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Vettori in Fisica: Concetto, Scomposizione, Somma e Prodotti, Dispense di Fisica

Il concetto di vettori in fisica, come sono definiti, come si possono scomporre in componenti lungo assi cartesiani, come si sommano e come si moltiplicano tra di essi per prodotti scalare e vettoriale.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 16/01/2024

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valentina-chiarello-1 🇮🇹

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Scarica Vettori in Fisica: Concetto, Scomposizione, Somma e Prodotti e più Dispense in PDF di Fisica solo su Docsity! VETTORI In fisica si trattano numerose grandezze caratterizzate non solo da una quantità, ma anche dalla direzione in cui si manifestano; richiedono pertanto uno specifico linguaggio matematico; il linguaggio dei vettori. Distinguiamo due tipi di grandezze: -quelle che possono essere espresse semplicemente tramite un numero, riferito a un’unità di misura (ad esempio, la lunghezza, il tempo, la temperatura, l’energia) -quelle per le quali un numero e un’unità di misura non bastano (ad esempio, lo spostamento, la velocità, l’accelerazione) Le prime si dicono grandezze scalari, le seconde grandezze vettoriali. Possiamo definire un vettore, quindi, come un’entità matematica caratterizzata da: -MODULO: lunghezza vettore; -DIREZIONE: graficamente è la retta lungo la quale agisce il vettore; -VERSO: è indicato dalla punta della freccia; I VETTORI E LE SUE COMPONENTI La componente di un vettore è la sua proiezione su un asse di un piano cartesiano. Per trovare le proiezioni di un vettore lungo un asse si traccino le perpendicolari dai due estremi del vettore agli assi. Le lunghezze di tali proiezioni sono dette componenti del vettore lungo gli assi cartesiani. Il procedimento per trovare le componenti prende il nome di scomposizione del vettore. La componente scalare di un vettore ha segno concorde con il verso del vettore stesso. In genere Un vettore avrà tre componenti, anche nel caso in cui la componente lungo l’asse z è uguale a zero. Se si muove un vettore in modo che rimanga parallelo alla sua direzione originaria, i valori delle sue componenti restano in ogni momento invariati. Applicando i teoremi della trigonometria e il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo formato dal vettore v→e dalle rette perpendicolari agli assi, puoi determinare: -le componenti del vettore, dati il suo modulo e l’angolo @ compreso tra la direzione del vettore e l’asse x; la componente orizzontale è: ax=acos@, la componente vertcale è ay=asen@; -l’angolo α, date le componenti del vettore; dato che la tangente dell’angolo è tan@=ay/ax, l’angolo sarà: @=arctan(ay/ax) -il modulo del vettore, date le sue componenti. Dato che la lunghezza del vettore corrisponde all’ipotenusa del triangolo rettangolo costruito con le componenti del vettore stesso, il modulo sarà: a=radiceq(ax^2+ay^2) VETTORI UNITARI O VERSORI Un vettore con direzione e verso qualsiasi, ma con modulo uguale a 1 viene chiamato vettore unitario, o versore, e viene indicato di solito con v^. E’ privo di dimensioni e quindi anche di unita di misura. Il suo unico scopo è quello di indicare una specifica direzione. Ogni vettore che si trovi lungo questa direzione può essere espresso con riferimento a questo versore: basta moltiplicare il versore per il modulo del vettore in questione, per ottenere il vettore stesso. In un piano cartesiano possiamo definire i versori i^, j^associati rispettivamente alle direzioni dell’asse x e dell’asse y. Analogamente, in uno spazio cartesiano a 3 dimensioni, possiamo definire i versori i^, j^ e k^ associati rispettivamente alle direzioni dell’asse x, dell’asse y e dell’asse z. I vettori unitari i,j e k definiscono le direzioni di un sistema di coordinate ortogonali destrorso. I versori sono molto utili per descrivere altri vettori, per esempio possiamo descrivere il vettore a come a=axi + ayj. Le quantità axi e axj sono le componenti vettoriali di a, che si differenziano da ax e ay che sono le componenti scalari. SOMMA E DIFFERENZA DI VETTORI: METODO GRAFICO Se abbiamo due vettori v→=AB e w→=BC, il vettore somma s è dato dal segmento orientato che parte da A e termina in C, oppure, equivalentemente, dalla diagonale AC del parallelogramma formato dai due vettori dati e dai due vettori ad essi equipollenti DCe AD. Proprietà. La somma dei vettori ha due proprietà importanti: -proprietà commutativa ( l’ordine degli addendi non e rilevante; a+b= b+a). -proprietà associativa (non è rilevante il modo in cui raggruppiamo i vettori quando li sommiamo (a+b)+c=a+ (b+c). Il vettore -b è un vettore con loro stesso modulo e direzione di b, ma orientato in verso opposto. La loro somma è zero b+(-b)=0. Utilizziamo questa proprietà per definire la differenza tra due vettori. Se d= a-b, allora d= a-b =a+(-b). Quindi troviamo il vettore differenza d sommando il vettore -b al vettore a. Le regola per la somma e per la differenza valgono per vettori di qualunque tipo, sia che essi rappresentino forze, velocità o qualunque altra grandezza. Tuttavia ha senso sommare solo vettori dello stesso tipo. SOMMA DI VETTORI PER MEZZO DELLE LORO COMPONENTI Un altro modo di ottenere la somma di vettori consiste nel combinare le rispettive componenti asse per asse. Quindi per sommare i vettori a e b dobbiamo prima scomporre i vettori nelle loro componenti, poi combinare queste componenti asse per asse per ottenere le componenti del vettore somma. Questo procedimento di addizione vettoriale attraverso le componenti si applica anche alla sottrazione vettoriale. I VETTORI E LE LEGGI DELLA FISICA Abbiamo una grande libertà di scelta per definire il sistema di coordinate, perché le relazioni fra i i vettori (incluso per esempio, il vettore somma dell’equazione) non dipendono dalla collocazione rispetto all’origine del sistema di coordinate o dall’orientamento degli assi. Questo vale anche per i rapporti che si stabiliscono fra i fenomeni fisici: sono tutti indipendenti dalla scelta del sistema di coordinate. PRODOTTO DI VETTORI Ci sono tre modalità per le moltiplicazioni con i vettori: -PRODOTTO DI UN VETTORE PER UNO SCALARE Se moltiplichiamo un vettore a per uno scalare s otteniamo un nuovo vettore. Il suo modulo è il prodotto del modulo di a per il valore assoluto di s. La sua direzione è la stessa direzione di a. Se s è positivo, il vettore prodotto mantiene lo stesso verso di a; se s è negativo, il vettore risultante dalla moltiplicazione assume verso opposto. Volendo dividere a per s, moltiplichiamo a per 1/s. -PRODOTTO DI UN VETTORE PER UN VETTORE Esistono due modi di moltiplicare un vettore per un vettore: il primo tipo di prodotto dà origine a uno scalare (lo si chiama prodotto scalare) e l'altro dà origine a un nuovo vettore (prende il nome di prodotto vettoriale, o anche di prodotto vettore). v= limΔt—>0Δx/Δt= dx/dt. Inoltre, la velocità vettoriale v di una particella in qualunque istante t è rappresentata dalla pendenza della retta tangente alla curva nel punto di ascissa t. La velocità scalare è il modulo della velocità vettoriale e cioè coincide con la velocità vettoriale privata di direzione. ACCELERAZIONE Quando la velocità di una particella varia è sottoposta a un’accelerazione. Per il moto lungo un asse, l’accelerazione media ā durante un intervallo di tempo si calcola così: ā= v2-v1/ t2-t1= Δv/Δt. (2.7) L’accelerazione istantanea è la derivata della velocità rispetto al tempo: a= dv/dt. L’accelerazione di una particella in un certo istante è la rapidità di variazione della sua velocità in quell’istante. Graficamente, l’accelerazione è la pendenza della curva v(t) in quel punto. L’accelerazione di una particella in un certo istante è la derivata seconda della sua posizione x(t) rispetto al tempo: a= dv/dt= d/dt(dx/dt) = d^2x/ dt^2. Detto a parole: L’accelerazione di una particella in un certo istante è la derivata seconda della sua posizione x(t) rispetto al tempo. L’unità di misura dell’accelerazione è il metro al secondo quadrato. Anch’essa è una grandezza vettoriale. Una pendenza maggiore della curva della decelerazione in un diagramma significa che l’intensità, cioè il modulo, della decelerazione è maggiore di quella dell’accelerazione. Figura 2.6 pag. 17 Sensazioni Quando L’ascensore all’inizio accelera, si ha l’impressione di essere schiacciati verso il basso, e di essere invece stirati verso l’alto quando poi la cabina dell’ ascensore viene frenata fino all’arresto. Nell’intervallo di tempo intermedio non si avverte alcuna partcolare sensazione. Questo perché il corpo umano reagisce alle accelerazioni ( è u accelometro), ma non alle velocità. Unità g. Accelerazioni di valore elevato vengono talvolta espresse in termini di unita g, ove. 1g = 9,8 m/s² g rappresenta il modulo dell’accelerazione di un corpo in caduta libera vicino alla superficie terrestre. Su un vagoncino delle montagne russe si possono sperimentare per brevi istanti accelerazioni fino a 3g, che vale a dire (3)(9,8m/s²), ossia circa 29m/s². Segni. Nelle scienze, il segno dell’accelerazione indica il verso in cui è diretto il vettore accelerazione; non vuol dire che l’oggetto sta aumentando o diminuendo la sua velocità →Se i segni di velocitàeaccelerazionesonogli stessi, l’oggetto staaumentando lasuavelocità; se i segni sono opposti, l’oggetto sta rallentando. ACCELERAZIONE COSTANTE In molti dei più comuni tipi di moto l’accelerazione è costante o pressoché costante. Si parla in questo caso di moto rettilineo uniformemente accelerato. Casi simili sono cosi frequenti che per trattarli mettiamo qui in evidenza uno speciale sistema di equazioni. E’ da tener presente che le equazioni sono valide soltanto nei casi in cui l’accelerazione è costante (o in casi in cui si possa accettare un grado di approssimazione). Prima equazione di base del moto rettilineo uniformemente accelerato. Quando l’accelerazione è costante, la distinzione fra accelerazione media e accelerazione istantanea perde di significato e possiamo scrivere l’equazione 2.7, con alcune variazioni di notazione, come segue: a= ā= v-v0/ t-0 Qui v0 è la velocità al tempo t=0 e v è la velocità nell’istante generico successivo t. Possiamo trasformare questa equazione così: V=v0+at (2.11) Per verifica si può osservare che quest'ultima equazione si riduce a v= v0 per t = 0, come previsto. Proviamo ora, per un ulteriore controllo, a derivare la (2.11): otteniamo dv/dt, che è appunto la definizione di a. La figura 2.9b traduce l'equazione 2.11 nel diagramma della funzione (t). La funzione è lineare, cioè rappresentata da una linea retta. Seconda equazione di base del moto rettilineo uniformemente accelerato. In modo simile possiamo riscrivere l'equazione 2.2 (con qualche variazione nella notazione) come Vmedia= x-x0/ t-0 e quindi x = x0 + Vmedia t, (2.12) in cui x0 è la posizione della particella per t= 0 e Vmedia è la velocità media tra t = 0 e un istante successivo t. Per la funzione lineare della velocità data dall'equazione 2.11, la velocità media in qualunque intervallo di tempo (per esempio fra t= 0 e un generico istante successivo t) è la media fra la velocità nel punto iniziale dell'intervallo (= v0) e la velocità nel punto finale (= v). Per l'intervallo compreso fra t = 0 e un qualsiasi t > O, quindi, la velocità media è: Vmedia = 1/2 (V0 + v) (2.13) Sostituendo a v la sua espressione data dall'equazione 2.11, si ottiene Vmedia= v0+ 1/2at (2.14) Infine, sostituendo a Vmedia, nell'equazione 2.12, la sua espressione da quest'ultima equazione, si ricava l'equazione oraria del moto rettilineo uniformemente accelerato. x - x0 = v0t+1/2at^2 (2.15) Per verifica si può osservare che quest'ultima equazione, per t = 0, si riduce a x = x0 come previsto. Proviamo ora, per un ulteriore controllo, a derivare la (2.15): otteniamo ancora, com'era prevedibile, l'equazione 2.11. La figura 2.9a è una rappresentazione grafica dell'equazione 2.15; la funzione è quadratica e pertanto la linea che la descrive è curva. Le altre tre equazioni. Le equazioni 2.11 e 2.15 sono le equazioni base per il caso di accelerazione costante o moto rettilineo uniformemente accelerato; le si può usare per risolvere qualunque problema cinematico in cui l'accelerazione sia costante. Possiamo ottenere tuttavia altre relazioni utili in certe situazioni. Osserviamo innanzitutto che sono 5 le grandezze suscettibili di intervenire come variabili in qualunque problema che riguardi l'accelerazione costante, precisamente (x - x0), v, t, a, e v0. Le equazioni 2.11 e 2. 15 contengono ciascuna quattro di queste grandezze, ma non le stesse quattro. Nell'equazione 2.11 l'«ingrediente mancante» è lo spostamento x - x0. Nell'equazione 2.15 è la velocità v. Si possono ancora combinare queste due equazioni in tre modi diversi, ricavandone tre equazioni aggiuntive, ciascuna delle quali implica una diversa «varabile mancante». Così, eliminando t, si ottiene v^2 = v0^2 + 2a(x - x0) (2.16) Questa equazione è utile se non conosciamo t e non ci viene richiesto di trovarlo. Possiamo, invece, eliminare l'accelerazione, lavorando su queste due equazioni, per formulare una nuova equazione in cui non compaia a: x - x0 = 1/2 (v0 + v)t (2.17) Possiamo infine eliminare v0 e ottenere x - x0 = vt - 1/2 at^2 (2.18) La tabella 2.1 elenca le equazioni base 2.11 e 2.15, insieme alle altre tre che abbiamo ricavato. Per risolvere un problema di accelerazione costante si deve valutare quale delle cinque variabili non intervenga nel problema, né come dato né come incognita. Scelta l'equazione corretta dalla tabella 2.1, basta sostituire i tre valori dati alle rispettive grandezze per trovare il valore dell'incognita. Invece di usare la tabella si può a volte arrivare più facilmente alla soluzione ricorrendo soltanto alle equazioni 2.11 e 2.15, combinate opportunamente per mettere in evidenza l'incognita. ACCELERAZIONE NEL MOTO DI CADUTA LIBERA Se, lanciando un oggetto verso l’alto o verso il basso, si potesse riuscire a eliminare l’effetto dell’aria sul suo moto, si troverebbe che la sua accelerazione verso il basso ha un valore ben definito, il cui modulo viene indicato con un il simbolo g, ed è chiamata accelerazione di gravità o di caduta libera. L’accelerazione g è indipendente dalle caratteristiche dell’oggetto, quali la massa, la densità, la forma; è la stessa per qualsiasi oggetto. Il valore di g varia leggermente con la latitudine e anche con la quota. Al livello del mare, nelle latitudini medie, il valore e di 9,8m/s^2, valore che useremo per gli esercizi e i problemi. Le equazioni del moto rettilineo uniformemente accelerato si applicano alla caduta libera vicino alla superficie della Terra. Cioè a qualunque oggetto in volo verticale, sia verso l’alto sia verso il basso, quando gli effetti dell’aria possono essere trascurati. La direzione del moto è collocata sull’asse verticale y invece che sull’asse x, con la direzione positiva di y rivolta verso l’alto. L’accelerazione in caduta libera risulta quindi negativa, cioè scende lungo l’asse y, e così nelle equazioni possiamo sostituire a con -g. L’accelerazione di gravità in prossimità della superficie terrestre vale: a= -g = -9,8m/s^2, e il modulo dell’accelerazione è g= 9,8m/s^2. Si supponga di lanciare un pomodoro verticalmente verso l’alto con velocità v0 e di riafferrarlo quando ritorna allo stesso livello di lancio. Durante il suo volo libero si applicano le equazioni della tabella 2.1. L’accelerazione è sempre : a= -g = -9,8m/s^2 ed è quindi diretta verso il basso. La velocità naturalmente cambia: durante l’ascesa il modulo della velocità (positiva) diminuisce, fino a che si annulla momentaneamente. Poiché il pomodoro subisce un arresto in questo istante, occupa la posizione di massima altezza. Nella successiva discesa il modulo della velocità (negativa) aumenta. valore stabile, e affermiamo allora che i due corpi si trovano in equilibrio termico reciproco. Possiamo quindi dichiarare che i due corpi T e A sono alla stessa (ignota) temperatura. Adesso poniamo in stretto contatto il corpo T con un secondo corpo (corpo B). Supponiamo che i due corpi raggiungano l’equilibrio termico allo stesso valore di prima letto dal termoscopio. Anche i corpi B e T dunque si trovano alla stessa temperatura (sempre ignota). E se mettiamo in contatto i corpi A e B, saranno già in equilibrio termico? Sperimentalmente la risposta è sì. I fatti sperimentali illustrati nella figura 18.3 sono riassunti nel principio zero della termodinamica: → Seduecorpi A eB si trovano in equilibrio termicocon un terzocorpoT, allora sono in reciproco equilibrio termico. Il significato del principio zero è: “Qualsiasi corpo possiede una proprietà chiamata temperatura. Quando due corpi si trovano in equilibrio termico, le loro temperature sono uguali”. Possiamo ora trasformare il corpo T in un termometro. Se vogliamo sapere se i liquidi contenuti in due bicchieri si trovano alla stessa temperatura, misuriamo la temperatura di ciascuno con un termometro. Non occorre in questo caso porre i due corpi a stretto contatto. Il principio zero venne formulato nel 1930, molto dopo l’enunciazione del primo e del secondo principio della termodinamica. Poiché il concetto di temperatura è fondamentale per queste due leggi, si scelse il nome “zero”. MISURA DELLA TEMPERATURA Vediamo come: -Definire e misurare la temperatura con la scala Kevin; -Tarare un termoscopio per poterlo utilizzare come un termometro; IL PUNTO TRIPLO DELL’ACQUA Il primo passo utile alla definizione di una scala di temperatura è la scelta di alcuni fenomeni termici riproducibili, quindi l'attribuzione arbitraria di una determinata temperatura nella scala Kelvin ai suddetti eventi termici. Questo significa che noi scegliamo un punto fisso standard. Conviene scegliere il punto triplo dell'acqua. L'acqua liquida, il ghiaccio solido e il vapor acqueo possono coesistere, in equilibrio termico, a un solo valore di pressione e di temperatura. La figura 18.4 illustra una cella a punto triplo, nella quale si può ottenere il cosiddetto punto triplo dell'acqua in laboratorio. Al punto triplo dell'acqua è stato attribuito il valore di 273.16K e indicato come punto fisso standard della temperatura per la taratura dei termometri. Ossia T3 = 273,16 K (temperatura del punto triplo dell'acqua), (18.1) nel quale il pedice 3 ricorda semplicemente il punto triplo. Con il medesimo accordo si è anche stabilito che l'unità kelvin sia pari a 1/(273,16) della differenza di temperatura tra il punto triplo dell'acqua e lo zero assoluto. Nell'indicazione delle temperature nella scala Kelvin non si utilizza il simbolo dei gradi. Non vi è distinzione di nomenclatura tra temperature e variazioni di temperatura. IL TERMOMETRO A GAS A VOLUME COSTANTE Il termometro standard, rispetto al quale vengono tarati tutti gli altri termometri, è basato sulla pressione esercitata da un gas isolato a volume costante. La figura 18.5 mostra questo termometro a gas (a volume costante). Esso è composto da un bulbo di vetro riempito di gas, collegato con un tubo capillare a un manometro a mercurio. La temperatura di qualsiasi corpo a contatto termico con il bulbo (come il liquido di figura 18.5) viene definita come T= Cp, (18.2) nella quale p è la pressione esercitata dal gas e C è una costante. La pressione è calcolata tramite la relazione 14.10: p = p0 - pgh, (18.3) ((AGGIUSTARE FORMULA LA TERZA P NON E’ UNA P)) in cui p0 è la pressione atmosferica, p (LETTERA GRECA AGGIUSTARE) è la massa volumica del mercurio nel manometro e h è la differenza di livello del mercurio nei due bracci del tubo capillare. Con il bulbo del termometro a gas immerso in una cella a punto triplo, come in figura abbiamo T3= Cp3, (18.4) dove p3 è la pressione registrata in queste condizioni. Eliminando C tra le equazioni 18.2 e 18.4 si ottiene T = T3 (p/p3) = (273,16 K) (p/p3). (definizione provvisoria) Non si è detto niente a proposito del tipo di gas (o della quantità di gas) utilizzato nel termometro. Utilizzando quantità di gas sempre più piccole per riempire il bulbo, le letture convergono effettivamente a una singola temperatura, qualunque sia il tipo di gas impiegato. La definizione per la misura della temperatura con un termometro a gas è: T = (273,16 K) (lim gas→0 p/p3). (18.6) Questo ci suggerisce di misurare una temperatura ignota T nel seguente modo. Si riempie il bulbo con una massa m arbitraria di un gas qualunque e si misurano p3 (utilizzando una cella a punto triplo) e p, determinando la pressione del gas a quella temperatura. È possibile successivamente calcolare il rapporto p/p3. Si ripetono quindi entrambe le misurazioni con quantità di gas inferiori nel bulbo, calcolando ancora questo rapporto. Si procede poi utilizzando quantità di gas sempre minori fino a quando è possibile estrapolare il rapporto p/p3 che avremmo trovato per quantità minime di gas nel bulbo. Si calcola infine la temperatura sostituendo il rapporto estrapolato nell'equazione 18.6. La temperatura definita in questo modo è la temperatura del gas ideale. LE SCALE CELSIUS E FAHRENHEIT In quasi tutti i paesi del mondo la scala Celsius è la scala preferita per usi comuni commerciali e scientifici. La quantità corrispondente a 1 grado della scala Celsius è equivalente a quella della scala Kelvin, ma lo zero della prima è spostato a un valore più comodo. Se Tc rappresenta una data temperatura Celsius, allora Tc = T - 273,15 gradi centrigradi Le temperature nella scala Celsius si esprimono utilizzando il simbolo del grado. Scriveremo pertanto 20,00 gradi C, equivalenti a 293,15K. La scala Fahrenheit, utilizzata in alcuni paesi anglosassoni, assume un grado di ampiezza più piccola della scala Calsius e uno zero riferito a un punto diverso. La relazione tra le scale Celsius e Fahrenheit è: TF = 9/5 TC + 32 gradi centrigradi Dove TF è la temperatura Fahrenheit. La figura 18.7 confronta le scale Kelvin, Celsius e Fahrenheit.
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