Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Appunti di Letterature Comparate, Sbobinature di Letterature comparate

Corso in Scienze della Mediazione Linguistica. Prof. Coiro. Gli appunti sono composti da tutte le registrazioni del corso, da me trascritte parola per parola; sono presenti anche le spiegazioni dei vari testi: "La Strada" (McCarthy), "Dissipatio HG" (G. Morselli) e "Rumore Bianco" (De Lillo).

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

In vendita dal 20/08/2019

Giuliass.
Giuliass. 🇮🇹

4.4

(38)

30 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Appunti di Letterature Comparate e più Sbobinature in PDF di Letterature comparate solo su Docsity! Giulia Di Modica 1 Letterature comparate Giovedì 8 novembre 2018, Bibliografia da leggere: Guido Morselli, Dissipatio H.G., Adelphi, 1977. Parodia del post-apocalissi. Don De Lillo, Rumore bianco, Einaudi, 2005 [o ed. or. White Noise, Viking Press, 1985]. Servirà per le visioni post-moderne. V Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, 2006 [o ed. or. The Road, Knopf, 2006]. Servirà per l’analisi delle visioni post-apocalittiche. V Susan Sontag, L'immagine della catastrofe [1965] da Id., Contro l'interpretazione, Mondadori, 1988, pp. 315-339. Argomenti del corso:  Immagine apocalittica;  Immagini del disastro;  Realismo mimetico. Per mondo d’invenzione si intende ogni aspetto che stiamo leggendo o guardando, dai nomi, dalla vita, dalla descrizione dei personaggi e degli oggetti; quindi esso è quello che realmente potremmo vedere se avessimo la possibilità di immergerci nella narrazione di un libro o di un film. Nei libri che leggeremo non ci sarà mai il sorpasso del sovrannaturale e quindi non ci sarà mai qualcosa che va oltre la verosimiglianza. Resta il principio di causalità (accade qualcosa sempre per una causa, molto spesso assurda), di probabilità e di non contraddizione. Il realismo mimetico è molto interessante per il tema della fine del mondo poiché ci viene offerto come un mondo di invenzione molto simile al nostro: è molto più comodo ovviamente vedere un film dove la fine del mondo è caratterizzata da zombie o da fantasmi ed entità sovrannaturali ma in realtà la fine del mondo è molto più inquietante quando ci viene offerta senza l’apparizione di queste entità. Come sarà organizzato il corso:  Definizione e mappatura del tema: apocalisse biblica, apocalisse moderna (e postmoderna: qualcosa che appartiene alla nostra cultura; mondo ed epoche che sono anche le nostre);  Tre libri per tre momenti storici: “The Road” (2006, scritto da McCarthy, è più vicino alla nostra prospettiva; ci serve per analizzare le narrazioni post-apocalittiche, genere più diffuso dal 2001 in cui si parla di un mondo che è già finito. Questo libro parla di un padre ed un bambino i quali attraversano una strada probabilmente degli Stati Uniti e che vengono continuamente minacciati dalla presenza di soggetti esterne), “White Noise” (1985, scritto da De Lillo: romanziere americano che ha circa 80 anni e che ogni anno viene candidato al Nobel. Questo libro ci servirà per parlare di narrazioni apocalittiche post-moderne: in questo romanzo ci troviamo nel nostro mondo che però presenta delle caratteristiche più grottesche; è pieno di supermercati ed il soggetto della narrazione è una famiglia Americana degli anni ’80 dove il padre è Giulia Di Modica 2 professore Universitario. Qui l’apocalisse è imminente ed I personaggi devono affrontare in maniera a volte avventurosa o del tutto tragica, l’arrivo di un evento esterno.), “Dissipatio H.G.” (1974, scritto da Guido Morselli: romanziere italiano morto suicida nella metà degli anni ’70; questo libro esce dopo la sua morte ed il titolo “Dissipatio Humani Generis” indica la “dissipazione del genere umano”. Questo libro ci servirà per parlare di narrazioni post-apocalittiche in cui il mondo è già finito ed in cui resta un solo personaggio che è il narratore. A differenza del libro di McCarthy si vedrà il modo in cui è valorizzato il genere post-apocalittico ed il modo in cui si può scrivere un romanzo che tratta, in maniera del tutto ironica ed apparentemente molto distaccata, il tema della fine del mondo);  Il metodo usato per leggere questi testi sarà quello del Close reading (categoria della critica letteraria statunitense il quale tratta di una lettura ravvicinata: serve per capire come leggere un testo letterario e vedere in che modo le immagini del disastro vengono costruite all’interno di un testo lungo come un romanzo). Analizzeremo quindi le strutture narrative e formali che si possono trovare in questi romanzi: parleremo dei concetti classici come narrator, autore, tempo, durata e così via; cercheremo di commentare l’uso di queste strutture, faremo una sorta di lettura sintetica (ci interesseremo al modo in cui viene rappresentato il tema della fine del mondo e del perché viene rappresentato in quel modo);  Parleremo del contenuto di verità (concetto semplice ma complicato: quale conoscenza ci porta il paradigma apocalittico? In che modo conosciamo il nostro mondo quando immaginiamo la fine del mondo?). Perché un corso sulla fine del mondo Da un lato, il tema della fine del mondo è molto vicino ai temi della prima parte del corso e dall’altro, questo tema è in un certo senso lo schema mentale con il quale leggiamo molti cambiamenti della nostra epoca: attraverso i concetti dell’apocalittica e della fine del mondo, leggiamo gli eventi che succedono nel nostro mondo e, leggiamo le trasformazioni del tempo storico e presente. Per schema non si intende solo quello conoscitivo (che in filosofia viene definito come paradigma) poiché l’apocalisse non è solo un paradigma ma molto più spesso è uno sguardo e una postura verso le cose, il quale è molto diffuso nella cultura contemporanea. I due temi principali per capire ciò, sono quello della crisi ecologica (spesso affrontato con toni e temi della fine del mondo per motivi ideologici o per un impegno verso questioni molto sottintese nelle nostre vite) e della rivoluzione digitale (vedi slide numero 7 e 8 del primo file) la quale, inizia circa negli anni ’70 ma mostra i suoi effetti a partire dagli anni ’90 ed in modo molto intenso a partire dagli anni ‘0 con la nascita del web 2.0, con la nascita di social network come Facebook, con l’emersione di temi del dibattito pubblico sulla scomparsa del lavoro in favore di processi di automazione e così via. Viene spesso definita rivoluzione cibernetica o informatica. Ci viene difficile vedere i confini di questa rivoluzione poiché vi siamo del tutto immersi e spesso per notare un cambiamento così grande, vengono usati dei termini e delle parole o categorie che appartengono al genere apocalittico come ad esempio l’apocalisse dei robot.) Giulia Di Modica 5 loro pensieri, a quali eventi vanno incontro e così via), l’ecologia (rapporto tra uomo e spazio, tema già trattato nella prima parte del corso; in questo corso vedremo in che modo nei nostri testi verrà rappresentata la relazione tra uomo e spazio circostante: spazio fisico  quali aspetti geografici del mondo sono scomparsi, ma anche spazio sociale  in che modo il personaggio si rapporta ai suoi simili o se ve ne sono ancora), l’impensabile (se il mondo finisce o se c’è un evento che lo distrugge, si tratta proprio di qualcosa di impensabile o qualcosa nella quale il nostro pensiero razionale deve mettersi da parte; può essere chiamato inaudito, assurdo e così via), il finale (la fine del mondo è già un finale e quindi vi è una relazione tra finale della narratologia e finale in senso ampio. Cercheremo di capire quale è il finale di un libro o di un film nel quale spesso, nei film Hollywoodiani vi è un lieto fine mentre, nei romanzi che leggeremo non sarà così). Impareremo ad usare delle categorie:  Straniamento;  Ritorno del rimosso: utilizzato da Freud nei suoi scritti e poi largamente diffusasi;  Perturbante: anch’esso utilizzato da Freud, molto legato alla categoria dell’impensabile;  Sublime: è una categoria che appartiene soprattutto alla cultura romantica, ed è utile soprattutto per i film che vedremo;  Realismo: categoria più complicata, usata, studiata e teorizzata da parte degli studiosi di letteratura;  Fantastico: la categoria del reale e del fantastico sembrano a primo impatto opposte ma, sono in realtà molto più vicine di quanto noi pensiamo. Parlando spesso di fine del mondo, questa categoria sarà una di quelle di cui parleremo di più: al suo interno ci saranno cose di cui non ci occuperemo in questo corso come fantasmi, zombie ed entità sovrannaturali;  Catarsi: categoria sulla quale scrisse molto Aristotele;  Cronotopo. Attualità del tema: il report del 2015 Per definire attuale un tema come quello della fine del mondo si può parlare di un report del 2015 pubblicato da un centro studi dell’università di Oxford (Future of Humanity) che analizza i 12 rischi che minacciano la civiltà umana, la cui prospettiva è strettamente scientifica. Secondo questo report vi è un numero limitato di rischi globali i quali possono essere identificati attraverso un processo scientifico; rischi i quali possono avere un impatto che minaccia la civiltà umana o addirittura la stessa vita umana. I rischi qui citati riguardano quelle situazioni nelle quali qualunque cosa può andare persa e, la situazione che viene a crearsi subito dopo può essere irreversibile. Di quali rischi parla il report 1. Estremo cambiamento climatico: ad un certo punto, la situazione rispetto ai cambiamenti climatici della nostra epoca potrebbe prendere delle direzioni del tutto Giulia Di Modica 6 impreviste e provocare dei danni irreversibili come l’aumento di 4°/6° sulle temperature medie (precedenti alle rivoluzioni industriali) costituiscono un rischio di “infinite impact” (qualcosa che porta all’estinzione della vita umana). La causa principale di ciò è l’emissione di CO2 da combustibili fossili; questi effetti coinvolgono soprattutto i paesi più poveri che si trovano attorno alla fascia equatoriale; 2. Conflitto nucleare: vi fu il periodo della Guerra Fredda (prima della caduta del muro di Berlino) in cui il mondo era diviso in due blocchi: Stati Uniti da una parte e Unione Sovietica dall’altra che, hanno affrontato circa 30/40 anni di conflitto non armato con annesse crisi diplomatiche che, avrebbero potuto sfociare nello sgancio di armi atomiche. Dall’89 quindi questa minaccia sembrava sicuramente diminuire ma, in questi ultimi anni vi è stata una situazione diplomatica tra Corea del Nord e Stati Uniti (entrambi paesi che hanno armamenti nucleari) e quindi, una possibile minaccia nucleare imminente e molto rischiosa. Nel mondo ci sono 9 stati che possiedono armamenti nucleari di cui 5 aderiscono al Trattato di non proliferazione nucleare; 3. Catastrofe ecologica: lo stato del nostro ecosistema può degenerare in maniera improvvisa a causa di un evento limitato nel tempo. In questa situazione, l’estinzione delle specie viventi è un rischio molto elevato; 4. Pandemia globale: da sempre le pandemie sono tra i fattori decisivi della morte degli esseri umani e, ciò lo sappiamo poiché nella storia vi sono stati moltissimi eventi di morti su larga scala. Gli agenti patogeni che controlliamo più difficilmente sono l’ebola, l’HIV, e la rabbia; 5. Collasso sistemico globale: si basa sul concetto di rischio sistemico che riguarda tutti i sistemi complessi, dal sistema della finanza all’ecosistema; sistemi nei quali vi sono diverse variabili in campo che, se mutano possono portare a reazioni improvvise e letali delle altre variabili  l’interazione tra queste variabili può portare al collasso. In un sistema economico fortemente finanziarizzato come il nostro, ogni elemento è strettamente interconnesso agli altri in una rete globale: gli effetti di un potenziale cambiamento di uno dei fattori all’interno del mondo sono il caos politico (la governance politica globale può attraversare dei momenti di forte disorganizzazione), la sospensione di giustizia e ordine pubblico (situazione di collasso sistemico nella quale vengono sospese le leggi della giustizia  lo stato non esiste più e si instaura una sorta di regime di lotta di tutti contro tutti) e la distruzione del patto sociale; 6. Impatto di un asteroide: gli asteroidi sono sempre stati presenti sulla Terra ma sono eventi improbabili che avvengono una volta ogni venti milioni di anni ed è uno dei rischi più comprensibili e controllabili; 7. Super-vulcano: eruzione vulcanica che produce una quantità di lave basaltiche di circa 1000 volte superiore alle eruzioni medie; 8. Biologia di sintesi: branca della biologia interessata a costruire sistemi biologici artificiali o a modificare quelli già esistenti. Il rischio principale all’interno della biologia di sintesi è che ci possano essere degli effetti imprevedibili come la progettazione o l’aggregazione di agenti patogeni fatti in laboratorio che, possono essere letali per gli esseri umani e per l’ecosistema (ad esempio gli alimenti); 9. Nanotecnologia: lavora sulla trasformazione a livello subatomico delle proprietà della materia. Anche in questo caso si tratta di qualcosa vicino alla ricerca scientifica (non è quindi un evento esterno ma riguarda le nostre capacità tecnologiche di Giulia Di Modica 7 conoscere il mondo in cui viviamo). Nella nanotecnologia, lo sviluppo di alcune ricerche potrebbe permettere a gruppi ristretti la costruzione di armi di distruzione (bomba atomica); 10. Intelligenza artificiale: è uno dei rischi meno prevedibili poiché questo è uno dei campi più in rapido sviluppo nei nostri anni e, riguarda la possibilità di costruire un'intelligenza artificiale comparabile a quella umana (emozioni e così via; una comunità scientifica crea dei robot che sfuggono al controllo dei propri creatori, diventando una sorta di soggetto indipendente da suoi creatori che minaccia la loro esistenza e addirittura quella umana); 11. Rischi non conosciuti: comprendono tutti quei rischi che attualmente non riusciamo ad immaginare o, tutte quelle minacce che vengono scatenate dal fatto che la comunità umane magari risponde ad uno dei 10 rischi precedenti (per rispondere al rischio del super-vulcano ad esempio, inizia un processo di difesa che porta all’esplosione di una minaccia molto più grande e complicata di quella che inizialmente si voleva risolvere); 12. Governance globale: è il rischio più vicino al nostro mondo attuale ed uno dei peggiori. Con questo termine si intende quel sistema di controllo e di potere esercitato da diverse istituzioni o sovrastati, che portano ad una sorta di governo del mondo  è una sorta di rete di relazioni tra vari elementi da cui nasce la struttura delle modifiche dei governi mondiali. Nella Governance globale possono esserci vari problemi quali i conflitti di potere tra l’interesse pubblico (garantito da stati ecc.) e l’interesse privato (garantito da società private, multinazionali ecc.) che possono portare alla minaccia dell’esistenza dell’essere umano. I soggetti della Governance Globale sono del tutto imprevedibili come presidenti di stati nazionali e persone molto in vista che possono portare ad una serie minaccia dell’essere umano. Questo report mette in risalto il tema del corso, il quale è molto più vicino a noi di quanto si possa pensare e che riguarda la nostra vita in maniera molto più potente di quanto possano mostrarci le narrazioni o i film. Il senso di questo corso è quindi proprio quello di cercare di capire (attraverso l’aiuto di film, romanzi e molti altri oggetti culturali) in che modo possiamo conoscere meglio queste minacce ed in che modo quindi possiamo conoscere il mondo in cui viviamo. Venerdì, 09 novembre 2018 Catastrofe, apocalisse e post-apocalisse Il critico canadese Frye afferma che: «Tutta l’arte è sottoposta alla pressione della fine; i visionari, gli artisti, i profeti e i martiri, vivono tutti come se un’apocalisse fosse dietro l’angolo e, senza questa sensazione di una potenziale crisi imminente, l’immaginazione perde gran parte dello slancio». Questo serve ad introdurre il rapporto che vi è tra arte e distruzione poiché parlando di temi come quelli della fine del mondo, dell’apocalisse e della catastrofe, inevitabilmente si ha a che fare con la categoria della distruzione (che appartiene al senso comune ed è centrale alla produzione artistica). Giulia Di Modica 10 filosofia come uno degli eventi che causarono la nascita della filosofia del disastro, questo perché eventi profondamente tragici e molto grandi possono riguardare il mondo della speculazione e della creazione artistica in maniera molto intensiva, impegnando la creazione artistica e la speculazione per diverso tempo (segnando una sorta di cesura epocale anche in questioni totalmente appartenenti alla sfera del simbolico e dell’immaginario). Il geologo Charles Lyell ci da’ una descrizione che è a metà tra lo scientifico e il racconto mimetico di un disastro come quello di Lisbona. Alluvione di Firenze, 4 Novembre 1966 La seconda catastrofe è l’alluvione di Firenze del 4 novembre del 1966, la quale a seguito di un’ondata di maltempo si ebbe una gravissima alluvione al centro di Firenze che causò dei danni non solo a Firenze ma anche a Pisa e a gran parte della Toscana. Quest’alluvione fu uno dei primi episodi che evidenziarono la grave mancanza di strutture centrali da parte dello Stato Italiano di gestione delle catastrofi naturali ma che però diede vita ad una sorta di aggregazione da parte dei giovani del paese che, si riunirono a Firenze per salvare soprattutto i volumi della Biblioteca nazionale dal fango e dall’acqua. Questi giovani sono chiamati “angeli del fango” e rappresentarono una delle prime manifestazioni della cultura giovanile degli anni ’60 che si ritrovano nella storia della Repubblica Italiana. Attentati dell’11 Settembre 2001 La terza catastrofe è l’attentato dell’11 Settembre del 2001 alle Torri Gemelle, il quale non fu una catastrofe naturale ma artificiale. Questa disgrazia viene letta da parte di alcuni storici come la vera cesura storica che ha dato vita alla nostra epoca ed ha delle complessità enormi legate a teorie del complotto e simili che però nel nostro immaginario non solo segnano l’esordio a livello globale dei vari terrorismi della nostra epoca ma ci interessano per la larga mobilitazione di forze governative e civili nella gestione del post 11 Settembre e quindi l’arrivo da diversi luoghi degli Stati Uniti di semplici cittadini per aiutare a sgomberare il luogo dalle macerie ed aiutare i vigili della città di New York.  Notiamo quindi da un lato una comunità nazionale (se non globale) che si mobilita riunendosi, anche dal punto di vista fisico, a New York per stare vicino alle vittime di quella giornata e, dall’altro lato notiamo anche la cesura storica che viene vista dagli studiosi in quella data. Katrina, New Orleans, Agosto 2005 La quarta catastrofe è l’uragano Katrina del 23 agosto 2005 che colpì in particolare la città di New Orleans: quest’uragano è considerato tra i 5 uragani più violenti nella storia degli Stati Uniti ed anche in questo caso ci fu una forte mobilitazione nazionale con delle polemiche molto forti con quella che all’epoca era l’amministrazione di Bush ed anche in questo caso, la cosa che più ci interessa è proprio il modo in cui la comunità del luogo si mobilita per risolvere e fronteggiare un evento esterno ed imprevedibile e, cercare di ripartire (avviare un processo di rigenerazione). Su questa catastrofe è inoltre stata fatta una serie tv americana nel 2010 di 4 stagioni, chiamata “Treme” che è un quartiere della città di New Orleans (uno dei Giulia Di Modica 11 quartieri del jazz): questa serie televisiva è molto interessante perché fa vedere dal punto di vista del racconto, il modo in cui diversi cittadini della città (anche attraverso il veicolo musicale) si riuniscono attorno alle vittime della tragedia e cercano di ricostruire il quartiere di Treme. Il trailer ci fa vedere il modo in cui una forma di rappresentazione come le serie tv, può raccontare il modo in cui individui e normali cittadini, cerchino di ricostruire una situazione comunitaria dopo una catastrofe molto grande come quella dell’uragano Katrina. Il senso della catastrofe Dopo la visione di queste catastrofi, bisognerebbe chiedersi quale sia il loro senso. Come abbiamo già detto, la “catastrofe” è una sorta di svolta e di ribaltamento della vita quotidiana: da un lato può favorire l’aggregazione civile e la nascita di comunità e quindi può innescare un processo di autodeterminazione di soggetti e collettività (è il caso dell’11 Settembre in cui vi fu una mobilitazione civile che prese quasi i toni del nazionalismo poiché erano tutti riuniti sotto la bandiera americana). Dall’altro lato essa ridefinisce il senso e la morfologia dei luoghi (sempre il caso dell’11 Settembre poiché quel luogo venne riassemblato facendo una sorta di memoriale perenne). C’è poi un’altra categoria: quella del trauma  evento esterno che segna cesure nette non integrabili nel passato psicologico dell’individuo o della comunità. Molto spesso, storici e studiosi vedono nelle catastrofi una sorta di sparti acque che riguarda non solo lo sviluppo successivo alla catastrofe ma anche il modo in cui viene storicizzata una data epoca (sempre il caso dell’11 Settembre che ha segnato una sorta di sparti acque nella storia occidentale). 2) Apocalisse: rivelazione o distruzione? Per quanto riguarda l’Apocalisse, ci si muove sul piano dell’immaginario e del simbolico: molto spesso essa riguarda il piano della creazione artistica che è strettamente narrativo. Questa parola deriva dal greco «αποκάλυψη» e vuol dire «rivelazione» (dietro una parola che nel senso comune viene intesa con i concetti di «distruzione» e «fine», c’è in realtà il concetto di “rivelazione”). Il concetto di fine del mondo e di situazione catastrofica, viene incollato alla parola Apocalisse soprattutto dal XIX sec. quindi, notiamo già che nel termine “Apocalisse” c’è una sorta di doppio regime: da un lato la si intende come “rivelazione” (religiosa in particolare) e dall’altro come “visione della fine”. Un doppio regime In questa biforcazione, il concetto che oggi ha preso piede è quello di “fine” poiché la visione religiosa di Apocalisse è scomparsa nel linguaggio comune (se non per indicare il libro dell’Apocalisse che tra l’altro prende il nome di “Libro della Rivelazione”) per far posto al significato laico; nell’uso comune il termine Apocalisse indica uno scenario tragico, improvviso ed inesorabile. Nel linguaggio giornalistico e nel senso comune, la parola Apocalisse viene indicata in un significato del tutto negativo anche se in realtà, l’Apocalisse è appunto nota come “Libro della Rivelazione”. Giulia Di Modica 12 Apocalisse di Giovanni L’Apocalisse è l’ultimo libro del Nuovo Testamento ed è la seconda parte della Bibbia che si apre con la Genesi e si chiude appunto con l’Apocalisse che è apparentemente una fine. L’Apocalisse è l’unico libro apocalittico presente nel canone biblico (in realtà dopo il libro di Giovanni, ci fu la nascita di un vero e proprio genere che passa nella storia come apocalittico, che riprende molte delle caratteristiche del libro di Giovanni). Giovanni è un martire cristiano che compone il libro dell’Apocalisse sull’isola di Patmos (nell’Egeo) alla fine del I sec. d.C. Questo libro è uno dei più brevi della Bibbia ed è di difficile comprensione in quanto è la successione di diverse visioni fatte di simboli (spesso molto oscuri soprattutto per un lettore della nostra epoca), con richiami continui a dei numeri (qualunque cosa appare nella cifra del 3 o del 7). I due annunci nell’Apocalisse Il libro dell’Apocalisse ha due annunci e si apre con una frase: «Rivelazione di Gesù Cristo, che gli fu data da Dio affinché mostrasse ai suoi servi le cose che devono accadere fra breve» (Apocalisse, 1,1). Questo libro si apre con il termine “rivelazione” ed è l’unica volta in cui viene usato poiché viene poi usato il termine di «profezia» (che si aggiunge a quello di «rivelazione» e «distruzione»). Giovanni in questo libro si riferisce alle gravi e drammatiche persecuzioni da parte dell’Impero Romano sulle comunità cristiane dell’Asia Minore dell’epoca. Questa rivelazione viene data ai fedeli dell’Asia Minore per consolarli delle morti, delle distruzioni e delle violenze che stavano subendo in quel periodo. Questo testo parla quindi di avvenimenti terrificanti come terremoti, bestie che arrivano da ovunque e, morti di massa, operate da forze del bene e del male e, questo susseguirsi continuo di distruzioni vuole essere paradossalmente una sorta di consolazione per le comunità dell’Asia Minore, che subivano questi attacchi all’epoca. Questo libro si presenta come un racconto che procede per visioni ed è fatto a blocchi (non ha un vero sviluppo narrativo) al cui interno vi sono eventi catastrofici ed alla fine di questa sequenza vi è la distruzione di Babilonia (città del peccato) e la nascita della Gerusalemme Celeste (l’arrivo di Dio). I sette sigilli Nel 6° capitolo, Giovanni di Patmos dice: (vedi slide 20, II). Qui vediamo un registro moderno e suggestivo poiché è molto simile al racconto del terremoto di Lisbona. La rigenerazione Il momento che arriva dopo le diverse catastrofi, è un momento di rigenerazione in cui si dice: (vedi slide 21, II). Nella frase: “perché le cose di prima sono passate” si intendono i terremoti e tutte le distruzioni che sono al centro del rapporto apocalittico. Giulia Di Modica 15 scrive, è del tutto deserta.). Molto spesso al centro di questi racconti vi è un eroe che non è positivo ma negativo (anche questo presente su Dissipatio H.G.). Inoltre nei romanzi post- apocalittici è molto forte il legame con la sfera della tecnologia: spesso la distruzione arriva o per un’esplosione nucleare, per una ribellione di robot (intelligenza artificiale di cui parlavamo ieri) verso i propri creatori o per la guerra. Nei romanzi in cui vi è un unico sopravvissuto, vi è il piacere dell’occupare metropoli deserte e ricominciare da capo poiché molto spesso, all’angoscia iniziale del personaggio nel capire che è l’unico sopravvissuto, segue una sorta di piacere inquietante dell’occupare luoghi che spesso sono occupati da altri uomini: il fatto che lui possa girare in una metropoli deserta, gli crea uno strano piacere. Le declinazioni principali del genere post-apocalittico arrivano dall’horror e dagli zombie: molto spesso la post-apocalisse rappresenta uno scenario in cui l’umanità sta scomparendo o addirittura è già scomparsa per opera di zombie; nella figura dello zombie (o non morto) possiamo notare la vita passata che torna a tormentare i vivi ed il presente (tema della memoria) ed inoltre, l’uomo contemporaneo ridotto a zombie (uno dei film più belli è quello di Romero, nel quale gli zombie memori della loro vita passata, arrivano ad attaccare un centro commerciale in quanto la domenica si recavano sempre lì quindi, la loro memoria riflessa li porta a rifare le azioni abituali della loro vita; qui si può notare un forte aspetto di crisi sociale in cui vi è il tema dell’uomo massificato dal consumo  uomo contemporaneo ridotto a zombie dal consumo e dalla tecnologia). Homo homini lupus Homo homini lupus è la lotta per la sopravvivenza nella quale molto spesso vince il più forte. È una filosofia della storia prettamente Darwiniana in cui in una lotta all’evoluzione, il più forte ha la meglio sul più debole. La convinzione rispetto all’etica dell’ homo homini lupus è che la nostra forma di vita sia separata di un solo grado dalla barbarie: il fatto che vi siano delle leggi e delle convenzioni sociali, ci separa di pochissimo dalla sospensione di esse (basta pochissimo affinché queste leggi saltino totalmente e si finisca in uno stato di barbarie). Un discorso sul futuro. Il senso della comunità nelle storie post-apocalittiche Al centro dei racconti post-apocalittici, c’è spesso il concetto di comunità: i sopravvissuti si chiedono in che modo dar di nuovo vita ad un mondo nuovo che non sia in distruzione (come quello rappresentato dal libro) ed in che modo rappresentare la comunità (questa domanda è al centro del libro di McCarthy e racchiude il significato del libro stesso). “La Strada” di McCarthy, 2006 “La Strada” è un romanzo pubblicato nel 2006 dallo scrittore americano McCarthy che oggi ha 82 anni. Egli prima di questo libro ne scrisse altri che appartengono al genere western. La trama di questo libro è molto semplice: vi sono superstiti un padre ed un bambino che si trovano in un mondo post-apocalittico (già distrutto), brave persone che devono dirigersi Giulia Di Modica 16 verso Sud (nel romanzo non è descritto il luogo in cui ci si trova; probabilmente negli Stati Uniti poiché non si fa mai il nome di nessun luogo specifico e non vi è nessuna indicazione temporale quindi non sappiamo né quando vi è stata la distruzione del mondo né perché esso è stato distrutto). [pagina 3 del libro, 4 pdf]: «Quando si svegliava … ma non ce n’era»  nella versione inglese del romanzo si fa cenno a questo personaggio con il pronome «he» mentre il bambino viene chiamato «child». L’uomo si sveglia in mezzo ai boschi con un bambino che gli dorme accanto (possiamo intuire sia il figlio) e possiamo già capire che si tratta di una situazione estremamente problematica da: «Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo.»; «Si tolse di dosso il telo di plastica, si tirò su avvolto nei vestiti e nelle coperte puzzolenti e guardò verso est in cerca di luce ma non ce n’era.». In queste prime righe possiamo ritrovare quasi tutte le caratteristiche stilistiche che torneranno nel corso del romanzo: «freddo della notte», «Notti più buie del buio» (si ripete due volte la parola “buio”, «giorni uno più grigio di quello appena passato.», «freddo glaucoma» (metafora molto efficace e drammatica), «in cerca di luce ma non ce n’era». Queste frasi ci fanno capire che si tratta di un mondo dal quale è totalmente scomparsa la luce e la sfera cromatica che vuole suggerirci l’autore è quella che va verso il nero; siamo nella notte, in un bosco e al buio e quindi si capisce che è una situazione estremamente tragica. In queste pagine vi è la figura retorica della ripetizione: ciò si può notare principalmente nella versione inglese dalla ripetizione delle parole «dark», «grey», «deep», «darkness» e così via; quindi questa figura retorica sarà una delle figure chiavi del libro e sarà uno degli effetti stilistici sui quali punterà molto spesso lo scrittore per suggerirci la drammaticità in un mondo ormai in distruzione. La terza cosa importante è l’opposizione costante tra la sfera del buio e la sfera della luce (tornerà in tutto il libro): nel libro si parlerà di fuoco (i personaggi si faranno strada nella notte di questo mondo distrutto attraverso una fiaccola) poiché la luce artificiale è completamente saltata. [pagina 3-4 del libro, 5 pdf]: «Nel sogno … fluida e silenziosa nell’oscurità»  l’uomo che si è appena svegliato, poggia una mano sul petto del figlio per capire se era vivo o no. Egli aveva appena sognato una caverna (torna il buio) e una torcia che tengono entrambi: percorrendo questa caverna, si trovano ad un certo punto davanti ad una creatura con delle fauci e, l’ambiente descritto è un’ambiente in cui trionfa la sfera minerale (ripetizione di «pozzo carsico», «rocce calcaree») ed è del tutto inospitale (l’uomo sta sognando questo scenario in quanto l’ha sicuramente attraversato durante il giorno). Anche in questo caso, la cosa che ci interessa è vedere in che modo vengono costruite le immagini nel romanzo ed in particolare, in che modo è rappresentata questa bestia: «creatura che alzava le fauci grondanti da quel pozzo carsico» e «con le ossa opalescenti che proiettavano la loro ombra sulle rocce dietro di lei.»  Da un lato questa creatura è del tutto immersa nello scenario inorganico, minerale e calcareo e dall’altro lato ha qualcosa di estremamente cinematografico poiché i colori che vengono proiettati sulla parete, fanno sembrare questa creatura da un lato del tutto assorbita nell’inorganico e dall’altro, abbastanza familiare (poiché si vede spesso nei film su mostri e strane creature dell’epoca contemporanea). Iniziamo quindi a vedere in che modo l’autore inizia a costruire le immagini dell’orrore e del male. Un’altra cosa molto interessante è la ripetizione dei termini della sfera temporale (e non del buio) come «notti», «giorni», «minuti», «ore», «anni»; termini della sfera temporale in maniera astratta in quanto non ci vengono dette delle date né nulla; l’astrattezza del mondo di invenzione del romanzo è forse il tratto più inquietante in quanto si parla sempre in maniera molto generica degli avvenimenti: ciò è Giulia Di Modica 17 estremamente familiare (tutti abbiamo a che fare con il tempo) ed estremamente universale (questo mondo distrutto può essere il nostro mondo come può anche essere la rappresentazione di esso fra 10 anni). ► Finora abbiamo visto che dal punto di vista stilistico il narratore lavora soprattutto sulla sfera cromatica e quindi su una scala di grigi che arriva al nero, che si riferisce anche alla sfera temporale (ci troviamo nella notte, buio) e che è opposta alla luce poiché spesso è portata solo da personaggi umani (il padre e il bambino attraverso la fiaccola). È presente come abbiamo già detto, la figura retorica della ripetizione. [pagina 4 del libro, 7 pdf]: «Con la prima luce grigiastra … a un altro inverno»  Da qui iniziamo a capire che questi personaggi si trovano in una situazione molto problematica poiché si tratta della loro sopravvivenza: il narratore ci dice che se questi due personaggi restano su quel luogo, non potranno sopravvivere in quanto l’inverno è stato fatale. Anche qui vi è un riferimento alla sfera temporale che ancora una volta è molto generica e viene schematizzata in quanto viene detto che il personaggio «non possedeva un calendario da anni» e quindi capiamo che lo scenario di distruzione nel quale si muovono i due personaggi, non è recente ma va avanti da anni. Un altro aspetto interessante è che questi due personaggi, come abbiamo già detto, devono dirigersi verso Sud (costante di tutto il romanzo; non si sa quale Sud; anche questo rientra nell’astrattezza estrema dei riferimenti temporali e spaziali del romanzo ed anche questo contribuisce a rendere ancora più inquietante lo scenario descritto dal testo). [pagina 4 del libro, 8 pdf]: «Quando ci fu luce a sufficienza … allora Dio non ha mai parlato.»  Da qui vediamo un primo riferimento al modello apocalittico, biblico e simbolico poiché c’è un esplicito riferimento a Dio ed in particolare riguarda strettamente il bambino. Capiamo perciò che il rapporto tra l’uomo e il bambino è molto forte poiché sono padre e figlio. [pagina 4-5 del libro, 9 pdf]: «Quando tornò dal bambino … Sono qui. Lo so.»  Anche qui ci viene dato qualche indizio di trama e viene detto qualcosa che tornerà nel corso del romanzo: l’uomo ha una pistola e una mascherina (lo scenario di distruzione che prima veniva indicato come arido, muto e senza Dio, è stato probabilmente causato da un’esplosione), sono padre e figlio, e viene ripetuto anche qui che devono andare via per sopravvivere. Possiamo anche vedere che questo mondo tradisce un aspetto importante in quanto vi è la presenza di un carrello del supermercato: questo ci fa capire che si tratta di un mondo molto vicino al nostro e quindi non possiamo trovarci in un’epoca molto lontana. Qui viene per la prima volta introdotto il tema della sopravvivenza alimentare poiché il padre ed il bambino apparecchiano una tavola di emergenza e mangiano qualche focaccia di mais e bevono dello sciroppo da una bottiglia di plastica; non siamo quindi in tempi di abbondanza e nel lettore riflette lo scenario di distruzione. [pagina 5 del libro, 10 pdf] «Un’ora dopo erano … l’uno il mondo interno dell’altro.»  Qui per la prima volta viene introdotto il tema della strada che dà il titolo al romanzo che sarà l’unica trama del testo (lo sviluppo narrativo del testo arriva dal fatto che questi due personaggi percorrono questa strada) e che ovviamente è una strada generica. Vi è un riferimento alle piante morte: la vegetazione è estinta. Un’immagine che tornerà in tutto il romanzo è quella della cenere che da un lato ci fa pensare che probabilmente lo stato in cui si trova questo mondo fu causato da un’esplosione e dall’altro, ci fa pensare ad un riferimento biblico poiché la cenere oltre ad essere un simbolo della distruzione e combustione del mondo fisico è anche Giulia Di Modica 20 Ciò si nota a [pagina 58, 168 pdf] dove il padre, dopo aver ucciso quell’uomo, prende il bambino e prosegue per la sua strada: «Da bruciare avevano solo legna … nell’arco di oltre un anno.»  Parla dell’uomo che ha appena ucciso, dove quindi l’unica interazione è stata quella della distruzione dell’altro essere umano. «Un fratello, finalmente … e lo seguiva con lo sguardo.»  Qui vi è un parallelismo con il serpente: l’uomo riconosce in esso una figura fraterna: si pensa dica «Un fratello, finalmente» poiché vede in questo animale una forma di compagnia o utilità (da millenni gli animali vengono addomesticati per svolgere un ruolo di ausilio per l’essere umano) ma, in questo caso, questo procedimento di antropomorfizzazione dell’animale viene subito ribaltato: non è l’animale ad essere antropomorfizzato ma è l’uomo che subisce ed ha subito in quel mondo un processo di animalizzazione. L’uomo vede nel serpente un fratello poiché lui stesso in questa situazione sente di essere diventato un animale. Questo sebbene sia un passaggio molto veloce e insignificante, in esso si concretizza molto bene il processo di riduzione ad animale e di prevaricazione verso gli esseri umani, che l’uomo ha subito nel romanzo. L’uomo così come il serpente, ha fatto del mondo un luogo nel quale muoversi attraverso l’ausilio solo dell’istinto e della capacità di aggredire chi lo aggredisce. Questo ritorno agli istinti primordiali, ad un certo punto nel romanzo prende quasi la forma di un film horror (nel film questa è una delle scene più impressionanti), che qui è ancora più spaventosa: si tratta della visita del padre e del bambino di una villa abbandonata [pagina 81 del libro, 237 pdf]. Ad un certo punto, mentre i due seguono la strada, vedono una villa ed il bambino è molto scettico nell’andare a vedere cosa c’è, mentre l’uomo (seguendo il suo istinto di sopravvivenza) dice che devono pur mangiare e quindi si avventurano nell’esplorazione di questa villa. Inizialmente sembra una normale casa ma già nella sua descrizione, ci sono degli accenni tipici dell’immaginario horror: «Un cigolio lontano. Una porta o un’anta.»  questi sono gli stereotipi più diffusi nei film horror (la sfera del sonoro è una delle più efficaci sulla quale giocano i registri dei film horror), così come un rumore lontano spesso indistinguibile e così via. [pagina 85 del libro, 248 pdf]: «Cominciò a scendere gli scalini … Cristo, disse. Corri. Corri.» Qui il padre chiede al bambino di aspettarlo in un punto della casa e spalanca una botola (come nei film horror, essa è un passaggio verso l’ignoto spaventoso); ad un certo punto l’uomo si intestardisce, prende il bambino e gli dice che devono scendere in questa botola (anche qui c’è il motivo del fuoco che è tra una delle costanti del romanzo). Questo episodio rappresenta molto bene questo processo di animalizzazione dell’uomo ed inoltre, quasi di zombificazione poiché vi è la descrizione di persone prigioniere di altre persone che praticano il cannibalismo (siamo in un mondo nel quale il cibo è merce talmente rara che si è arrivati al cannibalismo). Questa scena mostra come attraverso un registro letterario viene descritta la realtà: non viene descritto un mostro o uno zombie o altri animali, ma esseri umani scuoiati vivi da altre persone. Questo per dire che a volte il racconto realistico accostato al tema della fine del mondo, può essere molto più spaventoso rispetto al genere horror o al fantastico. I due riescono successivamente ad uscire da questa casa e di notte dormono nelle sue vicinanze: si dice che durante la notte sentono le urla di quelle persone e poi ad un certo punto, più nulla. L’uomo ed il bambino abbandonano poi questo scenario e si rimettono sulla strada. [pagina 123 del libro, 369 pdf]: i due protagonisti fanno un altro incontro con uno strano viandante di nome Ely (unica persona che viene chiamata per nome nel romanzo) che però Giulia Di Modica 21 non è una minaccia: è molto vecchio, malmesso e ricoperto di stracci. Il bambino propone al padre di aiutarlo poiché capisce che è innocuo ma il padre come al solito, si oppone dicendo che non possono e che è meglio se proseguono e pensano a se stessi. Stavolta però l’ha vinta il figlio ed Ely viene “invitato” a condividere il pasto con i due protagonisti. Anche in questo caso si vede come sia sempre in agguato il riferimento alla sfera religiosa: il nome di Ely si riferisce al profeta Elia (personaggio bilico del “Libro dei Re”) che però a differenza di esso, non porta nessuna salvezza poiché ha 90 anni, è un grande scettico che non crede più a nulla e che si commuove soltanto nel momento in cu vede il bambino poiché dice che non pensava ci fossero ancora bambini in vita e, che suo figlio era morto durante la catastrofe. [pagina 128 del libro, 379 pdf]: «Non c’è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti.»  Questa è un’affermazione paradossale ma anche se il nome di Ely è un riferimento al personaggio biblico di Elia, qui è un personaggio che porta una posizione di totale nichilismo poiché non parla mai di salvezza e viene stupito solo dalla presenza del bambino. È la terza e l’ultima visione del mondo che viene affrontata in questo romanzo. Se il bambino è una sorta di figura di Cristo in miniatura, che vuole continuamente aiutare chi incontra e chi ha bisogno, il padre è assolutamente materialista poiché pensa solamente alla propria sopravvivenza. Anche qui l’autore ci chiede se la pensiamo come Ely che non crede più a nulla e pensa che il mondo sia destinato a morire come loro, come il bambino che pensa che aiutare gli altri e continuare ad essere buoni è l’unica speranza di salvezza verso il mondo che sta finendo, o come il padre che pensa che fin quando il mondo è in piedi, bisogna pensare a sopravvivere magari uccidendo anche altre persone. [pagina 194 del libro, 570 pdf]: Questa sorta di figura cristologica del bambino emerge successivamente quando, dopo aver abbandonato Ely, incontrano un altro personaggio minaccioso che ha rubato il carrello ai protagonisti (unico appiglio alla sopravvivenza da parte dei due poiché ci sono le coperte, il cibo, la cartina e così via). L’uomo per fortuna riesce a raggiungere il ladro e si rende conto che egli non è armato perciò decide di vendicarsi e di lasciarlo nudo, tenendosi lui i vari vestiti per coprirsi. Il ladro si pente di ciò che ha fatto e prega l’uomo di lasciargli almeno le scarpe ed il cappotto per sopravvivere ma, il padre risponde dicendo che sta facendo quello che egli avrebbe fatto a loro, poiché rubando il carrello li avrebbe lasciati esattamente nel modo in cui il padre lo sta lasciando adesso. Anche in questo caso si contrappongono le due visioni del mondo: quella del bambino (ancora una volta chiede all’uomo un po’ di carità) e quella del padre (che continua a fregarsene e decide di vendicarsi, seguendo la legge dell’homo homini lupus). Il padre cerca di far capire al bambino che è inutile chiedere carità per un uomo che ha cercato di rubargli il carrello poiché prima o poi moriranno tutti [pagina 197 del libro, 579 pdf]: «Non tocca a te preoccuparti di tutto. … Tocca a me»  In questa risposta si capisce come emerga in tutta la sua potenza, questa etica quasi da Cristo caritatevole da parte del bambino; questo tema della sovrapposizione del bambino e della figura di Cristo (che muore in croce per riscattare i peccati dell’umanità), è una costante in tutto il romanzo e, attraverso questa frase l’autore gioca in maniera esplicita con l’immaginario biblico (ci troviamo ancora una volta nel modello dell’apocalisse simbolica) e ancora una volta vediamo come il bambino sia delegato di prendere in carico la salvezza dell’umanità. Il narratore in questa storia è esterno e per capire ciò basta vedere la prima frase del libro: «Quando si svegliava in mezzo ai boschi … accanto.». È un narratore esterno o onnisciente? Il narratore onnisciente sa già in che modo funzionano le cose perché l’ha creato lui (come ne “I Giulia Di Modica 22 Promessi Sposi”) mentre, il narratore esterno sa le stesse cose che sa il lettore (il narratore interno invece sarebbe uno dei personaggi che scoprirebbe le cose nello stesso momento in cui le scopre il lettore). Nel momento in cui abbiamo capito cosa sta succedendo e ci siamo chiesti come è successo, la domanda che più sorge spontanea è: perché mi interessa? Rispetto alla mia vita, quale è il legame con quello che sta succedendo? Ed in che modo quello che sta succedendo in questo romanzo, può nel film cambiare il modo in cui vedo il mondo? Nella prima lezione dicevamo che il tema della fine del mondo, nonostante sia uno dei temi più universali, antichi e raccontato da sempre nella cultura umana, ha una sua specificità contemporanea che si declina in vari modi e molto spesso funziona attraverso il modello apocalittico empirico (il mondo finisce e non c’è nessuna salvezza); questo ci dice già qualcosa rispetto al mondo in cui viviamo e non soltanto rispetto a quello del romanzo. Vi è quindi una prospettiva molto più pessimistica rispetto a quella biblica, nella quale molto spesso non vi è nessun Dio che viene a salvarci; non c’è quindi nessuna possibilità di presenza divina che possa mediare tra la distruzione del mondo e la sua rigenerazione. Questo pessimismo, cupezza e tragicità del romanzo di McCarthy è continuamente sabotata e messa in pericolo da una forza opposta che è rappresentata dal bambino: se l’uomo vede il mondo con gli occhi continuamente poveri di lacrime poiché sono state tutte versate e, l’unica cosa a cui pensa è la sopravvivenza, il bambino sembra invece avere un legame emotivo con il mondo (e con i vari personaggi che incontrano) ben molto diverso da quello del padre eppure è una cosa molto strana visto che tra i due, l’unico che ha conosciuto un mondo non sfigurato come questo è il padre (dato che il bambino è nato nel momento della catastrofe). Nonostante ciò, un mondo così cupo viene costantemente salvato da questa figura cristologica o di redentore o mediatore o profeta che è appunto rappresentata dal bambino. C’è un momento nel romanzo nel quale queste due visioni del mondo vengono messe a confronto in maniera molto esplicita, in cui viene introdotto il discorso della comunicazione fra le generazioni: anche nei momenti di scontro tra padre e figlio, c’è inevitabilmente un momento di distruzione o contestazione del rapporto (tutti abbiamo avuto o avremo degli scontri spesso molto forti con i genitori o con la figura paterna). Questo romanzo è un romanzo che ha molto da dire sul rapporto tra un padre e un figlio che però si svolge in un mondo che non è il nostro poiché sono entrambi rimasti orfani di una seconda presenza familiare e sono l’uno l’unica presenza al mondo dell’altro (il padre ripete spesso nel romanzo che l’unico motivo per cui egli è ancora in vita, è perché c’è il figlio). Questo romanzo quindi ci fa interrogare sul modo in cui un rapporto come quello tra padre e figlio, può svolgersi in una situazione estremamente diversa dalla nostra dove il mondo è già terminato. Nell’episodio in cui avviene ciò, il romanzo si pone la domanda in maniera frontale: in un mondo del genere, quali valori, quale etica e messaggio può trasmettere un padre ad un figlio? [pagina 117 del libro, 343 pdf]: «Quando si svegliò di nuovo … continuava a desiderare la fine.»  Qui, notiamo uno dei pochi momenti in cui vengono rappresentati i pensieri del padre (in questo romanzo, l’unica interiorità: pensieri e considerazioni ecc., a cui ci viene dato accesso è quella del padre attraverso il mondo dei sogni. Non si dice quindi in maniera diretta ciò che provava o sentiva il padre ma in maniera indiretta (uno dei pochi momenti è questo) attraverso un sogno (come nella prima scena del romanzo) nel quale l’uomo si chiede quale sarebbe stato il mondo che avrebbe lasciato al figlio e quale potrebbe essere il messaggio da lasciargli. «capì che ai suoi occhi lui era un alieno.»  “alieno” in quanto il figlio non capisce alcune cose del padre che riguardano il mondo precedente alla catastrofe proprio perché lui non l’ha mai vissuto. L’uomo perciò si rende conto che qualsiasi messaggio avesse veicolato al Giulia Di Modica 25 [pagina 1 del libro] e [pagina 218 del libro] presentano un parallelismo tra i salmerini e il sogno del padre (elemento calcareo, roccioso e non vivo). Questo sogno è quello che Freud definisce il “sogno d’angoscia”. Nel finale il bambino incontra altre persone, quindi si può dire che un eroe incontra gli altri eroi, ma nonostante questo il finale è ambiguo. Il padre rappresenta il male mentre il bambino la comunità. Non si capisce se ci sia modello apocalittico empirico (uomo può solo fino a un certo punto e arriva alla fine) o simbolico (uomo deve pagare ma un eroe o testimone raccoglie una rivelazione che parla di ricostruzione e nascita: in questo romanzo può essere il bambino). Questo romanzo è composto da brevi brani senza divisione in capitoli, ma solo spazi bianchi. Per spaventare maggiormente è opportuno fornire meno informazioni possibili: padre, bambino, strada, buoni, cattivi e basta; l’unico che viene chiamato per nome è questo Ely. Si sa che il padre era sposato, il bambino è nato durante l’apocalisse, la madre si è suicidata ma, non ci sono descrizioni fisiche né del bambino né del padre. Sono presenti diverse figure retoriche come ad esempio: antitesi (e quindi opposizioni binarie), ripetizioni e iterazioni. La strada di cui parla il titolo è quella che percorrono i due protagonisti del romanzo: essa è quindi una presenza fisica ma anche un’allegoria della trama. Venerdì, 16 novembre 2018 Ospite antropologo, Luigigiovanni Quarta: “Antropologia Culturale”, Ernesto De Martino. Ernesto de Martino, “La fine del mondo”, 1977, non è scritta da lui perché è morto nel ’65, ma dalla sua seconda compagna e i suoi collaboratori, che raccolsero tutti gli appunti dell’autore che trattavano le varie ricerche del mondo e la sua fine. (L'antropologo va ad incontrare gli altri). Ernesto De Martino è considerato uno degli antropologi più famosi italiani. L'antropologia è una disciplina abbastanza strana che fonda le sue radici nel pensiero filosofico e nasce nel 1861, anno in cui uno studioso inglese che verrà considerato il primo antropologo pubblica "The primits cultures". Il codice dell'antropologia è DEA (studi demo-etno-antropologici: «demologia» o «demos» è «popolo»; «etno» per le comunità esotiche). In Italia ad esempio nel mezzogiorno esistevano ancora i riti e il malocchio; infatti ci sono paesi che non si possono nominare come quello in Basilicata o in Campania (la città di Benevento che prima era Malevento), quindi anche i contadini meridionali erano considerati una sorta di indigeni. In Germania invece erano interessati alla cultura orale e alle tradizioni popolari (fratelli Grimm primi antropologi tedeschi che andavano in giro a raccogliere fiabe). L'antropologia nasce come sapere autonomo nella seconda metà dell'800 (secolo del PROGRESSO E DI PACE: dalla sconfitta di Napoleone fino alla I Guerra mondiale, non ci furono grosse guerre sul territorio europeo ma solo piccole guerre interne risolte in fretta. Il conflitto più importante è quello degli anni '70 tra la Francia e la Prussia ossia la guerra franco-prussiana. Ma questo è anche il secolo di nuove scoperte scientifiche: si sconfiggeranno le malattie, niente più guerre e povertà, quindi un secolo estremamente ottimista.), come studio di popolazioni indigene e su come ragionano i popoli primitivi. Esiste dunque un'Europa che ha colonizzato e domina l'intero mondo che non è ovviamente disabitato e nell'800 appunto, che è un secolo che va verso un'evoluzione indefinita, si è tentato di capire come ragionano questi popoli primitivi poiché sembrano non essere all'interno di questa evoluzione, e si ci chiede con che tipo di umanità si ha a che fare Giulia Di Modica 26 (che pensano, come agiscono, perché fanno ancora questi riti strani, funebri ecc..). Proprio da questo nasce l'antropologia, un sapere che riflette sui modi di fare di questi popoli che sono sotto il nostro controllo e gli antropologi si servono degli esploratori che vanno proprio in ogni parte del mondo. Si cerca di verificare se esiste realmente un uomo con la U maiuscola, se non esiste e la risposta che si danno gli antropologi è che questi sono esseri umani fermi a qualche stadio antecedente all'interno di questa grande evoluzione e che un giorno arriveranno al nostro stesso stadio di evoluzione. Oggi però si pensa in maniera un po' diversa anche su quando è nata l'antropologia, alcuni antropologi sostengono che il padre dell'antropologia è stato Erodoto (viaggiatore greco che scrisse delle storie sugli usi e costumi di popoli lontani): la sua attitudine era quella di stupirsi e racconta infatti che in Grecia si usava "parlare in piazza e fare sesso in casa", ma viaggiando scopre che ci sono invece delle popolazioni che, al contrario, fanno sesso in piazza e parlano in casa, ma lui non li giudica anzi pensa alle diverse varietà presenti nel mondo. Un altro personaggio che aveva la stessa attitudine allo stupore di Erodoto ma che ha viaggiato di meno fu Michel de Montaigne, filosofo del '500 (uno dei suoi saggi più famosi è il saggio sui cannibali, in cui si rende conto che è difficile dire che noi siamo quelli nel giusto e loro sono quelli nello sbagliato) che parlerà per primo della CULTURA (insieme di pratiche, di simboli, di riti, di usi e costumi che danno senso ad una comunità e che agisce, in questo caso, dietro al cannibalismo). Per gli antropologi infatti nulla è casuale, la cultura può cambiare, può evolvere e può essere messa in discussione, e da ciò si scopre quindi che gli usi e i costumi non sono gli stessi dappertutto (ogni cultura agisce in modo spontaneo ma in maniera diversa rispetto ad altri, seguendo i propri simboli). Oggi l'antropologia si occupa anche dell'Altro, ossia L'ALTRO: gli individui hanno un incontro di alterità dell'ALTERITA' ALTRI MONDI: ogni altro ha il suo mondo (De Martino chiama questi altri mondi "patrie culturali": ogni Altro ha bisogno della sua patria culturale). ALTRO MODO DI PENSARE IL MONDO: i modi differenti con cui gli altri, in altri mondi pensano il mondo e che tipo di relazione hanno con esso, con Dio, con la famiglia ecc... Questo è il compito dell'antropologo. Noi veniamo da una tradizione di unicità: un unico Dio, un'unica essenza, un'unica anima mentre c'è invece chi viene da una tradizione di molteplicità (come i cinesi che sono l'avanguardia del capitalismo globale, loro credono in più anime ad esempio). È importante dunque avere un'attitudine allo stupore (scoprire che quello che è identico a me ma allo stesso tempo diverso, nel momento in cui vi è l'incontro si comincia a riflettere sulle cose) e mantenerla, secondo l'antropologo, il quale non giudica l'altro ma mette in prospettiva se stesso e inizia a mettere in prospettiva quello in cui crede veramente. Un'altra attitudine è quella del rifiuto (quella che avevano gli spagnoli contro le popolazioni primitive). Quindi l'alterità comprende questi due grandi poli: la curiosità di scoprire l'altro per capire meglio se stessi oppure il rifiuto e quindi la negazione totale verso l'altro che viene considerato sbagliato, mostruoso o addirittura alieno e con il quale non si può avere nessun tipo di contatto. L'antropologia dunque nasce nel contesto coloniale, ma vi erano due stati in Europa che non avevano grossi imperi coloniali come l'Italia e la Germania (gli antropologi italiani e tedeschi studiavano come indigeni le minoranze interne allo stato ovvero i contadini ad esempio). Ernesto De Martino, il più importante antropologo italiano, nel '900 si occupa di queste masse ignoranti di contadini del sud Italia che praticano ancora la magia. Ha avuto una Giulia Di Modica 27 vita travagliata e si allontana del Fascismo quando conosce il filosofo Benedetto Croce; viene mandato al Confino a Lucca dove insegna in un liceo lucchese fino alla fine del Fascismo. Dopo entra nel partito socialista per poi entrare in quello comunista (infatti nasce fascista e muore comunista). De Martino non nasce come antropologo, ma nasce come storico delle religioni: studia riti religiosi ed è un avidissimo lettore di scritti filosofici. Lui come dirigente sindacale del partito socialista fa una serie di spedizioni nel meridione italiano alla fine degli anni 40/inizi anni 50 e da queste spedizioni pubblica tre etnografie: “Sud e magia” (la magia che si occupa di fare dei filtri d'amore, malocchio ecc..); “La terra del rimorso” (fenomeno di possessione del Tarantismo nel Salento nel '59); e “Morte e pianto rituale” (descrive i rituali del lutto). Tutti i temi trattati in queste spedizioni confluiscono ne "La fine del mondo" del '67 (De Martino è morto nel '65, quindi non l'ha scritta lui ma è stata scritta da una sua équipe fidata la quale ha raccolto tutti i suoi appunti e frammenti e ha dato vita al libro al quale De Martino lavorava da una serie di anni, poiché il mondo e la sua fine ha a che vedere sempre con l'uomo che non è un uomo astratto, ma concreto e calato nella sua patria culturale). Egli studiando la magia, il Tarantismo e i riti funebri, comincia a riflettere sul rito e si chiede a cosa serva per l'uomo (ad esempio il rito del caffè insieme alla sigaretta). Dunque l'uomo che è gettato nel mondo produce continuamente dei riti che si accompagnano a simboli. Nel libro "La fine del mondo" ci sono quattro categorie che ritornano sempre e sono: IL RITO; IL SIMBOLO; LA PRESENZA E LA CRISI. -Ci sono tre casi interessanti in questo libro che esprimono i tre modi diversi con cui De Martino intende parlare del concetto appunto di fine del mondo: il primo caso è quello conosciuto come "Il campanile di Marcellinara" (un vecchio pastore che perse di vista il campanile e quando lo rivide si distese e «il suo vecchio cuore riiniziò a battere a ritmi normali). Quando De Martino parla di spazio domestico, non intende la casa bensì l'addomesticare una circostanza, uno spazio. Attraverso questo vecchio pastore che non va incontro alla fine del mondo si ha la manifestazione di cosa potrebbe significare essere di fronte al rischio che il mondo finisca e, De Martino, è molto interessato a questo: di non avere più un orizzonte dentro il quale la nostra vita ha senso. Un altro esempio che lui fa per esprimere la fine del mondo in questo libro è rivolgendosi all'apparato mitico rituale della Roma antica, dedicando un breve paragrafo al rito (il mundus) che veniva affrontato una volta all'anno e corrispondeva ad una fossa a due piani: la parte inferiore si collega con il mondo degli inferi e quella superiore al mondo abitato e alla volta celeste. Secondo i romani bisognava aprire il "mundus" per tre giorni per permettere alle anime infere di vagare sulla Terra per comunicare con i vivi e poi di ritornare nel loro mondo, che ovviamente non è il nostro. Questo perché i romani credevano che sarebbe arrivata la vera fine del mondo e in quella occasione le anime degli inferi si sarebbero mischiate a quelle dei vivi, così da far saltare l'ordine (i vivi fra i vivi e i morti fra i morti); per questo aprivano il mundus, per far sì che i morti si riappacificassero tornando (per un breve lasso di tempo sotto il controllo dei vivi) a camminare nel mondo superiore per mantenere l'ordine cosmico. Per De Martino la fine del mondo è insidia in ogni cultura, ed è la cultura che riflette la sua fragilità ponendosi davanti ad un'immaginazione che è quella del mondo che finisce (ad esempio l'infanzia è un mondo che finisce, l'adolescenza, alcuni mondi degli affetti quando si perdono persone care, per questo noi siamo abituati a dei mondi che finiscono) ma la fine del mondo e dell'umanità dev'essere costantemente pensata cosicché le culture possano predisporre di strumenti (il rito) che garantiscono la nostra presenza nel mondo perché noi non scompariamo esorcizzando la fine del mondo. C'è un caso in cui questo non può avvenire perché lui nota che nella malattia mentale c'è qualcosa che è Giulia Di Modica 30 sbatte in faccia la morte deridendo, perché lei avrà sempre l'ultima parola sulla natura biologica dell'uomo. Secondo De Martino, noi però possiamo trascendere questa natura ed orientarla verso un valore. Per questo motivo, il libro "La fine del mondo", si apre con la frase: «ciò che dà senso al mondo e impedisca che non finisca non è, (facendo riferimento allo psicologo francese Janet), l'élan vital (cioè lo slancio vitale) ma è l'élan moral (lo slancio morale)» ed è questo che fa sì che il mondo non finisca mai. Noi non siamo nell'ordine della natura ma siamo in quello della cultura che è sempre produttrice di mondi nuovi che, comprende gli affetti, le relazioni, le emozioni, compartecipazione. Il nostro controllo sulla natura è renderla degna di senso e nel momento in cui entro in relazione con la cultura divento eterno e il mondo non potrà più avere fine, salvo un caso in cui l'umanità è spacciata prima ancora della catastrofe. Qui lui si riferisce alla situazione di quando si ci trova a premere il bottone degli apparati missilistici nucleari, o quando si ci trova costretti a premere quel bottone, bisogna ricordare in quel caso un solo volto umano in dolore, di una persona che abbiamo amato e che abbiamo visto soffrire senza sua colpa. tanto più carico di significato per noi, tanto più minuto, casuale e cacciato dalla memoria. Quando si perde la capacità di proiettarsi in un orizzonte morale condiviso (cioè la capacità di guardare l'altro) o con l'attitudine dello stupore e rimanere increduli e meravigliati, si rigetta automaticamente anche l'idea dell'umanità e, De Martino ci dice che è lì che il mondo è finito. La metastoria va al di là della storia: è un nome che dà De Martino; è un piano totalmente simbolico dove il rito riesce a risolvere la crisi e una volta risolta la crisi, si ritorna nella storia reintegrati in quello che lui chiama valore (cioè nella morale e nell'umanità condivisa); come in filosofia che dopo la fisica c'è la metafisica. Ci sono altre forme oltre il rito? In genere sì, però per De Martino il rito rappresenta la cosa più potente che abbiamo prodotto e sembra funzioni alla grande. luigigiovanni.quarta@gmail.com Giovedì, 22 novembre 2018 [pagina 217 del libro, 638 pdf]: «Quando la donna lo vide … in eterno.»  In questa scena c’è una sorta di scetticismo del bambino verso la figura di Dio. Come abbiamo già detto, il tema religioso è uno di quelli continuamente presente in questo romanzo e qui viene tematizzato. In questa scena viene fuori la trasmissione dei valori da padre a figlio: in questo romanzo il rapporto tra padre e figlio non è raccontato in maniera canonica come potrebbe essere nella realtà ma è estremamente complicato in quanto è fatto soprattutto di opposizione poiché il bambino chiede continuamente di aiutare gli altri ma il padre si oppone continuamente a ciò. C’è però una forma di trasmissione di valori che qui viene definitivamente svelata. Nell’ultima scena il narratore abbandona il piano del racconto rispetto al bambino e prende una sorta di posizione dall’alto: «Una volta nei torrenti … vibrava di mistero.»  In questa scena si parla di salmerini ed è una scena che non è mai comparsa finora. Perché il libro si finisce in questo modo? L’altro punto del romanzo in cui si è incontrato un riferimento al mondo dell’inorganico, del calcareo ecc. era quello del sogno del padre della prima scena. Mettendo in parallelo la prima scena e questa qui, notiamo che il primo sogno è brutto poiché vi è una bestia, l’ambiente non è ospitale (Freud lo definisce “sogno di angoscia”) e viene invertito l’ordine poiché è il bambino che tiene per mano il padre e lo guida. In questo sogno Giulia Di Modica 31 in cui trionfa l’inorganico, il buio e tutte le altre caratteristiche, vi è una scena piuttosto angosciante. L’ultima scena invece è una situazione di calma poiché non vi è una tonalità cupa come quella del sogno iniziale. L’interpretazione di questa ultima scena e un po’ di tutto il romanzo è particolarmente ambigua o ambivalente (è noto che il finale di un film, romanzo o serie televisiva è il momento che dà il colore a quello che c’è stato prima; molto spesso le narrazioni della fine del mondo che possono suscitarci inquietudine, hanno un finale molto più aperto ai normali film catastrofisti che finiscono sempre bene) poiché inizialmente ci sembra ci sia una sorta di lieto fine in quanto il bambino raggiunge come per miracolo i buoni, ma dall’altro lato improvvisamente, dopo lo spazio bianco (molto importanti nel romanzo poiché esso non è costruito in capitoli in maniera classica e tradizionale ma come dei brani molto brevi separati da spazi bianchi in cui una delle figure retoriche centrali del romanzo oltre a quella della ripetizione è quella della sottrazione di informazioni poiché l’autore non ci dice dove siamo, dove si sta andando e quale è il Sud), troviamo una sorta di controfinale che è ancora più complicato rispetto alla definizione della parola stessa poiché non ci racconta più delle persone che abbiamo incontrato durante il racconto ma ci parla dei salmerini (pesci). Bisogna leggere il brano in parallelo al sogno iniziale poiché è evidente che fine e inizio sono collegati e perché anche nel secondo sogno si parla di regno animale che però sta morendo e così via. Da ciò possiamo dire che il sogno iniziale è quindi un sogno di angoscia (ad un certo punto del romanzo il padre si sorprende ad una sorta di auto colpevolezza perché quando dorme ha dei bei sogni rispetto al mondo di prima, perché capisce che se si abbandona alla nostalgia e al ricordo del passato e del vecchio mondo, perde di vista la sopravvivenza sua e del figlio) mentre il finale è ambiguo. Possiamo dire che la parte finale è una sorta di rovesciamento dell’incubo iniziale: «disegni a vermicelli che erano mappe del mondo in divenire. Mappe e labirinti.», «Nelle teorre … vibrava di mistero.»  L’ultima parola del romanzo è non a caso mistero. Si può dire che da un lato questo brano ci parla di una sorta di male eterno ineliminabile poiché parla di un mondo che è sempre stato così (il mondo così distrutto raccontatoci finora è solo una parentesi tragica, desolante e distruttiva rispetto alla grande storia geologica del mondo che è fatta di morte): da un lato c’è quindi questa interrogazione costante sul male che viene risolta dicendo che l’uomo è solo un piccolo elemento nella grande storia del male e il male è nella stessa natura delle cose (non è l’uomo ad essere colpevole) e quindi all’uomo non resta che la resistenza (etica rappresentata dal padre: resistere fin quando il fisico lo permette e, uccidere chiunque voglia fare lo stesso a me) e la storia del fuoco (che rappresenta a livello allegorico i valori del bambino: rifiuto del cannibalismo e il riconoscere l’altro. Per il bambino, l’Altro è una promessa di ricostruzione di una comunità; nella prima parte infatti egli vede un altro bambino il quale però non si capisce se è effettivamente presente o se è una visione del protagonista o è un sogno. Nell’ultima scena il bambino chiede all’uomo se vi sono altri bambini e dopo aver ricevuto conferma, immagina che quello è proprio il bambino che lui ha visto). Il bambino è continuamente portato all’avvicinamento e al riconoscimento dell’altro poiché allegoricamente il fuoco è il fuoco della conoscenza e della comunità (i primi uomini stavano davanti al fuoco e proprio lì nascono le prime forme di socialità). Il fuoco è quindi un elemento archetipico del nostro immaginario che in questo caso rappresenta la ricostruzione di una comunità. Questo brano se da un lato ci sembra una sorta di risposta disperata, dall’altro bisogna riflettere sulla sua collocazione: è quindi una sorta di sugello all’incontro del bambino con la nuova famiglia ed è una sorta di testimonianza del mistero che da sempre accompagna Giulia Di Modica 32 l’uomo. C’è sicuramente un’allegoria di un passato che è perduto e che non può tornare ma c’è anche una sorta di rituale della rigenerazione poiché il vecchio mondo è sicuramente scomparso ma nonostante ciò, il bambino ha incontrato delle altre persone con cui può ricostruire un altro mondo (mappe del mondo in divenire). Da un lato c’è quindi la “stasi” ma dall’altro c’è anche la “dinamicità” poiché le cose possono cambiare e migliorare. In questo brano una delle caratteristiche costanti dell’immaginario apocalittico è quella dell’ambivalenza: da un lato vi è una promessa di ricostruzione e dall’altro vi è una distruzione che arriva e non lascia speranza. Il film tratto da questo romanzo è una trasposizione didascalica del romanzo poiché non si prende tanta libertà e può risultare più cupo e angosciante. Una scena come quella della discesa nella cantina del padre e del bambino è molto angosciante mentre nel film questo tipo di inquietudine è attutito dal fatto che generi come questo, al cinema ce ne sono tantissimi. Se la trama nel testo è estremamente esaurita e se nel film si vede molto bene, il secondo livello arriva dal piano delle forme e dello stile: la struttura di questo romanzo è data da brevi lasse (brani) senza divisioni in capitoli (anche qui l’autore ci lascia un po’ disorientati poiché non ci da nessun ausilio para testuale che ci possa suggerire uno schema o ci possa aiutare a capire dove vuole arrivare il romanzo), intervallate da spazi bianchi in cui si deposita la poetica di questo testo, di continua sottrazione che aumenta la paura (quello che avviene sui migliori film horror basati sulla suspence: quando in un film horror non si vede la scena che ci sta provocando orrore ma si sentono solo delle urla o dei rumori, noi spettatori abbiamo naturalmente molta più paura). Il fatto che l’autore in questo testo ci dia così poche informazioni è una delle strutture principali del romanzo: principio che funziona anche per i personaggi dove l’unico chiamato per nome è Ely e non i protagonisti del romanzo. Le uniche cose che sappiamo infatti dei protagonisti sono che il padre era sposato e che aveva una vita felice e serena precedentemente all’arrivo catastrofe e che la moglie si uccise successivamente (sono cose che sappiamo soprattutto grazie ai sogni, alla dimensione onirica e ai ricordi) mentre, del bambino sappiamo invece che è nato durante l’arrivo della catastrofe ma non sappiamo quanti anni ha e come è fatto. La trama di questo libro è che vi sono un padre ed un bambino che attraversano una strada per salvarsi da un mondo in distruzione e non si capisce perché vanno verso Sud (se non perché lì vi è un clima un po’ più favorevole rispetto a quello del Nord). La trama è piuttosto semplice ma ancora archetipica poiché non c’è nessuna deviazione particolare. Nella struttura, nei personaggi e nella trama si deposita il principio di sottrazione che ci porta a dire che questo romanzo funziona come un romanzo mitico: personaggi senza grande caratterizzazione, senza nome, con uno spazio indefinito, con riferimenti a concetti necessari (bene, male, buoni, cattivi ecc.). L’altro riferimento allegorico a dei concetti universali è l’opposizione continua tra luce e buio. In questo schema mitico che rende ancora più inquietante il racconto, si inserisce il discorso sullo stile (secondo livello di lettura di un testo): le due figure retoriche principali sono quella dell’antitesi (bene, male; luce, buio; buoni, cattivi e così via) e della ripetizione (i brani sono molto brevi ma ossessivamente ripetitivi come i dialoghi tra padre e figlio che sono una sequela infinita di «ok», «noi siamo i buoni» ecc.). Una delle poetiche di fondo del romanzo è quella di difendere poche cose e sulla base di questo livello formale vediamo personaggi, Giulia Di Modica 35 L’utopia letteraria R. Trousson (studioso delle utopie letterarie) dice che: «Parliamo di utopia quando, nell’ambito di un racconto, viene descritta una comunità, organizzata secondo determinati principi politici, economici e morali, che ricostruisce la complessità dell’esistenza sociale, che questa società sia rappresentata come un ideale da realizzare o come la previsione di un inferno, che essa sia situata in uno spazio reale, immaginario, o ancora nel tempo, che essa sia infine descritta al termine di un viaggio immaginario verosimile o no.»  Questi sono tutti gli aspetti delle utopie letterarie: da un lato si parla di “principi politici, economici e morali” poiché ci parlano di un mondo che non è il nostro e che è in ogni caso fortemente debitore nei confronti del nostro e quindi difficilmente nelle distopie si trovano interessi per le vite interiori dei personaggi poiché all’autore interessa capire in che modo funziona il mondo e non in che modo funziona la psicologia (domanda centrale del romanzo realistico). L’aspetto al centro delle distopie e delle utopie è la complessità dell’esistenza sociale (nelle distopie, viene sintetizzata per comodità di racconto o ridotta gli elementi principali per l’autore di quella distopia; il fatto che McCarthy ne “La Strada” metta continuamente al centro una contrapposizione didascalica tra buoni e cattivi, ci dice qualcosa sulle idee dell’autore e su come il mondo possa essere salvato). L’altra faccia dell’utopia: la distopia Distopia: forme Così come l’utopia, la distopia è spesso ambientata nel futuro (non è un criterio essenziale): al centro di questi racconti vi è molto spesso la parabola discendente della civiltà umana; l’interesse delle distopie riguarda la fine dell’uomo e non il suo sviluppo (se l’utopia inscena molto spesso una civiltà ideale che prende vita su un’isola, in essa si vede come la convivenza sociale tra le persone permetta uno sviluppo dell’uomo, nelle distopie si vede invece la dissoluzione della civiltà degli uomini). Le utopie hanno molto spesso hanno una prospettiva ottimistica: ci parlano di un mondo reale ed hanno al centro una sorta di buon auspicio. Nelle distopie invece si parla invece di un meccanismo di avvertimento: al loro centro vi è una profezia. Periodizzazioni della distopia moderna Se le distopie oggi ci sembrano così diffuse e centrali nelle narrazioni contemporanee, nel passato non hanno avuto lo stesso successo. La fase classica delle distopie riguarda il ‘900 ed in particolare una fase che va dalla Prima Guerra Mondiale fino agli anni ’70: al centro delle distopie “Noi” (1924), “Brave New World” (1932), “Animal Farm” (1945), “1984” (1949), “Fahrenheit 451” (1953), spesso vi è una dissoluzione di natura politica: queste distopie sono spesso ossessionate da uno stato totalitario che in maniera autoritaria schiaccia la primarietà dei cittadini (in questi anni delle grandi dittature, l’interesse principale delle distopie riguarda i progetti politici di natura autoritaria; le distopie di questa fase rappresentano un mondo che è ancora più da incubo rispetto al mondo che vi è fuori). Giulia Di Modica 36 Dall’inizio della Guerra Fredda, le distopie si concentrano sull’apocalisse atomica (nel momento in cui il regno di Hitler è stato sconfitto, la grande paura che ossessiona l’immaginario mondiale è lo scoppio di una guerra atomica con il mondo diviso in due). Dagli anni ’90 dopo la fine della crisi atomica, dopo la caduta del muro di Berlino e dopo un nuovo ordine globale, le distopie si concentrano su altri temi come la politica autoritaria, una possibile guerra tra superpotenze e sul capitalismo (spesso al centro di distopie degli anni ’90 e successive, vi è una società fortemente concentrata sul cittadino come consumatore; distopie morbide che non hanno la tragicità di quelle della fase classica o atomica). Dagli anni 2000 in poi (da quando ha iniziato a prendere forma la rivoluzione digitale), molte distopie si concentrarono sul tema dei robot e i dispositivi tecnologici come si vede nella serie “Black Mirror” (serie britannica che non ha una narrazione lineare; il suo tema principale è la relazione tra l’uomo e i dispositivi tecnologici del presente e del futuro. In questa serie viene rapito un membro della famiglia reale inglese ed il riscatto per il rilascio di questo membro è il rapporto sessuale tra il premier britannico e una scrofa in diretta televisiva; se questa cosa non si verifica, i rapitori uccidono il membro della famiglia reale. È evidente che quando questo messaggio viene diffuso su YouTube, il premier è obbligato a compiere questo atto. Gli episodi successivi di questa serie presentano dispositivi iper potenziati dei nostri smartphone ed inoltre vengono inseriti ai nuovi possibili regimi autoritari, l’interesse per i dispositivi tecnologici). Nelle distopie degli ultimi anni quindi ci si concentra molto di più sui temi della tecnologia e sul tema del post umano: spesso nei film e romanzi di fantascienza, si parla dell’umanizzazione del dispositivo tecnologico; ad un certo punto i robot e i mutanti si ribellano e diventano quasi più umani degli uomini. Le distopie sono quindi tra le forme di racconto che portano inscritte nelle loro strutture, quali sono le ossessioni dell’immaginario collettivo presente. Le distopie essendo tipi di racconto così fondati sull’avventura e sulla trama, molto spesso hanno delle caratteristiche fisse per cui sono un po’ tutte uguali. Lo stesso creatore di “Black Mirror”, prima di questa serie televisiva aveva prodotto un’altra serie incentrata sul genere della post-apocalisse zombie: l’unico luogo che viene attaccato è la casa del Grande Fratello (tutti gli altri uomini sono già scomparsi) per cui, tutti i personaggi presenti in quel luogo devono difendersi dagli zombie. Il tono utilizzato da Brooker nelle distopie è satirico. Temi: politica o ambiente? Le distopie sono un genere estremamente variegato, elastico e malleabile ed i temi al centro di esse sono molto vari: vi sono le distopie politiche, della guerra, atomica, del ritorno alla barbarie (distopia che dà forma a “La Strada” di McCarthy), della catastrofe naturale (all’interno di questa categoria rientrano tutti i film sopra descritti; film in cui una comunità degli Stati Uniti viene minacciata da un evento catastematico estremamente pericoloso che porta ad annientare lo scenario globale) e del contagio virale (distopia molto diffusa oggi; il fatto che oggi vengano rappresentate delle distopie del contagio ci dice che ciò è dovuto a due aspetti: processo di globalizzazione che porta al continuo movimento di masse e uomini da e in vari punti del mondo e, un’epoca profondamente ossessionata dalla scienza medica). Giulia Di Modica 37 Come funzionano le distopie La prima cosa da capire in una distopia è chi parla: molto spesso vi è un personaggio outsider (in “1984” il personaggio principale è l’outsider che ad un certo punto si ribella contro il sistema; ne “La strada” di McCarthy invece vi è un narratore onnisciente ed esterno ed inoltre non si sa se il padre ed il bambino siano dei personaggi outsider; forse il padre, anche se è un personaggio sulla soglia che si trova tra due mondi  quello prima della catastrofe e quello distrutto). Spesso la nostra prospettiva sul mondo della distopia che è distrutto o in distruzione, ci è offerta attraverso gli occhi di un buono (non è diffusa la distopia dove chi ci racconta la narrazione è colui che ha causato la fine del mondo). Cosa viene mutato nelle distopie: spesso viene mutato lo spazio (come ne “La Strada”) o il tempo. Nei romanzi fantascientifici l’interesse principale è come vivremo negli anni futuri: questo si vede molto bene nella fase classica della fantascienza in cui molti romanzi immaginano un mondo tutto sommato non così inospitale come lo immaginano invece quelle del presente. Vi è quindi la distruzione dell’ambiente (non solo quello naturale ma anche sociale, umano e culturale; ne “La Strada” lo spazio è distrutto e non solo c’è un’ambiente inorganico, inospitale e desolato ma anche l’ambiente umano e culturale è stato distrutto. Cosa si critica: l’oggetto della distopia è la politica o l’ambiente? La politica è tipica della fase classica mentre l’ambiente è tipica dei nostri giorni attraverso dispositivi, distruzione dell’ambiente naturale e così via. Personaggio outsider È interno e contemporaneamente esterno al mondo rappresentato ed inoltre è spesso colui che subisce gli effetti negativi del mondo distopico e, per questo motivo fa emergere le caratteristiche più aberranti di questo mondo (si vede bene in “1984”). Spesso il personaggio outsider è un narratore: nei racconti dell’ultimo uomo come “Dissipatio H.G.” di Morselli, vi è una sorta di paradosso poiché il personaggio che è rimasto da solo nel mondo, sa di essere solo. Mutazioni dello spazio: “Metropolis” [1927] Mutazioni dello spazio sono presenti ad esempio in “Metropolis” del 1927, mentre le mutazioni del tempo le troviamo in “The Time Machine” del 1895. Tragedia moderna, black humour La distopia può essere vista come una tragedia moderna in quanto l’eroe non salva la comunità e fallisce al più alto del suo grado. Per questo motivo, esse sono attraversate da un certo umorismo definito black humour, necessario per decostruire la catastrofe e rappresentarla dialetticamente. Giulia Di Modica 40 partire da quella data trionfo quindi le post-apocalissi zombie o film come quello tratto dal romanzo “la Strada” di McCarthy o “Il tempo dei lupi” dove non si dice molto sulla catastrofe che ha provocato uno scenario di desolazione e sofferenza nel mondo e, seguendo le vicende di questa famiglia, vediamo come si evolve la situazione. Dagli anni ’70 il genere catastrofista inizia a prendere vita: la diffusione arriva suppergiù intorno agli anni ’90 quando il vero scarto era nel piano della tecnologia: la computergrafica aiuta i produttori, registi e sceneggiatori a realizzare e rappresentare delle immagini prima impossibili da generare. Si può individuare un momento di declino e crisi intorno agli anni 2000: da quel momento sembra infatti prevalere il mondo post-apocalittico. Uno dei primi film che mostrano una sorta di ribellione della natura è “The Birds” di Alfred Hitchcock (1963; tratta di una cittadina costiera colpita da un imprevisto attacco di uccelli il quale comportamento è totalmente contrario al loro istinto di auto-conservazione che però non viene mai esplicitato durante il film e gli stessi personaggi si domandano il perché di questo. È molto interessante come i personaggi siano impotenti nei confronti dell’attacco della natura. Successivamente all’uscita del film, furono studiati i copioni dell’autore e più volte in queste sceneggiature si insiste sull’insensatezza dell’attacco e su come questi uccelli possano essere l’allegoria della morte e l’insensatezza del vivere). Se dagli anni ’60, questo grande regista si rivolge al genere catastrofista, si può capire come dal dopoguerra in poi (e quindi dagli anni ’50), questo genere viene visto come genere commerciale: negli anni della Guerra Fredda, gran parte dei film catastrofisti immaginano una possibile esplosione nucleare. “On the beach”, “Dr. Strangelove” e “The Day After” del 1983 che racconta molte idee dagli anni ’50 in poi. Il secondo filone del cinema catastrofista dagli anni ’60 in poi riguarda il disastro naturale (terremoti, catastrofismi, ecc) o infrastrutturale (infrastrutture umane che possono essere colpite da disastri perlopiù provocati dagli uomini; “The Towering Inferno”, serie “Airport”). “The Day After” dell’83 raccoglie molte forme e immaginari del cinema atomico dagli anni ’50 in poi: tratta di una cittadina del Kansas minacciata di un attacco nucleare, in cui vi sono molti quartieri generali dell’esercito americano. In questo film si affronta il trauma collettivo della guerra atomica. Questo film è molto disturbante e interessante in quanto segue in maniera realistica le vicende di una serie di personaggi di questa cittadina, i quali diventano ad un certo punto un po’ l’emblema dell’umanità allo sbando del dopoguerra e, questo film fa ben capire come dal dopoguerra in poi, ogni individuo del mondo ha convissuto con l’idea, l’incubo e la minaccia dell’incenerimento collettivo (Sontag dice lo stesso nel suo saggio): «durante la guerra fredda era realmente concepibile che scoppiasse una guerra tra Unione Sovietica e Stati Uniti e che il mondo improvvisamente si dissolvesse». Se “The Day After” segue i codici e le forme del genere drammatico, usando delle forme realistiche e segue delle persone senza usare gli humor, ironia e o altro ma prende sul serio le vicende di queste persone mostrandoci come la vita quotidiana di queste persone dopo l’esplosione atomica cambia, un film del ’64 che invece usa un registro estetico diverso (del comico e del grottesco) è quello di Kubrick, “Dr. Strangelove”: vi è un generale americano psicopatico guerrafondaio, convinto che l’Unione Sovietica stia preparando un attacco atomico imminente e quindi coordina ai vari aerei che lui controlla, di slanciare delle bombe atomiche su alcune zone dell’Unione Sovietica. Ad un certo punto, per l’idiozia di questo generale, il mondo realmente si trova a fronteggiare la catastrofe atomica ed il film è Giulia Di Modica 41 incentrato sui vari incontri che politici russi e americani tengono per cercare di evitare questa catastrofe; il registro comico e grottesco sta negli incontri tra i vari politici: vediamo delle stanze del potere popolate da idioti e non da persone che sanno come comportarsi. La svolta degli anni Settanta Il contesto Se prima degli anni ’60 la maggior parte dei film catastrofisti si incentra sul disastro atomico, negli anni ’70 (quando la Guerra Fredda ha delle svolte) vengono abbandonati in parte i temi atomici, e viene rappresentata soprattutto la catastrofe naturale o infrastrutturale (un edificio costruito male che ad un certo punto cade e provoca una catastrofe). La motivazione storica di questa svolta è l’ecologismo dei movimenti degli anni ’60 (la generazione del dopoguerra che diventa adulta negli anni ’60, inizia ad avere una coscienza politica dello sviluppo economico che ha il primo mondo e che ad un certo punto inizia a sviluppare una forte sensibilità verso i temi dell’ambiente e dell’ecologia  c’è quindi una prima presa di coscienza dei danni provocati dallo sviluppo economico del dopoguerra). In questi anni nasce una forma di ambientalismo apocalittico, con la pubblicazione nel ’72 del rapporto Meadows in cui per la prima volta viene detto in maniera chiara che se l’attuale tasso di crescita della popolazione e dell’industrializzazione resta costante, il mondo sarebbe collassato. In questi anni quindi, questo pensiero ecologista inizia ad avere una diffusione nell’immaginario collettivo che sfocia anche in quello cinematografico: molti film degli anni ’70 affrontano in maniera frontale non più temi che arrivano dalla politica, guerra e disastro nucleare ma temi che riguardano il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Gli anni Settanta Il rapporto uomo-ambiente Molto spesso viene tematizzata l’artificialità rischiosa di alcune situazioni di vita dell’uomo: i questi film inizia a mostrarsi un principio di colpa morale dell’uomo (viene esplicitamente detto che è un idiota, opportunista, costruisce in luoghi dove non dovrebbe e che è il primo colpevole della catastrofe naturale che ha colpito la popolazione nel film); c’è quindi lo schema della punizione morale dell’umanità per delle colpe (che conosciamo già). In questi film la cura e l’umanità sono legati da un rapporto chiamato nemesis dove la natura si ribella per degli attacchi subiti dall’uomo. In questi film inoltre si instaura uno scontro costante tra la comunità scientifica e i rappresentati delle istituzioni: molto spesso i politici (sono scettici verso l’allarmismo degli scienziati che dovrebbero fronteggiare la catastrofe) e gli scienziati (coloro che per primi iniziano a notare i segni premonitori della catastrofe che sta arrivano) non si parlano poiché se lo fanno, lo fanno male. La questione del rapporto tra uomo e ambiente è posta attraverso dei conflitti tra scienziati e rappresentanti delle istituzioni (“The Towering Inferno” del 1975). Nei film la coscienza cerca di elaborare i danni causati dai processi di urbanizzazione. L’uomo osa costruire dove non deve, ecco che ritorna il concetto di morale. Questo genere denota i film come “disaster movies”. I film sono costruiti con una comunità coesa, spesso rappresentata da una normale famiglia borghese. Questa situazione di Giulia Di Modica 42 stasi e di equilibrio viene turbata dall’arrivo di una “cosa” (termine definito da Sontag). L'arrivo viene notato da una sola persona che solitamente è uno scienziato marginale e isolato. Queste cose subiscono delle variazioni in quanto chi nota l’arrivo comunica la catastrofe futura ma non viene creduto (rivalità tra comunità scientifica e politica). Quindi l’eroe affronta il tutto da solo o con l’aiuto di un gruppo ristretto di fedeli. Alla fine c’è un processo di rigenerazione. Questi film degli anni ‘60/’70 sono, oltre che la concretizzazione del pensiero ecologico ecc, anche la coscienza che cerca di elaborare i danni provocati dall’industrializzazione e dai processi di urbanizzazione degli anni ’60. Nel film “The Towering Inferno” vi è una concezione anti-moderna: l’uomo costruisce dove non deve costruire e osa innalzare queste grandi cattedrali verso il cielo. In questi film vi è quindi un forte atteggiamento moralistico verso le opere e la società degli uomini; caratteristica che rimarrà fino alla canonizzazione del genere (verso gli anni ’90). I disaster movies degli anni Novanta Alcuni film di riferimento sono:  Twister (De Bont, 1996);  Indipendence Day (Emmerich, 1996. Questo film prevede l’arrivo di popolazioni aliene);  Dante’s Peak (Donaldson, 1997)  Titanic (Cameron, 1997. Prevale il registro del “romance”: storia sentimentale tra un giovane ed una donna; è comunque un genere catastrofista);  Volcano (Jackson, 1997. Film in cui il tutto è inverosimile: viene scoperto un grande vulcano sotto il centro della città di Los Angeles);  Armageddon (Bay, 1998);  Deep Impact (Leder, 1998). Altri film simili arriveranno successivamente come “The Day after tomorrow” (in cui vi è un’inverosimile glaciazione che colpisce il mondo) del 2004. Come sono costruiti La situazione iniziale prevede la rappresentazione di una comunità (molto spesso nordamericana) coesa in cui vi è una situazione di stasi e benessere che viene rappresentata attraverso una normale famiglia borghese americana. Questa situazione di stasi viene però ad un certo punto turbata dall’arrivo di una “cosa” (Sontag si riferisce per lo più all’arrivo di entità aliene ma noi, in questo corso ci riferiamo principalmente a disastri e catastrofi). Questo arrivo della “cosa” viene molto spesso notata da una sola persona che è uno scienziato isolato dalla società o una sorta di scienziato dilettante; molto spesso vi è una variazione in questo schema: nel primo caso, questi personaggi cercano di avvisare la comunità circostante che si attiva per fronteggiare questa situazione mentre, nella variante più interessante, chi nota la “cosa” lo comunica alla comunità circostante che però non crede a ciò che gli viene riferito. Vi è perciò la rivalità tra la comunità scientifica ed i politici: sono Giulia Di Modica 45  Come nella tragedia classica, al terrore per gli elementi ambientali, si affianca un senso di pietà per i personaggi che soffrono il disastro (=CATARSI): nonostante questi personaggi vengano mostrati quasi bidimensionalmente, la nostra sensibilità di spettatori è spesso portata ad identificarci come loro e a provare un senso di pietà e compassione per le loro sorti. Il sublime Noi come spettatori siamo infatti morbosamente attratti da queste scene; la cosa che ci lega a questi generi di film è piuttosto complessa: da un lato possiamo riconoscere tutti i difetti e le mancanze che presenta questo genere di film (dal fatto che tutti i personaggi siano degli uomini eroici, che questi film finiscano tutti bene) e dall’altro c’è però una sorta di legame appunto morboso. Questa cosa che ci lega a questi film ed in particolare alle scene in cui ci viene mostrato il disastro, è una delle categorie estetiche più antiche ed è il sublime. Il concetto di sublime è stato inaugurato da un autore anonimo con “Il trattato del sublime” ed in genere, esso è «il piacere che si prova osservando la potenza o la vastità di qualcosa che potrebbe distruggere chi lo osserva». Si prova qualcosa come attrazione e repulsione per qualcosa di devastante e mortifero (l’arrivo dell’onda devastante sulla città di New York). Catarsi, Aristotele: arte come liberazione della passione Il concetto di sublime è strettamente legato a qualcosa di cui si occupò Aristotele nello studiare la tragedia classica. Perché noi siamo quindi legati a qualcosa all’immagine della devastazione e della distruzione quando viene rappresentata all’esterno? Questo ci è fornito dal concetto di catarsi (dal greco Katharsis, purificazione). Possiamo ritrovare la catarsi soprattutto nella canonizzazione di cui ha parlato Aristotele: l’arte ha la capacità di liberarci dalle passioni  «la catarsi è il liberatorio distacco dalle passioni tramite le vicende che vengono rappresentate sulla scena della tragedia e nella narrazione». Lo spettatore, in maniera istintiva, viene portato a provare pietà, compassione ed identificazione (o meglio ancora empatia) per i personaggi che soffrono sulla scena. Nel momento in cui vediamo i nostri personaggi, verso i quali abbiamo empatizzato, soffrire, e nel momento in cui il nodo della sofferenza viene sciolto dalla trama (ci viene detto perché quel personaggio sta soffrendo), il lettore si purifica della sofferenza che ha provato insieme al personaggio. In questo processo di empatia e purificazione, c’è una dimensione di piacere molto forte. La seconda sfera (la prima è quella psicologica) nella quale agisce la catarsi, è quella estetica: «l’angoscia e le emozioni della finzione che si provano assistendo alla tragedia rappresentata sulla scena, si trasformano nel piacere dello spettacolo che diventa, allora, un dispositivo in cui il piacere e la purificazione sono strettamente legati». Giulia Di Modica 46 La catarsi nei film catastrofisti In questi film gli spettatori sono portati a sopportare le catastrofi naturali e a provare sollievo quando esse svaniscono. Nel finale di questi film, si distingue la qualità di una distopia poiché possono avere un finale ambiguo come “La Strada” in cui vi è un contro-finale piuttosto inquietante. Il lieto fine Il lieto fine viene trattato da Leopardi ne “Lo Zibaldone” in cui egli afferma che esso è qualcosa di deludente per i lettori poiché ci dà l’illusione che la giustizia sia fatta e che l’ordine sia ristabilito: ci illude che la giustizia si adatta e che l’ordine sia stabilito. Questa illusione avviene ovviamente solo nella sfera dell’immaginazione e, questo meccanismo è stato ben descritto da Freud in un saggio del 1908, il quale la definisce «fantasia autogratificante»: nell’immaginazione noi raggiungiamo la pace attraverso quella narrazione che, è motivo di gratificazione o autogratificazione. Leopardi leggerà ciò in maniera diversa con il suo caratteristico scetticismo poiché per lui, il lieto fine è una mera illusione: i prodotti e le narrazioni senza lieto fine sono molto più efficaci per il lettore poiché hanno un effetto più consistente sulla vita reale del lettore; la tensione che ci ha provocato lo squilibrio di quella situazione, si prolunga oltre la narrazione. I film catastrofisti sono quindi estremamente reazionari: il fatto che noi per due ore abbiamo questo intervallo di intrattenimento e divertimento, ci aiuta a sopportare il mondo al di fuori e ci fa capire che il mondo in cui viviamo tutti i giorni, tutto sommato non fa così schifo come il mondo del film che invece si sta distruggendo. Anche per questo, i film catastrofisti hanno la posizione politica reazionaria (non è invece così con le distopie come “La Strada” a causa dell’ambiguità del loro finale). Cosa ci dicono i film catastrofisti?  Non operano nessuna critica sociale: non vengono criticate le condizioni sociali che permettono la distruzione (cfr. Sontag): la distruzione avviene o dall’esterno (catastrofi naturali, alieni etc.) o dall’interno (l’uomo ha sbagliato qualcosa e per questo deve pagare); non si parla mai invece delle differenze sociali fra gli uomini (in “The Day After Tomorrow”, nella folla di coloro che sono in fuga, vi è anche la presenza di un barbone) e, non si vede mai come le catastrofi naturali colpiscano molto di più i quartieri poveri che i quartieri ricchi;  Sono spesso conservatori. Aiutano a sopportare il reale: insinuano nello spettatore l’idea che il mondo lì fuori, pur nelle sue contraddizioni, è il migliore dei mondi possibili;  Se parliamo troppo di apocalisse, smettiamo di crederci: inducono una specie di apatia verso quello che ritengono minaccioso (catastrofe climatica etc.): l’effetto di questi generi di film è anche quello di anestetizzarci riguardo a questioni ambientali Giulia Di Modica 47 o politiche. Il fatto che dopo le due ore, noi abbiamo esaurito la visione di quell’argomento, può portarci non a riflettere ma ad anestetizzarci riguardo esse.  Sono costruiti per intrattenere (wow effect, lieto fine, eroismo) in quanto sono pensati come una fuga nell’esotico: molto spesso questi film (essendo di largo consumo) sono pensati per intrattenere e per far comprare i biglietti. La catastrofe in questi film infatti è una catastrofe inquietante ma che non ci riguarda;  Veicolano un’immagine della scienza fondata sull’intrattenimento o sulla weirdeness: la scienza è una avventura o una reazione tecnica al pericolo. Assente l’idea della scienza come attività sociale, il cui buono o cattivo uso non dipende dal singolo ma dalla collettività: la scienza è la cosa che ci salva dal mondo, ma in questi film è mostrata come una cosa negativa che deve essere eliminata; è quindi un’avventura o una reazione tecnica al pericolo (non viene mai mostrata nella sua dimensione comunitaria: le comunità di scienziati in questi film, non hanno delle singole personalità ma sono mostrate in maniera generica);  Eppure, sfruttando meccanismi universali (sublime, catarsi), parlano di ansie diffuse e ci dicono di una epoca che immagina in tutti i modi la fuga da un quotidiano di benessere e consumismo opprimente: il fatto che noi difronte ad immagini catastrofiche, proviamo un misto di attrazione e repulsione. Questi film ci parlano di un’ansia diffusa per il pericolo e la catastrofe e, ci mostrano un’epoca che ha un bisogno contino di fuggire e scappare da un quotidiano che è fatto da un consumismo sopprimente e da un benessere che però non è né serenità né felicità (lo schema fisso di questi generi di film prevede la presenza di una famiglia o una comunità che vive nel benessere e nella serenità e, che è piena di progetti. Questo benessere viene però infranto dall’arrivo della catastrofe e, il fatto che si difenda continuamente questo schema non è casuale in quanto non riguarda solo la nostra dimensione di spettatori ma, ci dice anche qualcosa sul nostro modo di vivere; il fatto che abbiamo continuamente bisogno di immaginare la catastrofe ed il fatto che lo facciamo in questo modo (come una fuga nell’esotico), ci dice anche qualcosa del modo in cui viviamo. “Rumore Bianco” Per quanto riguarda “Rumore Bianco”, DeLillo è un autore americano il quale dopo molti romanzi pubblica questo romanzo nell’85. Questo romanzo è diviso in 3 parti: la prima è intitolata “Onde e radiazioni” (ci si concentra sulla vita quotidiana di questa famiglia e sulla loro ripetitiva e opprimente vita di consumo in supermercati); la seconda “L’evento tossico aereo” e la terza “Dylarama”. Questo romanzo parla di una famiglia normale, serena, nord americana, la quale vive in una cittadina del Midwest. Il padre (il quale è narratore e protagonista) si chiama Jack ed insegna all’università: è il fondatore di studi che si occupano del personaggio di Hitler; la moglie si chiama Babette (insegna postura) ed essi hanno alcuni figli da altri matrimoni. Tutto il romanzo è incentrato su questa famiglia, sulle loro abitudini e sulla loro ossessiva affezione verso le merci dei supermercati etc. Giulia Di Modica 50 Già dai minimi accenti, notiamo che egli ha uno sguardo ironico e disincantato in quanto ci tiene a sottolineare come queste persone in auto siano delle persone benestanti e che costituiscano “un’accolta di persone dai pensieri uguali, dai valori simili, un popolo, una nazione”: qui notiamo un primo salto tra questo tipo di popolazione e l’intera nazione. Non è casuale che Jack alla fine cita dei luoghi un po’ topici dell’immaginario della piccola cittadina americana: «una poliziotta … bolli scaduti.»  Sta parlando probabilmente di una cittadina molto tranquilla se non noiosa. Quando i Gladney abbandonano la cittadina in cui vivono, sarà per andare in una città molto simile a questa. Ci troviamo perciò nell’anonima e noiosa America provinciale. «Dum-Dum, mentine Mystic.»  Nella narrativa degli anni 60’/70’ le descrizioni si concentrano su degli oggetti senza dare il loro marchio, nella narrativa internazionale dagli anni 80’ si riferisce agli oggetti chiamandoli per marchio (questo fa capire l’inizio della letteratura post-moderna). [pagina 4 pdf, secondo capitolo]: Qui DeLillo ci presenta la situazione familiare con i membri della famiglia. [pagina 7 pdf, terzo capitolo]: Qui vi è una parte che per un lettore non avverso a temi della letteratura post-moderna e alla narrativa di DeLillo, potrebbe sembrare un po’ insolito e curioso. Jack ha incontrato Murray, il quale come lui, ha insegnato all’università di letteratura; essi stanno andando a vedere “la stalla più fotografata d’America”. [pagina 10 pdf, 15 libro]: «Diversi giorni dopo … Ne parve immensamente compiaciuto.»  Qui Jack racconta una scena di turismo di massa: egli vanno in questo posto in cui vi è la stalla più fotografata d’America. Questo posto è diventato famoso senza motivo: delle persone vanno lì a fotografarla semplicemente perché è la stalla più fotografata. Qui ci troviamo difronte ad uno dei temi centrali del romanzo: quello dello spettacolo, dell’immagine e del simulacro che soppianta totalmente l’oggetto in sé: non c’è nessun motivo apparente per cui questa stanza debba essere fotografata; non è bella, non è brutta e non è un sito archeologico … semplicemente ad un certo punto, per qualche strano flusso di turismo di massa, è diventata molto famosa e tutti vanno visitarla fotografandola poiché lo fanno altre persone. Questa è una situazione ironica ed è un riferimento al filosofo francese Debord degli anni ’60 che scrisse “La società dello spettacolo”: qui si parla di come dal dopoguerra in poi, nella società occidentale, l’immagine delle cose abbia di fatto sostituito la stessa presenza e l’oggettività delle cose. Il primo frammento di quest’opera dice: «tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in uno spettacolo»; il quarto frammento dice: «lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale tra le persone, mediato dalle immagini». Secondo DeLillo ci troviamo quindi precisamente in un contesto di società dello spettacolo dove una delle cose più importanti nella vita delle persone è l’apparato mediatico di produzione e riproduzione delle immagini (Rumore Bianco è il rumore di fondo che accompagna la vita di queste persone, fatto di immagini mediatiche e continue interferenze e produzione e riproduzione di immagini che hanno di fatto svuotato la stessa presenza delle cose). [pagina 17 pdf, 23 libro, quinto capitolo]: Qui vi è la prima vera descrizione di un supermercato dove all’inizio si citano varie merci e nel finale vi è la connessione di tutte Giulia Di Modica 51 queste cose con il tema della morte (che tornerà sempre nel romanzo ogni volta che si parlerà di supermercato). «La morte, pensai … blue jeans.». [pagina 18 pdf, 26 libro]: «Mi parve che Babette e io … passeggiate serali.»  Qui si nota come Jack ci dice in maniera molto frontale ed esplicita che quando lui va al supermercato e spende, sta bene, raggiungendo una pienezza dell’essere. Ogni volta che si parlerà di supermercato in questo romanzo, si parlerà in maniera molto ambigua ed allusiva, di morte e, dall’altro, di benessere. Questo quotidiano fatto di televisione, consumismo e intrattenimento, ci viene continuamente ribadito dal narratore. [pagina 32 pdf, 44 del libro, nono capitolo]: «Il martedì … delle cose.». Vi è una sorta di primo perturbamento di questo equilibrio. Qui notiamo il topos (meccanismo) dei segni premonitori: vi sono dei primi segni dell’arrivo della catastrofe; si parla di isolante elettrico, cibo della mensa, amianto etc. Jack conclude però questo brano dicendo che forse non si tratta di una di tutte queste cose ma, si tratta di qualcosa che arriva da un luogo “ancora più profondo e sottile, più intimamente insito nello stato essenziale delle cose”. Qui notiamo una prima separazione tra i Disaster movies hollywoodiani degli anni ’90 ed un romanzo come “Rumore Bianco”. Freud parla di perturbante: stato d’animo nel quale convivono l’estraneità e la familiarità. Secondo Freud, una situazione o un oggetto, provoca un perturbamento nell’osservatore, quando convivono in questa situazione, un senso di familiarità e nel frattempo un senso di estraneità … a tutto ciò, noi siamo legati da un senso di piacere. L’arrivo di questi segni premonitori è quindi qualcosa che riguarda da vicino questo senso di perturbante. Un’altra cosa importante è vedere il modo in cui questa famiglia passa il loro tempo: da un lato vanno spesso al supermercato a fare la spesa e dall’altro, essi si riuniscono ogni venerdì per guardare la televisione (abitudine consolidata e imposta dai due genitori che, tornerà nel corso del romanzo). [pagina 61 pdf, 79 del libro, quattordicesimo capitolo]: «Per il corridoio arrivò … di più travolgente.»  Qui si ritorna al tema del disastro e dell’apocalisse vista in TV; è come se questa famiglia fosse il tipo di spettatore ideale dei disaster movies (hanno una sorta di effetto anestetizzante: se ripetiamo in continuazione un avviso di allarme, esso stesso svuoterà ad un certo punto lo stesso allarme. Questi film provocano però anche un effetto di piacere negativo: nel momento in cui vediamo il disastro, la morte e la distruzione oggettificata e narrativizzata su uno schermo televisivo, riusciamo a liberarci dei nostri sentimenti di paura o compassione verso i personaggi che stanno in questa situazione di catastrofe e quindi, riusciamo a stare meglio. Verosimilmente anche nella famiglia dei Gladney, questo disastro aereo provoca da un lato un senso di anestetizzazione nei confronti della catastrofe e, dall’altro, provoca uno strano piacere del negativo). [pagina 63 pdf, 81 del libro]: Il fatto che loro provino una sorta di piacere così forte nel guardare questi documentari, spinge Jack ad andare al dipartimento e a chiedere dei consigli. «Alfonse, come mai … bombardamento dell’informazione.»  qui si capisce bene perché la famiglia è così appassionati di catastrofi: vedere la catastrofe raccontata in televisione, è un Giulia Di Modica 52 modo per evadere ed è il concetto basilare di intrattenimento ed evasione. «È evidente … condannarli.»; «Per la maggior parte della gente … si tratti.»  Secondo chi sta parlando, per la maggior parte delle persone negli Stati Uniti ci sono soltanto due posti: il mondo materiale e fisico nel quale trascorrono la vita e, quello televisivo. Molto spesso questo mondo televisivo prende il sopravvento sul mondo materiale e fisico, fino a sostituirlo; l’immagine quindi si sostituisce all’evento. [pagina 106 pdf ,134 del libro]: «Come una cosa informe … litri di roba.»  Jack è molto incredulo a ciò che avviene in quanto questa è una cittadina fin troppo felice ed è impossibile che possa accadere ciò. [pagina 113 pdf ,143 del libro]: «Continuammo a mangiare … sottigliezze di intonazione.»  Nei dialoghi c’è continuamente questo tono ironico: il figlio sta annunciando che bisogna evacuare in quanto la nube che si sta formando è tossica e, loro rispondono con sarcasmo. Questo sarcasmo spesso allegorizza le disfunzionalità all’interno delle comunicazioni familiari. [pagina 115 pdf]: «Abbandonare tutte le abitazioni … nube chimica.»  La famiglia si trova quindi difronte all’assurda realtà dell’evacuazione. Qui l’apocalisse, la catastrofe ed il disastro, irrompono letteralmente nel quotidiano di queste persone, mettendole in fuga e provocando un cambiamento nelle loro vite. [pagina 123 pdf,154 del libro]: «Pochi minuti più tardi … esercito di espropriati.»  Qui si vede molto bene la coesistenza di un senso di angoscia, paura ed inquietudine ma, dall’altro lato Jack dice che questa nube ha un qualcosa di spettacolare. «Il nostro timore … qualcosa di incontrollabile.»: qui ribadisce il senso di inquietudine di questo scenario. «La situazione era stupefacente … contro il vetro.»  Qui si parla in maniera molto esplicita di sogni (concetto di perturbante strettamente connesso al concetto di “ritorno del rimosso”): secondo Freud, la rimozione agisce come una sorta di sistema immunitario della nostra psiche; i pensieri, le idee, gli stati d’animo e i sentimenti più inquietanti e disturbanti che maggiormente turbano l’equilibrio della nostra psiche, vengono rimossi. Quando questi pensieri prendono delle forme consistenti, la nostra psiche viene turbata dal ritorno del rimosso che si manifesta in situazioni improbabili come ad esempio l’attività onirica (spesso durante la notte, sogniamo delle cose che ci hanno sfiorato vagamente durante il giorno). Il concetto di perturbante come abbiamo detto pocanzi, è strettamente connesso al concetto di ritorno del rimosso in quanto nel perturbante (in un oggetto o in una situazione che ci crea perturbamento) riconosciamo qualcosa di estremamente familiare e contemporaneamente proviamo una sorta di inquietudine. In questa scena vi è un meccanismo simile in quanto da un lato c’è questo senso di attrazione per la spettacolarità della nube e, dall’altro lato, Jack ci dice in maniera molto esplicita come questa nube sia abbastanza inquietante. Il grande rimosso che perciò riaffiora in questo caso, è il grande rimosso della morte: loro che guardano questi disastri e queste catastrofi in televisione (e lo fanno per anestetizzare quel sentimento del negativo e per anestetizzare il concetto di morte). Nella prima parte del romanzo, viene descritto come sotto questa superficie di sitcom televisiva fatta di consumismo ed intrattenimento televisivo, si nasconda un sentimento del negativo e di morte che continuamente vuole riaffiorare; nel momento in cui perciò riaffiora questa nube, Jack in Giulia Di Modica 55 si apriva con la lunga fila di automobili ed automobilisti anonimi, così si chiude con le file dei supermercati. Nell’ultima parte emerge anche l’attrazione religiosa che queste persone provano per le onde e per le radiazioni. È come se l’autore del romanzo ci stesse dicendo che nonostante l’arrivo dell’apocalisse e della nube tossica, ad un certo punto queste persone tornano a vivere la loro vita normale che è fatta di routine, di ripetizione di gesti e di distrazioni. Ci troviamo quindi al cospetto di una sorta di apocalisse attenuata la quale ci è stata descritta nel corpo centrale del romanzo: da qui abbiamo capito che il mondo non è finito ma che anzi è tornato ad essere quello che era prima. È stato quindi eliminato il momento della rigenerazione (momento costitutivo del modello apocalittico) e, l’apocalisse qui descritta è sicuramente quella più nichilistica tra quelle descritte durante tutto il corso, poiché tutto torna ad essere come era in precedenza. “Dissipatio H.G.” Morselli scrive “Dissipatio H.G.” durante gli anni ’60 e viene poi pubblicato (così come tutti gli altri suoi romanzi) dopo la sua morte poiché egli combatté fino al 1973 contro gli uffici stampa delle case editrici per veder pubblicato uno dei suoi libri. Egli all’epoca soffriva di una sorta di “messa in minoranza” da parte dell’ente editoriale italiano. I suoi romanzi vengono pubblicati postumi, dopo il suicidio dell’autore nel 1973. Questo è l’ultimo romanzo scritto da Morselli il quale porta nell’ultima pagina, la data del 1973 (probabilmente è stato concluso pochi mesi prima del suicidio dell’autore). È un romanzo che racconta della dissipazione del genere umano. [pagina 33 pdf, 87 del libro]: «C’è una mia vecchia lettura … perlomeno è decoroso.»  Quest’opera di cui parla non esiste realmente ma, è stata inventata dall’autore; egli infatti all’interno del romanzo, cita alcune opere per far confondere il lettore. Questo libro parla quindi si qualcosa di assurdo: il narratore e protagonista del romanzo, si accorge ad un certo punto che l’intera umanità è scomparsa e che è l’unico superstite. [pagina 6 pdf, 9 del libro]: «Relitti inconsistenti … feroce sollievo.»  Qui vengono descritti i vari relitti di “loro” (ovvero tutte le persone che sono scomparse), principalmente dei nastri i quali appartenevano a notiziari radiofonici o registrazioni televisive. Dopo mezzo mese, il narratore si descrive incredulo dopo la scomparsa dell’intera umanità e, dopo ciò, subentra un sentimento di tranquillità e di quasi rassegnazione (senso che attraverserà tutto il romanzo, appartenente ad una delle cifre stilistiche principali di esso; assieme a “Rumore Bianco” è anch’esso un romanzo fondato sull’ambivalenza e sull’ambiguità). «Esco dalla sede del giornale …»  Qui il narratore descrive la sua vita. [pagina 6/7 pdf, 11 del libro]: «Io non amo Crisopoli … al negativo.»  Qui si parla della città di Crisopoli (città inventata e molto probabilmente pseudonimo della città di Zurigo; «crisos»: oro e «poli» città: già dagli anni ’70 è uno dei centri finanziari dell’Europa); questo tono continuo di astio e di odio è una delle principali caratteristiche del romanzo. «La mia fuga … ma vuota.»  Quella notte si riferisce alla notte in cui si era svolta la scomparsa dell’umanità. Giulia Di Modica 56 «Quanti erano? … nel sonno:»  All’inizio egli pensa che quello che è successo, ha sorpreso le persone poiché non si sono rese conto di essere scomparse. «la sospensione … su quegli asfalti.»  Qui si nota molto bene la presenza dell’apocalisse biblica e, la presenza di molti animali al centro della città come nelle banche e così via. Qui vi è un’inversione totalmente grottesche e ironica (anche qui è una delle caratteristiche principali e costanti del romanzo; dove non c’è il senso di ironia, c’è un senso di disperazione. È come se il protagonista ed il narratore di questo romanzo, oscillasse continuamente tra una presa di coscienza divertita per quella che è diventata la realtà delle cose e, la disperazione per questa situazione). Più avanti il narratore ci dice che la sua vita si è sempre svolta tra la vita cittadina a Crisopoli ed in una valle di pochissime persone. Questa contrapposizione tra una dimensione urbana (totalmente svuotata) e una dimensione di campagna, è caratteristica di questo romanzo e molto probabilmente risente degli anni in cui è stato scritto questo romanzo, anni in cui vi era il processo di urbanizzazione di massa. La prospettiva del narratore è quindi di totale idealizzazione di una dimensione bucolica: c’è una continua idealizzazione della natura (di vede bene nell’ultima parte del romanzo). Molto spesso in queste narrazioni post-apocalittiche ed in particolare quelle dell’ultimo uomo, il personaggio percorre le vie della città o del mondo che sono deserte e, vi è una sorta di edonismo, di piacere, condiviso sia dal personaggio che dallo spettatore (vedere i luoghi deserti che normalmente vediamo popolati, provoca un inquietante senso di piacere. Film come “Io sono Leggenda”). Capiamo quindi che questo romanzo ha al centro una situazione assurda: è rimasta una sola persona nel mondo (il quale è il nostro narratore) e l’intera popolazione si è estinta la notte del 2 Dicembre. Quest’assurdità prenderà il nome di paradosso (figura retorica, qualcosa che va contro il senso comune e di contro intuitivo, un’antinomia). In questo romanzo noi troviamo 3 paradossi: il primo a [pagina 11 pdf, 22 del libro]: «A mezzanotte e trenta … non essere superiore.»  Qui si capisce che il nostro narratore voleva suicidarsi e che proprio in quel momento, egli pensa alla differenza tra il cognac francese e quello spagnolo (è quindi evidente che ci troviamo difronte a qualcosa di paradossale e di grottesco). «No. Quel mio meditare … di servirmene.»  In questa scena, si ritrova quel senso di grottesco che attraversa tutto il romanzo. Il paradosso di cui si parla riguarda il fatto che il narratore decide di andare in una caverna con dei cunicoli abbastanza complicati in cui bisognava nuotare per un certo tratto, fino ad arrivare ad una pozza d’acqua dove poi avrebbe dovuto annegare. Nel momento in cui lui decide di fare questa cosa, il suo corpo si oppone (non ha il coraggio di farlo) perciò, esce da questa caverna e proprio lì si rende conto che tutti gli altri son scomparsi. Paradosso: una persona che decide di suicidarsi ma che non vi riesce e l’umanità che invece scompare al posto suo. Il secondo a [pagina 20 pdf, 43 del libro, sesto capitolo]: «No, non sono comicamente … la loro importanza.»  Paradosso: lui si dichiara “fobantropo” (colui che ha paura degli uomini, parola che non esiste) e nonostante ciò, egli ha comunque una forma di nostalgia e mancanza nei loro confronti. C’è l’ambivalenza continua tra la ricerca della solitudine e la mancanza per gli altri esseri umani (ambivalenza presente in tutto il romanzo che a volte coincide con il Giulia Di Modica 57 piacere ed altre, come nell’ultima parte del romanzo, si trasformerà in disperazione poiché resta a letto senza aver voglia di girare per le strade della città e, arriva quasi a dubitare della stessa consistenza di ciò che sta succedendo). Dopo essersi reso conto che l’umanità è scomparsa, decide di andare nei villaggi vicini (anche lì si tratta di villaggi ormai deserti) e ritorna Crisopoli dove non torna nessuno. Decide perciò di recarsi in un aeroporto per prendere un aereo: aspetta per due giorni e si rende conto che non c’è nulla che parte e che effettivamente è scomparsa tutta l’umanità. Il terzo a [pagina 23 pdf, 53 del libro, settimo capitolo]: «Sto seguendo, in questo momento … sotto i miei occhi.»  Qui c’è ancora una scena in cui la natura ed in particolare gli animali, si riappropriano dello spazio esistente: nel momento in cui l’uomo ha liberato il campo, la natura torna ad essere attiva ed il nostro narratore è contento di ciò. «La fine del mondo? … allegro.»  La morale che attraversa questo romanzo è anti- antropocentrica poiché il mondo è finito e risorge esattamente senza l’umanità. Quindi, da un certo punto di vista, il mondo finisce ma, dall’altro, il mondo quasi risorge. Qui, quella che è una distopia, diventa quasi un’utopia: il mondo diventa un posto migliore precisamente nel momento in cui finisce l’umanità perché la natura torna a colonizzare gli spazi e gli animali tornano liberi ad esprimersi (anche questa prospettiva anti-antropocentrica sarà continuamente contestata dallo stesso narratore). Paradosso: da un lato la distopia diventa utopia (rigenerazione senza l’umanità) e dall’altro, questa rigenerazione senza la fine dell’umanità e quindi la solitudine di questo personaggio. Bisogna considerare anche la figura del salvatore: l’unico altro personaggio presente in questo romanzo il quale nome è “Karpinsky” (medico che ha avuto in cura il narratore nel momento in cui lui era stato rinchiuso in un manicomio; probabilmente è lo pseudonimo di Freud). Nella seconda parte del romanzo, questo soggetto tornerà nuovamente presente in quanto il narratore crederà di avere delle allucinazioni (penserà di averlo visto per la città di Crisopoli e dirà di aver ricevuto una sua telefonata). Il romanzo si conclude con la ricerca da parte del narratore di questo uomo e, con la promessa della venuta di questo uomo (questo ci ricorda “l’Apocalisse” di Giovanni che si conclude con la promessa della seconda venuta di Dio. C’è quindi anche una sorta di uso ironico del modello biblico da parte di Morselli). [pagina 59 pdf, 141 del libro]: «Giro la città … un pacchetto di gauloises.»  In questo finale estremamente ironico c’è la promessa della venuta di Karpinsky. C’è una decostruzione grottesca ed ironica del modello biblico ma contemporaneamente, essa non deve farci pensare che questo sia un libro esclusivamente ironico. Nella riappropriazione del mondo da parte della natura, c’è forse la prospettiva più angosciante di questo romanzo: il fatto che l’autore lasci passare questa idea che l’umanità sia colpevole della distruzione del mondo, può essere emendata solo attraverso la sua scomparsa ed è sicuramente il messaggio più disperato di questo romanzo. Sotto questo punto di vista possiamo sicuramente dire che “Dissipatio H.G.” abbia tutti i toni della distopia ambientale e soprattutto sociale. Secondo il narratore, la colpa dell’umanità si trova a [pagina 27 pdf, 63 del libro]: «Gli uomini hanno … e proseguono la storia.»  Questa che ci sembrava la prospettiva nichilistica è invece ambivalente poiché è vero che tutti dicono che l’uomo è colpevole delle guerre, dell’imbruttimento del mondo e dell’inquinamento ma in realtà dalla prospettiva Giulia Di Modica 60 Questo testo è assieme a “Rumore Bianco” un testo in cui nella sua ironia, in maniera più pesante ed angosciosa, presenta una prospettiva nichilistica del modello apocalittico. Giovedì 6 Novembre 2018 Paolo Volponi (1924 - Urbino) Paolo Volponi è uno scrittore inafferrabile: non ha studiato, è un dilettante e ha iniziato a scrivere da autodidatta; ha scritto un solo saggio e si può definire un po' "pazzo". Ha scritto i suoi due capolavori (il primo in dieci anni e il secondo in quindici anni). Egli è l'unico scrittore che ha vinto due volte il premio "Strega" ed è anche un dirigente industriale: per lui il CAPITALE SIMBOLICO più importante è l'industria ( è proprio l'aver lavorato nell'industria che gli permette di essere un grande scrittore). Lui temeva molto Franco Fortini che invece era uno scrittore intellettuale e professore. Volponi poeta e narratore: Giovanni Raboni scrive che per lui Volponi sia il più grande e completo scrittore del secondo '900 dal punto di vista della narrativa perché lui ha una duplicità: la forza della comunicazione è sempre accompagnata da una forza espressiva straordinaria perché nelle sue prose con uno stile espressionista, lui trasfigura la realtà (quello che non vediamo ma che si trova dietro la realtà e che a volte è più vero). Lui utilizza una formula che è quella del realismo visionario: il realismo è una retorica per cui le cose appaiono verosimili e possibili e, visionario appunto perché non rappresenta solo la realtà ma anche quello che sta sotto la realtà e che è nascosto e non si vede. Volponi viene contrapposto a Calvino perché quest'ultimo mette in primo piano la forza della comunicazione (ovvero il pensiero come Primo Levi) mentre Volponi, a questo sovrappone uno stile e una forza impressionista. Volponi resta un poeta anche quando scrive romanzi poiché gli resta sempre un'impressione e un'opinione da poeta di fronte alla realtà: nei suoi romanzi mantiene sempre una forza lirica e dei versi poetici. Pasolini è quello che lo spinge a scrivere romanzi e infatti Volponi gli dedica una poesia che si intitola "Pasolini da cinque anni è morto" dell'80, nella quale lui immagina che Pasolini gli stia parlando e che gli dica: «anche tu sei bravo e sai sentire cosa dicono “quel sale e quel pepe”». Questa è una metafora che se viene sciolta ci fa capire come Volponi arriva ad essere un poeta, sentendo e immaginando che cosa dicono le cose (il sale e il pepe), si mette nei panni del sale e del pepe. Quello che conta è come si dicono le cose collegato alla figuralità: una figura retorica rende un discorso carico di forme puntando il dito sulla forma. La prosa di Volponi è una prosa lirica/poetica che disgrega la realtà in quanto lui è il maestro dello stile “disiunctus” (è uno stile fatto per paratassi per dirci qualcosa che non vediamo) per il modo in cui impiega e padroneggia questo continuo suo segnale di ostilità nei confronti della reale. Francesco Orlando diceva: la letteratura è dappertutto, non solo nei testi (la funzione poetica della lingua è nella forma, nel dire qualcosa che si può capire solo perché è detta in quella forma lì). Volponi sceglie quasi sempre come protagonisti i malati mentali (soggetti psicologicamente instabili) poiché la lingua del folle gli permette di deformare il linguaggio in senso espressionistico per cogliere aspetti della realtà nascosti per accentuare la funzione poetica della lingua. Romano Luperini dice, su uno dei primi personaggi di Volponi: Giulia Di Modica 61 l'irrazionale razionalità del sistema della realtà è illuminata della razionale irrazionalità del folle. La lingua del malato dunque è irrazionale e tuttavia contiene una razionalità che riesce a illuminare e a mostrare quella irrazionalità che invece è coperta dalla razionalità del sistema. Il mondo in cui viviamo è solo apparentemente razionale ed è ingiusto, per questo attraverso la lingua dei folli Volponi riesce ad illuminare quell'aspetto della realtà irrazionale e lo fa attraverso una lingua che è razionale, ma che in questo contesto diventa irrazionale. Volponi era un comunista, entrò per due volte al Senato e poi alla Camera e quindi vive il momento della spaccatura del PC nel 1991 (da un lato il partito democratico di oggi e dall'altro il partito comunista). Per lui il comunismo era una forma d'intelligenza e lui è un politico ma anche uno scrittore che è arrabbiato con la realtà e scrive per cambiarla. Per lui la politica infatti serve come pratica politica, non è una forma di intrattenimento bensì deve dare fastidio e disturbare, non piacere. La parola chiave è CONFLITTO poiché tutto quello che scrive deve rompere la realtà falsa per mostrare quella vera. I suoi due maestri sono Pasolini dal punto di vista della scrittura e Adriano Olivetti per la visione del mondo e per Volponi l'industria è sia democratica che progressista. L'ansia apocalittica che prova Volponi nei suoi due romanzi (“Il Pianeta irritabile” e “Corporale”) hanno a che fare con la crisi dell'industria olivettiana. Per lui l'apocalisse è la fine di un mondo, e per capirla meglio si può prendere in considerazione l'idea di apocalisse culturale di Ernesto De Martino: la fine di un modo di pensare e di agire non quindi la fine del mondo in generale. Volponi parla dell'apocalisse per parlare dell'oggi, per svolgere delle riflessioni sul presente e della fine del paradigma industriale come possibilità di miglioramento per tutti e come fine della sofferenza dell'uomo quindi lui tratta un'apocalisse di tipo storico-materialistico. “Il pianeta irritabile” I personaggi sono degli animali che vivevano in un circo, i quali dopo una grande esplosione si liberano (il circo è allegoria di un sistema capitalistico ingiusto che li utilizza come schiavi e distopica perché parla di un "non luogo futuro" poiché il futuro è peggiore del presente). Siamo di fronte al Pianeta Terra che è devastato da guerre e carestia ed è dunque un paesaggio post-nucleare in cui non c'è più l'uomo e in cui compaiono tre animali e un nano: un elefante che si chiama Roboamo (re biblico) molto saggio e infatti sarà la guida ideologica perché sa tutta la Divina Commedia a memoria; un'oca, un nano che si dice abbia una terza gamba e si chiama Mamerte (che in francese significa "la mia merda") e infatti lui è l'addetto a spalare nel circo gli escrementi di tutti gli altri animali; e una scimmia un babbuino che si chiama Epistola. Si parla dunque di un viaggio di questo gruppo alla ricerca di un regno dell'armonia e dell'uguaglianza e nello scontro finale contro il governatore muore la scimmia e non è un caso poiché era un capo e dato che cercavano il regno dell'uguaglianza non ci poteva essere un capo. Il finale è molto aperto, il nano tira fuori una poesia che diventa cibo, la divide in pezzi uguali per gli altri animali, e la mangiano. Con questo atto di comunione si ha la fine del romanzo e si ha un viaggio nel viaggio poiché il primo viaggio è quello spirituale che deve fare il nano per diventare un animale (processo di animalizzazione) e dimenticarsi di essere un uomo perché l'uomo ha prodotto la fine dell'uomo stesso e dell'apocalisse. Il nano ha sia un'attitudine robinsoniana, ossia una tensione umana, perché ha un saccone che Giulia Di Modica 62 riempie di oggetti ma che non gli serviranno a nulla nel regno degli animali, e sia la nostalgia di essere uomo. Il Pianeta Irritabile si può dividere in tre sezioni: nella prima viene descritto uno scenario apocalittico in cui appaiono gli animali che sono nascosti in un grande leccio, e in realtà, si è quasi alla fine del romanzo perché si torna indietro per descrivere il loro viaggio e questa è la seconda sezione narrativa; e poi c'è la terza, ed ultima, che descrive la battaglia finale contro il governatore. Il titolo del libro allude al fatto che nonostante l'uomo abbia provocato l'apocalisse, il pianeta è vivo ed irritato al tal punto da ribellarsi contro il governatore, che invece vuole governarlo, favorendo la vittoria degli animali perché si trasforma e reagisce. Il termine "Apocalisse" non allude soltanto alla fine ma anche alla rivelazione, quindi l'apocalisse del pianeta è di carattere storico-materialistico perché si lega al fatto che la bomba atomica sia esplosa e che quindi le guerre nucleari hanno distrutto il pianeta. La bomba atomica permette all'uomo di autodistruggersi e qui rappresenta un'allegoria perché è esploso qualcos'altro, non la bomba in sé per sé: per Volponi è esplosa la società e con essa anche il paradigma industriale, non la bomba. Per capire l'apocalisse nel Pianeta bisogna parlare dell'altro suo romanzo "CORPORALE" che parla di un intellettuale, Gerolamo Asti, di 35 anni che ad un certo punto entra in crisi, impazzisce e inizia a sognare le radiazioni della bomba atomica. Ad un certo punto del romanzo si traveste da zorro, da messicano e lotta, ruba, spaccia e in fine costruisce un rifugio che chiama "Arcatana" rifacendosi all'arca di Noè e alla tana di un animale, per salvarsi dall'atomica. Corporale si apre con un'epigrafe di Elsa Morante "Pro o contro la bomba atomica" in cui dice che la bomba atomica del '65 è per noi contemporanei come quello che i dialoghi di Platone sono nelle città greche e come il Colosseo nella Roma imperiale etc.. La bomba atomica, per Volponi, è l'espressione naturale della nostra società, cioè è una società che esplode e che riguarda il modo di concepire l'industria, la democrazia e il progresso. Corporale inaugura l'idea che la bomba atomica sia allegoria dell'esplosione della società contemporanea, cioè la possibilità che aveva di essere democratica e industriale è saltata, e quindi questa è l'apocalisse in cui viviamo. -A metà degli anni '60, in pieno boom economico e con la crisi del paradigma industriale olivettiana, Volponi crede che stia avvenendo un'apocalisse culturale, crisi dell'ideologia. Quindi la bomba rappresenta anche la crisi delle ideologie, perché Volponi crede che sia finita la possibilità per l'Italia di essere un paese democratico e che sia in crisi anche l'ideologia comunista. Il personaggio di Corporale cerca di interrarsi per riemergere diverso, animale, in un rifugio antiatomico ma è un Arcatana quindi non è un vero e proprio rifugio, è un posto magico e qui lui tenta di animalizzarsi di diventare un animale (quello che invece riuscirà a fare il nano nel Pianeta). Bisognava rifugiarsi non dall'atomica in sé, ma dalla società per sviluppare un pensiero alternativo. Corporale finisce con il crollo dell'Arcatana e con la scomparsa del personaggio che però sopravvive e lascia un quaderno, un libro che conteneva una verità e si dice che il "Pianeta irritabile" sia proprio quel libro lì, ovvero quel libro che fa quello che Gerolamo Asti aveva pensato di fare per ripararsi dall'esplosione atomica, cioè di animalizzarsi per fuoriuscire dalla società. La resistenza che il personaggio fa nei confronti della bomba è l'uso del corpo come mezzo di resistenza di fronte alla crisi della società (Corporale appunto), l'uso del corpo dunque anticipa l'animalizzazione, e l'animale così come il corpo, sono luoghi di resistenza all' invasione del capitale e della fine della democrazia. Sia in "Corporale" che in "Pianeta" quando si parla di corpo si parla di quelle parti del corpo come il sudore, l'escremento, la bava tutte quelle cose che ci fanno un po' schifo ma che proprio per
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved