusa la liquidazione) e dei creditori concorrenti (per l’azione di ingiustificato arricchimento verso un concorrente insoddisfatto). Per l’imprenditore tornato in bonis non basta l’efficacia del decreto ai fini del concorso, per precludergli l’azione di ripetizione è necessario l’Art.229. Vi sono alcune eccezioni: 1) nel caso di accoglimento di domande impugnazione per revocazione dell’ammissione allo stato passivo (rimedio endo-esecutivo); 2) se il pagamento effettuato diverge da quello previsto nel piano di riparto potrà essere ripetuto. Il curatore procede a ripartizioni parziali, mano a mano che vi sono somme da ripartire, con dei piani di riparto parziali fino a giungere al piano di riparto finale, momento dell’esaurimento dell’attivo e della regolamentazione di ogni spesa. Il riparto finale è preceduto dal rendiconto del curatore; terminata la liquidazione dell’attivo è necessario che il curatore rendiconti analiticamente le operazioni contabili, le attività di gestione della procedura, le loro modalità ed il relativo esito. Il rendiconto è presentato al giudice delegato e poi è fissata un’udienza dove possono essere mosse contestazione e una volta risolte viene approvato. Approvato il rendiconto si liquida il compenso del curatore ed il giudice delegato liquida il riparto finale, distribuendo anche le somme che erano state accantonate. Se la condizione ammessa con riserva o la contestazione non è ancora stata risolta ciò non impedisce il riparto finale, la somma è depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato  si vuole chiudere in modo celere la procedura. Cessazione della procedura di liquidazione giudiziale – Capo VI (Artt.233-239). L’ultimo atto, che segna la cessazione della procedura è il decreto di chiusura del Tribunale ex Art.235  chi fa nascere la procedura con la sentenza di apertura è il tribunale, chi ne determina la fine è sempre il Tribunale. I casi di chiusura della procedura sono elencati all’Art.233 e sono quattro, a cui vanno aggiunte altre due ipotesi: chiusura per concordato nella liquidazione giudiziale (quando diventa definitivo il decreto di omologazione del concordato nella liquidazione giudiziale cessa anche la procedura di liquidazione); revoca della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale pronunciata in grado di impugnazione dalla Corte d’appello o dalla Cassazione. L’Art.233 riguarda le ipotesi di chiusura di una procedura legittimamente aperta e ricollegate alla finalità della procedura, ovvero l’attuazione della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore e il soddisfacimento dei creditori: a-d)  impossibilità di raggiungere le finalità della procedura o acclarata inutilità. b-c)  raggiungimento delle finalità della procedura. a) Mancata proposizione entro il termine previsto di domande di ammissione al passivo (procedura inutile). d) Quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura (procedura non può raggiungere il suo scopo  chiusura per economia processuale). b) Quando, anche prima della ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori permettono un integrale soddisfacimento dei crediti concorsuali e dei crediti di massa. c) Quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo, poiché non vi sono più beni da liquidare e non ha senso proseguire il procedimento per l’attuazione della responsabilità patrimoniale. Procedimento di chiusura: al ricorrere di una delle ipotesi previste è dichiarata la chiusura della procedura con decreto motivato del Tribunale, che provvede su istanza del curatore oppure del debitore o d’ufficio. Il decreto è poi pubblicato sul RI (come era stata pubblicata la sentenza di apertura), se accoglie l’istanza di parte. Se l’istanza viene rigettata non vi è nessuna chiusura. Il decreto è reclamabile davanti alla Corte d’appello e poi con il ricorso per Cassazione. Il decreto di chiusura acquista efficacia quando scade il termine per il reclamo ovvero quando esso è definitivamente rigettato  esigenze di certezza superano gli interessi che riguardano la celere chiusura della procedura. Effetti della chiusura della procedura di liquidazione giudiziale. Gli effetti ricollegati al decreto di chiusura quando diviene definitivo sono disciplinati dall’Art.236. il decreto di chiusura ha effetti uguali e contrati agli effetti della sentenza di apertura. Con la chiusura cessano gli effetti sul patrimonio del debitore e le incapacità personali, cessano gli organi della procedura, le azioni esperite dal curatore per l’esercizio di diritti derivanti dalla procedura non possono essere proseguite, i creditori riacquistano il libero
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