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Appunti di letteratura inglese 1, 2021-2022, Sbobinature di Letteratura Inglese

Appunti delle lezioni di letteratura inglese 1.

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

Caricato il 21/02/2023

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Scarica Appunti di letteratura inglese 1, 2021-2022 e più Sbobinature in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! Discorsi letterari: la realtà arte-fatta Informazioni utili sul corso Professoressa del corso: Savina Stevanato Le lezioni: - Inizio lezioni: 07/10/21. - Fine lezioni: 03/12/21. - Giovedì dalle 12:00 alle 14:00. - Venerdì dalle 10:00 alle 12:00. - Le lezioni vengono registrate e messe su teams per una settimana. Ricevimento docente: giovedì dalle 15:00 alle 17:00. Esame: - Sarà svolto in italiano (lo studente sceglierà poi se analizzare i testi in inglese o in italiano). - La sessione invernale ha due appelli (gennaio-febbraio). - La sessione estiva ha tre appelli (giugno-luglio). - La sessione autunnale ha due appelli (settembre). - Attenzione: l’esame si può provare una volta per sessione (eccetto la sessione estiva). - Per l’esame è importante sapere anche il contesto storico e la vita dell’autore. - Se sono utili per lo studente, si possono portare i testi all’esame. - L’esame potrebbe iniziare a partire da una citazione inglese (data dall’insegnate). Testi da prendere (bibliografia primaria): - “The tempest” - Shakespeare. - “Gulliver’s travels” – Jonathan Swift. - “Kubla kan” - Samuel Taylor Coleridge. - “To the lighthouse” – Virginia Woolf. Testi di critica (bibliografia secondaria-fornita dalla docente): - “Breve storia della letteratura inglese” – Paolo Bertinetti. - Di tutte le opere vanno lette le introduzioni, note introduttive e postfazioni. - Parte del capitolo “Drammi romanzeschi” di Giorgio Melchiori (saggio per Shakespeare). - “Ragione e corpo nei primi tre viaggi di Gulliver” di Giuseppe Sertoli (saggio per Swift). - “Il clima filosofico” di Marcello Pagnini (saggio per Coleridge). - “Il calzerotto marrone” di Erich Auerbach (saggio per Woolf). Letteratura inglese 1 jurj Lezione 08/10/21 Il termine “arte” viene dal latino ars, artis. Viene considerata come abilità materiale o spirituale mirata alla progettazione o alla costruzione di qualchecosa. Il senso della parola coincide o comunque richiama in qualche modo il termine greco tékhne, che è appunto tecnica. Dunque, nel concetto di arte c’è anche tecnica (c’è bisogno di lavoro in qualche modo), e non solo il concetto di immediatezza. Ci sono due sensi della parola arte: Oggi in particolare con questo termine si fa riferimento a questa manifestazione molto alta che caratterizza l’essere umano e che include la capacità di manifestare ed esprimere delle capacità espressive e creative che differenziano l’essere umano da tutte le altre creature. Anche la poesia, che può essere considerata come una cosa molto immediata, come un prodotto spontaneo dell’emozione e dell’anima, etimologicamente (dal latino poesis, risalente al greco poiesis, derivato di poieo, “faccio, produco”) ha in sé l’idea della produzione del fare, perciò anche la poesia è riconducibile a livello etimologico ad una tecnica. Dunque, quando si parla di arte si deve tener conto di due componenti: 1. Da un lato la parte intuitiva, personale, emotiva dell’autore. Arte Il primo senso è abbastanza generico e ampio e implica la capacità di produrre o anche di agire, che si basa su un insieme di norme, di tecniche e di regole (es: arte del medico, del fabbro, del musicista ecc.). In questo senso l’arte viene spesso contrapposta alla natura. La natura è un qualcosa di spontaneo, immediato, innato, l’arte invece è un qualche cosa di studiato, di lavorato (ritorniamo dunque al concetto di tecnica). Quando diciamo fatto ad arte, intendiamo “fatto seguendo un’abilità, una norma, una regola tecnica. Il secondo senso (un po’ più recente) implica la creazione di prodotti di cultura. Anche la cultura è arte-fatta, non vi è nulla di innato poiché viene creata dall’uomo. È un sistema che viene sovrapposto. In questo senso l’arte fa riferimento sia all’attività artistica, sia al prodotto, ossia all’opera artistica. Quando parliamo di cultura, parliamo di forme d’arte che conosciamo di più: - L’arte plastico-visiva (la pittura e la scultura). - L’arte verbale (la letteratura). - Arte musicale (la musica). Tutte e tre le frasi sono del ‘900, epoca in cui ci si ribella in tantissimi sensi e le arti cercano di comunicare le une con le altre. Queste deviazioni le ritroviamo anche nelle altre forme d’arte: La prima mostra, che nel 1910 si tenne a Londra con quadri degli impressionisti e post- impressionisti, ebbe delle recensioni terribili nei giornali. Si parlava di opere pornografiche da bruciare. Questo perché artisti come Picasso, che sconvolgono i volti e eliminano del tutto la prospettiva, sconvolgono e non permettono di interpretare con molta facilità. Di fronte a una deviazione eccessiva, che non si riesce ad interpretare, si ha una sensazione di disgusto, di allontanamento. Una caratteristica del testo letterario, e dell’arte in generale, è la deviazione, che si basa su due concetti: - Defamilirazation: de familiarizzazione. - Foregrounding: portare in primo piano qualcosa, focalizzare l’attenzione su qualcosa. Sono due concetti riconducibili a due studiosi Shefki e Mukarovsky. Loro sono parte di due gruppi molto importanti: i formalisti russi e linguisti di Praga, che dai primi anni del ‘900 fino agli anni 30 a Mosca, Pietroburgo e Praga, si trovavano per discutere su che cosa fosse l’arte. Nel tentativo di capire cosa fosse l’arte, dicono che l’arte rinnova la percezione del fruitore. Si mette il fruitore di fronte a una difficoltà, si devia da qualchecosa che questo si aspetta, e l’interlocutore per capire deve in qualche modo rimettere in moto il proprio senso critico, la propria capacità di mettere in relazione le cose per arrivare ad una comprensione, che non è oggettiva e neanche stabile. Man Ray, Le violon d’Ingres, 1924. Duchamp, Nudo che scende le scale, 1912 Duchamp, Fontana, 1917. La letteratura, nella sua generalità, è un insieme di opere (una sorta di ecosistema). Questo sistema è caratterizzato da due dimensioni: 1. Una dimensione cronologica/diacronica: cioè che si sviluppa nel tempo. Tutte le opere della letteratura occidentale si susseguono una di seguito all’altra. 2. Un’altra dimensione è quella sincronica/simultaneità: T.S. Eliot afferma che lo scrittore deve avere un hostorical sense che è doppio e sembra quasi un paradosso ma non lo è. Lo scrittore che ha un reale senso storico ha un senso di quello che temporale, cioè cronologico, e al tempo stesso ha un senso di quello che non è temporale, quello che è timeless. Sempre Eliot afferma che uno scrittore vero deve avere una percezione profonda dell’intero sistema della letteratura europea da Omero fino ai giorni nostri, e all’interno di questo deve avere anche la percezione profonda dell’intero sistema della letteratura che appartiene alla sua cultura. Questa percezione profonda deve avere all’interno della percezione della mente del poeta un’esistenza simultanea e deve comporre a simultaneous order. Ciò significa che nel momento in cui egli scrive ha in mente l’intero sistema della letteratura da Omero fino ai giorni in cui scrive. – “Traditional and the individual talent”, 1919 In tal modo non solo il passato influenza il presente, ma anche viceversa. Ciò significa che appena un testo nuovo entra a far parte del sistema, questo ne viene influenzato. Ad esempio, gli scritti di Eliot influenza il mio modo di recepire i testi di Omero. Il testo: può anche non essere un testo di scrittura. Ad esempio, esiste il testo filmico, il testo musicale ecc. Il testo è un prodotto artistico che si basa su un sistema segnico. Il testo letterario è caratterizzato da due dimensioni: Testo letterario Dimensione esterna Si articola in tre parti: 1. Quella che lo contiene. Il testo letterario è contenuto all’interno di un contesto storico-socioculturale. 2. Quella che lo crea. Il testo è creato dall’autore, che è un uomo che sperimenta la vita, che interpreta quella vita e poi la rappresenta nelle proprie opere d’arte. 3. Quella che lo fruisce, ossia il lettore. Il lettore è una sorta di controparte dell’autore, perché quando questo scrive il testo, lo fa con una prospettiva che da un lato deve far riferimento al suo contesto storico culturale, dall’altro lato l’autore ci mette anche del suo, sé stesso come individuo. Stessa cosa vale per il lettore. Se il lettore vive durante l’epoca dello scrittore, condividerà con questo lo stesso contesto storico culturale e poi sarà un individuo che leggerà quel testo in base alle proprie propensioni. Vi è poi il lettore che ha un altro contesto storico rispetto allo scrittore, ma che legge sempre ina base alle proprie propensioni. Il contenuto: - Può essere qualsiasi cosa, si può parlare della realtà oppure si potrebbe inventare tutto ecc. Dunque, è caratterizzato dalle varietà e dalla molteplicità. - Implica la prospettiva dell’autore, perché è lui che ne parla. - Implica il processo interpretativo da parte del lettore. La forma si compone di due aspetti: - Aspetto spaziale: il testo cartaceo ha una forma spaziale simultanea, cioè è un oggetto che esiste simultaneamente in quel momento tutto intero. Il libro occupa uno spazio e ha un aspetto grafico di scrittura che è spaziale, che occupa lo spazio di scrittura nella pagina. - Aspetto temporale: è fondamentale e più caratteristico. L’arte verbale è caratterizzata dal fatto che si svolge nel tempo; dunque, è un’arte temporale (ci impiego del tempo per capire la fine, mentre per un’arte simultanea, ad esempio se si ha davanti un quadro, la fruizione è simultanea, mentre non fruisco del testo letterario in maniera simultanea). La letteratura è un’arte verbale, perché utilizza le parole. La comunicazione letteraria, però, è chiaro che si differenzia dalla comunicazione ordinaria. Comunicazione verbale ordinaria: De Saussure studia il segno linguistico. Egli afferma che il segno linguistico è la parola. Una parola in quanto segno implica qualche cosa che è altro da sé. Es: orologio=la parola non coincide con l’orologio. La parola è un simbolo di un referente, che non coincide con sé stessa. Secondo de Saussure, il segno linguistico si compone di due parti: 1. Significante: è la parte fonetica del segno, quella materiale, che si sente/si scrive. 2. Significato: è il referente, ossia la cosa/il concetto al quale la parola fa riferimento. Il referente può essere concreto (cane, orologio ecc.) oppure può essere astratto (felicità). Dimensione interna Questa si compone di: 1. Il ì contenuto: è quello che di solito si scambia per l’unica parte del testo letterario. Il contenuto è in realtà di che cosa si parla. Vi è poi anche… 2. …la forma: cioè come sono organizzate le parole, i segni verbali che l’autore usa per veicolare quel contenuto. Le due componenti stanno in strettissima relazione, tant’è che la forma può a volte confermare il contenuto o invece smentirlo. Le due parti non possono essere disgiunte, il contenuto è sempre vicino alla forma, e la forma è la cosa principale che veicola quel contenuto. Un testo letterario è caratterizzato da un alto livello di connotazione (come il lettore interpreta il testo letterario), che è tutto quel significato in più che va al di là, che non esclude la denotazione, che rimane l’elemento base, ma si sovrappone e interagisce con questa. Questo crea ipersignificazione: cioè un testo letterario è un concentrato di significati, ha tantissimi significati che non sono esauribili. Il testo è sempre pronto a nuove vie interpretative. Il testo letterario ha bisogno di strumenti teorici e anche di metodologie (di analisi). Questi strumenti teorici sono dati dalla teoria della letteratura e dalla critica letteraria. Teoria della letteratura: è lo studio del che cosa sia la letteratura e parte da molto dietro (in particolare da Aristotele, che fa il primo tentativo di analisi dell’arte). La critica letteraria: è tutto quell’insieme di teorie, filoni critici, metodologie, ecc., che ci danno un aiuto per valutare, per capire cos’è un testo letterario e sono però anche dei filtri di lettura. ALCUNE TEORIE CRITICHE: - Formalismo. - Strutturalismo. - New Criticism. - New Historicism. - Post-strutturalismo. - Teorie reader-oriented. - Critica psicanalitica. - Teorie marxiste. - Cultural studies. - Teorie femministe. - Gay, lesbian, and queer theories. - Ecocriticism. Sono tutti modi per approcciare il testo e cercare di capirlo e valutarlo. *Dicono che il significato di un testo sta dentro al testo, non si ha bisogno né del contesto storico, né del contesto autobiografico. Il che significa che il testo è autoreferenziale, fa cioè riferimento solo a sé stesso. Questi critici fanno una lettura della forma del testo molto dettagliata, analizzano la forma sintattica, metrica, fonetica, ritmica, delle immagini, analizzano dunque tutti i livelli testuali. Dicono che l’ipersignificazione è una cosa che dipende solo dalla struttura del testo. Sono sempre loro che dicono che la deviazione è una caratteristica fondamentale del testo letterario. *Nel New Historicism c’è Greenblatt che studia le opere di Shakespeare e cerca di capire i funzionamenti dei drammi shakespeariani, cercando di capire qual era ruolo sociale-culturale del teatro nell’epoca shakespeariana. Egli aggancia dunque i testi al loro contesto storico-culturale. Le teorie readere-oriented: dicono che il testo è un oggetto che è fruito da un’altra parte esterna, ossia il lettore. Perciò spostano il focus fuori dal testo, e in particolare sulla recezione/sul lettore. Pongono l’accento sul testo e sulla sua forma. Qui abbiamo Jacobson, De Saussure, Todorof. New Criticism è più recente e Livees ne è il critico più importante. * Questi critici, in maniera totalmente diversa tra di loro, sono interessati al contesto; dunque, in che relazione sta il contenuto del testo (anche la forma a volte) con il suo contesto. Non credono più che tutto il significato lo si recupera dal testo in sé, ma cercano fuori. * Post-strutturalismo: Bart, Chris Eva, Lacan, Derrida. Loro arrivano a dire che l’autore è morto, tutto è nelle mani del lettore che costruisce, ricostruisce e disfa il testo, ma al tempo stesso guardano al testo. Critica psicanalitica: leggo il testo pensando soprattutto all’aspetto biografico di chi l’ha scritto, o leggo nei personaggi la storia dell’autore. Teorie marxiste: si riagganciano al contesto storico, perché per queste teorie la letteratura non ha valore di per sé, ma rielabora in qualche modo ed esprime delle strutture socioeconomiche profonde. Non sono per nulla interessati alla forma del testo. Le ultime teorie dell’elenco sono tutti critici che si interessano delle minoranze, cioè si domandano quale ruolo abbiano le minoranze nella letteratura. Ecocriticism: filone critico che indaga quelle che sono le tematiche a livello di eco critica nei testi, e scova l’amore per la natura, il rispetto per l’integrazione, il senso ecosistemico delle cose. Vanno anche indietro, prendono anche testi che non sono solo attuali. Le teorie della critica letteraria sono importanti perché si occupano dell’intero sistema letterario, oltre che dei singoli testi, dello specifico funzionamento che ha il testo, dell’uso della lingua. Si occupano di aspetti sia intra (che stanno all’interno del testo) sua extra (che stanno fuori dal testo). Quello che compare studiando i testi così è la loro natura polisemica (cioè che ha molti significati), polimorfa (che ha molte forme) e pluridirezionale (può prendere varie direzioni). Le teorie letterarie rappresentano una sorta di pluralità paradigmi interpretativi. Lezione 14/10/21 Le tre marco-tipologie sono: 1. Prosa. 2. Poesia. 3. Teatro (può essere definito anche come dramma). Queste tre macro-tipologie hanno dei sottogeneri. Ad esempio, il romanzo può essere fantascientifico, distopico, storico, rosa, epistolare, romanzo di viaggio ecc. All’interno della prosa abbiamo però poi anche il racconto, favole, aforismo, forme di narratività multimediale. La poesia può essere invece epica, lirico-amorosa ecc. I tre generi fondamentali del teatro sono: tragedia, commedia e tragicommedia. Il teatro è un genere di per sé molto ibrido, non ha solo il codice verbale, ma anche il sistema prossemico (del movimento, perciò del corpo), e può anche avere il sistema musicale. Le tre marco-tipologie dei generi letterari Ognuno di questi macro-generi ha una propria grammatica, con delle regole specifiche. Ogni autore ha a disposizione tantissima libertà nella scelta che fa rispetto a ciò che scrive, può rispettare, trasgredire oppure combinare le varie norme a cui fa riferimento: - Ad esempio, se si scrive un romanzo poliziesco, questo deve avere delle regole ben precise, solitamente c’è un colpevole, qualcuno che gli dà la caccia e una dinamica per la scoperta del colpevole (che può essere variamente gestita dall’autore). L’autore può scegliere dunque qui se rispettare, trasgredire o combinare queste regole. - Ci sono anche scelte di tipo narratologico, ossia come l’autore racconta la storia rispetto a come è realmente avvenuta (cioè che cosa lascia della storia, che cosa amplifica, che punto di vista sceglie, uno o tanti). - Si fanno anche scelte linguistiche, ad esempio l’autore può scegliere di usare un solo codice linguistico oppure potrebbe anche scegliere di usare più codici (l’autore può usare anche il codice visivo, ad esempio dando una forma alle parole della poesia). - L’autore ha tantissime possibilità di scelte. Dipende anche se un testo è ideato solo per la forma cartacea, oppure anche per la performance (per la rappresentazione teatrale), o per la rete. Si può avere un testo che ha una fine, ma anche uno che non ce l’ha (es: Calvino che spesso lascia al lettore la scelta della fine). - Vi è la scelta del lessico, si possono usare ad esempio le parole dialettali o parole specifiche (di un certo linguaggio). - Ci sono anche le scelte morfo-sintattiche, cioè che riguardano la grammatica. L'autore può scegliere di utilizzare devianze fonologiche, per ottenere la rima, le assonanze, le consonanze ecc. "Suspension of disbelief"- Coleridge, Biografia Literaria, 1817. Ogni volta che noi lettori leggiamo qualcosa la mettiamo in atto, nel senso che non possiamo sempre essere troppo critici, ma dobbiamo fidarci e affidarci alla voce che narra (l’io poetico o il narratore di un romanzo). Non attuiamo una sospensione totale della logica, però ci lasciamo guidare da chi narra. Questa “suspension of disbelief” è valida per tutti i tipi di testi letterari, perché tutti i testi implicano una manipolazione in qualche modo, una finzione che viene messa in atto. Il lettore che legge fa dunque sempre un atto di fiducia, prima nei confronti dell’autore e poi delle istanze narrative che questo mette in campo. Ci sono narratori che giocano molto proprio sulla fiducia del lettore. La forma principale della prosa è il romanzo, anche se la prosa include anche racconti, diari ecc. La differenza principale tra la prosa tradizionale prosa e poesia, è che la prosa manca di regole o schemi di tipo ad esempio rimico, prosodico (del metro, del ritmo), fonologico, ecc. Il romanzo si differenzia anche per la lunghezza rispetto ad altre forme di narrativa, come la novella, la favola ecc. Anche molta della multimedialità letterale è solitamente breve. La prosa Secondo gli studi della narratologia tradizionale il testo narrativo include due ordini temporali: • Storia/fabula/story: è un elemento astratto. È la sequenza naturale cronologica degli eventi che un romanzo narra. • Discorso/intreccio/plot: è un elemento concreto. La storia cronologica all'interno di un romanzo prende una sua forma concreta che è diversa dalla storia reale, vengono manomessi degli eventi all'interno di un romanzo. È l'organizzazione dei fatti e degli eventi così come l'autore la organizza tramite (solitamente) un narratore. "Gli eventi della storia vengono trasformati in intreccio dal discorso". Storia e discorso possono naturalmente non coincidere, ad esempio se si usano dei flashback o dei flashforward. TS: tempo della storia. TD: il tempo del discorso è sia la manipolazione del tempo della storia, sia il tempo in cui l'autore narra storia (tempo della scrittura). Ordine e durata degli eventi. Caratterizzano sia il piano della storia sia il piano del discorso, e possono, o meno, coincidere con questi piani. Ordine: successione degli eventi, come avvengono le cose. Nella storia è per forza cronologico. Nel discorso può essere manipolato: - Esempio: il narratore presenta gli eventi così come sono accaduti. - Esempio: il narratore può utilizzare delle analessi oppure delle prolessi. - Esempio: il narratore può cominciare la storia in media res. La durata: è l'ampiezza temporale che gli eventi occupano. Anche qui il narratore è libero di modificare, può restringere o prolungare la durata degli eventi rispetto a quella che è la loro effettiva ampiezza. Ad esempio, il narratore può soffermarsi a descrivere il luogo della narrazione o qualche altro dettaglio (allungando così l’ampiezza della durata). Ci sono a questo punto delle relazioni tra la durata degli eventi nella storia (ts) e la durata degli eventi nel discorso (td). Critico francese Janet, negli anni 80, individua 5 declinazioni diverse, a seconda che vi sia un rallentamento, un equilibrio o un’accelerazione (sono tre modalità di durata). All’interno di queste declinazioni, incontriamo delle sotto declinazioni: - Il rallentamento può essere una pausa o una estensione/analisi. La pausa è quando il tempo della storia è fermo (cronologicamente non succede niente) e il narratore invece va avanti a parlare/narrare perché commenta o descrive (un elemento di quell’evento). Il tempo della storia è pari a zero, invece il tempo che il narratore impiega a descrivere va avanti. Altri elementi fondamentali di un testo narrativo Concetti di ordine e di durata Estensione: il tempo della storia è più breve di quello del discorso (o viceversa). Poco tempo impiega molte pagine a essere raccontato. Ad esempio, uno stesso evento raccontato più volte, magari da personaggi diversi. - L’equilibrio ha una solo sotto declinazione, che è la scena. Scena: qui è quando i tempi in realtà sono uguali. Accade quando il narratore usa il dialogo, riporta cioè paro paro ciò che dicono i personaggi. Il teatro è pieno di questi elementi. - L’accelerazione, invece, può essere un riassunto/sommario oppure un’ellissi. Riassunto: qui il tempo del discorso è più breve di quello della storia (o viceversa). Esempio: “Giovanni ha studiato a Roma per due anni, e poi è andato a Parigi”. I due anni qui vengono riassunti e il narratore comincia direttamente a raccontare gli eventi di Parigi. Ellissi: è quando il tempo del discorso, perciò della narrazione, corrisponde a zero (si ferma) e il tempo della storia in realtà continua a passare. Il discorso tace quello che invece nella storia sta continuando. Esempio: “Alle 4 uscì di casa e alle 6 incontrai Giovanni” - si lascia qui un buco nella narrazione. Quelle 2 ore il discorso le elimina. Il discorso/narrazione/plot dunque può essere: - Del tutto coincidente con la storia. - Parzialmente coincidente con la storia. - Per nulla coincidente con la storia. Tutto questo proprio perché la voce che narra è in grado di fare delle scelte e manipola quello che è la storia a suo piacimento con alle spalle l’intenzione dell’autore. Il narratore/la voce narrante: è l’istanza narrativa che narra, è il punto di vista ed è la mediazione (filtro). Ciò significa che c'è sempre qualcosa da raccontare, c’è sempre qualcuno che la narra, tramite un filtro. Quando qualcuno narra qualcosa c’è sempre un’interpretazione che passa sotto. La narrazione, dunque, implica sempre un filtro. Lo statuto del narratore, in base al suo livello narrativo, può essere: • Esterno: extradiegetico. È completamente esterno alla storia. • Interno: intradiegetico. È un personaggio della storia o un partecipante agli eventi della storia. In base al rapporto che il narratore ha con la storia, si può definire come: • Eterodiegetico: è esterno, non è un personaggio. È assente dalla storia. • Omodiegetico: interno alla storia, spesso è un personaggio. Questo si differenzia anche in: ➢ Autodiegetico: è quello che parla di sé, interno alla storia. È un personaggio che riferisce di sé. ➢ Aliodiegetico: è interno alla storia, ma ha un ruolo secondario, può essere solo un testimone/osservatore. • Onnisciente: esterno, sa tutto, ogni parola, fatto, pensiero di ogni personaggio. Per questo motivo questo narratore può essere solo extradiegetico. È un narratore molto rassicurante, Il narratore che caratterizza, ad esempio, la narrativa dell’800. È un narratore che conduce per mano il lettore. Sono tutte strategie che mette in atto il narratore, e il lettore deve crederci, deve dare fiducia a tutto quello che gli viene posto, nel modo in cui gli viene posto (torna qui il concetto di suspension of dibelief). Voce: chi narra/chi enuncia. Riguarda l'entità alla quale vanno attribuiti gli enunciati narrativi. Focalizzazione/punto di vista: riguarda in qualche modo chi all’interno o all’esterno della storia dà qualche giudizio, filtra in qualche modo gli eventi narrati. È la prospettiva da cui si enuncia qualcosa. È il punto di vista del narratore. Il narratore può avere vari punti di vista. Egli può saper tutto (essere onnisciente), oppure può entrare nella testa di un solo personaggio (dando un solo punto di vista), può slittare nella testa di vari personaggi (dando più punti di vista). La focalizzazione può essere: • Focalizzazione zero: il narratore ne sa più del/dei personaggi/o. ad esempio un narratore onnisciente come Manzoni. • Focalizzazione interna: il narratore dice solo quello che sa il personaggio di cui adotta il punto di vista. Mattia Pascal è un esempio di questa focalizzazione. • Focalizzazione esterna: quando il narratore dice meno di quanto ne sa il personaggio. Cioè quando il narratore cerca di essere molto, in qualche modo, oggettivo. Ad esempio: Verga che cerca di fare un racconto il più possibile oggettivo e spesso si limita a trascrivere i dialoghi, non dando neanche il punto di vista del personaggio. È una focalizzazione che può essere molto limitata. Janet dà molta importanza alle categorie di tempo e di spazio. Dice che sono due coordinate fondamentali della narrazione. Il tempo poiché si narrano eventi che si sviluppano a livello temporale, e lo spazio poiché permette di ampliare la narrazione (lo spazio inteso come tutto ciò che porta via esistenza al tempo, perché si concentra su altro che non sia tempo). A questo proposito Janet sviluppa due concetti importanti, che sono due modalità narrative: • Diegesi/telling: il narratore si palesa, è abbastanza esplicito (modalità narrativa diegetica). Mette in rilievo la sua funzione di narratore. • Mimesi/showing: narratore tende a nascondersi, lascia che a parlare siano i fatti, implicito (modalità narrativa drammatica). Il narratore lascia che a parlare siano i fatti. Nella mimesi ci sarà un grado più elevato di informazione che ci viene data e un grado minore dell’informatore, perché il narratore si nasconde. La mimesi per questo viene usata come canone della narrazione impersonale. Se si ha un dialogo, siamo in presenza di mimesi. Dunque, il teatro è una cosa molto più mimetica. Es: "Luigi, che era molto sensibile, non sopportò la visione dell'animale ferito". Qui è più presente il narratore. "Alla vista dell'animale ferito, Luigi chiuse gli occhi e si mise una mano sulla fronte". Metanarrazione: Funzione meta poetica: è una funzione tramite la quale mi concentro sul messaggio, cioè è il messaggio che si concentra su sé stesso. Focalizzazione In questa frase oltre ad avere un’assonanza, troviamo anche un’equivalenza sintattico- grammaticale (tra i soggetti e i verbi). Il ritmo è l’elemento naturale di una lingua. Si base su due elementi fondamentali: - Accenti forti e deboli. - Sillabe. Il metro prende il ritmo e lo rende struttura/schema in qualche modo. Lo sistematizza organizzando quelle sillabe e quegli accenti in degli schemi di ripetizioni e di variazioni regolari. Qui naturalmente facciamo riferimento alla metrica tradizionale. Nell’inglese, diversamente dalle lingue romanze, l’elemento fondamentale è l’accento. Mentre per le lingue romanze, come l’italiano e il francese, l’elemento principale è la sillaba per dare ritmo alla lingua. Stress-timed: lingua accentuativa. Syllable-timed: lingua sillabica. In italiano abbiamo maggiore regolarità, perché abbiamo un numero regolare di sillabe. L’inglese invece ha la regolarità quando ha un numero regolare di accenti. A seconda della lingua di cui parliamo abbiamo 3 diverse tipologie di metro: - Metro accentuativo: tipico della poesia inglese arcaica (old english). - Metro sillabico: tipico delle lingue romanze che derivano direttamente dal latino. - Metro accentuativo-sillabico: mette insieme i due criteri. È quello della poesia inglese da Chaucer in poi. Metro accentuativo tutt’oggi caratterizza filastrocche, canzoncine ecc. Ogni verso è una serie di unità, in cui si alternano accenti deboli e forti. Questa unità si chiama “foot” o “piede” in italiano. La ripetizione di vari piedi per ogni verso è già metrica. Quattro principali tipi di piedi per il verso inglese tradizionale sono: - Giambo X/ (x indica dove non c’è l’accento o c’è un accento debole, invece / indica dove cade l’accento di parola). Il giambo è una parola che mette insieme un accento debole e un accento forte. Ad esempio, la parola papà. - Trocheo /X. Qui l’accento casca sulla prima sillaba. Ad esempio, nella parola papa. - Anapesto XX/. Anapesto inizia come il giambo, ma aggiunge un ulteriore sillaba non accentata e finisce con una sillaba accentata. - Dattilo /XX. È il contrario dell’anapesto. La prima sillaba è accentata e le altre due no. Shakespeare spesso usa il pentametro giambico, vuol dire cioè che ci sono 5 piedi che sono giambi. Come fare la scansione metrica: Può essere utile ricordare parole italiane semplici e poi ripeterle. Ad esempio: - Pa-pà e Be-hind (prima sillaba non accentata, seconda sillaba accentata). Il ritmo e la metrica - Pa-pa e Mo-ther (prima sillaba accentata, la seconda non accentata). Ritmo giambico: - È una successione di unità che alternano un accento debole (X) ad un accento forte (/). - Pentametro giambico regolare: è una successione di 5 piedi che ha 5 accenti forti in tutta la frase. Solitamente sono versi di 10 sillabe (a volte anche 11), suddivise in 5 piedi che sono tutti giambici. Esempio: “The | ploughman | homeward | plods his | weary | way” A volte i poeti per vivacizzare inseriscono un verso in cui fanno un’inversione trocaica, in cui la prima parola diventa accentata (spesso si usa per non annoiare il pubblico al teatro). Ritmo trocaico: - È il contrario di quello giambico. - È un’alternanza di una sequenza fatta da un accento forte (/) e un accento debole (X). Esempio: “These delights if thou canst give”. “Mirth with thee I mean to live”. Blank verse: - È il pentametro giambico che non ha rime. - Per esempio, Milton in “Paradise lost” usa il pentametro giambico senza rime, che dà un senso di maggiore naturalezza. “Hell hath no limits, nor is circumscrib’d In one self place; for where we are is hell, And where hell is there must we ever be”. - In inglese è molto più difficile riuscire a fare rima, perché ci sono molte meno terminazioni vocaliche (rispetto all’italiano). Ulteriori informazioni: - Giambo e anapesto, che iniziano con accento debole, sono chiamati rising rhytms (cioè che vanno verso su, perché l’accento sta dopo). - Trocheo e dattilo sono chiamati invece falling rhytms. - Esempio: “I kissed thee ere I killed thee”- Shakespeare. Ci sono qui molte analogie, si richiamano k e k, sono messe vicine due parole totalmente diverse tra loro, ecc. - Esempio: “The fair breeze blew, the white flew, The furrow followed free, We were the first that ever burst Into that silent sea”. Qui ci sono molte s (cioè consonanti sorde, suoni in cui l’aria viene bloccata), in un momento in cui il testo sta parlando di assenza di movimento, assenza di acqua, di aria che circoli. Jakobson “La funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione” - R. Jakobson. Per comporre una frase lineare/concreta/successiva (asse sintagmatico è un asse orizzontale) bisogna fare un percorso astratto nell’asse paradigmatico in cui scelgo tra varie opzioni, che stanno al di sotto della mia scelta finale come in filigrana tutte quante. Ad esempio, nella frase “Il bimbo è buono” ho molte possibilità. Bimbo lo posso sostituire con fanciullo, neonato, bambino ecc. Essere si può sostituire con risultare comportarsi. Buono può essere sostituito con tranquillo, sereno, ubbidiente. La funzione poetica proietta quel principio di equivalenza, che tiene insieme tutte le mie opzioni, dalla selezione, perché caratterizza l’aspetto della selezione, alla combinazione. Laddove si crea una rima tra “cuore” e “amore”, si crea un’equivalenza in presenza nella combinazione. Una rima, un’allitterazione è un’equivalenza. Il teatro viene definito come un ipermedium concreto (perché si ha una performance in live). Internet, invece, è definito come ipermedium virtuale. Ipermedium perché è un genere ibrido e ha tantissime componenti. Si basa sulla componente primaria che è il codice verbale, però ha anche il codice della prossemica (cioè del movimento, dell’avvicinamento fisico tra personaggi), il codice visivo e il codice musicale. Il teatro è un insieme di diegesi e mimesi. La mimesi esiste ed è il dialogo vero e proprio, perché si riporta mimeticamente ciò che succede. La diegesi c’è quando non viene riportato un dialogo. Sono cioè i momenti di narrazione, ad esempio il coro che narra l’antefatto. O ad esempio, nella “Tempesta”, Prospero, durante il momento di protesi, narra a Miranda l’antefatto perché lei non si ricorda come sono finiti sull’isola. Diegesi e mimesi insieme compongono quella che è la verbalizzazione, ossia l’aspetto verbale del teatro. Ci sono poi diversi modi di verbalizzazione: - Dialogo. - Soliloquio (personaggio da solo sul palco). - Monologo (ci sono altri personaggi ma lo speaker li ignora). - Aside (“a parte” - fungono da commento). - Stage directions (didascalie/indicazioni sceniche). Il teatro perciò e molto vario. Si compone di tante componenti anche all’interno della stessa componente verbale. Ogni testo teatrale è sempre estremamente aperto e complesso, più dei testi scritti, perché ha anche la performance che cambia spesso il testo scritto. Teatro superiore può rappresentare la terra, e i pochi personaggi avranno una valenza fissa (non è ancora un teatro effettivo con tutti i movimenti). Spazi circolari fissi (poi diventerà il teatro effettivo): qui potendo ampliare lo spazio, c'è anche la possibilità di una maggiore azione. ➢ Morality plays (XIV-XV sec.). Sono delle rappresentazioni un po’ più complesse, a scena spesso fissa. Sono dei drammi allegorici a scopo didattico e anche edificante. I personaggi non sono dei personaggi veri e propri, ma sono più delle astrazioni, che rappresentano le virtù, i 7 peccati capitali, i vizi umani. Ognuno rappresenta qualcosa, non c’è l’individuo. "Everymen" (è una delle rappresentazioni più famose): qui il protagonista rappresenta l'intero genere umano. È un uomo cristiano che si avvicina alla morte, nessun amico lo vuole accompagnare, l’unico a volerlo accompagnare è un personaggio che si chiama good deeds (buone azioni). Si capisce bene che, chiamandosi good deeds non può essere un individuo, ma un personaggio simbolico. I luoghi sono qui a scena fissa e sono, diversamente dagli spazi precedenti, più ampi. L’azione comincia, dunque, a diventare più articolata. ➢ Interludes (XV-XVI sec.). Ci si è spostati molto dalle semplici rappresentazioni di vicende bibliche o della vita di Cristo. Si sviluppa qui anche la forma comica. Qui convivono i personaggi astrazioni dei morality plays, con personaggi un po’ più simili al personaggio individuo (possono essere tipi sociali, personaggi storicamente esistiti). Il “Vice” rappresenta sia il vizio (perciò ricorda l’astrazione dei morality plays), sia è un personaggio che sviluppa elementi comici (rappresenta il passaggio dall'astrazione a personaggi concreti, all’individuo). Nel teatro Shakespeariano che provengono dal Vice, che è un personaggio scomodo, perché rappresenta una cosa negativa, ma è un personaggio anche comico, che attraverso la sua comicità fa passare messaggi importanti. Qui i luoghi sono vari: sale, dimore signorili, corte, piazze, cortili, locande, saloni, monasteri, scuole, Inns of Courts (sono scuole di formazione per avvocati ad esempio, oppure amministratori, che utilizzavano gli studenti per queste rappresentazioni). Non ci sono ancora attori professionisti, sono tutti ancora dei dilettanti. Inizia però qui il passaggio verso l'inizio della professione attoriale. Tant’è che molte di queste pseudo compagnie professionali venivano in qualche modo patrocinate dai nobili e aristocratici, finché non si arriva al fatto che Elisabeth I dà il suo nullaosta alle compagnie, che poi saranno compagnie a tutti gli effetti, per la rappresentazione dei drammi nei teatri pubblici di Londra. Il teatro è una forma estremamente importante per il Rinascimento inglese, perché è eterogeneo, proteiforme, riunisce tutto, nel senso che riunisce varie forme d’arte. È eterogeneo sia dal punto di vista dei contenuti (perché veicola tantissimi contenuti), sia dal punto di vista delle forme (perché si basa sul codice verbale, visivo, sulla danza, sulla presenza dei clown ecc.) e sia dal punto di vista del pubblico (che va dalla corte, dalla regina, fino alle classi sociali più basse. Le opere devono veicolare contenuti che possano andare bene a tutte le classi sociali). Il teatro è anche un mezzo di comunicazione, di informazione, di critica o meno della società. I drammi di Shakespeare ci raccontano come era strutturato il potere durante il rinascimento, sono opere che possono avvallare quella struttura di potere oppure criticarla più o meno implicitamente. Spesso le opere di Shakespeare condannano comportamenti politici, spostando però l'azione in altri luoghi (fuori dall'Inghilterra). Il teatro ha dunque una funzione estetica (perché è arte), culturale, sociale (perché è intrattenimento e si rivolge a tutti), storica, politica ecc. La data del 1642 (data in cui viene decapitato Carlo I) si può tenere abbastanza ferma, poiché è il momento in cui il movimento puritano decide di chiudere i teatri pubblici (anche a causa della peste). Shakespeare durante la sua vita ha sperimentato, a più riprese, epidemie di peste. Durante la peste i teatri pubblici venivano chiusi, mentre si potevano avere rappresentazioni minime nei teatri privati, non all’aperto. Il teatro elisabettiano nasce da una fusione/da una interazione (sono elementi che hanno anche vita autonoma, ma dalla loro interazione Shakespeare e i drammaturghi della sua epoca, prendono e creano qualcosa di nuovo): - Della tradizione autoctono popolare: è quella che dai Mystery arriva agli Interludes. - Della tradizione classica. È il periodo rinascimentale, periodo in cui vengono ripresi gli elementi classici. Per la tragedia il riferimento principale è Seneca, mentre per la commedia è Plauto e Terenzio (che si studiavano nelle grammar school). - Della commedia dell'Arte. Proviene dall'Italia (XVI secolo). È una forma di teatro popolare (esisteva però anche il teatro colto delle corti anche in Italia), che non si avvale di testi scritti, ma di canovacci (che sono della indicazioni/dei temi/degli eventi di massima, con dei personaggi ben definiti con modi di dire tipici di ciascun personaggio, ma non si ha un testo concreto. C’era dunque principalmente l’improvvisazione). Avevano al loro interno sia uomini che donne con un capocomico (mentre in Inghilterra le donne non potevano recitare). Erano itineranti, andavano cioè anche in suolo inglese. Non sappiamo con certezza se Shakespeare avesse visto personalmente dal vivo la rappresentazione di una commedia dell’arte, ma sappiano che un attore della sua compagnia, Campte, si recò in Italia nel 1601 per un periodo molto lungo; dunque, sicuramente ha avuto modo di assistere ad una delle rappresentazioni. Il teatro italiano, seppur recitato in italiano (molti attori, anche della compagnia di Shakespeare, conoscevano l’italiano) sul suolo inglese, ha avuto comunque influenza sul teatro elisabettiano. I luoghi fondamentali (in cui venivano rappresentate le varie opere): 1576: Theatre (nome proprio). Teatri pubblici: sono i teatri all'aperto: 1577: Curtain. 1587: Rose. 1595: Swan. Per questo le date possono variare. 1599: Globe. Il 1576 è la data in cui viene costruito il primo teatro che si chiama Theater. Il teatro come luogo in cui si va a recitare è la Playhouse. Quelle sopracitate sono cinque Playhouse. Teatro Elisabettiano (ca 1570-1642) Prima del 1576 si recitava in: Scaffolds, Inns of Court, corte, cortili taverne, sale banchetti. I teatri pubblici sono teatri all’aperto e sono i cinque sopracitati. Vi sono poi i teatri privati, che sono sale un po’ più piccole con un pubblico però elitario. Costavano di più dei teatri pubblici naturalmente. Fu Elisabetta I a concedere il nullaosta per recitare tutti i pomeriggi nei teatri pubblici ad una delle prime compagnie. Ciò indicava anche l’importanza che il teatro come forma artistica dovesse avere in quell’epoca. La competizione fra i vari teatri all’epoca era molto dura. Ogni teatro aveva una sua compagnia e un suo impresario. Theatre aveva come proprietario e impresario James Burbage, che aveva un figlio chiamato Richard Burbage, il quale sarà attore nella compagnia di Shakespeare. Richard erediterà il theatre dal padre, che poi diventerà Globe (il globe è costruito sulle spoglie del theatre). Eredita anche il Blackfriars che è un teatro al chiuso. La compagnia di Shakespeare (che prima si chiama Chamberlain man e poi diventa Kinsman) reciterà sia al Globe che al Blackfriars dal 1608 (teatro al chiuso). Erano tutti impresari, ma al tempo stesso anche attori e azionisti di sé stessi e delle loro compagnie. È caratteristica estremamente inglese, culturalmente parlando, quella della pragmaticità. Il teatro inglese è un teatro si d’arte, ma anche pratico che risponde a delle esigenze concrete, molto precise. La compagnia di Shakespeare ha iniziato a rappresentare le opere al chiuso al Blackfriars dal 1608 in inverno, perché in estate erano al Globe. Perciò avevano delle doppie rappresentazioni stagionali. In inverno andavano al Blackfriars, perché i teatri pubblici erano aperti perciò si recitava solo durante il giorno e d’inverno era meglio stare al chiuso. Il luogo di questi teatri era il sud della City, luogo chiamato Liberties (perché era un luogo fuori, lontano dalla giurisdizione di Londra, perciò più libero). Nonostante i teatri avessero un impresario, la gestione era cooperativa, nel senso che tutta la compagnia cooperava alla gestione del teatro e delle varie rappresentazioni. Si davano tutti un gran da fare ed erano coesi. Blackfriars Eccetto la compagnia di Shakespeare che ha iniziato a recitare qui dal 1608, le sale venivano usate per altre rappresentazioni. I teatri privati non avevano compagnie di attori professionisti (eccetto quella di Shakespeare). Erano compagnie di attori non professionisti, di ragazzi, di studenti, che recitavano una volta a settimana, e non tutti i giorni come nei teatri pubblici. Era un teatro più piccolo, elitario, in qui gli attori non erano una compagnia di attori professionisti e le recite venivano fatte con cadenza settimanale. Prima del 1608 il Blackfriars era stato affittato a queste compagnie estemporanee per rappresentazioni private. Playhouse Avevano tutte una struttura circolare e scoperta, quasi del tutto. Erano formate da tre ordini diversi, uno sopra l’altro, di gallerie (con posti a sedere). Al centro c'era un'arena dove c'era il pubblico (più povero, groundlings) che stava in piedi. Lo spazio della rappresentazione (lo stage) si suddivideva in un palcoscenico che entrava in mezzo all’Arena ed era circondato dalla gente che stava in piedi su tre lati, e si chiamava apron stage (stava davanti) e poi c’era inner stage, tipo il Se quest’uomo è esistito così come pare e pensiamo di conoscerlo, era veramente molto poliedrico. Era infatti: - Poeta. - Drammaturgo. - Attore. "Lord Chamberlain's" è il primo nome della sua compagnia. Quando è andato al potere Giacomo I sono diventati i “King’s Men”. In realtà lui scrive anche poesia. abbiamo una raccolta di sonetti pubblicata nel 1609 (con 154 componimenti). Scrive anche dei poemetti come “Venus and Adonis” e “The Rape of Lucrece”. Scrive anche delle poesie occasionali in “The Passioante Piligrim” w “The Phoenix and Turtle”. Le sue opere teatrali sono circa una quarantina. Abbiamo 36 opere nell’in-folio, pubblicate da due uomini facenti parte della sua compagnia, che sapevano bene le opere che aveva scritto Shakespeare. Diamo per buono che tutte le opere dell’in-folio siano oggettivamente attribuibili a Shakespeare. Ce ne sono poi altre, che non fanno parte dell’in-folio e che però altre fonti danno come opere Shakespeariane. Perciò solitamente la critica parla di circa una quarantina di opere. Le altre sono di incerta attribuzione. Si pensa che egli si sia avvalso di qualche collaboratore. Diciamo che la sua figura rimane ancora molto incerta e misteriosa, perché non abbiamo dati oggettivi riguardanti la sua figura. Produzione drammaturgica Il teatro ha una quantità di temi, contenuti e di forme impressionante. Sono ricchi di temi, contenuti e forme: - Tragedie di vendetta (senechiana), tragedia lirica (Romeo and Juliet, che inizia come una commedia), altre tipologie. - Commedie eufuistiche, romantiche. - Drammi storici. - Drammi dialettici. - Drammi classici. - Drammi romanzeschi (tragicommedie/romance). Di questi fa arte “La Tempesta”. Queste tipologie non sono fisse, ma mobili. Un’opera che parla di vendetta può anche includere elementi classici. Nelle tragedie liriche sviluppa la parte del linguaggio poetico moltissimo. La carriera di Shakespeare può essere suddivisa in quattro periodi (in base alla sua azione come attore e drammturgo): - 1588-1594: esordi del drammaturgo. Qui inizia a scrivere a Londra. - 1594-1603: sta al Globe con i Chamberlain’s Men. - 1603-1608: muore Elisabetta, cambia nome della compagnia. - 1608-1616: Globe e Blackfriars. Della sua vita si sa poco. Ha studiato in una grammar school (dove si facevano studi classici di grammatica latina). Si sposa e ha anche una prole nutrita. Dal 1585 al 1592 abbiamo dati ancora più incerti di quelli di cui siamo in possesso. Dal 1592 sembra che fosse già noto nell'ambiente londinese con la sua produzione drammaturgica (lo si presuppone dagli scritti di Green, che è un suo collega scrittore. Lui scrive di questo “tipo presuntuoso”, di cui non fa il nome. Dice che è presuntuoso perché pensa di essere l’unico che “shakes-in”, in grado di smuovere il panorama teatrale.). Aveva conoscenze molto in alto ed era molto vicino agli ambienti della corte. 1594: finisce la peste. Da questo momento entra nella sua compagnia e non si ferma praticamente più. L'opera di Shakespeare si può dividere anche in periodo: elisabettiano e giacomiano. Il cambio di regnanza implica anche un cambio di ideologia nei confronti dell’arte. Un sovrano diverso può avere un’idea diversa dell’arte. Elisabetta I ha favorito lo sviluppo di tutte le arti durante il Rinascimento. Giacomo I era, comunque, un imprenditore e apprezzatore dell’arte. Giacomo I aveva forse una concezione più elitaria del teatro, non a caso in questo periodo viene prediletto il teatro privato, al chiuso. Se un autore deve lo stesso dramma pensarlo per un tetro al chiuso e uno all’aperto, deve metterci degli elementi che rispondano a delle esigenze di spazi diversi e anche alle esigenze di pubblico diverse. La produzione drammaturgica doveva rispondere a quattro criteri: - Qualitativi. Perché comunque c’era molta competizione. - Quantitativi: dal punto di vista della produzione delle opere, ma anche dal punto di vista della quantità delle tematiche trattate. Dovevano anche guadagnarci con le opere, per questo dovevano produrne di più. - Economici: perché dovevano guadagnarci. - Popolari: più un’opera aveva successo, più veniva rappresentata e più la compagnia ci guadagnava. La cosa articolare delle opere shakespeariane è che si svolgono su due livelli. Un livello è quello che ci permette di riprendere il contesto storico e sociale da cui provengono, perché lo traccia e fa sempre dei riferimenti alla sua contemporaneità. Fa anche dei riferimenti al passato del suo tempo. Implica anche una descrizione/una riflessione costante sull’animo umano. Ed è proprio questo a renderlo ancora attuale. Quello che lui vede dell'umanità/dell’esistenza ancora oggi rimangono valide. È motivo per cui le sue opere ancora oggi vengono riprese e rielaborate. Le sue opere possono essere trasformate e collocate in contesti storici diversi, perché sono opere aperte al punto tale da prestarsi a essere rilette e ricollocate. Apre delle vie conoscitive al lettore che sono estremamente varie e simultanee. C’è sempre la doppia lettura. Contenuti: - Storicità. - Contemporaneità. - Condizione e animo umano. - Arte: ci sono sempre riferimenti all'arte nelle sue opere (componente meta-artistico). La tempesta sarà un caso particolare. Questa componente è presente in tutte le opere shakespeariane. *isotopia: percorso di senso. Forme: Egli usa sia la poesia, sia la prosa all’interno di una stessa opera. All’interno della stessa opera si trovano varianti/sfumature diverse di lingua, che è sia in prosa che in poesia. Shakespeare usa la lingua in tutte le sue opere in maniera tale che sembra dare corpo allo strumento. Tu ti devi fermare e il testo ti costringer a renderti conto che c’è uno strumento che si chiama lingua, che veicola quel concetto. È metalinguistico in questo caso. La tempesta la troviamo alla fine della produzione di Shakespeare. Per capirla bisogna ricostruire il contesto, che ha una valenza esterna ed interna. La tempesta deve rispondere esternamente a delle esigenze ideologiche e di mercato ben precise. Viene fatta sia al chiuso che all’aperto, dunque Shakespeare deve tenerne conto. Per capirla però bisogna contestualizzarla anche dall’interno, dal punto di vista dell’autore. È un testo che, stando alla fine della carriera, è l’esito di tutto quello che Shakespeare ha scritto e di tutta l’esperienza che ha fatto come autore, di tutte le forme che ha impiegato. È un testo infatti ricco di forme: c’è prosa, poesia, presenza della musica, teatro nel teatro. Si colloca anche alla fine della sua vita e non solo della sua carriera. Ci sono critici che credono che l'uomo Shakespeare invecchiando diventi più ottimista. Quindi la tempesta va letta in un’ottica più ottimistica, in cui lui voglia esprimere una sorta di riconciliazione con la vita. Sembra inoltre che in quest’opera lui lasci spazio a degli elementi religiosi. C’è un’altra parte della critica che dice che si tratta di un dramma molto più complesso e leggerlo così significherebbe sminuirne la complessità. Proprio perché si pone alla fine della sua carriera e della sua vita, raccoglie molti più elementi, non è una semplice voglia di essere ottimista, positivo e conciliatore, anche se alla fine questo dramma romanzesco ha una fine positiva. Pubblicazione e ricostruzione dei drammi: - Non sono manoscritti shakespeariani originali. - In-quarto: la presenza di bad e good quartos dipende dal livello di attendibilità del testo. In base a quello che si supponeva Shakespeare avesse scritto e ci si basa sull’in-folio che sono le versioni più vicine alle originali (perché date dai suoi colleghi attori), si controllano le versioni in- quarto e si dice se è più o meno corrotta rispetto all’originale. - In-folio: prima raccolto di drammi di Shakespeare costruita sui copioni più affidabili recuperati. Pubblicata postuma nel 1623, curata da John Heminge e Henry Condell: 36 opere. I due scelgono i copioni più affidabili. Questi mettono la tempesta all’inizio delle commedie. - 40 opere totali. La presenza di in-quarto e in-folio ci aiuta a ricostruire le versioni attuali. Tutte le opere shakespeariane che abbiamo oggi sono delle ricostruzioni filologiche, sono cioè l'esito di un compromesso che ogni curatore fa fra alternative possibili. Lezione 22/10/21 È meglio tradurre “romance” come un dramma romanzesco, poiché fa maggiore riferimento a tutto quello che è la densità del dramma. Il termine tragicommedia fa capire solo che ci sono elementi della commedia e della tragedia. Romances la finalità per lui di, in qualche modo, vendicarsi di ciò che era successo, però lui da questo processo trarrà una conoscenza non prevista all’inizio del processo, e per gli altri perché si rendano conto delle proprie colpe e si pentano. Questo è il modo in cui lui inizia, anche se le cose prenderanno poi anche un’altra via. Il viaggio verso la conoscenza di sé stessi e di altri è un tema portante. Conoscenza che avviene tramite l’azione artistica, che Prospero mette in atto in qualità di mago e registra dell’isola. Il viaggio conoscitivo non è solo suo, ma è anche per tutti gli altri spettatori e gli altri personaggi dell’isola, che la vivono quest’esperienza. Qualcuno poi conoscerà di più, e qualcuno riuscirà invece a conoscere di meno. Ci saranno diversi gradi di conoscenza che i personaggi riescono a raggiungere. È del 1611 e viene rappresentata nel novembre dello stesso anno in uno spazio chiuso inizialmente. Questo spazio chiuso era forse più adatto rispetto al teatro all’aperto per delle scenografie che servono in quest’opera (c’è bisogno di “tricks”, di apparecchiature sceniche). I teatri a chiuso rendevano meglio, lo spazio faceva sì che potessero essere inserite delle strutture fisse che permettessero i vari giochi di scena. Perciò è un’opera che viene pensata inizialmente come uno spettacolo chiuso, di corte, elaborato, con molti trucchi e scene di metamorfosi. È un’opera che si avvicina molto alla natura del masque, che era una rappresentazione di corte che implicava teatro nel teatro (troviamo la rappresentazione di un masque dentro la tempesta). La trama: I personaggi sono 14 individui di vario status e natura. Ci sono i personaggi civilizzati (che arrivano dalla civiltà), come Prospero (ex duca di Milano), Miranda la figlia, Antonio (il fratello che ha usurpato il regno, Alonso (re di Napoli) e il fratello Sebastian, Ferdinand (il figlio del re di Napoli), vari cortigiani come Francisco e altri, Gonzalo (uno servitore molto generoso e comprensivo). C’è la ciurma. Ci sono due personaggi clawneschi che sono Stefano e Trinculo. C’è poi Caliban, che è il selvaggio dell’isola. Poi ci sono anche gli spiriti. Lo spirito capo è Ariel, che è al servizio di Prospero (come lo è Caliban) per effettuare tutti i trucchetti. Ariel è stato liberato da Prospero quando è arrivato sull’isola. La madre di Prospero che era una strega di magia nera si oppone alla magia nera di Prospero. La madre di Prospero aveva imprigionato Ariel in un tronco di pino, ed è proprio Prospero a liberarlo, contando però sui suoi servigi (per un po’ di tempo, poi promette di liberarlo). I personaggi sull’isola si possono dividere in 3 gruppi: 1. Prospero, la figlia Miranda, Caliban, Ferdinad. 2. Gruppo dei nobili, che vaga sull’isola dopo il naufragio. Al suo interno abbiamo Gonzalo, Alonso, Antonio e Sebastian, con altri a seguito (che sono i cortigiani, l’azione si concentra però su questi 4). The Tempest 3. Gruppo dei clown: è composto da Stefano e Trincula, che ad un certo punto implicherà anche Caliban, perché Caliban si allea con questi due “ubbriaconi”. Si tratta della storia di un’usurpazione. C’è un antefatto. L’azione principale accade sull’isola dopo il naufragio. L’antefatto, accaduto 12 anni prima, è quello appunto dell’usurpazione da parte del fratello di Prospero del Ducato di Milano. Prospero però è un po’ colpevole di questo, e lui lo sa. Lui è appassionato di libri di magia e di arte, e per questo si chiude nel suo studio a leggerli e delega il potere al fratello Antonio. Quest’ultima prende sempre di più il potere e alla fine pensa di essere egli stesso il duca. A questo unto Prospero viene messo su una imbarcazione con figlia Miranda molto piccola all’epoca, gli viene dato il cibo, i vestiti e i suoi libri (messi sulla barca da Gonzalo che sapeva di questa sua passione), e viene messo in mare aperto. Anche loro due escono indenni da una tempesta e giungono su quest’isola. L’isola, secondo la critica, sembra essere un posto non definito nel mediterraneo. La tempesta inizia con una tempesta vera e propria, che è quella che sorprende una nave che sta tornando a casa da Tunisi, e in questo veliero ci stanno tutti gli altri i protagonisti Alonso, Antonio, Sebastian, Gonzalo, i cortigiani, Ferdinand. Sta tornando da Tunisi perché lì si è sposta la sorella di Ferdinand e figlia di Alonso, Claribel, con un regnante tunisino. La tempesta che provoca il naufragio è a sua volta provocata da Prospero, come tutto quello che avviene nell’isola. È lui che fa sì che i personaggi si dividano in gruppi e vaghino per l’isola, fino che alla fine arriveranno tutti davanti alla sua grotta, e lì ci saranno tutti i personaggi e lui che racconterà chi è e che cosa è successo e perché ha messo in atto questa sorta di rappresentazione. Ci sono altri personaggi che vengono nominati, ma che non fanno parte dell’azione. Tutta l’azione si svolge sull’isola fino al momento finale. Ci sono delle apparizioni e delle sparizioni. Nel frattempo, Miranda e Ferdinando si innamorano. I personaggi che vagano sull’isola si perdono a livello topografico, perché non sanno dove sono, ma si perdono anche a livello identitario (nel senso che si tratta di un’occasione per loro di riflettere sulla propria identità). Questo li prepara al momento finale, in cui alcuni si renderanno conto delle proprie colpe. Ci sarà alla fine la risoluzione della crisi e la rinascita con la nuova generazione (in questo caso con Miranda e Ferdinando, dunque si suppone che si abbia anche una riconciliazione politica tra il ducato di Milano e il regno di Napoli). Tutto ciò viene attuato grazie ai poteri magici di Prospero, che è al tempo stesso mago, artista e registra di tutto quello che succede. Struttura dell’opera: L’opera è composta da cinque atti. Ogni atto è composto di scene, che possono variare. Si va dagli atti che hanno un’unica scena (atto V), ci sono atti che ne hanno due e il III che ne ha tre. Il testo si struttura in 3 parti: 1. Il prologo, che è la tempesta che accade all’inizio. 2. C’è poi la sequenza più consistente del testo che va dal I al V atto (chiamata sequenza sull’isola). Si compone di protasi e azione. La protasi è la parte introduttiva, è il momento in cui Prospero narra l’antefatto a Miranda, che non ne sa nulla, sa solo che è successa la tempesta ed è preoccupata è perché pensa che qua siano morti tutti. Prospero la calma e le racconta l’antefatto successo 12 anni prima. La protasi è un momento diegetico del testo perché lui racconta, ed è anche molto lunga, perché inizia alla seconda scena dell’atto I, in particolare al verso 23 e arriva al verso 186. Prende dunque una buona porzione del testo. È una sorta di grande analessi/flashback. L’azione consiste in ciò che succede sull’isola, perciò nelle vicende dei tre gruppi, che va dal I al V atto. 3. L’epilogo si trova dopo il V atto. A V atto chiuso c’è Prospero che, ben che ancora in abiti di scena (poi dipende dal registra, a volte dismette gli abiti di scena), parla al pubblico al di fuori della finzione scenica, cioè mostra la sua natura di registra e di artista e tra l’altro di quella natura vuole anche liberarsi, perché vuole tornare alla sua natura di Duca (che è comunque finzionale perché all’interno del dramma). Si libera dunque di quella parte artistica che lo ha caratterizzato per tutto il testo. In realtà poi non sappiamo se si libera, sappiamo solo che è la sua intenzione. Per liberarsi chiede aiuto al pubblico (la reazione è dunque diversa per ogni pubblico). Il viaggio è uno dei temi portanti. È un viaggio concreto e reale, ad esempio, il viaggio del veliero, gli spostamenti che fanno all’interno dell’isola, il viaggio di ritorno, il viaggio di andata di Prospero verso l’isola. Ma è anche un viaggio metaforico di conoscenza interiore. Il viaggio è la cornice esterna: poiché la Tempesta si apre con il naufragio del veliero proveniente da Tunisi e si chiude con il viaggio di ritorno. È un’occasione di perdita, e ci sarò un momento in cui loro lo ammettono. È un’occasione di perdita perché è la società/la civiltà che si perde all’interno della natura. Perde i punti di riferimento, perde anche la differenza di status sociale dei personaggi. Però questa perdita è un’occasione di riflessione e di ritrovamento (non tutti però si ritroveranno). C’è sempre la critica che dice si che c’è un ritrovamento positivo, perché c’è una riconciliazione e una sorta di finale rasserenante in cui scoprono le proprie colpe e si pentono in qualche modo, Prospero perdona chi è stato colpevole senza il bisogno di sentire scusa. C’è l’altra parte della critica, invece, che dice che non tutti si ritrovano, perciò rimangono dei personaggi irrisolti, rimangono elementi irrisolti. Antonio e Sebastian non si pentiranno di nulla, né di quello che Antonio ha fatto 12 anni prima, né Sebastian si pentirà di aver pensato, durante l’azione sull’isola di uccidere il fratello e diventare lui il re di Napoli. Le letture rimangono, dunque, aperte. Fonti: Più che di fonti si tratta di stimoli immaginativi. È probabile che Shakespeare sia venuto a conoscenza diretta o indiretta dei racconti dei seguenti testi, ma non la sappiamo, sono semplicemente deduzioni. Queste fonti si dividono in tre tipologie fondamentalmente: 1. Mucedorus (anonimo), The rare triumph of love and forture (anonimo), Storie di naufragi, isole incantate, magia (fra cui El espejo de Princesa y Caballeros di autori diversi, Die shone sidea di Jacob Avrer), Li tre satiri (commedia dell’arte). Questa è la categoria dei racconti fantastici. 2. Discovery of the Bermudas (Sylvester Jourdain), A true declaration of the state of the colonie of Virginia (libello sposorizzato dal Consiglio della colona), A true reportary of the wreck (William Strachey), The history of trauvayle in the west and east Indies (History of travile, Pietro Martire), Uno dei racconti di viaggio di Mageliano, I diari di pedro sarmiento di gamboa, Descrizione dei mostri marini in forma umana da parte del frate Dos Santos. Questi sono i resoconti di viaggio. Nell’infolio sta come la prima delle commedie, perciò ha una posizione privilegiata ed è un testo importante nella produzione Shakespeariana (a partire dagli anni in cui Shakespeare vive, e non solo dopo). Serpieri la chiama la “summa della sua opera”. La summa perché racchiude più cose. È una sperimentazione che poteva anche essere pericolosa per Shakespeare. In realtà è estremamente ben riuscita, perché è una buona miscela di potenzialità del teatro pubblico e privato. È una miscela riuscita, perché le rappresentazioni sia nei teatri pubblici, che in quelli privati, funzionano sempre. È un testo composito perché oltre alla recitazione vanno in scena la danza, il canto e la musica. La musica accompagna tantissimo la trama. Ci sono anche moti “tricks”, cioè molte apparizioni, sparizioni, ecc. C’è anche la rappresentazione sensazionalistica della tempesta all’inizio, che doveva essere resa in qualche modo. Gli spazi teatrali devono essere sfruttati al meglio. Non ci sono testimonianze affidabili per capire come era organizzato lo spazio al chiuso e all’aperto per rappresentare tutti questi “Tricks”. Anche l’aspetto sonoro dovesse giocare un ruolo fondamentale soprattutto nella rappresentazione iniziale della tempesta. Essendo opera di maturità, è un’opera che si rifà, in maniera implicita o esplicita, anche a tutte le altre opere di Shakespeare (cioè a quello che abbiamo chiamato il macrotesto). L’elemento isola lo troviamo anche in “Othello”, dove c’è l’isola di Cipro. L’elemento del tradimento politico, dell’usurpazione a spese di un capo legittimo da parte di uno che si pone al suo posto come capo illegittimi, si trova in “Richard II”, “Hamlet” o “Macbeth”. Il passaggio dalla corte ad un luogo selvatico si trova in “A Midsummer Night's Dream”. Il rapporto problematico tra fratelli lo troviamo in “Richard II” e “King Lear”. Il racconto di un evento passato in un luogo chiuso lo troviamo in “King Lear”, dove King Lear è imprigionato e vorrebbe passare in rassegna al passato con la figlia Cordelia dentro la prigione (perciò il senso della prigione). Il padre che rinnega la figlia o la lascia andare lo troviamo in “Othello”, che lascia andare la figlia nelle braccia del moro. “King Lear” in un primo momento rinnega la figlia, per poi accettarla di nuovo. Il tema della scoperta dell’amore si trova in “Romeo and Juliet”. L’uso dell’arte per manipolare gli altri o per capire qualche cosa della realtà, per comprendere, si trova in “Hamplet”. La magia e i poteri magici li troviamo in “A Midsummer Night's Dream”, ma anche in “Macbeth” dove ci sono le streghe (dunque la magia nera). Perciò i legami con il macrotesto è ovvio che ci sono. È una cosa che appartiene all’autore e dalla quale egli va a pescare temi/contenuti/formule/motivi. La struttura del testo È un’opera stratificata, polivalente, multipla, con molte sfaccettature. Ha una struttura molto unitaria che la tiene insieme. Shakespeare si può permettere di giocare con una varietà di elementi perché la struttura è solida. Innanzitutto, quest’opera è uno dei pochi casi in cui Shakespeare rispetta le unità aristoteliche. Sono tre unità: - L’azione doveva essere una sola zione fondamentale. - Questa azione si doveva svolgere in un solo luogo. - E si doveva svolgere in un solo giorno. L’azione e la trama è unica (è quella che decide Prospero). Il luogo è quello, perché il luogo fondamentale è l’isola (eccetto quello che si racconta prima, ma non fa parte dell’azione). Il tempo è quasi sicuramente in un giorno perché in realtà dura tre ore e lo veniamo a sapere proprio dai personaggi. Ci sono molte simmetrie. Vi è una cornice esterna ed interna. La cornice interna è data dall’azione che si apre con Prospero che narra la storia a Miranda e si chiude con lui che poi torna in qualche modo al suo ruolo nell’epilogo. La simmetria di questa cornice è basata anche sul fatto che ci sono due momenti diegetici, cioè il suo racconto con cui inizia la protesi iniziale a Miranda (in cui lui è un narratore, racconta) e il suo racconto finale, prima dell’epilogo, che promette di fare a chi sta nella grotta, ma che noi non sentiamo (non fa parte dell’azione). Perciò ci sono vari momenti che racchiudono l’azione principale. Di fatto questa simmetria di Prospero, che è un elemento diegetico, fa da cornice a quello che succede durante l’azione sull’isola. La durata dell’azione è uguale alla durata della messinscena. C’è un momento particolare nel testo, atto V, scena I, verso 136. Qui è Alonso che parla e che ancora non ha riconosciuto Prospero. Dice che se lui è Prospero davvero, deve dare dei particolari e come hai fatto a incontrarci qui. Ci dice che tre ore fare sono naufragati sull’isola. Sappiamo così che loro naufragano e che l’azione finisce dopo tre ore. Quelle tre ore sono anche le ore che dura la messinscena. Lo spettatore cioè a questo punto della rappresentazione la sta guardano da tre ore. Perciò c’è anche una simmetria che unisce il tempo dell’azione scenica, con il tempo della durata della messinscena. Altre cose simmetriche è che i tre gruppi dei personaggi, all’interno dell’azione, a volte adottano dei comportamenti che si somigliano/dinamiche comportamentali uguali. Inoltre, vi è anche una simmetria di intrecci. Il tema della deposizione di un capo e dell’usurpazione viene ripetuto dai vari gruppi. Prima da Antonio con Prospero. Poi Sebastian con Alonso (re di Napoli). cercheranno di farlo anche Stefano e Trincula con Prospero, aiutati da Caliban (qui p una sorta di controcanto grottesco). La stessa dinamica si ripete simmetricamente in vari gruppi a livello di azione. La musica è un elemento unificante, perché è presente in tutto il testo. La musica è un connettore perché accompagna l’azione, la tiene unita. Vi sono le canzoni che esprimono le stesse cose che dice il testo, ma in modo diverso. È musica intesa anche come suoni, perché l’isola stessa è piena di suoni musicali e melodici. Ad un certo punto ci sarà Caliban che, nonostante sia un selvaggio, descriverà, in maniera quasi poetica, la bellezza dell’isola e i suoni dell’isola. Nonostante la pluralità ci sono, dunque, elementi che tengono insieme l’opera. I contenuti Ci sono due macro-tematiche fondamentali. Potere da un lato e magia e arte dall’altro lato. Queste due non sono slegate, perché parte del potere viene anche dalla magia e dall’arte. Il potere è inteso come: - Potere coloniale. - Potere della civiltà nei confronti della natura. - Elementi di razzismo. - Elementi di genere, - Lo stato utopico, come elemento di assenza di potere gerarchico. Nella magia e arte ci soffermeremo su: - Masque. - Metateatro. Prospero è il personaggio in cui si riuniscono tutti questi aspetti. Potere Il potere in qualche modo di Prospero è un potere che si declina in vari modi. Lui è: - Il sovrano dell’isola, perciò ha il potere sull’isola. - Il sovrano spodestato da Milano, perciò aveva potere politico legittimo. - È un mago che pratica e conosce la magia bianca, perciò è un altro potere ancora. - È un demiurgo, perché è l’essere che crea tutta l’azione che avviene. Decide le sorti di tutti i viventi dell’isola, siano questi umani, siano questi spiriti. Orchestra tutto. - Detiene potere perché è padre. È un padre abbastanza rigido nei confronti di Miranda. La induce lui a innamorarsi di Ferdinand. Quindi decide per lei. - È narratore, cioè ha potere di parola rispetto a tutti gli altri. Ha potere diegetico/linguistico. Anche se lui rimane di fondo colpevole di non essere stato in grado di gestire il potere legittimo che gli era stato conferito in qualità di duca di Milano, continua a detenere tutti questi tipi di potere. In sintesi: - Potere politico legittimo. - Potere culturale, perché quando arriva sull’isola accultura in qualche modo il selvaggio. - Potere parentale, perché ha potere su Miranda. - Potere magico, perché è un mago. - Potere autoriale nel senso che è l’autore di quello che succede sull’isola, ed è anche il registra. - Potere linguistico, perché è detentore della narrazione. È sua la diegesi che avviene all’interno della tempesta. Potere politico: All’interno dell’opera è legittimo e illegittimo. - Legittimo è quello di Prospero e Alonso, perché loro sono due sovrani legittimi. prospero era il sovrano legittimo di Milano, mentre Alonso è il re legittimo di Napoli. - C’è anche un potere illegittimo, che fa capo ai due fratelli, Antonio e Sebastian. Antonio che ha già spodestato Prospero. Sebastian invece vorrebbe, sollecitato proprio da Antonio durante il loro vagare sull’isola, spodestare suo fratello Alonso e diventare lui re di Napoli. Altro potere illegittimo è quello che vede Caliban, Stephano e Trincula alleati per togliere il potere di sovrano dell’isola di sovrano dell’isola a Prospero (che però lo è a tutti gli effetti, perché Prospero ha potere legittimo anche sull’isola dal punto di vista dell’uomo occidentale, ma Caliban non la pensa così). Il tema della colonizzazione Il fatto che Prospero colonizzi l’isola lo mette in una posizione che lo avvicina molto alla storicità dell’epoca. In questo momento storico le scoperte geografiche, la colonizzazione, il sistema economico che si basa sugli scambi commerciali, è ovvio che c’è la corsa alla colonizzazione e alla terra dell’altro. Il presupposto è che l’uomo occidentale acculturato sia superiore all’uomo naturale. Su questo presupposto si fonda anche un dovere che l’uomo occidentale avrebbe nei confronti del selvaggio di turno che trova. Io se sono superiore e ho avuto uno sviluppo culturale, che mi porta ad uno stadio superiore al tuo, ho il dovere etico di acculturarti. Questo fa sì che la tempesta possa essere letta anche da questo punto di vista, come un testo che celebra quello che è il potere ideologicamente giustificato dell’occidentale sul selvaggio nelle varie parti del mondo. Questo si legge nella tempesta nel rapporto che Prospero ha con Caliban, che è il selvaggio che lui ha colonizzato. Dal punto di vista di Prospero è cosa buona e giusta e lo si capisce da tutti gli Miranda non solo non sa bene qual è la sua identità, ma implicitamente mette in dubbio anche l’identità di Prospero. Il percorso della conoscenza passa, duqnue, anche attraverso il dubbio che riguarda l’identità e che interesserà tutti i personaggi della tempesta. Non sono molto presenti le donne in quest’opera. Abbiamo Miranda che è presente effettivamente perché parla e ha una parte attiva. Delle altre donne si narra in maniera indiretta e sono la madre, Claribel (figlia di Alonso, sorella di Ferdinand) e poi c’è la madre di Claiban che Sycorax. Ci sono le figura femminili, ma il loro ruolo, eccetto quello di Miranda, è veramente minimo. Miranda, inoltre, spesso è rappresentata (e lo è effettivamente) come ingenua. Al verso 66 Prospero introduce la figura di suo fratello. Parla di questo fratello che amava quasi come ama Miranda. Dice che suo fratello si è preso in qualche modo il suo ducato. Qui comincia un iniziale confessione della sua inabilità di essere duca. Quando parla delle “liberal arts”, dice che quelle assorbivano tutti i suoi studi. Concentrato sullo studio delle arti liberali lui ha affidato il governo al fratello. Prospero continua poi il suo discorso dicendo che suo fratello ha proprio preso quello che era suo e l’ha completamente cambiato. Prospero continuamente rimprovera Miranda per la sua poca attenzione. Prospero dice che siccome ha trascurato tutti gli affari del mondo, perché voleva elevare la sua mente, ha dato potere a suo fratello e ha risvegliato in lui la natura malvagia. Poi dice che lui ha messo in scena una falsità tanto grande quanto era la sua fiducia in lui, da falsificare persino la sua memoria, credendo la bugia che si era costruito di essere lui il duca di Milano. Per non avere ostacoli tra la parte che recitava e colui per la quale la recitava, vuole per forza diventare il duca di Milano. Prospero poi continua con il suo riconoscere che forse non era poi adatto a fare il duca. Dice che per quanto lo riguarda la sua biblioteca era già un ducato grande abbastanza. Prospero poi racconta qual è stato l’atto, perché suo fratello Antonio si è alleato con il re di Napoli e ha assoggettato il ducato di Milano al regno di Napoli. Al verso 159 c’è un altro tema. Per molta critica questo testo rappresenta la parte finale della produzione Shakespeariana, in cui lui sembra riconciliarsi con la vita, dare un messaggio positivo e ottimista, in cui c’entra anche la religione, c’è la fede in forze che siano più alte e trascendenti e che vadano al di là dell’oggettività dei fatti e del dato. L’aspetto religioso che la tempesta mette in atto non è solo quello cristiano, ma è anche quello della religione pagana, religione della natura e della terra. Gonzalo, suo consigliere, quando lo ha messo sulla barca gli ha dato cibo, vestiti e i suoi amati libri. La parola “books” è importante e tornerà anche dopo. Leggendo via via e trovando questa parola più volte, si vede che fa riferimento ai libri di magia, al libro stesso che è la tempesta e perciò in filigrana a Shakespeare. Tramite una trama di relazioni di parole chiavi che tornano, sviluppiamo anche il senso della lettura di Prospero=Shakespeare. Torna il discorso del potere di Prospero. Questo potere di insegnare agli altri qualcosa ce l’ha nei confronti di Miranda, Caliban, Ferdinand, Ariel. Alla fine della protasi Prospero si stanca e dice basta con le domande. Poi dice che sa che Miranda ha voglia di dormire. Così cioè la induce al sonno. Lo farà anche con altri personaggi. Induce personaggi al sonno, alla follia, li sveglia, li fa impazzire in vario modo, ecc. Finita la protasi Miranda si addormenta ed entra in campo Ariele. Ariele è lo spirito principe, lo spirito degli spirti. Tramite il potere di Prospero ha cioè potere su tutti gli altri spirti. È la prima volta che lo vediamo, anche se poi si scopre che è stato lui a rendere possibile la tempesta, tramite il comando di Prospero. Si capisce subito la gerarchia Ariele-Prospero, perché lui lo saluto come “signore solenne” /” gran maestro”. Qui esce il potere di Prospero come registra che organizza tutto e il senso del teatro nella parola “perform”. Ariele ha provocato la tempesta a cui tutti sono sopravvissuti. Tutti credono però che la nave sia andata perduta. In realtà Ariele ha nascosto la nave in una baia sicura. Poi Ariele ha sparso i personaggi in quattro gruppi: - Il gruppo della ciurma, che non vediamo mai durante lo svolgimento dell’azione, se non alla fine quando si riuniscono tutti. - Il gruppo dei nobili. - Il gruppo dei clown: Stephano, Trincula. - Ferdinand sta da solo. Racconta a Prospero tutto ciò. Riferimenti temporali: sono all’interno della storia della tempesta, ma che hanno anche una connessione con l’ora in cui veniva rappresenta “la tempesta”. C’è sempre un doppio riferimento. Quello che avviene sul palcoscenico, può anche essere quello che avviene fuori dal palcoscenico. L’ora in questo caso corrisponde. Qui si nota il rapporto conflittuale che Prospero ha anche con Ariele, perché Ariele vuole la libertà. Ariele, quando Prospero lo ha incontrato, stava in un tronco di un pino, imprigionato dalla strega Sycorax. Prospero lo libera a patto che Ariele diventi suo schiavo e faccia dei servizi per lui. Però Ariele si sta stufando e proprio per questo ci sono più luoghi nel testo in cui lui chiede di essere liberato. Prospero si arrabbia per questo, dimostrando così il potere che lui ha su tutti quelli che gli stanno intorno. Cominciano a parlare di Caliban, che ancora non abbiamo conosciuto. Il modo in cui ne parla Shakespeare, incuriosisce lo spettatore. Ariele esce, ed entra a questo punto in scena Caliban. Il testo ci presenta Prospero come superiore. In realtà Prospero ha bisogno di Caliban, altrimenti non avrebbe la legna, il fuoco, ecc. Infatti, lo stesso Prospero dice che non ne possono fare a meno. Qua si instaura anche la relazione di interdipendenza fra chi ha potere e chi il potere lo subisce, fra il colonizzatore e il colonizzato (da un punto di vista storico). I diversi registri decidono diversamente se far vedere Caliban già da prima, che sta a un lato del palcoscenico, oppure se farlo uscire da una botola o da un luogo vario in cui si sta nascondendo. I registri inoltre decidono se far vedere da subito la natura come un qualcosa di positivo e l’uomo occidentale come un qualcosa di negativo (perciò calcare sul potere negativo che Prospero ha su Caliban) o viceversa. In tutto questo Ariele continua ad entrare e uscire. Ariele come spirito può essere visibile, invisibile, prendere forme diverse che gli vengono ordinate o meno da prospero, cantare e suonare. Qui, ad esempio, prende la forma di una ninfa marina. Comincia al verso 332 una cosa che ci porta un’altra volta sull’isotopia del conquistatore- conquistato, colonizzatore-colonizzato. Caliban dice che quando è arrivato Prospero gli voleva bene e gli ha insegnato a nominare le cose, cioè gli ha insegnato il linguaggio. Questo è l’aspetto che si leggeva come migliorativo dell’uomo occidentale, che porta la sua cultura ai selvaggi che in contra nel nuovo mondo. Come Antonio ha usurpato il titolo di duca a Prospero, così prospero usurpa il titolo del re dell’isola a Caliban. Iniza il discorso ambiguo di chi sia il vero usurpatore. Anche Miranda, nonostante sia uscita dalla società molto piccola, rappresenta comunque la società occidentale e la cultura migliorativa. Anche lei ha insegnato a Caliban a parlare. La natura soggiogata dalla cultura può diventare negativa, perché usa gli stessi strumenti della cultura per fare qualche cosa di negativo. I testi di Shakespeare, questo soprattutto, hanno costanti possibilità di essere rimaneggiati. “Hag- seed” sta nel titolo di un romanzo di Margaret Atwood, che riscrive la tempesta e la riporta nei tempi moderni. In questa c’è un reale registra, Prospero diventa il registro effettivo e trasforma tutta l’opera. Ci sono altre formule del testo che vengono presi da autori contemporanei per creare nuove opere. A questo punto la parte finale della scena è dedicata a Ferdinand, che è stato lasciato da solo. È il primo che Prospero prevede debba arrivare alla sua grotta, per conoscere Miranda. Entra qui Ariele invisibile. Ariele canta la rima canzone. In tutto canterà cinque canzoni. Poi ci saranno le canzoni, quelle un po’ più rozze, di Stephano, Trincula e Caliban. Spesso Ariele invisibile o visibile rende consapevoli i personaggi di qualcosa. Loro non capiscono come raggiungono questa consapevolezza. Sento delle voci, li sembra di sentire delle voci nel sonno, ecc. Quello che Ariele dice passa attraverso la loro coscienza e continua il processo di conoscenza che loro fanno. In questo caso Ariele fa credere con questa canzone, e la prossima, a Ferdinand che il padre sia morto (Alonso, re di Napoli). Le canzoni di Ariele sono molto ritmiche e sono molto regolari. Con la seconda canzone di Ariele comincia il tema della metamorfosi. Per arrivare a conoscere qualcosa c’è bisogno del cambiamento. Ariele fa credere a Ferdinand che Alonso si sia metamorfizzato, sia diventato altro da sé. Questi diventar altro da sé implica la consapevolezza che i vari personaggi sviluppano. Ferdinand arriva alla grotta, perciò c’è l’incontro con Miranda e Prospero. Prospero sa già tutto, mentre Miranda no. Miranda è affascinata da questo giovane. Ferdinand si stupisce del fatto che questa fanciulla che sembra quasi una cosa naturale dell’isola, parli la sua lingua. Altra simmetria: quando Stephano e Trincula conosceranno Caliban si stupiranno della stessa cosa. Ad un certo punto Prospero fa capire a Ferdinand che sarà sotto il suo potere, e Ferdinand questo non lo accetta. Ferdinand estrae la spada, ma viene immobilizzato da un incantesimo di Prospero. Miranda che è molto provata dalla bellezza di questo giovane chiede al padre di non esagerare. Prospero definisce Miranda come la parte più bassa del suo corpo, come suo piede, e la mette a tacere. La perdita è un altro tema fondamentale. La perdita di sé stessi, la perdita del luogo, la perdita del ducato, la perdita del figlio o del padre (tutti quelli che sono naufragati pensano che gli altri siano morti). La perdita è un passaggio necessario per scardinare un ordine in cui c’era qualcosa che non andava e provare a ripristinare un ordine nuovo. Atto III, scena I Nell’atto III ci sono tre scene, di cui ogni scena è dedicate ad un gruppo. La scena prima ci mostra Ferdinand in una situazione che lo avvicina a Caliban. È cioè messo nella stessa posizione di Caliban da Prospero. Abbiamo da un lato un uomo di natura e dall’altro un uomo di civiltà. Shakespeare trova degli espedienti per creare delle analogie, più o meno sottintese. In tutta questa parte si sviluppa il rapporto e la conoscenza reciproca tra Ferdinand e Miranda. Miranda si innamora di Ferdinand sia perché si tratta di una pianificazione del padre, sia perché è l’unico uomo bello che vede. Il percorso di Miranda verso la conoscenza e verso il ripristino dell’ordine passa anche attraverso la disobbedienza. Il padre le impone silenzio, le impone di non aiutare Ferdinand, e lei invece gli sta sempre vicina. Prospero ogni tanto si arrabbia, però lei comunque ha bisogno di passare per la disobbedienza per conoscere meglio Ferdinand. Questa disobbedienza è abbastanza lieve e porterà a un finale positivo, cioè sarà funzionale al rispristino dell’ordine. Ci sono altre opere shakespeariane in cui la disobbedienza dei giovani nei confronti dei personaggi più anziani si rivela solo tragica, non ha un buon esito (ad esempio in “Romeo and Juliet”). Miranda riconosce molto spesso che disobbedisce al padre. (verso 57) Al verso 70 lei chiede a Ferdinand se lui la ama. Lei dice che se il falso e tutto quello che capita di falso viene voltato al peggio, quanto di meglio mi è destinato. Siamo sempre nell’isotopia della metamorfosi. Una cosa che sembra negativa e che sembra peggiore può in realtà volgersi e svelare delle cose positive. In fondo è tutta la storia della tempesta, perché partiamo da un evento negativo, da una perdita della direzione, da una perdita del senso di identità (si passa anche attraverso la follia), per cercare di recuperare conoscenza nuova. Prospero è molto felice di questa cosa. Dall’atto I all’atto V si infittiscono tutti i riferimenti che ci fanno vedere in filigrana a Prospero, Shakespeare, e ci fanno vedere in filigrana i libri di Prospero, il libro la “tempesta”. Atto III, scena II Questa scena si concentra sul gruppo dei clown e Caliban. Qui, ma anche nei prossimi atti, la presenza di Ariele sarà costante. Questo perché lui deve vedere cosa succede e riportarlo a Prospero. Può entrare invisibile o in qualche altra veste. Caliban qui racconta come Prospero gli ha rubato l’isola. Qui Caliban insegna a Stephano e Trincula come diventare i padroni dell’isola. Caliban si sofferma sul fatto che la forza di Prospero sta nella conoscenza e cioè nei libri. Se continuiamo a leggere in filigrana che quei libri sono gli stessi libri che Shakespeare scrive, è chiaro anche che Shakespeare sia potente. Il suo è il potere che viene dall’artificio della scrittura, dall’artificio del teatro. Prospero e Shakespeare sono comprabili. Caliban poi dice che bisogna bruciare quei libri, perché è l’unico modo attraverso il quale lo si può depotenziare. A Prospero il potere deriva dai libri di magia, così come a Shakespeare il potere deriva dalle sue scritture, dal suo macrotesto. Caliban è molto poetico nel descrivere le bellezze dell’isola. Questo da un lato ci ricorda i resoconti di viaggio; perciò, stabilisce un contatto con la realtà storica e le varie descrizioni delle bellezze delle isole tropicali. Dall’altro lato ci ricorda che Caliban ha anche una parte di animo che è lirica e poetica, non è solo il selvaggio mostruoso. Quasi a sottolineare che anche nel selvaggio si trovano elementi positivi Shakespeare introduce subito dopo una battuta di Stephano, che in realtà mostra quanto l’uomo occidentale, benché acculturato, basi molto della sua vita sulla monetizzazione. Stephano dice che potrà avere un regno dove ci sarà musica gratis. Dopo aver avuto una descrizione assolutamente pura della bellezza, l’uomo occidentale prende questa descrizione e la monetizza. Questa scena finisce con loro che si prepareranno ad andare alla grotta di Prospero e portare avanti il piano. Atto III, scena III Qui vediamo l’ultimo gruppo, quello dei nobili. In questa scena il gruppo dei nobili assiste al banchetto. C’è una rappresentazione dentro la rappresentazione. Il banchetto è una scena rappresentata dagli spiriti, che diventano loro stessi degli autori. È una rappresentazione di tipo teatrale dentro la rappresentazione che è la tempesta. Inizia qui il momento in cui Prospero vuole far impazzire in qualche modo i nobili, vuole far perdere loro la ragione (in particolare ad Alonso, Sebastian e Antonio). Fa questo per farli ravvedere, affinché riflettano sulle azioni passate e si pentano. Allestiscono in un batter d’occhio questo banchetto. Questo comincia a confondere i nobili. Verso 21 importante, vedi appunti sul libro. Atto IV, scena I Atto IV ha una sola scena, come l’atto V. Prospero continua ad essere non morbido co Ferdinand, perché vuole in qualche modo accettarsi della sua “buona stoffa”, visto che diventerà il marito di Miranda. Ad un certo punto chiama Ariele perché ha un'altra cosa da ordinargli. Dice ad Ariele di convocare tutti gli spiriti sui quali gli ha dato il potere, perché li deve usare per un altro trucco. Vuole presentare agli occhi della giovane coppia una certa illusione della sua arte. Qui comincia la rappresentazione del “masque”. Questo è teatro nel teatro, ancor più del banchetto. Il masque era una rappresentazione teatrale che includeva recitazione, musica, teatro, danza. Veniva fatto a corte. Gli stessi settatori, perciò i nobili e il re e la regina, potevano recitare all’interno del masque. Perciò anche il masque è caratterizzato dal fatto che la distanza tra spettatore e attore può in alcuni casi diminuire. Nella tempesta stiamo giocando sul margine. In questo caso il masque ha una finalità epistelamica, cioè viene usato per celebrare un fidanzamento o uno sposalizio. Prospero lo usa perché sa che poi Miranda e Ferdinand si sposeranno, ma a questa finzione teatrale è legato un elemento storico-reale. Questo perché nella stessa epoca, la figlia di Giacomo I si era fidanzata a un regnante tedesco (quindi la tempesta probabilmente si era rappresentata per questo). È probabile che questa scena del masque, se non messa subito nelle prime versioni della “tempesta”, sia stata inserita dopo, quando rappresentata a corte voleva celebrare l’unione tra Elisabeth e il suo futuro sposo. Anche qua si assottiglia il legame fra realtà storica che sta fuori dal teatro e finzione del teatro. Il masque cioè ha una doppia valenza. Quindi di nuovo Shakespeare=Prospero. È una rappresentazione che avendo una finalità celebrativa ha personaggi che implicano l’amore (Dea Giunone). È tutta una rappresentazione fatta di danze, che implica personaggi mitici, le ninfe e i falciatori. Ci sono anche i canti. Prospero ogni tanto interviene e fa riferimento al fatto che quello che stanno vedendo è un incantesimo, e dà informazioni agli attori perché le ninfe, i falciatori e le dee sono gli spiriti che “perform” quella parte. Ovviamente gli spiriti a loro volta sono rappresentati dagli attori della compagnia di Shakespeare. Importante il discorso di Prospero ai vv. 146-163. Shakespeare riesce a sintetizzare con poche formule e poche parole, molti concetti. Entra Ariele che gli dice che il complotto dalla parte dei clown sta per avvenire. Ariele è indaffaratissimo in quest’atto, ma anche nel prossimo. Entra in scena con tutti i costumi sgargianti di Prospero, perché questi costumi devono attirare l’attenzione di Trincula e Stephano, che stanno arrivando. Prospero ed Ariele diventano invisibili ed entra il gruppo clownesco. Atto V, scena I Qui si infittiscono ancora di più tutti i legami tra la finzione, il teatro e la realtà. Anche fra il palcoscenico e l’audience, soprattutto nell’epilogo. Saranno sempre più espliciti i riferimenti che Prospero fa all’arte magica e teatrale. Il percorso di conoscenze e del cambiamento non è solo dei personaggi e anche quello di prospero che ha organizzato tutto. Lui fa tutto questo perché vuole la vendetta. Però ad un certo punto Prospero dice che anche se loro lo hanno colpito e gli hanno fatto più di un torto, lui starà dalla parte della sua ragione invece che con la sua furia. Dice che l’atto più raro sta nella virtù, piuttosto che nella vendetta. Dice che se si pentono, lui non procederà con la vendetta. Epilogo È la parte più importante. È finita la cosa. Prospero fa sul palcoscenico e parla con il pubblico, diminuendo ancora di più la differenza e la barriera fra palcoscenico e pubblico. Qui lui rinuncia a tutto. Questo è probabilmente l’uomo attore che vuole tornare addirittura fuori dalla finzione. Dice che ha deposto i suoi incantesimi e la forza che ha è solo sua, non dipende dalla sua arte. Poi dice che il pubblico può decidere che lui rimanga qui confinato, in questa finzione, o che torni a Napoli. Il potere è traferito dalla scena al pubblico. Lui dice che con il potere delle mani del pubblico (cioè con l’applauso) finisce tutto, e il pubblico lo libera dall’incantesimo in cui lui è preso. Allora qui potrebbe essere l’attore che parla, che vuole uscire da tutte le parti e vuole tornare alla realtà. Poi dice che se il pubblico non gli dà questo, fallisce anche il suo progetto che era quello di dare il piacere al pubblico. Anche Shakespeare scrivendo l’opera vuole dare piacere, perciò qui è l’attore-uomo che parla, ma anche il drammaturgo. Dice che non ha più spiriti da controllare, né arte per incantare, e la sua fine è la disperazione, a meno che voi (pubblico) non possiate liberarmi da questa prigione. “Come voi dai peccati vorreste essere perdonati, così con la vostra indulgenza mi dovete lasciare andare”. Lezione 04/11/21 “La tempesta” (riassunto) Dio. È allora una forma di ipocrisia e portato alla finzione, perché in realtà l’unico vero creatore è Dio. Colui che vuole imitare la creazione divina, o distruggerla in qualche modo o competere con Dio, è Satana. Perciò se l’uomo vuole diventare creatore si pone dalla parte del negativo e del peccato. Queste due visioni però convivono, una non esclude l’altra. Il masque nella tempesta è una delle varie forme di commissioni tra realtà e funzione. L’epilogo della tempesta è molto legato alla metafora teutrum mundi, Prospero equipara infatti il mondo al teatro. Arte, magia e teatro: Vi è un legame tra Shakespeare e il personaggio di Prospero: - Entrambi sono artefici, Shakespeare del testo e Prospero di tutta la tempesta. - Prospero dirige i personaggi e ne fa anche degli attori (laddove si tratta di spiriti), li induce al sonno, li ordina cosa fare ecc. Stessa cosa fa Shakespeare in qualità di drammaturgo e anche a volte di regista dei suoi stessi attori. - Entrambi sanno recitare. Lo fa Prospero, ma anche Shakespeare (che era anche un attore). - L’isola è il luogo/il setting fondamentale delle illusioni di Prospero, così come il teatro lo è di Shakespeare. Nell’epilogo finale, così come prima, torna costantemente l’analogia fra teatro e isola. Entrambi i luoghi sono isolati dal mondo e sono luoghi in cui si inscenano le illusioni di Prospero e la finzione teatrale di Shakespeare. C’è sempre comunque la comunicazione e la dinamica tra realtà e finzione. - Prospero conosce bene la magia tramite libri. Shakespeare conosce invece la letteratura tramite libri e li scrive. - La tempesta è un evento provocato da Prospero, così come “La tempesta” è il titolo del dramma scritto da Shakespeare. - Entrambi sono in là con l’età. Prospero rinuncia alla magia ad un certo punto. Anche Shakespeare di lì a poco darà il suo commiato alle scene e al teatro. (vedere citazioni che dimostrano tutto ciò). La musica è molto importante all’interno dell’isola. La musica come sonorità generale dell’isola, i suoni melodiosi dell’isola, ma anche la musica che Ariele canta e suona. Le canzoni sono sparse per tutto il testo. Prospero inoltre suona il tamburello e il flauto. Ci sono anche le canzoni più grevi, cioè quelle cantate da Caliban, Stefano e Trincula. Tutto ciò rappresenta quel filo conduttore che è la musica, che interviene nel testo spesso per accompagnare esibizioni di teatro nel teatro, o le apparizioni o momenti di agnizione, o momenti che la precedono (cioè i momenti di riconoscimento di qualche cosa). La musica inoltre è anche un elemento del masque. Il blackfriars, che è il teatro al chiuso dove i kingsmen tornano dal 1608, era anche uno dei teatri che era molto vicino alla scena musicale della città. Qui venivano rappresentate anche persformanes solo musicali. Probabilmente anche il fatto di averlo rappresentato lì ha inciso sulla scelta di intesserlo di così tanta musica. Il personaggio più musicale è Ariel. Non è un caso, infatti, che proprio lui, man a mano che si procede con gli atti, sia presente ovunque, appare e scompare costantemente. È un elemento lui come personaggio che intesse l’opera e che si porta dietro anche la musica. L’opera è incentrata su un tema apparentemente molto semplice, che sono appunto i viaggi immaginari. È un testo che di solito viene riconosciuto come un testo dell’infanzia, ma in realtà è un testo che ha molto molto di più. Swift vive tra il 1667 e il 1745. Vive fondamentalmente tra il regno di Charles II e George II. Orwell ha scritto due distopie: “1984” e “la fattoria degli animali”. Utopia: è un luogo che non esiste. Distopia: è il contrario. Non esiste comunque, ma è un luogo negativo. “Gulliver’s travels” in particolare è stato letto sia come utopia che come distopia. Viene considerato come il genere che dà inizio anche al genere fantascientifico e distopico della modernità. “1984” è un romanzo distopico in cui viene rappresentata una società che si vorrebbe la società perfetta e che in realtà si scopre che non lo è per nulla, perché sottoposta a un controllo massivo, in cui l’individuo ha perso qualsiasi forma di libertà. Ci sono anche altri romanzi distopici in cui si ipotizza una società che vorrebbe essere utopica perché si riesce con la scienza ad eliminare la fatica, il male, il dolore ecc., e poi si scopre che in realtà tutto questo va a scapito della libertà dell’individuo che implica anche morte, fatica, dolore ecc. Perciò utopia e distopia spesso sono due lati della stessa unità. I viaggi che fa Gulliver sono utopici per Gulliver, perché lui incontra terre che sono terre fantastiche (nelle prime tre trova delle pecche, mentre quando arriva alla quarta pensa di aver trovato la terra ideale). Invece Swift, che gli lavora sempre alle spalle e contro, dimostra che tutto ciò che per Gulliver è utopia, per lui è distopia. Cioè mostra tutte quelle parti negative di queste società che Gulliver sembra non vedere, o che anche quando le vede e se ne accorge comunque le giustifica e non le affronta mai fino infondo. Jonathan Swift “Gulliver’s Travels” (1726) Questa è la prima edizione del testo del 1726. Ci saranno poi tre edizioni più importanti: - 1726. - 1727. - 1735. Orwell nel 1946 scrive un articolo in una rivista che si chiama “Polemic”. L’articolo si chiama “Politics vs Literature: an examination of Gulliver’s Travels”. Orwell coglie 3 elementi essenziali dell’opera di Swift: - Acume e lucidità di visione che Swift ha e che dimostra spesso nell’applicare una satira corrosiva. A volte è crudelissimo nell’affrontare quella che è la realtà del suo tempo. - Rappresenta l’umanità con procedure di distorsione ed esagerazione. Swift è in grado di cogliere la verità sull’essere umano, sulla profondità e la complessità dell’essere umano, e la rappresenta in scrittura usando procedure di distorsione ed esagerazione, ossia strumenti come l’ironia, la satira e la parodia. Il suo cinismo a volte che si collega a queste procedure dell’ironia, della satira e della parodia, è un cinismo che in realtà nasconde una profonda sensibilità nei confronti dell’essere umano. Lui coglie gli aspetti più profondi sia in positivo che in negativo. - Valore durevole dell’opera. L’opera arriva fino a noi e come tutte le grandi opere la possiamo leggere semplicemente come 4 viaggi divertenti anche (perciò viene proposta come lettura nella seconda infanzia), però può essere anche letta come una critica feroce verso la società non solo di Swift, perché lui è anche una specie di profeta della nostra stessa società, perché a sua società fonda le basi della nostra società capitalista. I viaggi, dunque, sono la trama di superficie, il primo approccio/la prima lettura di superficie, e sono viaggi che possono essere utopici o distopici. Viene rappresentata una società modello che si avvicina a questi quattro luoghi che lui incontra, e che viene confronta con la società da cui viene Gulliver. Spesso lo stesso Gulliver critica la società da cui viene, però la critica alla luce di questi modelli. Swift in realtà critica anche i modelli. È un viaggio anche molto profondo nell’animo umano. Il lettore può andare a fondo del testo usando/stando nell’espediente del distanziamento. Il distanziamento Swift lo ottiene (cioè la distanza tra sé e il narratore) tramite la strategia della satira. La satira è un ottimo espediente per porre la distanza fra l’autore che scrive e il narratore, e se il lettore la percepisce è un po’ scomoda a volte perché non fa capire subito che cosa sta dicendo il testo (perché apre due possibilità di letture diverse). Ma se il lettore riesce a stare in questa distanza riesce anche a cogliere anche il significato più profondo del testo. Quest’espediente del distanziamento è una cifra di quanto il testo sia un artefatto, cioè non è scritto così a caso (c’è il lavorio conscio dell’autore). Siamo alla fine del Rinascimento e all’inizio della Rivoluzione civile, scientifica ecc. Inizia poi quella che sarà la Restaurazione. Dopo la guerra civile viene restaurata la dinastia degli Stuart. È anche l’epoca del classicismo e dell’illuminismo, che si svilupperanno via via nel preromanticismo. Contesto storico dell’opera - Segue queen Anne (1702-1714), che è la sorella di Mary. Con lei si chiude la dinastia degli Stuart. È una sovrana anglicana molto apprezzata. Con lei all’interno del parlamento prevalgono i Tories. - Quando però lei muore i Tories sono un po’ divisi, hanno dei problemi al loro interno. I Whigs ne approfittano e mettono al potere l’elettore di Hannover, anche lui di fede protestante, George I (1714-1727). Inizia così la dinastia dei Hannoverian. È teoricamente il pronipote di James, dunque c’è un legame tra i regnanti. Lui però non parla molto la lingua e se ne sta molto in zona tedesca, perciò delega il potere. Per questo la scena politica è governata principalmente dal parlamento. In particolare, un whig, Robert Walpole (che verrà più volte nominata, sotto false spoglie in “Gulliver’s travells”, diventerà il primo ministro ufficiale. È un momento estremamente fertile per la società inglese, perché c’è un forte dibattuto politico all’interno del parlamento, perché c’è un incremento notevolissimo della mobilità sociale, dovuta alla classe mercantile che si arricchiva e scalava la gerarchia sociale. È un momento molto importante dal punto di vista culturale e scientifico. Iniziano ad esserci le coffe houses di varia natura in cui ci si incontrava, spesso si scrivevano libelli o altre forme di periodici ecc., e si discuteva di questione economiche, mercantili, politiche, filosofiche, letterarie ecc. - George II (1727-1760) è il figlio di George I. con lui l’egemonia passa invece ai Whigs. Loro hanno una politica fortemente antifrancese e supportano molto il colonialismo. Hanno un forte rapporto con la middle class, e perciò sono fortemente interessati alla crescita economica del paese. Altro primo ministro molto importante di questo periodo sarà William Pitt (anche lui c’entra con i viaggi di Gulliver). È un’epoca molto particolare perché vi è un’alleanza molto forte tra tre sfere diverse. Da un lato la sfera politica, dall’altro quella economica e poi quella del sapere scientifico. Tutte e tre vanno nella stessa direzione, sono improntate a una visione estremamente utilitaristica del mondo. Cercano ciò che è utile e funzionale per la società e per l’individuo. La sfera politica riguarda il colonialismo, che ha molto a che fare con una mentalità cannibale e predatoria dell’altro. vanno nel nuovo mondo per impossessarsi a tutti i livelli dei territori e delle materie prime. Proprio questo sarà fortemente giudicato da Swift. La sfera economica si basa su una mentalità di tipo mercantile e supportata da principi di stampo religioso puritano e calvinista. Cerca ciò che è utile, cioè il profitto, il denaro. La sfera del sapere (sapere scientifico) porta una visione basata solo su dati, su numeri, su sperimentazione, anche questo in senso utilitaristico. Si tenta di spiegare l’umanità, che è in realtà un complesso di cose, in termini scientifici, qualitativi, numerici. Queste tre sfere sono alleate in questo propendere verso l’utilitarismo, che leggiamo anche in termini di successo economico. È un’età in cui si crede molto nel progresso e nella scienza, c’è in particolare un forte ottimismo. Si pensa che tramite la cultura, soprattutto di stampo scientifico, si possa migliorare tantissimo la condizione umana, e migliorarla a livello collettivo, non individuale. Poi però quando si arriva nei paesi colonizzati lo si dimentica in qualche modo perché la collettività è solo quella inglese. Si passo poi allo stadio successivo negativo, in cui la collettività divento solo “io” ed è solo l’individuo ad essere importante. Il fatto di scoprire che l’uomo non era al centro dell’universo, perché la terra non stava al centro dell’universo, cambia l’intero sistema di valori dell’epoca. L’uomo si sente spodestato dal posto che gli aveva dato Dio al centro dell’universo. Il classicismo e l’illuminismo è un’epoca in cui troviamo ancora più scoperte scientifiche, già iniziate con l’umanesimo e il rinascimento. XVII-XVIII Sec: È fondamentalmente un’età caratterizzata da uno spirito critico fortemente razionalistica. Gli uomini sono mossi all’estrema curiosità perché si aprono mondi nuovi e tecnologie nuove. Sono mossi all’indagine e alla sperimentazione. L’etica capitalistica soppianta i valori aristocratici perché è legata allo sviluppo della classe sociale, che poi diventerà la borghesia, e che crede che la posizione che si acquisisce nella vita non sia semplicemente ereditata, ma viene costruita dall’individuo, l’individuo cioè è in grado di operare sulla sua stessa vita. È questo che si intende per concezione mobile e dinamica dell’assetto sociale. È da legare questa concezione all’ideologia Whigs perché questi credono, ad esempio, in un commercialissimo/colonialismo sfrenato. Si passa in qualche modo dal regime fondamentalmente aristocratico degli Stuart ad un impero coloniale e commerciale, che è quello che si inaugura con la nuova dinastia degli Hannover. Un ‘altro aspetto ideologico che cambia e che caratterizza quest’epoca è la cultura religiosa. Cambia a partire dal 1534 con la riforma protestante di Enrico VIII. A partire da quella riforma Umanesimo e Rinascimento Classicismo e Illuminismo • Riscoperta cultura classica. • Scoperte scientifiche, che avevano cambiato l’assetto del mondo. • Esplorazioni geografiche, iniziate con Enrico VII. CAMBIO SISTEMA VALORIALE (J. Donne: “And new philosophy calls all in doubt”, An Anatomy of the world, 1611) • Razionalismo estremo. È l’epoca della ragione. • Empirismo, le cose si devono testare, ci deve essere la sperimentazione completa. • Sperimentazione scientifica. • Viaggi nel nuovo mondo, che permettono di ampliare ulteriormente il panorama. • Colonizzazione. • Etica imprenditoriale del lavoro, legata allo sviluppo della borghesia mercantile, che implica la possibilità di mobilità sociale. • Sviluppo borghesia mercantile. • Mobilità sociale. • Inizi società liberale e capitalistica. inizia una pluralità di visioni religiosa che si intrecciano però sempre alla politica. I Tories sono più tradizionalisti e sostengono la chiesa anglicana centralizzata, dunque quella ufficiale. I Whigs invece spesso si mostrano più aperti verso estremismi vari. È anche l’epoca dello sviluppo del sapere empirico. È l’poca di Newton, Locke, Hobbes, Bacon, Bacone. In ambito scientifico e filosofico ci sono dunque nomi importantissimi. Newton con le leggi sul moto e la gravitazione universale cambia totalmente il senso di capire e interpretare la realtà. Locke con il suo saggio sull’intelletto umano, che spiega come funzione l’intelletto umano. Non solo il mondo si presenta in modo diverso, ma si ha anche bisogno di nuovi criteri per capire come interpretare questo mondo diverso, e la scienza è da dove partono. Questo passaggio implica un credere che l’uomo sia molto più potente della natura, perché riesce a dominarla. In questo momento dunque l’uomo si sente di potere e dovere dominare la natura. Per il sapere scientifico è fondamentale la Royal Society, che è la più antica società scientifica inglese fondata nel 1660. Esiste ancora oggi e ancora oggi credono che la scienza possa essere utile (etica utilitaristica) per l’umanità. Lo scopo istituzionale della Royal Society è lo sviluppo della conoscenza della scienza tramite la realizzazione di esperimenti scientifici e la raccolta dei relativi dati al fine di sistematizzare il sapere scientifico per il benessere della società. L’importante è avere dei criteri scientifici, ossia oggettivi (che non sono discutibili a livello individuale), per classificare, conoscere e utilizzare quella che è la realtà, per il benessere della società. Il metodo che fa conoscere la realtà è quello empirico oggettivo, basato sull’esperienza e sull’osservazione diretta, perciò sulla sperimentazione diretta e sull’accumulo statistico dei dati. Il moto della Royal Society è “Nullius in verba” =non fidarti di nessuno, devi sperimentare. La Royal Society esercita un enorme peso a livello culturale sulla società inglese e patrocina l’esperienza e la vita del viaggiatore scienziato (uomo che viaggia e va a raccogliere dati in giro, come ad esempio poi sarà Darwin). Lezione 05/11/21 L’ambito letterario di questo periodo si può dividere in due macrofasi: 1. 1740-1745: è la fase che viene generalmente definita come età augustea e razionalistica. C’è in questo momento una forte compattezza di ideologie, perciò anche di intenti, e cominciano i nuovi sviluppi in vari campi. Il tutto è improntato all’empirismo e al razionalismo. 2. 1745-1760: qui continua lo sviluppo della prima fase, ma c’è una specie di minor vigore creativo, e compaiono anche i primi segni del preromanticismo, ossia “the age of sensibility”, il culto della sensibilità dell’interiorità individuale ecc. Nella prima parte del XVIII secolo la logica discorsiva del razionalismo prevale su quella che è la parte fantasiosa. Questa tendenza razionalistica è fondata su un atteggiamento empirista, che cerca Ambito letterario vengono affidati da Temple vari incarichi, questa volta di tipo diplomatico. Viene presentato a corte, perciò comincia anche ad andare e stare a Londra. Nel frattempo, nel 1701, si addottora in teologia presso il Trinity College di Dublino, però inizia anche questa vita politica attiva. 1700-1710: comincia la sua notorietà in ambito londinese, e comincia ad essere riconosciuto sulla scena pubblica sia politica che letteraria, perché cominciano anche i suoi rapporti con i vari intellettuali della scena londinese. 1700-1714: fa la spola tra Irlanda e Londra fondamentalmente, e tenta sia la carriera ecclesiastica che quella politica. Si schiera prima dalla parte dei Whig, però alla fine rimarrà disgustato dal fatto che i Whig si alleano con i cosiddetti non conformisti, o detti anche dissenzienti, che sono quei cristiani che si sono separati dalla chiesa ufficiale inglese. Per questo dal 1710 circa passa dalla parte dei Tories, ossia quando gli viene affidata la direzione di un periodico che si chiama “The examiner” e che è il periodico del partito dei Tories. 1711-1714: è il suo periodo di maggiore attività e di influenza politica. Nel 1713 diventa poi “Dean”, decano, della cattedrale di St. Patrick di Dublino. Nel 1714, momento di crisi per i Tories (divisi al loro interno) di cui si approfittano i Whigs, Swift si schiera definitivamente con i Tories, perché il suo animo è più quello di un conservatore. In qualche modo poi si rifugia e rimane in Irlanda, si ritira nel suo decanato a Dublino. Abbandona l’ambito politico di Londra. Tornerà poi al Londra nel 1726 per incontrare il primo ministro Walpole per discutere di alcune cose che avranno poi un risvolto nei viaggi di Gulliver. Nei 12 anni che seguono rimane definitivamente in Irlanda. Abbraccia poi la causa irlandese contro la sopraffazione inglese, ma gli inglesi in più modi riescono ad avere la meglio sugli irlandesi. Si schiera anche contro il proliferare delle minoranze religiose e preferisce stare con la chiesa ufficiale che è quella anglicana. È un uomo estremamente colto, intelligente, acuto, sensibile (il che lo porta a indignarsi costantemente per un sacco di cose), ed è anche molto completo. È uno scrittore sia poliedrico che molto controverso. È considerato in linea generale un misantropo. È un conoscitore e scovatore molto profondo dell’animo umano, proprio per la sua sensibilità. È molto interessato sia alla vita sociale che politica, ed è tendenzialmente un conservatore in questo. È interessato anche all’interiorità dell’uomo ed anche vero che non è mai eccessivamente ottimista nei confronti dell’umanità, nel senso che lui definisce l’uomo come “un animale dotato di ragione”, però dice che la ragione la deve usare in modo corretto, non può credere che la ragione sia l’unico strumento che ha. Inizia scrivendo poesia, ma è molto mediocre, perciò, ha dei riscontri un po’ negativi dai colleghi. Si dimostra invece un eccellente prosatore. Scrive poi anche saggi, articoli di giornale, libelli, opuscoli, satire, sermoni, anche la narrativa e i romanzi. Si applica in più forme di prosa. Swift sostiene che bisogna avere molto rispetto della cultura classica, poiché è da lì che veniamo. C’erano invece altri che volevano dare maggiore importanza alla contemporaneità. Nel 1712, con Alexander Pope, fonda un club, chiamato “Scliblerus”, che il nome di un personaggio fittizio inventato ed è uno scribacchino, tramite il quale loro dimostrano come in realtà bisogna far conto sulle conoscenze che derivano dai classici, altrimenti si hanno gli stessi effetti nella scrittura che ha questo scribacchino. Si divertono a scrivere libelli, scritti in una forma deplorevole, per dimostrare che bisogna avere una conoscenza approfondita dei modelli classici per potere essere dei moderni che scrivono bene e che sanno anche il fatto loro. Swift scrive anche diari. Aveva anche due figure femminili nella vita con le quali non si sa bene quale fosse la sua relazione, però sicuramente erano molto importanti. Le lettere che scrive a stella mostrano molto la sua sensibilità di uomo. I testi maggiori di Swift sono: - “The battle of books” (1704): è un testo che è basto sull’argomento della battaglia tra gli antichi e i moderni. Lui difende chiaramente la posizione degli antichi. La forma è quella della satira. - “A tale of tub” (1704): è una storia satirica, ma anche allegorica, sulle varie controversie religiose dell’epoca. - “An argument against abolishng christianity” (1708-11): qua fa uso dell’ironia per mostrare l’ipocrisia dei non credenti. Dal titolo invece può sembrare il contrario (è la sua tipica strategia di ribaltamento). - “The conduct of the allies” (1711). - “A proposal for correcting, improving and ascertaining the english tongue” (1712): questo è l’unico opuscolo che esce con il suo nome, tutti gli altri sono anonimi. Questa proposta per il miglioramento della lingua inglese è una cosa che sta in linea con quello che avrebbe tentato di fare da lì a poco la Royal Society. Sarà anche un argomento che viene rivisto in Gulliver’s travels, nel terzo viaggio. - “Journal to Stella” (1710-13): lettere private a stella, in cui mostra l’uomo che era. - “A proposal for the universal uses of irish manufactures” (1720): qua denuncia lo sfruttamento inglese dei prodotti irlandesi. - “Drapier’s letters” (1724-5): sono molto importanti anche per i viaggi di Gulliver. Hanno la forma di lettere, però in realtà è una finzione narrativa. Sono contro i soprusi dell’amministrazione inglese, la quale conia delle monete di basso valore per Irlanda, vende queste monete all’Irlanda, se le fa pagare con l’oro o con l’Argento, ma il valore non è quello realmente corrisposto. L’Irlanda cioè paga un tot di valore in oro o in argento, che in realtà è molto superiore al valore effettivo delle monete che l’Inghilterra vende all’Irlanda, ed è un modo per impoverirla. Questa accusa sotto forma di lettere implica e fa il nome di un certo Wood che era il fabbro che era stato autorizzato dal governo inglese a produrre queste monete e Swift riuscirà così che la concessione data a Wood venga revocata. Aiuta perciò l’Irlanda in maniera concreta. - “Gulliver’s travels” (1726). - “A modest proposal for preventing the childrem of poor people from being a Burthen to their proposal or country, and for making them beneficial to the publick” (1729): è una feroce, terribile, e corrosiva ironia, perché lui dice che il problema delle famiglie povere irlandesi va risolto vendendo i bambini poveri a ricchi, che se li mangiano. A fa delle descrizioni che sono ancora adesso fastidiose, ad esempio dice che il bambino di 15 anni ha la carne un po’ più soda, la devi dunque cucinare di più, il bambino più piccino invece lo vendi di più, però vengono dei piatti a bocconcino. Usa la satira in maniera estrema proprio per raccontare il contrario, per far vedere in che società si è arrivati, in cui tutto si monetizza, e in cui si può arrivare a monetizzare anche i propri figli per poter sopravvivere. Denuncia in realtà l’andamento della società. - “Verses on the death of Dr. Swift” (1732-39): era un uomo anche autoironico, e scrive perciò il suo stesso necrologio. Scrive dei versi sulla sua stessa morte. Intorno al 1742 viene giudicato labile di memoria e di intelletto, e muore pochi anni dopo. Riassumendo: - A caratterizzare Swift è una vena polemista estrema, non nel senso negativo, ma nel senso che si pone sempre in maniera critica rispetto alle cose. - Il suo linguaggio ha una forza argomentativa estremamente convincente. - Ha un’abilità mimetica di calarsi nei suoi narratori, che all’inizio fa vedere come narratori molti affidabili, che sanno il fatto loro e che stanno dicendo la verità, per poi subito dopo sbugiardarli e metterli in crisi in qualche modo. - Lo caratterizza un’estrema abilita satirica, cioè è in grado di estremizzare il reale, lo ribalta del tutto fino all’inverosimile. Questa è una forma di de familiarizzazione e di straniamento, cioè il lettore si trova estraniato e non riesce a capire ciò che vuole dire il narratore o l’autore, e questo estraniamento è una possibilità di pensiero critico, o non si capisce oppure si comincia a cercare un significato. A questa caratteristica è unita anche la sua dialettica di inversione, cioè quella di ribaltare e invertire quello che è reale e quello che non lo è, oppure di esagerare. - Lo caratterizza anche una concezione unitaria e umanista dell’uomo, nel senso che lui crede che l’uomo sia un’interazione tra ragione e spirito, le due cose non vanno separate. - È un conservatore, nel senso che per lui è importante, comunque, la gerarchia e si sente di dover ubbidire a Dio e al re. - È un profeta pessimista dell’epoca contemporanea. Lui tratteggia dei panorami che possono tranquillamente essere quelli che stiamo vivendo oggi. - Quest’istanza umanista e unitaria che lo guida si scontra invece con quella utilitaristica, divisionista, positiva della sua epoca, in cui tutti si scontrano con tutti. Lui è un uomo che cerca compromessi e cerca di tenere insieme le cose, poi si scontra con una realtà che è molto diversa e tende alle opposizioni e alle divisioni, non al cercare di rimettere insieme le cose. Anche T.S. Eliot parla di quest’opera in un articolo in cui in realtà sta parlando dell’opera di Joyce “Ulysses”. L’articolo si chiama infatti “Ulysses, Order, and Myth” (1923). In particolare Eliot definisce “Gulliver’s travels” come “one of the greatest triumphs that the human soul has ever achieved”. Lui capisce che è un testo completo, che ha tanti livelli di lettura. Gulliver’s travels proprio pe questo è un testo che da un lato è utopico-distopico, ma dall’altro anche fantascientifico, perché coniuga vari aspetti. Le prime edizioni: Gulliver’s travels La riflessione sulla propria epoca viene fatta da Swift tramite strumenti della satira e della parodia. La satira è tagliente e quasi sempre spietata, e la sferra sempre Swift, non Gulliver (oppure lo fa, ma in maniera inconsapevole). La satira di Swift si scaglia contre tre obiettivi: - La società e la politica inglese. In particolare, viene criticato lo spirito divisivo, ossia quella tendenza a opposizioni, a fazioni che si oppongono, i conflitti religiosi tra cattolici e protestanti, i conflitti all’interno del Parlamento tra Tories e Whigs, l’amministrazione della giustizia, il problema irlandese, il rapporto tra Robert Walpole (primo ministro) e il potere regale, la tendenza espansionistica sfrenata collegata al fenomeno coloniale e supportata dai Whigs. Tutti questi aspetti vengono criticati. - La satira è indirizzata anche contro l’ideologia progressista, che implica da un lato la fede nel razionalismo estremo, dall’altro la fede nell’individuo di migliorare sempre, di poter migliorare il proprio status. Critica, dunque, l’ascesa indiscriminata della borghesia commerciale e un’eccessiva mobilita sociale (egli amava l’ordine e la gerarchia, se tutti si spostano di classe sociale si rischia l’anarchia, si rischia la minaccia dell’ordine precostituito). Lui coglie anche un’altra cosa nella sfrenatezza utilitaristica dei Whigs, dice che cioè questa cosa rischia di aumentare una tendenza umana che tutti hanno e che è quella dell’egoismo e dell’opportunismo. Lui teme che questa nuova mentalità porti alla disgregazione della collettività, dando un’eccessiva importanza all’individuo e dimenticandosi che si è in una collettività. L’uomo non solo è unitario perché ha materia e spirito, ma è unitario anche nel suo essere insieme ad altri individui della collettività. - La satira va anche contro il nuovo sapere della società. Il nuovo sapere implica l’egemonia crescente della ragione, che secondo Swift deve avere dei limiti, ma anche dell’intelletto che è uno strumento fantastico, ma che secondo lui non viene usato nel modo opportuno. Egli dice poi che non si può pensare di superare i limiti imposti da Dio. Ragione e fede devono coesistere insieme, una non esclude altra. Egli era anche preoccupato per lo sviluppo della meccanicizzazione della società. Lui non nega l’importanza della tecnologia, anzi sostiene che per aiutare la produzione agricola irlandese potrebbero fra riscorso ai nuovi strumenti tecnologici. Lui dice che laddove la tecnologia è impiegata per il bene comune, è bene utilizzarla. Quando questa dà sfogo agli appetiti individuali, solo egoistici, Swift invece la critica. L’oggetto della parodia invece è fondamentalmente la letteratura di viaggio. Questa è in stretta connessione con il nuovo sapere quello scientifico e tecnologico. Se lui critica questo tipo di letteratura, allora critica l’ideologia che sta sotto questa letteratura. La letteratura di viaggio usa una scrittura che è molto simile alla scrittura che ad esempio usano le riviste della Royal Society; perciò, è una scrittura scientifica e dettagliata, che si troverà anche nel primo viaggio di Gulliver, dove Swift prende e la parodizza, la rende poco credibile (la usa, ma ne mostra gli effetti negativi). Usa questo linguaggio per parlare di cose inesistenti (vorrebbe farsi credere oggettivo e credibile). Mostra così come un linguaggio che dovrebbe essere oggettivo, scientifico, obiettivo, in realtà possa veicolare delle falsità, e mostra dunque che non c’è sicurezza. Mostra cioè i limiti di un linguaggio, che sono però i limiti anche dell’ideologia che sta sotto quel linguaggio. Swift non accetta mai le cose così in maniera critica, problematizza tutto (è un suo modo di pensare e di scrivere). Non è però solo critico, spesso cerca anche delle soluzioni. Coniuga poi la satira e l’ironia con l’elemento fantastico, perché racconta comunque di viaggi fantastici. Tutto questo fa sì che i viaggi di Gulliver siano al tempo stesso: - Utopia: perché Gulliver crede moltissimo in quello che vede. Nei suoi viaggi incontra popolazioni che sono via via più perfette ai suoi occhi. Per lui i luoghi che incontra sono dei modelli da seguire. - Gli stessi luoghi e personaggi in realtà Swift dimostrerà, tramite la satira, come non siano per nulla utopia, ma come siano pieni di elementi fallaci che in realtà potrebbero renderle delle distopie. - L’elemento fantastico che viene inserito ne fa anche un testo che un po’ presagisce i romanzi di fantascienza attuali (i romanzi in cui la scienza viene usata in modo fantastico). È un testo talmente ricco di spunti che sono rintracciabili in qualsiasi contesto storico, sono declinabili in qualsiasi epoca. Questi quattro viaggi ci danno la possibilità, comunque, e sempre di rappresentare degli specchi più o meno deformanti e deformati per riflettere in maniera critica, pensata, sul reale. La satira e la parodia sono due modalità diverse, ma complementari. È un testo scritto sicuramente in maniera conscia e non inconscia. È l’autore stesso ad usare la capacità critica, la ragione, la consciousness, per scrivere un testo che mostra i difetti di un’eccessiva consciousness. Elementi formali e differenza tra satira e parodia. Satira e parodia sono delle strategie formali. Lo stile del romanzo in realtà è molto semplice, molto razionale, preciso ed economico. Il testo non dice mai cose complicate dal punto di vista sintattico. La lingua è molto semplice, le frasi sono tutto sommato semplici. C’è molta economia linguistica. Satira: - È più ampia, ha dei bersagli più ampi. La parodia, invece, è più limitata. Swift usa la satira come tecnica critica fondamentalmente. La satira ha come bersagli primari fondamentalmente degli aspetti sociali, culturali. - Mira comunque a far ridere comunque, passando da vari gradi. Da un umorismo lieve in realtà arriva anche ad un sarcasmo molto indignato e cinico che critica valori, personaggi (li deride), critica argomenti che sono sociali, politici, etici, morali. Nelle arti e nella comunicazione di solito quando si parla di satira si fa riferimento anche all’uso dell’ironia, derisione, scherno, umorismo, esagerazione a scopo sia critico (perché viene usata per fomentare una riflessione critica), ma anche didattico (perché se si riflette, si impara qualcosa). La satira va a sottolineare le pecche in ambiti molto ampi, come quelli sociali, politici, economici, ecc. - Una cosa fondamentale per la satira è che si basa sullo straniamento. Lo straniamento è quello strumento che permette al lettore di allontanarsi, di stupirsi magari di qualcosa che non capisce, però proprio per questo di riflettere in maniera autonoma e critica su quello che sta vedendo. Il testo satirico di solito mi mette di fronte a delle contraddizioni o a dei fastidi. A questo punto o chiudo il libro p cerco di risolvere e capire quel fastidio. Facendo questo alleno il mio pensiero critico. Lo straniamento è un’altra forma di defamiliarizzazione. - Perciò implicitamente ha sempre una potenzialità didattica la satira. Proprio perché mi allena al pensiero critico e all’autonomia del giudizio, l’insegnamento eventuale che ne ricevo non è dogmatico, non mi dice cioè di pensare una determinata cosa, ma mi mette di fronte a un problema e mi dice arrangiati, il che vuol dire che sono libero di pensare. Lo strumento satirico è, dunque, estremamente potente perché implica l’intelligenza del lettore, perché se non lo è non coglie neanche lo straniamento e non inizia neanche il processo di riflessione. Se invece il lettore coglie lo straniamento è anche libero di portarlo avanti da solo. - Per fare satira Swift usa delle strategie retoriche che si basano sul contrasto, eccesso, deformazione, ribaltamenti, enumerazione eccessiva, ripetizione, giochi di parole, sarcasmo, ironia, rapporto fra autore e narratore (Swift vs Gulliver). Nel caso di “Gulliver’s travels” la satira si esplica soprattutto grazie al distanziamento fra autore e narratore. Guliver innanzitutto ha dentro di sé un riferimento implicito Gul, come imbrogliare, e Gulible come colui che è un credulone. Swift fa sì che Gulliver racconti delle cose e lui, cioè Swift, ci fa vedere alle spalle che non sono poi veramente così e non le sta capendo bene Gulliver. Se noi cogliamo questa differenza/margine tra i due, e di conseguenza l’incapacità di Gulliver di vedere la realtà in maniera critica (di rendersi conto dei problemi che hanno le quattro società che incontra, e di riflesso la società che ha a casa), noi riusciamo a stare dalla parte di Swift e riusciamo a indignarci delle stesse cose di cui si indegna Swift, e che Gulliver non vede o se le vede, le sorpassa molto velocemente. Il distanziamento è, dunque, anche un elemento fondamentale che Swift usa per applicare la satira e per dimostraci quanto Gulliver sia inconsapevole ed ingenuo. Parodia: - È diversa dalla satira perché ha dei bersagli che sono in realtà solo testuali. Di solito la parodia, in linea di massima, è un’imitazione umoristica di uno stile letterario. Si prende uno stile letterario serio ed aulico, e lo si trasforma in senso ironico, e lo si svaluta così in qualche modo. Si usa una forma linguistica consolidata e la si svaluta. È la stessa cosa che fa Swift nel proprio romanzo. Egli usa cioè dei linguaggi specifici, ad esempio quello scientifico della Royal society o quello marinaresco, e li svalorizza. Perciò alla base della parodia c’è un modello testuale specifico e linguistico che viene svalutato. Questa pluralità che troviamo all’interno del testo (perché poi questo fa sì che all’interno del testo ci siano lingue diverse, strategie linguistiche diverse, riferimenti lessicali diversi) rappresenta ed è coerente anche con la complessità non solo del testo, ma anche di Gulliver, perché anche lui è una varietà di cose. All’inizio Gulliver ci viene presentato come uno scienziato, un medico, però è anche un viaggiatore e un navigatore che fa esperienza di marinaio. Gulliver, però, è soprattutto un narratore, che narra sia dal punto di vista della scrittura (perché il testo, se accettiamo la finzione, l’ha scritto lui), ma narra anche oralmente quando nei vari paesi incontra personaggi importanti e Swift. Ci racconta comunque qualcosa sui contenuti del testo e anche sullo stile del testo, perciò dialoga col testo effettivo. Va sottolineato che esistono due livelli: 1. Fuori di finzione c’è Swift che scrive Gulliver’s travels, manoscritto che lui dà anonimamente a Motte, l’editore che lo pubblica nel 1726, facendo dei tagli. Swift legge questa cosa pubblicata nel 1726 e si lamenta tramite l’amico Forde, il quale, tramite una lettera, fa avere a Motte le cose da modificare. Motte tiene conto di questo e farà una seconda edizione, pubblicata nel 1727. Poi ci sarà una terza edizione. Qui siamo cioè fuori finzione. È quello che accade realmente. 2. Dentro finzione l’autore del testo si chiama Gulliver, il quale dà il manoscritto del suo racconto al cugino Richard Simpson, il quale lo dà all’editore Motte. Uno di questi paratesti è un’avvertenza che il cugino Simpson dà al lettore, pubblicato nel 1726. Dentro finzione nel 1727, Gulliver scrive una lettera al cugino Simpson lamentandosi di tutti i tagli che lui ha fatto al manoscritto. Questo fuori di finzione corrisponde ai tagli che ha fatto Motte l’editore. Nella lettera che Gulliver scrive al cugino lui si lamenta non solo del fatto che il cugino Simpson ha fatto dei tagli, ma li ha fatti anche lo stesso editore Motte. Questa lettera viene scritta nel 1727, ma non viene pubblicata nell’edizione del 1727 (nella realtà). La lettera nella realtà sarà inserita nell’edizione del 1735. Tra i paratesti troviamo: - “The publisher to reader”: è del 1726 e si trova nella prefazione della prima edizione di Motte. - “A letter from Capt. Gulliver to his cousin Richard Sympson”: è del 2 aprile 1727. La scrive Swift nella realtà, ma nella finzione è Gulliver che la scrive al cugino Symson. In realtà una lettera effettiva c’era ed era quella che Charlse Forde aveva inviato a Motte. Anche se nel libro è datata 1727, viene pubblicata nei “Gulliver’s Travels” solo nel 1735. - “Andvertisement”: è del 1735. Nell’edizione inglese sono messe in ordine contrario e non cronologico. I primi due sono importanti perché forniscono da subito le coordinate contenutistiche e stilistiche di “Gulliver’s travels”. Ci danno, cioè, subito degli indizi su come leggere il testo in una chiave critica. “The Publisher to the Reader” In italiano viene tradotto come “il curatore al lettore”. Il curatore è Richard Symson. È quello che Richard Sympson racconta al lettore, per introdurlo nel testo. Lui dice al lettore che il testo è veritiero, che racconta solo cose vere e che suo cugino Gulliver è uno che dice solo la verità. Poi, però, scopriamo che ci sono implicitamente degli elementi che potrebbero farci capire che è il contrario. Sympson rassicura il lettore dicendo di essere parente di Gulliver, e dunque di fidarsi di ciò che racconta. Nella finzione Gulliver dà al cugino il manoscritto, questo prima di darlo a Motte dice di averlo riletto tre volte. Dice che c’è una falla nel testo, e cioè che è troppo dettagliato (proprio come fanno quello che scrivono i resoconti di viaggi). Dice che c’è un’aria veritiera e già qua ci viene il sospetto. Poi dice che lui è stato molto dettagliato, ma anche che Gulliver si riconosce da subito perché dice sempre la verità, a tal punto i suoi vicini a Redriff quando qualcuno diceva una cosa vera, per dire che era vera dicevano “che era vera come se fosse uscita dalla bocca del signor Gulliver”. Lui continua ad affermare che questo racconto e l’autore sono veri. Dice di aver dovuto accorciare, perché altrimenti il testo sarebbe stato quasi il doppio. Questo perché c’erano troppe descrizioni minuziose e dettagliate, per esempio di come si gestisce una nave durante la tempesta, proprio come fanno i marinai. Allora lui dice che questo libro è stato scritto in maniera veritiera, come fanno i travelers e come fanno i marinai (che hanno un linguaggio molto preciso), ma dice anche che è troppo e che lui ha dovuto tagliare. Il lettore (soprattutto dell’epoca) che era abituato che il senso di verosimiglianza e di oggettività gli veniva da stili così, cioè da uno stile molto dettagliato e scientifico, e un linguaggio preciso. Perciò il lettore comincia qui a stupirsi. Egli dice di andare incontro alle esigenze del lettore. Dice cioè che il lettore, magari, non avrebbe potuto capire; perciò, egli si adatta alle esigenze del lettore. A questo punto come fa il lettore a fidarsi se Sympson ha manomesso così tanto il manoscritto. Poi dice al lettore di non preoccuparsi, e che se vuole vedere il testo originale basta venire da lui che ce l’ha. Sappiamo, però, che tutto ciò è finzione e che non esiste nessun Sympson. Altra cosa implicita che ci fa dubitare che la verosimiglianza non sia così premiante è che all’epoca il cognome Sympson poteva ricordare quel William Sympson che scriveva resoconti di viaggio falsi. Tutti questi sono tanti modi in cui Swift ci sta aiutando a capire che il testo che andiamo a leggere è un testo che si afferma verosimile, ma che in realtà poi potrebbe non essere così. Facendo questo egli vuole mettere in discussione l’ideologia della sua società. Questo era il modo per Swift di scrivere un romanzo che fosse comprensibile da un punto di vista superficiale, e dall’altro lato era un modo di rendere il testo molto più complicato per sviluppare spirito critico nel lettore. “A letter from Capt. Gulliver to his cousin Richard Sympson” Questa ha degli elementi che interagiscono molto con l’ultimo capitolo del libro. Questa viene scritta nell’anno 1727, e pubblicata solo nell’edizione del 1735. Qui è Gulliver che risponde a suo cugino. Egli dice di avergli dato il manoscritto e lui, invece, ne ha pubblicato una versione molto rozza e scorretta. Già qui il lettore si preoccupa circa la veridicità del testo. Gulliver fa riferimento a Dampier. Cugino nel senso di una persona vicina. È un autore che scriveva resoconti di viaggio veri, quindi fa riferimento a qualcuno che scrive resoconti veri (e anche lui voleva stare su quello stile là). Gulliver dice poi al proprio cugino di non averli consentito di cambiare le cose, di omettere delle parti, di inserire delle parti. Nela realtà, l’episodio poco celebrativo di Queen Anne era stato modificato dall’editore Motte, cosa che a Swift non era piaciuta per nulla. Swift allora si lamenta tramite l’amico Forde, che scrive una lettera a Motte. Nella finzione è Gulliver che si lamenta di Sympson, perché nella finzione è lui che ha cambiato questo pezzo. Dice di non essere d’accordo con questo. Gulliver dice al cugino che ha cambiato talmente tanto il testo che lui, che l’ha scritto, fatica a riconoscerlo. Qua il lettore comincia a spazientirsi. Dice poi che non solo Sympson ha tagliato e inserito delle parti, ma anche Motte che l’ha pubblicato ha confuso e fatto errori di tipo cronologico. Inoltre, Gulliver dice che gli è giunta notizia che il manoscritto è andato distrutto. Questa è finzione. Nella realtà sappiamo che Swift nel 1735, quando collabora alla nuova edizione, non ha più il manoscritto originale, perché l’ha perso da solo. Poi Gulliver dice che manda a Sympson delle correzioni da inserire. Verso la fine dice che i lettori arrivano a pensare che il mio libro di viaggi sia solo pura finzione. Da subito quindi non sappiamo più di chi fidarci a questo punto. Questa è una strategia che Swift usa per invalidare quasi da subito il senso di verosimiglianza che il testo in realtà vuole a tutti i costi testimoniare. Il testo quindi si dice veritiero, ma lo fa mentendo. Swift mira a demistificare, a svalutare, la retorica empirico-oggettiva dell’epoca, che è tutta quella modalità di esprimersi che usa i dettagli, la logica discorsiva precisa, molte liste (come faceva la Royal Society). Facendo così Swift non vuole solo demistificare la retorica empirico-oggettiva, ma anche l’ideologia che la sostiene, cioè il credo assoluto nella ragione che l’epoca aveva. Una lettura dei quattro viaggi Per capire i quattro viaggi si possono seguire diversi fili conduttori. Interessante è quello proposto da Sertoli. Egli propone di leggere i quattro viaggi alla luce di un’opposizione fra ragione/intelletto e corpo/fisicità. Questo perché dice che in quest’epoca la ragione è la cosa prevalente, c’è l’utopia della ragione e si crede che solo la ragione renda l’uomo virtuoso, e si tende, invece, a svalutare tutta quella parte che non è solo fisica e corporea, ma anche materica, anche quella delle passioni e degli impulsi. Gulliver durante i viaggi cerca la sua utopia, il suo luogo ideale. Il suo luogo ideale è il luogo della ragione (utopia della sua epoca). La sua utopia è un’utopia che idealizza la facoltà della ragione, il sapere razionale e il sapere scientifico. Per questo egli svaluta le passioni, le pulsioni, il corpo, la materialità, che viene vista come scarto. Spesso nel romanzo la materialità viene descritta in termini di escrementi. I quattro viaggi conducono sempre più Gulliver verso la sua utopia. All’inizio le società che incontra sono utopiche, ma non del tutto, hanno dei difetti (le prime tre). Quando arriva all’ultima società trova la sua panacea, perché lì la virtù è di questi cavalli saggi, che sono pura razionalità. In questa società però esiste (siccome la materialità non può essere espulsa del tutto) la materialità ed è tutta relegata a questa sub specie di animali/uomini che si chiamano Yahoos. La cosa buffa che permette al lettore di capire, invece Gulliver che è un po’ tonto non capirà fino alla fine, è che in quest’ultima terra egli viene attaccato da una femmina Yahoo perché lei lo considera uno della sua specie. Ci sono dunque delle incongruenze di cui tener conto. Confronto tra Gulliver e Swift Da un lato c’è Gulliver con la sua utopia, nella quale durante tutti e quattro i viaggi crederà sempre, anche messo di fronte a problemi e incongruenze. Lui rimane ceco di fronte ai risvolti negativi dell’utopia razionalistica e del credo assoluto nella ragione. Lui crede nella cultura moderna. Dall’altro lato c’è, invece, l’utopia di Swift che è l’esatto contrario, perché lui crede nell’uomo in cui le cose si uniscono (utopia umanistica). Swift, dunque, in realtà critica molto l’uomo e il suo credere di poter arrogarsi qualche diritto sulla natura e sugli altri uomini, critica l’eccesiva fede nella ragione e nel progresso scientifico-tecnologico, nell’etica del profitto e nell’utilitarismo. Utopia di Gulliver=antiutopia di Swift. Non corrispondono. che Swift fa mettendosi nei panni de lillipuziani è interessante perché aiuta il lettore a straniarsi da cose conosciute. Swift lo farà anche con tutto il resto. Chapter 3 Qui entriamo nel vivo della descrizione della corruzione politica di Lilliput, che metaforicamente rappresenta la corruzione politica inglese. Gulliver dice che le alte cariche del governo non vengono date per meritocrazia. Ci sono dei piccoli “divertisements” che l’imperatore usa, tramite i quali i canditati alle alte cariche ce l’hanno o no. Questi espedienti divertenti sono: 1. Danza sulla fune (dance on the rope): c’è una fune e il candidato che salta più in alto vince il posto di, ad esempio, tesoriere piuttosto che un’altra carica. È una metafora diretta al fatto che anche in Inghilterra le cariche governative o quelle all’interno del parlamento, non venivano date per merito, ma per conoscenza o altre vie. Swift porta qui all’estremo una situazione. Sta esagerando, ma è questa esagerazione che gli permette di mettere in atto il sistema della parodia e della satira. Flimnap è colui che salta in in alto. È il rappresentante di Walpole, che era un whig. C’è poi l’amico di Gulliver Reldresal. Gulliver a Lilliput ha amici e nemici: Flimnap è suo nemico, mentre Reldresal è un suo amico. Era anche un salto molto pericoloso, perché comunque potevano rompersi qualcosa. A Gulliver viene detto che prima del suo arrivo, Flimnap è caduto se non ci fosse stato un cuscino si sarebbe rotto il collo. Walpole ha dovuto dimettersi nel 1717 per vari motivi. Poi con il sostegno della duchessa di Kendal è tornato in gioco. Allora il cuscino, per i lettori dell’epoca, era l’appoggio avuto dalla duchessa. Il testo è ricchissimo nella sua invenzione e fantasia di un sacco di legami con la realtà storica dell’epoca. 2. C’è poi una gara di agilità. L’imperatore alza e abbassa un’asticella e i canditati devono salire o sorpassare sopra o sotto. Il più agile avrà delle onorificenze. Questo è un primo mento in cui descrive la corruzione dei lillipuziani. Egli cioè la riconosce, ma non gli basta per dire che questa società, per quanto basata sulla conoscenza scientifica e razionale, sia corrotta. Cercherà sempre di giustificarli. Poi sempre in questo capitolo fa una descrizione molto dettagliata dell’esercito. Poi c’è un altro momento straniante. Vedono una cosa stranissima sulla spiaggia. Alla fine, si scopre che è il cappello di Gulliver. Anche il modo in cui Swift fa scrivere a Gulliver le cose dalla prospettiva dei lillipuziani induce a scervellarsi un po’. Ad un certo punto Gulliver chiede di essere liberato. Loro gli dicono che l’avrebbero libero se lui avesse sottoscritto un patto con loro. Lui, siccome è preciso, traduce l’intera cosa “word for word”. Dopo questo patto, i lillipuziani devono capire come dargli da mangiare. Servono delle menti matematiche per fare questo. Questi pensano che dentro il suo corpo ci stiano 1724 e allora moltiplichino il cibo di 1724 e capiscono quanto dargli da mangiare (e pensano di ucciderlo perché non ci riescono). Ci sono delle incongruenze di numeri. Prima dice che i lillipuziani che potrebbero stare nel suo corpo sono 1724, e poi invece che sono 1728 (questo in alcune edizioni). Se fosse voluto da Swift sarebbe un altro modo per indurre il lettore in maniera molto implicita a ragionare su quanto siano affidabili i dati che dà Gulliver. Chapter 4 Lui dialoga spetto con il lettore. Dice al lettore che gli risparmia alcuni dettagli, perché li sta tenendo per un’altra opera che sta scrivendo. Fa metanarrativa leggera/generica, perché dice al lettore cosa andrà a dirgli e cosa no. Parla del suo stesso narrare. Ad un certo punto lui parla con Reldresal, suo amico ministro. Questo gli parla di “two mighty evils”, cioè dei due grossi problemi che aveva la società. È una metafora delle condizioni storiche dell’Inghilterra ed è anche una critica. Sono due i problemi: - Ci sono due partiti. I Tramecksan che sono i tacchi alti, cioè i tories. I Slamecksan sono i tacchi bassi e rappresentano i whigs. Lui dice che ci sono conflitti tra loro, perché non sono d‘accordo dal punto di vista politico. A un lettore dell’epoca sarebbe venuto spontaneo di pensare ai whigs e ai tories. I tories erano chiamati High Church Party, quindi chiaramente tacchi alti fa riferimento a loro. Dice che i tacchi alti sono più tradizionalisti, come i tories. Poi descrive come sono suddivisi tra di loro e poi parte col racconto della minaccia che arriva da Blefuscu. - Ci racconta quello che noi dobbiamo leggere come lo scisma della Chiesa protestante da quella cattolica. Un lettore dell’epoca avrebbe subito pensato allo scisma del 1534 in cui Enrico VIII decide di rompere con la Chiesa cattolica. Racconta l’episodio delle uova. Poi racconta come l’opposizione little-endians e big-endians sia fomentata dai monarchi di Blefuscu (rappresentano la Francia), e accettano gli esiliati. Lui poi parla di come leggere le scritture. Dice che gli imperatori Blefuscu li considerano come coloro che hanno dato vita a questo scisma. Dice che loro leggono le scritture in un altro modo e forzano la scrittura religiosa. Questo è tipico della mentalità pragmatica inglese che è meno conformista culturalmente rispetto a quella dei paesi cattolici. Loro sono in attesa di un attacco da Blefuscu. Gulliver, infatti, poi interverrà a favore dei lillipuziani andando a Blefuscu facendo praticamente sparire tutta la flotta di Blefuscu. Chapter 5 Frase a pag. 60: Gulliver impara qualcosa e vede che esiste la corruzione anche in quei regni che lui crede essere perfetti. Questo perché ha visto che le cariche vengono date in un certo modo. Può darsi che sia un riferimento ai Whigs (ma non è specificato). Alla fine del capitolo racconta del suo momento diuretico, cioè quando, avendo bevuto troppo la sera prima, va a fuoco il palazzo della regina e lui spegne l’incendio con l’urina. Questo naturalmente provoca indignazione nella regina, che non frequenterà più nessuna stanza del palazzo bagnata dalla santa pipì d Gulliver. Il fatto che lui sia fisicità e sporcizia in qualche modo è di nuovo sottolineato. La regina ce l’avrà a morte con Gulliver da qui a sempre. Chapter 6 Qui inizia il capitolo facendo di nuovo riferimento al fatto che deve scrivere un altro libro ed è per questo che non si sofferma su alcuni dettagli. Dice che trattiene alcuni dettagli però nel frattempo gratifico il lettore curioso con alcune idee di massima. In realtà entrerà molto nel dettaglio, perciò si contraddice di nuovo. Questi momenti, che ha con il lettore, li ha soprattutto all’inizio dei capitoli. Racconta della loro scrittura e del loro sistema educativo, ecc. Poi dice che ci sono delle regole e dei costumi in questo impero che sono molto singolari. Dice che se non fossero proprio al posto di quelli della sua patria, lui si lascerebbe vincere dalla tentazione di raccontare qualcosa. Il lettore si stupisce perché si aspettava che lui raccontasse tutto in maniera dettagliata e veritiera, e dunque non capisce perché omette adesso. Gulliver cade in contraddizione. Sono tanti i luoghi del testo in cui lui dice di fare una cosa e poi fa il contrario. Ci sono dei momenti in cui l’Inghilterra è il suo “dear country”, dunque la difende, e altri momenti in cui non la difende affatto. Perciò non è coerente neanche da questo punto di vista. Poi parla del fatto che lì il sistema della giustizia in modo che non sei colpevole finché non lo provano che tu lo sia davvero e se la condanna è ingiusta vieni anche ricompensato. Cioè chi ti ha accusato viene messo in prigione e tu vieni ricompensato. Gulliver si stupisce perché nel suo paese questo non succede mai. Si vergogna anche a pensare come le cose vanno nel suo paese. Poi dice che la ricompensa e la punizione sono due perni; tuttavia, questi due principi sono messi in pratica a Lilliput. Tutti i suoi viaggi rappresentano un flashback. Lui sta raccontando la storia da Redriff, che è dove è tornato dopo il suo quarto viaggio. Lui, però, ha fatto anche molti altri viaggi. Poi racconta come funziona il sistema in Inghilterra. Racconta delle leggi. Si rende conto che anche loro cadono e sono corrotti. Dice che racconta di queste cose, delle istituzioni. Esiste, però, la corruzione che è scandalosa e che riguarda anche i lillipuziani. Lui però la giustifica dicendo che è dovuta a una degenerazione della natura umana. Dice che tutte le cose (la danza sulla fune ecc.) non sono originali, ma sono state introdotte dal “bisnonno” (Henry VIII e James I). la corruzione non è sempre stata così a Lilliput (leggi Inghilterra), ma è stata introdotta in seguito dal “bisnonno”, che letto storicamente potrebbe essere Henry VIII oppure James I. *I lillipuziani, i giganti e gli abitanti di Laputa vengono considerati come esseri umani. Si stupiscono di lui perché è molto più grande di loro. Poi parla dell’educazione dei figli, che non viene lasciata ai genitori (i quali procreano e basta). I figli non si possono aspettare che i genitori abbiano qualche obbligo nei loro confronti o viceversa. Parla di una educazione in realtà molto funzionale e poco affettiva. Pag. 68: ad un certo punto racconta anche delle sue abitudini a Lilliput. Racconta di essersi costruite le cose e di aver reso la sua vita più comodo. Questa frase si può essere in due modi: - Avendo io un carattere ingegnoso, per cui mi piace fare le cose in maniera manuale, mi sono costruito… - Avendo io una testa manovrata meccanicamente (la leggiamo in senso letterale) … Questo potrebbe essere un riferimento implicito che fa Swift al suo narratore. Cioè ci fa capire che il narratore è nelle mani dell’autore. Un lettore che fino a qua ha avuto dei sospetti e li ha coltivati in merito alla veridicità del narratore, potrebbe anche essere indotto da questa frase a vedere Gulliver sempre più come un “pupazzo” nelle mani dell’autore che è Swift. Perciò il lettore sente la presenza dell’autore in maniera molto più percepita. Gulliver ha sempre problemi con il Treasurer, che è Flipnam. Dice che Flipnam ce l’aveva con lui perché pensava che Gulliver piacesse a sua moglie. Se continuiamo a leggere Flipnam come Walpole, qui c’è un contrasto ironico che Swift introduce, perché nella realtà la moglie di Walpole era parecchio infedele e lui in realtà la tollerava benissimo questa infedeltà. Sta dicendo una cosa Ci sono descrizioni molto particolari del paese, degli eventi, ecc. Fino a che a un certo punto lo portano in una scatola viaggiante sulla spiaggia per una passeggiata e il servo che deve fare attenzione affinché non gli succeda nulla, si allontana. Passa un’aquila e prende la scatola. Questa scatola cade in mare, sembra che lui stia per morie, ma viene raccattato da una nave che lo riporta in patria dove arriva nel 1706. Questo testo è una critica alla politica, alle istituzioni inglesi, all’animo umano e anche al nuovo sapere. Tutto infastidisce Gulliver in questo libro perché è piccolo (anche i rumori). Un’altra cosa importante è che dal punto di vista formale in questo testo ci sono dei riferimenti precisi a quelli che sono dei linguaggi tecnici precisi, in particolare a quello legale e quello navale. Gulliver utilizza un linguaggio specifico per dimostrare che quel linguaggio in realtà non comincia in maniera oggettiva. Questo confonde il lettore. Neanche in questo viaggio, nonostante Gulliver riconosca che il re faccia delle riflessioni molto sagge, egli riesce a cogliere che l’utopia razionalistica non funziona. Primo perché difende l’ideologia della sua patria. Secondo perché continua a cerca sempre una nuova utopia, perché tornerà e ripartirà di nuovo. Chapter 1 Nella prima pagine Gulliver racconta cosa è successo e ci sono termini tecnici. Parla di latitudine, di come spirano i venti, ecc. (pag. 87-88). Questo linguaggio non è comprensibile perché ci sono termini specifici dal punto di vista nautico. Swift per usare questo termini ha copiato da una rivista che si chiamava “Mariner Magazine” del 1669. Swift prende e copia. Effettivamente è una parodia di quella terminologia, perché il lettore che non sia avvezzo comunque non capisce. La comunicazione fatica a passare se si è troppo dettagliati. Gulliver pensa di fare la cosa migliore. Swift usando questo linguaggio, invece, vuole parodiare i resoconti dei viaggi dell’epoca che erano eccessivamente dettagliati. Un po’ più in là Swift lo farà anche con il linguaggio scientifico. In questo testo Swift fa usare a Gulliver un sacco di verbi e sostantivi che hanno a che fare con linguaggio super scientifico. A pag. 90 vediamo che il ribaltamento di dimensioni porta a vedere le cose in maniera diversa, ed è un’occasione per Gulliver. Gulliver dice che qui succede la stessa cosa che era accaduta Lilliput. Dice che potrebbe sembrare ridicola ai giganti, come un lillipuziano potrebbe sembrare ridicolo in Inghilterra. Dice che questo era il minore dei suoi problemi. Dice che si pensa che le creature umane siano più crudeli e selvagge in proporzione alla loro dimensione. Questo è quello che crede Gulliver, ma il lettore che prima ha letto di Lilliput e ha visto che i lillipuziani che sono piccoli e fetenti perché da subito pensano a come ucciderlo, capisce che non è vero quello che dice Gulliver. Questa è uno dei tanti esempi in cui Gulliver dice una cosa, però non è quella che Swift pensa in realtà. Lo capiamo se abbiamo letto con attenzione quello che c’era prima. Tutte le popolazioni che Gulliver incontra si considerano degli umani mortali, tranne i cavalli saggi. Spesso siccome lui è piccolino e vive in famiglia con dei bambini, viene trattato in un certo modo da loro. Gli vengono in mente i comportamenti dei bambini in Inghilterra che trattano male gli animaletti piccolini. Ora è Gulliver a essere trattato così. Questo lo porta a riflettere sulla sua realtà. Ora è lui che si trova in balia della cattiveria che a volte hanno i bambini. A pag. 94 troviamo il primo riferimento che riguarda il corpo. Ad un certo punto lui sta a casa e c’è la balia che per far zittire il bambino più piccolo, gli dà il seno. A Gulliver fa schifo vedere il seno della balia perché è enorme e poi, proprio perché è enorme, il colore della pelle non è uniforme, ma è tutto pieno di puntini di diversi colori. La sua testa è circa la metà del suo capezzolo. Le parole “nauseabondo” e “mostruoso” torneranno moltissimo nel corso del libro, quando c’è di mezzo il corpo. Questo fa scattare a Gulliver una riflessione. Pensa che anche le donne d’Inghilterra potrebbero avere questi difetti, di cui difficilmente ci si accorge perché esse hanno la stessa statura. Swift esagera le cose per portarci a riflettere. Poi gli viene in mente anche Lilliput. Dice che la loro pelle gli sembrava bellissima. Poi quando ha preso un lillipuziano e se l’è portati vicino al viso, quello gli ha detto che la sua pelle faceva schifo come ora gli fa schifo la pelle del seno della balia. Di solito a fine capitolo Gulliver parla al lettore, ha cioè bisogno di stabilire un confronto abbastanza costante con il lettore. Ha di nuovo i suoi bisogni fisiologici. Si scusa con il lettore per sostare su certi particolari, però dice anche che raccontare queste cose è fare infondo il bene comune, è aiutare a vedere cose nuove. Lo scopo del suo scrivere questo libro è il bene comune. Questo concetto tornerà alla fine. Sottolinea un’altra cosa, cioè dice che gli è interessata la verità e che lui ha studiato quello che è vero. Dice di non aver usato nessun ornamento linguistico/stilistico. In realtà non è poi così vero, perché spesso usa un linguaggio tecnico, pieno di particolari. Cade così in contraddizione. Dice poi che non ha omesso nulla. In realtà subito dopo dice che in realtà ha tolto dei passaggi perché temeva di essere censurato oppure noioso, cosa di cui spesso i viaggiatori sono accusati. Torna spesso Gulliver sul riferimento al fatto che i resoconti di viaggio non racconterebbero la verità e che son esagerati (notare che lo dice lui che racconta cose mai viste). Chapter 2 Qua racconta di quando inizia a fare la sua vita da “circo”, cioè quando lo portano in giro per i mercati e gli insegnano a saltellare le cose, a fare cose strane. A Lilliput era Flimnap a saltellare sulla fune. Quella cosa a Gulliver faceva ridere, ma ora è lui a essere costretto a farlo. Si ribaltano, dunque, ruoli e prospettive. Poi racconta anche con quanta amorevolezza la sua “nurse” lo tratti. Ad un certo punto arrivano alla capitale del regno. Alla fine del capitolo due c’è un riferimento storico preciso. Lui parla della sua “nurse” /balia e dice che aveva nella tasca aveva un libro che di dimensioni non era molto più grande dell’atlante di Sanson. Questo è un riferimento storico ad un atlante geografico fatto dal cartografo francese Sanson nel 1689. Allora di nuovo riferimenti costanti a testi specifici che riguardano i viaggia, la cartografia, ecc. Lei si porta questo libro perché poi insegna a Gulliver la loro lingua e la loro scrittura. Chapter 3 Qui è dove lui conosce la regina. È divertente il fatto che Gulliver abbraccio con tutte e due le braccia il mignolo della regina per porgerle i suoi saluti. La sua utopia è pura ragione e l’animalità viene messa da parte. In realtà libro dopo libro lui viene considerato sempre più come un animale, anche se lui non vorrebbe. Comincia poi dicendo che il re era probabilmente stato istruito molto bene e che conoscesse bene la filosofia e soprattutto la matematica. Siamo, dunque, ancora in un paese dove le scienze sono molto importanti. Il re osserva Gulliver e non sa come definirlo. Inizialmente sospetta che lui possa essere un congegno meccanico. Questo ricorda di come Gulliver, nel primo libro, parli di testa manovrata meccanicamente (cioè che fosse un congegno nelle mani di Swift). Ciò ci ricorda che lui è un congegno narrativo nelle mani di Swift. Il re non sa come definirlo e chiama tre personaggi che dovrebbero esaminarlo. Lo esaminano e osservano in maniera molto scientifica, ma sono di opinioni differenti. Sospettano che lui non possa essere l’esito di normali regole di natura. Questa è un po’ una presa in giro nei confronti dell’osservazione scientifica dell’epoca che veniva fatta dalla Royal Society. Gulliver pensa che siano virtuosi, ma al lettore viene il dubbio su questo. Questi concludono dicendo che lui è un “lusus naturae”. Questa è un’espressione realmente usata dai naturalisti nel ‘600 e ‘700, quindi fa ricorso ancora al linguaggio scientifico, per indicare un fenomeno fuori dall’ordine naturale. Il re che è molto più intelligente di questi giganti non è convinto della loro teoria. Allora decide di chiamare l’agricoltore. È un modo di svalutare la scienza, perché tre scienziati messi insieme non sono riusciti a dare una spiegazione del che cosa sia questo animalino. L’agricoltore poi dirà al re che è un animaletto dotato di ragione. Il ribaltamento comico continua poi per tutto il racconto. Parlando della regina dice che era debole di stomaco. Vede lei che lei ha preso solo una cucchiaiata di cose, ma che questa corrisponde a quanto potrebbero mangiare 12 agricoltori tutti messi insieme. Per lui tutto ciò che ha a che fare con il fisico continua ad essere nauseabondo, perché è piccolo. Fa poi riferimento poi al fatto che al principe (re) piace molto conversare con lui e chiedergli come funzionano i costumi, la religione, le leggi, ecc., non solo in Inghilterra, ma in Europa. Gulliver gli racconta tutto. Gulliver poi dice del re che era un uomo che capiva tutto e riusciva a valutare le cose in maniera corretta ed esatta. Lui sa che il re è una persona che sa valutare nella maniera corretta, poi però vedremo che quando il re criticherà la società inglese, Gulliver farà finta che non sia così. Il re chiede a Gulliver un sacco di cose. Ad esempio, gli chiede se fosse un whig oppure un tory. Poi pensando alla spocchia degli esseri umani, il re dice a Gulliver che perfino la sua razza di piccoli insetti (il riferimento di nuovo al mondo animale, quando Gulliver in realtà vuole allontanarsi dal mondo delle passioni e della fisicità) è spocchiosa, pur essendo degli insetti piccolini rispetto ai giganti. Il re sta giudicando negativamente l’umanità di Gulliver e di conseguenza anche la razza di Gulliver. Quest’ultimo si indigna tantissimo nel sentire come il re offenda il suo “nobel country”, che definisce come “mistress of arts”, ma anche flagello di Francia, e come “arbitro d’Europa” che è sede virtù, di pietà e di verità. Noi sappiamo che non è così, perché abbiamo già sperimentato prima quello che lui ha detto sulla sua nazione. Giò qua ci comincia a venire il sospetto che lui non capirà le critiche che il re farà all’Inghilterra. Alla fine del capitolo tre c’è la parte in cui l’aspetto scientifico viene messo in risalto. Gulliver parla delle abitudini che hanno gli scienziati. Nell’episodio subito dopo Gulliver lascia sul balconcino della sua casetta un pezzettino di torta, il cui odore attira 20 vespe. Lui siccome è abile e piccolino riesce a liberarsene. Però invece di liberarsene e basta, da buon uomo inglese del ‘700 che crede nella scienza, nell’empirismo, nelle scoperte scientifiche, ne ammazza 4. Prende i è contento di vivere nel proprio paese, appena arriva la minaccia prende le armi e si difende da solo. Il re riprende poi la parte in cui Gulliver aveva contato gli inglesi in base al numero di sette religiose e partiti politici. Al re gli viene da ridere per questa cosa. La critica torna implicita tramite le parole del re, che rappresentano la voce di Swift, al divisionismo interno dell’Inghilterra/alla proliferazione di sette religiose e politiche. Poi dice un’altra cosa importante. Il re non capiva perché coloro che professavano opinioni contrarie al bene pubblico dovessero essere obbligati a cambiarle, perché fare questo è fare tirannia. Non capiva, però, neanche perché quelli che avevano queste opinioni contrarie al bene pubblico non dovessero essere obbligati a nasconderle. Cioè dice che non potrebbero farli cambiare idea, perché sarebbero dei tiranni, però siccome hanno opinioni contrarie al bene pubblico, dovete obbligarli a non pubblicizzarle almeno. Fa poi una metafora. È come se un uomo avesse dei veleni in casa sua: può tenerli, basta che li spacci al di fuori di casa sua. È chiaro che è un re assennato, perché non è un tiranno, non vuole imporre le idee, però vuole agire in favore del bene pubblico (e dice che Inghilterra non lo fa, e permette anche a chi è corrotto di governare). Poi il re poi sferra un ennesimo attacco. Gulliver gli racconta come sono andate le cose nell’ultimo secolo e il re era sbalordito di ciò. Il re dice che quello che è successo all’Inghilterra è dovuto al fatto che loro sono una razza di belligeranti, pieni di invidia, odio, pazzia, crudeltà, senza pietà e senza nulla, e questo provoca massacri, omicidi, rivoluzioni, ecc. Il re, perciò, sta veramente criticando al massimo la società inglese. Il re dice poi a Gulliver che ha fatto proprio un bel panegirico del tuo paese. Dice che l’Inghilterra è un paese completamente corrotto. Gli sta dicendo in maniera ironica che il suo panegirico ha solo mostrato che nel suo paese dominano l’ignoranza, il vizio, ecc., e che le leggi non vengono applicate nella maniera giusta. Prosegue poi dicendo che da quello che gli ha detto Gulliver, non sembra che serva avere meriti, essere perfetti o avere alcune competenze al massimo livello per governare il paese, a tutti i livelli (parla della religione, della giustizia, dei senatori, ecc.). Frase importante a pag. 133. Il re dice che gli inglesi, in base a quelli che gli ha detto Gulliver fino a qua, siano la razza più pericolosa, di vermiciattoli schifosi, nauseabondi, cui la natura abbia concesso di strisciare sulla faccia della terra. “Vermin” Gulliver l’aveva usato prima per definire lo schifo dei corpi, e adesso il re glielo ribalta addosso. Chapter 7 Qua Gulliver comincia a contraddirsi di nuovo. Dice al lettore che solo il suo grandissimo amore per la verità gli ha impedito di omettere questa parte della storia. Lui si trova sempre combattuto perché vuole dire la verità, però gli tocca anche dire tutto quello che riguarda anche il suo paese di veritiero. Perciò a volte arriva a dei compromessi, cioè dice e non dice. Lui dice che lui ha dovuto ad arte a eludere molte delle domande che gli ha fatto il re e ha dovuto in qualche modo far apparire delle cose più positive di quanto lo fossero per mantenere alta la considerazione che egli ha sempre avuto del suo paese. Si sta di nuovo contraddicendo, perché poche righe prima ha professato il suo grande amore per la verità, ma poi per difendere il proprio paese elude, nasconde e non dice le cose come stanno. Questa è una di tante contraddizioni in cui Swift fa cadere Gulliver. Permette ai lettori di vedere un po’ più in là di quello che invece vede Gulliver. Successivamente Gulliver, siccome aveva detto che il re era molto intelligente, dice che è scusabile, perché non capisce proprio tutto perché vive in isolamento. Questi giganti non hanno mai visto nessuno, non sanno dell’esistenza di altri paesi, perciò non possono far confronti. Il re è così spietato perché non capisce. Gulliver sta, dunque, cercando delle scuse. Gulliver poi dice, per mostrare l’ingenuità di questo re, che vuole inserire un passo che non sarà creduto. Il lettore di fronte a ciò si ferma a pensare se sia vero o no. Qui c’è l’episodio di polvere da sparo, che è molto importante. Gulliver racconta al re dell’invenzione della polvere da sparo. Il re a quel punto chiede a cosa serve. Gulliver gli risponde dicendo che serve perché con le “balls” fatte di polvere da sparo, si possono prendere altri regni, distruggere le persone, far saltare in aria le città/le persone. Così si ha potere ovunque. Gulliver dice che potrebbe dargli la ricetta, così se la costruisce da solo la polvere da sparo. Il re è atterrito dall’orrore. Il re è sorpreso dal fatto che un insetto così piccolo e stupido come Gulliver (come la razza umana) può avere queste idee così umane, e apparire del tutto indifferente a queste scene di distruzione, di sangue, di desolazione che Gulliver ha descritto come gli effetti della polvere da sparo. Gulliver commenta e dice al lettore di pensare di quanto sia piccola la visione che ha questo re, che non capisce che con la polvera da sparo può dominare ovunque. Sappiamo che Swift criticava il fatto che l’uomo potesse arrogarsi il diritto di dominare gli altri uomini o di far quel che voleva solo perché si considerava civile, razionale, virtuoso, ecc. Gulliver parla del re e dice che il re si faceva scrupoli stupidi, laddove in Europa non si sarebbero mai fatti scappare un’opportunità del genere. Avere la polvere da sparo avrebbe voluto dire avere il dominio sulla libertà, sulla vita e le fortune di altri popoli. In Europa nessuno si sarebbe fatto scappare questa opportunità. Swift qui ribalta e estremizza la prospettiva per farci andare nella dimensione opposto a quella di Gulliver. Gulliver dice che sono ignoranti i giganti, perché non sanno come vanno le cose del mondo. Dice che il re limitava l’arte del dominare entro dei limiti abbastanza ristretti. Lo limitava al buonsenso, alla ragione, alla giustizia, al disbrigo molto veloce delle cause civile e altre ovvietà che Gulliver preferisce non nominare proprio perché sono ovvie (ma non doveva dire tutta la verità?). Gulliver dice poi che i giganti hanno una qualità del sapere scarsissima perché si limitano alla morale, alla storia, alla poesia e alle scienze matematiche. Inoltre, usano le scienze matematiche e le applicano a ciò che è utile nella vita (solo a quello, non fanno di più). Dice che, invece, gli inglesi farebbero diversamente. Poi parla della legge e la cita criticandola. Dice che nessuna legge in quel paese può essere formulata con un numero di parole che sia superiore al numero delle lettere del loro alfabeto. Si stupisce della brevità delle leggi (leggi in ribaltamento che Swift sta criticando la lunghezza delle leggi e il fatto che erano scritte in maniera molto complessa e articolata). Dice che le leggi sono espresse in un linguaggio molto semplice e chiaro e questa gente una sola interpretazione dà alle leggi, non come gli inglesi che ne danno molteplici. Per Gulliver questa è una critica l sistema legislativo dei giganti. Chapter 8 Qua racconta che sono passati due anni di soggiorno nel paese e racconta mai del momento in cui viene rapito dall’aquila, naufraga, ecc. Quando naufraga lo raccatta questa nave. Gulliver sale sulla nave e ritrova gli esseri umani delle sue stesse dimensioni, ma li vede come “pigmies”, perché è abituato all’altra prospettiva. Loro, invece, lo vedono un po’ strano perché è spaesato e non capisce un po’ di cose. Allora il capitano, come al solito, chiede di raccontargli la sua esperienza. Gulliver gli racconta la sua esperienza e va nei dettagli. Di nuovo si professa portatore dell’assoluta verità. Di nuovo ha bisogno di insistere sulla verosimiglianza della sua storia, che lui racconta in maniera fedele così come è successa. Raccoglie oggetti (ad esempio i pungiglioni delle vespe) e li mostra, proprio in segno di verosimiglianza. Il capitano gli suggerisce di scrivere un libro. lui risponde al capitano dicendo che ormai gli inglesi erano strapieni di libri di viaggio e che non ne serviva un altro, o comunque non serviva un libro di viaggio come quelli usuali, in cui i narratori sono più interessati alla loro vanità, ad andare incontro all’ignoranza dei lettori, piuttosto che a dire la verità è un’altra critica di Gulliver nei confronti dei resoconti di viaggio falsificati. Poi dice che la sua storia non poteva stare su quella scia, perché la sua storia conteneva poco se non fatti comuni. Dice che la sua storia non avrebbe avuto successo perché avrebbe raccontato solo cose/eventi non eccezionali e non avrebbe avuto tutte quelle descrizioni di piante strane, uccelli, alberi e altri animali, oppure non avrebbe raccontato dei riti selvaggi di quella gente. Il lettore allora si chiede cosa Gulliver gli abbia raccontato fino a qua. Perciò Gulliver si sta smentendo di nuovo. Lezione 18/11/21 In questo libro l’attenzione si sposta sul campo scientifico e il nuovo sapere. Il viaggio dura dal 1706 al 1710, e ci sono varie tappe. La prima tappa è Laputa. Balnibarbi è la terra ferma ed è la seconda tappa, dove c’è la capitale Lagado. Ci saranno poi altri luoghi che visita durante il viaggio di ritorno. Qui la critica al nuovo sapere è molto più esplicita perché denuncia di fondo la sterilità di queste partiche sperimentali e tecnologiche, che erano le stesse che la Royal society patrocinava. Ci saranno perciò molti collegamenti coll’aspetto storico della Royal Society. In questo libro Swift, ma vedremo anche Gulliver, attacca gli aspetti più speculativi del sapere moderno, che è un sapere dissociato e dissociante, nel senso che non tiene conto nello specifico della realtà. È un sapere che quasi a volte è fine a sé stesso, ed è di conseguenza diverso dal sapere degli antichi, che invece concepiva la conoscenza in funziona sia della natura che dell’uomo. Qui vedremo che Swift come al solito, esagerando, ci dimostra in che modo la scienza può allontanarsi completamente dalla realtà. Fa anche satira contro quella ricerca, quella scienza che nel testo è degli inventori, denunciando la ricerca sperimentale e tecnologica irresponsabile nella sua società reale, che è mirata al progresso, all’arricchimento, al profitto e all’utilizzo d conseguenza non sempre opportuno che si fa della scienza sperimentale (come strumento di profitto e di potere). Quello che viene criticato in questo testo non è la scienza in sé, ma il culto monomaniacale della ragione e della scienza che su quella ragione si basa. Swift è contro l’eccesso, non è contro la scienza in sé. Questo viaggio Swift l’ha scritto dopo che ha scritto il quarto. Questo libro presenta qualche piccolo problema ai lettori, perché c’è una confusione, una ibridazione delle due istanze narrative. Le due istanze narrative sono da un lato il narratore Gulliver e dall’altro l’autore Swift. In questo libro le due voci tendono a confondersi, mentre in altri libri c’era una certa distanza (che permette qualche modo Laputa. Si smentiscono, perciò, a vicenda in qualche modo. La corporeità che in Laputa sembra non esistere torna a Lagado. Spesso gli ambienti degli scienziati di Lagado sono spesso maleodoranti di feci. Anche gli scienziati stessi puzzano. Si torna, perciò, sulla connotazione escrementizia della materia/del corpo. Lagado è testimonianza concreta degli esiti negativi della sperimentazione con la natura perché non ha un buon rapporto con le cose concrete. Lagado dà la possibilità a Laputa di vedere i suoi lati negativi. Laputa non li vede e continua a non vederli, perché tanto nega in qualche modo che Lagado sia di una qualsiasi utilità. Ci sarà un episodio a Lagado in cui i matematici pensano a come far imparare le formule agli studenti. Dicono che bisogna prendere le ostie e scrivere le loro formule con un inchiostro che loro chiamano cefalico. Dicono poi di far ingerire queste agli studenti a stomaco vuoto. Questo inchiostro cefalico passa dallo stomaco e va al cervello e lì si fissa e gli studenti si imparano le formule. Non funziona. Il fatto che l’apprendimento provino a farlo funzionare tramite il processo digestivo mostra che il corpo a Lagado è presente da tanti punti di vista (anche se vedremo che non è mai presente dal punto di vista funzionale). Finito questo viaggio a Lagado, Gulliver è stufo e vuole tornare. In questo è molto simile a Swift perché si stanca del panorama che ha di fronte e vuole tornare a casa. Non trova la nave. Poi la nave c’è, ma sarà pronta per la partenza solo dopo una settimana. Allora Gulliver fa qualche altro viaggetto. Finisce in due luoghi diversi in cui incontra la stripe degli immortali in un luogo, e l’isola degli stregoni nell’altro. Quando incontra la stirpe degli immortali lui è contentissimo all’inizio perché siccome è uno ottimista che crede nel progresso e nella perfettibilità del genere umano, pensa che se si vive all’infinito, si migliorerà sempre. Si trova poi, invece, questi decrepiti che vivono all’infinito, ma che sono pieni di malattie, diventano sordi, si sporcano, non si ricordano più nulla, sono relegati dalla società (perché non tutti gli appartenenti alla società diventano immortali). Perciò Gulliver si ricrede. Gulliver arriva poi nell’isola degli stregoni e grazie al re, che è uno stregone, lui riesce ad incontrare personaggi morti dell’antichità e anche del passato recente. Questo gli permette di far domande specifiche a questi personaggi e di far un raffronto fra il passato e il presente. Vince naturalmente il passato, l’antichità e la classicità. Lui facendo questi raffronti, richiama Aristotele, Omero, però anche regnanti del secolo precedente, si accorge di come il sapere moderno sia un sapere parassitario, cioè che usa la conoscenza degli antichi ma non in modo intelligente. Si accorge anche come via via l’umanità si sia corrotta sempre più. Dice anche che la storia è stata manomessa, che gli storici ce l’hanno edulcorata e non ci hanno fatto vedere che in realtà coll’andare dei secoli solo i “fools” e le “hourse” hanno gestito addirittura l’assetto governativo. C’è da sottolineare che anche se Swift sta dalla parte della classicità non è monomaniacale, nel senso che considera la classicità in maniera diversa da come lo facevano i suoi contemporanei. Non disdegna la scienza in quanto tale e non disdegna neanche l’epoca a cui appartiene, critica però tutti gli eccessi del caso. Chapter 1 Anche qui Gulliver dice che non vuole andare nel dettaglio, ma in realtà non è vero, continua a raccontare un sacco di dettagli. Vuole evitare il particolare e poi in realtà non lo evita mai. Nei primi tre viaggi lui incontra uomini, anche Laputa è abitata da uomini (mortali li chiama anche). Chapter 2 Solo nel quarto viaggio incontra i cavalli saggi, e non uomini. All’inizio del capitolo due fa riferimento ai servi che devono picchiettare la testa degli abitanti di Laputa perché si sveglino e non sbattano addosso ai muri. Questi servi si chiamano flapper. Gulliver definisce i laputiani sempre presi dai loro pensieri, motivo per cui vanno a sbattere ovunque. Questi laputiani pensano che Gulliver non abbia delle forti capacità intellettive. Ci sono sempre dei riferimenti al fatto che Gulliver vuole scrivere un libro veritiero, che si distingua dagli altri resoconti di viaggio che raccontano un sacco di cavolate e si inventano tutto. C’è l’episodio poi in cui prendono le misure a Gulliver per fargli dei vestiti nuovi, ma alla fine questi vestiti vengono fatti in modo sbagliato, perché i laputiani sbagliano le misure. Loro che sono matematici perfetti e sbagliano con le cifre per prender le misure a Gulliver. Questa è già una critica implicita verso il fatto che la ragione pura non può esistere, ma deve essere sempre circostanziata. Poi continua raccontando come è presa la società di Laputa. Dice che le loro case sono mal costruite perché danno istruzione agli operai che sono talmente raffinate; perciò, staccate (non hanno un rapporto con la realtà), che gli operai non le capiscono e costruiscono delle case che fanno schifo. Gulliver dice (la sua voce qui coincide con quella di Swift) che non solo sono “bad reasoners”, ma mancano anche di immagination, fancy and invention. Non solo non conoscono queste cose, ma non hanno neanche le parole per definirle. Questo trucchetto delle parole che mancano per dei concetti che mancano tornerà nel quarto libro, perché i cavalli saggi non avranno le parole per definire tutto ciò che è vizio, passione, menzogna, ecc. La mente dei laputiani è completamente presa dalla matematica, inclusiva di astronomia, e la musica. Loro fanno solo quello e nient’altro. In questo libro sono molti i riferimenti storici alla ricerca e riflessione scientifica dell’epoca. Dice che i laputiani sono spesso preoccupati perché pensano sempre che possa succedere qualcosa che cambi il corso dei corpi celesti, oppure sono preoccupati che la terra si possa avvicinare troppo al sole, ecc. Queste sono tutte quanto riflessioni effettive sulle quali riflettevano gli scienziati dell’epoca. A fine capitolo fa riferimento alla vivacità delle donne di questo popolo. Queste appunto essendo vivaci si stufano a Laputa e vanno altrove. Alla fine del capitolo ribadisce il fatto che sua maestà non si cura di Gulliver, perché non è interessato a sapere nulla né del suo paese né di altri paesi in cui lui sia stato. Chapter 3 È un esempio di esagerazione di linguaggio specifico e dettagliato, perché qui Gulliver spiega al lettore com’è che Laputa riesce a volare sopra la terra ferma senza cadere giù. Dice cha ha un magnete dentro un cilindro al suo interno che viene gestito da degli scienziati che viene manovrato per manovrare i movimenti dell’isola. Qui parla di misurazioni, usa il linguaggio dettagliato di tipo scientifico per due pagine circa. Fa anche un disegno di tutto ciò. In questo disegno traccia delle linee e racconta quelle che sono le linee di forza che si riescono a creare e che il magnete riesce a controllare, spostando così l’isola. È noioso da leggere, ma questo è quello che Swift vuole. Swift vuole far vedere quanto un accanimento su un linguaggio particolareggiato e dettagliato possa non essere davvero funzionale alla comprensione, ma la possa eventualmente anche ritardare. Gulliver parla poi del fatto che i lapuriani hanno questi telescopi molto più potenti che hanno gli astronomi in Europa e hanno visto una quantità enorme di satelliti e stelle che noi non abbiamo visto. Qui fa riferimento effettivo alla “Historia Celestis Britannica” del 1725 dov’erano stati conteggiati circa 2935-2940 corpi celesti. Gulliver ammira anche la capacità scientifica di questi. È interessante l’episodio di Lindalino, che Motte tolse dal libro. L’episodio verrà messo solo nell’edizione nel 1899. Lindalino è un altro nome per Irlanda. Gli abitanti di lindalino si ribellano al re di Laputa e per ottenere quello che vogliono furbescamente mettono dei magneti potentissimi sulle loro torri, in modo tale che il magnete che tiene Laputa sollevata dalla terra ferma cominci ad avere qualche problema. Lapita cioè rischia di cadere su Lindalino. Così gli abitanti di Lindalino ottengono dal re quello che vogliono. Era un episodio che all’epoca faceva direttamente riferimento all’Irlanda e alla rivoluzione irlandese. L’Irlanda vince la sua battaglia contro l’Inghilterra, dirlo, anche se sotto mentite spoglie, sarebbe stato troppo fastidioso. L’intero passo finisce dicendo che il re, data la pericolosità della situazione, era stato costretto a cedere. È una resa da parte dell’autorità suprema. Chapter 4 Gulliver dice che non lo trattavano male in quest’isola, ma si sentiva messo da parte e pure disprezzato. Allora decide di andare via. Qui è Gulliver che parla, ma in questo punto la voce di Gulliver e Swift coincidono. Gulliver dice che ne aveva le scatole piene di questi laputiani. Loro eccellevano nella matematica e nella musica, ma dice anche che erano fastidiosissimi. Loro fanno anche musica, ma è musica capofonica, non si capisce nulla, non è né capo né coda. Loro, però, affermano di ascoltare la musica delle sfere; perciò, è una musica che astrae dai reali esiti armonici. Gulliver scende da Laputa e va a Lagad, dove viene ospitato da Munodi (Lord, aristocratica). Egli, perciò, deve andare dove abita Munodi. Passa per la città e va verso la campagna dove abita Munodi. Passando per la città vede l’accademia degli inventori. La gente è vestita in modo povero, i campi non sono coltivati, le case sono fatte male, come mai la società vive così male quando loro in realtà con quest’accademia 40 anni fa si sono proposti di migliorare le condizioni sociali. Munodi allora racconta a Gulliver di com’è nata l’Accademia. Mentre racconto, loro due si spostano sempre più verso la campagna, e più vanno avanti e più Gulliver vede che lì in realtà le persone stanno meglio, che i campi sono coltivati e molto fertili, e anche le case sono costruite bene, perché sono costruite secondo le regole dell’antica architettura. Munodi stesso ha sìcsotruito così la sua casa, e non costruendo la casa dal tetto come fanno i lagadiani. Qui Munodi parla per Swift, sostenendo che la tradizione ha ancora un peso e che va rispettata, al di là di tutte le innovazioni. Munodi poi racconta a Gulliver, che poi racconta al lettore, come hanno istituito l’Accademia di Lagado. Munodi ribadisce il fatto che a Lagado e cose non vanno poi così tanto bene. Gulliver dice che Munodi si basava, invece, ancora sulla tradizione. Chapter 5 Da questo capitolo fino al dieci, Gulliver va da solo a vedere l’accademia degli inventori. Prima entra dove si fanno sperimentazioni in merito alle scienze speculative, poi nella sezione della lingua, nella sezione dei matematici e nella sezione degli innovatori politici. Qua iniziano tutte le cose strane che vede.
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