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Lo studio di Francisco Rico sul testo di Mateo Alemán: Guzman de Alfarache - Prof. Coppola, Appunti di Letteratura Spagnola

Un'analisi approfondita dello studio di francisco rico sul testo di mateo alemán, intitolato guzman de alfarache. L'analisi esplora la natura del personaggio di guzman, le sue vicissitudini e le sue confessioni, oltre a discutere della struttura del libro e della sua relazione con il lazarillo de tormes. Inoltre un'analisi della storia di guzman in termini di picaresca e della sua importanza come storia di formazione. Utile per chi studia la letteratura spagnola del tardo rinascimento e la picaresca.

Tipologia: Appunti

2023/2024

Caricato il 19/03/2024

alessia-miele-10
alessia-miele-10 🇮🇹

1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica Lo studio di Francisco Rico sul testo di Mateo Alemán: Guzman de Alfarache - Prof. Coppola e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LETTERATURA SPAGNOLA 2 LAZARILLO DE TORMES È l’anti-camera del romanzo. È stato pubblicato intorno al 1550. Esistono 3 edizioni, tutte pubblicate nel 1554: quella di Burgos, Anversa e Alcalá; ma non corrispondo alle prime. Dalla messa a confronto di queste edizioni ci si rende conto che discendono da alcune ristampe precedenti, quindi il testo era stato già pubblicato da due stampe precedenti che si collocano tra il 1552-54. Nel 1555 viene pubblicata una seconda parte del Lazarillo. La fortuna durò anche al di là della censura dell’Inquisizione nel 1559, per cui nel 1573 uscì un’edizione ‘corretta’: “Lazarillo de Tormes castigado”, ovvero senza quelle parti sconvenienti. Venne tolto dunque il testo dall’indice, poiché c’erano alcune figure clericali che venivano messe in ridicolo. Siamo in pieno Rinascimento, cioè nel mezzo di un movimento culturale che presenta alcuni elementi di continuità con il Medioevo, ma segna una rottura rispetto al passato per aprire le porte all’era moderna. Vi era la volontà di un rinnovamento in campo artistico e letterario. Questo secolo rappresenta quindi uno sviluppo per il romanzo spagnolo. Sorgono inoltre altri generi come la novela picaresca, di cui l’opera rappresentativa è appunto il Lazarillo. Il Siglo de Oro è un periodo compreso tra il 16esimo e il 17esimo secolo che comprende non solo il Rinascimento ma anche il Barocco, ed è delimitato da due date: 1492 e il 1681. Nel 1492 ci fu la pubblicazione di un testo importante: “La prima Grammatica” di Antonio de Nebrija, per dare delle regole al castigliano. Nel 1681 morì Pedro Calderón de la Barca. Questo fu anche il secolo del teatro, il quale sarà un fenomeno di massa (teatro di corte). Il mestiere del drammaturgo era ben pagato. CONTESTO STORICO: Mentre, dal punto di vista storico, la Spagna viveva sotto il dominio di Carlo V (nipote dei Re cattolici) e poi Filippo II (figlio di Carlo), in cui l’impero degli Asburgo subirà un declino e la Spagna si impoverirà. I regni di Carlo V e Filippo II saranno finalizzati alla consacrazione dell’assolutismo avviato dai re cattolici. Saranno caratterizzati da molte guerre, dalla Contro-riforma protestante e dalla Riforma stessa. Lazarillo fu una novità letteraria per quanto riguarda il piano formale e quello del contenuto. Le letture in voga all’epoca riguardavano la novella sentimentale e i romanzi di cavalleria. Idealismo narrativo: tutto sembra accadere nella testa dei personaggi. Il racconto della vita di Lazaro non ha nulla di inverosimile. Il tipo di materia si sofferma sull’umile realtà quotidiana, a cui il protagonista appartiene (al contrario di Amadís). Si serve dell’autobiografia, un racconto in prima persona di un banditore di vini della città di Toledo (come al mercato). Quest’ultimo, dopo tante disavventure, è arrivato a trovare una professione infamante ma in grado di assicurare un buon guadagno. È un picaro, un reietto della società, definito come anti-eroe. È figlio di un ladro e di una lavandaia, che rimasta vedova si fa mantenere da uno stalliere moro (cioè da un arabo). Non esiste più l’amore cortese, ma la sensualità e l’adulterio. Il testo è anonimo. Tuttavia sono state avanzate delle ipotesi: l’autore potrebbe essere Diego Hurtado de Mendoza, Alfonso de Valdés o Juan Luis Vives. Ma nulla è sicuro. Sappiamo che l’autore non è umile, infatti il testo contiene molte citazioni colte (ad esempio di Ovidio) e di altri autori classici. Vi è una sostanziale differenza fra l’autore anonimo e il narratore, cioè Lazzaro. Il vero autore è un colto umanista, egli sfrutta il pronome “IO” per criticare in forma implicita certi aspetti della Spagna del tempo. TRAMA: Il libro è diviso in 7 trattati, ognuno corrisponde a un amo, ad un padrone per il quale Lazzaro presta servizio e che gli permette di percorrere un percorso esistenziale, difatti il libro può considerarsi un romanzo di formazione per questo: il protagonista cerca un riscatto sociale e un posto nel mondo. È il primo romanzo picaresco. Il prologo è una lettera che comincia con “IO” e finisce con “Vuestra Merced”, ossia il destinatario della lettera. Vossignoria ha chiesto a Lazaro di scrivergli e di raccontargli il caso. Questo testo ha un doppio scopo: raccontare il caso (ossia il presunto tradimento della moglie di Lazaro con l’arciprete) e per essere compreso è necessario che lui gli racconti tutta la storia della sua vita. La parola “caso” apre e chiude il testo. C’è una figura ricorrente, la circolarità: il primo elemento circolare è il caso. Si prediligono il pettegolezzo, le allusioni e l’ironia. Una delle fonti del testo è “Le Metamorfosi di Apuleio”, in cui il protagonista vive una serie di peripezie che somigliano a quelle del Lazarillo. Lo studio di Francisco Rico su questo tema si domanda cosa spinga Lazzaro a scrivere, per dare una certa unità al testo. Il suo è un percorso fatto al fine del raggiungimento dell’onore. Egli è convinto di riuscire a fare una scalata sociale, però alla fine non ci riesce. Il pretesto per scrivere dunque è il caso (per la forma epistolare). L’Arciprete sostiene economicamente Lazzaro e sua moglie, ma nonostante ciò non mancano le malelingue. Infatti, precedentemente il prete aveva proposto in moglie al protagonista la sua domestica, la quale si dice che entra ed esca dalla casa di quest’ultimo; pare anche che avesse partorito 3 volte, ma non viene confermato e neppure smentito. Lazaro però difende sua moglie. Il picaro riparte da lontano per giungere al presente. C’è uno squilibrio tra le parti: i primi 3 trattati sono più estesi, mentre gli altri sono più brevi. C’è la volontà da parte della voce narrante di selezionare i fatti più importanti, ovvero quelli della sua infanzia. Pertanto, vi è una duplice prospettiva continua: Lazaro bambino e Lazaro adulto. Tormes è un fiume che bagna Salamanca, e lui abita lì vicino (si dice che nei fiumi siano nati gli eroi). A pagina 218 ad esempio (ultimo paragrafo) abbiamo un altro elemento di circolarità. Pagina 116 (paragrafo 3): incontro tra Lazzaro e il suo primo amo. Il cieco è molto astuto, e chiede al ragazzo di essere la sua guida. Prima egli era ingenuo, invece ora matura l’autocoscienza di sé stesso poiché è solo e deve pensare a come cavarsela. Il padrone può dargli dei consigli su come vivere e lo guida nel cammino della vita, addestrandolo. Il cieco è però un maestro che lo educa al male, che usa delle strategie di cui si serve per fare denaro. Questo primo trattato è organizzato intorno a 5 burle, come ad esempio quella della calabazada (zuccata, testata). Pagina 120-123: Lazaro lascia Salamanca insieme al cieco. Ad un certo punto però si ritrovano accanto ad una statua che ha la forma di un toro, e il cieco fa urtare il ragazzo con la testa. Tale episodio rappresenta il battesimo di Lazzaro alla vita: egli capisce che non può fidarsi del cieco, il quale gli fa patire la fame ed è un personaggio negativo. Il suo è un apprendistato verso il male. Lazaro comincia a mettere in pratica i suoi consigli, a fare proprie certe tecniche e raggirarle a suo favore; egli sfrutta la cecità del padrone per bere dalla sua brocca. Nonostante lui tenga stretto a sé il vino, Lazaro escogita un metodo per berlo. Il cieco in realtà stava già tramando la propria vendetta, infatti poi lo punisce. Il giorno seguente Lazzaro aveva trovato una soluzione per rubare il vino, tuttavia il cieco, essendo molto furbo, lo scopre. La conseguenza fu che Lazzaro si spezzò i denti. Cominciò così a pensare di vendicarsi. Pagina 128: terza burla. Successivamente, i due arrivano in una città in cui c’è il tempo di raccolta dell’uva, perciò ricevono un solo grappo d’uva e si accordano per dividerlo, per mangiarlo a turno e un po’ alla volta. Ma il cieco ad un certo punto rompe il patto e lo imbroglia, mangiando l’uva a due a due. Lazaro non contesta il suo comportamento, ma decide di mangiarne a tre a tre. Quando si spostano di città (a Escalona) il cieco non solo lo fa morire di fame, ma gli dà perfino il cibo da cucinare per lui (in questo caso una salsiccia). Il ragazzo però non poteva mangiarla, perciò mentre il suo padrone gli dava il denaro per andare a comprare il vino egli sostituì la salsiccia con una rapa. Il cieco inizialmente non la riconobbe al tatto, ma non appena diede un morso e se ne accorse chiese al picaro cosa fosse successo. E siccome lo accusò, Lazaro si difese subito cercando di giustificarsi e sostenendo che lui era fuori a comprare il vino. Ma il vecchio sentì con l’olfatto l’alito di Lazaro. Qui avviene la trasformazione animalesca del cieco. Dopo la violenza e la paura subita a causa del padrone, Lazaro vomita. In quel momento pensava di morire. La dinamica di apprendimento di Lazaro avviene sempre con momenti di burla e castigo. Pagina 133-134: È presente una profezia insita in una battuta del cieco, che nonostante non sia dotato di vista ha la capacità di illuminare e di prevedere il futuro grazie alla sua saggezza. Lazaro torna a curarlo con il vino (che serviva per guarire le ferite). Il pronostico del cieco secondo il quale il ragazzo avrebbe fatto fortuna grazie al vino non si rivelò falso. C’è una parodia del linguaggio religioso. Pagina 137-139: è l’ultima burla del primo trattato, la quale rappresenta la sequenza conclusiva. Piove a dirotto, c’è una grande pozzanghera e il vecchio ha difficoltà nel saltare per arrivare alla parte opposta, per cui Lazaro doveva aiutarlo. Ma invece di fare così, si vendica: l’anziano si fidava di lui, ma Lazaro lo fa collocare di fronte ad una colonna dicendogli di saltare, e in questo modo egli va a sbattere contro la colonna. Altro elemento di circolarità: la prima e la quinta burla sono fortemente collegate e speculari. La logica è rovesciata nella quinta burla che ribalta i ruoli di entrambi, e così il picaro dimostra di aver superato Aiutando gli olandesi, la regina Elisabetta I divenne ufficialmente una nemica della Spagna. In realtà i rapporti tra Elisabetta e Filippo non erano mai stati buoni. Nel 1554, Filippo aveva sposato Maria Tudor, regina d'Inghilterra, impegnata a riportare il cattolicesimo. Nel 1558, però, Maria morì senza lasciare eredi e quindi lui non poté più godere del titolo di re consorte d'Inghilterra. Quando Elisabetta salì al trono, Filippo le chiese di sposarlo, ma lei non accettò per tutelare l'indipendenza del suo regno. Successivamente, Filippo II si schierò con Maria Stuart, cercando in tutti i modi di metterla sul trono d'Inghilterra. Lo scontro tra Spagna e Inghilterra era prettamente economico: l'Inghilterra voleva diventare una grande potenza navale e togliere alla Spagna il monopolio del commercio con il nuovo mondo. La goccia che fece traboccare il vaso fu l'uccisione di Maria Stuart nel 1587, la quale fu accusata di complottare contro la corona. Filippo II, a quel punto, fece allestire una flotta di 145 navi, e per questo fu chiamata “Invincibile Armata”. Lo scontro avvenne nel 1588 nel canale della Manica e si concluse con un disastro per la flotta spagnola: le navi, colpite da una violenta tempesta, furono in buona parte affondate prima ancora di combattere. I galeoni spagnoli erano grandi e difficili da attraccare; le navi inglesi, invece, erano più piccole e corsero più velocemente al riparo. Contemporaneamente a tutto questo, si verificarono anche le guerre di religione in Francia, e Filippo cercò di indebolire il suo nemico. Dopo il rifiuto di Elisabetta egli si sposò con Elisabetta di Valois, figlia del re di Francia. Alla morte del re Enrico III, nel grande scontro per la successione, si inserì anche Filippo che appoggiò il fronte cattolico e cercò di mettere sul trono sua figlia. Ma anche in questo caso fu sconfitto. Infine, nel 1578, quando il re del Portogallo morì in battaglia, Filippo II (zio del re defunto) riuscì ad ereditare il regno, unificando i due imperi coloniali. Quando ci furono le prime scoperte scientifiche e la rivoluzione copernicana, cambiò tutto. Fino a quel momento c’era stata la visione tolemaica, cioè la convinzione che la terra fosse al centro dell’universo (visione geocentrica); poi quest’ultima fu sostituita dalla visione “eliocentrica”, secondo la quale è il sole ad essere al centro. Tali scoperte ebbero conseguenze anche sul piano culturale e letterario, poiché fino a quel momento l’uomo rinascimentale credeva di essere il rappresentante di Dio in terra ed aveva certezze, era ottimista e aveva fiducia nelle sue capacità. Venne messo in discussione dunque anche il “principio di somiglianza”. Si scoprirà anche che esistono altri pianeti oltre alla Terra e che il movimento della terra è ellittico (l’ellissi non ha centro ed è “schiacciata”). Il sistema di valori e delle false credenze dell’epoca crollò. Nel 1610, un trattato di astronomia chiamato “Sidereus Nuncius” aggiunse che il sistema solare non è l’unico, che lo spazio si estende all’infinito. L’uomo del 500’ non era abituato a perdere tutte le sue certezze, a non essere più privilegiato. Per cui prevaleva un sentimento di disinganno, tutto veniva visto come illusorio, non c’era nulla di stabile. Cambiò anche il rapporto con la fede e la religione. Nacque la Riforma protestante e successivamente la Controriforma, che voleva essere un contro-attacco della chiesa cattolica, il cui obiettivo era controllare le coscienze dei fedeli per renderli manipolabili. Anche nell’arte ci furono cambiamenti: ci fu una sostituzione dei colori (esempio: Velázquez, che dipinse i nani). Viene privilegiato il “brutto”. Cambio di gusto e di prospettiva con “Las Meninas” di Velazquez. Era tutto ridotto all’apparenza; mantenere il controllo sulla sfera irrazionale dell’uomo. Nacque anche lo stile barocco, molto pomposo e caratterizzato dall’esagerazione, l’eleganza era portata all’eccesso; c’era la voglia di scioccare, di sorprendere per far dimenticare all’uomo la crisi in cui viveva. Lo stile barocco sarà evidente soprattutto nelle opere di Quevedo e Gongora con l’uso delle metafore (si voleva creare in chi legge l’effetto sorpresa). Mateo Alemán era uno scrittore spagnolo del Siglo de Oro nato a Siviglia nel 1547, studiò medicina ma non sappiamo se abbia mai terminato gli studi universitari. Attraverso le sue avventure imparò l’arte di arrangiarsi. Fu imprigionato due volte: la prima volta nel 1580, e la seconda nel 1602 per i debiti accumulati. Nel 1608 decise di emigrare in Messico, dove morì. La sua vicenda biografica fu una delle sue fonti di ispirazione. È conosciuto soprattutto per il romanzo Vita del picaro Guzmán de Alfarache, pubblicato in due volumi: il primo nel 1599 e il secondo nel 1604, che stabilì le linee fondamentali della narrativa picaresca. Sin dal prologo, l’autore annunciava uno svolgimento della vicenda che avrebbe avuto un continuo, poiché la prima parte non si concludeva bene e aveva avuto un grande successo. Di questo approfittò un imitatore valenciano di nome Juan Martin, che sotto uno pseudonimo pubblicò la seconda parte del libro nel 1602, cioè un continuo falso (che ricevette comunque una grande accoglienza). Ciò, naturalmente, recò un grave danno al vero autore. Perciò, Alemán si affrettò a pubblicare l’autentica segunda parte dell’opera, vendicandosi (con ironia) con l’introduzione di un personaggio equivoco che chiamò “il servo”, destinato a morire miseramente in un naufragio; per cui si prese anche gioco del falso continuatore. La seconda parte presenta un sottotitolo eloquente, perché l’ATALAYA è un punto che ci consente di osservare dall’alto: si può intendere come la torre di controllo dove si pongono le sentinelle in tempo di guerra, o per imitare la sentinella stessa. L’idea che trasmette tale sottotitolo è dunque l’idea di una posizione di controllo, che guarda dall’altro verso il basso. Guzmán scrive questo testo perché guarda dall’esterno la sua vita, con tutti gli errori che ha commesso. Inoltre, alla fine viene annunciato anche un terzo libro il quale però non verrà mai scritto, anche perché non avrebbe avuto senso; infatti, quest’ultima era una strategia per evitare che un altro continuatore scrivesse una falsa terza parte. Sia il primo che il secondo volume sono divisi in 3 libri, quindi in sostanza abbiamo 6 parti. Il libro segue la funzione autobiografica del Lazarillo, con cui ha molti punti in comune (tra cui il genere della picaresca). Dall’adolescenza, dunque, si passa alla maturità; è presente un apprendistato disonorante e un’aspra satira e critica sociale. Alcuni episodi, infatti, ci raccontano della società in cui il protagonista si muove. Sono presenti anche commenti moraleggianti che puntano a dare una lezione amara di vita. Da queste avventure si possono trarre delle lezioni di vita che puntano ad educare. TRAMA: La narrazione scaturisce dalla memoria di un galeotto (un tipo di nave): Guzmán era finito in prigione: la galera era una nave su cui egli sconta la sua condanna. Era obbligato a remare per i delitti commessi e veniva trattato come uno schiavo. È il luogo fittizio da cui avviene l’evocazione e il ricordo autobiografico della propria vita. Il racconto finisce su questa nave, quindi la storia è una sorta di cerchio, cioè si comincia a narrare la propria vita fino al momento presente (come Lazzaro). Guzmán nasce a Siviglia: è figlio di un avventuriero ladro, mentre la madre è la convivente di un vecchio cavaliere appartenente alla vecchia nobiltà decaduta (concetto di honra che ritroviamo anche in Lazaro de Tormes). Le origini di entrambi sono poco onorevoli: anche Guzman a 12 anni lascia la famiglia in cerca di avventure. Così segue prima un mulattiere che lo deruba, poi vive per un po’ a Madrid presso un cuoco che lo maltratta e lo scaccia, e si metterà poi alla ricerca di alcuni parenti del padre che però lo disconoscono, tranne uno zio che lo ospita. Diviene anche un mendicante a Roma, dove un cardinale, notandolo, prova pietà per lui a causa del suo stato denutrito, per questo lo fa curare assumendolo al suo servizio. Ma poi Guzman lo deruba e viene cacciato (tutto ciò accade nella prima parte del libro). Passa poi (nella seconda parte) sotto la tutela dell’ambasciatore di Francia (figura molto importante), ma come al solito perde ogni protezione. A Siviglia viene poi arrestato e processato per aver rubato alcuni oggetti di valore, e sconta una pena di 6 anni su una galera, ma poi prova a fuggire e viene condannato alla galera a vita. La sofferenza e l’esistenza crudele lo inducono a riflettere sul destino umano, e questo lo spinge al pentimento. Poi scopre un ammutinamento (quando i carcerati organizzano una congiura e vogliono ribellarsi contro il capitano della galera) e lo denuncia; dopo questo accaduto, il protagonista si converte e si redime. L’episodio della conversione risolve il suo dramma esistenziale (per questo il sottotitolo è “atalaya”). È come se ci venisse raccontato il tutto guardando dall’alto verso il basso, e da questa prospettiva il protagonista può assumere le distanze dai suoi errori di giovinezza quando si redime. Lui guarda al passato, ma usa verbi al presente (racconto retrospettivo). Guzmán risulta essere sia il narratore che il giudice degli errori commessi da bambino, avendo infranto le leggi morali e religiose. Differenze tra Lazarillo e Mateo Alemán: la possibilità della redenzione non viene mai preclusa a Guzman, ma occorre solo uno sforzo del suo libero arbitrio affinché la Grazia Divina lo possa liberare dai suoi peccati. Lazarillo invece non fa questo sforzo per salvare sé stesso. Quella del Guzman de Alfarache è la storia di una confessione, mentre la storia di Lazaro tende verso un caso. Guzman si confessa. Egli viaggia e si sposta tra diverse città: Toledo, Roma, Genova, Barcellona e altre. Per questo in Guzman troviamo un’amplificazione di tutti i motivi presenti nel Lazarillo, in quanto lui serve 7 padroni mentre Guzman incontra decine di personaggi sul suo cammino, è appunto una storia di formazione. Inoltre, a differenza di Lazaro egli studiò. Nel Lazarillo de Tormes si dava importanza ai fatti della vita del protagonista, mentre in Aleman è importante l’insegnamento che si può trarre dalla vita di Guzman. Alla fine del testo egli matura un’autoconsapevolezza di sé. PROLOGO: Il prologo dà delle indicazioni in merito al testo, è STRUMENTALE perché nel primo prologo l’autore si rivolge al popolo parlandone come se lo odiasse, e questo lo fa solo per dare importanza al secondo prologo, dove si nota che il vero destinatario dell’opera è il lettore; infatti il popolo ci viene descritto come ignorante, mentre il lettore viene esaltato ed è in grado di ragionare, di codificare il messaggio fondamentale che si vuole trasmettere e che troviamo nel secondo prologo. Il fatto che ci sia un doppio prologo testimonia la rottura della misura dell’epoca, come la realtà dell’epoca sia percepita alla luce di una duplicità e di un’ambiguità (perdita delle certezze). La presenza di questi due prologhi segna anche la rottura del patto stabilito da Lazzaro, che pertanto si rivolge a “Vuestra merced” e quindi non ha destinatari esterni, infatti noi lettori partecipiamo ai fatti narrati quasi da intrusi. Con il Guzman de Alfarache, il romanzo picaresco si perfeziona. Si ha un’evoluzione della picaresca rispetto al Lazarillo de Tormes (dove vengono raccontati solo i fatti, le vicende), mentre per Mateo Alemán è molto importante il consejo cioè l’insegnamento che si può trarre dal racconto della vita di Guzman. Da un lato è come se Mateo Alemán guardasse al Lazarillo come un modello, ma dall’altro è come se ne prendesse anche un po’ le distanze, quindi sviluppa e ne modifica dei tratti e delle caratteristiche. Egli utilizza sempre le stesse costruzioni sintattiche per offendere il volgo. Le metafore che troviamo all’interno del testo sono fondamentali e sono di carattere alimentare (introiezione del messaggio così come si fa con il cibo). La metafora della noce (nel primo prologo, vedi pag.108) è simile alla metafora del melone. Il volgo rimane appiccicato alla parte dolce del melone, rimane colpito perché ne è attratto, ma non ha capacità di discernimento. Quest’ultima rappresenta un rovesciamento della metafora della noce: una volta aperta la dura corteccia della noce (che solo il lettore sa penetrare), si arriva al frutto e quindi al messaggio che l’autore vuole trasmettere. (concettosità del linguaggio barocco) Poi abbiamo la metafora della mosca, la quale è considerata un rovesciamento della metafora dell’ape (secondo prologo): il popolo viene paragonato alla mosca, che è dispettosa e movimentata, sfugge a quanto c’è di bello e nobile nella comprensione per posarsi su cose sgradevoli; per cui richiama il parassitismo e si nutre di avanzi. L’ape, invece, si adopera per trasformare il nettare in miele (in conoscenza) e quindi è un insetto attivo; la stessa funzione attiva è richiesta al discreto lector per l’interpretazione del messaggio (capacità produttiva del lettore). Queste metafore provengono dalla letteratura classica. Il lettore volgare predilige le cose superficiali. È presente una componente moraleggiante (consejo) e una aneddotica (conseja): il volgo si sofferma alla materia biografica narrata, ma non è in grado di coglierne il messaggio morale (come fa il lettore intelligente). La lode dei cattivi è dannosa, perciò lui non vuole la falsa stima del volgo, il quale non merita la libertà perché non è capace di discrezione. Il volgo calpesta i fiori perché li disprezza: è come se le tempie e la testa del virtuoso lector fossero coronate da fiori (la corona d’alloro è simbolo di conoscenza acquisita). Linguaggio metaforico per annunciare il prologo successivo. Il popolo è aggressivo e violento, per cui il lettore viene messo in guardia da esso. SECONDO PROLOGO: Del mismo (l’autore) al discreto lector Inizia con una metafora, quella del prologo maturato durante il sonno: l’autore è uscito dallo scorso prologo a pezzi (a causa della cattiveria del volgo), come se avesse sognato di essere stato bastonato. Paragrafo 2 (dove troviamo il topos della falsa modestia dell’autore): egli si adegua alla correzione del lettore e si raccomanda la sua difesa. Sottolinea la capacità del lettore di saper penetrare il significato profondo dell’eloquenza e dell’orazione (il sapersi esprimere): il discreto lector è talmente preparato che lo scrittore è in grado di accettarne le critiche costruttive e le correzioni, quindi non c’è bisogno che lui si difenda. Inoltre, il verbo “aprovechar” ritorna nel secondo prologo: la prima volta è l’autore ad approfittare del fatto che laddove non arrivi il suo impegno arrivi la volontà di insegnare, invece la seconda volta è il lettore con il quale può “approfittare”, quindi potremmo dire che lettore e autore hanno in comune questo desiderio di “aprovechar”. Poi ritorna il topos della falsa modestia.
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