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User-Centered Design: Principi e Obiettivi per la Progettazione di Sistemi Interattivi, Appunti di Design

Progettazione di Sistemi InterattiviProgettazione di interfacce utenteUser Experience (UX)Design interattivo

Una panoramica del metodo del design centrato sull’utente (UCD), che coinvolge gli utenti nella progettazione, ascolta le loro richieste e si concentra sulla sicurezza e sulla visibilità. Viene inoltre discusso l'interazione uomo-macchina (HCI), la progettazione, l'implementazione e la valutazione di sistemi interattivi, la sicurezza, i principi di visibilità e feedback, e la classificazione degli utenti. Il documento include anche una breve introduzione alla metodologia UCD, ai benefici della concettualizzazione e alle metafore utili nella progettazione.

Cosa imparerai

  • Quali sono i benefici della concettualizzazione in UCD?
  • Quali sono i principi chiave del UCD?
  • Come si utilizzano le metafore nella progettazione UCD?
  • Come si classificano gli utenti in un progetto UCD?
  • Che cos'è il metodo User-Centered Design (UCD) e come funziona?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 10/09/2022

mihaaa200
mihaaa200 🇮🇹

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Scarica User-Centered Design: Principi e Obiettivi per la Progettazione di Sistemi Interattivi e più Appunti in PDF di Design solo su Docsity! INTERACTION DESIGN CAPIRE I BISOGNI DEGLI UTENTI: -> usare il metodo del design centrato sull’utente (UCD); -> coinvolgere gli utenti nella progettazione; -> ascoltare le richieste degli utenti; BENEFICI DELLO USER-CENTERED DESIGN: -> essere consapevoli sia delle capacità, sia della sensibilità degli utenti; -> non sempre lo stesso prodotto può andare bene per tutti; ACCESSIBILITÀ: grado in cui un prodotto può essere utilizzato da più persone possibile, indipendentemente dalle loro condizioni fisiche, culturali, tecnologiche... FOCUS SULLA DISABILITÀ: -> impedimento fisico o mentale; -> effetto negativo sulla vita quotidiana; -> a lungo termine; INTERACTION DESIGN -> progettare prodotti interattivi che siano usabili, ovvero semplici, efficaci e piacevoli da usare dal punto di vista dell’utente; Secondo la norma ISO 9241 del 1993, si definisce usabilità il “grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi come EFFICACIA, EFFICIENZA e SODDISFAZIONE in uno specifico contesto d’uso”. L’usabilità con questi 3 termini restringe il campo: essa, a differenza dell’accessibilità, non ci dice che noi dobbiamo permettere a qualunque utente in qualunque contesto di raggiungere un determinato obiettivo utilizzando il nostro prodotto; ci dice che possiamo scegliere chi sono gli utenti target (determinate caratteristiche), qual è l’obiettivo che il nostro prodotto sopporta e qual è il contesto nel quale deve essere utilizzato. L’interaction design ha un ruolo in moltissime discipline diverse: quelle discipline che si occupano dello studio e della progettazione di sistemi interattivi usati dalle persone. INTERAZIONE UOMO-MACCINA (HCI) -> progettazione, implementazione e valutazione di sistemi interattivi computerizzati destinati agli utenti e studio dei fenomeni correlati. -> interazione tra esseri umani (gli utenti) e computer. L’interaction design è più ampia: si occupa della progettazione per qualunque tipo di tecnologia ma anche più in generale, di sistema o di prodotto. USER EXPERIENCE: si chiama UX l’insieme di interazioni (nel mondo digitale ma anche in quello fisico) che una persona (UTENTE) ha con un prodotto, un servizio, un’organizzazione. Le interazioni non sono limitate allo specifico momento in cui viene utilizzato un determinato prodotto o artefatto, ma si possono riferire anche al prima e al dopo quindi ad esempio: prima di utilizzare un determinato prodotto una persona può sentirne parlare da un suo amico e questo fa parte della USER EXPERIENCE; dopo aver usato un prodotto una persona può ripensare alla sua interazione. Morville ha scomposto la UX in 7 diverse dimensioni: usabilità (prodotto facile da usare), utilità (prodotto utile se aiuta gli utenti a raggiungere i propri obiettivi), desiderabilità (questa dimensione ha a che fare con il lato emotivo), trovabile (il prodotto ci deve permettere di trovare facilmente ciò di cui noi abbiamo bisogno), credibile (noi siamo sicuri che il prodotto contiene informazioni di valore e affidabili). Se tutte queste dimensioni sono soddisfatte allora il prodotto è di valore; un prodotto di valore è anche un prodotto in grado di garantire un ritorno economico a chi distribuisce/produce il prodotto in questione. Guo propone un altro modello che consiste in quattro elementi che si sovrappongono a quelle di Morville: il valore (si sovrappone al concetto di utilità), l’usabilità (facilità d’uso), la desiderabilità (capacità di coinvolgimento, alla capacità di suscitare desiderio, la capacità di divertire -> aspetti estetici ed emotivi) e poi l’adottabilità (indaga la facilità con qui è possibile iniziare ad usare un prodotto -> facile da trovare, da installare). McCarthy e Wright hanno individuato quattro punti di vista attraverso cui si può guardare alla UX: il primo livello è quello sensoriale (prime sensazioni provocate dall’uso o dalla vista di un prodotto; riguarda le percezioni; riguarda le sensazioni;), il secondo è quello emotivo (prevede un’elaborazione maggiore rispetto al livello precedente e si focalizza sulle emozioni connesse alla nostra esperienza di un prodotto), il terzo livello è la dimensione narrativa (riguarda il modo in cui le persone si raccontano e trovano un senso nelle esperienze che le coinvolgono; le riflessioni e le concettualizzazioni dell’esperienza) e la quarta dimensione spazio-temporale (descrive i luoghi e il tempo in cui si svolge un’esperienza). Norman propone un modello a tre livelli per descrivere l’esperienza: il livello viscerale corrisponde in gran parte al livello sensoriale di McCarthy e Wright, quindi, riguarda la nostra reazione immediata a un oggetto, si focalizza sull’aspetto estetico e sulle sensazioni che suscita questo prodotto. Il livello comportamentale si riferisce alla nostra esperienza d’uso. Il livello riflessivo è imparentato con il livello narrativo di McCarthy ed è quello in cui noi ripensiamo alla nostra esperienza e le diamo un senso. Roto e colleghi si focalizzano sulla dimensione temporale della UX: prima dell’uso c’è una UX anticipata in cui l’utente può immaginare di utilizzare il prodotto e anticipare le sue sensazioni e reazioni; dopo l’uso c’è la UX episodica in cui si ripensa ad un episodio di interazione e si riflette su di esso. Considerando tutti i momenti di UX vissuti e riflettendo su di essa sia quella che viene chiama UX cumulativa. Con l’espressione UX si va oltre la semplice progettazione dell’interazione e dell’interfaccia: guardiamo all’esperienza dell’utente in modo più ampio quindi si può pensare alla UX come una sorta di filosofia che mette al centro della progettazione i bisogni dell’utente. L’UX è un obiettivo ma non c’è modo per definire una UX come oggettivamente buona o cattiva perché essa è estremamente soggettiva e sarà diversa per ogni specifico utente. OBIETTIVI DI PROGETTAZIONE: -> stabilire degli obiettivi di progettazione. Tipicamente si possono distinguere in 2 macrogruppi: obiettivi di usabilità e di UX. Gli obiettivi di usabilità sono l’efficacia, l’efficienza, la sicurezza, l’utilità e la facilità di apprendimento e la facilità di memorizzazione. La sicurezza questa è relativa a molti aspetti (il prodotto non deve danneggiare fisicamente o psicologicamente l’utente, non deve diffondere i dati personali, deve permettere all’utente di eseguire determinate azioni senza provocare risultati irreversibili). Un altro obiettivo è la facilità di apprendimento, ovvero il prodotto deve essere facile al primo utilizzo; infine, la facilità di memorizzazione descrive quanto sia facile utilizzare un prodotto ed è utile per i prodotti che vengono utilizzati raramente. Gli obiettivi di User Experience si possono dividere in due macrogruppi e sono: gli aspetti desiderabili (aspetti che il prodotto dovrebbe supportare e stimolare) e gli aspetti indesiderabili (le cose che il prodotto non deve fare e non deve essere -> noioso, giudicato infantile). Gli obiettivi di UX a differenza di quelli di usabilità sono più soggettivi, più difficili da definire e valutano in modo in cui gli utenti percepiscono un prodotto. Questi obiettivi sono misurabili qualitativamente (chiedere all’utente di esprimere le sue sensazioni nell’utilizzare un prodotto). Al contrario, quelli di Per capire chi siano gli utenti dobbiamo identificarli -> interagiscono direttamente con il prodotto, sono responsabili per gli utenti diretti, ricevono informazioni dal prodotto, prendono le decisioni sull’acquisto, usano prodotto della concorrenza. In un modo sintetico, Eason definisce 3 categorie di utenti: utenti primari, utenti secondari e utenti terziari. Gli utenti primari sono quelli che usano un prodotto in modo diretto e frequente; gli utenti secondari sono quelli che, o utilizzano il prodotto solo occasionalmente, oppure lo usano in maniera mediata; gli utenti terziari sono quelli influenzati dall’introduzione del prodotto/servizio o responsabili del suo acquisto. Nella fase di raccolta e analisi dei requisiti uno dei suoi obiettivi è quello di individuare i bisogni degli utenti. Gli utenti non possono dire ciò di cui hanno bisogno per risolvere i loro problemi perché loro sono esperti delle proprie vite e non delle soluzioni. Dunque, per capire i loro bisogni, occorre studiare gli utenti, il modo in cui loro vivono. In particolare, focalizzandoci su uno specifico ambito di attività che è quello sul quale vogliamo intervenire dobbiamo capire quale sia l’obiettivo dell’utente, in che modo lo raggiunga in questo momento, quali sono informazioni che li servono, se è un’attività che svolge da solo o con altri, quali sono i problemi che incontra e infine come si potrà migliorare la sua esperienza. La seconda fase è dedicata alla generazione di alternative. Questa è una fase creative nella quale si propongono idee che possono rispondere ai requisiti individuati. La fase si suddivide in: una dedicata al design concettuale e una dedicata al design concreto. Nella fase del design concettuale, il progettista si concentra sulle funzionalità che devono essere offerte all’utente, sui concetti che sono necessari per descrivere la soluzione e sul tipo di informazioni che il prodotto e l’utente si scambieranno. Nella fase del design concreto ci si riferisce a una specifica tecnologia e si fanno sceglie di dettaglio. La caratteristica della fase della generazione di alternative è quella di essere una fase divergente, quindi una fase in cui la quantità prevale rispetto alla qualità. La terza fase è quella della prototipazione in cui occorre comunicare le idee sia agli altri progettisti, sia al cliente; occorre confrontarsi con gli utenti per capire se le idee sono valide. I prototipi sono una versione semplificata del prodotto che si vuole costruire. L’ultima fase è quella della valutazione nella quale si determina l’accettabilità e l’usabilità del prodotto/servizio progettato basandosi sugli obiettivi stabiliti all’inizio. METODOLOGIA: user-centered design Nel UCD il compito del progettista è quello di creare un prodotto che risponda ai bisogni dell’utente. Esistono due principali approcci di design: activity-centered design, systems design e genius designs. Questi diversi metodi si distinguono per gli elementi che pongono al centro. Nell’activity-centered design l’elemento guida è il comportamento degli utenti. Il system design prende una prospettiva ampia alla progettazione che si focalizza sul contesto in generale e permette anche di seguire il ciclo di vita del prodotto. Questo approccio è adatto soprattutto per problemi complessi. Il genius design è quello che si basa sulla creatività del singolo designer. Gli utenti non sono coinvolti durante tutto il processo ma possono essere chiamati in causa alla fine per validare le idee prodotto dal designer. Il metodo prevalente è l’UCD. L’UCD è una metodologia di progettazione iterativa che mette in primo piano i bisogni dell’utente. I prodotti sono sottoposti a valutazione in modo costante. L’esito della valutazione può portare a ripetere passi di progettazione e sviluppo. Il progettista non è l’utente; si deve evitare la proliferazione strisciante delle funzioni -> aggiungere troppo funzioni non fondamentali al prodotto e ciò potrebbe renderlo complicato da usare; si deve evitare l’adorazione di falsi idoli - > rendere molto complesso un prodotto può farlo sembrare sofisticato ma lo renderà anche difficile da usare. Gould e Lewis hanno formulato i tre principi dello UCD che sono: l’utente, la valutazione e l’iterazione. L’attenzione precoce agli utenti vuol dire che si deve fare attenzione, studiare gli utenti e le loro caratteristiche fisiche, cognitive, comportamentali, osservarli durante lo svolgimento dei loro compiti e coinvolgerli nel processo di progettazione. È utile coinvolgere gli utenti perché -> facendo dei confronti con l’utente ci assicuriamo che il prodotto che noi progettiamo risponda ai bisogni dell’utente; un altro aspetto è legato alla gestione delle aspettative realistiche quindi si evitano delusioni e l’utente ha modo di capire il funzionamento finale del prodotto; ultimo motivo è il coinvolgimento perché favorisce l’accettazione e il successo del prodotto. Gradi di coinvolgimento: membro del team (full-time o part-time), newsletters o altri sistemi di comunicazione, coinvolgimento dopo il rilascio del prodotto oppure mix di approcci. Le valutazioni sono utili sia per verificare in che misura il prodotto progettato aderisca agli obiettivi prestabiliti, sia per permetterci di scegliere tra diverse alternative. Iterare le fasi del processo di progettazione permette di migliorare il progetto. Il ciclo di vita del processo di Interaction Design -> schema che rappresenta una combinazione tra le fasi del processo di Interaction Design e la metodologia UCD. Lo schema inizia con la fase di raccolta e analisi dei requisiti dalla quale si procede verso la fase di generazione di alternative; dopo aver generato le alternative si passa direttamente alla fase di prototipazione ma magari nella fase di generazione di idee ci accorgiamo che sarebbe utile avere delle altre informazioni sull’utente/contesto/compito e si torna indietro sulla fase di raccolta e analisi dei requisiti e si cerca di soddisfare i bisogni informativi; dalla fase di prototipazione si può andare alla valutazione oppure tornare indietro e generare altre alternative. L’ultima fase, la fase di valutazione, si andrà verso il rilascio del prodotto finale ma probabilmente si tornerà indietro. INTERACTION DESIGN 3 La definizione dello spazio della soluzione si divide in 2 parti: la progettazione concettuale e la progettazione concreta. L’obiettivo della progettazione concettuale è definire un modello concettuale per la nostra soluzione, le eventuali metafore d’interfaccia utilizzate e i tipi di interazione. Il modello concettuale è una descrizione ad alto livello dell’organizzazione e del funzionamento del sistema. Questo modello si basa su metafore e analogie (browsing, bookmarking), i concetti che gli utenti devono conoscere (oggetti propri del dominio con attributi particolari -> salvare, organizzare, modificare), le relazioni tra i concetti e il mapping tra i concetti e l’esperienza utente supportata dal prodotto/servizio (). Capire come, perché si vuole progettare una soluzione permette di poter poi passare alla definizione dello spazio del progetto/soluzione. Quest’ultimo passaggio si concretizza nella definizione di un modello concettuale, ovvero una spiegazione del tipo di interazione, delle funzionalità e del comportamento ad alto livello della soluzione che si ha in mente. Questa espressione può essere espressa in vai modi a seconda delle preferenze e delle capacità del team di progettazione: ad esempio, attraverso semplici testi, attraverso dei diagrammi (UML), storyboard. Durante la fase di progettazione concettuale emergeranno anche una serie di assunzioni e affermazioni. I benefici della concettualizzazione sono la focalizzazione che permette ai componenti del team di interrogarsi attivamente sul modo in cui questo modello potrebbe essere compreso e utilizzato dall’utente; un secondo beneficio è relativo all’apertura mentale grazie alla quale si evita di fissarsi troppo su una soluzione specifica; l’ultima fase è quella di stabilire una lingua franca, ovvero stabilire una serie di termini e concetti comuni a tutta la squadra di progettazione. È importante chiedersi sempre in che modo l’utente interpreterà il modello concettuale proposto. Esempi di modelli concettuale -> desktop, foglio elettronico, web, lettura digitale. La metafora di interfaccia viene usata per progettare un progetto e questo significa che progettare quel prodotto in modo tale che riproduca sia nell’aspetto, sia nel comportamento un oggetto o un’attività del mondo fisico. Tuttavia, l’interfaccia del prodotto può anche avere in parte un aspetto e un comportamento propri che non corrispondono in modo stretto all’oggetto utilizzato come metafore (desktop -> scrivania di un ufficio -> computer). Le metafore sono utili perché permettono di spiegare facilmente il funzionamento di un nuovo sistema in termini di un sistema/prodotto che è già noto agli utenti. Le metafore servono a concettualizzare una certa attività (come, ad esempio, navigare sul web), istanziare un modello concettuale a livello di interfaccia (desktop -> presenza di icone che ricordano oggetti di un ufficio) e infine per rendere visibili delle operazioni. Le metafore di interfaccia hanno diversi benefici. Esse possono facilitare l’apprendimento di un nuovo prodotto/servizio aiutando l’utente a comprendere il modello concettuale. Questo può permettere a utenti non specializzati di interagire con un prodotto sofisticato. Inoltre, le metafore possono aiutare i progettisti ad essere più creativi e a generare idee più creative. Le metafore presentano anche dei limiti come, ad esempio, infrangere convenzioni e regole culturali (cestino sul desktop). Dall’altra parte possono porre dei limiti ai progettisti e agli utenti: i progettisti potrebbero attenersi in maniera troppo stretta alla metafora scelta e quindi non riuscire a trovare delle soluzioni più efficaci; dall’altra parte gli utenti possono essere costretti dalla metafora a comprendere il La percezione -> slide 17. La percezione è un processo cognitivo complicato che si intreccia con la memoria, l’attenzione e il linguaggio. Secondo l’esperimento di Weller -> slide 21. Alcuni studi ci mettono in guardia dall’abusare dello spazio bianco perché potrebbe rendere difficoltosa la ricerca di informazioni. La memoria è -> slide 25. La memoria è selettiva ovvero le informazioni vengono prima filtrate per selezionare cosa processare ulteriormente e quindi memorizzare e poter poi utilizzarla in un secondo momento. Questo processo di filtro è influenzato da diversi fattori. Nella prima fase della codifica si sceglie quali informazioni a cui effettivamente prestare attenzione e le si interpreta. Il modo in cui le informazioni sono codificate ha influenza sulla capacità di ricordarle in seguito. In particolare, è più facile ricordare informazioni quanto più si è prestata attenzione a quella informazione e quanto più la si è elaborata. Un altro elemento che influisce sulla nostra capacità di ricordare è il contesto in cui è avvenuta la codifica. Un altro elemento è il fatto che è più facile riconoscere che ricordare. -> slide 28 La memoria è influenzata dal tipo di informazione. -> slide 29 Secondo la teoria del numero magico sette più o meno due di Miller le persone possono ricordare nel breve termine un numero limitato di blocchi di informazioni, in particolare tra i 5 e i 9 blocchi di informazione. Per blocco di informazione si intende un insieme di oggetti come numeri, lettere o parole. Alcuni designer suggeriscono di limitare a 7 slide 32. Slide 33 -> nel nostro caso la teoria di Miller è applicata in modo inappropriato. Limitare il numero di opzioni può essere una buona strategia ma dipende da altri fattori come il tipo di compito e lo spazio disponibile. Slide 34 -> Uno dei problemi che si pongono al progettista di servizi digitali è quello di supportare l’utente nella ricerca dei contenuti tenendo conto delle sfide poste: da una parte, dall’enormità del numero di contenuti disponibili e dall’altra dei limiti della memoria dell’utente. La memoria coinvolge due processi: il ricordo (è molto preciso) e il riconoscimento (è più semplice). Un sistema di gestione delle risorse digitali potrebbe essere la combinazione di strumenti che si appoggino e ottimizzino entrambe queste due modalità della memoria. Ad esempio, combinare una ricerca precisa con una modalità che permetta di sfogliare le diverse opzioni -> box di ricerca + storico. Dall’altra parte, un altro accorgimento utile potrebbe essere, in fase di salvataggio dei documenti digitali, quello di permettere di annotarli in modo diverso: nomi, colori, flag, immagini, data, ecc. Slide 36. Slide 38 -> progettare interfacce che promuovono il riconoscimento piuttosto che il ricordo; fornire modalità diverse per codificare le informazioni in quanto questo può rendere più facile recuperarle. Slide 43, 44, 45. -> lezione 4 parte 2 (5 audio) I framework cognitivi permettono di spiegare e predire il comportamento degli utenti. Esistono 6 tipi di framework: 3 framework interni (modello mentale, modello dei golfi e modello del processore umano) che si basano principalmente sui processi mentali del singolo utente e altri 3 framework esterni che spiegano il comportamento dell’utente prendendo in considerazione il contesto in cui si svolge. Gli utenti comprendono il sistemo interagendo con esso; in particolare, si fanno un’idea di come utilizzare il sistema nella modalità di funzionamento normale per portare a termine i propri compiti e come intervenire nel caso in cui si verifichino delle situazioni inaspettate. Quest’idea di come funzioni un artefatto viene chiamata un modello mentale. Il modello mentale viene definito in psicologia cognitiva una sorta di rappresentazione interna di un qualche aspetto del mondo esterno che permette di fare delle previsioni. Un modello mentale può essere più o meno approfondito (come funzioni un computer). Slide 51-52-53 Qual è il problema nella costruzione dei modelli mentali? Gli utenti si costruiscono un modello mentale di un prodotto osservandolo e interagendoci. Un prodotto manifesta un modello su cui costruito, quindi il modello sulla cui base funziona attraverso il suo comportamento, attraverso la sua interfaccia, attraverso il modo di rispondere ai comandi degli utenti. Osservando tutti questi componenti gli utenti si creano un modello mentale del sistema. Un prodotto funziona in un certo modo perché è stato progettato dai designer sulla base di un loro modello mentale che corrisponde al modello concettuale. Il problema è il tramite tra il designer e l’utente, ovvero il sistema che non sempre è in grado di manifestare in modo corretto il modo in cui dovrebbe essere utilizzato. I modelli mentali ci danno una prospettiva diversa per comprendere i problemi di usabilità. Un secondo framework cognitivo è quello dei golfi dell’esecuzione e della valutazione che ha come autore Donald Norman. La parola golfo richiama la distanza tra l’utente e l’interfaccia; in particolare, il golfo dell’esecuzione che rappresenta la distanza tra l’utente e il sistema mentre il golfo della valutazione rappresenta il feedback, ovvero la distanza tra il sistema e l’utente. Il framework dei golfi ha l’obiettivo di sottolineare la distanza che può intercorrere tra il sistema e l’utente con l’obiettivo di stimolare i designer a ridurla. Il modello dei 7 stadi dell’azione di Norman si distingue in 7 punti: -> slide 56. Per superare il golfo dell’esecuzione -> ponte dell’esecuzione. Le ultime tre fasi del modello dei 7 stadi dell’azione costituiscono il ponte della valutazione, ovvero quei passaggi che, se ben costruiti, ci permettono di superare il golfo della valutazione e quindi di rendere più facile da interpretare il modo in cui il sistema comunica con l’utente. Slide 58. Un’analogia che paragona la menta a un processore di informazioni; secondo questo modello ci sono informazioni che entrano ed escono dalla nostra mente e vengono elaborate attraversando una serie di passaggi: di codifica, di confronto con informazioni che abbiamo già immagazzinate, di selezione di risposte e di esecuzione delle stesse. Sulla base di questa teoria sono state elaborati diversi modelli. Tra i modelli che si ispirano a questa teoria troviamo il modello del processore umano proposto da Card e colleghi. Questo modello si riferisce alla descrizione dei processi mentali di un utente che interagisce con un computer. Questi processi mentali vengono descritti attraverso la scomposizione in micro-azioni che possono essere di tipo percettivo, cognitivo oppure esecuzione pratica. Per ogni azione atomica individuata da questo modello è anche possibile definire il tempo di esecuzione. Il modello, perciò, consente di fare delle predizioni su due aspetti: da una parte permette di descrivere processi cognitivi coinvolti quando si deve interagire con un computer; dall’altra parte permette di fare previsioni rispetto al tempo di esecuzione qualora i compiti vengano eseguiti senza errori. Questo tipo di modello è stato utile quando si trattava di comparare delle soluzioni di interfaccia alternative e di scegliere la più efficiente. Il difetto di questo modello è che si basa sostanzialmente soltanto su attività mentali che accadono nella testa dell’utente. Per superare i limiti dei framework interni, sono stati proposti negli anni successivi dei framework esterni. Il primo framework cognitivo è quello della cognizione distribuita che riconosce come i processi cognitivi si appoggino e coinvolgano un certo numero di artefatti che possiamo considerare rappresentazioni esterne di una parte della conoscenza nonché anche altri individui. Studiare i processi cognitivi nei termini del framework della cognizione distribuita significa descrivere un sistema che coinvolge diversi individui, diversi artefatti e spiegare come l’informazione venga passata da un individuo ad un oggetto, da un oggetto ad un individuo e attraversi in questo processo diversi stati venendo continuamente rappresentata e re-rappresentata. Slide 65-66. Il framework della cognizione esterna si focalizza sullo studio dei processi cognitivi coinvolti quando vengono utilizzate delle rappresentazioni esterne della conoscenza, in particolare l’obiettivo è capire quali benefici apporti l’uso di queste rappresentazioni e in che modo si possano creare dei prodotti che supportino la cognizione. Particolarmente, le rappresentazioni esterne permettono di ottenere 3 macro- benefici: quello di ridurre il carico di memoria, di ridurre il carico computazionale e di esternalizzare parti di nostri processi di problem-solving annottando e tracciando. Slide 68-69-70. In generale, il framework della cognizione esterna ci dice che è utile offrire all’utente delle rappresentazioni esterne che riducano il carico di memoria, computazionale e gli permettano di annotare e tracciare in modo da riflettere le sue strategie di problem-solving. Il terzo framework è quello della cognizione “incarnata” introdotto da Dourish; questo framework studia l’interazione nei termini di un coinvolgimento pratico con gli aspetti fisici e sociali dell’ambiente. Slide 72. La prospettiva della cognizione incarnata ci spinge a considerare anche gli aspetti emotivi e il ruolo che ha il nostro corpo nel creare nuova conoscenza e nel rimediare il nostro rapporto con la tecnologia. INTERACTION DESIGN 7 SLIDE 9 -> Definire le domande significa 2 cose: decidere quali sono gli argomenti specifici su qui vogliamo porre delle domande e formulare la domanda. SLIDE 23 -> Creare un questionario non è così facile perché si deve porre attenzione sia alla formulazione delle domande (formulando domande correttamente siamo sicuri di ricevere risposte accurate), sia alla selezione dei campioni di utenti. Solo in questo caso i nostri dati saranno validi e affidabili; la validità si riferisce alla capacità dei dati di misurare effettivamente il tratto/ la caratteristica a cui sono associati. L’affidabilità si riferisce alla capacità di uno strumento di misurazione di riprodurre/riproporre gli stessi risultati in momenti diversi e contesti diversi. SLIDE 26 -> campione di convenienza (amici, famiglia, colleghi); INTERACTION DESIGN 8 Secondo LOMBROSO -> La creatività come un segno di degenerazione nelle persone geniali. The Arden House Conference -> creatività -> capacità di pensare in acque ancora non solcate senza essere influenzati dalle convenzioni imposte dalle pratiche precedenti. (libertà rispetto agli influssi precedenti, rispetto alle convenzioni) Secondo KEEP -> creatività -> intersezione di due idee per la prima volta. (le idee sono preesistenti) Secondo KRIS -> creatività -> è una regressione nel funzionamento dell’ego. -> deviazione dal comportamento normale (simile a Lombroso) Secondo ROGERS -> creatività -> come l’emergere di un nuovo prodotto relazionale che nasce dall’unicità dell’individuo. (focus sulla novità, focus sull’origine della creatività -> caratteristica personale) Secondo TORRANCE -> creatività come processo creativo viene scomposto in: difficoltà ->problemi, mancanza di informazione o di elementi; formulare ipotesi sulle difficoltà; testare le proprie ipotesi eventualmente andando a modificarle e quindi a testarle nuovamente; comunicare i risultati. Secondo MAYER -> creatività -> come ciò che succede quando qualcuno crea un prodotto originale e utile. BRAINSTORMING -> PENSIERO DIVERGENTE INTERACTION DESIGN 9-10-11 Per eseguire una valutazione euristica 1 o più esperti esaminano un’interfaccia facendosi guidare da una serie di principi di alto livello che sono le euristiche, e verificano se i diversi elementi che compongono l’interfaccia stessa (i menu, i manuali, le finestre, i dialoghi, ecc.) rispettino o meno queste euristiche. Le euristiche di Nielsen sono state anche modificate per adattarsi a nuove tecnologie, diverse dai siti web. Per sviluppare delle nuove euristiche o per adattare quelle originali a degli ambiti specifici, un ottimo modo è quello di integrarle con le linee guida di buon design o con dei risultati di nuove ricerche e analisi di marketing. Le linee guida di buon design esprimono dei suggerimenti su come dovrebbe essere progettata un’interfaccia; le euristiche assomigliano molto alle linee guida ma sono espresse in modo da rendere evidente ciò che si deve o non si deve fare per considerare un’interfaccia usabile. Una lista di euristiche, generalmente, dovrebbe contenere tra i 5 e i 10 punti/euristiche (meno di 5 punti non permettono di essere molto specifici nel rilevare i problemi, mentre più di 10 euristiche diventano difficili da ricordare, da maneggiare per il valutatore). Le euristiche di Nielsen nella loro ultima versione (2014) sono: 1) la visibilità dello stato del sistema (il sistema valutato dovrebbe sempre tenere informato l’utente su quello che sta succedendo utilizzando dei feedback appropriati che vengono restituiti in un tempo ragionevole) -> fa riferimento a due concetti (la visibilità e il feedback); 2) l’allineamento tra il sistema e il mondo reale (specifica che il sistema dovrebbe parlare il linguaggio dell’utente, ovvero utilizzare frase e concetti che siano familiari all’utente; l’informazione proposta dal sistema dovrebbe apparire in un ordine logico e naturale); 3) il controllo dell’utente e la libertà (l’utente dovrebbe essere libero di muoversi all’interno del sistema procedendo per prove d’errori; gli utenti dovrebbero avere sempre la possibilità di tornare indietro e di annullare le azioni commesse per sbaglio); 4) la consistenza e standard (gli utenti non dovrebbero chiedersi ogni volta se parole, azioni, situazioni significhino la stessa cosa ma questo dovrebbe essere chiaro da come è progettata l’interfaccia); 5) prevenzione degli errori (prevenire gli errori è importante rispetto a fornire semplicemente dei buoni messaggi d’errore; il consiglio è eliminare le condizioni che potrebbero portare ad un errore o vincolare l’utente chiedergli la conferma); 6) il riconoscimento piuttosto che il ricordo (minimizzare il carico sulla memoria dell’utente rendendo le opzioni, gli oggetti, le azioni facilmente visibili e riconoscibili; le istruzioni per utilizzare il sistema dovrebbero essere visibili e facilmente recuperabili); 7) la flessibilità e l’efficienza d’uso (punta a fornire diverse modalità d’utilizzo del sistema per gli utenti novizi e quelli esperti in modo che il sistema sia semplice per i novizi ma che gli esperti possano procedere in maniera più veloce ed efficiente in generale; il sistema dovrebbe fornire una serie di scorciatoie e tasti di scelta rapida che potranno essere ignorati dagli utenti novizi ma possono velocizzare l’interazione con gli utenti più esperti; il sistema dovrebbe permettere anche di personalizzare le azioni più frequenti); 8) estetica e design minimalista (l’interazione con il sistema non dovrebbe contenere informazioni irrilevanti o utilizzate raramente; i dettagli devono essere minimizzati; raggruppare gli oggetti in modo logico; evitare immagini decorative); 9) aiutare gli utenti a riconoscere, diagnosticare e recuperare quando si commettono errori (i messaggi d’errore non dovrebbero essere espressi attraverso dei codici che risultano magari incomprensibili agli utenti ma in linguaggio umano; dovrebbero identificare con precisione il problema e aiutare l’utente a trovare una soluzione); 10) aiuto e documentazione (fa riferimento al materiale di supporto). Le euristiche di Budd nel 2007 propose un’altra serie di euristiche - maggiormente focalizzate sui contenuti per cercare di tenere conto dell’evoluzione delle tecnologie anche in ambito web. Un altro motivo per cui
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