Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

APPUNTI DI LINGUISTICA PRAGMATICA E COGNITIVA, Appunti di Linguistica

La linguistica cognitiva vede tutte le capacità cognitive umane come integrate, arrivando a concepire la mente come radicata in una dimensione fisica. Una tale prospettiva ha il suo campo di elezione nello studio del significato. Fornisce un valido strumento per la conoscenza approfondita delle basi e degli sviluppi più recenti della linguistica cognitiva.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 09/09/2018

e.stingi
e.stingi 🇮🇹

5

(1)

1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica APPUNTI DI LINGUISTICA PRAGMATICA E COGNITIVA e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! 3-OTTOBRE La pragmatica rientra in maniera legittima nel vasto campo della linguistica generale, quindi non ci stupiamo quando gli studiosi oggi si occupano dell’analisi pragmatica. Un tempo la realtà non era così. La pragmatica è considerata una disciplina relativamente recente, è recente non tanto perché nasce tardi ma soprattutto perché soltanto negli ultimi decenni è stata rinnovata, tanto nelle sue metodologie quanto nei suoi modelli teorici. Negli ultimi 50 anni, e in maniera esponenziale negli ultimi decenni, l'incremento delle ricerche è dovuto all'interessamento che ha determinato anche un rapido sviluppo dei metodi e delle ricerche. Per molto tempo però la pragmatica ha sofferto di vaghezza tematica e incertezza definitoria, questo alone non soltanto ne ha rallentato gli studi ma per molti anni ha convinto gli studiosi che non si trattasse di una disciplina linguistica. Uno dei punti cruciali è dovuto al fatto che la pragmatica, a differenza di altre sottosezioni della linguistica, ha un ambito poco circoscritto. Se dobbiamo occuparci di sintassi, ad esempio, essa, nella sua pluralità di modelli teorici o di approcci, è riconducibile ad un sistema omogeneo di tematiche e di finalità, si occupa dello studio delle strutture di tutte le regole mediante le quali si costruiscono le unità minime; questo non è quasi possibile applicarlo alla pragmatica. La pragmatica secondo alcuni autori è una sorta di " cestino della carta straccia" in cui ci si può mettere di tutto, secondo alcuni studiosi si occupa di tutto e forse di nulla, ciò attesta un atteggiamento polemico nei confronti di questa scienza. Eppure la pragmatica ha un bacino di osservazione molto ampio così come ampio è l'approccio che gli studiosi Ebbero nei confronti della stessa, da tutto ciò discende un carattere che non è unitario, né omogeneo. Punto centrale per definire la pragmatica è la struttura linguistica: STRUTTURA LINGUISTICA La fenomenologia linguistica, tutto ciò che conosciamo sull'uso e sulle strutture delle lingue, è il punto da cui partire per accostarci all'ambito pragmatico. Non basta però, il linguaggio, limitato alla fenomenologia linguistica, ci ha permesso di comprendere e analizzare le strutture della lingua,le singole unità di riferimento che servono a formare la frase, la quale è l'unità di riferimento massima a cui ha fatto riferimento per molto tempo la linguistica generale. FENOMENOLOGIA LINGUISTICA (livelli di analisi, compresa prosodia) + CONTESTO LINGUISTICO ED EXTRALINGUISTICO = PRAGMATICA Per occuparci di pragmatica la fenomenologia linguistica deve essere ampliata e considerata anche in associazione con un contesto che non è soltanto linguistico ma diventa extralinguistico, che vuol dire al di fuori della lingua. Proprio perché al di fuori della lingua per molto tempo gli studiosi non hanno considerato la pragmatica come ambito di indagine della linguistica. La pragmatica ha avuto una gestazione secolare e soprattutto interdisciplinare. Di cosa si occupa? Quali sono i fenomeni che ricadono all'interno della pragmatica? 29 “Occorre avere qualità imminenti per reggere senza la cortesia”. 30 Grice fu molto criticato, perché fu accusato di ragionare per idealismo (basta pensare alle massime), anche se il suo principio di cooperazione convinse fin da subito gli studiosi. 31 Grice, infatti, scrive il “Modella della LOGICA della conversazione”: siamo logico-deduttivi, e per questo, siamo cognitivamente attivi come destinatari di un messagio verbale. 32 Da non confondere con la (P) el parlant Nella formula queste due (P) indicano variabili differenti (Parlante; Poter ). 33 Anche se Brown e Levinson sono partiti dallo sperimentare queste regole della cortesia a 3 lingue diverse (Inglese, Tze tal, Tamil), c’è qualcosa che non torna. 34 Fa riflettere il fatto che tali critiche siano giunte da studiosi ap artenenti prattutto alle culture asiatiche. 35 Il fatto che tali regole siano state testate su 3 lingue diverse, secondo alcuni studiosi, ne prova l’universalità. 36 Ed è per questo che Chomsky fu criticato. 37 La semantica per Chomsky è un componente interpretativo secondario. 38 Cartesio avrebbe voluto scriv re un v lume su questo principio creativo del linguaggio, ma, dopo aver visto le sorti di Galileo in Italia, non lo scriverà più. Si limiterà solo a postularlo. • Dagli anni ’80 > nuovi orientamenti e prospettive di studio (teoriche, descrittive, metodologiche) • Difficoltà int rpretative > privilegio di alcune categorie linguistiche. • Asimm trie concettuali > di otomie sbilanciate. FENOMENI PRAGMATICI - DEISSI; - CONTESTO; - ATTI LINGUISTICI; - JOHN AUSTIN (locuzione, illocuzione, perlocuzione); - JOHN SEARLE (gli atti indiretti); - PAUL GRICE (principio di cooperazione, massime, implica ture, presupposizioni); - Teoria della cortesia; - Teoria della pertinenza; - Analisi del discorso (detta Analisi conversazionale) Come possiamo vedere si giunge molto più avanti della nozione di frase, arriviamo al discorso. Austin, Searle e Grice non sono dei linguisti e questo ci coadiuva, poiché la pragmatica non nasce in ambito linguistico inizialmente. Questi studiosi sono dei filosofi del linguaggio ordinario. Per questi motivi la pragmatica nasce nell'ambito della filosofia del linguaggio, questo è un altro elemento che rafforza il carattere interdisciplinare di questo settore di studi, c'è un dialogo a più voci al quale per molto tempo non hanno partecipato i linguisti. COME DEFINIAMO LA PRAGMATICA? -RISORSA PREVALENTEMENTE ORALE DELLA LINGUA: le componenti pragmatiche hanno origine negli scambi dialogici della lingua; -LA LINGUA: considerata uno strumento di comunicazione; N.B. la linguistica tradizionale si è sempre occupata delle sue strutture mentre per la pragmatica questo riferimento alla lingua è nettamente più forte. -RUOLO E IMPORTANZA DEL CONTESTO: La pragmatica non esiste senza riferimento contestuale. Lingua e contesto sono da considerarsi come un tutt'uno. -COMPETENZA COMUNICATIVA (lingua moderna), ciò che ogni parlante sa della propria lingua paterna è la base su cui ognuno di noi costruisce degli scambi comunicativi, questa competenza comunicativa la definiamo "langue", una competenza a cui attingiamo per formare "atti di parole": da un lato la competenza, dall’altro l’esecuzione. La LINGUA come STRUMENTO DI COMUNICAZIONE ADATTO A QUALSIASI TIPO DI IMPIEGO/FINALITÀ (dobbiamo ricordare che la lingua è dotata della proprietà dell’ONNIPOTENZA SEMANTICA: con la lingua si può parlare di qualsiasi cosa, anche della lingua stessa) GLI ATTI DI PAROLA COME TIPO DI AZIONE UMANA POSSIEDONO SCOPI E CONSEGUENZE Ogni azione ha una finalità, qual è la finalità del parlare? Con la lingua non soltanto possiamo descrivere la realtà circostante ma abbiamo una finalità molto più potente: quella di riuscire a cambiare il mondo, questa è una possibilità fortissima. Mentre parliamo compiamo Lo STRUTTURALISMO XX sec. Europa (Scuola di Praga, Glossematica di Hjemslev, scuola americana di Bloomfield). Aspetti: lingua come sistema strutturato in unità, regole e azioni, rete di relazioni, forma/sostanza; langue/parole. Lo strutturalismo basa il suo studio sulla langue, che era il riferimento primo del linguaggio, in questo movimento poteva esserci lo spazio per considerare gli usi della lingua, atti di parole? Assolutamente no! Ciò spiega perché la pragmatica nasce in ambito filosofico, perché negli stessi anni la linguistica era indirizzata verso altre direzioni, quali le strutture linguistiche e non sugli usi e le funzioni. Si occupava della forma e non della sostanza, della competenza e non dell’uso. Limiti: concezione monolitica del linguaggio. Assenza di dimensione sociolinguistica. Il FUNZIONALISMO metà XX sec.: linguaggio come strumento di interazione sociale (cfr. Halliday, Martinet, Givon). Mettono in evidenza la dimensione funzionale del linguaggio. Il GENERATIVISMO (Noam Chomsky, U.S.A. 1957), lingua come sistema cognitivo di regole. Competenza/ esecuzione. Innatismo linguistico. Universalismo. È ancora più rigido dello strutturalismo, l’asse centrale del modello di Chomsky è la sintassi, il livello delle regole per la composizione delle frasi. La sintassi con la morfologia sono le componenti più strutturali della lingua. Ha imperato fino al 2000. Grandi ricadute internazionali su teorie moderne: semantica generativa, modelli acquisizionali, psicologia. LO SFONDO STORICO: LA FILOSOFIA • Pragmatismo americano (Peirce, teoria logica del significato). Se strutturalismo e generativismo si concentravano sul significante, il pragmatismo vede il significato avente un ruolo importante. • Empirismo logico (Vienna, inizio 1900), sosteneva la costruzione di una lingua scientifica, poi il movimento si sciolse per motivi politici. • Filosofia del linguaggio ordinario (Inghilterra 1930/50) Austin, Wittgenstein (lingua quotidiana come strumento per risolvere problemi filosofici). Era convinzione che molti problemi filosofici riguardavano in realtà l’uso della lingua: angolazione filosofica ma alcuni fenomeni danno luogo alla pragmatica. Ciò non deve sorprenderci soprattutto pensando al fatto che la filosofia, a partire da Platone e Aristotele ha sempre riflettuto sulle strutture della lingua. • Semantica logica e formale: mirava ad appurare le condizioni di verità dell’enunciato. SFONDO STORICO: LA PSICOLOGIA • Psicologia sovietica di Vigotski • Scuola di Palo Alto (California), assunto fondamentale: “non si può comunicare” • Sfondo sociologico • Sociolinguistica (varietà dell’uso, Labov, Hymes) • Antropologia (Boas): studi etnografici della comunicazione e tra culture. Tutto ciò ha nutrito il contesto culturale e scientifico in quegli anni, quindi lo sviluppo della pragmatica nel quale tutti questi influssi confluiscono: la pragmatica si sviluppa negli anni ’70 negli stati uniti in opposizione al modello di Chomsky. Per l’Europa la pragmatica si afferma come contrapposizione allo studio del linguaggio allo strutturalismo. UN CONFRONTO Confronto tra le differenze e lo spostamento negli anni al passaggio da un’impostazione tradizionale ad una pragmatica DOMANDA DI BASE PARADIGMA FORMALE PARADIGMA FUNZIONALE Definizione di Lingua Insieme di frasi Analizzando un testo di Chomsky notiamo che tutti gli esempi di sintassi che propone sono analizzati in termini di frasi e queste frasi spesso costruite ad hoc. In pragmatica non si parlerà mai di frase ma di enunciato, cioè la frase nel suo contesto d’uso. Strumento interazione sociale Funzione della lingua Espressione di pensiero Comunicazione Correlato psicologico Competenza grammaticale Cioè la langue Competenza comunicativa Rapporto sintassi semantica pragmatica Autonomia sintassi Semantica subordinata alla pragmatica. Sintassi subordinata alla semantica. Cfr.Nelrich, Clark (1996) ASPETTI CRUCIALI • È una disciplina giovane, la cui nascita avviene in ambito filosofico e non linguistico; • Natura interdisciplinare; • Ricerca specificità; • Raccordo con le teorie linguistiche classiche; • Problemi di delimitazione rispetto a: linguistica (semantica, linguistica testuale), sociolinguistica, psicologia. 4 OTTOBRE Vi sono degli aspetti che sono risultati più problematici che hanno riguardato l’evoluzione della pragmatica, uno fra questi riguarda i rapporti che si sono instaurati con coloro che si occupavano di semantica. Ma perché con i semanticisti? Perché la semantica si occupa di significato, e anche la pragmatica si occupa il significato: hanno come focus il significato, ma il significato a cui fanno riferimento, la semantica da un lato e la pragmatica dall’altro, è diverso. Il circoscrivere l’ ambito della semantica e l’ambito della pragmatica è molto complesso, forse non perseguibile fino in fondo perché i confini tra le discipline sono posti per comodità di studio ma vi sono dipendenze e sovrapposizioni interdisciplinari che rendono le discipline inscindibili. Nel corso degli anni questa controversia ha alimentato più filoni di pensiero, più posizioni. POSIZIONE SEMANTICISTA: la pragmatica andrebbe ricondotta alla semantica (Leech 1983). Quindi la pragmatica è una parte integrativa che dovrebbe rientrare sotto il cappello tematico della semantica. Tale posizione convince fino ad un certo punto, questa è una delle posizioni più recenti. POSIZIONE COMPLEMENTARISTA: nella competenza dei parlanti esiste e deve essere postulato anche un livello pragmatico preposto al controllo delle relazioni fra codice linguistico e intenti (cfr. Morris, 1938). POSIZIONE PRAGMATICISTA: non vi è un livello pragmatico, ma una competenza d’uso che pervade tutti i livelli (Wittgenstein, 1953). Questa posizione mette a livello centrale proprio la pragmatica, al contrario di ciò che sostiene Morris, non deve essere postulato un sistema autonomo che si occupa di pragmatica da aggiungere al novero delle componenti linguistiche che già si conoscono, come fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, semantica e pragmatica, perché il livello pragmatico è una competenza pervasiva, apprezzabile su tutti i livelli di analisi. Non è indipendente, sebbene sappiamo che tra un livello e l’altro sono possibili delle interfacce, sono posizioni diverse ma la contraddizione nasce dal fatto che entrambe le discipline si occupano di significato. Il significato a cui fa riferimento la semantica è quello strutturale, cioè è il significato delle strutture della lingua, cioè il significato della parola, quindi lessemi, il significato delle frasi. Il significato a cui fa riferimento la pragmatica è molto più ampio perché è dato dalla somma dei significati strutturali e dei significati che derivano da tutte le componenti extralinguistiche e situazionali. La semantica si pone come quesito di fondo “che cosa significa X?”. Mentre la pragmatica si pone come quesito di fondo sempre il significato, ma si chiede: “cosa avrà voluto intendere con X?”, che è una cosa ben diversa, tanto che troveremo una distinzione effettuata da Grais tra il significato del parlante e il significato dell’enunciato, che non sono sempre coincidenti. Possiamo ampliare questa portata tra il significato letterale, ciò che vogliono dire le parole e il significato che noi intendiamo dare a quelle determinate parole. elabora il ben noto schema sugli elementi della comunicazione nel quale ci sono tutti gli ingredienti della comunicazione. Jakobson non è un’eccezione, lo strutturalismo non si è occupato degli usi, eppure, anche all’interno dello strutturalismo, sia Jakobson e in parte Saussure avevano identificato una serie di funzioni e di usi che non erano prettamente strutturali, andavano già oltre ponendo i germogli del funzionalismo e dell’analisi pragmatica. CONCETTI PRELIMINARI Alcuni concetti preliminari (1) Gli elementi della comunicazione(R. Jakobson) EMITTENTE (chi parla, è sempre uno) e RICEVENTE (chi ascolta, anche più di uno) sono i partecipanti alla scena comunicativa. Dall’emittente parte un messaggio rivolto ad un ricevente ed è direzionale. L’emittente può produrre un messaggio che il ricevente può decodificare se condividono lo stesso codice, il codice è la lingua, l’insieme di segni linguistici dal punto di vista semantico. Se il codice è diverso non ci sarà reciproca comprensione. Il messaggio viaggia attraverso un canale, il canale è il mezzo che supporta la comunicazione, scritto, orale ecc. tutto ciò avviene in un contesto. In riferimento al contesto tutto ciò era stato non era precedentemente tutto stato spiegato ma c’era bisogno che i partecipanti non fossero in una situazione storica avulsa, priva di riferimenti esterni, in compenso è una concezione che è oltre la lingua, che sta al di fuori. In CONTESTO EMITTENTERICEVENTECODICODICECANAL MESSAGGIO una condizione prototipica emittente e ricevente sono sulla stessa scena contestuale, però pensiamo ad un messaggio scritto: l’emittente produce un messaggio attraverso un canale grafico che può essere decodificato in maniera asincrona in un tempo x se il ricevente sta in un altro posto. Ogni volta che cambia il contesto cambiano anche le caratteristiche del messaggio. ALCUNI CONCETTI PRELIMINARI(2) Il segno linguistico (F. Saussure) e il referente Saussure aveva fatto riferimento alla realtà esterna, la cosiddetta realtà denotata, a cui faceva riferimento il segno linguistico costituito da significante e significato. In questo caso mancano i dovuti riferimenti perché ci si limita a identificare un oggetto concreto che era il referente di un concetto mentale cui invia un significante. JAKOBSON Torniamo in un ambito Strutturalista identifica 6 funzioni linguistiche ognuna delle quali è associata ad un elemento comunicativo • Mittente associato alla funzione espressiva • Destinatario associato alla funzione conativa(&) • Messaggio funzione poetica • Contesto funzione referenziale (§) • Canale funzione fatica(%) • Codice funzione metalinguistica(£) (&) conativa perché è rivolta al destinatario, influenza il destinatario. Quali sono gli atti linguistici che hanno la funzione conativa? Tutti gli atti iussivi, gli imperativi, gli ordini, i vocativi, quando chiamiamo qualcuno è perché abbiamo finalità convincente verso il destinatario, i SIGNIFICA TO I IFICAN TE REFERENTE (oggetto concreto ) messaggi pubblicitari, altamente persuasivi che spesso non sono diretti, il messaggio è traslato con altri effetti, il linguaggio politico è basato sulla funzione conativa. (§)il messaggio esplica una funzione poetica, il contesto è referenziale, perché orientato a descrivere eventi del mondo reale, quindi sono referenziali tutti i testi descrittivi, le cronache, i diari, la prosa giornalistica, hanno dei referenti nella realtà. (%)il canale ha una funzione di feedback, è una funzione di controllo, che deve risincronizzare il dialogo,riallinearlo tra emittente e ricevente “hai capito?”/ “mi stai ascoltando?” espressioni che servono ai nostri interlocutori a far capire che noi stiamo seguendo, si chiamano SEGNALI BACK CHANNELS. (£)la funzione metalinguistica è quella associata al codice. Jakobson era consapevole che nessun messaggio esplica contemporaneamente tutte le funzioni, in ogni messaggio ce ne possono essere più di una ma era consapevole che una era prevalente sulle altre. C’è una funzione predominante, le altre sono subordinate o addirittura si disattivano. Questo è un quadro oggi non più attuale nonostante Jakobson fosse un precursore. Oggi c’è una visione più ampia dell’evento comunicativo LA PROSPETTIVA PRAGMATICA In questa prospettiva i partecipanti sono emittente e ricevente che comunicano nella loro lingua materna. La comunicazione deve essere intesa in un’ottica pragmatica e integrata in cui partecipano aspetti di varia natura (sociali, linguistici psicologici). L’atto linguistico è un enunciato considerato nella sua veste pragmatica che coincide con l’unità minima della pragmatica. In questa dimensione pragmatica ha un ruolo fondamentale il contesto. I parlanti (competenza metapragmatica) Identità plurima Visone integrata (fattori sociali, linguistici, cognitivi, emotivi, psicologici) ATTO LINGUISTICO Il contesto L’ATTO LINGUISTICO • Prospettiva dinamica, multidimensionale Rete di relazioni > legame tra variabili di vario tipo • Competenza comunicativa: capacità dei parlanti di usare il linguaggio in modo appropriato alla situazione comunicativa. La competenza cui fa riferimento Chomsky, che è coincidente con il concetto di parole di Saussure, si fa riferimento a competenze di natura fonologica, morfologica e non all’accettabilità morfologica di composizione, non alla competenza comunicativa, possiamo dire Norme interazione Tipi Espressione Punto cruciale è se il contesto è definito a priori e se ha lo scambio verbale, oppure, data la base esistente, si modifica durante la comunicazione, quest’ultima opzione è quella maggiormente condivisa oggi. Il contesto può cambiare, se parliamo in due di uno stesso argomento, nello stesso contesto, nello stesso setting, arrivano due persone che si uniscono alla conversazione, il setting è già cambiato perché i partecipanti sono cambiati, cambiano i ruoli, le conoscenze condivise, spesso si cambia argomento ecc. quindi c’è un dinamismo incessante che ridefinisce di volta in volta il contesto. DINAMICHE • CONTESTO Predefinito a priori Attivabile durante l’interazione • DIFFERENZA & CONTESTO CONTESTO GLOBALE LOCALE (componente (componenti cognitive, sociolinguistica, persone) interferenziali) 10 OTTOBRE La deissi è un fenomeno che rientra a pieno nell’ambito pragmatico, alcuni di questi elementi li conosciamo, però l’analisi linguistica analizza le strutture e i sensi in una prospettiva diversa. LA DEISSI Per cominciare • Oggi sono stata da lei, ma i suoi non c’erano. • Lavoro di fronte la vostra scuola. • Sono le nove. Non riusciremo ad arrivare lì in orario. • Per arrivare qui in tempo, sono partita due giorni fa. • Oggi io mangio qui con te. Non ti lascio da sola con lui. Sono enunciati semplici che non hanno nessuna marcatezza strutturale. Questi enunciati non hanno una struttura sintattica marcata, nel senso che non presentano fenomeni di dislocazione, topicalizzazione, non ci sono frasi scisse, non ci sono tematizzazioni importanti: hanno strutture lineari, semplici. Essi hanno in comune il fatto che indicano il luogo, coordinate spazio temporali. Da questi enunciati emerge in tutta la sua rilevanza il fenomeno della deissi. Si tratta di enunciati ricchi di elementi deittici. La deissi è stata più volte definita un asse portante dell’analisi pragmatica. Deissi: “La deissi rappresenta il modo più evidente in cui la relazione tra lingua e contesto è riflessa nella struttura della lingua” (cfr. Levinson 1983: 67) Questa è la prima evidenza che l’analisi pragmatica non può essere scissa dal suo riferimento contestuale. Con un approccio diversoma integrativo Simone afferma che: “Ogni lingua ha un repertorio di parole che cambia referenza secondo il contesto in cui sono proferite” (Simone 1995: 295) Queste definizioni ci danno un quadro abbastanza ampio, il primo in modo generico, (relazione fra lingua e contesto, presente, riflessa nella struttura linguistica), la seconda definizione invece è più specifica e mette in evidenza il fatto che ogni lingua ha un gruppo di parole che cambia referenza. Che cosa vuol dire? Sappiamo che ogni segno linguistico ha un referente. Definizione: deissi è un termine che deriva dall’etimo greco> indicare, mostrare, cioè presentare tramite l’indicare. Un tipico gesto deittico è quello dell’indicare qualcosa ed è uno dei primi gesti deittici appreso da un bambino in una delle sue prime fasi di acquisizione linguistica. Però il gesto deittico è anche alla base dell’origine del linguaggio nella tappa evolutiva della specie umana. La deissi fa riferimento a dei segnali di orientamento> espressioni indicali di vario tipo: referenziali, spaziali, temporali. Queste marche di orientamento legano in maniera stretta lingua e contesto. (C. Fillmore 1981) Possiamo dire che la deissi codifica una serie di relazioni extralinguistiche: chi parla, chi ascolta, dove, quando, con chi, di cosa. Tramite la deissi queste relazioni sono portate all’interno della struttura linguistica, ed è un fenomeno importante perché senza queste marche deittiche, l’interpretazione di molti dei nostri enunciati non potrebbe essere decodificata in modo chiaro. Almeno il 90% degli enunciati che noi pronunciamo quotidianamente è deittico. Il primo a parlare di ancoraggio fra lingua e contesto è Fillmore. Gli elementi deittici sono decodificabili solo a partire dal contesto, chiaramente il riferimento al contesto rinvia necessariamente agli usi della lingua contestuale, quindi alla pragmatica. CAMPO INDICALE I termini deittici non qualificano né caratterizzano il loro oggetto, ma lo indicano, ovvero indicano un referente all’interno di un campo indicale (Büler 1934) Campo indicale: sistema di coordinate spaziali, temporali, personali il cui centro è rappresentato dal momento e dalle circostanze dell’enunciazione. Ogni parlante, nel compimento di un atto di enunciazione, diviene il centro (l’origo) di un campo indicale. Il primo a parlare di campo indicale è stato Büler. Secondo Büler, filosofo e sociologo tedesco, gli elementi deittici non qualificano l’oggetto in sé ma lo indicano all’interno di un contesto, che nello specifico Büler definisce come campo indicale, il campo dell’indicazione. Il campo indicale non è altro che una rete di coordinate di vario tipo, in questo campo indicale c’è un centro, e il centro coincide con il momento dell’enunciazione. La nozione di campo indicale è strettamente correlata anche alla cosiddetta origine del campo indicale, vale a dire: ognuno di noi mentre parla si pone al centro di questo campo indicale e ne riviene l’origine. a. “Questa città è magnifica” Riusciamo da questa frase ad interpretare a quale città si riferisca? No. b. “Sei tu quello che voleva andarsene da questa città?” Riusciamo ad interpretare questi elementi deittici posti in corsivo? No. Poiché manca un riferimento contestuale. Gli elementi deittici sono quelle marche referenziali che non possono essere interpretate senza il riferimento ad un contesto situazionale/ enunciativo specifico, e che sono comunque molto frequenti nel parlato, perché il 90% degli enunciati contiene almeno un elemento deittico. Ritornando alla definizione di Simone: “in ogni lingua c’è un gruppo di parole che cambia referente, a seconda del contesto e dell’intenzione”, gli elementi deittici si comportano proprio in questo modo, a differenza degli elementi semantici: penna, aula, porta, luce, che hanno un referente fisso, o comunque non ambiguo, gli elementi deittici non hanno un significato stabile perché il loro referente cambia di continuo a seconda del contesto, per cui non c’è un significato fisso che noi posiamo assegnare alla parola “oggi” o “questo”. Naturalmente hanno una referenza grammatical specifica, hanno ovviamente un significato semantico a larghe maglie ma non pragmatico, perché “questa città è magnifica” la città in questione potrebbe essere qualunque città. Quindi la referenza cambia in base al contesto situazionale. Se pronuncio una frase del tipo “è stato lui”, chi è questo “lui”? Questo lui è un pronome personale, ne ricaviamo soltanto delle informazioni grammaticali: genere maschile, numero singolare, di più non possiamo dire. Gli elementi deittici sono delle marche che rientrano in varie classi grammaticali, in varie classi del discorso, finora le abbiamo sempre inquadrate in un’ottica squisitamente grammaticale, o morfologica o sintattica. Infatti non c’è la classe degli elementi deittici, questa classe esiste solo se questa tematica è affrontata in pragmatica, non in grammatica. Tra gli elementi deittici compaiono: ELEMENTI DEITTICI • Aggettivi e pronomi dimostrativi, possessivi Questi elementi non possono essere cancellati, se non in alcune specifiche situazioni contestuali. Quando uno di questi tre elementi viene volutamente cancellato? Possiamo cancellare l’ego, il riferimento all’io? In realtà sì, con i verbi impersonali, quando parliamo in terza persona, non siamo impersonali ma prendiamo le distanze dall’io, gli scritti scientifici non hanno persona perché devono garantire massima veridicità. Possiamo però avere anche la cancellazione voluta di spazio e tempo, nei generi letterari quando la dimensione temporale o spaziale è volutamente annullata: “c’era una volta/ in un posto lontano lontano”. Nei generi letterari i connotati spazio temporali possono essere manipolati o volutamente sovvertiti. Gli elementi del centro deittico, io-qui-adesso, costituiscono la triade deittica. Il fatto che ognuno di noi, mentre parla, si pone al centro del proprio campo indicale, ha convinto molti studiosi del fatto che la deissi abbia una natura egocentrica: il parlante si pone nel ruolo di ego e collega ogni cosa al suo punto di vista. Non tutti sono d’accordo: secondo altri studiosi, siccome la lingua è un patto sociale, la deissi non può essere esclusivamente egocentrica, sarà sociocentrica, perché collegata agli altri. Abbiamo detto che il parlante si pone nel proprio ruolo di ego ma i ruoli dialogici sono reversibili, quindi ognuno di noi è un ego, è un hic, è un nunc. Secondo Benveniste il centro deittico coincide con il punto zero dell’istanza comunicativa: il parlante è il punto zero delle coordinate deittiche che sono annullate. Il centro deittico non è fisso: nella dinamica conversazionale questi tre elementi della triade si spostano di continuo e questo spostamento degli elementi della triade va sotto il nome di traslazione del centro. Gli elementi della triade non possono essere soppressi ma è possibile uno spostamento ogni volta che l’ego cambia. Il centro deittico è rispettato in una comunicazione proto tipica che è la conversazione spontanea, dialogica, faccia a faccia. In tutte le altre situazioni, connotate su un versante diamesico, il centro deittico subisce uno spostamento:non possiamo sempre parlare di qui, non possiamo sempre parlare di ora: pensiamo a tutto ciò che è espresso al passato • Campo indicale/origo deittica • Punto zero (istanza comunicativa cfr Benveniste) • Egocentrismo della comunicazione (ma reversibilità del ruolo) • Nella comunicazione prototipica > coincidenza con centro deittico Deissi personale La deissi personale è espresso attraverso una classe grammaticale specifica: i pronomi personali soggetto e complemento. La deissi personale àncora la persona al contesto, cioè grammaticalizza i partecipanti. Il ruolo dei partecipanti non è sempre lo stesso, per cui la 1° e la 2° persona rimandano al contesto situazionale, chi parla e chi ascolta, mentre una terza persona che può essere deittica non partecipa direttamente allo scambio conversazionale, i partecipanti possono essere attivi o rimanere sullo sfondo e non esserlo. Le marche di genere e numero sono espresse nell’elemento, così come sono rese evidenti le marche personali anche attraverso la flessione verbale, almeno nelle lingue in cui la desinenza reca una marca di persona: non così avviene per l’inglese, perché esplicita grammaticalmente soltanto la marca della terza persona singolare, mentre neutralizza tutte le altre; così anche il francese in cui le desinenze di persona sono esplicitate a livello scritto ma non più nella pronuncia orale. Parliamo di lingue non pro-drop in cui il pronome personale deve essere obbligatoriamente espresso. • Grammaticalizza i partecipanti all’enunciazione • Ruolo partecipanti • 1°, 2° persona (3° persona non partecipa all’evento) • Genere e numero • Flessione verbale I partecipanti • I persona singolare (inclusione parlante)-(ego) • II persona singolare (inclusione interlocutore) • III persona singolare (esclusione parlante e interlocutore) che può essere attivo o non attivo. C’è però una persona che si comporta in modo specifico in più lingue: il noi. NOI • NOI > non è plurale di io, sarebbe riduttivo pensare questo. • NOI = io + te, io + lui, io + te + loro ??? • NOI inclusivo, (comprende l’interlocutore) • NOI esclusivo, (esclude interlocutore, io + altri) La differenza tra il noi inclusivo ed il noi esclusivo è rilevante a livello pragmatico. • Molte lingue non grammaticalizzano tale differenza, in italiano ad esempio con un unico pronome si rende sia l’uso inclusivo che l’uso esclusivo. Stasera andiamo fuori. Non fare tardi (inclusivo, io + tu) Stasera andiamo fuori. Mi dispiace che tu non possa venire (esclusivo, io + altri) Esempi NOI INCLUSIVO, è una classe inclusiva specifica di persone: Siamo tutti figli di Dio NOI ESCLUSIVO: Noi italiani siamo abituati a mangiare bene In altre lingue si distinguono i due usi di noi, es. cinese, lingue bantu, indonesiano. Nel samoano > due pronomi personali di 1° persona plurale= noi inclusivo e noi esclusivo. Vietnamita: chùgta (inclusivo), chùng tôi (esclusivo). A seconda del significato referenziale samoani e viatnamiti cambiano l’uso del pronome. Uso particolare di NOI (esclude il locutore), in questo caso è un noi senza l’io: • “Allora la smettiamo?” • “Facciamo i capricci oggi?” Allora perché si usa la prima persona plurale? Trasmette vicinanza, è un modo cortese per far sì che questo enunciato non venga proferito né avvertito come un ordine. In alcune lingue abbiamo un genere neutro, presente in latino, non più in italiano, se non in modo residuale nella classe dei pronomi: “esso”, ormai non più usato nel parlato. Genere: italiano (maschile e femminile) Molte lingue: neutro Lingue bantu: 12 diversi generi grammaticali Inglese: assenza di genere (residuo he/she/it; his/her) ESEMPI • È stato lui? • Vieni anche tu? • Ci vediamo domani allora • Hai visto Maria? Dobbiamo parlarle • Noi quarantenni abbiamo un altro modo di intendere il lavoro. Il noi si presta anche ad altre due codifiche: • Pluralis maiestatis: è quello che conferisce un significato di autorevolezza. Il referente è unico ma il pronome usato è al plurale: “vostra signoria”; • Pluralis modestiae: è quello usato nei testi scientifici che devono garantire massima oggettività. DEISSI SPAZIALE Le coordinate sono quelle dello spazio, quindi tutto ciò che contribuisce alla grammaticalizzazione diatopica dell’evento comunicativo. Il parlante, ma anche il contesto, è grammaticalizzato attraverso deissi spaziale. Dal punto di vista del parlante-ascoltatore si fa riferimento alla posizione in cui si trova l’emittente all’interno del proprio campo indicale, in realtà ciò non è sufficiente, perché dobbiamo distinguere almeno un uso prossimale (quello un po’ più vicino all’emittente) dal punto di vista distale (ciò che è distante): questo prova anche come l’ego correla l’enunciazione alla sua posizione. Prossimale e distale rispetto all’ego, all’emittente in questo caso. Dobbiamo inoltre distinguere due sottostrutture deittiche spaziali: posizione assoluta e posizione relativa. La posizione assoluta fa riferimento a due punti fissi Es: “La facoltà è a 300 m dalla stazione dei treni”, sia la facoltà che la stazione dei treni sono punti inamovibili, quindi questa distanza è assoluta, non può cambiare. La al contrario lontananza psicologica emotiva. Il parlante, dunque, sfrutta i concetti di prossimale e distale in senso psicologico. Gli elementi deittici più utilizzati in questo senso sono questo (vicinanza)e quello(distanza); es: Quello là non lo sopporto/Questa cara persona. Notiamo il riferimento antropomorfo di tali deittici: • Superiore (significato positivo[+]) / Inferiore(significato negativo[- ])Questo perché in alto l’uomo possiede gli organi di senso, in basso gli arti inferiori (Es: fare qualcosa con i piedi); • Avanti[+]/Dietro[-]Nel davanti della figura umana, ci sono gli organi della percezione, dietro, invece, indica l’oscuro); • Destro[+]/Sinistro[-]Asse destro è superiore, perché collegato all’emisfero sinistro del cervello (razionalità); l’asse sinistro, essendo collegato all’emisfero destro(emotività), è considerato inferiore, sinistro, appunto. DEISSI EMPATICA • Sfruttamento in senso metaforico per segnalare atteggiamento emotivo • Questo/ quello Es. “Quello non lo sopporto” “Ha comprato quelle brutte scarpe rosse” “Se è quello che vuoi non ci vedremo mai più” “Questa cara persona” “Ha comprato queste belle scarpe rosse” “Ma come si chiama questa bella bambina?” “Che diavolo ha codesto frate con mio nipote” (Manzoni, I promessi sposi, cap. XVIII) 11ottobre Deissi temporale: grammaticalizza la relazione tempo-situazione comunicativa/punto zero Sono codifiche che grammaticalizzano i parlanti rispetto al tempo della situazione enunciativa, il cosiddetto nunc, che viene considerato il punto zero dell’evento temporale. Nella comunicazione prototipica c’è una perfetta coincidenza tra tempo di enunciazione e il tempo di ricezione, ciò vuol dire che nel momento in cui codifichiamo qualcosa, il momento è esattamente uguale a quello della sua stessa ricezione, ciò avviene nel parlato orale, continuo dialogico: nel momento in cui si parla simultaneamente si decodifica ciò che il parlante dice in una perfetta sincronia, i due momenti sono perfettamente sincroni. Questo però non è sempre possibile, tanto che occorre distinguere tra il tempo dell’evento (point of event) dal tempo dell’enunciazione (point of speech). Questi due ancoraggi temporali possono, in molte situazioni enunciative, essere realizzati in modo asincrono. Quando avviene questo? Pensiamo ad esempio alla scrittura, quando c’è un tempo di codifica e un tempo ricezione che può avvenire anche dopo molti anni, gli utenti, destinatari per quello scritto, possono essere potenzialmente dislocati in più periodi temporali. C’è un ventaglio anche per la deissi temporale di categorie che si adoperano a fare in modo che questa grammaticalizzazione possa avvenire in modo adeguato. Facendo riferimento ai comportamenti di un gruppo numeroso di lingue possiamo annoverare, tra queste categorie quelle tra il tempo verbale, tutti gli avverbi e le locuzioni temporali e anche una serie di unità di misura temporale, sono i cosiddetti marcatori di cronodeissi, ad esempio unità calendariali: oggi, domani, una data ben specifica, un anno. Tra gli avverbi di tempo abbiamo oggi domani, allora, l’avverbio fa, adesso, questi elementi collocano e grammaticalizzano l’evento sia rispetto al tempo presente, sia rispetto ad un momento passato o rispetto anche a qualcosa che dovrà ancora avvenire quindi un tempo futuro. Naturalmente tanto per il passato quanto per il futuro si immaginano delle situazioni di mancata sincronia tra i due tempi. Ci sono delle situazioni atemporali, come ad esempio: l’uso del presente storico che viene utilizzato in molte lingue per annullare e neutralizzare in parte l’asse della variazione temporale. L’uso del presente storico: si tratta dell’uso di un tempo verbale presente che viene però utilizzato per indicare situazioni che sono avvenute nel passato, questo si fa quando ciò che è avvenuto ha una situazione di verità anche nel presente e quindi una condizione che può essere perpetrata nel tempo, in questo caso si ha un palese azzeramento della dimensione temporale: diventando presente si azzera l’asse temporale dell’anteriorità. Vi è un famoso Paradosso di Calvè che riguarda la prosa giornalistica in cui il momento della scrittura, quindi della codifica, non corrisponde mai con la decodifica, per cui questa divergenza deve essere chiarita anche in fase di scrittura. Spesso nella prosa giornalistica si leggono dei chiarimenti proprio sull’asse temporale delle situazioni che avvengono e che devono essere chiarite, ad esempio “Ieri (oggi per chi legge) è stata svolta la riunione parlamentare …” il caso della prosa giornalistica è emblematico in questa direzione. Quando si parla di deissi temporale si distingue il tempo fisico (TIME)dal tempo linguistico(TENSE). Si tratta di due concezioni temporali diverse: il tempo fisico è quello che ha uno sviluppo unidirezionale e che può essere rappresentato su un’asse lineare ed è dato da una successione di un tempo passato> presente> e futuro. Il tempo Presente indica la contemporaneità dell’evento, il tempo passato indica l’anteriorità dell’evento e il tempo futuro ciò che deve ancora avvenire, la posteriorità dell’evento. Il tempo fisico non è necessariamente coincidente con il tempo linguistico, la lingua inglese distingue anche le due terminologie riservando il termine “time” per tempo fisico, ma “tense” per tempo linguistico. In italiano, così come in altre lingue, i due momenti temporali sono indicati e referenziati da uno stesso termine. Sono due componenti temporali differenti perché il momento dell’enunciazione può essere anche molto diverso dal tempo fisico. Se il tempo fisico ha uno sviluppo unidirezionale e lineare, incontrovertibile, non si torna mai indietro, né si possono fare dei balzi in avanti, il tempo linguistico, proprio perché la lingua è un sistema creativo, che ha la proprietà dell’onnipotenza semantica, è arbitraria e iconica, può usufruire di una gamma molto più vasta di tempi linguistici, ad esempio si può raccontare qualcosa ora al passato, o anche ora al futuro, e usare tempi futuri passati anche quando la situazione enunciativa è di contemporaneità. L’uso dei deittici richiede non solo una competenza linguistica e quindi delle strutture grammaticali presenti in quella determinata lingua, che consentono di grammaticalizzare il tempo, così come lo spazio e la persona, ma richiede anche una conoscenza enciclopedica, anche perché le lingue si organizzano con riferimento al tempo in maniera molto diversa. Divergenze: avanti ieri < ieri < oggi > domani > dopodomani (A seconda delle varie realtà geografiche abbiamo ieri l’altro o l’altro ieri) forward yesterday < yesterday < today > tomorrow > the day after tomorrow ayer hacia adelante < ayer < hoy > mañana > pasado mañana È una successione temporale apparentemente banale, sembrerebbe essere una successione apparentemente universale ma non lo è. Le lingue si comportano diversamente: ricolleghiamo questi termini dal punto di vista del time: l’oggi è il presente, ieri è il passato e domani è il futuro, con questa serie avverbiale riusciamo a rendere conto di tre passaggi temporali fondamentali: ciò che avviene prima di oggi e ciò che avviene dopo oggi. Naturalmente ieri e domani indicano non in senso generico il passato e futuro ma un passato immediatamente vicino all’oggi e un futuro immediatamente adiacente all’oggi, domani non è tra dieci anni. La stessa situazione si trova anche per l’inglese e lo spagnolo. Tutto sembra essere molto omogeneo ma in realtà stiamo guardando delle lingue occidentali aventi un’organizzazione simile tra loro. In altre lingue la situazione è diversa ad esempio: • nella lingua hindi uno stesso termine indica sia l’oggi che il domani, • in giapponese si indica con tre termini diversi tre giorni prima dell’oggi e due giorni dopo. • nella lingua amerinda Chinatec, abbiamo diversi termini per indicare quattro giorni prima e quattro gironi dopo l’oggi, quindi una rappresentazione più analitica e dettagliata della dimensione temporale rispetto a questa triade di avverbi temporali. Il tempo in senso fisico è uguale per tutti. Il tempo linguistico rispetto al tempo fisico è riorganizzato di volta in volta nelle diverse culture • Se atterri proprio ai piedi dell’elefante mentre sta guardando nella tua direzione ti scaglia 1500 metri più in là. In questo caso è un giocatore di videogiochi che sta fornendo una strategia di gioco ad un suo compagno. “tua direzione” siamo in un campo indicale che è quello dell’elefante e siamo all’interno di un contesto non enunciativo ma riferito al campo indicale della situazione che si sta descrivendo. Ed anche il “ti scaglia 1500 metri più in là”: non è l’ascoltatore che sarà scagliato ma è il personaggio virtuale che sarà scagliato. Anche qui c’è traslazione del campo indicale con riferimento allo spazio. Un altro esempio tratto da “Alice nel paese delle meraviglie” “Poi scese dal fungo e andò via strisciando nell’erba, e facendo quest’unica osservazione:- Un lato ti farà diventare più alta, e l’altro più piccola. ‘ Un lato di cosa? L’altro lato di cosa ’ pensò Alice tra sé” Siamo destabilizzati perché questo testo ci appare incompleto perché rinvia a qualcosa che non è stato detto, o perché è stato detto prima o perché sarà detto dopo, sicuramente non è l’incipit del romanzo, forse neanche di un capitolo, a meno che non sia un effetto voluto per creare un’attesa. Intanto non sappiamo chi scese dal fungo, non è Alice, poi non sappiamo il lato di cosa la farà diventare più alta o più piccola, anche qui abbiamo un referente che non è specificato, abbiamo una dimensione spaziale non referenziata in modo adeguato, probabilmente leggendo l’intero passaggio abbiamo degli elementi interpretativi di supporto ma non è sempre così perché “Alice nel paese delle meraviglie” è uno dei pochi testi letterari studiati in senso pragmatico. Quest’opera si presta bene ad un’analisi pragmatica perché è una somma di non-sense, di riferimenti per cui si dice una cosa ma se ne intende un’altra. Deissi sociale Non è accettata da tutti gli studiosi come dimensione autonoma, per alcuni è un sottotipo della deissi personale, anche perché i marcatori della deissi sociale sono a stretto confine con quelli della deissi personale. • Grammaticalizza status sociale del parlante facendo riferimento a due dicotomie: vicinanza/simmetria, potere/solidarietà. Queste coppie fanno riferimento ai rapporti che si instaurano fra l’emittente e i suoi interlocutori, rapporti che possono essere paritari e non paritari, simmetrici e non simmetrici. • Centro deittico in questo caso ha una natura sociale, fornito dallo status sociale del parlante. • Quali sono le componenti deittiche di natura sociale? Non sono marcatori di spazio, né marcatori di tempo, ma sono affini ai marcatori di persona, nell’ambito della deissi sociale rientra il paradigma dei pronomi allocutivi (tu/lei), gli onorifici (Magnifico, Onorevole), gli appellativi ed anche i saluti. • Assoluta (Sua santità, Sua maestà)/ relazionale I marcatori della deissi sociale sono marcati su tutti i livelli di analisi sociolinguistica, ciò vuol dire che questo sistema nelle diverse lingue è condizionato da una serie di elementi extralinguistici di taglio sociale. Status + diacronia + diatopia + diastratia + diafasia + diamesia Delle illocutive ne parliamo tra un attimo, però pensate ai saluti: • Ciao: è paritario e simmetrico. Può essere usato in apertura e chiusura di evento comunicativo, ma è marcato in diafasia, perché lo stile del “ciao” è colloquiale; in realtà, è marcato anche in diatopia, perché in Italia settentrionale il “ciao” è usato anche tra persone che non si conoscono; Questo fenumeno avviene meno anche nel Centro-Sud, ma si sta diffondendo. È marcato anche in diacronia, perché di solito non è utilizzato dalle generazioni più anziane; anche marcato in diamesia, perché tutti gli usi scritti richiedono che i saluti siano adeguati al contesto enunciativo (“ciao” va bene in una mail, non in una lettera ufficiale). ESEMPI: • Vostra Eccellenza, Signoria, Altezza …(marcati per stile, deissi sociale) • In cosa posso aiutarla? • Possiamo darci del tu? Il sistema degli allocutivi è anche uno degli argomenti di negoziazione quando i rapporti di conoscenza proseguono, e si abbandona il “lei”; Strategie di evitamento quando non si sa quale pronome allocutivo usare per rivolgersi ad una persona, che, ad esempio, conosciamo da un po' ma a cui non siamo sicuri di poter dare del “tu”usiamo qualche strategia di evitamento. Il sistema degli allocutivi è importante in tutte le lingue, in quanto permette di codificare le identità sociale dei parlanti, e di codificare il nostro rapporto nei confronti di quegli interlocutori. Questo però tira in ballo una serie di altri fattori, come: • Valutazione sociale relativa ai parlanti; • Rango sociale; • Forme di parentela; • Rapporti generazionali; • Saluti. Quando si fa riferimento al sistema dei pronomi allocutivi si fa riferimento a rapporti simmetrici o non simmetrici (e quindi gerarchici) tra le persone. Esistono quindi: • Allocutivi naturali3: sing. Tuplu. Noi • Allocutivi di cortesia4: Lei, Ella(per una autorità, o in uno scritto amministrativo o giuridico), Noi Voi, Loro Es: Lei Maria deve riordinare l’ufficio. distanza sociale molto evidente. UN PO’ DI STORIA…(CON RIFERIMENTO ALL’ITALIANO) • Voi: è già diffuso nel Medioevo, usato da Dante per persone per cui mostra il massimo rispetto. Il sistema Tu/Voi5 è presente nelle lingue romanze. Successivamente, ci saranno dei cambiamenti, non dovuti ai parlanti, ma alle situazioni politiche: • Nel 1500: si comincia ad affermare la struttura ternaria degli allocutivi (Tu-Lei-Voi); • Nel 1700: si estende l’uso di Vossignoria: senso referenziale simile a Lei, Ella. Il Lei è osteggiato (perché non ha una natura latina); • Nel 1900: si estende l’uso di Tu, prima riservato a bambini, e persone inferiori (connotazione un po’ negativa); • Ma si osserva suddivisione diatopica: Nord> Tu/Lei Sud> Tu/Voi Ecco perché il Voi è più radicato al Sud. Proprio il 1900 è il secolo in cui il sistema degli allocutivi subisce una serie di variazioni, imposte dal fascismo. • Nel periodo fascista (1938): rigidismo linguistico (abolisce i dialetti, forestierismi); 3 Nei rapporti paritari o simmetrici. 4 Nei rapporti gerarchici, spesso anche con nome proprio. 5 Oggi il “Voi” è caduto in disuso Berton scese le scale. Il rumore della serratura. I passi che si allontanavano per la strada perdendosi a poco a poco. Il silenzio rientrò nella casa immersa nel sonno mattutino mentre ogni tanto strani fischi di richiamo attraversavano la campagna. (Dino Buzzati, “Barnabo delle Montagne”) Questo estratto ha una precisa connotazione deittica, e gli elementi deittici sociali sono più presenti quando la struttura del testo è dialogica, un po’ meno quando essa è descrittiva (Dove abbiamo molti più deittici spaziali e temporali) 17 OTTOBRE La teoria degli atti linguistici costituisce un elemento centrale di tutta la pragmatica linguistica, è la prima teoria che funge da motore e da traino per una serie di modelli successivi. La pragmatica linguistica si basa su un ambito filosofico, la filosofia del linguaggio ordinario della scuola di Oxford (Inghilterra) dagli anni trenta in poi del secolo scorso. Gli autori: Wittgenstein, Büler, Austin, Searle e Grice costituiscono i principali studiosi che si inseriscono in questo dibattito a cui si deve l’elaborazione delle più importanti teorie di pragmatica linguistica, in un’ottica decisamente innovativa, che ancora non è linguistica in realtà, ma che negli anni contribuirà a scardinare completamente le regole e i funzionamenti di analisi linguistica. Infatti come già notato, la linguistica generale aveva, da molto tempo, fin dal suo esordio come linguistica storica, concentrato il suo studio sulle strutture linguistiche. In particolare due filosofi inglesi John Austin e John Searle (allievo di Austin) pongono le basi, partendo da una nuova visione delle funzioni del linguaggio, a quella che sarà poi denominata teoria degli atti linguistici, nell’ambito filosofico. Questa teoria nasce sia in ambito filosofico, poi si diffonde in contesti di ambiti disciplinari anche molto diversi, persino la critica letteraria, persino giurisprudenza risentiranno di questi nuovi canoni di studio. Qual è Il fulcro di questa teoria? John Austin postula con convinzione la dimensione azionale del linguaggio, vale a dire il linguaggio è prodotto con l’intenzione di indurre un cambiamento di stato nel proprio interlocutore, una reazione, un cambiamento di comportamento. Parlare è agire, secondo Austin ogni volta che parliamo produciamo delle azioni e queste azioni, già definite un agire linguistico umano al pari di altre facoltà dell’uomo, produce delle conseguenze. Soprattutto quando parliamo produciamo atti linguistici da cui il nome della stessa teoria. Trasmettere informazioni non è l’unica funzione del linguaggio secondo Austin. Si è contrassegnato il linguaggio proprio con questa funzione linguaggio è un sistema di comunicazione che serve a trasmettere informazioni. Nella concezione di Austin questa funzionalità del linguaggio è notevolmente più ampia. John Austin ha una vita piuttosto breve (1911-1960) ma non scrive molto, la sua opera principale pubblicata postuma nel 1962 “How to do things with words” “Come fare cose con le parole”, è già programmatica, perché già nel titolo contiene quello che è il punto cardine del suo modello teorico: con le parole possiamo fare cose. Questa è stata pubblicata postuma dai suoi allievi che raccolgono un ciclo di lezioni e che Austin aveva tenuto nel 1955 ad Harvard, quindi ha un’impostazione un po’ didattica. L’opera poi viene tradotta in varie lingue e pubblicata anche in edizione italiana nel 1974 con il titolo Quando dire è fare. Searle è un suo allievo, si parte dalla scuola di Oxford, si trasferirà poi negli Stati Uniti, risentirà dell’influsso molto forte di Chomsky. La sua teoria prosegue questa concezione di Austin che non verrà meno in tutta la sede dei modelli successivi. Il presupposto tanto nella concezione di Austin tanto in quella di Searle è quella di porre la significazione come uno dei comportamenti umani cioè l’agire linguistico. Austin nonostante sia filosofo del linguaggio, contesta fortemente alcuni principi e alcune teorie della filosofia stessa, contesta la visione positivistica del linguaggio. Innanzitutto questa teoria del neopositivismo logico, l’asserzione aveva un ruolo centrale all’interno del linguaggio, il ruolo dell’asserzione era talmente dominante, in questa concezione, che decretava anche il concetto di verità e falsità delle stesse frasi. Questa concezione positivistica era molto diffusa negli anni 30 in Inghilterra, e secondo questa visione il significato di una proposizione era strettamente legata alle sue condizioni di verità e falsità, questa analisi è comunemente denominata analisi vero-funzionale del linguaggio, ovvero funzionale della lingua. In questa concezione un enunciato ha significato solo se possiamo verificare le sue condizioni di verità, quando ciò non è possibile l’enunciato è privo di significato. Austin intende contestare questa visione anzi demolirla e a questa analisi vero-funzionale descritta ne oppone un’altra vale a dire: la teoria della comunicazione, quindi positivismo logico, una frase che non può essere verificata come vera o falsa e priva di significato, questo era l’assioma del positivismo logico. Frase del tipo: Gianni è arrivato e non so se questo sia vero chiaramente è una frase improponibile perché contrasta un principio di verità. La modalità assertiva è quella modalità che esprime la nostra condizione di verità su quello che stiamo proferendo, tutto ciò che si asserisce è vero dal punto di vista modale, dal punto di vista della modalità epistemica. Ad es: Napoleone Bonaparte mori a Sant’Elena il 5 maggio 1821. Questa proposizione è un’asserzione, questa asserzione nella concezione positivistica sarà vera soltanto se: è esistito un individuo come Napoleone nel corso della storia, nel tempo X esplicitato 5 maggio 1821 è predicabile la sua morte, cioè la morte di questo personaggio storico. Esiste inoltre un luogo nominato Sant’Elena. Se tutto ciò è vero, è possibile verificarlo in termini di verità o di falsità, quindi se queste condizioni sono vere anche la proposizione sarà vera, quindi ha un significato. Viceversa: Giuseppe Garibaldi mori a Sant’Elena il 5 maggio 1821 è una proposizione falsa, perché ciò che viene enunciato in questa frase non si è verificato nel mondo attuale. Quindi ha significato ma è falsa. Può essere verificata in termini di verità e falsità. La prima frase è vera perché tutte le condizioni sono effettivamente verificabili e risultano vere. Nella seconda possiamo verificare tutte le condizioni ma risulterà falsa. La filosofia del linguaggio aveva basato le proprie ricerche proprio sul significato delle proposizioni e sulla loro natura vero falsa. Austin contesta questa visone e soprattutto mette in evidenza come, mentre parliamo ci sono molti enunciati che non asseriscono qualcosa, ma che servono a fare altro e che pertanto siccome non asseriscono, non possono essere valutati secondo un principio di verità o falsità. Austin Parte da questa condizione: ci sono molti enunciati che non servono ad asserire qualcosa, di conseguenza queste non asserzioni o sono prive di un valore di verità perché non lo possiamo verificare, perché il criterio di verifica vero falso non può essere applicato ad enunciati che sono asserzioni oppure paradossalmente non sono degli enunciati. Visto che non si può dichiarare che gli enunciati non assertivi non siano effettivamente degli enunciati, rimane da capire come la teoria possa accogliere anche degli enunciati che servono a fare altro, che non sia la condizione di asserire qualcosa. Secondo Austin il neo positivismo logico, quindi tutta la condizione positivistica del linguaggio era condizionata da una fallacia descrittiva, perché i criteri di descrizione degli enunciati potevano essere applicati soltanto a tutte quelle forme linguistiche che risultavano assertive. Secondo Austin questo tipo di analisi mostra dei limiti incolmabili e pertanto a questa teoria, questa visione positivistica ne oppone un’altra. Mostra dei limiti incolmabili e pertanto a questa teoria, a questa visione positivistica, ne oppone un’altra: TEORIA DELL’AZIONE COMUNICATIVA. In questa teoria si mette nuovamente in evidenza il fatto che la comunicazione, il linguaggio, contiene una base imprescindibile azionale. Il concetto di Atto linguistico è alla base della teoria di Austin: l’atto linguistico è un enunciato, è una frase che acquisisce significato nella sua circostanza d’uso, è cioè una frase nel suo contesto d’uso. Quindi non la frase considerata nella sua mera espressione linguistica, quella cioè oggetto della linguistica teorica per molti decenni, l’unità enunciativa che funge da base per l’analisi della fenomenologia • Scommetto che vince il Milan • Ti chiedo scusa • Vi dichiaro in arresto • Dove vai? (No effetto performativo, ed essendo una interrogativa e non un’asserzione, non rientra negli enunciati verificabili nelle condizioni vero-funzionali) Sono enunciati che non asseriscono, ma non per questo privi di significato. Non solo hanno significato, ma sono atti di PAROLE, sono atti concreti, che hanno funzione di far accadere qualcosa, modificare la realtà (anche “dove vai?” modifica la realtà, in quanto di interroga qualcuno aspettando una risposta). Nella teoria di Austin ci sono 3 principi fondamentali: 1. Verità/Falsità (corrispondenza di ciò che si dice rispetto ai fatti realmente accaduti) Austin contesta in riferimento ai constatativi; 2. Felicità/ Infelicità dell’atto linguistico (a differenza del primo principio, fa riferimento alla buona riuscita dell’atto linguistico)è un principio innovativo; 3. Illocuzione Lo scheletro della teoria di Austin: il riconoscimento dell’illocuzione. Per Austin, tutti gli atti linguistici possono essere sia veri che falsi (questo vale per tutti gli atti constatativi), sia felici che infelici, hanno un significato, una forza illocutoria (o illocutiva). Austin> priorità della condizione di felicità rispetto agli altri due principi. Il concetto di verità/ falsità, nella concezione positivistica, risulta lacunoso (perché non può essere esteso a tutti gli atti linguistici)> asserendo ciò, Austin entra in conflitto con la concezione della filosofia analitica del linguaggio. ESEMPI • La Francia è esagonale può essere verificato, ma dipende da quanta precisione noi richiediamo; • Da oggi ti battezzo col nome di Paolo (esecuzione infelice, perché, ad eccezione di pochi ruoli sociali, nessuno di noi può battezzare qualcuno, rispettando la buona riuscita dell’atto linguistico. Se è un prete a proferire l’enunciato, esso è felice, produce l’effetto dell’enunciato); • Giuramento Obama 20 gennaio 2009 (mancata osservanza del cerimoniale, per cui il cerimoniale fu ripetuto); • Ti darò io i soldi (ma non ho intenzione di darteli, insincerità)> promessa infelice Le condizioni di felicità dell’atto possono essere rispettate o meno. Una regola è infranta se viene enunciata nel modo scorretto o parziale> l’atto non è eseguito con successo, non è compiuto nella sua realtà performativa, non riesce. • Antonio guarda un vecchio filmAssertiva (cioè atto constatativo); • Mi scuso con te per quanto è successo ieri (Atto performativo, perché non asserisce, ma compie un’azione); • Vi dichiaro marito e moglie> performativo felice (prete) • Vi dichiaro marito e moglie> performativo infelice (un amico). Quindi, affinché l’atto sia felice (e cioè affinché esso si compia), è necessario che sia proferito in circostanze adeguate da una persona che abbia uno status adeguato. LE DIMENSIONI Ogni volta che parliamo, produciamo degli atti linguistici, e ogni atto linguistico contiene 3 atti parziali (o dimensioni) contemporanei ed inseparabili (sempre riconosciuti da Austin): • Atto locutoriol’atto di dire qualcosa (Una struttura locutoria è la struttura linguistica di una frase, priva delle sue dipendenze contestuali e pragmatiche); • Atto illocutorio; • Atto perlocutorio. Ogni enunciato, dunque, ha una forza, una funzione comunicativa. I LIVELLI A livello locutivo produco una struttura linguistica7 (cioè una sequenza di foni, di parole, di frasi) ed esprimo significati dal punto di vista semantico. Quindi, è L’ATTO DI DIRE QUALCOSA. A livello illocutivo, manifesto un’intenzione, produco quella struttura linguistica locutiva per convogliare un’intenzione comunicativa, perseguo uno scopo. UN FARE NEL DIRE È la vera innovazione di Austin. A livello perlocutivo, mentre parlo produco delle conseguenze (“Ti battezzo”, “Ti nomino”, “Chiedo scusa”…) UN FARE REALIZZATO PER MEZZO DEL DIRE. A livello ILLOCUTIVO, quindi dimensione relativa all’illocuzione, manifesto un’intenzione, produco quella struttura linguistica, per ottenere, per convogliare un’intenzione comunicativa. Quindi perseguo uno scopo, UN FARE NEL DIRE. Questo è davvero l’elemento innovativo della teoria di Austin. Invece a livello PERLOCUTIVO, lo abbiamo anche già prima dettagliato, mentre parliamo (in alcune condizioni e poi vedremo per mezzo di alcune strutture linguistiche tra cui anche l’impiego di specifiche classi verbali) produco delle conseguenze (es: ti battezzo, ti nomino, ti licenzio, ti proclamo, chiedo scusa ecc.). L’atto perlocutivo è quindi un FARE REALIZZATO PER MEZZO DEL DIRE. C’è sempre questa divisione col fare, come fare cose con le parole. Quindi: PRODUCO STRUTTURE LINGUISTICHE, vale a dire “dico qualcosa”, questo qualcosa ha soltanto un significato semantico ma ha un’intenzione comunicativa, vale a dire IL MODO IN CUI IO VOGLIO CHE 7 Questa struttura linguistica è definibile anche come sistema strutturato sull’asse sintagmatico con ordine lineare. QUESTA STRUTTURA VENGA INTERPRETATA DAI MIEI INTERLOCUTORI, e questo modo, questa intenzione comunicativa, spesso va oltre la struttura stessa (una sorta di scollamento): dico qualcosa ma la mia intenzione è quella di comunicarne un’altra. E poi a livello perlocutivo “produco quello che dico”, per mezzo di strutture linguistiche, può produrre delle conseguenze. Ho detto che l’Illocuzione è l’elemento innovativo della teoria di Austin perché: tutta la componente relativa alla locuzione è stata già studiata ampiamente dalla linguistica generale teorica (strutturalismo, generativismo, funzionalismo, ecc.), una parte invece della componente perlocutiva era stata indagata all’interno della semiotica, in un’ottica però diversa. L’Illocuzione è quindi una componente originale e nuova del panorama degli studi pragmatici, filosofici e poi linguistici. ▲ LOCUZIONE • Azione fonatoria: costruzione dell’enunciato nel rispetto delle regole, delle strutture linguistiche (suoni, parole, regole) • atto di dire qualcosa • frase: solo espressione linguistica • enunciato: atto linguistico nella sua completezza e circostanze d’uso Secondo voi a livello locutivo pronunciamo delle frasi o produciamo degli enunciati? Pronunciamo frasi, formate (data la nostra competenza fonologica, morfologica ecc.); la frase è comunque un atto concreto che discende da una langue e da una conoscenza di questo sistema. L’enunciato invece si carica anche di altri significati, di intenzioni ed anche di eventuali conseguenze. ▲ PERLOCUZIONE • non è altro che l’effetto extralinguistico che produce l’enunciato attraverso verbi performativi • la perlocuzione è il caso esemplare in cui il linguaggio manifesta pienamente la propria forza azionale: ottenere qualcosa con le parole. • Atto col dire Esempi: • Io ti battezzo; • La dichiaro in arresto; possono essere recuperati nella loro originale intenzione comunicativa. Però possiamo chiaramente formulare delle ipotesi. • Un altro esempio: “C’è del latte nel frigo” intanto è assertiva, si asserisce che c’è del latte nel frigo. Può significare anche altro? Può essere, ad esempio, un suggerimento “c’è del latte nel frigo, usiamolo…prendilo!” o “usiamolo per fare un dolce” o ancora se io aprissi il frigo e trovassi delle macchie di latte dappertutto e dico “c’è del latte nel frigo” è per voler dire che magari qualcuno non ha chiuso bene la bottiglia o l’ha posizionata male. • “È molto tardi” intanto è assertiva, poi può essere un invito: “È molto tardi, vai a dormire”, potrebbe essere anche una scusa: “È molto tardi noi dobbiamo andare via”, o un suggerimento “È molto tardi andiamo a casa”. • “Il gatto è sul divano”: poniamo che qualcuno stia cercando il gatto per casa e a un certo punto dico “Il gatto è sul divano” è un’informativa, oppure potrebbe significare che qualcuno abbia permesso al gatto di stare sul divano, potrebbe avere anche un effetto perlocutivo se io so che chi sta entrando in salotto è allergica ai gatti, io ti anticipo “il gatto è sul divano quindi esci, non entrare” una serie di significati che naturalmente cambiano di volta in volta a seconda del contesto e a seconda delle intenzioni comunicative di chi pronuncia l’enunciato. 18 OTTOBRE L’illocuzione è il punto originale della teoria di Austin, che equivale proprio alla forza intenzionale e convenzionale, con cui un enunciato deve essere interpretato, a prescindere da quello che dicono le parole. L’enunciato è inteso come azione intenzionale del parlante, ed è possibile distinguere tra il significato che l’enunciato esprime cioè la sua struttura locutoria e intenzione comunicativa vale a dire la sua forza illocutoria. La forza illocutoria è convenzionale, e corrisponde alla capacità che ha l’enunciato di trasmettere al ricevente una specifica interpretazione. Ogni enunciato quindi ogni atto linguistico, è caratterizzato da una forza illocutoria, non esistono enunciati privi di forza illocutoria. Questa forza illocutoria, tuttavia può essere visibile o meno visibile. Gli indicatori di forza illocutoria sono di diverso tipo: Indicatori lessicali: formule di cortesia lessico emotivo (positivo o negativo), avverbi che ampliano o attenuano la forza illocutoria di un enunciato. Indicatori sintattici: la scelta del modo e del tempo verbale, l’uso di specifici verbi modali, l’ordine delle parole, che d’altra parte è una strategia a disposizione delle diverse lingue molto potente. Poiché si possono combinare i lessemi, quindi il repertorio lessicale di una qualsiasi lingua, su due diversi assi: l’asse sintagmatico l’asse lineare delle scelte, e l’asse paradigmatico che è l’asse verticale per cui attingiamo da un repertorio, le nostre parole che sono, a seconda della posizione sintagmatica equivalenti per classe del discorso, per funzione ma non per significato, dato che esso non è quasi mai uguale. La sinonimia assoluta in realtà non esiste. Quindi questo ordine delle parole ci permette di realizzare delle frasi che o hanno una struttura neutra dal punto di vista informativo, ma quando questa struttura non è quella canonica, neutra, non marcata, allora tutte le altre combinazioni diventano strategie per comunicare delle strutture informative specifiche. Abbiamo un ordine delle parole diverso, nell’inglese e nell’italiano abbiamo un ordine dell’assertiva non marcata S V O, nel francese, tedesco e nelle lingue romanze. Quest’ordine può subire anche delle variazioni, ogni volta in cui questo ordine cambia si ha un inversione, un sovvertimento della struttura informativa della stessa frase, cioè: quello stesso enunciato che abbiamo scelto di realizzare con un ordine delle parole diverso, sta comunicando una sfumatura di significato differente rispetto a quella realizzata con l’ordine canonico. Per cui in questo bacino rientrano: le frasi con dislocazione (a destra, a sinistra), le frasi scisse (tema sospeso) le focalizzazioni, anteposizione o posposizione del soggetto in cui l’ordine si cambia, naturalmente abbiamo una diversa struttura informativa in termini di tema, in termini di dato nuovo ecc.. Il costituente che viene spostato è di solito quello informativo viene messo in una posizione che non è quella canonica che ci si aspetta e di conseguenza proprio per questo diventa prominente. Poi abbiamo un’altra serie di indicatori che sono quelli prosodici. Il componente prosodico raccoglie tutti quei fenomeni sonori, che si apprezzano esclusivamente nell’oralità, che si collocano al di sopra delle parole, sono tutte le componenti musicali la cosiddetta musica nella lingua: gli accenti il ritmo, l’intonazione, ma anche le componenti della voce stessa come la qualità della voce: cioè specifiche qualità che scegliamo spesso di realizzare per conferire determinati significanti ad es (voce in falsetto, la voce gracchiante, bisbiglio, mormorio, la voce gutturale ecc) sono tipiche o di alcune emozioni o anche spesso ricorrono nelle esclamative o in particolari modelli situazionali, quando parliamo con i bambini ad esempio, siccome si parla con dei soggetti più piccoli, tendiamo ad avvicinarci anche prosodicamente al loro timbro di voce, e vari accorgimenti di vario tipo. Rimanendo nel tema dell’illocuzione, il tono della voce, i fenomeni di prominenza, di enfasi, l’intonazione e anche la durata. Spesso è sufficiente allungare una sillaba per conferire a un enunciato un significato diverso, ad esempio l’impazienza, la fretta, la noia, e varie altre attitudini, rientrano in questa sfera, abbiamo diverse risorse con cui giocare per convogliare ai nostri interlocutori delle spie uditive sonore, che ci allertano, di un enunciato che contiene degli altri significati che sono, non solo quegli linguistici della struttura e ordine delle parole, ma anche quelli cosiddetti paralinguistici, al di là della lingua. Es: potresti passarmi il sale? L’enunciato deve essere interpretato come una domanda che però vale come richiesta, un ordine, una richiesta gentile. Abbiamo un’invenzione comunicativa che viene trasmessa ai nostri interlocutori sotto forma di qualcos’altro, e naturalmente quando si sceglie di realizzare enunciati di questo tipo, l’intenzione è ben specifica. Ad esempio quelle di cortesia, l’uso del condizionale, l’uso della forma interrogativa, l’uso di specifici moduli intonativi attenuano o talvolta amplificano la forza illocutoria. Es: per favore mi accompagni? Forma di cortesia. Es: Giovanni (assertiva) Giovanni! (Esclamativa) Giovanni? (Domanda) Giovanni! (Vocativa) Giovanni! (Imperativa) Questi enunciati sono monolessicali, contenenti una sola parola. Sono scritti, quindi vi è indicata tra parentesi la loro modalità, pronunciati oralmente sarebbero chiaramente decodificabili. Per l’assertiva “Giovanni” può essere una risposta ad una domanda: “come ti chiami?” Senza cambiare nulla nella struttura segmentale, sillabica e accentuale ma variando l’intonazione, in italiano è possibile realizzare forze illocutorie differenti e distintive. Ad es: Domani andiamo al cinema! Assertiva Domani andiamo al cinema? Interrogativa Domani andiamo al cinema... (frase continuativa assertiva) prosodicamente non è terminata la frase. In inglese invece l’inversione soggetto verbo nelle frasi interrogative non permette di poter creare questo tipo di equivalenza. L’intonazione da sola in italiano è una risorsa illocutoria potentissima, molto efficiente. Fa le risorse sintattiche il modo verbale l’imperativo che siamo abituati ad associare all’ordine e quindi alla realizzazione della frase iussiva, in realtà non trasmette soltanto gli ordini ad es: “prendi una fetta di torta” non è un ordine è piuttosto un invito. Inoltre questo uso dell’imperativo è a vantaggio dell’interlocutore. Passa una buona vacanza! (Uso dell’imperativo a vantaggio dell’interlocutore non è un ordine) L’uso degli avverbi soprattutto quelli lessicali, come probabilmente, aggettivi o avverbi di quantità (alcuni, pochi), avverbi di dubbio (forse) che mitigano e riducono, l’impegno epistemico dell’enunciato e nello stesso tempo ci forniscono degli indizi di corretta interpretazione. un dizionario ed ha passato in rassegna tutti i verbi della lingua inglese e in base al significato li ha divisi in classi. Nell’intenzione Austin avrebbe voluto classificare tutti i verbi della lingua inglese ma così non è stato perché ha incontrato una serie di difficoltà oggettive. Austin non era soddisfatto della sua classificazione, tanto che viene subito classificata come provvisoria e non esaustiva. Quali sono stati i principali limiti di cui si è reso conto lo stesso Austin? GLI ASPETTI CRUCIALI Assenza di confini netti fra le classi > atti linguistici/forze illocutorie sono convenzionali, cioè legati alle convenzioni di una determinata cultura antropologiche e sociali, Austin si è mantenuto sulla lingua inglese ma in realtà tali difficoltà appartengono a tutte le lingue. Aveva intravisto il legame con la dimensione sociale Classificazione provvisoria ed orientativa Mancanza di criteri classificatori uniformi con cui poter operare più agevolmente questo tipo di tassonomia. A tutto ciò si aggiunge il fatto che ci sono molti verbi che hanno più significati semantici, di conseguenza essi andavano classificati più volte, bisognava di volta in volta esplicitare la funzione semantica con cui si stavano classificando, naturalmente ne verrà fuori una classificazione orientativa e provvisoria. Bisogna aggiungere che autori successivi hanno ritentato questa classificazione, non soddisfatti, partendo anche dai limiti che già aveva riscontrato Austin, hanno riprovato, mediante di altri criteri, con l’intenzione di riaggiustare la tassonomia e sono stati proposti anche in Italia negli anni ’70 ma nessuna delle tassonomie proposte fino ad ora è risultata pienamente esaustiva, probabilmente anche per il fatto che non possiamo recuperare questa forza illocutoria partendo esclusivamente dal verbo. Se al verbo aggiungiamo altre spie, altre strategie, di interpretazione pragmatica, chiaramente il verbo può perdere quella connotazione illocutiva che aveva in partenza meritato il suo inserimento in una classe. Ecco un esempio di analisi pragmatica della forza illocutoria dei verbi, tratto dal cap. 28 dei “Promessi sposi”. Dal punto di vista sintattico, notiamo alcune frasi sospese; inoltre, ci sono anche dei toni che tradiscono la componente diastratica ben specifica. Soffermiamoci sui verbi e sulle espressioni segnate: «Fatti i suoi complimenti8 al conte zio e presentatigli quelli del cugino Attilio con un suo contegno serio che sapeva prendere a tempo disse: “credo di fare il mio dovere senza mancare alla confidenza di Rodrigo avvertendo9 il signore zio d’un affare che se lai non ci mette una mano, può diventar serio e portare delle conseguenze …” “Qualcheduna delle sue, m’immagino”10 8 Comportativo (Austin) – Espressivo (Searle) 9 Avvertimento è un atto che prepara un altro atto 10 Chiarimento– replica. Atto espositivo debole, perché “m’immagino”è un verbo che attenua l’impegno epistemico del parlante, e quindi la forza illocutoria “Per giustizia11 devo dire che il torto non è dalla parte di mio cugino. Ma è riscaldato, e come dico, non c’è che il signore zio che possa.12 C’è da quelle parti un frate13 cappuccino che l’ha con Rodrigo e la cosa è arrivata a tal punto che…» JOHN SEARLE (1932) Allievo di Austin e Grice. Scuola di Oxford si trasferirà presto negli Usa. Risentirà della teoria di Chomsky. Rielabora una teoria degli atti linguistici, discostandosi sia da Austin, sia da Grice. La premessa iniziale, tuttavia, non cambia > vi è una chiara relazione tra linguaggio e azione, parlare/ fare (quindi, ambito sempre pragmatico). Parlare vuol dire compiere, realizzare, eseguire concretamente (atti di parole, non di langue) atti linguistici. Searle, inoltre, dedicherà la propria attenzione anche all’approfondimento delle tematiche relative al significato. Distingue tra significato naturale14/ convenzionale in realtà non è una novità, perché abbiamo già osservato e distinti i simboli, le icone, i segni destinando la tipologia di segno soltanto a quegli elementi convenzionali dotati di un significante e di un significato, il cui rapporto fosse arbitrario (e quindi convenzionale), biplanare, lineare… Searle, inoltre, enuncia il “Principio di esprimibilità”qualunque cosa può essere detta, e se questo è vero, dovrà esistere un verbo che possa realizzare questa forma anche questo principio non è innovativo, in quanto era già stata individuata l’onnipotenza semantica linguistica (con la lingua possiamo esprimere tutto, tranne l’incommensurabile e l’ineffabile). • Distinzione tra significato esplicito / significato implicito (questo è innovativo) • Distinzione tra atti diretti / indiretti Es. voglio che tu faccia l’esame È asserzione, ma vale richiesta [è un atto implicito: la forza illocutiva è diagonalesi dice una cosa, ma si vuole intendere un’altra cosaquindi, la struttura locutoria (ciò che dicono le parole)e la struttura illocutoria (l’intenzione) non sono co-orientatesono asincrone, trasversali]. 11 Verdettivo emettere giudizi, valutazione 12 Ripetizione/ affermazione che tende a lusingare volutamente sospensiva. è proprio nel non dire la forza dell’enunciato, perché il non detto lascia aperte tutta una serie di possibilità 13 Verdettivo – attribuzione di una colpa (frammento) mancano le conclusioni, lasciate all’interpretazione dell’interlocutore 14 Significato naturale: non è linguistico, e non è convenzionale (es: le nuvole rosse nel cielo ci trasmettono qualcosa, sono informative, ma chiaramente questo carico informativo non è convenzionale, ma è dato per natura, perché l’associazione non è arbitraria. Nella teoria di Searle, alcuni principi sono confermati (come la centralità della forza illocutoria), altre componenti vengono aggiunte come integrazione di un modello di una teoria degli atti linguistici che non convinceva pienamente lo stesso Searle. In realtà, lui non parla di struttura illocutoria, ma di componente della proposizione (p), mentre riconosce che in ogni atto linguistico ci sia una forza illocutoria (f) Nell’atto linguistico ci sono 2 componenti: • La componente della forza illocutoria (F) • La componente della proposizione (p) Searle propone una formula: Enunciato= F (p) Forza illocutoria espressa sotto forma di p, cioè la forza illocutoria viene espressa da una contenuto preposizionale Le forze illocutorie cambiano, sono variabili, in base ad indicatori, ai contesti, alle nostre conoscenze condivise Searle, dunque, modifica la convenzionalità dell’atto illocutorio in intenzionalità La formula prova che: 1. Una stessa forza può esplicitarsi su diversi contenuti proposizionali. Es. oggi è una bella giornata 2. Forze illocutorie diverse possono essere convogliate anche da uno stesso contenuto proposizionale. (Efficienza comunicativa della prosodia) Es. Maria è tornata (assertiva) Maria è tornata? (interrogativa polare) Maria è tornata! (esclamativa) SEARLE Searle modifica uno degli assunti di base della teoria di Austin, cioè la convenzionalità dell’atto linguistico della forza illocutoria in intenzionalità ovvero: • per compiere felicemente un atto devo seguire una procedura convenzionale (Austin); • per compiere felicemente un atto devo avere certe intenzioni che devono essere riconosciute dall’interlocutore (modifica apportata da Searle) >se l’interlocutore non le riconosce, l’atto potrebbe risultare infelice. Quindi, 3 modalità, che diventano distintive attraverso l’uso dell’intonazione contesto, cioè la sua forza illocutoria nonché l’intenzione con cui deve essere interpretato. Per chiarire: l’atto diretto è quello in cui c’è una perfetta sincronia e corrispondenza tra quello che dicono le parole e la nostra intenzione comunicativa. Es.: se dico “oggi è una bella giornata e voglio intendere che oggi è una bella giornata perché c’è il sole e basta” qui effettivamente l’atto è diretto. Se invece dico “oggi è una bella giornata e la mia intenzione comunicativa non è semplicemente quella di dichiarare uno stato meteorologico positivo ma è quello di indurre il mio interlocutore a carpire un messaggio differente” in questo caso siamo in presenza di un atto indiretto. GLI ATTI INDIRETTI • Mi passi l’ombrello? • Un bel gioco dura poco • Cominciamo bene la giornata • È molto tardi Esempi: mi passi l’ombrello? è esattamente uguale a mi passi il sale? In quanto altro non è che un ordine camuffato da domanda. Questo è palesemente un atto diretto. Partiamo dalla domanda che è una domanda “sì /no”, tipologia prototipica in italiano come in tutte le altre lingue. Questo tipo di domanda è soddisfatta con una profrase: sì o no. Chiaramente possiamo anche dire “forse”, “ci devo pensare” ecc. Come per la domanda: domani vieni al cinema? Si, no. La risposta è già felice, l’atto è compiuto felicemente dal punto di vista sintattico. Domani vieni al cinema? Forse, non so, dipende, ci devo pensare… tutte risposte che danno completezza all’interrogativa. Alla domanda “mi passi l’ombrello?” invece la risposta “si” può funzionare e dare completezza solo se effettivamente passo l’ombrello; se non passo l’ombrello l’atto è infelice perché materialmente non si compie. Si compie l’interrogazione (che è la richiesta di un’informazione) Stessa cosa si presenta con la domanda “mi passi il sale?” o “sa dirmi che ora è” o “sa dirmi dov’è un bar qui vicino” sono richieste che implicano un’azione materiale affinché possa avvenire la buona riuscita dell’atto pragmatico. ATTI INDIRETTI abbiamo anticipato questo argomento introducendo Searle il quale si discosta per alcuni punti da Austin. Searle è stato il primo a mettere in luce la distinzione tra atti linguistici espliciti e atti linguistici impliciti, quelli impliciti sono anche definiti indiretti perché ciò che si verifica è una sorta di distanza tra ciò che dicono le parole e ciò che intende comunicare il parlante. Di fatti il carattere convenzionale degli atti linguistici da Searle è sostituito, come principio prioritario, dall’intenzionalità dello stesso atto. Gli atti indiretti possono essere interpretati come: • Strutture enunciative che mostrano una non congruenza tra forma e funzione: vale a dire che non sempre gli atti linguistici che produciamo sono espliciti, spesso diciamo delle cose ma ne vogliamo intendere altre, quando ciò avviene forma, cioè la struttura locutoria dell’enunciato, cioè l’espressione linguistica sintatticamente performata, e funzione, cioè la funzione pragmatica di quello stesso enunciato, non sono congruenti, cioè non sono coorientati. Significato non letterale è dato dall’incongruenza forma e funzione. • Ci sono una serie di indicatori linguistici/Modalità sintattiche che permettono di sfruttare questa risorsa pragmatica e che pertanto consentono al parlante di una lingua x, talvolta in maniera complessa, di poter usare delle strutture, modi verbali, particelle, ordine delle parole per poter convogliare un significato che non è quello letterale = funzione illocutoria e comunicativa • Forma e funzione = mancano di co-orientamento, cioè vanno in direzione diversa. In questo caso c’è anche incongruenza tra il modo sintattico, quindi la struttura sintattica, e la funzione pragmatica. Un esempio è rappresentato dalle richieste che sintatticamente sono domande ma valgono richieste, quindi la struttura sintattica, la forma, non coincide con la loro funzione pragmatica. Studiare gli atti indiretti è complesso perché l’indirettezza è intanto convogliata e trasmessa attraverso più risorse di vario tipo, in più l’indirettezza può riguardare l’intero enunciato o una parte di esso, e su questo molti studiosi hanno scritto anche in maniera controversa senza che vi fosse un perfetto allineamento. • Situazione pragmatica specifica: fa caldo e voglio aprire una finestra (questo si chiama contesto in situazione). Quante possibilità ho di realizzare questa mia intenzione? In quanti modi posso comunicare questa mia volontà? Posso dirlo indirettamente Apro la finestra, fa caldo Posso? In questo caso l’atto è pragmaticamente concreto perché mentre lo chiedo sto aprendo la finestra contemporaneamente, quindi è perlocutivo perché produce una conseguenza immediata. Apriamo una finestra? Posso essere propositiva Vi spiace se apro? Posso usare un’interrogativa ma con una forza illocutiva più attenuata. Che caldo! Posso dirlo indirettamente con una esclamativa sperando che i partecipanti alla stessa situazione comunicativa colgano tra le righe il mio messaggio Come vediamo questi enunciati sono portatori di una diversa forza illocutiva, abbiamo la domanda, l’esclamazione, l’asserzione, l’esortativa. Però tutti questi atti linguistici mirano alla realizzazione di una stessa intenzione comunicativa. Tra l’altro questo ventaglio di possibilità è dato dalla convenzionalità dell’atto linguistico e della forza illocutiva così come postulato da Austin, non esiste un modo necessario obbligato per poter dare un’intenzione comunicativa, si hanno a disposizione più risorse, più strutture, e di volta in volta a seconda del contesto, della situazione, dell’interlocutore dovrò scegliere quale risorsa sfruttare perché la richiesta venga adempiuta. • Contesto: Antonio e Francesca stanno litigando ad un certo punto Francesca dice: “Bene, quella è la porta!” Questa frase in senso letterale vuol dire che Francesca sta denotando la realtà fisica e non sta indicando in quel contesto situazionale specifico: l’oggetto porta, il legno che divide di solito gli ambienti. Francesca non intende il significato letterale Francesca intende un significato non letterale, ovvero “vattene” Indirettamente la porta non indica il limite tra gli ambienti ma indica un confine di transito tra un ambiente e l’altro, un divisorio, quindi metaforicamente e simbolicamente vuol dire “vattene”, io in questo ambiente, tu al di là della porta. Noi non abbiamo dubbi nell’interpretare una cosa del genere perché il contesto è specifico, è un contesto conflittuale, stanno litigando. ATTI ILLOCUTIVI INDIRETTI • Scommetto che ti sei dimenticato! • Le spiace smettere di fumare? Anche questa è una richiesta ma apparentemente se noi proponiamo questa frase ad un bambino e gli chiediamo di classificarla risponderà che è un’interrogativa, in realtà è un ordine mascherato: facendo finta di interrogare l’emittente sta chiedendo di smettere di fumare. • Vuole sedersi più avanti? Anche questo è un invito a compiere qualcosa è un atto che produce effetti perlocutivi, cioè produce delle conseguenze perché chiede di modificare il comportamento di un altro • Certo che qui c’è un caldo tremendo…! Anche in questo caso se c’è una soluzione per diminuire questo caldo mettiamola in atto. Tutto questo è la conseguenza che l’atto linguistico, o meglio la sua forza illocutoria, è convenzionale. In italiano, ad esempio, per gli ordini disponiamo di un modo verbale specifico, l’imperativo. Per le interrogative, almeno quelle sì/no disponiamo dell’intonazione. Per le esclamative o per altri tipi di interrogative disponiamo di pronomi interrogativi, diverso ordine delle parole ecc. In inglese le cose cambiano parzialmente, quindi da lingua a lingua queste risorse cambiano o possono un po’ variare, ad esempio l’inglese è una le nostre ragioni, le nostre idee, lì non siamo collaborativi ma ci sforziamo di far capire agli altri le nostre idee, che siano apprezzate o meno. L’ Agire comunicativo > attività azionale I partecipanti collaborano alla riuscita della comunicazione Principio di cooperazione necessità comunicativa (= norma etica) Ogni partecipante presuppone che l’interlocutore collaboratori alla riuscita della comunicazione Secondo Grice la conversazione ha un carattere interattivo e dialogico, facciamo riferimento alla situazione proto tipica dialogica spontanea. La comunicazione si svolge tra più persone. Ognuna ha delle intenzioni comunicative e cerca di interpretare quella degli altri > è cooperativa in questo senso. Senza il principio di cooperazione la comunicazione non esisterebbe perché la comunicazione è improntata ad una sorta di etica conversazionale, è una sorta di galateo conversazionale, rispettiamo tutti, sappiamo quanto possiamo contestare, che parole usare e quando non usarle, a seconda degli interlocutori, del contesto, dei gradi della normalità, viene meno quel terreno comune che permette lo scambio> rende possibile certe mosse, ne vieta altre Grice in questo modello cosa propone? In che modo teorizza questa cooperazione? Grice, chiedendosi in che modo noi siamo cooperativi, espone 4 MASSIME, ovvero 4 regole conversazionali che mirano all’efficienza comunicativa, e che devono essere rispettate: (a pag. 172) 1. Quantità (1. dai un contributo tanto informativo quanto è richiesto) (2. non dare un contributo più informativo di quanto è richiesto) 2. Qualità tenta di dare un contributo che sia vero: 1. Non dire ciò che credi falso) 2. Non dire ciò di cui non hai prova adeguate) 3. Relazione sii rilevante e pertinente 4. Modo sii perspicuo, cioè: 1. Evita l’oscurità di espressione) 2. Evita l’ambiguità) 3. Sii breve) 4. Sii ordinato nell’esposizione) Mentre parliamo, però, non teniamo in conto tutte queste regole infatti Grice è stato accusato di aver ideato un concetto idealizzato ed etico di linguaggio. Ma Grice è consapevole che nella dinamica conversazionale queste dinamiche non sono rispettate e spesso volontariamente violate. Tali massime, infatti, sono dei punti di orientamento. Queste massime discendono dal principio di cooperazione, che sarebbe la supermassima per Grice, quella imprescindibile. Cosa avviene quando 1 o più massime non sono rispettate? Se per definizione Grice ha postulato che tutti noi siamo cooperativi nell’ambito della comunicazione, allora perché, nell’atto pratico, non rispettiamo tutte le massime conversazionali? LA COOPERAZIONE Nella conversazione > le persone cooperano per la buona riuscita dell’atto comunicativo e ne sono consapevoli. Tuttavia, a volte accade che 1 parlante non è sufficientemente plausibile (viola la massima della qualità), o non è sufficientemente informativo (vìola la massima della quantità), oppure non è pertinente (violazione massima della relazione), oppure non è appropriato (violazione massima del modo)in questi casi, il ricevente può recuperare tutto ciò che manca cercando altrove, compiendo una serie di processi logici, deduttivi, razionali, cioè interferenziali l’INFERENZA (la cui definizione deriva dall’ambito psicologico/cognitivo) è un processo mentale logico- deduttivo. Quando compiamo questi processi inferenziali, siamo davanti ad una IMPLICATURA. IMPLICATURE INFERENZA si attiva ogni volta che 1 o più massime non vengono rispettate durante la comunicazione. Mettiamo in atto questi processi mentali proprio per recuperare quello che non è stato detto, ma che è stato implicato. Ecco allora che ciò che viene inferito senza che sia detto è l’implicatura. Si cerca, allora, di colmare il vuoto di informazioni, andando ad indagare il cotesto linguistico, quello extralinguistico, il contesto situazionale, temporale, le aspettative dunque, tutta la conoscenza enciclopedica condivisa. La distinzione tra ciò che è detto e ciò che non è stato detto, quindi implicato (o veicolato indirettamente) sta alla base di questa architettura conversazionale è lo stesso principio enunciato da Searle. Quello di Grice è pertanto definito Modello interferenziale: comprendere (cioè recuperare le intenzioni comunicative) vuol dire spesso inferire il significato (recuperarlo). questo è possibile perché l’uomo è un essere cognitivamente prominente, dotato di strutture cognitive altamente specializzate. Ecco un esempio tratto da “Alice nel paese delle meraviglie”: «-Levati il cappello – disse il Re al Cappellaio -Non è mio- disse il Cappellaio -Rubato!- esclamò il Re rivolto ai giurati che subito presero nota del fatto.» L’inferenza è presente perché il re compie un’azione di processi inferenziali interpreta la non proprietà del cappello come un averlo rubato. ALTRI ESEMPI • Putin è uno squalo dal punto di vista letterale l’enunciato non è accettabile nella realtà. Significa qualcos’altro rispetto a quello che dicono le parole è un atto inferenziale che contiene ironia e metafora. Allora, noi comprendiamo che Putin si comporta come uno squalo, è quindi violento, aggressivo e scorrettoquesto lo sappiamo, anche se la frase non lo dice, perché facciamo riferimento alle nostre conoscenze. [In un determinato contesto, come in un acquario, la frase assume significato letterale C’è uno squalo chiamato Putin]; 1h22min • Sei un fulmine • Non ho niente da mettermi • A = Dov’è Carlo? B = C’è una BMW gialla davanti casa di Anna • A = Quanti anni hai? B = Queste domande non si fanno • A = Dov’è Anna? B = Oggi è mercoledì Le massime sono regolarmente violate Involontariamente Perché obbligati > alcune volte non possiamo essere al tempo stesso informativi e dire solo ciò di cui abbiamo prove adeguate Consapevolmente > burlarsi di una massima Il ricevente sa che il locutore non ha intenzione di ingannarlo, la violazione rientra in una comunicazione cooperativa. LE IMPLICATURE A = Cosa regaliamo a Lisa per Natale? ESISTE UNA PERSONA DI NOME LISA ESISTE UNA FESTA DI NOME NATALE A NATALE SI FANNO DEI REGALI QUALCUNO CHIEDE COSA REGALARE A LISA B = Le hanno rubato il cellulare LE IMPLICATURE ESEMPI • Putin è uno squalo Quest’enunciato significa qualcos’altro che va al di là di ciò che dicono le parole. È un atto indiretto che contiene…min.01.20.11??...gli atti indiretti siano particolarmente…???... all’interno di figure retoriche del linguaggio nostro. Questo vuol dire che “Putin si comporta come uno squalo” e noi riusciamo a dare un senso a questa frase? Il comportamento di Putin è un comportamento corretto o scorretto? Positivo o negativo? nella frase non c’è scritto. Dunque il recupero di queste informazioni avverrà attraverso le conoscenze che abbiamo, tramite processi mentali. Cosi arriviamo a recuperare le intenzioni comunicative e il significato proprio del parlante di quest’enunciato. Quest’ultimo potrebbe anche avere un significato letterale nel contesto di un acquario, ad esempio. • Sei un fulmine Stiamo parlando di atti indiretti, implicature, quindi dei processi inferenziali. Partiamo da questo esempio: abbiamo, attraverso una serie di processi inferenziali, previsto, in maniera funzionale e pragmatica, la risposta che potrebbe dare B: è una risposta letteralmente incoerente ma come abbiamo visto è pragmaticamente coerente. A. Cosa regaliamo a Lisa per Natale? B. È stata espulsa dalla scuola ESISTE UN’ISTITUZIONE CHIAMATA SCUOLA A SCUOLA SI RISPETTANO DELLE NORME. COMPORTAMENTI SCORRETTI SONO SANZIONATI, PUNITI. L’ESPULSIONE DA UNA SCUOLA È LA GRAVE CONSEGUENZA DI UN COMPORTAMNETO MOLTO SCORRETTO, che non è da ascriversi ad un basso rendimento scolastico A NATALE LISA NON MERITA UN REGALO questa è la diretta conseguenza di tutti i processi inferenziali precedenti che non sono detti attraverso le parole ma che noi ricaviamo in modo indiretto perché sono implicati. Noi sappiamo anche che i regali a Natale si dispensano a fronte di azioni positive, in questo caso è contraddittorio aspettarsi che Lisa meriti un regalo. Anche in questo caso ci aspetteremmo una risposta che contenga oggetti facilmente referenziabili all’interno di un contesto extralinguistico, B invece risponde asserendo qualcosa che ad una prima analisi sembrerebbe essere incoerente. Dal punto di vista pragmatico, interpretando queste battute, cosa verrà regalato a Lisa per Natale? Niente! Come siamo arrivati a questo tipo di conclusione, dato che questo non viene detto né da A né da B? quanti processi sono stati messi in atto? Sono tutti passaggi inferenziali quelli precedentemente elencati (in maiuscolo) che fanno parte del nostro retaggio, del sapere delle conoscenze del mondo, il cosiddetto sapere enciclopedico. Nel concetto di scuola sono presenti una serie di norme e funzioni, di strutture, ognuno di noi ha un concetto di scuola ben preciso. La capacità inferenziale determina il modo con cui costruiamo i significati, associamo i significati a delle forme linguistiche. I significati sono costruiti attraverso una serie di processi che ci permettono di decodificare esattamente le intenzioni del parlante. I significati vanno molto oltre rispetto alla forma linguistica. Non tutti gli enunciati hanno un significato che si allontana dalla loro forma, ci sono enunciati che devono essere interpretati esattamente in senso locutorio senza l’aggiunta di significati altri. Questo concetto di significato non è quello inteso dalla semantica ma è invece quello condiviso dalla linguistica cognitiva. Si tratta di significati costruiti dalla somma di tutti i processi inferenziali perché non sono direttamente esplicitati dalla forma verbale. Ci sono dei casi in cui il significato costruito non equivale esattamente alle intenzioni di quello che il parlante voleva dire? Certo! IMPLICATURE A. Sai niente di Carlo? Come sta? B. Ha fatto un incidente e ha rotto lo sportello Carlo sta bene, B non lo dice, anche questo è un significato costruito. Da cosa ricaviamo questa informazione, che è implicata? Anche se B non lo dice esplicitamente Carlo sta bene perché altrimenti avrebbe violato la massima della quantità. B da un contributo informativo, tanto informativo quanto richiesto, né più né meno informativo rispetto alle esigenze contestuali. Se B da delle informazioni sullo sportello e non mi dice che Carlo è ferito, se Carlo fosse effettivamente malato B starebbe palesemente violando la massima della quantità perché non mi puoi parlare dello sportello senza dirmi qualcosa che magari è più direttamente congruente con la domanda di A. quindi se Carlo ha fatto l’incidente ma si nomina lo sportello vuol dire che Carlo dall’incidente è uscito indenne. Ogni violazione di una massima sottende una IMPLICATURA. Il riferimento all’implicatura ci fa comprendere come arriviamo a decodificare, a dare un senso a degli enunciati che apparentemente sembrano essere scollegati dal resto del contesto linguistico, potremmo anche dire del cotesto linguistico, sembrano inappropriati e incoerenti. Naturalmente di volta in volta il riferimento alle conoscenze condivise è fondamentale, senza non daremmo una corretta interpretazione di quello che diciamo. Questo spiega in che modo riusciamo a gestire nella comunicazione scambi dialogici che a prima vista sembrerebbero inappropriati ed incoerenti. Conoscenze condivise Enciclopedia del mondo Anche nei brevi testi esaminati ci sono chiare violazioni di una o più massime e anche queste le cogliamo come implicature che facilmente decodifichiamo perché l’uomo è l’essere vivente più specializzato per quanto riguarda la cognizione. Perché realizziamo tutti questi atti indiretti quando potremmo più esplicitamente essere diretti? Ci arriveremo! • Il concerto è stato una favola anche in questo bisogna definire il contesto, è da intendere in senso letterale o non letterale? È un detto o un non detto? Se anche fosse un detto c’è un uso simbolico e metaforico del termine “favola”. • A. Come va con il tuo collega (C)? B. Oh proprio bene, mi pare va d’accordo con tutti e non è ancora finito in prigione. B ha violato la massima della pertinenza ma non è possibile dire che sia uscito dal raggio di azione della cooperazione perché ha fornito una risposta. La mancanza di pertinenza potrebbe essere solo apparente se suppongo che C sia disonesto ma noi non lo conosciamo. Se C fosse una persona disonesta la pertinenza verrebbe a mancare. Dunque B implica che C sia potenzialmente disonesto. “non è ancora”, deittico temporale. Ancora non lo è, forse lo sarà tra un po’. EFFETTI DIAGONALI PERLOCUTIVI Sono quegli atti indiretti che producono un’azione immediata e che sono diagonali perché non c’è congruenza tra forma e funzione: la funzione pragmatica. • Scusi che ore sono? • Hai chiesto a che ora parte il treno? A queste frasi non si può rispondere con un sì o con un no perché non sono delle domande, non sono delle interrogative polari. Non possiamo rispondere in questo modo perché un partecipante collaborativo non può non condividere l’intenzione, questi atti sono pragmaticamente riusciti solo se forniamo un orario. Non sono interrogative ma sono effettivamente delle richieste. Materialmente ci si aspetta che una richiesta di questo tipo modifichi il comportamento del nostro interlocutore. Illocuzione, richiesta informazione Perlocuzione / l’effetto, lo scopo è quello di condividere l’informazione L’esistenza di un atto indiretto è una manifestazione, la più visibile, della flessibilità, della creatività e dell’arbitrarietà di uso della lingua. La lingua si flette in base all’uso. Il significato può essere implicito o esplicito. Il fatto di poter esprimere una stessa intenzione (F), forza illocutoria, attraverso più strutture superficiali (p) è la conseguenza del fatto che : l’atto linguistico è convenzionale es. domanda Arbitrarietà: possiamo comunicare una stessa intenzione in più modi scegliendo quello più appropriato alla situazione comunicativa. PER ESERCITARSI La dichiaro in arresto È un esempio di atto ? 1. Locutivo 2. Illocutivo 3. Perlocutivo Perché nel momento in cui si proferisce un enunciato di questo tipo in un contesto formale e ufficiale, quindi si tratta di un performativo forte, si compie anche un atto che ha delle conseguenze. Quale delle risposte riportate è un esempio di implicatura? DOMANDA: che ore sono? RISPOSTE: 1. Sì 2. Mi spiace, non ho l’orologio 3. Il postino non è ancora passato Per dare un senso a questa risposta dobbiamo far riferimento a delle conoscenze condivise perché i due partecipanti devono condividere a che ora passa normalmente il postino da casa loro: il postino passa alle 13, se non è ancora arrivato vuol dire che non NON dipende dalle circostanze d’uso dell’enunciato (semmai del contesto, della situazione extralinguistica). Per quanto concerne le implicature, di cui non abbiamo ancora discusso, Grice riconosce due tipologie: quelle convenzionali e quelle conversazionali. Tutti gli esempi che abbiamo analizzato sono esempi di implicatura conversazionale, le convenzionali sono un po’ meno originali e le esamineremo poi. Tra implicature e presupposizioni da un lato e ancora di più tra implicature convenzionali e conversazionali esistono sia dei punti di contatto che dei punti di divergenza. Anzi potremmo dire che implicature convenzionali e implicature conversazionali stanno su poli pressoché opposti, sono concetti e nozioni antitetiche. Però questi processi si inseriscono a pieno nella teoria del significato pragmatico, la cui modernizzazione è cominciata con John Searle per essere poi affinata da Grice e così via. Quindi: GRICE distingue: • implicature convenzionali • implicature conversazionali Hanno proprietà opposte Questo concetto, questo duplice riconoscimento, è stato individuato da Grice nel 1967 in una lezione: “logic and conversation” (???) tenuta ad Harvard appunto nel ’67. Ed è proprio la lezione in cui Grice nominerà il concetto di implicatura e i suoi due tipi. La nozione di implicatura fin da subito si contrappone a quella di presupposizione Definizione completa: “Implicatura è qualcosa che può essere comunicata attraverso un enunciato senza essere esplicitamente detta, senza cioè essere parte del significato convenzionale dell’enunciato” Vale a dire che si distingue tra ciò che alla lettera si dice e ciò che si intende dire. L’implicatura NON fa parte del significato letterale dell’enunciato, perché, poiché non è proferita attraverso le parole non fa parte della struttura locutoria, e NON dipende dalle circostanze d’uso dell’enunciato, ma semai del contesto, della situazione extralinguistica. LE IMPLICATURE Differenza messa in evidenza da Grice sui due tipi di implicatura: • Implicatura convenzionale Rivela qualcosa che non viene detto (questo è ovvio per tutti e due), ma che viene fatto intendere utilizzando convenzioni linguistiche. • Implicatura conversazionale Al contrario, rivela qualcosa che non viene detto, al pari della prima, ma che viene fatto intendere utilizzando il contesto della conversazione. Quindi nel secondo caso ci si avvale della funzione contestuale di tutto l’intorno contestuale, di tutte le informazioni che derivano dal contesto, mentre nel primo caso il significato è affidato per convenzione a delle espressioni linguistiche. Le Implicature Convenzionali sono degli impliciti, che non fanno parte del significato e sono inoltre cristallizzate nel loro uso. Ad esempio le espressioni: quindi, ma, persino, già, finalmente, purtroppo, perciò, dunque…Sono delle spie lessicali che ci guidano verso l’individuazione di una Implicatura Convenzionale. Sono associate in modo stabile ad un contesto e inoltre sono staccabili perché lo stesso contenuto può essere espresso in modo da essere rimosso. Vengono generate in tutti i contesti e non sono inoltre calcolabili perché sono colte per convenzione, cioè intuitivamente, vengono associate a delle espressioni lessicali. CONVENZIONALE • La ragazza di Marco è bella ma intelligente È un’implicatura convenzionale. Implicare in modo convenzionale è molto vicino all’affermare, in realtà. In questo caso l’elemento che denota la presenza dell’implicatura convenzionale è il ma (dal punto di vista grammaticale il ma è una congiunzione avversativa). Qual è il senso di questa frase? Cosa non viene detto? Il ma ha una funzione contro argomentativa (appunto avversativa), cioè quello che viene dopo il ma non è prevedibile (dopo quello che viene detto prima) anzi è quasi il contrario di ciò che ci si attende: La ragazza di Marco è bella, di solito per stereotipo le ragazze belle non sono intelligenti, sono delle oche ecc. • Giulio è ricco ma generoso Stesso esempio, costruito allo stesso modo, anche qui le persone ricche di solito sono avare, anche qui c’è la condivisione di uno stereotipo sociale. Ma è generoso, il contrario di quello che si potrebbe pensare, di quello che avviene solitamente. • Paolo è italiano ma è onesto > Anche questa è un’implicatura: generalmente gli italiani non sono onesti. • Il negozio era già chiuso Abbiamo una serie di implicature convenzionali, veicolate attraverso il già: Era passato l’orario di apertura Era il giorno di riposo Ha cessato l’attività Conseguenza: non ho acquistato qualcosa, mi stavo dirigendo proprio lì con l’esigenza di acquistare qualcosa. • Finalmente sei arrivato Qui abbiamo finalmente, un’implicatura convenzionale. Qual è il significato che possiamo costruire partendo da questo enunciato? Finalmente sei arrivato => perché sei in ritardo (abitualmente in ritardo) Finalmente sei arrivato => speravamo che arrivassi perché volevamo comunicarti qualcosa… non vedevamo l’ora di metterti al corrente di… • Con Maria ci siamo lasciati Consensualmente, purtroppo Consensualmente, per fortuna Per sua volontà, ahimè Per sua volontà, finalmente Notate come è sufficiente l’inserimento di un elemento lessicale ritualizzato, fossilizzato nel suo senso, per conferire all’enunciato di volta in volta un significato parzialmente o completamente diverso (perché per sua volontà, ahimè e per sua volontà, finalmente sono opposti, così come purtroppo e per fortuna) • Quindi … esci a cena questa sera? • Quindi … questa sera ti racconto tutto Anche il quindi che è un esplicativo, così come cioè, ovvero… INTERFERENZE OBBLIGATORIE Spesso si creano dei conflitti, delle conflittualità. • Carlo ha presentato tardi la domanda Non potrà iscriversi al concorso Se Carlo non ha presentato la domanda non parteciperà a qualcosa che vorrebbe o a cui avrebbe voluto partecipare. In questo caso è tardi, è questo avverbio temporale deittico a dare un significato aggiunto, c’è una conseguenza (anche perlocutiva in questo caso). • Purtroppo è lunedì Si torna a lavorare / scuola Interferenze impossibili • Purtroppo è lunedì, che bello! L’esclamativa “che bello!” entra in conflitto con il significato di “purtroppo”, non possono essere usati allo stesso tempo. IPERCOOPERAZIONE Lo stesso parlante in questo caso la sta riproponendo, sta riformulando l’enunciato in maniera diversa cancellando l’implicatura che inizialmente aveva lasciato indenne, in questo senso è cancellabile. Le implicature conversazionali sono dei punti più studiati e più originali della teoria di Grice, sono considerati delle vere e proprie strutture proposizionali che pertanto possono essere valutate in termini di condizioni verocondizionali. Queste condizioni sono in realtà avulse da ciò che effettivamente si dice, cioè dal contenuto preposizionale. Un conto è quello che si dice, un conto è quello di cui vogliamo implicare. Di conseguenza ci può essere un perfetto allineamento tra le condizioni di verità o falsità, o al contrario un disallineamento. Allora: si può dire il vero e implicare il vero, cosi come dire il falso e implicare il falso, ma si può dire il vero e implicare il falso, e dire il falso e implicare il vero. Vi sono tutta una serie di possibilità combinatorie. Questo può avvenire perché si fa riferimento a dei significati integrativi. Es Guideresti una Mercedes? (lo scambio dialogico si svolge in questi termini con la risposta: Non guiderei mai un’auto di lusso (la Mercedes è un’auto di lusso) Si può estendere questa condizione tanto da abbracciare altri elementi che naturalmente non sono detti ma che potrebbero essere implicati per estensione? SI. Infatti non guiderebbe né una Mercedes né qualunque altra auto di lusso. Si potrebbe aggiungere che forse il soggetto ha dei gusti semplici che non ama il lusso e non realizza nessun comportamento che è ritenuto aver a che fare con lusso e ricchezza. Una personalità più improntata alla sostanza che alla forma. Questi implicatori vanno costruiti in base dei parametri già citati come conoscenze condivise contesto situazionale extralinguistico ecc. Es: Roberto è un bulldozer (metafora si comporta come un bulldozer), è quindi testardo e tenace, non si ferma mai e instancabile. C’è un significato tra le righe significa qualcos’altro che essere solo tenace: come comportamento aggressivo, autoritario. Per comprendere appieno questo bisogna cercare sul dizionario la parola Bulldozer: macchina da lavoro ciondolata, munita anteriormente di una grossa lama concava usata per divellere terreni, sgomberare macerie estirpare piccoli alberi ecc. Questo dà l’idea che comportarsi i come un bulldozer significa qualcos’altro che essere semplicemente tentaci. Si potrebbe implicare e costruire il significato. Talvolta infatti si potrebbe andare incontro a delle vere e proprie illazioni cosi procedendo. Quindi diremmo che Roberto è insensibile come fa questa macchina di lavoro che estirpa passa sopra e sgombera. Questi significati spesso implicano una cosa, ma questa implicatura può essere estesa il suo raggio di azione si allarga aggiungendo anche degli altri possibili sensi. (Possibili perché se si conosce Roberto e si possono fare questo tipo di congetture è positivo, altrimenti si rischia di dare una valutazione sbagliata. Seconda struttura che appartiene al non detto che è la presupposizione. È un concetto molto discusso che raccoglie anche più tipologie, molto discusso perché è stato messo in dubbio da un certo periodo in poi. La nozione di presupposizione che è un concetto logico, una relazione logico semantica era già presente tutta la tradizione degli studi relativi alla logica e alla filosofia del linguaggio. Questo concetto ha origine in ambito filosofico, nello specifico nella filosofia analitica del linguaggio ed è un concetto ben presente e discusso nelle opere di Frege e Russel. L’opera “senso e significato” è uno dei capostipiti della filosofia analitica del linguaggio (1892), così come nell’opera di Russel (1905), in cui questo filosofo nella “teoria delle definizioni” mette in dubbio la nozione di presupposizione. La presupposizione viene definita, come qualcosa che un enunciato non dice in modo esplicito ma presuppone che esista o sia esistito. Siamo di fronte a una forma di non detto, perché non si dice in modo esplicito almeno nell’ambito della portata di questi studi ma presuppone che “esisto sia esistito sia esistito”. Non è molto illuminante questa definizione perché è una condizione riflessiva metalinguistica che usa il termine presuppone per spiegare che cos’è la presupposizione, quindi è circolare, non dice che cos’è qualcosa che venga presupposto. In un’altra definizione: la presupposizione è delineata come una caratteristica del linguaggio, non ci dice esplicitamente qualcosa ma la si pone implicitamente. Anche questa definizione non è calzante perché sembrerebbe sovrapporsi per molti aspetti a quella dell’implicatura. Come si distinguono i due costrutti, dato che si parla di costrutti diversi o parzialmente diversi, perché negli ultimi decenni la nozione di presupposizione è stata contestata. Si parte dalla formula: C’è presupposizione quando X presuppone Y, quando qualcosa ne presuppone un’altra. La relazione logico semantica, possiede anche una connessione pragmatica In ambito più vicino e in tempi cronologicamente più vicini ai nostri, in ambito più linguistico la presupposizione è definita come qualcosa che viene innescata da un elemento linguistico, da un’espressione che appare in superficie. Questa definizione è completamente esaustiva? Potrebbe andar bene per l’implicatura convenzionale, sembrerebbe la stessa cosa? DEFINIZIONI Definizione ristretta: • La presupposizione è qualcosa che viene innescato da un elemento linguistico, da un elemento che appare in superficie. Ma questa definizione non basta, perché potrebbe andar bene per l’implicatura convenzionale. Ma: • A differenza dell’implicatura conversazionale NON è staccabile. Definizione larga (e quindi in maniera più pertinente): • La presupposizione è considerata come un insieme delle conoscenze condivise sul mondo, ovvero il background del discorso. • Negli anni ’70 è studiato come fenomeno semantico, ma in realtà non è esclusivamente un fenomeno semantico. Quindi, cos’è una presupposizione? PRESUPPOSIZIONE: I TIPI • Sono stati postulati vari tipi di presupposizione: • Presupposizioni logiche Sono quelle che si riferiscono alla coerenza logico-deduttiva di qualcosa che viene asserito *25 Il presidente è arrivato ma non esiste alcun presidente (è una contraddizione che rende inaccettabile l’enunciato dal punto di vista del suo significato semantico e anche logico); • Presupposizioni esistenziali Il presidente è arrivato Questo enunciato contiene la presupposizione che esista il presidente (Se il presidente è arrivato, si presuppone che esista); • Presupposizioni semantiche Sono quelle che hanno attirato maggiormente l’attenzione degli studiosi ed sono delle presupposizioni che scaturiscono da una serie di espressioni lessicali: Paolo ha smesso di fumare La presupposizione è che Paolo fumava è un non detto diverso rispetto all’implicatura, poiché esso è desumibile da alcune espressioni lessicali presenti già nell’enunciato. Alcuni esempi: Presupposizione d’esistenza • Lo zio di Giulia è un artista • esiste uno zio di Giulia (ed esiste anche Giulia); 25 L’asterisco (*) indica l’inaccettabilità. Presupposizione: qualcuno diverso da A e da Mario è diventato vegetariano. A. Anna sa28 di aver ereditato una casa in collina A.a. Inferenza: Anna ha ereditato una casa in collina B. Anna non sa di aver ereditato una casa in collina A.b. Inferenza: Anna ha ereditato una casa in collina La Triestina torna in serie A Implicature: • La Triestina è una squadra di calcio (Conoscenza condivisa) • La serie A è la massima serie del campionato di calcio • La triestina giocherà l’anno prossimo in serie A • La Triestina si è classificata bene nel campionato di B di quest’anno Presupposizioni: (Sono tali in quanto legate al verbo “Tornare”) • La Triestina era già stata in serie A presupposizione indotta dal verbo di cambiamento di stato “Tornare”; • La Triestina non è attualmente in serie A se la Triestina fosse in serie A, non potrebbe tornarci, in 28 Verbo fattivo. Il verbo “Sapere” regge una frase complemento, la cui validità deve essere data per scontata Tutto quello che c’è dopo il verbo “Sapere”, è la frase complemento. I titoli giornalistici, le pubblicità, utilizzano molto spesso le presupposizioni e le implicature Ci sono anche delle CONVERGENZE fra i due modelli, fra i due percorsi teorici: • Una certa attenzione nei riguardi del rapporto tra la mente e il corpo, viste in maniera diversa ma comunque c’è una funzione che non c’era tra gli strutturalisti. • Costante ricerca di generalità, cioè l’obiettivo era quello di inserire la teoria del linguaggio in un quadro più ampio, quindi cercare raccordi con le cosiddette scienze dure. • Rapporti con psicologia, filosofia della mente, scienze dure (biologia e neuroscienze). • La linguistica cognitiva oggi è un insieme, una galassia di studi e ricerche, di proposte teoriche che si allontanano dal paradigma generativo classico. È una prospettiva di studio ormai così ampia e interdisciplinare che sarebbe riduttivo considerarla unicamente come una contrapposizione al modello generativo. Sicuramente inizialmente questo è stato l’input per allontanarsene, ma oggi non sarebbe più attuale anche perché il generativismo da diversi decenni ha perso forza. LE IDEE DI FONDO DELLA LINGUISTICA COGNITIVA: • In questa prospettiva, la capacità linguistica deriva dalle interazioni e dal contesto d’uso in cui le abilità si acquisiscono e si sviluppano. • La facoltà del linguaggio NON è autonoma e quindi vuol dire che non può essere isolata dalle altre abilità cognitive. • Il linguaggio crea una sorta di interazione con le altre risorse cognitive, creando numerose connessioni. • Molti di questi aspetti sono stati già affrontati, sono già confluiti all’interno di programmi non generativisti del secolo scorso, funzionalismo, linguistica testuale, sociolinguistica, pragmatica e retorica (quei raccordi che vanno pian piano all’esterno • Solo la linguistica cognitiva, con un’ottica ancora più ampia, ha permesso di sistematizzare questi punti in un’ottica innovativa. Nello specifico: ASSENZA DI MODULARITÀ • Relazione indissolubile tra piano linguistico e piano cognitivo • La mente non è strutturata in moduli autonomi dedicati a facoltà diverse • Il linguaggio è collegato ad altri sistemi cognitivi e va considerato come un aspetto integrale dell’organizzazione psicologica complessiva La mente non è collocabile ad una regione ben specifica del cervello e non è autonoma, ma fa parte dell’organizzazione complessiva della Di cosa si occupa in sostanza la LC? Argomenti privilegiati: • Cognizione • Non autonomia del linguaggio (integrazione del linguaggio con altre facoltà e capacità mentali) • Fenomeno dell’Embodiment • Ruolo centrale dell’Esperienza • Categorizzazione • Costruzione • Motivazioni cognitive • Immaginazione, creatività In sostanza tutto quello che sta al di sotto della cognizione, tutto quello che ci porta a conoscere e a rappresentare il mondo. Chiudiamo con due riflessioni: SVILUPPI • È un approccio innovativo, anzi, più che un approccio innovativo viene considerata come un nuovo atteggiamento epistemologico poiché il ruolo della conoscenza è fondamentale. • Intreccio di vari domini: “Il linguaggio fa parte integrante della cognizione umana e l’analisi linguistica, per essere efficiente ed efficace, deve coniugarsi con la conoscenza delle capacità cognitive”; c’è questa apertura, una profonda connessione. Questo ambito è un arcipelago di ricerche, questi appena citati sono gli sviluppi, ma verso dove sta andando? Non è facile circoscriverlo tanto che gli studiosi hanno postulato il cosiddetto OTTAGONO COGNITIVO: la perfezione di uno studio cognitivo, deve poter contemplare e potersi agganciare a diverse scienze, la LC non può essere esclusivamente un modello linguistico, nell’ambito delle scienze cognitive ci sono tante discipline che si agganciano: • Psicologia • Neuroscienza • Linguistica • Intelligenza artificiale • Filosofia • Educazione • Antropologia • Psicopatologia Il terreno di riferimento delle scienze cognitive è molto vasto, all’interno di queste scienze cognitive il linguaggio sembra essere un processo tra tanti altri. 22 novembre LA CATEGORIZZAZIONE COGNITIVA CATEGORIZZAZIONE Vi è una tematica cioè la categorizzazione intesa come procedimento essenziale dell’intera linguistica cognitiva, che non può prescindere da tutti quei fenomeni di rappresentazione concettualizzazione categorizzazione mentale. Ma in realtà è un ambito, processo su cui gli antichi avevano a lungo riflettuto, già nell’antica Grecia il fenomeno della categorizzazione della concettualizzazione era un argomento fra gli altri in discussione. È un sistema complesso di relazioni e di processi mentali che fanno si che l’esperienza venga trasformata cioè concettualizzata attraverso schemi mentali, presiede la formazione di oggetti, eventi> il continuo dell’esperienza si trasforma in una entità mentale. Un’attività cognitiva molto rilevante alla base della cognizione umana, alla base di tuti i processi di conoscenza. Procedura automatica, spesso inconsapevole di cui non si è consci, che avviene attraverso astrazioni, la realtà che ci circonda è complessa, multiforme, variabile e dinamica, attraverso un processo di astrazione, schematizzazione, concettualizzazione, da questa realtà si riesce a recuperare degli schemi mentali, fissi costanti che ci permettono di categorizzare. Attività cognitiva pervasiva e basilare per tutte le forme e i processi dell’apprendimento, non soltanto linguistico naturalmente. Ci permette di formare e comprendere tutti i concetti, conoscesse la realtà, comprenderne i concetti, costruire entità, interagire con il mondo esterno perché l’interazione divenga molto più dinamica vicendevole nel momento in cui riusciamo a dominarla e conoscerla nei suoi elementi essenziali. Se non ci fosse questo processo di categorizzazione noi non potremmo conoscere la realtà e concettualizzare elementi, processi e schemi LA CATEGORIZZAZIONE è fondamentale per Economia mentale: riusciamo cioè a formare delle categorie concettuali, cioè a ricavare da tutte quelle realtà multiformi degli elementi che sono simili, e a ricondurre quegli elementi nelle stesse categorie, una sorta di immagazzinamento. Come quando in casa riuniamo gli oggetti e li mettiamo negli stessi cassetti. Questo è un procedimento pratico è utile ed efficiente, può avvenire perché a priori abbiamo concettualizzato una serie di eventi e di conoscenze. Molteplicità di funzioni> carattere interdisciplinare perché si basa su una plurifunzionalità che sta alla base, in tutto ciò il linguaggio ha un ruolo importante ma non è l’unico per concettualizzare. Carattere di adattamento alla vita esterna: Questo processo è avvenuto in tempi molto lontani quando l’uomo ha dovuto adattarsi alla vita esterna. Un processo evolutivo adattativo, per poter condividere l’ambiente e i contesti esterni abbiamo dovuto conoscerli e schematizzarli. Secondo Givòn, la categorizzazione è uno dei processi adattativi più importanti e incisivi dell’evoluzione biologica umana. Nell’uomo con tutto il contorno della cognizione questo processo ha avuto una pervasività di gran lunga maggiore. Si pensi a quante forme di categorizzazione e di concettualizzazione mettono in atto i bambini nei primi anni della loro vita, devono esplorare il mondo. Nella specie umana, le capacità concettuali correlate alla categorizzazione sono estese e raffinate, perché la cognizione è nettamente superiore per struttura, organizzazione e funzione. Il sistema linguistico inoltre nell’uomo permette di mettere in campo dei processi mentali più complessi quale ad esempio come quello relativo alla concettualizzazione ma anche alla lessicalizzazione dei concetti. Si sa che ogni parola ha un significato, come perveniamo ad assegnare un significato ad una parola? Per mezzo dell’esperienza, per mezzo delle conoscenze enciclopediche del mondo. Le categorie hanno un ruolo essenziale. Categorizzare vuol dire circoscrivere, spezzettare la realtà esterna e inserire tutta questa varietà multiforme in tante categorie diverse l’una dall’altra. Quindi la categoria ha un ruolo essenziale tanto in attività pratiche o astratte (elaborare ipotesi, fare interferenze, associare concetti). Si pensi alle attività pratiche come la raccolta differenziata. Ogni volta che si suddividono i rifiuti li si categorizza, quest’operazione è categorizzazione. Cosi come si può categorizzare i messaggi di posta elettronica. Anche procedimenti astratti come elaborare ipotesi, fare inferenza, associare concetti sono categorizzazioni di natura astratta. Wingerton sosteneva che il pensiero offline è una caratteristica sofisticata ed esclusiva dell’uomo, che permette di poter elaborare delle situazioni con cui non dobbiamo confrontarci nell’immediato, di fatto potrebbero essere insistenti, con cui potremmo confrontarsi in un futuro, solo l’uomo riesce a proiettare, elaborando ipotesi, elaborando una serie di attività mentali, qualcosa che porterebbe avvenire nel futuro. Si ha cosi il passaggio continuo da esperienze individuali (tokens) alla rappresentazione mentale di tipi ricorrenti (types) vale a dire: l’esperienza individuale è soggettiva, ma da questa esperienza individuale riusciamo a trarre quegli schemi continui, stabili ricorrenti frequenti, di conseguenza ricavare una rappresentazione mentale. Sarebbe anche economico se non mettessimo in atto processi di categorizzazione e concettualizzazione della realtà, sarebbe antieconomico ai fini del processo di apprendimento. Questo ci permette quindi di raggruppare oggetti, anche attività estraendo da questi oggetti attività da conoscere, schemi comuni. Estraendo ciò che è simile e ciò che è diverso, percezioni, sensazioni, emozioni, per tratti simili, per somiglianze o differenze Vuol dire dare un nome alle cose> lessicalizzare. Questo è un processo non iniziale, ma che avviene in subordine dopo che si è attivata la cognizione. A B C Queste circonferenze sono le categorie: categoria A, categoria B (più piccola e inclusa in A), categoria C (altra). Le sistematicità tengono bene a livello teorico, ma l’uso effettivo si scontra spesso con l’impossibilità di poter inserire in queste categorie degli elementi. ES: una di queste categorie è quella degli UCCELLI. Lo STRUZZO appartiene alla categoria degli UCCELLI, perché possiede delle condizioni necessarie e sufficienti per rientrare in questa categoria (dove troviamo anche altre tipologie di uccelli, come passero, cardellino, pinguino, ecc… ). Le categorie (A, B, C) hanno dei punti in comune? No, sono diverse l’una dall’altra. Queste categorie sono continue o discrete? Sono discrete, perché non sono sovrapponibili e possiedono confini ben definiti. Lo struzzo è un uccello, e non può essere appartenente a nessun’altra categorie, perché possiede caratteristiche necessarie e sufficienti per la categoria degli UCCELLI, e, così, esclude tutte le altre categorie. Queste categorie sono massimamente omogenee, non è ammessa un’eccezione, o al confine tra 2 categorie39. Questo modello antico è inadeguato perché è rigido e fondato su categorie assolute e discrete. Non è prevista una correlazione tra le categorie, non ci sono punti di contatto esclusione a priori ella possibilità che due elementi di categorie diverse possano essere limitrofi, se non addirittura sovrapposti. Tutti i membri di una categoria sono presupposti come logicamente equivalenti, equipollenti (Questo vuol dire che lo struzzo è logicamente e concettualmente equivalente al passero, al cardellino, all’usignolo…)> non è facilmente applicabile ai fenomeni naturali. Givòn (1989) definisce questa categorizzazione “platonica”, idealista APPROCCIO CLASSICO • Secondo Aristotele: categoria è definita in base ai principi ultimi che la compongono • I tratti sono necessari e sufficienti (come già precisato) • I tratti sono binari • Non esistono gradi di appartenenza Tutti gli elementi di una categoria sono postulati come identici. • I confini delle categorie sono netti (cioè discreti). • L’ambiguità non esiste né è ammessa. 39 È bene ricordare che “categorizzazione” deriva dall’aggettivo “categorico”, che ancora oggi indica qualcosa di assoluto, che non ammette svincoli. • Questo modello, che è stato elaborato e applicato anche dai naturalisti, dagli zoologi, ha avuto delle conseguenze anche in ambito linguistico: non è un caso che tutti il binarismo e tutte le teorie binarie del 1900(quelle strutturaliste di taglio fonologico, ad esempio), hanno avuto un’origine indiretta da questo tipo di rappresentazione. Anche il generativismo postula dei tratti articolatori a livello fonologico che sono binari (tratti binari, primitivi, universali e innati) senza eccezioni. Tutto ciò che non rientrava in queste categorie rigide veniva lasciato a margine questo spiega perché gli studi pragmatici, sociolinguistici, della geografia linguistica siano arrivati più tardi: non c’erano né le metodologie né gli strumenti di analisi per poterle interpretare. I problemi: • In alcuni casi (soprattutto per i fenomeni naturali e per i concetti quotidiani) non è possibile una definizione adeguata in termini di tratti sufficienti e necessarinon si adattavano a categorie così rigide. • Non è vero che tutti gli elementi di una categoria hanno lo stesso status (alcuni elementi sono più rappresentativi di altri, sono dei migliori rappresentanti di quella categoria). • Questo modello (classico) non riusciva a spiegare la vaghezza dei confini tra categorie, e la vaghezza semantica di quei concetti, fenomeni, attività che non rientravano in nessuna categoria. Per superare quest’ultimo problema, in alcune discipline sono stati trovati degli espedienti in dialettologia è stato usato il termine di “dia sistema” (studia il contatto e l’interferenza linguistica, zone d’ombra e di continuitàbasti pensare al concetto di zona linguistica, impossibile da postulare senza un concetto di continuità). DISCRETO E CONTINUO • Dibattito cruciale del 1900. • Modelli linguistici del 1900 fondati sulle nozioni di sistema, strutture, regole lineari e discrete. • Concezione discreta del linguaggio umano e delle categorie stesse (il segno linguistico è lineare e discreto). Se così non fosse, non potremmo avere una componente morfologica. Se non avessimo la discretezza, non potremmo formare nuove parole partendo da quelle già esistenti, non potremmo combinare suoni, non potremmo elevare unità e pezzi di unità per formare unità di gerarchia superiore… • La concezione discreta comincia ad entrare in crisi con l’evoluzione e la progressiva diffusione di altre discipline, tra cui la sociolinguistica, la geografia linguistica, la psicologia cognitiva, la pragmatica, l’analisi conversazionale tutti ambiti in cui l’applicazione di regole e modelli discreti non era più adeguata nuove metodologie, nuovi percorsi interpretativi. • Ad es. lo spazio linguistico non può avere una teorizzazione discreta, né l’analisi dialettologica (come detto in precedenza). • Inoltre, se la fonologia e tutte le categorie distintive della lingua sono discrete (appartenenti, cioè, alla “forma”), non lo è invece la sostanza fonetica • Le categorie della pragmatica sono sfumate e graduate, non si prestano ad una modellizzazione discreta (pensate alla deissi, al riconoscimento delle forze illocutorie…). LA CRISI DEL MODELLO CLASSICO Il caso che sconcertò i naturalisti di fine ’700 fu la scoperta dell’ornitorinco in Australia. questo evento mise in crisi l’intero sistema. Nel 1799 viene scoperto ed esaminato questo nuovo animale, i naturalisti ne esaminano un esemplare impagliato credettero che fosse una burla, che tale esemplare fosse un artefatto. • Si tratta di un piccolo mammifero semiacquatico australiano dalla fisiologia unica • L’ornitorinco è oviparo, ha il becco che ricorda l’anatra, le zampe palmate come gli uccelli • Ma ha il pelo, la coda piatta come il castoro, pelliccia marrone, è quadrupede come i mammiferi. • Difficoltà di classificazione: i naturalisti si chiesero se esse fosse l’anello mancante tra due specie, se fosse una categoria degli uccelli, se appartenesse alla categoria dei mammiferi o a una nuova categoria. Le scienze in quel periodo vivevano il loro massimo splendore (darwinismo, botanica, scienza naturali…) • “Come si poteva mettere insieme il becco e le zampe palmate con il pelo e la coda da castoro, o l’idea di castoro con quella di un animale oviparo, come si poteva vedere un uccello là dove appariva un quadrupede, e un quadrupede là dove appariva un uccello?” (Eco, 1997, 71-72, “Kant e l’ornitorinco”)questo piccolo mammifero ha scardinato le certezze dei naturalistiLa categorizzazione di cui stiamo parlando convoglia, classifica per elementi ciò che appartiene a un animale, a un oggetto, ad una attività… ma in questo caso, non era possibile classificare l’ornitorincoper farlo, è stata creata una nuova classe zoologica (quella dei monotremi), in cui è stata inserita anche l’echidna. • La classificazione delle specie naturali è ricca di revisioni e correzioni, ad esempio in paleontologiaogni volta che viene ritrovato un nuovo fossile, spesso vengono riviste intere eree. Altro esempio: agosto 2013, si scopre che l’olinguito (incrocio tra gatto e un orsetto che vive nelle foreste dell’Ecuador e Colombia) è stato confuso con il cugino più grande, l’olingo, stesso genere ma altra specie. Come si scopre l’errore? Nel tentativo di farli pervasiva perché ad esempio A ha dei punti di contatto con B, ma A non ha nulla a che fare con D o con C. La distinzione tra le categorie non può dunque essere netta in quanto i punti preferenziali in cui non è postulabile la discretezza sono i bordi ma non fra tutte le categorie postulate. Si mette in evidenza anche un altro fattore che la classificazione di un oggetto non è sempre semplice, deve essere opportunamente valutata. Comincia ad emergere una condizione di gradualità e il modello, per l’appunto, è quello che ricorda un grappolo, una catena di concetti interrelati. Questo vuol dire che sono trascorsi gli anni in cui il modello per condizioni necessarie e sufficienti è ritenuto adeguato, sebbene non è stato completamente sostituito. WILLIAM LABOV Labov (noto socio linguista statunitense) negli anni ’70, in un ambito propriamente linguistico, aveva concepito un’idea simile riguardo la linguistica. E non è un’idea sorprendente se si considera che Labov è un sociolinguista e la sociolinguistica è stata la prima ad aprirsi verso un ambito continuo e non più discreto. Ha elaborato dei veri e propri esperimenti ed ha scritto anche un libro nel 1977 “Continua il discreto del linguaggio”. Si è chiesto: Come distinguiamo oggetti simili tra loro assegnandoli a categorie diverse? E l’esperimento che ha condotto è quello che permetteva la distinzione tra la tazza, la scodella ed il bicchiere. Secondo Labov c’è un confine poco netto. Alcune tipologie sono più rappresentative di queste classi, altri meno; così nell’esperimento chiedeva a degli individui di visionare delle figure e di dire se fossero delle tazze, delle scodelle, o dei bicchieri. Secondo Labov nella categorizzazione quotidiana noi tendiamo a dividere gli oggetti come X e come NON-X ed abbiamo anche nomi diversi per indicare le categorie, ad es. quella della tazza, quella delle ciotole ecc. Quello che ci permette di poter classificare gli oggetti in questi schemi mentali sono i primitivi semantici. Ad es. la tazza, nella condizione ideale, è di porcellana, è di piccole dimensioni, ha un manico ed ha un piattino. Questo è quello che noi ci aspettiamo dai correlati essenziali affinché un oggetto sia interpretabile come tazza. In realtà tutto ciò non è sempre sufficiente ad assegnano questo oggetto alla categoria della tazza. Infatti riflettendo sui risultati del suo esperimento ha dedotto che i contenitori di liquidi che fuoriescono dai distributori automatici potrebbero essere considerate anche delle tazze, o dei bicchieri, anche se non possiedono le caratteristiche tipiche perché sono di plastica, non hanno il piattino e nemmeno il manico. Il miglior esemplare è il numero 1 (slide), man mano che ci spostiamo sull’asse orizzontale la tazza mantiene le stesse caratteristiche ma aumenta il suo diametro. Invece sulla seconda fila rimane uguale il diametro ed aumenta l’altezza. Vediamo dai risultati dell’esperimento che soltanto il recipiente numero 1, nel 100% dei soggetti intervistati, è stato considerato tazza. 5 dicembre 2017 Categorizzazione: i due modelli tradizionali, il primo per condizioni necessarie e sufficienti e il secondo somiglianze di famiglia elaborate nel corso degli anni. Anche il modello relativo alla somiglianza di famiglia presentava delle debolezze, anche se le categorie non sono intese rigidamente discrete ma non sono ancora continue, quindi la vaghezza dei confini categoriali era uno dei problemi più di difficile risoluzione anche all’interno di questo modello. Spetta ad ELEANOR ROSCH psicologa cognitiva, il merito di aver elaborato un modello di categorizzazione modellizzazione della conoscenza specifico, soprattutto che riuscisse a sanare gran parte delle debolezze dei modelli precedenti, questo modello è chiamato: categorizzazione a prototipo il concetto di prototipo, o concezione prototipica. • È stata elaborata a partire dalla metà degli anni ’70, è stato impiegato in più direzioni, sfrutta una concezione cognitiva della categorizzazione. il lavoro più completo sulla categorizzazione si deve a Eleanor Rosch che introduce il concetto di prototipo. Ha condotto una serie di esperimenti partendo proprio da un’idea classica: tutti i membri di una categoria abbiano qualcosa in comune quindi una sorta di appartenenza e identità categoriale, allo stesso tempo hanno però hanno degli elementi meno comuni e meno rappresentativi della categoria. • La nozione di prototipo ha avuto una rapida diffusione ed è stato applicato in svariati campi (psicologia, linguistica, intelligenza artificiale). • Gli interessi della psicologia erano orientati verso la risoluzione di problematiche di natura sia psicologica che cognitiva e percettiva. Enuncia una serie di I PRINCIPI per elaborare tutto un modello di categorizzazione cognitiva. • Principio dell’economia cognitiva: in psicologia rende conto del fatto che bisogna con un minimo sforzo ottenere il massimo rendimento, una sorta di semplificazione messa in atto per non sovraccaricare la memoria, la percezione e anche l’intero apparato cognitivo. • Principio della struttura del mondo percepito. C’è una correlazione tra le conoscenze del mondo e la realtà, nel senso che si riesce a conoscere il mondo perché si riesce a percepirlo, attraverso i principi di lessicalizzazione si riesce a conoscere e a concettualizzare la realtà circostante. Otteniamo cosi il massimo grado di conoscenza con il minimo dispendio cognitivo. Il mondo percepito si presenta come una realtà molto variegata, a tratti confusa, è compito del processo di categorizzazione è quello di rimettere ordine categorizzando le conoscenze della realtà. Per poter categorizzare questa realtà circostante che appare come un insieme poco strutturato e persino confuso, la Rosch suggerì un modello graduato, in cui le categorie non sono più intese in modo discreto, non sono concatenate le une con le altre come postulato da Witnestein, ma sono intese in modo innovativo, sono costruite intorno a uno stimolo cognitivo che identifica e denomina prototipo. Si configuravano attorno a stimoli percettivamente o cognitivamente salienti, che chiamò prototipi. Il prototipo è l’elemento più rappresentativo di una categoria dal punto di vista cognitivo. Secondo Taylor è uno schema mentale, IL PROTOTIPO • È il migliore rappresentante della specie, <il caso più chiaro di appartenenza alla categoria, definito operativamente dal giudizio delle persone sulla “bontà” di appartenenza alla categoria> (Rosch 1978,36). La Rosch ha condotto questo modello dai risultati di una serie di esperimenti cognitivi che erano somministrati ad un gruppo di informatori comuni. Operativamente sta ad indicare il fatto che la Rosch ha semplicemente chiesto come si chiama questa cosa? Che cos’è questo?. E l’informatore fornisce la risposta. Può sembrare banale questo tipo di sperimentazione in realtà non è così perché ci sono dei casi, di dubbia appartenenza categoriale ed è per questo che sono sono sondati in questo modello due tipi di appartenenza categoriale, due tipi di risposte cognitive. • È l’insieme delle proprietà tipiche della categoria. La Rosch dice che gli elementi di una categoria non sono tutti uguali questo in realtà era già emerso negli anni precedenti, questi elementi hanno uno statuto parzialmente diverso, cioè alcuni sono migliori degli altri, Il prototipo è migliore rappresentante ma vicino al prototipo ci sono degli elementi più vicini, più prototipici di altri. Ogni configurazione una categoria esse sono parzialmente sovrapposte e dalla sovrapposizione comune si identifica una zona comune, questa zona comune è il prototipo cioè il nucleo della categoria cioè dove confluiscono tutti quegli elementi che hanno delle proprietà comuni. Questo modello è rappresentato da un nucleo che si configura dalla sovrapposizione di più elementi questo è uno spazio categoriale così come gli altri, Questi spazi categoriali non sono isolati infatti, A condivide con B una parte che condivide con C e anche con D. Tutte le categorie condividono almeno uno spazio comune cioè quello prototipico, cioè spazio categoriale in cui i membri condividono caratteristiche e elementi comuni. Questa modellizzazione secondo la Rosch é indotta dalla salienza percettiva dalla salienza cognitiva ma anche dalla salienza culturale perché quello che i parlanti o informatori identificano come prototipo Per una categoria o per una somma di categorie, non è necessariamente vero però altri informatori appartenenti ad altre culture ed organizzazioni sociali. Quindi è ammessa la possibilità che non vi sia una stretta e rigorosa coincidenza, Questa modellizzazione non è stabile ma è dinamica E flessibile quindi è il massimo grado di dinamismo ed è un modello che enfatizza la gradualità, Si tratta di un modello che si pone agli antipodi della prima modellizzazione cioè quella per condizioni necessarie e sufficienti, Dove le categorie erano palesemente discrete.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved